Marco Sutz
L’EQUILIBRIO DEI SASSI
indice
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Barcola
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Il messaggio misterioso
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L’appuntamento
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La cena con gli amici
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Dom Rouge
101 Nicola 116 L’atmosfera della festa 131 La cerimonia 142 L’equilibrio dei sassi 164 Epilogo
Barcola
Era inutile nascondere che stessi provando una forte agitazione. Da quasi tre anni ormai non tornavo più nella mia città e non ricordavo nemmeno l’ultima volta in cui ero stato al Bivio. Laura, mia moglie, mi aveva raccomandato di non fare sciocchezze come se fossi un ragazzino diciottenne e persino mia figlia Francesca non aveva desistito dal farmi le sue raccomandazioni. “Stefano, ma che senso può avere fare tutti quei chilometri per vedere una persona di cui ricordi a stento i lineamenti, che non si è degnata di darti sue notizie per più di vent’anni? Oltre a tutto, da quel poco che mi hai raccontato su questo Nicola, mi sembra si tratti di un poco di buono. Non vorrei che ti mettesse in qualche guaio o che ti volesse vedere solo per chiederti dei soldi.” “La mamma ha ragione papà. C’è sicuramente qualche secondo fine in una persona che si è scordata di te per tanti anni.” Quella lettera mi aveva sconvolto totalmente. Era arrivata come un treno che deraglia a destabilizzare una tranquilla stazione di periferia. Non era mia abitudine tradire i miei pazienti e la mia missione ippocratica, ma si trattava solo di qualche giorno. Sentivo l’esigenza d’inseguire un pezzo di vita ormai sepolto nei meandri dei miei ricordi. Il fatto che non tornavo a Trieste da parecchio tempo per me era già una buona motivazione per intraprendere questo viaggio, 7
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ma percepivo che c’era qualcosa di molto più forte, non governabile, che mi avrebbe spinto a raccogliere l’invito di quel messaggio. Per ogni persona esiste sempre un posto che la fa sentire a suo agio, in una dimensione familiare e domestica e non è necessariamente il luogo di nascita. Ma nel mio caso le due cose corrispondevano. Non potevo dire di essermi trovato male a Ferrara la città che mi ospitava da più di vent’anni e che aveva visto la nascita dei miei figli, ma quando pensavo a casa mi veniva sempre in mente quel lembo di terra incastrato tra il mare e le colline che fungeva da naturale legame tra l’Italia e l’Europa orientale. Trieste è una città che non puoi mai completamente abbandonare perché, specialmente quando ne stai lontano, ti rendi conto che è difficile farne a meno e cominci ad amare tutti quei piccoli difetti di cui ti lamentavi in precedenza. La riviera di Barcola in particolare è un luogo molto significativo per molti muli triestini. Ogni sua zona identifica un percorso obbligato, da frequentare nelle varie stagioni della vita. Il lungomare, poco più di tre kilometri che si estendono subito fuori dalla città, d’estate diventa un variopinto stabilimento balneare affollato in ogni suo centimetro di porfido. Statuarie ragazze in costume ed arzilli vecchietti dalla tintarella invidiabile fiancheggiano la strada, lasciando esterrefatti gli ignari turisti alla guida delle loro macchine. Nei mesi autunnali Barcola diventa una palestra a cielo aperto per gli sportivi che iniziano la loro preparazione atletica. Gruppi di agonisti inframmezzati da semplici amatori invadono quel lungo rettilineo permeato da un gradevole aroma di acqua salmastra. L’inverno è senza dubbio il periodo meno frequentato, ma non è difficile scorgere qualche coppia di fidanzati sfidare il freddo scaldandosi con tenere effusioni. In primavera, al tepore dei primi caldi, gli amanti della tintarella si contendono gli anfratti più riparati per catturare i primi raggi del sole e leggere un buon libro, mentre i genitori portano i loro bimbi a cimentarsi con i primi rudimenti dell’arte ciclistica. 8
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La costa Barcolana ha rappresentato la mia palestra natatoria così come per molti triestini. Quando mio padre ha ritenuto che fosse il momento giusto per farmi abbandonare i braccioli mi ha tolto il loro supporto ed ho dovuto, per spirito di sopravvivenza, provare a stare a galla. Metodo un po’ spartano ma piuttosto efficace, anche se al giorno d’oggi si correrebbe il rischio di essere denunciati al telefono azzurro. Mi veniva da sorridere pensando alle ore dedicate ad accompagnare i miei figli in piscina a Ferrara. Tutto per poter ottenere una dignitosa capacità che gli consentisse di galleggiare con tranquillità nel mare dei lidi Ferraresi. Portare i figli piccoli in piscina era una di quelle esperienze che mettevano alla prova la resistenza di una persona, un po’ come affrontare una delle dodici fatiche di Ercole. Era ancora perfettamente vivido in me il ricordo del giorno in cui per la prima volta ero andato a prendere i miei due bimbi al polo natatorio. La cosa poteva sembrare apparentemente banale. La baby-sitter li aveva portati ed io dovevo solamente andare a prenderli, ma evidentemente avevo sottovalutato alcuni aspetti. Innanzitutto avevo dovuto orientarmi in un complesso piuttosto vasto e dopo un paio di tentativi ero riuscito a raggiungere la tribuna dove la baby-sitter aveva deciso che fosse opportuno aspettarmi. Breve passaggio di consegne e rilascio del bimbo più piccolo che aveva già finito. Guardai l’orologio e vidi che mancava ancora un’ora alla fine della lezione di Francesca. Decisi quindi di uscire dal comprensorio per andare a bere un caffè in un bar vicino. Rientrai con Alessandro dopo una mezzora, percorrendo ormai la strada come un veterano, ma nell’incrociare gli occhi di mia figlia in acqua, colsi uno sguardo severo che mi indicava l’istruttrice. La donna appena mi scorse si precipitò verso di me urlante. “Ma non gliel’hanno detto che il giorno della prima lezione i genitori non si possono allontanare perché i bambini sono in prova e potrebbero essere scartati in qualsiasi momento?” Io cercai di stemperare i toni. 9
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“Mi scusi ma non lo sapevo. Mi dica comunque, com’è andata la bambina?” “Guardi, in realtà sua figlia non ha per niente la corretta impostazione natatoria, ma abbiamo deciso che può egualmente provare, per il momento, a frequentare il corso.” Mi sfuggiva il senso che avrebbe potuto avere mandare ad un corso di nuoto una bambina che rasentava già la perfezione stilistica, ma cercai di non esternare queste mie considerazioni. Ad un certo punto arrivò però la seconda ondata. “Le hanno già spiegato gli orari del corso?” “Si certamente, il lunedì e il giovedì con lo stesso orario odierno.” Risposi sicuro e fiero di non essere stato colto in fallo questa volta. “Nooo, c’è anche la lezione del mercoledì dalle 20.00 alle 21.00.” “Ah si, adesso che me lo dice è vero, ma siccome ci avevano detto che la terza lezione è facoltativa, in considerazione dell’orario e del fatto che la bambina ha solo otto anni pensavamo sinceramente di portarla solo due volte alla settimana.” “Forse non ci siamo capiti, la nostra funzione di istruttori è quella di preparare i ragazzi all’attività agonistica, quindi il terzo allenamento è assolutamente indispensabile per fare il salto di qualità.” Stavo cominciando a pensare di essermi imbattuto in un brutto sogno dal quale avrei voluto risvegliarmi al più presto. Perchè ero li, grondante di sudore per l’umidità ed il calore dell’ambiente, a parlare con quella donna dai modi nazisti che aveva sotto le sue sgrinfie la mia piccola bambina? Perché non si vuole lasciare un po’ di spazio all’aspetto ludico e ricreativo dell’attività sportiva senza necessariamente programmare in laboratorio i bambini per farli diventare dei piccoli professionisti? Questa esasperazione della nostra società nel cercare di ottenere il successo a tutti i costi, inculcato già in tenera età, mi spaventava. Comunque feci buon viso a cattivo gioco e 10
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mi congedai con una frase che mi sembrava sufficientemente diplomatica. “Guardi faremo il possibile per accontentare la nostra bimba se vorrà dedicarsi maggiormente al nuoto.” Quando giunse l’ora di fine allenamento tirai un sospiro di sollievo. Stavo pensando a come raggiungere il bordo vasca per andare a prendere Francesca, quando improvvisamente Alessandro, dal candore dei suoi cinque anni, mi disse: “Papà devo far la cacca.” Panico, scoramento, aumento della sudorazione. Come avrebbe potuto reagire la nazista se fossi arrivato con qualche minuto di ritardo? “Alessandro, amore, sei sicuro che non riesci a tenerla finché torniamo a casa?” “Papà devo farla subito.” “Amore devi avere un po’ di pazienza, scendiamo a prendere Francesca e poi cerchiamo subito un bagno, mi raccomando, resisti un pochino.” Scesi le scale e trovai rapidamente l’ingresso degli spogliatoi, entrai in quello di destra come indicatomi da Francesca, e venni fulminato dallo sguardo di una giovane donna in biancheria intima. Giustamente la baby-sitter aveva cambiato i bambini nello spogliatoio delle donne, dove aveva lasciato i loro vestiti. Provai ad abbozzare un sorriso di scuse mentre uscivo per dirigermi con Alessandro verso la porta di sinistra. Percorsi tutto lo spogliatoio e finalmente scorsi l’ingresso alla piscina ma anche un grosso cartello con la seguente dicitura: “vietato l’ingresso senza ciabatte o copri scarpe.” Chiesi cortesemente ad un signore dove poter trovare le copri scarpe e lui mi indicò l’ingresso agli spogliatoi dove avrebbe dovuto esserci l’addetta preposta. Tornai nuovamente all’entrata trascinandomi Alessandro che cominciava a far sentire l’odore della sua impellenza, ma al bancone non c’è nessuno. “Alessandro, riesci a resistere ancora qualche minuto, ti prego.” 11
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“Va bene papà.” Tornai dentro allo spogliatoio e chiesi ad un ragazzo che stava entrando in piscina se poteva farmi la cortesia di prelevare dall’istruttrice una bambina di nome Francesca e portarmela nello spogliatoio. Dopo un po’ il ragazzo tornò verso me con Francesca e la Gestapo, che vedendomi da lontano proferì rassegnata. “Non poteva che essere ancora lui.” Ringraziai il ragazzo e chiesi a Francesca di andare a prendere i vestiti nello spogliatoio delle donne. Ormai il peggio avrebbe dovuto esser passato. Decisi di non farle fare la doccia. Tanto era stata in acqua fino a poco prima. Mi avviai quindi a cercare una presa per il phon ma dopo un’accurata ispezione, anche degli angoli più impensati, non riuscii a trovarla. Rassegnato ormai alla disfatta totale tornai alla reception dove trovai in maniera insperata l’addetta che era rientrata al proprio posto. “Mi scusi cercavo una presa all’interno degli spogliatoi, saprebbe indicarmi dove si trova?” “No guardi ci sono solo degli asciugacapelli a muro che vanno attivati con questa schedina. Le costa due euro.” Spendere dei soldi in quel momento mi sembrava il male minore. “Ecco a lei, questa le vale dieci asciugature, si ricordi di inserire la scheda e contemporaneamente premere il pulsante con il numero dell’apparecchio desiderato.” “La ringrazio.” Fiero della mia momentanea conquista feci posizionare Francesca sotto ad un apparecchio, inserii la tessera e schiacciai contemporaneamente il pulsante relativo. “è partito piccola?” “No papà.” Rispose Francesca. “Papà devo correre in bagno.” Continuò Alessandro. “Hai ragione tesoro, adesso faccio partire ‘sto coso e poi ti porto subito.” Provai e riprovai alcune volte, anche con qualche altro 12
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apparecchio, ma niente. Nel frattempo arrivò un ragazzino di nemmeno 10 anni che mi rivolse la parola. “Scusi mi farebbe usare l’asciugacapelli?” “Certo caro, ma sai… non funziona bene.” “Scusi, mi faccia provare.” Ovviamente, al primo colpo, con un abile gesto, l’apparecchio scelto dal ragazzo cominciò a far fuoriuscire aria calda. Si avvicinò Francesca spazientita e tremolante dal freddo e mi disse: “papà dai, fammi provare.” Un rapido colpo al pulsante ed anche l’apparecchio scelto da mia figlia partì subito. “Brava Francesca, adesso per cortesia asciugati che Alessandro ha un’urgenza.” Ci precipitammo in bagno ma purtroppo ormai la frittata era fatta. Levai le mutande completamente impregnate , ma con grande disappunto mi accorsi che anche i pantaloni erano un po’ sporchi. Buttai le mutande nel cestino, pulii meglio che potevo i pantaloni ed Alessandro ed uscimmo dal bagno con il bimbo nudo dalla cintola in giù. “Papà perché hai spogliato Alessandro?” Mi fece Francesca. “Non ti preoccupare amore, non hai per caso un paio di pantaloni di riserva?” “No, ho solo dei calzoncini corti per fare ginnastica.” Vestii i due bimbi alla meno peggio e cercai di fuggire da quel girone dantesco. Giunti all’esterno, nel tragitto per raggiungere la macchina, mi resi conto che Alessandro destava la curiosità di tutti i passanti. Il suo pantaloncino corto ma piuttosto abbondante di taglia, stretto in vita con una molletta per i capelli, non si confaceva al clima autunnale. Eravamo ad Ottobre inoltrato e la temperatura non era delle più adatte a quel fantasioso abbigliamento. Arrivati finalmente a casa fu il turno di mia moglie. “Amore com’è andata con i bimbi in piscina, come mai ci hai messo tanto?” Mi presi qualche sgridata per aver fatto prendere freddo 13
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a Francesca che aveva ancora i capelli un po’ bagnati e non aveva neanche fatto la doccia, per non parlare di come avevo ridotto il cucciolo di famiglia. Ma l’importante era che l’incubo fosse finito. Il Bivio è un crocevia dove si possono incontrare varie tipologie di persone, dagli studenti universitari alle commesse, dall’avvocato di grido alla pensionata, dal palestrato al papà coi bimbi a seguito. Il nome, che si preannuncia già come un programma, deriva dal fatto che in quel punto finisce Barcola ed inizia la strada che conduce al castello di Miramare, la maggior attrazione turistica della città. La leggenda narra che Massimiliano d’Austria, il fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe, riuscì a salvarsi dalla furia di una tempesta approdando in un’ insenatura nell’estremo lembo del mar Adriatico . Venne talmente colpito dalla bellezza del posto che decise di farvi costruire quello che avrebbe dovuto essere il suo nido d’amore con la bella Carlotta. Il castello, con il suo candido marmo bianco è la perfetta rappresentazione di una dimora fiabesca nella quale si immagina di veder arrivare i giovani sposi con un cocchio di cavalli bianchi e … vivere felici e contenti. Ma la storia reale è molto più cruda delle favole ed il povero Massimiliano, poco dopo esser stato incoronato imperatore del Messico, venne fucilato durante una rivolta e la bella Carlotta impazzì dal dolore. Il castello non venne quindi mai abitato dalla coppia ed ha la fama di essere stregato da una maledizione perchè tutti quelli che vi hanno soggiornato sono morti di morte violenta. La zona del Bivio è una delle più frequentate della riviera barcolana. La lingua più comunemente usata è senza dubbio il dialetto triestino ma non è difficile sentire idiomi stranieri vista la vicina presenza di un grande ostello affacciato sul mare e di una parte delle istituzioni scientifiche internazionali che popolano la città. Nei mesi primaverili o autunnali le terrazze che si ergono poco sopra il livello del mare ma al di sotto del manto stra14
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dale sono un buon riparo dal vento e consentono agli amanti della tintarella di esporsi ai tenui raggi del sole. Durante i mesi estivi rappresentano una vera ghiottoneria per gli amanti del mare, la vicina riserva marina del parco di Miramare ed il favorevole gioco di correnti fanno si che lo specchio d’acqua antistante sia particolarmente limpido. D’estate si assiste ad un regolare avvicendarsi di persone che si contendono ogni centimetro di terrazza, lottando per i posti più ambiti. Nelle giornate afose quelli affacciati al mare, nelle giornate ancora fresche o soggette a mareggiata quelli riparati sotto al muretto. La mattina è senza dubbio il momento migliore sia per la più mite temperatura che per la pulizia dell’acqua. La frequentazione è fatta prevalentemente da pensionati che successivamente danno il cambio a coloro vi trascorrono la pausa pranzo. Nel pomeriggio arrivano gli studenti e le persone che lavorano solo al mattino, mentre nelle ore più tarde giungono coloro che hanno finito di lavorare e gli sportivi che si fanno delle lunghe nuotate in mare. Sarebbe interessante riuscire a contare quante persone accedono a questo ristretto spazio balneare nel corso di un’intera giornata. Il Bivio nella stagione calda è un luogo di ritrovo e socializzazione. Svolge alla perfezione il ruolo dell’agorà di greca memoria, mentre diventa un’oasi di intimistico relax se frequentato fuori stagione. Ma perché trovarsi proprio al Bivio? Forse Nicola vuole farsi un tuffo all’imbrunire anche se ormai siamo a fine settembre e la stagione balneare sta per finire. O ci sarà qualche altra ragione? E soprattutto perché farsi vivo dopo vent’anni di silenzio assoluto in cui nessuno ha avuto più sue notizie, temendo logicamente il peggio? Queste domande mi avevano assillato nei giorni successivi al ricevimento del messaggio ed ancora non avevano ottenuto una valida risposta nella mia mente. L’unica cosa certa era che ora lo sapevo vivo e la mia gioia prevaleva sull’arrabbiatura per il fatto che fosse sparito senza lasciare traccia. 15
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Era una persona alla continua ricerca del vivere intensamente le proprie emozioni e questo atteggiamento non lo faceva scendere a compromessi. Gli animi come lui a volte fanno del male agli altri ma senza una volontà cattiveriosa, seguono semplicemente il loro istinto senza preoccuparsi delle conseguenze sociali di ciò che fanno, vivendo privi di condizionamenti. Ad un certo punto o si accetta questa loro caratteristica oppure è meglio rinunciare alla loro amicizia. Non mancava ormai molto alla conclusione del mio viaggio ma sentivo l’estremo bisogno di fare una pausa caffè e il cartello stazione di servizio di Gonars giungeva proprio a proposito. Dentro all’autogrill scorsi due donne che parlavano animatamente. “Ma cos’te zerchi de farme sempia mamma?” Quella parlata così lontana nei ricordi ma ancora familiare mi fece sorridere e con mia sorpresa la donna più giovane rispose ammiccante al mio sorriso. Non ricordavo più quand’era stata l’ultima volta che mi era successo qualcosa di simile, erano passati comunque molti anni. Sentii una strana sensazione come se fossi stato rivitalizzato da un nuovo potere da supereroe, mi sembrava di essere più leggero e di poter fluttuare nell’aria. Improvvisamente capii le preoccupazioni di mia moglie ed anche il motivo che mi aveva spinto ad accorrere ad un invito così particolare e stravagante. In realtà quella lettera aveva scardinato una situazione che sembrava immobile ed immutabile nella sua compostezza. La mia vita seppur felice nella sua routinaria normalità mancava ormai da troppo tempo di qualche sprazzo di sana pazzia che le desse una scossa. Non poteva essere casuale che un episodio apparentemente così banale mi fosse successo proprio nel momento in cui mi stavo accingendo a rivivere, almeno nei ricordi, un pezzo di vita felice e spensierata. Evidentemente il mio atteggiamento si era già modificato rispetto a come mi ponevo normalmente nella mia quotidianità ferrarese e quella giovane donna aveva colto 16
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questo nuovo afflato. Non avevo mai vissuto sopra le righe. Ero sempre stato considerato il classico bravo ragazzo che non dava preoccupazioni ai genitori, che riusciva brillantemente nello studio, che si era sposato e aveva creato una bella famiglia felice. Gli unici momenti in cui mi era capitato di fare qualcosa di trasgressivo erano accaduti proprio nel periodo in cui ero più legato a Nicola. Eravamo due personalità molto diverse ma fra di noi c’era una forte sintonia. Penso che lui mi ritenesse una persona importante per colmare parzialmente la distanza fra il suo modo di essere così speciale ed il mondo dei comuni mortali. All’improvviso mi resi conto che quella lettera, una volta superato il primo momento di stupore, aveva destato in me un egoistico desiderio di cogliere un’occasione per vivere delle emozioni ormai sopite, che forse non pensavo più di poter provare. Un illustre poeta mio concittadino, Umberto Saba, aveva descritto Trieste come un ragazzaccio aspro e vorace ed era proprio con questo approccio che mi avvicinavo alla meta. Si ridestavano in me i ricordi delle scorribande vissute in quel periodo scanzonato, come quella volta che Nicola mi spinse ad andare con lui in discoteca. Io normalmente non frequentavo quel tipo di locali così caotici e pieni di gente, preferivo delle serate più tranquille passate a chiacchierare con gli amici davanti ad un bicchiere di birra. La discoteca si trovava proprio a Barcola che durante il periodo estivo diventava il fulcro della vita notturna triestina. Nicola conosceva un sacco di persone, anche se erano tutte conoscenze superficiali. In ogni caso uscendo insieme a lui non si passava mai inosservati, o meglio lui non passava mai inosservato. All’ingresso del locale venimmo avvolti da una coltre di fumo che avrebbe fatto impallidire la nebbia londinese. è incredibile come fino a qualche anno fa sembrasse normale poter fumare in un locale pubblico così affollato. Dopo un po’, il rumore della musica e quel continuo 17
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salutare delle persone che probabilmente non avrei più rivisto ed alle quali non interessava niente di conoscermi, cominciò a rintronarmi la testa. Nicola capiva le cose al volo e mi fece una proposta. “Vieni, andiamo a conoscere quelle due ragazze che ballano in pista.” “Lo sai che non mi piace ballare, ho la grazia di un ippopotamo.” Risposi un po’ timoroso di dover affrontare un approccio. “Non preoccuparti ci facciamo un bicchiere e poi si parte” Naturalmente conosceva la barista che lo servì immediatamente con due piccoli bicchierini apparentemente innocui. Mi passò il mio e fece sparire il contenuto del suo direttamente in gola. “Su dai si beve tutto d’un fiato sbrigati.” Vuotai tutto il contenuto e sentii un braciere ardere dentro di me. Dopo pochi minuti ero in mezzo alla pista a ballare vicino alle due sconosciute. Nicola ci mise solo qualche minuto ad attaccare bottone, sfoggiando il suo perfetto inglese. La fisionomia delle due ragazze faceva infatti supporre una loro provenienza dall’Europa del Nord. “Sono olandesi, dormono qua vicino all’ostello del Bivio.” Mi fece Nicola. Sorprendendo me stesso sfoderai anch’io il mio inglese un po’ maccheronico ma tutto sommato efficace e mi presentai alle due bionde. “Ciao I’m Stefano nice to meet you, what’s your name?” Dopo qualche decina di minuti eravamo già seduti sui divanetti a chiacchierare, come se ci fossimo conosciuti da una vita. Ad un certo punto Nicola sparigliò le carte e si giocò il jolly. “è estate, siamo in una splendida città di mare, cosa aspettiamo? Andiamo a farci un bagno notturno!” 18
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La mia cautela mi faceva temere una mossa così azzardata ed esternai le mie preoccupazioni. “Nico le abbiamo appena conosciute, non vorrei che si spaventassero”. “Non preoccuparti, queste sono nordiche.” Mi rispose con tutta la sua sicurezza. Dopo qualche minuto avevamo attraversato la strada ed eravamo in riva al mare. Le due ragazze e Nicola, senza esitare un attimo, si spogliarono e si tuffarono al chiaro di luna. Io rimasi completamente spiazzato ma in quel momento mi sentivo più imbarazzato a starmene vestito a riva che a spogliarmi e raggiungere gli altri. Attesi un pò prima di togliermi le mutande ma poi pensai dentro di me. Si dai, si vive una volta sola. Fu un bagno indimenticabile, pieno di allegria e gioia di vivere, ma anche con una punta di malizia. Kerstin dopo aver provato a mettermi il viso sott’ acqua mi avvolse in un tenero abbraccio e mi baciò appassionatamente. Io fui travolto da un turbinio di sensazioni, pensavo di essermi già innamorato. Usciti dall’acqua, ormai come due coppie consumate, continuammo le nostre effusioni finché Nicola prese nuovamente in mano la situazione. “Stefano, io porto Karen a casa mia con la mia macchina e tu accompagni Kerstin al vicino ostello. Karen sarà lieta di cederti il suo posto nel letto matrimoniale che condividono nella loro camera. Domani mattina vengo a prenderti io e ti porto a casa.” Mi sembrava tutto perfetto. Avevo detto ai miei che avrei dormito a casa di Nicola visto che avremmo fatto tardi. Lui viveva da solo già da un paio d’anni, anche perché sfortunatamente aveva perso entrambi i genitori. Le ragazze sembravano assolutamente entusiaste della proposta, così mi avviai con Kerstin verso il Bivio. Quel breve tragitto mi sembrò durare ore, sia per la voglia che avevo di raggiungere la nostra alcova, sia perché ogni momento passato insieme era per me pieno di un’intensità 19
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particolare. Giunti alla meta sentimmo le voci di un gruppo di persone che chiacchieravano in prossimità dell’ostello. Improvvisamente un ragazzo del gruppo si avvicinò a noi e salutò calorosamente Kerstin. Si intrattennero un po’ scambiando alcune parole e nel congedarsi, la mia amica olandese baciò lungamente e appassionatamente il ragazzo sulla bocca. Rimasi raggelato, come quando si va nella stanza del ghiaccio dopo aver fatto una sauna finlandese. Provai a cogliere nello sguardo di Kerstin un accenno ad una spiegazione plausibile. Lei, con tutto il suo nordico candore, mi spiegò che quello era un ragazzo greco che aveva conosciuto la sera prima in ostello e con il quale aveva fatto l’amore, ma il suo bacio di stasera era un semplice saluto. “Come on Stefano, I want you tonight.” In una situazione normale una frase del genere mi avrebbe mandato in visibilio ma in quel momento non ne volli sapere. Le urlai di tutto, dicendole che usava le persone senza rispettare i loro sentimenti, che non potevo neanche pensare di baciarla dopo che lei aveva appena baciato un altro uomo e che non volevo più vederla. “It’s only sex Stefano, enjoy yourself.” Corsi via urlando e piangendo dalla rabbia. Ripensandoci nei giorni successivi mi resi conto di aver fatto una stupidaggine. Avevo perso l’occasione di una bella avventura estiva con una sconosciuta, ma il modo in cui si erano susseguiti gli accadimenti, l’escalation del desiderio e poi la delusione del tradimento mi avevano fatto andare fuori giri. Le ragazze del nord Europa erano famose per il loro atteggiamento disinibito nei confronti del sesso e questo era uno dei motivi per cui erano così ambite, ma purtroppo quella serata andò così. Mi feci sei chilometri a piedi per arrivare a casa ed una volta giunto a destinazione mi resi conto che non potevo rientrare a quell’ora. 20
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Andai a fare colazione in un bar che apriva presto al mattino e poi girovagai un po’ per la città finché mi sembrò l’ora giusta per rientrare a casa. Mia madre mi chiese se avevo dormito bene, perché avevo una pessima cera. Io le spiegai che Nicola aveva russato tutta la notte, avevo dormito malissimo e quindi me ne sarei tornato a letto. La vera preoccupazione nei giorni successivi fu quella di raccontare tutto a Nicola, ero sicuro che si sarebbe arrabbiato per il mio comportamento. Quando trovai il coraggio di raccontargli l’accaduto lo trovai invece molto comprensivo. Ricordo ancora perfettamente ciò che mi disse. “Stefano hai fatto solamente quello che ti sentivi di fare in quel momento, seguire le proprie sensazioni non è mai sbagliato.” “Desidera prego?” Una voce maschile roca e sgraziata mi ridestò dai miei pensieri. “Un capo deca in b grazie.” Risposi ancora sovra pensiero. “Si e la supercazzola con scappellamento a destra dove la mettiamo? Vuole fare lo spiritoso? Guardi che noi dobbiamo lavorare, non abbiamo tempo da perdere.” Mi apostrofò il barista. La mia mente era già proiettata a Trieste, dove la mia richiesta non avrebbe destato nessun scalpore. Trieste è il più importante porto italiano per il caffè e negl’anni ciò ha portato allo sviluppo di una particolare sensibilità e cultura sull’argomento, con la nascita anche di importanti realtà imprenditoriali. In aggiunta a ciò il triestino ha codificato un particolare linguaggio da bar per ordinare il caffè più amato nelle sue varie forme e sfaccettature. Il nero è il caffè liscio normale, il capo (contrazione di cappuccino) quello macchiato. Se si desidera invece quello che comunemente, nel resto d’Italia viene chiamato cappuccino bisogna ordinare un capo in tazza grande o un caffelatte in tazza. Ogni tipo di caffè può essere comunque richiesto 21
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nella variante in tazza o in bicchiere (abbreviato in b). “Mi scusi volevo un caffè macchiato decaffeinato in bicchiere di vetro, grazie.” Mi affrettai a tradurre la mia richiesta. “Bravo, così va già meglio glielo faccio subito, ma prima deve fare lo scontrino.” Davanti a me, in fila alla cassa, c’era la ragazza che mi aveva sorriso all’ingresso. Si girò verso di me e parlando in dialetto mi disse. “No la se stia rabiar, cossa la vol, semo ‘ncora in furlania.” L’Italia era la terra dei campanilismi ed anche ai miei tempi c’era un po’ di sana rivalità tra Udine e Trieste, ma quella frase in bocca a quella bella ragazza mi fece un effetto negativo. Specialmente la parola furlania che stava a significare la regione del Friuli, non era particolarmente simpatica e poi quella così accentuata cadenza dialettale le toglieva molta della sua avvenenza femminile. Le rivolsi comunque un bel sorriso perché aveva voluto concedermi la sua complicità e continuai nel mio viaggio.
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Il messaggio misterioso
“Dottore mi scusi se la disturbo ma ho ricevuto una strana e-mail e non vorrei che si trattasse di un virus.” “Qual è il nome del mandatario?” Replicai io. “Manda che?” “Volevo dire, chi l’ha mandata?” “Guardi non lo so, ma è una roba mezza in inglese, per me è meglio buttare via tutto.” “Ho capito Maria, ma se mi dice il nome di chi ha inviato il messaggio ci togliamo definitivamente il pensiero.” Maria era la mia segretaria di studio, lavorava con me da quando avevo avviato l’attività ed ormai era come una persona di famiglia. Era una donna molto semplice ed a volte non particolarmente brillante, ma era molto affabile, una gran lavoratrice e io le volevo un bene dell’anima. “C’è scritto facebook, a me sembra un nome finto, chi vuole che si chiami così?” “Dev’essere una parola inglese penso che si legga feisbuk. Probabilmente ha ragione lei, dev’essere un virus, chi vuole che mi scriva in inglese, lo butti pure nel cestino.” Sentenziai io. “Aspetti, c’è anche scritto che qualcuno vuole diventare suo amico, prima però deve iscriversi ad una comunità.” Aggiunse Maria. “Ecco dov’è la fregatura, vorranno sicuramente dei soldi. Magari ci sarà qualche fantomatica donna che vuole cono23
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scermi, usata come specchietto per le allodole per attirare l’attenzione.” Chiusi pragmaticamente la questione. “No veramente qua c’è il nome di un uomo, Nicola Grisancich. è lui che ha richiesto di diventare suo amico.” Ebbi un attimo di scoramento, quel nome era qualcosa che avevo ormai rimosso dalla mia mente anche se era legato ad un periodo felice della mia vita. Racchiudeva in se il ricordo di un accadimento triste e misterioso che avevo fatto fatica a rimuovere. “Aspetti non faccia nulla vengo a vedere.” Esclamai con una certa concitazione. Il titolo del messaggio diceva proprio che Nicola Grisancich aveva richiesto la mia amicizia su Facebook. Restai come inebetito per cinque minuti, poi dopo un tazza di caffè doppio ripresi a pensare. La curiosità era molta ma i messaggi di virus sanno come far leva sulle debolezze delle persone ed a volte basta solamente aprirli per infettare il computer. Una sera a cena mia figlia mi aveva fatto una lezione su come evitare tali inconvenienti che potevano danneggiare irreparabilmente il disco rigido del computer o comunque creare una chiave d’accesso per entrare a visionare i dati riservati dei miei pazienti. Decisi quindi di chiamare subito l’esperta di casa. “Pronto Francesca, ciao amore.” “Che c’è papà sto entrando a lezione.” “A si scusami farò subito, mi serviva un tuo consiglio. Ho ricevuto un messaggio di posta elettronica inviato da tal Facebook che mi dice che una persona di cui conosco il nome vuole diventare mia amica. Secondo te si tratta di un virus o posso aprire tranquillamente il messaggio?” “Certo papà che sei proprio preistorico. Facebook è uno dei social network più conosciuti di internet. Ma quale virus, hai solo ricevuto un invito ad entrare nel gruppo di amicizie di questa persona. Non è che sarà un’amichetta del passato che vuole cercare di rintracciarti eh? Guarda che se non mi fai uscire fino a 24
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tardi questo week-end dico tutto alla mamma.” “Ma no, che amichetta, è un vecchio amico di Trieste.” “Si si sarà, comunque continuiamo il discorso a casa.” Ma perché ai miei tempi erano i genitori a terminare le conversazioni con i figli con questa frase perentoria? A volte penso proprio di aver sbagliato il momento per nascere. Cazziato da figlio in età giovanile e cazziato da genitore in età adulta. Mi sa che fra qualche anno sarò cazziato anche dai nipoti oltre che da mia moglie. Il pensiero mi tornò improvvisamente a Nicola, lui era sparito da tutto e tutti, tagliando i legami col passato. “Maria per favore chieda al prossimo paziente di attendere ancora dieci minuti e si faccia una pausa anche lei, ho bisogno del computer.” Cliccai dentro al messaggio senza più timore di infettare la macchina, ma il mio stato d’animo era simile a quello di un’adolescente che riceve una lettera inaspettata dalla persona amata, un misto di curiosità ed apprensione. Un turbinio di emozioni erano pronte a scoperchiarsi ed irrompere fragorose a sconvolgermi la vita. “Caro Stefano, posso immaginare che queste mie parole ti colgano di sorpresa e mi scuso con te se il mio silenzio prolungato ti ha fatto soffrire. Ci sono dei momenti nella vita in cui una persona decide di staccare i contatti col passato per poter godere il presente nel modo più forte ed intenso possibile. Nel mio caso non c’è stata nessuna volontà di rivalsa, o di fare del male alle persone a me care, ma solo un desiderio di cogliere appieno l’incredibile realtà che stavo vivendo. D’altronde tu mi conosci molto bene e sai che questa è stata una costante del mio modo di essere. Qualcuno lo chiama egoismo, io preferisco credere che sia un modo di vivere spontaneo e senza condizionamenti. Avresti tutte le ragioni per cestinare queste mie parole e non ti biasimerò se lo farai, ma sappi che mi piacerebbe molto incontrarti, anche solo per farmi vomitare addosso tutta la 25
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rabbia che hai dentro di te o, se vorrai, per raccontarti quella che è stata la mia vita in questi lunghi anni in cui sono sparito dal mondo dei miei affetti passati. Il prossimo Venerdì sarò a Trieste, qualora decidessi di vedermi alle 19.30 sarò al Bivio. Con immutato affetto Nicola” Sentivo dei brividi addosso ma non era il freddo. Queste poche parole mi avevano scosso profondamente, ma non riuscivo a focalizzare bene la situazione ed un mucchio di domande restavano irrisolte. Era molto strano dover resuscitare una persona che si credeva morta, mi sentivo felice ma un po’ disorientato. Perché Nicola aveva deciso di sparire e si rifaceva vivo dopo quasi vent’anni? Doveva esserci un motivo importante non poteva essere solo il desiderio di fare una rimpatriata o di fare quattro chiacchiere sul passato, non avrebbe avuto senso. Sicuramente aveva dei problemi da risolvere e gli serviva l’aiuto di qualcuno di cui pensava di potersi fidare o che comunque ne avesse la possibilità. Forse gli servivano dei soldi, era finito in qualche guaio e doveva pagare per uscirne. Conoscendolo la cosa era assolutamente plausibile, era abituato a seguire il suo istinto senza pensare troppo alle conseguenze. In realtà mi resi conto che per dare una risposta alle mie domande c’era una sola soluzione, ed era quella di andare a Trieste per incontrarlo. Non avevo ben chiaro se la mia determinazione fosse dovuta solo a una sorta di curiosità o anche ad un effettivo desiderio di rivedere una persona che mi era stata molto cara, ma ero deciso come non mai a voler accettare questo invito così particolare. “Dottore mi scusi ha finito? Io dovrei terminare il mio lavoro e poi i suoi pazienti cominciano a non essere più molto pazienti e potrebbero decidere di non essere definitivamente più dei suoi pazienti se li fa attendere ancora un po’.” Maria era riuscita a compiere un capolavoro linguistico senza rendersene conto, ma questa era una delle sue molte 26
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capacità nascoste. “Si Maria ha ragione, arrivo subito, faccia entrare la prima persona.” Dovetti mettere in campo tutte le mie capacità di concentrazione per riuscire a effettuare le visite pomeridiane. La mia mente, se avesse potuto avrebbe spaziato in un’unica direzione, ma l’allenamento di anni di studio effettuato in mezzo alle situazioni più incredibili e disagiate era stato sicuramente d’aiuto per fortificare questa mia qualità. Dopo aver concluso l’ultima visita e congedato Maria mi concessi una visita personale all’interno dei miei ragionamenti. Per le questioni veramente importanti e complesse avevo sempre avuto la necessità di starmene un po’ da solo, ed il caso che mi si presentava era sicuramente fra i più difficili da risolvere. Il giorno dell’appuntamento con Nicola a Trieste avevo in realtà già fissato un impegno di quelli assolutamente non prorogabili. Era il quarantesimo anniversario di matrimonio dei miei suoceri ed ovviamente era previsto un gran banchetto a cui avrebbe partecipato tutta la famiglia. Erano mesi che mia suocera e mia moglie si stavano dedicando all’organizzazione dell’evento in modo che potesse essere tutto perfetto così come loro l’avevano immaginato. Non posso nascondere che l’idea di poter rinunciare a quella serata non fosse così spiacevole, ma la mia assenza sarebbe stata difficilmente tollerata anche in caso di broncopolmonite o in caso di rottura di entrambi i femori, figuriamoci per una rimpatriata con un amico. Era assolutamente necessario escogitare una scusa molto convincente, sperando poi nella buona sorte. Dovevo scatenare tutta la mia più fervida fantasia ma purtroppo non avevo dei motivi plausibili che mi potessero spingere a dover andare urgentemente a Trieste. Mia madre aveva deciso di trasferirsi a Ferrara per stare vicino ai suoi nipotini e comunque era coinvolta anche lei nella macchina organizzativa dell’evento dell’anno e mio padre purtroppo era mancato tre anni prima. A Trieste non avevo più nessun parente prossimo con cui 27
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mantenevo dei contatti, solo un paio di amici con cui mi sentivo molto saltuariamente. Potevo inventarmi il funerale di una fantomatica zia di secondo grado della famiglia di mio padre, ma molto probabilmente sarei stato smascherato da mia madre e poi tutti sapevano che non ci tenevo molto ai rapporti con il parentado. Aspetta! E se invece ci fosse di mezzo la prospettiva di una bella eredità? Una zia misconosciuta che aveva lasciato un testamento che il notaio avrebbe aperto proprio nel pomeriggio di quel giorno. Mah forse avrebbe potuto funzionare. Dovevo solo escogitare bene il tipo di parentela. Una sorella di mio nonno paterno era emigrata in Australia ed aveva avuto un figlio con il quale nessuno aveva mai avuto dei rapporti se non mio padre, che aveva inviato una lettera di condoglianze quando sua zia era morta. Si, forse avrebbe potuto funzionare. Il figlio della zia avrebbe potuto esser rimasto scapolo e quindi non avere dei discendenti diretti, così una parte dell’eredità sarebbe spettata a me. Mi convinsi che la cosa poteva stare in piedi ed orgoglioso della mia trovata mi diressi verso casa. “Ciao amore, sono tornato.” Stavo cercando un modo per introdurre l’argomento con estrema naturalezza. “Ciao Stefano, dai sbrigati che stavo per mettere la cena a tavola.” Pollo al forno con le patate, la cena preferita di mia figlia. Ottimo, sarebbe servito a creare un’ atmosfera distesa per intavolare il mio discorso. Decisi di rompere subito gli indugi. “Laura, lo sai che oggi mi è successa una cosa veramente inaspettata, e forse ci scapperà anche un bel regalino per te?” Cercai di fare leva sulla curiosità di mia moglie. “Su dai racconta.” “Ho ricevuto la telefonata di un notaio di Trieste che mi ha comunicato di aver ricevuto l’incarico di aprire il testamento dello zio Rodolfo. Ti ho mai parlato del figlio di mia zia Adelina dell’ Australia?” “No veramente questo nome non mi dice nulla, bisogne28
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rebbe interpellare tua mamma che si ricorda tutte le parentele.” Ecco, era proprio il rischio che avrei evitato volentieri. “Vabbé, comunque, questo povero zio Rodolfo sembra che sia morto e non avendo discendenti diretti avrebbe lasciato una parte dei suoi averi al sottoscritto.” Andai diritto al dunque. “Benissimo. Dici di non essere mai fortunato con i soldi ma questa volta potrebbe essere come aver vinto al superenalotto, senza avervi giocato. Erano benestanti questi zii?” L’esca sembrava aver funzionato. “Non lo so. Comunque c’è anche un piccolo problema da affrontare. L’apertura del testamento è prevista … looooo … lo stesso giorno dell’anniversario dei tuoi genitori.” Mi era scappata una piccola indecisione della voce nel momento determinante della mia comunicazione, perché in realtà mi stavo preparando ad una raffica di urla ed improperi e mi era venuto istintivo temporeggiare. A sorpresa però mia figlia intervenne prima di mia moglie. “Papà, quando hai parlato di un accadimento strano, pensavo volessi raccontare alla mamma della e-mail che hai ricevuto da quella tua vecchia spasimante triestina.” Negl’ultimi tempi avevo cercato di usare un atteggiamento un po’ più rigido con mia figlia per provare a recuperare parzialmente la mia autorità paterna. Questo doveva essere un suo avvertimento per andare a ridefinire i confini della propria autonomia, ovviamente a suo vantaggio. “Francesca te l’ho già detto che quello che mi ha scritto oggi è un mio vecchio amico di Trieste e non una donna.” Cercai subito di giustificarmi. “Ah si e cosa voleva?” Si intromise mia moglie. “No niente, proponeva solo che ci rivedessimo dopo tanto tempo per parlare un po’ dei tempi passati, una rimpatriata.” Replicai timidamente. “Caro quindi la storia dello zio d’Australia è tutta una scusa per poter fare la tua rimpatriata a Trieste?” è incredibile la capacità delle donne a smontare imme29
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diatamente ogni piccolo tentativo di menzogna. Il loro sesto senso è qualcosa di animalesco ed io ero andato allo sbaraglio contro due delle più agguerrite rappresentanti del gentil sesso. Vistomi perduto decisi di svuotare tutto il sacco. “Ok lo confesso, mi sono inventato la storia del testamento dello zio per poter avere una valida giustificazione per non venire all’anniversario dei tuoi genitori. Lo so che loro ci tengono molto, ma ti assicuro che anche per me è molto importante rivedere questo mio amico, anche perché era sparito da quasi vent’anni e tutti lo ritenevamo ormai morto. è una persona a cui ero molto legato, si chiama Nicola Grisancich , ricordi che ti ho parlato della sua misteriosa sparizione?” “Se per te è così importante bastava che lo dicessi senza inventarti tante fandonie, i miei genitori capiranno. Lo sanno benissimo che tolleri a malapena la loro presenza e loro stessi ti hanno sempre considerato una scelta di ripiego per la loro figlioletta, quindi vedrai che non ci saranno molti problemi.” Queste parole così crudamente esposte, pur nella loro sostanziale verità, mi fecero sobbalzare. Ma la cosa che mi parse più strana fu l’insospettata pacatezza nell’accettare lo scardinamento di una organizzazione così capillare ed accurata, per consentirmi di seguire il mio volere. Va bene che il rapporto con i miei suoceri non era tra i più idilliaci ma le parole di Laura mi sembravano forzatamente esagerate e soprattutto votate ad un’arrendevolezza che non le conoscevo. Ad essere sincero questa tranquillità nel lasciarmi fare ciò che volevo mi insospettiva un po’. Sapevo che prima o poi ne avrei pagato le conseguenze e comunque ero indispettito dal fatto che alla mia presenza non veniva dato alcun peso. Ma queste considerazioni passarono temporaneamente in secondo piano visto che con insospettata facilità ero riuscito ad ottenere un salvacondotto per la mia avventura triestina e nulla poteva ormai fermarmi. Decisi di andare a frugare tra le mie vecchie foto per trovare qualche immagine di Nicola. Avevo voglia di rientrare in contatto con i miei ricordi ed ero sicuro che dopo averlo 30
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visto anche le mie due donne sarebbero rimaste affascinate e rassicurate dallo sguardo del mio amico. Conservavo alcune foto di quando ero ragazzino in un armadio del salotto, ogni tanto mi capitava di sfogliarle, ma non mi ricordavo di averne vista nessuna raffigurante Nicola. Da qualche parte dovevano essere però. In particolare mi ricordavo una foto di noi due seduti su una panchina mentre suonavamo la chitarra. Andai in cantina a rovistare nel baule dove avevo conservato alcuni vecchi ricordi. Aprendo quel vecchio scrigno si alzò una nube di polvere che testimoniava i molti anni nei quali era stato chiuso, da quando mi ero sposato ed avevo traslocato nella nostra casa non l’avevo mai scoperchiato. Spesso quando arrivano i figli, i genitori annullano completamente il proprio passato, mentre cercano di creare delle testimonianze di quello che un giorno diverrà il loro passato della loro prole. Si producono una marea di immagini monocordi da consegnare ad un futuro polveroso cassettone o ad un più tecnologico hard disk. Quando è nata Francesca uno dei miei primi acquisti è stata la telecamera e da perfetto neofita sono riuscito a riprendere un’ora di filmato dei suoi primi venti giorni di vita. Un documento che aveva il ritmo di una retrospettiva polacca degl’anni trenta, in cui si alternavano sapientemente delle riprese in cui lei dormiva, piangeva, mangiava o cacava. Il primo oggetto in cui mi imbattei immergendo le mani nel baule dei ricordi fu un cagnolino di gomma con il quale dormivo da piccolo. Solleticandolo con la pressione delle dita emetteva uno stridulo gemito e constatai che il tempo non ne aveva affievolito il vigore. Passai in veloce rassegna il resto degli oggetti, delle medaglie di partecipazione a qualche gara, delle vecchie cartoline, i biglietti di qualche concerto, una vecchia bandiera del Milan, finché arrivai finalmente alle foto. Stetti più di un’ora a sfogliarle e risfogliarle riassaporando vecchie sensazioni vissute, ma non trovai nessuna imma31
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gine del mio amico. Rimasi un po’ male ma pensai che nei vari traslochi era inevitabile perdere qualcosa e poi una volta non c’erano macchine digitali o telefonini per immortalare anche gli episodi più banali. Mi venne in mente inoltre che alla fine del nostro viaggio in Spagna degli sbandati ci avevano aperto la macchina e tutti i rullini delle foto del viaggio erano stati rubati. Mi resi conto quindi che avrei dovuto accontentarmi dei miei ricordi senza nessuna sbiadita immagine a supporto. Il Nicola che avevo conosciuto ai tempi della scuola e poi dell’università era un leader inconsapevole. Non faceva assolutamente nulla per esserlo ed anzi talvolta sembrava quasi infastidito dal fatto di diventare un punto di riferimento per le persone con cui entrava in contatto. I ragazzi erano affascinati dal suo carisma, dalla sua sicurezza e dalla sua capacità di agire liberamente senza particolari condizionamenti. Le ragazze invece erano assolutamente indifese davanti alla sua bellezza elegante ma un po’ maledetta. I capelli corvini, molto mossi e sempre piuttosto lunghi contrastavano con il turchese dei suoi occhi, a realizzare un connubio armonioso ed irresistibile. Anche le ragazze che ne parlavano male, tirando in ballo la sua presunta arroganza ed il suo distaccato disinteresse per gli altri, dovevano poi soggiogare al primo sorriso che Nicola decideva di rivolgergli. Le sue storie con il gentil sesso non duravano mai a lungo. Non so se fosse la paura di legarsi a qualcuno dovendo rinunciare parzialmente alla propria libertà, l’istinto a rifuggire la routine o semplicemente una sorta di allergia a dare una scontata continuità alle cose. Era normale che dopo aver vissuto dei momenti di intimità le ragazze si illudessero di aver iniziato un rapporto che potesse durare nel tempo. Ma quando la sventurata di turno gli chiedeva se si sarebbero rivisti, la sua laconica risposta era sempre la stessa. “Tutto pol esser.” Tutto era possibile, le cose semplicemente accadevano. 32
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Bisognava saperle vivere ed interpretarle al meglio, dargli un senso, ma non cercare di stravolgerle o farsi condizionare. In quella frase c’era tutta l’ineluttabilità del destino e l’incertezza del domani, tipica di Nicola. Come tutti gli uomini dal forte carattere e dalla prorompente personalità non riusciva a destare sentimenti di disinteresse o apatia, ma sempre forti pulsioni di odio-amore. Io forse ero uno dei pochi che ne viveva l’amicizia senza necessariamente giudicarlo. Le persone possono piacere o meno ma vanno accettate per quelle che sono le loro peculiarità, altrimenti, se dovessimo plasmare tutti quelli che ci circondano in base alle caratteristiche da noi amate ci ritroveremmo circondati da una serie di replicanti. Talvolta potevo dargli qualche consiglio o comunque disapprovare apertamente un suo modo di agire, ma Nicola, con la sua enorme sensibilità aveva colto che io non lo giudicavo e per questo motivo mi aveva riservato un posto privilegiato fra le sue amicizie. In realtà questo sentimento aveva per lui un significato molto particolare. Probabilmente non era un valore immortale nel tempo ma diventava una caratteristica da vivere in un determinato momento, quando una persona condivideva insieme a lui un tratto del suo percorso. Nicola affrontava la vita con l’atteggiamento di un esploratore, che solca il corso di un fiume della giungla amazzonica, vivendo la trepidazione ma anche l’euforia per la scoperta dell’ignoto e di volta in volta può incontrare dei compagni di viaggio che lo affiancano e lo supportano nella sua solitudine. Un uccello, un indigeno o anche un coccodrillo. Questi esseri viventi diventano importanti, in quel contesto, per superare dei momenti di scoramento e per condividere delle emozioni. Nicola cercava di assaporare ogni giorno la gioia della scoperta di nuove emozionanti situazioni, seguendo il proprio istinto nell’affrontare una dopo l’altra le diverse diramazioni del fiume. Una sera d’estate mentre stavamo chiacchierando animatamente con un gruppo di amici in un chiosco presso il 33
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lungomare barcolano, notai che si era completamente isolato dalla conversazione e sembrava assorto dai suoi pensieri. “Nicola c’è qualche problema? Mi sembri assente.” Gli chiesi. “Ogni giorno non riesco a far a meno di esser rapito dallo spettacolo del tramonto. Scusate, ma se non me lo godo fino in fondo mi sembra di aver perso qualcosa di unico ed irripetibile. Ogni volta ci sono delle sfumature diverse ed incredibili e poi abbiamo la fortuna di vivere in una città con degli ineguagliabili tramonti sul mare, e le fortune nella vita bisogna sapere coglierle.” Adesso che me lo faceva notare effettivamente quella sera c’era un bellissimo tramonto ma, presi dai nostri discorsi, nessun altro se n’era accorto, o probabilmente nessuno ci aveva fatto caso perché il verificarsi di un bel tramonto era un avvenimento quasi quotidiano e non così rimarcabile. Restammo tutti per qualche minuto a contemplare le sfumature che coprivano l’intera scala cromatica tra il rosso e il giallo e poi riprendemmo la nostra discussione. Nicola sembrava essersi nutrito di linfa vitale, aveva gli occhi che gli brillavano ed in quel momento la sua conversazione mi parse più brillante ed incisiva del solito. Come se si fosse ricaricato. Ogni tipo di sentimento, l’amore, l’amicizia non avrebbe mai potuto forzare le sue scelte. Il suo unico progetto era questa leggerezza nel seguire l’istinto animalesco e quando si sentiva condizionato da qualcosa, doveva per forza fuggirne. Certo che per sparire per vent’anni, senza lasciare traccia, doveva essere successo qualcosa di eccezionale, anche per il suo modo estremo di concepire la vita. Quando uscivo con Nicola avevo sempre l’impressione di diventare trasparente per tutte le persone, mi sentivo come la spalla di un attore famoso o il pesce pilota che segue sua maestà lo squalo. La cosa però non mi toccava più di tanto perché quand’eravamo insieme ci divertivamo e ci curavamo poco dell’opinione degl’altri. L’unica situazione che mi 34
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condizionava era quando una ragazza dimostrava di provare dell’interesse per me. Avevo sempre il dubbio che fosse una scusa per conoscere il mio amico e questo mi portava ad essere ancora più timido, con il gentil sesso, di quanto non lo fossi già naturalmente. Un’ estate eravamo andati con altri amici a trascorrere le vacanze nella costiera romagnola, la mecca del divertimento e del peccato, specialmente per dei giovani ventenni. Io e Nicola stavamo passeggiando per il centro di Rimini quando due ragazze, che dall’accento sembravano del luogo, ci rivolsero la parola. “Ehi bei ragazzi dove state andando?” Mi avevano raccontato che da quelle parti le donne fossero abbastanza dirette e disinibite, ma a quel tipo di approccio non ero proprio abituato. Nicola aveva spesso il vezzo, quando si era in vacanza, di fingere di non essere italiano. Un po’ per gioco, un po’ perché gli piaceva fare sfoggio della sua buona conoscenza dell’inglese, ma anche perché in alcuni frangenti il turista italiano veniva stereotipato con delle ben determinate caratteristiche e a lui non piaceva essere catalogato. Di conseguenza sceglieva di volta in volta delle nazionalità particolari, poco riconducibili ad una precisa connotazione nell’immaginario dell’interlocutore. “Excuse me, we don’t understand we come from Low Counties.” Quella volta la scelta era caduta sull’Olanda. Non so se il problema fu la scarsa conoscenza dell’inglese o la locuzione Paesi Bassi ma lessi subito un certo scoramento nello sguardo delle due ragazze. “Hai capito cosa ci ha detto?” “Mah penso ci abbia detto il Paese di provenienza ma non ho capito da dove vengono. Eppure per come erano vestiti potevano sembrare italiani.” “Si è vero e sono anche due bei bocconcini. Uno è super ma ti dirò che anche all’altro farei un bel lavoretto. Tu chi preferisci?” “Guarda per me vanno bene tutti e due. Quello con i ca35
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pelli lunghi è veramente bello ma l’altro mi sembra un cucciolone. Avrei proprio voglia di sentirlo urlare dal piacere.” Mi sembrava di essere arrivato in una specie di Paese della cuccagna, ed oltre a tutto era la prima volta che riscuotevo più successo di Nicola. Amavo quel posto, mi sembrava molto democratico. Le due ragazze difficilmente avrebbero potuto partecipare a miss Italia ma soprattutto una delle due, quella che si era esplicitamente espressa per me, non era male e poi sprigionava una femminilità prorompente. “What Country?” Provò a spiaccicare una delle due con un inglese approssimativo dalla pronuncia indecifrabile. “Low Countries.” Rispose Nicola con una pronuncia sempre più masticata. Avrei voluto comunicare con Nicola per dirgli che una delle due non mi dispiaceva. Ma come farglielo capire, in esperanto? Il fatto che due olandesi parlassero fra di loro in inglese non era plausibile, anche se in realtà le due ragazze non avevano capito la nostra nazione d’origine. In ogni caso avevo paura che conoscendo qualche parola d’inglese riuscissero a comprendere cosa volessi dire e quindi mi esibii in una maldestra interpretazione, con un linguaggio di nuova invenzione. “Abirumbal unà no xe mal”. Nicola sembrava divertito, ma probabilmente era la situazione che si era creata a farlo divertire. “Ma come parlano questi?” Le ragazze si stavano invece spazientendo. “Ascolta, secondo me dobbiamo smetterla con le chiacchiere, bisogna andare ai fatti. Ce li portiamo in spiaggia e gli facciamo un lavoretto come sappiamo fare noi, vedrai che così ci capiamo. Da qualsiasi Paese arrivino delle donne calde come le romagnole non le hanno sicuramente mai trovate.” Non si poteva dire che avessero molti peli sulla lingua o che fossero inibite, ma mi chiedevo se sarebbero state così esplicite anche se avessero saputo da subito che eravamo 36
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italiani. Ero completamente su di giri. Era molto eccitante sentire parlare liberamente delle donne che pensavano che noi non capissimo i loro discorsi. Per quanto conoscevo Nicola ero sicuro che anche lui trovasse la situazione accattivante e quindi cominciai già a pregustare le effusioni in spiaggia, favorite dall’oscurità. Le due ragazze passarono ad un esplicito linguaggio gestuale con cui ci mimarono una passeggiata in direzione della spiaggia, sfoggiarono il più ammiccante dei sorrisi e per finire passarono lentamente la lingua sulle labbra. Neanche Marcel Marceau, il più famoso dei mimi, avrebbe potuto rendere le loro intenzioni più facilmente interpretabili. Stranamente Nicola invece esclamò. “Sorry, I don’t understand.” Non riuscivo a capire cosa avesse in mente ma un suo gesto seminascosto con il palmo della mano aperto mi rese esplicite le sue intenzioni. La situazione che si era creata, lo divertiva a tal punto da fare il possibile per prolungarla almeno finché si fosse rivelata così accattivante. Per andare ai fatti c’era sempre tempo. Visto il livello delle ragazze con cui era stato nella sua vita, per lui era più allettante il gioco mentale che si era creato che il precipitarsi a concludere. “Saranno anche carini ma non mi sembrano molto svegli.” Decretò la ragazza che mi aveva scelto. “Non è che gli piaceranno gli uomini? Magari sono amichetti, ormai pochi si salvano soprattutto tra i più carini.” Aggiunse la sua amica. Mi sarebbe venuto da dirle che le avrei fatto vedere io che si sbagliava, ma ormai il gioco era andato troppo avanti e non potevo espormi rischiando di far intendere che capivamo benissimo l’italiano. Anche Nicola probabilmente non si stava più divertendo con la nuova piega che aveva preso la situazione. “Let’s go to drink something near the seaside?” Anche se non avessero capito bastò che Nicola ne prendesse una sottobraccio che la situazione si sbloccò imme37
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diatamente. Quella più carina mi abbracciò subito come se fossimo intimi da sempre e sentii una vampata di calore pervadermi il corpo. Nel breve tragitto che ci portava alla spiaggia cominciai ad immaginarmi tutto quello che sarebbe successo di li a poco. Anche se ero conscio che la mia più fervida fantasia avrebbe potuto non essere all’altezza della reale situazione. Il cielo era ormai scuro, ma la luna piena illuminava le nuvole che si muovevano velocemente ed una di queste si stava addensando minacciosa sulle nostre teste. Vicino alla spiaggia c’era un baretto pieno di ragazzi e ragazze ma quando ci avvicinammo le nostre compagne ci fecero cenno di proseguire oltre, verso la spiaggia. Mentre stavamo per allontanarci una voce ci sorprese alle spalle. “Ma dove eravate finiti? Vi stavamo aspettando a casa per uscire tutti assieme.” Era uno degli amici con cui eravamo venuti in vacanza, ma la situazione che si era creata ci aveva fatto scordare che dovevamo incontrarci con gli altri. Il mio sguardo lasciò tradire che non ero estraneo a quella esternazione e la mia compagna si staccò da me urlando. “Ma che avevate in mente con questa sceneggiata? Volevate prenderci in giro? Brutti stronzi andate a divertitevi da soli, voi e il vostro inglese del cavolo.” Restammo con i nostri amici e Nicola gli raccontò divertito l’episodio che ci era successo. Io cercai di mascherare il mio rammarico ma quella notte dormii molto poco, ero sicuro di essermi perso una gran serata.
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Nelle occasioni in cui ero ritornato a Trieste avevo sempre scelto la strada d’ingresso più caratteristica e spettacolare, la strada costiera. Questo accesso coreografico sembrava progettato da qualche famoso architetto e poteva rivaleggiare in bellezza con la Costiera Amalfitana o con la Costa Azzurra. Ogni volta che la percorrevo mi si stringeva il cuore nell’ammirare da un lato le azzurre tonalità del mare e dall’altro il bianco candore delle scoscese pareti rocciose, intervallate dalle verdi macchie dei pini marittimi che sembravano voler raggiungere il mare con le loro fronde sagomate. La frastagliata roccia carsica, d’autunno, si tingeva dei colori più caldi, come la tavolozza di un pittore impressionista, racchiudeva tutte le tonalità e le sfumature che vanno dal giallo al rosso. Alla sera lo spettacolo non era certamente meno affascinante. L’oscurità sacrificava i colori ma rendeva l’ambiente più scenografico, esaltando le mille luci della città che si avvinghiava sinuosamente intorno alla costa, come un gatto sornione alla ricerca della posizione più comoda per dormire. Le rade ma luccicanti lampare dei pescherecci brillavano nel mare contrapposte al chiarore delle stelle che illuminavano il cielo nelle notti limpide. L’orario era quello dell’imbrunire ed uno spettacolare tramonto con i colori delle foglie di sommacco mi accompagnava nell’ ingresso alla città. Mi venne istintivamente da pensare che era stato Nicola ad organizzarmi tale ac39
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coglienza. La radio stava suonando un vecchio pezzo dei Beatles che mi misi istintivamente a canticchiare. Get back, get back. Get back to where you once belonged. Le parole erano fortuitamente appropriate alla mia situazione, stavo tornando a casa. Dopo aver percorso circa un chilometro giunsi all’altezza della galleria scavata nella roccia che costituiva una sorta di porta d’accesso alla città. Come riflesso condizionato alzai la testa per cercare di scorgere il profilo di Dante, una protuberanza della roccia sagomata sulla volta della galleria che sembrava riprodurre le fattezze del Sommo Poeta. Mi resi conto però che il profilo si vedeva solo procedendo nel senso contrario e mi ripromisi di cercarlo con lo sguardo al mio ritorno. Molti dei miei concittadini giunti sotto la galleria naturale suonavano tre colpi di clacson per salutare l’uscita dalla città ma questa volta mi sentii di strombazzare per annunciare il mio arrivo e la mia gioia di essere lì. Quell’arco che attraversava la parete di roccia rappresentava, per i triestini, l’equivalente delle Colonne d’Ercole nel mondo antico, il confine tra il mondo conosciuto e l’ignoto. Paradossalmente nella mia situazione stava accadendo esattamente il contrario, stavo lasciando la tranquillità di ciò che mi era noto per entrare in una dimensione nuova e sconosciuta. La sagoma candida e fiabesca del castello di Miramare accompagnava ormai il mio ingresso in città, ero praticamente già arrivato a destinazione. Nonostante avessi pensato molto a questo momento, non ero riuscito ad immaginarmi come sarebbe stato ne tantomeno mi ero preparato delle cose da dire. Le mie curiosità erano tante, ma avrei seguito l’istinto ed il naturale corso delle cose così come sarebbe piaciuto a Nicola. L’ora era ormai tarda ma riuscivo a scorgere un paio di persone che stavano nuotando in mare, lungo la riva, probabilmente stavano svolgendo il loro allenamento quotidiano. La temperatura era mite ma non si sentiva la necessità di doversi refrigerare. Mi avvicinai lentamente verso la prima terrazza del bi40
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vio dove mi sembrava di poter scorgere delle luci di candele. Era la nostra preferita e mi aspettavo di trovarci Nicola, magari in tie-shirt e pantaloncini. Qualcosa era cambiato dall’ultima volta che ci ero stato, la terrazza era diventata parte di un bar ristorante prospiciente al mare. Niente di particolarmente lussuoso, un semplice ma gradevole susseguirsi di tavolini in riva al mare con delle candele rosse per creare l’atmosfera e dei cuscini sugli scogli per chi desiderasse solamente bere qualcosa vicino al mare. Mi concentrai sulla musica di sottofondo che aveva una melodia struggente e familiare. Una decina di anni prima avevo provato a strimpellarla con la chitarra ma Francesca corse preoccupata da me a chiedermi se stavo male. A suo dire stavo emettendo dei lamenti strazianti. D’accordo non era una canzone che poteva piacere a tutti ma per me era importante, soprattutto perché era stata ricorrente in vari momenti significativi della mia vita. Il porto di Amsterdam ha delle sonorità tipicamente francofone anche perché la musica è stata composta da uno dei padri della canzone francese, Jaques Brel, che in realtà però era belga di nascita. La leggenda vuole che il testo sia anonimo, veniva cantato nelle bettole del porto della splendida città olandese, tramandato da generazioni, senza che se ne conoscesse la reale provenienza. Il cantante franco-belga ne aveva fatto uno dei pezzi più famosi del suo repertorio, ma in realtà la prima versione che io conobbi fu quella di un altro mito della musica europea, David Bowie. Quando la sentii per la prima volta, in macchina di un amico, rimasi letteralmente folgorato dall’intensità emotiva che riusciva a trasmettere, tanto che gli chiesi di poterla riascoltare più volte di seguito. David Bowie la incise come lato B di un suo disco 45 giri e poi venne recuperata in una compilation chiamata Bowie rare. Era un pezzo poco conosciuto anche fra i suoi più accaniti estimatori, ma per me quel brano aveva una magia particolare. In qualche modo, almeno per una volta, ero riuscito a condizionare anche i miei amici che ne erano diventati degli estimatori o quantomeno, nei casi più negati41
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vi, non la disprezzavano. Nel corso delle nostre scorribande estive, durante le vacanze, era capitato spesso che ci mettessimo a suonare la chitarra per strada. Il contesto giocoso e la terra straniera frenava le nostre inibizioni e ci portava a volerci esibire e confrontare con gli altri. Tutto il nostro gruppetto di quattro o cinque amici, bene o male aveva la capacità di strimpellare qualcosa e dandoci il cambio riuscivamo a catturare l’attenzione degli spettatori, che talvolta ci omaggiavano con delle monete, come gesto di approvazione. Quando le cose sembravano non funzionare Nicola mi chiedeva sempre di suonare In the port of Amsterdam e spesso la magia si ricreava. La chitarra è uno strumento molto aggregante che permette relativamente con poco tempo di applicazione di riuscire a creare un gradevole accompagnamento alla voce. Normalmente le canzoni più conosciute e richieste dagli amici, i classici cantautori italiani, sono anche piuttosto semplici da eseguire. Ma io e Nicola avevamo la pessima abitudine di imparare solo le canzoni che ci piacevano, per puro diletto personale, senza pensare alla soddisfazione di chi ci ascoltava. Ecco così che nel corso delle serate passate con gli amici sul lungomare di Barcola, dopo un paio di melodie, qualcuno degli uditori esordiva con la solita frase: “la conoscete qualche canzone di Battisti o di Baglioni?” Ma tale richiesta puntualmente non trovava soddisfazione e si spezzava così il coinvolgimento del gruppo che avrebbe voluto partecipare attivamente alla performance. Per questo motivo andava molto meglio l’esibizione estemporanea, con degli sconosciuti che non parlavano la nostra lingua e che si fermavano solo per il tempo limitato di una o due canzoni, proseguendo poi per la loro strada. Superato il momento di stupore per aver sentito la mia canzone preferita cominciai a guardarmi attorno per vedere se riuscivo a scorgere la sagoma di Nicola. Chissà se l’avrei riconosciuto, il mio ricordo era ormai lontano nel tempo ma sino a quel momento non avevo focalizzato la possibilità di incontrare una persona fisicamente e 42
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caratterialmente diversa dall’amico di un tempo. E se mi fossi trovato al cospetto di un ultraquarantenne grasso e pelato, magari schiavizzato da una moglie acida e bruttina e frustrato dai suoi ricordi? Forse era proprio questo il motivo per cui aveva voluto vedermi, per rivangare il periodo d’oro della sua vita in cui era l’idolo di tutti e rivivere insieme a me, testimone di tanto sfarzo, gli episodi più belli trascorsi assieme. No, non poteva essere che le persone cambino totalmente anche se erano passati molti anni, o almeno non Nicola. Alcuni suoi principi erano talmente radicati in lui che ne costituivano degli elementi caratterizzanti, irrinunciabili. Sinceramente, se avessi avuto la disavventura di ritrovarmi di fronte ad una persona molto diversa caratterialmente, penso che la delusione sarebbe stata enorme e forse mi sarei anche pentito di aver rovinato un così bel ricordo. Ormai comunque ero in ballo ed ero curioso di vedere cosa mi riservava il prosieguo della serata. Il locale era ancora semivuoto, riuscivo a scorgere in lontananza una giovane coppia che si scambiava tenere effusioni nella zona degli scogli. Un tavolo era occupato da una famigliola con bimbi piccoli che aveva evidentemente la necessità di cenare molto presto senza voler rinunciare totalmente a quella splendida e mite serata. In piedi, non troppo distanti tra loro, c’erano una giovane donna ed un uomo che si guardava attorno nervosamente, continuando a controllare il proprio orologio. Dalla fisionomia non mi sembrava Nicola anche se l’aspetto aveva qualcosa di familiare. Molte cose possono modificarsi nel tempo ma di certo non la statura ed il mio amico era decisamente più alto. Decisi allora di scendere le poche scale per entrare nella piattaforma dove avrei potuto vedere meglio. La giovane donna, una bella ragazza mulatta, mi venne incontro e con un bellissimo sorriso mi rivolse la parola. “Buonasera signore ha prenotato un tavolo forse?” In quel momento stavo pensando che la multietnicità era una bella cosa, un arricchimento che i giovani d’oggi dovrebbero apprezzare. 43
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“In realtà non lo so guardi, sto aspettando una persona.” “Ah ho capito, bene, si può accomodare vicino a quel signore, le posso offrire qualcosa da bere?” Mi rispose molto gentilmente. “Grazie prenderò un americano”. Avevo bisogno di qualcosa che mi sciogliesse la tensione. Ma cosa poteva aver capito? Non avevo le avevo neanche detto il nome della persona con cui dovevo incontrarmi. Pensai che la mescolanza etnica oltre a creare degli esseri fisicamente perfetti aveva la capacità di renderli anche superintelligenti. Mi avvicinai all’uomo che era in trepida attesa di qualcuno, come mi era stato indicato. “Stefano, quanto tempo, ma sei sempre uguale, ero sicuro che ci saresti stato anche tu, che bello vederti.” Ma si, era Carlo Iugovaz detto El Scovercià il più pazzo ed incontrollabile di tutto il gruppo, ma anche uno che si faceva sempre in quattro nel momento del bisogno. In dialetto covercio stava a significare coperchio e scoverciar letteralmente togliere il coperchio, ma veniva utilizzato anche col significato di impazzire. Carlo aveva la capacità di poter entrare in immediata comunicazione con qualsiasi tipo di persona, di ogni età o estrazione sociale, e noi ovviamente sfruttavamo spesso questa sua dote innata per conoscere delle nuove ragazze. Annichilendo veramente tutti si era laureato brillantemente in ingegneria, in perfetta regola con gli studi, dopo di che io l’avevo perso di vista e non avevo avuto più sue notizie. “Ciao Carlo, che bello vederti, sono appena arrivato a Trieste e la prima persona che incontro sei tu. è una combinazione incredibile.” “Ma quale caso fortuito, avrai ricevuto anche tu l’invito di Nicola su facebook no?” “Veramente nel messaggio che ho ricevuto non ho visto altri destinatari ed il testo della mail mi sembrava molto personale. Come fai a sapere che Nicola mi ha mandato un invito?”. “Questo è facebook amico, il futuro che avanza, la co44
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munità globale, in realtà io non ho letto il tuo messaggio. Nicola ha mandato un invito ad un ristretto gruppo di amici che erano già iscritti in facebook, mentre a te che non eri ancora iscritto avrà dovuto inviare un messaggio di adesione.” “Mah, non lo so, comunque sono contento di vederti e chi altro dovrebbe venire?” Chiesi incuriosito. “Dovrebbero venire i triestini, quelli che non si sono mai spostati, Luigi, Luca e Andrea. Come vedi la pessima abitudine di tardare non l’hanno persa negl’anni.” La situazione già era diversa da come me l’ero immaginata. Mi ero illuso che Nicola volesse vedere solamente me, anche se in effetti la cosa mi aveva destato qualche perplessità e cattivo sospetto. In realtà aveva organizzato solo una bella rimpatriata ed avevo una gran voglia di rivedere anche gli altri amici di un tempo. O almeno….. quasi tutti. “Quindi anche tu non vivi più a Trieste.” Domandai a Carlo. “No Stefano, subito dopo aver terminato gli studi ho ricevuto un’offerta di lavoro in Libia, per costruire delle centrali termoelettriche e mi sono trasferito da quelle parti. Poi nel corso di questi anni ho continuato a viaggiare e trasferirmi quasi quanto un diplomatico, tanto che oltre a non saper più qual è la mia casa non so neanche più a quale Stato appartengo. Mi reputo un cittadino del mondo e come tale la mia famiglia di volta in volta diventa il nucleo di persone che conosco nelle nuove località in cui mi reco. Sai che conoscere nuove persone non è mai stato un problema per me, ma devo dire che dopo più di vent’anni di continuo girovagare sento spesso la voglia di avere degli affetti un po’ più definitivi.” “Cavoli mi sento una nullità in confronto a te, con la mia vita fin troppo monotona e normale. Moglie, due figli un ben avviato studio medico, forse nella vita bisognerebbe osare di più o porsi dei traguardi più ambiziosi.” Le sue parole avevano messo allo scoperto il mio disagio verso la piatta normalità della mia esistenza. 45
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“No, non è vero. Sentirsi appagati da una vita apparentemente normale e tranquilla non vuol dire che non si è raggiunto un successo importante, ognuno deve percorrere il proprio karma. I popoli asiatici, che spesso mi hanno ospitato, mi hanno sempre stupito per il loro fatalismo e la loro ricchezza spirituale. Penso di aver imparato da loro che l’importante è trovare il proprio percorso e seguirlo con determinazione, anche se spesso veniamo affascinati da ciò che non abbiamo o comunque da ciò che è molto lontano dal nostro modo di vivere. Io molte volte ho pensato di fermarmi e mettere su famiglia ma poi ho capito che non era quello il mio percorso e che avrei reso infelici anche le persone che mi sarebbero state accanto. Così ho continuato il mio girovagare per il mondo.” Ero rimasto colpito dalla sicurezza e dalla serietà delle risposte di Carlo. “Comunque ti trovo in forma, sereno e coscienzioso come non ti avevo mai conosciuto.” “Si è vero, questo modo di vivere e forse anche il passare degl’anni hanno smussato alcune mie caratteristiche che in gioventù erano amplificate e oggi posso dire di essere una persona serena e realizzata.” “Ma non mi sarai mica diventato tutto saggezza e razionalità adesso?” “Beh adesso non esageriamo dopo tutto sono sempre il vecchio scovercià e stasera ho proprio voglia di dimostrarvelo.” “Cosa sai degl’altri?” Spostai inconsapevolmente il discorso su un territorio più delicato. “Mah poco a dire il vero. Come forse ti ho detto con Luigi, Luca ed Andrea sono in sporadico contatto su Facebook ma non è che ci raccontiamo grandi cose su noi stessi. Ogni tanto qualcuno tira fuori una vecchia foto dei bei tempi o la foto di qualche pargoletto. Posso solo dirti che Luigi e Luca sono sposati con figli mentre su Andrea non mi risultano né conviventi né bambini.” 46
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Ormai diventava quasi inevitabile affrontare l’argomento che mi aveva fatto tanto soffrire. “E Luigi sta sempre con ….” “Si Luigi sta ancora con Giovanna, ma non dirmi che ancora non ti è passata?” “No, no figurati era solo per sapere.” Cercai di ricompormi in un malcelato disinteresse. “E con Nicola non hai mai avuto nessun contatto?” Aggiunsi immediatamente, per far cadere il discorso precedente. “No, avevo provato a cercare anche lui su Facebook e su qualche altro sito internet, ma nulla. Poi come vedi quando vuole si fa vivo lui.” “Io invece ho sempre avuto come unico contatto Luca con cui mi sento un paio di volte all’anno e del quale ho conosciuto anche la moglie ed il primogenito.” Quanto era successo mi aveva fatto allontanare dalle vecchie amicizie. “Guarda sta arrivando anche Andrea. Certo che il tempo è stato clemente con lui, capello lungo e fluente e sorriso smagliante.” Esclamò Carlo. “Ciao vecchio, che bello rivederti sei veramente in gran forma, si vede che la palestra della mente è sempre quella più efficace”. Andrea era tra tutti noi quello col maggior estro artistico. Era una persona un po’ timida, ma molto determinata nelle cose che desiderava veramente. Talvolta lo prendevamo in giro perché si estraniava dal gruppo per vivere in un mondo tutto suo, per poi riprendersi improvvisamente e continuare la discussione come se nulla fosse successo. “Signorina per cortesia ci porta un bicchiere di calvados per il nostro amico.” Carlo si preoccupò subito di accogliere il nuovo arrivato. “Si certo, se intanto volete sedervi mentre aspettate gli altri. Abbiamo preparato il vostro tavolo”. Ci accompagnò in un angolo un po’ discosto dal resto del locale, apparecchiato per sei persone. Non appena fummo seduti con i nostri bicchieri in mano Carlo partì con il 47
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primo brindisi. “Allora, brindiamo ai puntuali del gruppo, il tempo non scalfisce mai certe buone abitudini.” “Su dai Andrea raccontaci qualcosa di te, siamo curiosi di sapere cosa fai.” Anche di Andrea non avevo più avuto molte notizie. “Come sapete ho sempre fatto dei lavoretti in teatro come comparsa, durante gli studi, per raggranellare qualche soldo. Un giorno è arrivato un regista che è rimasto colpito dalla mia forza espressiva ed ha deciso di darmi una particina. Così ho seguito la compagnia nelle altre città ed è cominciata la mia esperienza di attore teatrale. Finita la tournee sono andato a vivere a Roma ospite del regista che mi ha lanciato e poi ho cominciato la trafila dei provini per poter continuare a lavorare. Dopo qualche anno sono passato alla regia teatrale e adesso faccio parte di una compagnia che viene prodotta dal teatro stabile Rossetti. Risiedo nuovamente a Trieste anche se sono spesso fuori città per lavoro.” “Incredibile, sei riuscito a trasformare la tua passione nel tuo lavoro è una cosa bellissima, certo che questo regista deve aver visto in te un vero talento.” Mi venne da commentare. “Si Stefano, e non solo questo, visto che è stato il mio compagno per quattro anni.” Aggiunse Andrea. Devo ammettere che non ero mai stato particolarmente brillante nel cogliere le cose al volo ed era anche indubitabile che Andrea fosse quello del nostro gruppo con la personalità più artistica e ricca di sensibilità, ma da qui a pensare che ci fosse un’omosessualità latente ne correva. Ero convinto di non avere nessun problema di tolleranza sulle abitudini sessuali delle altre persone ma sinceramente ero rimasto impietrito da questa rivelazione, soprattutto per non aver mai sospettato nulla di simile nei confronti del mio amico. “Beh non eravamo qua per raccontarci delle cose personali dopo tanto tempo? Volevate fermarvi a rivangare solo vecchi ricordi o limitarvi a stupidi convenevoli? Non avete 48
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niente da dirmi voi? Che ne so, che avreste voluto avere una storia con Nicola ma non avete mai avuto il coraggio di confessarglielo?” In questa provocazione c’era tutto Andrea. La sua caratteristica era proprio quella di essere schietto sino all’esasperazione e cercare lo stesso atteggiamento nelle altre persone. Il mondo ovattato ed onirico in cui si perdeva con le sue meditazioni contrastava con questo suo atteggiamento sfacciatamente diretto nel suo rapporto con gli altri. Per fortuna c’era con me Carlo che era sempre stato un mago in queste situazioni e rispose a tono. “Cosa c’è di strano? Lo abbiamo sempre saputo che ti piacevano i ragazzi, non è che ci hai raccontato grandi novità. Se ci avessi provato con me forse avresti trovato soddisfazione molto prima che col tuo regista, io sono aperto ad ogni tipo di esperienza. Il fatto che ti occupi di regia teatrale invece si che mi stupisce. Non sei mai stato capace di organizzare neanche le cose della tua vita privata, da dove hai trovato improvvisamente tanta ispirazione?” Scoppiammo tutti e tre a ridere e ci avvolgemmo in un grande abbraccio pieno di sentimento. Carlo rievocò l’episodio di quel giorno che eravamo al mare nella baia di Sistiana e decidemmo di fare quattro passi per cercare un po’ di refrigerio, ignari di ciò a cui andavamo incontro. Era una giornata splendida ma fin troppo afosa. A Trieste molto spesso il vento non aveva mezzi termini o si divertiva a soffiare con bora a 180 km/h oppure niente, la bonaccia più totale. Sicuramente non era il posto più indicato dove impiantare delle centrali eoliche che necessitano di un vento non particolarmente impetuoso ma costante. Eravamo alla ricerca di un po’ di frescura e seguimmo il fronte del mare, nella direzione delle vecchie cave, che erano ormai dismesse da anni ed in perenne attesa di una riqualificazione. Molti progetti si erano succeduti ma alla fine o per l’opposizione degli ambientalisti o per quel49
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la degli abitanti della zona, erano stati tutti bloccati. Ad intermittenza, ogni tanto, si apriva un cantiere che cominciava ad effettuare qualche lavoro, ma dopo un po’ di tempo tutto si fermava e la vegetazione ricopriva nuovamente il velleitario operato dell’uomo. Il progetto più faraonico avrebbe previsto un villaggio turistico per persone molto facoltose con annesso campo da golf e ristorante in mezzo al mare con i pavimenti trasparenti per poter ammirare il mondo sottomarino. Ogni volta che si percorreva quel tratto di costa si poteva incorrere nella sorpresa di vedere il paesaggio modificato dai lavori in corso. L’unica certezza era che la zona della cava era da sempre il paradiso dei nudisti. Superate le recinzioni che cercavano di circoscrivere la zona soggetta ai lavori, ci trovammo di fronte alla prima sorpresa. Il vecchio molo di attracco per le chiatte che portavano via mare le pietre recuperate dalla cava era stato ripristinato per essere riutilizzato. In questo modo però si rendevano più difficoltosi i tuffi che normalmente effettuavamo dalla piattaforma sgombra. Questo piccolo contrattempo non frenò la nostra voglia di refrigerio e ci lanciammo senza tentennamenti nel vuoto a cercare l’impatto con l’acqua. Il migliore tuffatore fra noi era sicuramente Carlo, che oltre ad essere il più spericolato era aiutato dal fisico brevilineo ma muscoloso. Restammo un po’ in acqua a goderci quel fresco sollievo finché decidemmo di addentrarci nella zona nudisti con la speranza di scorgere qualche giovane fanciulla degna di nota. Arrivati in prossimità di un piccolo promontorio, al di là del quale si arrivava in una delle spiagge di sassi bianchi più belle e spaziose della zona, cominciammo a sentire della musica ritmata che lasciava presagire una festa. Ci avvicinammo velocemente al grosso scoglio che ci separava dal luogo da dove proveniva la musica e ci trovammo di fronte ad una scena sconvolgente. Una marea di uomini nudi ricoprivano ogni angolo della spiaggia intenti a prendere il sole o a dimenarsi al ritmo della musica tecno. Ormai era troppo tardi per effettuare una precipito50
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sa ritirata, eravamo stati avvistati e non volevamo che ci prendessero per dei guardoni, decidendo magari di farci pagare a caro prezzo la nostra curiosità. Decidemmo di denudarci. Ci togliemmo il costume e lo usammo come copricapo prima di addentrarci nella spiaggia fingendo di essere completamente a nostro agio. Raggiungemmo il chiosco improvvisato da dove proveniva la musica, bevemmo qualcosa e poi tornammo velocemente da dove eravamo venuti. L’imbarazzo nel dover star attenti a dove mettevamo i piedi per evitare di calpestare gli attributi che venivano esibiti alla luce del sole fu qualcosa di angosciante e finita quella specie di gimcana Carlo si esibì in una delle frasi che avremmo ricordato per sempre. “Certo che tornare indietro son stati cazzi”. Il giorno dopo scoprimmo dalle pagine del giornale che c’era stato il raduno del gay-pride in una spiaggia nudista del litorale triestino e ci augurammo di non comparire in nessuna foto. La baia di Sistiana era particolarmente suggestiva e le vecchie cave realizzavano un effetto anfiteatro affacciato sul mare che si prestava ai progetti più fantasiosi. Nicola aveva sempre avuto il sogno di riuscire un giorno ad organizzarci un concerto rock di rinomanza mondiale. Nella sua idea la rock star si sarebbe presentata calandosi dal ciglione roccioso appesa ad un cavo elastico e alla fine del concerto ci sarebbe stato un collettivo tuffo notturno da parte degli spettatori. Roba da far impallidire Woodstock. Ma noi in realtà il nostro piccolo Woodstock l’avevamo già vissuto. Giugno 1989, concerto dei Pink Floyd a Venezia, un evento di portata mondiale a sole due ore di treno. Io non avevo mai ascoltato interamente un disco dei Pink Floyd e le loro canzoni non mi facevano impazzire, ma quella era un’ occasione da non perdere, un evento che sarebbe rimasto nella storia della musica, era impensabile 51
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non esserci. Arrivammo a metà mattinata in piazza S. Marco organizzati con materassini e vettovaglie a seguito e ci posizionammo a poche decine di metri di distanza dal mare, a fianco di Palazzo Ducale. Il palco galleggiava in mezzo al canale San Marco in modo da poter essere visto dal maggior numero di persone e sullo sfondo l’isola di S. Giorgio fungeva da scenografia naturale. Era una giornata caldissima ma per fortuna eravamo ben attrezzati e forniti di bibite e la nostra postazione fu ben presto adocchiata da due belle ragazze tedesche che stavano vicino a noi. Qualche sorriso, qualche sguardo complice ed ammiccante di Nicola ed in poco tempo le ragazze si unirono al nostro gruppo come se fossero nostre amiche di lunga data. Passata qualche ora in allegria cominciò a manifestarsi la prima necessità di un bisogno fisiologico ed io e Nicola decidemmo di assentarci dalla nostra postazione per cercare un servizio pubblico. Venezia non è certamente famosa per la facilità di trovare una toilette nonostante il gigantesco afflusso di turisti che la popola ogni anno, ma restammo veramente esterrefatti nell’apprendere che in tutta la zona prospiciente al palco non era stato attrezzato neanche un gabinetto. Le nostre necessità si stavano facendo sempre più impellenti e così decidemmo di avvicinarci al cordone formato dalla polizia e dagli organizzatori, che impediva l’accesso delle persone nell’ormai stracolmo rettangolo di piazza dove ci eravamo posizionati, dominato dalla maestosa colonna col leone alato. “Buongiorno, mi scusi, io e il mio amico dovremmo passare per andare a cercare un bagno.” Provai a chiedere ad uno dell’organizzazione. “Certamente, non c’è problema. Vi avviso però che una volta usciti, per motivi di sicurezza, non potrete rientrare in questa zona della piazza perché ormai c’è troppa gente.” Ci rispose in maniera automatica, come se fosse un disco rotto. “Ma siamo arrivati questa mattina presto per ottenere una buona posizione e tutti i nostri amici sono all’interno 52
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di questa zona, com’è possibile che non si possa rientrare? Altrimenti mi dica lei dove possiamo andare in gabinetto, nessuno dell’organizzazione ha pensato a questa eventualità?” Ci sentivamo intrappolati come degli animali in gabbia. “Guardate non so cosa dirvi, ma se uscite di qua non vi sarà più permesso di rientrare. Potrete comunque vedere il concerto più da lontano.” La sua risposta fu inflessibile. Io e Nicola ci guardammo sbigottiti per come erano state organizzate le cose. Per l’ennesima volta il nostro Paese avrebbe fatto una pessima figura di fronte a tutto il mondo, visto che tale evento era seguito da quasi tutte le televisioni del pianeta. Ma al di là di questo non sapevamo come risolvere il nostro problema e non avevamo nessuna intenzione di rinunciare alla nostra postazione privilegiata conquistata di primo mattino. Quella porzione di piazza era talmente gremita che era già difficile riuscire a muoversi al suo interno, figurarsi pensare di trovare un piccolo spazio dove poterci liberare dei liquidi in eccesso. Alle volte, quando ci si trova nelle situazioni più estreme l’istinto di sopravvivenza ha la meglio e io ero arrivato proprio al limite, ancora qualche minuto e me la sarei fatta addosso. Indicai con un cenno della testa una zona a pochi passi dal cordone della polizia, l’unica dove si creava un minimo spazio vitale. Io, Nicola ed un terzo sconosciuto, che dall’espressione del volto si trovava nella nostra stessa deprecabile situazione, ci avvolgemmo in un abbraccio. Aprimmo le cerniere e seminascosti dalla mole dei nostri corpi centrammo l’ideale epicentro del nostro improvvisato triangolo, cercando di far finta di non essere circondati da migliaia di persone. Ho ancora nitido il ricordo dello sguardo schifato di una ragazza, che camminava abbracciata al suo fidanzato e che si rese perfettamente conto della situazione. Ma in quel momento non mi curavo di nulla l’unica cosa che mi importava era quella di riuscire a liberarmi e di stare meglio. 53
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Quando ci allontanammo si evidenziò una piccola pozza che finito il concerto diventò un grande lago. Quale scempio! Eravamo solo stati i precursori nell’utilizzo di quella zona di sfogo improvvisata, a cielo aperto, nella piazza più bella di una delle città più straordinarie del mondo. Per i maschi oltre a tutto l’operazione liberatoria, seppur sconveniente, risultava comunque più facile. Le ragazze furono costrette invece a mortificarsi. Esibendosi pubblicamente a fare i propri bisogni in bottiglie o recipienti improvvisati, parzialmente nascoste dai corpi degli amici. Il concerto mi diede delle emozioni molto forti anche se a più riprese si sfiorò la tragedia in quanto ci furono dei tentativi della gente rimasta nella retroguardia di avvicinarsi alla zona del palco. Sembravano delle cariche di elefanti tale era la massa di persone in movimento e la prospettiva di essere sospinti in mare non mi allettava per niente. Finita la musica, lo spettacolo della piazza risultava desolante. Sembrava fossero passati gli Unni di Attila. Immondizie dappertutto e latrine a cielo aperto, ma in realtà noi eravamo stati parte attiva di quello scempio anche se non volontariamente. Per giorni i telegiornali parlarono di una mandria di giovani vandali, senza però affondare il dito nella piaga delle grosse responsabilità dell’organizzazione. La forza dei ricordi ci aveva aiutato a rompere il ghiaccio. L’atmosfera era ormai calda e partecipativa, guardavo le espressioni sorridenti dei miei compagni e mi sembrava di rivivere sensazioni di un tempo lontano ma evidentemente mai sopito. Ero felice. Il mio volto compiaciuto e rilassato venne improvvisamente oscurato da due mani forti ma rassicuranti che mi coprirono gli occhi ormai lacrimanti dalla gioia e dalle risa. “Allora come va con il nostro dottorino? è vero che il camice attira le donne più di quanto il miele attiri le api?” Era la voce di Luca, l’unico che ogni tanto sentivo e con 54
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il quale avevo mantenuto un minimo di rapporto. Luca era sempre stato quello che faceva da collante tra tutti noi, era una persona buona d’animo e cercava di mantenere sempre intatta l’armonia della nostra compagnia. La sua missione era quella di ricomporre le questioni che di volta in volta potevano nascere tra le persone del gruppo ed incrinare i rapporti di amicizia. Si era fatto crescere un piccolo pizzetto che caratterizzava un po’ il suo viso, talmente anonimo che difficilmente avrebbe potuto esser descritto nel caso di un identikit. Era il classico bravo ragazzo che tutte le nonne avrebbero voluto come nipote, non era certo un adone ma era molto simpatico e soprattutto aveva una parlantina veramente notevole. Le sue doti non erano servite però a ricomporre l’amicizia tra me e Luigi. Il nostro allontanamento era stato il suo più grande insuccesso. Mi girai di scatto per abbracciarlo. “Luca che bello mancavi proprio tu. Stavamo ricordando quando ci siamo imbattuti a sorpresa nel raduno gay organizzato a Sistiana, ti ricordi che shock?” La parola che avevo appena proferito era esattamente quella che mi si dipinse in volto non appena mi fui girato e la cosa non poteva passare inosservata. Luca era arrivato assieme a Luigi. Dopo tutto loro erano quelli che si frequentavano più assiduamente, ma per quanto la cosa fosse prevedibile, il succedersi degli eventi e delle sorprese non mi fece arrivare preparato a quell’incontro. Ero partito convinto di dovermi incontrare solamente con Nicola. “Ciao Stefano come stai?” La sua voce era molto profonda e sicura, un po’ in contrasto con la sua natura di eterno ragazzo che riusciva sempre a cacciarsi in un sacco di guai. Luigi era una persona molto intelligente ma un po’ svogliata ed era sempre stato un farfallone con le ragazze. Questo era forse uno dei motivi per cui non ero mai riuscito a superare il fatto che avesse conquistato l’amore di Giovanna, la mia fidanzata storica. 55
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Lui era sempre stato quello più elegante del gruppo, il suo modo di vestire era originale ma sempre attento alla mode del momento e Giovanna mi aveva più volte confessato che tra tutti i miei amici era quello che gli stava più antipatico. D’altro canto lei non era sicuramente il prototipo di ragazza che normalmente colpiva l’attenzione di Luigi, ma il genere umano è strano ed irrazionale ed evidentemente era scattato qualcosa di importante fra loro, un’attrazione irresistibile. Anche in questa serata non aveva perso l’occasione per distinguersi. Indossava un paio di pantaloni bianchi con una camicia rosa, una giacca gessata ed un paio di sneakers blu e bianche. Sembrava uscito dalla pellicola di un film americano. Mi tornò in mente un’immagine rimasta impressa nella mia memoria molti anni prima. Era un giorno primaverile ed ero seduto sul mio scoglio preferito del Bivio. Un piccolo passerotto si stava nutrendo di alcune briciole di pane abbandonate sul selciato e mentre stava per assaporare il boccone più grande e prelibato giunse improvvisamente un gabbiano a rubarglielo. Nel giro di pochi istanti il gabbiano si ritrovò inseguito da quattro suoi simili che non avevano nessuna intenzione di lasciargli quell’ambita preda. Rimasi incantato ad osservare il volo spericolato di quei grossi uccelli voraci che lottavano per soddisfare la loro cupidigia ed emettevano dei versi striduli ed intimidatori. Alla fine il loro librare nell’aria si spostò lontano dalla mia visuale ma mi immaginai che la vittoria finale fosse toccata al primo predatore, quello con le ali più ampie e possenti. Io mi sentivo come il povero passerotto, depredato da qualcosa che reputavo appartenermi ancora. Non era l’amore che era ormai terminato ma un sentimento di fiducia ed amicizia che consideravo tradito. Quando incominciarono la loro relazione erano più di due anni che io e Giovanna non stavamo assieme, ma questo 56
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per me era un dettaglio di poco conto. Avevo percepito il loro amore come un abuso nei miei confronti, un imperdonabile affronto alla nostra amicizia. Quell’estate mi ero appena laureato e con il solito gruppo di amici partimmo alla volta della Spagna. Ci facevamo chiamare i “magnifici sette”. Durante il viaggio infatti si era aggiunto a noi un nuovo compagno che non era particolarmente loquace, ma che aveva la capacità di donarci una grande euforia. Era un periodo d’oro della nostra vita, pensavamo che nulla potesse fermarci o incrinare la nostra amicizia. In realtà non ci rendevamo conto che quel viaggio rappresentava lo spartiacque tra la spensieratezza del periodo della giovinezza ed il realismo del periodo della vita adulta. Ma quando si vive una certa situazione è difficile allo stesso momento attribuirne la giusta importanza. La cosa strana fu che in concomitanza al nuovo percorso che stavano prendendo le nostre vite si concretizzò uno dei più straordinari eventi della storia moderna. La caduta del muro di Berlino avrebbe infatti simboleggiato la fine di un’epoca storica. Nel nostro piccolo successe la stessa cosa, nulla sarebbe stato più uguale al nostro ritorno. Pochi mesi dopo Luigi mise incinta Giovanna e cominciò la loro storia ufficiale di coppia ed il mio esilio volontario dalle loro vite. “Ciao Luigi, bene …… tutto bene grazie.” Era evidente a tutti che l’atmosfera si era improvvisamente raggelata e quindi toccò a Carlo prendere nuovamente la situazione in mano. “Signorina ci porta per favore cinque tequila bum bum?” “Ragazzi ormai manca solo Nicola non vorremo mica accoglierlo con questa atmosfera da mortorio no? Abbiamo bisogno di un corroborante che ne dite?” Chiamare corroborante la tequila bum bum era un eufemismo, il suo effetto dirompente poteva piuttosto venir usato come propulsore per lo shuttle. Già ai tempi in cui eravamo più abituati all’alcool aveva la capacità di amplifi57
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care la nostra esuberanza e tarpare i freni inibitori. Come sempre Carlo era riuscito ad avere la trovata per creare la giusta atmosfera. Avrebbe dovuto partecipare ai trattati di pace tra israeliani e palestinesi per mettere a frutto questa sua dote straordinaria. In meno di dieci minuti ogni ritrosia fu cancellata ed improvvisamente ci sembrò di aver compiuto un tuffo nel passato. L’ebbrezza dell’alcool ci fece recuperare la confidenza persa negl’ultimi vent’anni e mi resi conto che stavo parlando con Luigi riuscendo a guardarlo negl’occhi.
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La cena con gli amici
“Scusate signori se vi disturbo ma il vostro amico Nicola ha chiamato per avvisare che purtroppo farà un po’ tardi e mi ha pregato di cominciare a servirvi la cena, se siete d’accordo. Lui vi raggiungerà non appena possibile”. La nostra affascinante cameriera mulatta arrivò ad interrompere i racconti dei nostri ricordi. “Beh potresti sederti tu qui con noi, tanto c’è un posto libero, che ne dici?” Rispose Luigi. “La ringrazio dell’invito signore ma purtroppo devo lavorare. Vi è venuta un po’ di fame nell’attesa? Comincio a portare l’antipasto?” “Potresti almeno dirci il tuo nome così non saremo costretti a chiamarti in maniera impersonale o con poco rispettosi cenni delle mani.” Aggiunse Carlo. “Mi chiamo Anelie e sono originaria dell’Africa, della popolazione dei Nubiani. è sufficiente per non essere serviti in maniera troppo impersonale?” Anelie era bella e spigliata e tutto ciò rendeva la serata ancora più piacevole. “Una donna Nubiana? Adesso mi spiego il perché di tanto fascino. Dovete sapere ragazzi che in tutta l’Africa le donne Nubiane sono famose per la loro bellezza e la loro dolcezza. 59
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I loro occhi sono misteriosi e penetranti, ma grazie all’uso del cohol, applicato sul bordo delle palpebre, vengono resi ancora più profondi.” Carlo ci diede questa sua testimonianza del periodo vissuto in Africa. “è vero, un giorno ho visto anch’io un documentario su questa antica popolazione e sulle loro donne dalla bellezza speciale. Esse vivono dedicate alla famiglia, assecondano i desideri dei loro uomini, accudiscono i vecchi del gruppo con affetto ed allevano i bimbi porgendo a loro la fiducia nel giorno che verrà. Vivono il loro destino di donna nella maternità e curano il loro corpo in un desiderio femminile di seduzione anche se il loro capo è coperto, sia per osservanza alla religione islamica, sia per ripararsi dal sole e dalla sabbia. Si vestono con drappi leggeri e colorati, dal giallo al verde, al porpora, all’indaco, al blu ed amano adornarsi di gioielli e monili e decorarsi le mani ed i piedi con l’hennè mentre chiacchierano fra di loro.” Luca ci aveva fornito un affascinante affresco di un mondo che ci sembrava molto lontano dal nostro ma nel quale riuscivamo con difficoltà ad immaginare anche Anelie. Avevamo cominciato a conoscerla da poco ma i suoi abiti occidentali e soprattutto la sua spiccata personalità facevano si che non la vedessimo affine alla realtà che ci era stata descritta, che sembrava bloccata nel tempo. “Vi vedo molto preparati sulla mia terra, ma cosa dite se cominciassi a servirvi la cena?” “Va benissimo, direi che puoi raccontarci cosa avete di buono Anelie. Dopo tanti anni in giro per il mondo sono curioso di tornare a gustare i sapori di un tempo”. Carlo ci anticipò nella risposta. “Vede signore…” “Preferisco mi chiami Carlo, se mi chiami signore mi fai sentire vecchio.” “Vede signor Carlo in realtà la cena è già stata ordinata per tutti. Sarà una sorpresa. Il signor Nicola ha già organizzato tutto.” Il fatto che continuasse a chiamarci signori creava una 60
LA CENA CON GLI AMICI
certa distanza, ma obiettivamente era la giusta distanza che c’era tra noi e quella splendida creatura. Anche se ci sembrava di essere tornati indietro di vent’anni, la realtà era un’altra, non eravamo più dei ragazzini. “Bene, benissimo le sorprese mi son sempre piaciute ma conoscendo Nicola mi sa che non sarà l’ultima della serata. Diamo inizio alle danze, seguiamo quanto da lui disposto. Questa è soprattutto la sua serata e gli dobbiamo essere riconoscenti se siamo tutti qui riuniti come un tempo.” Rispose il signor Carlo. “Allora proporrei un brindisi per il nostro amico che credevamo scomparso.” Aggiunse Andrea. Anelie comparve con una bottiglia di Dom Perignon in un cestello d’acciaio color rosso fuoco. Era come se ci avesse letto nel pensiero, eravamo già tutti innamorati di lei, ci sembrava la donna perfetta che poteva soddisfare qualsiasi desiderio del suo uomo. La scelta comunque non poteva essere casuale. Quella bottiglia, servita in quel modo, ci aveva fatto capire che eravamo in balia della scrupolosa organizzazione della serata sulla base di quanto indicato da Nicola. Tutto era stato studiato nei minimi particolari. La situazione era sorprendente in considerazione del fatto che il nostro amico aveva fatto dell’istintività una ragione di vita. Una pianificazione così minuziosa nei dettagli non era assolutamente nella sua indole. Per la prima volta ebbi la precisa sensazione che non poteva trattarsi di una semplice cena fra amici e nonostante la calda serata dei brividi mi corsero giù per la schiena. “Grandioso, non poteva esserci nulla di meglio per brindare a Nicola, qua ci vorrebbe una sciabolata, ma andrà benissimo anche l’apertura tradizionale.” Andrea sembrava anch’esso stupito dalla rapidità con cui era stata esaudita la sua richiesta. Riempiti i bicchieri si consumarono rapidamente gli usuali gesti. Alzammo i calici, lo sguardo dritto negl’occhi, sfiorammo leggermente la base del tavolo, un brindisi all’amico e 61
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infine un sorsino di degustazione. Poi Carlo intonò. “Grande Nico grande grande Nico, grande Nico grande grande Nico Nico Nico va a ‘fanc…” “Ad fundum.” Aggiunse Luigi. Improvvisamente i cinque bicchieri vennero svuotati con un unico sorso all’unisono. Il rituale si era compiuto e nessuno era stato colto impreparato. Quel coro un po’ becero e dissacratore faceva parte della tradizione del nostro gruppo. “Ragazzi se continuiamo così fra un po’ stramazzeremo distrutti sotto il tavolo, aspettiamo almeno di mangiare qualcosa prima.” Luca era sempre stato il più giudizioso di tutti noi. “Dai Luca, guarda che tu devi ancora recuperare il primo giro. Hai paura di fare la stessa fine di quella volta che ti sei ubriacato a casa di Andrea?” Quell’episodio rievocato da Carlo era rimasto indelebile nella memoria di tutti noi. Avevamo trascorso una bella serata di festa assieme a delle ragazze che avevamo conosciuto da poco. Eravamo in un piccolo appartamento che Andrea aveva affittato per dar libero sfogo alle sue attività artistiche. Quando il tasso alcolico era cominciato a crescere le ragazze avevano pensato bene di andare a casa e noi eravamo rimasti a chiacchierare fino a notte tarda. Luca si era preso una sbornia memorabile, di quelle che rendono le persone più ciarliere e più sincere del solito. Era una situazione divertente, continuava a parlare senza interruzione di tutto e di tutti, finché Nicola decise di rendere la cosa più interessante cominciando a fargli delle precise domande. Gli venne chiesta la sua opinione su ognuno dei presenti, sui professori di scuola e su alcune ragazze. Le sue risposte venivano espresse in maniera diretta senza passare per nessun filtro inibitorio. Registrammo ogni parola e quando 62
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lui crollò esausto ci mettemmo a riascoltare i passaggi più divertenti e più clamorosi della sua aperta confessione. Quella sera scoprimmo che Luca aveva una passione per la ragazza che un giorno sarebbe diventata sua moglie, che noi tutti prendevamo un po’ in giro perché era la secchiona della classe e si vestiva come una vecchia zitella. Riuscimmo a fargli fare le imitazioni caricaturali dei nostri professori che continuarono ad essere dei tormentoni per tutto il periodo del liceo. L’imitazione della professoressa di matematica, la signorina Volpini era assolutamente strepitosa, di gran lunga migliore dell’originale, pensavo che sarei potuto morire dalle risate. Come chicca finale ognuno di noi scoprì quali cose il nostro amico odiasse del proprio modo di fare. L’arroganza di Luigi, la capacità di Carlo di relazionarsi con le donne, il mio essere succube di Nicola e la sua onnipotenza, ed infine la gelosia nei confronti di Andrea che sembrava essere la passione segreta della sua amata. Luca rimase un po’ stizzito dal ricordo di quello che per lui era stato uno dei fatti più imbarazzanti della sua vita, anche se normalmente era proprio lui il narratore ufficiale degli episodi del gruppo e quella vicenda era sempre stata un suo cavallo di battaglia. Era rimasto in classe nostra solo il primo anno delle scuole superiori, poi dopo la bocciatura aveva deciso di cambiare scuola. I suoi racconti si basavano sulla sintesi di quanto aveva carpito da tutti noi, ma questa realtà simulata, tratteggiata dalle sue colorite narrazioni era ormai diventata più vera di quella realmente vissuta. Nessuno ricordava più i contorni di ciò che era avvenuto realmente, l’episodio prendeva indelebilmente la foggia del suo racconto e tutti rammentavano definitivamente solo quella versione. “Che cretino che sei, nessuna paura, tanto io vi ho già detto in faccia tutto quello che pensavo su di voi, sarei curioso invece di sentire da voi cosa pensate uno dell’altro. Il vero problema è che nessuno di noi si può permettere di rimanere senza patente e quindi dovremmo cercare di limitarci nel bere. Non abbiamo più vent’anni.” 63
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Sbottò Luca. “Tranquillo, godiamoci questa serata e poi se non saremo in grado di guidare chiameremo un taxi. Ammesso che Nicola non abbia già organizzato qualcosa d’alternativo.” Sentenziò Andrea con la pacatezza delle sue argomentazioni. In quel momento comparve Anelie ad interrompere sul nascere la discussione. Ci stava per servire un bel prosciutto cotto arrostito in crosta di pane. Erano anni che non lo mangiavo. Era una di quelle poche specialità locali che non erano ancora state globalizzate in tutta l’Italia. Le mani affusolate ed eleganti di Anelie tagliavano con sicurezza e maestria quel prosciutto ancora fumante ed una copiosa spruzzata di cren completava la preparazione del piatto. Dopo pochi bocconi ci ritrovammo tutti con gli occhi luccicanti per l’effetto dirompente di quella radice, che risale per i canali respiratori fino a sfogare in copiose lacrime. Scoppiammo tutti in una fragorosa risata, eravamo felici di essere a casa, di stare fra vecchi amici, di poter rivivere sapori ormai persi e ricordi ormai lontani nel tempo. “Anelie, scusa se mi intrometto nell’organizzazione ma con il prosciutto cotto ci starebbe una bella birretta.” “Ha ragione signor Carlo la vostra allegra compagnia mi ha fatto distrarre dai miei compiti.” Con un rapido gesto della mano scoprì un telo che nascondeva un mobile bar che avrebbe potuto soddisfare le voglie del più esigente bevitore. Due spine di birra inglese, una chiara ed una rossa, varie bottiglie di vino, ogni tipo di superalcolici, lime, zucchero di canna, menta fresca e frutta di ogni tipo. “Va bene una birretta chiara?” Chiese Anelie. “Va bene tutto quello che vuoi tu, non chiederò niente di più.” Rispose Carlo evidentemente colpito da tanta abbondanza. Vent’anni prima una scelta di bevande come quella ce la saremmo sognata. Normalmente alle feste si dava fondo ai 64
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rimasugli delle case dei genitori e poi si realizzavano degli intrugli secondo la regola aurea che recitava un terzo, un terzo, un terzo. Tale preziosa formula alchemica si concretizzava nel tentativo di miscelare le tre basi che avevamo a disposizione cercando di produrre qualcosa di bevibile. “Ve lo ricordate quell’anno che è arrivato mio cugino dall’America e ci ha insegnato a fare lo shut gun?” In realtà il cugino di Luigi non se lo ricordava nessuno ma quella barbara pratica per ingurgitare la birra era rimasta scolpita nei ricordi di tutti. “Certo, siamo andati avanti per tutta l’estate a cercare di migliorare i nostri record ma non c’era niente da fare. La gola profonda di Carlo era veramente imbattibile in quella specialità, 1 secondo e 58 centesimi per spararsi in gola una lattina di birra.” Rispose Andrea. “L’importante era tagliare con cura l’apertura laterale della dimensione giusta, far scattare la linguetta di innesco della pressione non appena rovesciata la lattina e poi lasciar defluire la birra in gola senza cercare di berla”. Aggiunse Carlo, per minimizzare le sue gesta. “Oggi penso che vomiteremmo tutti a fontanella come successe a Luca subito dopo aver provato per la prima volta.” Replicai io a mia volta. “Bene allora concentriamoci sul cibo che mi sembra più interessante. Guardate che bel vassoio ci sta portando Anelie.” Luca che non aveva dei bei ricordi a riguardo cercò subito di cambiare discorso. “Continuiamo con un po’ di pesce del vostro mare signori. Dondoli, alici marinate e scampi istriani crudi, buon appetito.” “Mmh delle vere leccornie. Il pesce dell’Adriatico è sicuramente molto più saporito di quello oceanico, non teme confronti. I dondoli poi non li ho più trovati da nessuna parte, le loro conchiglie sono così armoniose ed il contenuto così succoso.” Carlo aveva sempre apprezzato il buon cibo. “Parlate bene voi, ma lo sapete che io non mangio pesce crudo e visto che stasera le scelte non sono casuali, non mi 65
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meraviglia che Nicola non abbia pensato a me. L’ho sempre saputo che mi tollerava a stento, penso mi reputasse il suo rivale più pericoloso.” Fu il commento stizzito di Luigi. “Ma dai Luigi, non ha senso tutto questo. Nicola non ha mai visto le altre persone come dei rivali. Soprattutto se ti riferisci al rapporto con le ragazze, lui non subiva quel tipo di concorrenza, ma forse qualcun altro si che ne ha pagato le conseguenze.” Mi sentii di replicare per difendere il mio amico, anche se non avrei voluto ritirare in ballo la mia questione. “C’è ancora una portata per il signor Luigi, datteri di mare alla buzara. Ne sarebbe vietata la vendita, ma il signor Nicola sapendo quanto ne sia ghiotto il suo amico si è molto raccomandato con noi affinché riuscissimo a procurarne una porzione.” Anelie era riuscita a chiudere la spiacevole discussione che si stava innescando. I datteri di mare sono veramente squisiti ma purtroppo la loro natura prevede che si formino all’interno delle rocce che si trovano nei fondali marini. Per poterli mangiare bisogna quindi distruggere i fondali, cosa ovviamente vietatissima. “Quell’uomo non smetterà mai di sorprendermi. Non puoi neanche pensare male di lui che immediatamente ti conquista con un nobile pensiero, ha un’incredibile e spontanea capacità di affascinare chiunque. Per espiare il mio cattivo pensiero vi lascio attingere liberamente da questo meraviglioso sughetto, dovete proprio assaggiarne la bontà con un pezzo di pane.” Luigi si sentì in dovere di rimangiarsi le parole negative proferite verso Nicola. Nessuno si tirò indietro nel fare la scarpetta in quel brodo di giuggiole. Non capitava tutti i giorni di poter mangiare quel tipo di leccornie. Ci versammo ancora un po’ del pinot grigio del Collio goriziano che avevamo scelto per accompagnare i nostri antipasti e dopo poco anche l’ultima goccia di sughetto dei datteri fu preda di un vorace pezzo di pane. “Sono proprio soddisfatto! Adesso avrei voglia di fare quat66
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tro passi in riva al mare per continuare per assaporare l’odore dell’Adriatico dopo averne gustato il sapore. Hai voglia di venire con me Stefano?” Avevo cominciato a rilassarmi, ma la frase di Luigi su Nicola mi aveva nuovamente irrigidito nei suoi confronti. Ormai era ovvio però che senza un chiarimento fra di noi, rimandato per vent’anni, la serata non avrebbe potuto decollare. Forse il ritardo di Nicola mirava anche a questo. Tutti i vecchi rancori andavano appianati prima della sua apparizione, così avrebbe potuto godersi appieno la magica atmosfera di una volta. “Va bene, ho voglia anch’io di respirare un po’ d’aria salmastra. Mi porto dietro anche il bicchiere nel caso mi venisse sete.” “Direi che potreste prendervi l’intera bottiglia è inutile correre il rischio di morire assetati.” Nonostante le sue ritrosie sul bere, in questo caso Luca riteneva che un po’ di vino avrebbe potuto solo far bene alla conversazione. “Sei sempre molto saggio, grazie amico.” Presi con me la bottiglia e seguii Luigi. Le nostre sagome scure si muovevano meccanicamente verso gli scogli posti all’estremo lembo della terrazza, da sempre il luogo a noi più caro. Eravamo consapevoli di dover rendere merito alla nostra natura di uomini maturi e coscienziosi che usano parola ed intelletto per chiarire questioni rimaste irrisolte nella loro anima. Il mare era liscio e placido e la penombra che lo avvolgeva lo rendeva un po’ inquietante. Mi aspettavo da un momento all’altro che potesse aprirsi un vortice ad inghiottire tutte le certezze che mi ero creato in questi anni per poter meglio convivere con me stesso. “è da troppo tempo che aspetto questo momento. Mi sono immaginato ormai mille volte il discorso che avrei voluto farti e le possibili reazioni che avresti potuto avere, ma tu non hai mai voluto darmi la possibilità di chiarire la situazione. 67
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Il tempo ha ormai smussato le emozioni di allora ma devo confessarti che mi sento ancora agitato, come un ragazzino, nel provare a raccontarti o forse a giustificarti quello che è successo. Come ben sai, in quell’epoca, il mio atteggiamento con le donne non prevedeva la stabilità di un rapporto. Ero sempre impegnato alla ricerca di una nuova conquista per soddisfare il mio desiderio di appagamento personale. Ma questo mio continuo volare di fiore in fiore alla lunga mi dava la misura di quanto sterile ed inutile fosse la mia esistenza. Le nuove conquiste contribuivano ad alimentare il mio personaggio di seduttore nei confronti degli amici, ma portavano dentro di me un grande vuoto che non riuscivo mai a colmare. D’altro canto il mio modo di approcciare il gentil sesso creava già di per se una selezione. Se una ragazza mi dava troppo filo da torcere lasciavo subito perdere per non rischiare la brutta figura, se invece cedeva facilmente alle mie lusinghe si consumava una storia necessariamente breve e senza prospettive. Un giorno ho avuto per caso l’occasione di soffermarmi a parlare con Giovanna. Per la prima volta l’ho vista con occhi diversi, mi sono reso conto di avere di fronte una persona sensibile ed intelligente che fino a quel momento avevo visto solo come la ragazza o la ex ragazza di un amico. Penso che per lei sia stato più o meno lo stesso o che perlomeno abbia rimesso parzialmente in discussione il pessimo giudizio che aveva su di me. Poi abbiamo avuto modo di incontrarci nuovamente ad una festa, dalla quale tu eri andato via molto presto perché eri sotto esame. Alla fine le ho dato un passaggio a casa e siamo rimasti a chiacchierare per tutta la notte. Molte volte mi era capitato di riaccompagnare a casa delle ragazze appena conosciute e di finire subito nel loro letto, avendo poi la voglia di raccontare tutto agli amici il giorno dopo. Quella sera però, pur non essendoci stato neanche un bacio, qualcosa di molto profondo e prezioso si era insinuato dentro di me e non volevo condividerlo con nessuno. Quando non uscivo con gli amici mi vedevo con Giovanna. Ci conoscevamo ormai da anni ma ogni sera ci riscoprivamo nuovamente e ci sembrava solo l’inizio di quanto 68
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avremmo potuto condividere assieme. Era tutto così bello e spontaneo ma in realtà un problema c’era, ed eri tu. Erano ormai più di due anni che voi due non stavate più assieme e per entrambi la storia era archiviata, ma io sapevo che un fidanzamento fra me e Giovanna ti avrebbe fatto soffrire tantissimo e non volevo assolutamente rischiare di perdere la tua amicizia. Sono passati dei mesi in cui pur andando d’amore e d’accordo, il mio atteggiamento nel non voler affrontare la questione con te ha rischiato più volte di far finire tutto. Finché è arrivato il momento del viaggio in Spagna, con gli amici, per festeggiare le nostre lauree ed io le ho promesso che avrei sicuramente trovato il momento per parlare apertamente con te. Come ben sai quel viaggio è stato per tutti noi indimenticabile e pieno di intense emozioni, io però l’ho vissuto con un grande patema d’animo. Ero combattuto fra la ricerca del momento adatto per parlarti, con il rischio di rovinare l’atmosfera della vacanza ed un’amicizia importante, e la prospettiva di non averne il coraggio, con la conseguenza di perdere il primo vero amore della mia vita. Il viaggio finì con il glorioso epilogo che tutti noi conosciamo ma senza che io ti parlassi. Il grande patto di amicizia che avevamo appena concluso mi aveva fatto decidere che non potevo distruggere un valore così grande solo per soddisfare la mia felicità personale. Raccontai la mia decisione a Giovanna che scoppiò in lacrime ma ormai ero deciso a non tradire la nostra amicizia, in quel momento mi sembrava la cosa più ragionevole. Passai delle settimane tormentate, durante le quali stetti malissimo e non uscii quasi di casa ma poi mi decisi a chiamarti e ad affrontare la verità qualunque ne fosse stata la conseguenza. Dopo tutto avrei tradito la nostra amicizia anche solo non raccontandoti ciò che era successo. La cornetta del telefono mi sembrava pesare un quintale ma alla fine riuscii a sollevarla ed a fare il tuo numero. Speravo che tu non fossi in casa, in modo da avere un po’ di tempo ancora per temporeggiare, ma mi rispondesti subito, con fare allegro. 69
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Ciao Luigi come va, è una vita che non ti si vede cosa ti è successo? Provai a inventarmi qualche assurda motivazione che mi sarebbe stata d’aiuto per sviare il discorso, ma improvvisamente mi armai di tutto il coraggio che avevo cercato di accumulare durante quelle ultime angoscianti settimane e andai dritto al dunque. Ti confessai che era da un po’ di tempo che uscivo con Giovanna, che ci volevamo bene e volevamo fare le cose seriamente. Vi auguro buona fortuna. Furono le ultime parole che ti sentii proferire sino a questa sera. Cercai in tutti modi di parlarti anche tramite l’aiuto di tutti gli amici che si prodigarono per farci avere un chiarimento, ma non ci fu niente da fare e dopo poco tempo tu andasti a Ferrara per fare la specializzazione. Il gelo silenzioso che si creò tra noi mi fece stare molto male ma allo stesso tempo il fatto di essere riuscito a confessarti la mia storia con Giovanna mi sollevò da un grosso macigno che mi portavo da tempo sulle spalle e che probabilmente involontariamente spostai su di te.” “No Luigi, tu hai fatto esattamente ciò che dovevi fare ma purtroppo io non sono mai riuscito ad accettare la cosa ed anche quando le persone a me care mi facevano notare l’assurdità del mio atteggiamento, pur rendendomene conto, non riuscivo a comportarmi diversamente, era più forte di me. Non sempre i nostri comportamenti sono razionali ed io in questo caso mi sentivo profondamente tradito da te più che da Giovanna. Tuttora rivedendoti devo confessarti che ho sentito un forte disagio, anche se non ti serbo più nessun rancore, amico mio.” Ci abbracciammo per dei lunghi minuti, in silenzio, finché un’onda anomala, probabilmente provocata da qualche barca a motore, ci spruzzò il volto con un po’ di fresca acqua marina. “Dopo tutto questo sale bisogna per forza intaccare la nostra bottiglia, un brindisi alla nostra amicizia ritrovata.” Luigi versò del vino nei calici che ci eravamo portati con 70
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noi. Un po’ di alcol ci avrebbe reso un po’ più disinibiti e nuovamente complici nelle nostre confidenze. “Come vanno le cose tra te e Giovanna? Certo che hai battuto un bel record di durata per i tuoi standard.” Attaccai io dopo aver assaporato un lungo sorso. “è chiaro che dopo tanti anni non c’è più tra di noi l’entusiasmo e la freschezza dei primi tempi. Ma i rapporti col tempo evolvono e quando una passione d’amore riesce a sfociare in un maturo rapporto di affetto, complicità e sintonia, è già un buon successo e poi abbiamo due figli bellissimi che ci riempiono di gioia. Devo confessarti che nel corso degl’anni ho lasciato che Giovanna riuscisse a realizzarsi compiutamente nella sua professione di medico, rinunciando in parte alle mie velleità di carriera. Di fatto l’uomo di casa sono sempre stato io ed anche nella gestione dei bimbi il mio apporto è stato fondamentale. Chi l’avrebbe mai detto conoscendomi a vent’anni che avrei fatto questa fine, ma la mia è stata una scelta consapevole. Dopo aver usato per il mio puro piacere il genere femminile, adesso mi sono messo in secondo piano e godo del successo della mia donna, realizzandomi nel crescere i miei figli.” “Sconvolgente, io ho sempre pensato che Giovanna avesse scelto te perché rappresentavi quel prototipo di uomo bello e bastardo che attira tanto le donne e che è molto lontano dal mio modo di essere. Invece nel vostro rapporto di coppia i ruoli si sono un po’ ribaltati. Mentre lei ha raggiunto quella sicurezza in se stessa che le era sempre mancata, tu hai trovato un tuo nuovo equilibrio ed una tua realizzazione in valori molto diversi da quelli della gioventù. Nel film che mi ero immaginato mentalmente tu tornavi a casa la sera tardi dopo aver fatto baldoria con gli amici e trovavi una donna servizievole che ti aveva preparato la cena. La trattavi male dicendole che ormai il cibo faceva schifo perché si era completamente raffreddato e te ne tornavi fuori sbattendo la porta. Io e Giovanna abbiamo sempre avuto un rapporto pari71
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tetico, forse perché eravamo molto simili, ma proprio per questo nessuno di noi sarebbe cresciuto grazie all’altro. Se avessimo continuato a stare assieme non avremmo mai trovato la necessaria sicurezza per avere successo nella vita.” Erano considerazioni sulle quali avevo ragionato più volte fra me e me, ma che non avevo mai condiviso con nessuno. “Tu invece cosa mi racconti della tua vita professionale e familiare?” Replicò Luigi. “Nel lavoro ho ottenuto tutto ciò che mi ero prefisso. Ho aperto un mio studio privato come dermatologo e devo dire che la mia professione è anche la mia passione. In casa invece non sono sicuramente quello che comanda, vengo soggiogato sia da mia moglie che dai figli. Mia moglie ha un carattere molto forte e in qualche modo ci compensiamo a vicenda ma soprattutto mia figlia ha lo stesso cipiglio della madre e spesso riesce a mettermi addirittura in imbarazzo per come si relaziona nei miei confronti, quasi fosse lei la genitrice.” “Ma sei felice Stefano? Ormai siamo abbastanza vicini ai 50 anni ed è giunto il momento di fermarsi a fare il punto della situazione su come sta procedendo la nostra vita. Bisogna sempre stare attenti a non farsi prendere dall’inerzia delle cose.” La domanda di Luigi arrivò precisa e diretta come una sferzata. “Qualche volta mi viene la tentazione di alzare la voce in casa e di farmi rispettare maggiormente, ma subito dopo mi rendo conto che quella è la mia vita e non ho un’alternativa praticabile. In realtà questa situazione me la sono creata io con il mio carattere e con il mio modo d’agire ed una sfuriata non cambierebbe le cose, ci vorrebbe piuttosto qualche cambiamento sostanziale. La mia famiglia non è che non mi voglia bene ma probabilmente mi reputa una persona senza ambizioni e con poco carattere e l’unico modo per cambiare questa loro convinzione sarebbe quello di fare qualcosa che li sorprenda, dimostrandogli il contrario. Probabilmente hanno ragione loro, sono sempre stato una persona pacifica che è riuscita 72
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ad accontentarsi nel godere delle cose semplici e belle che la vita ha saputo riservargli. Non so se sono contento, ma penso di essere sereno. Certo che appena ho risentito il nome di Nicola il cuore ha cominciato a palpitarmi forte e mi sono sentito vivo ed eccitato come non lo ero da anni. In quel periodo della nostra vita eravamo giovani e pieni di belle speranze, sembrava che nulla potesse esserci precluso e che il mondo aspettasse solo noi. Il nostro gruppo era molto unito ma penso che il fulcro su cui permeava tutto fosse la presenza di una persona come Nicola che ci aiutava a realizzarci, fornendoci un continuo esempio di come si potesse riuscire a vivere in armonia, semplicemente seguendo le proprie emozioni ed il proprio istinto. Quando mi sono messo in macchina per effettuare questo viaggio l’ho fatto con una certa voglia di evasione, mi sono sentito eccitato come un ragazzino che per la prima volta esce la sera da solo con gli amici. Ho affrontato quest’avventura con una emozione che non provavo da anni e questo mi ha fatto capire che qualcosa in me era rimasto sopito per tutto questo tempo. Forse la mia rassegnazione mi aveva fatto rinunciare a molte cose importanti o quantomeno mi aveva fatto perdere quell’agire istintivo che ci era stato trasmesso per osmosi. Per me questa non è solo una vecchia rimpatriata fra amici o un momento per rivangare episodi e ricordi di un periodo spensierato e felice, è l’occasione per rimettere in discussione la mia vita o comunque il mio modo di approcciarla.” Mentre ero immerso in queste aperte confessioni, fatte ad un vecchio amico che per molti anni non avevo più ritenuto tale, quel momento pieno di pathos venne interrotto dallo squillo del mio telefono. “Ciao caro, sei arrivato a destinazione?” “Si, si tutto bene. Scusami tesoro, ma l’emozione nel ritrovare tanti amici mi ha fatto scordare di chiamarti.” “Amici? Quali amici? Non dovevi incontrare solo un certo Nicola? Non ci saranno mica delle donnine no? Non è che ti sei creato una scusa per farti una serata in allegria ed 73
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evitare l’anniversario dei miei?” Erano molti anni che non sentivo quel tono misto tra la preoccupazione e la gelosia nella voce di mia moglie e devo dire che la cosa non mi dava del tutto fastidio. “Sai in realtà Nicola ha organizzato una rimpatriata con i vecchi amici all’insaputa di tutti. Ci ha fatto una bella sorpresa.” “Vabbè … come ti sei organizzato per questa notte, hai prenotato un’ albergo in riva al mare?” In realtà non avevo mai pensato a questo particolare. La mia mente aveva viaggiato in tutte le direzioni possibili da quando mi ero imbarcato in quest’avventura ma il pensiero di dove avrei passato la notte non mi aveva minimamente sfiorato. “Si cara, non preoccuparti, ha organizzato tutto Nicola. Staremo in un albergo qua vicino così non dobbiamo neppure rimetterci in macchina a guidare e possiamo goderci la serata in tutta tranquillità.” “Mi raccomando non fare troppo il cretino, non bere molto e vai a dormire presto. Domani poi chiamami quando ti metti in viaggio e mi raccomando stavolta cerca di non dimenticartelo.” Perché doveva sempre trattarmi con quel tono da maestrina? Una volta non era così. Forse era colpa mia che non l’avevo resa felice o mi ero rivelato diverso da come mi aveva conosciuto nei primi anni del nostro amore. In quel momento non ero comunque nello stato d’animo di ascoltare le sue raccomandazioni e abbozzai un timido atto di ribellione. “Quando deciderò di rientrare ti farò sapere qualcosa, buonanotte.” Chiusi repentinamente il telefono e Luigi mi versò un altro bicchiere di vino. “Comincia la ribellione quindi? Sta ritornando il vecchio Stefano che la sua famiglia non ha ancora conosciuto?” Luigi stava cercando di istigarmi ma io ero già confuso di mio. “Non lo so, ma almeno questa sera non voglio rinnegare l’istintività e la sincerità. Devo almeno questo a Nicola.” 74
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“A Nicola allora, ed al mio amico ritrovato Stefano, che oggi rinasce per la seconda volta.” Fu il brindisi proposto da Luigi. “All’amicizia.” Replicai io. Carlo nel frattempo si era avvicinato a noi silenziosamente, cercando di non disturbare. “Allora, avete finito di tubare come dei piccioncini possiamo riavervi con noi al tavolo? Anelie ci ha portato un branzino al sale di quattro chili e ci serve l’ufficiale di marina per pulirlo.” Luigi aveva fatto l’ufficiale di capitaneria di porto come servizio militare, subito dopo aver terminato la scuola superiore. L’avevano mandato in Sicilia, a Taormina, all’ufficio preposto ai controlli dei pescherecci, una delle mansioni più pericolose se non svolte con il dovuto tatto. Ma lui era riuscito a non pestare i piedi a nessuno, era entrato nelle grazie degli ospitali abitanti di quella splendida terra e soprattutto delle belle siciliane. La sua repulsione per il pesce crudo nacque proprio in quel periodo. In Sicilia è infatti normale trovare del pesce crudo o dei frutti di mare venduti agl’angoli delle strade ed in un’occasione Luigi era stato così male da dover essere ricoverato d’urgenza all’ospedale per fare una lavanda gastrica. “Arriviamo subito, anche perché abbiamo finito il vino. Ma come avete fatto per vent’anni a mangiare il pesce senza il mio supporto?” Non avevo mai visto un pesce simile, doveva esser stato il re del proprio branco, ammirato e invidiato da tutti fino al momento dell’ingloriosa cattura. Ma cosa aspettava Nicola ad entrare in scena? Sarebbe stato il momento perfetto, l’atmosfera si era definitivamente scaldata e tutti noi morivamo dalla voglia di rivederlo e di sapere come aveva trascorso questi anni. Sapevamo però che era inutile prevedere le sue mosse, ci aveva sempre stupito con le sue azioni e sicuramente l’avrebbe fatto anche quella sera. Luigi non aveva perso la mano nel curare il pesce. Con 75
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certosina precisione riuscì a dividere quello splendido animale in sei porzioni uguali, nella speranza che ben presto qualcuno si unisse a noi. “Che gran bel pesce, non ho mai mangiato nulla di così buono.” Esclamò Luigi dopo aver gustato il frutto del suo lavoro. “Non sono sicuro che i tuoi complimenti lo consolerebbero del fatto di non poter più gironzolare su e giù per il golfo.” Aggiunse Carlo. “Certo che per avere queste dimensioni ne deve aver scampati di agguati da parte dei pescatori. Forse si sentiva vecchio e ha deciso di farsi catturare per finire in grandezza un’esistenza così gloriosa. Ammirato e vezzeggiato dai suoi commensali, mentre in fondo al mare era visto ormai come un inutile peso.” “Suggestiva questa tua interpretazione Andrea, si vede che sei l’artista del gruppo ed hai una sensibilità superiore alla nostra. Quale opera teatrale stai preparando adesso?” Ero sempre stato appassionato di teatro ed avevo una grande curiosità riguardo al lavoro di Andrea. “Veramente negl’ultimi mesi sto provando a scrivere una mia sceneggiatura. Sento il bisogno di esprimermi in un modo nuovo, più personale e mi son preso un po’ di tempo per provare a esplorare questa nuova dimensione creativa. Forse in realtà sto vivendo un momento di consuntivi ed ho bisogno di imprimere sulla carta esperienze e sensazioni vissute, per poter archiviare il passato e proiettarmi nel futuro.” “Stai scrivendo un’opera autobiografica quindi?” Anche Luca sembrava molto incuriosito dall’argomento. “No, ma comunque ci ho incastrato dentro molte situazioni vissute personalmente ed anche qualche esperienza vissuta con voi.” “Dai che siamo curiosi, raccontaci qualche episodio dal quale ti sei ispirato.” Le nostre domande si facevano ormai incalzanti. “In realtà sto scrivendo una storia con un finale tragico, in cui la protagonista, dopo esser riuscita a coronare la sua tanto tribolata storia d’amore, muore davanti agl’occhi del suo amato 76
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per un banale incidente. Per riuscire a descrivere tanto strazio ho dovuto ripercorrere il triste episodio che abbiamo vissuto nel nostro viaggio spagnolo. Vi ricordate quella splendida e giovane ragazza tedesca, che avevamo conosciuto in campeggio, stroncata brutalmente da un camion che correva all’impazzata.” Nicola era quello che era rimasto più colpito dalla disgrazia. La sera prima dell’incidente aveva iniziato una storia fatta di sguardi ed il feeling con la ragazza sembrava destinato a sfociare in una splendida passione, se solo il destino non fosse stato così crudele. Il giorno dell’accaduto un gelido silenzio aveva fatto da colonna sonora alla nostra giornata ed anche nei giorni successivi nessuno di noi era più riuscito a ridere o scherzare. Scappammo immediatamente da quel luogo funesto cominciando a girovagare senza meta in mezzo ad un paesaggio lunare, caratteristico della sierra spagnola, ognuno immerso nei propri pensieri. “Mi viene ancora il magone a ricordare quell’episodio. Il destino alle volte è impietoso, un solo sfortunato momento può cambiare la vita di una persona. Pensate se Nicola si fosse innamorato di quella ragazza ed avessero avuto tanti bei bambini, forse sarebbero vissuti a Trieste o forse in Germania. Invece una giovane vita era stata stroncata ed un’altra avrebbe preso una strada sconosciuta, allontanandosi da tutti noi.” Nelle mie tante congetture avevo spesso collegato quell’episodio alla sparizione di Nicola e la citazione di Andrea, inserita nel contesto in cui ci trovavamo, mi era sembrata avvalorare quella ipotesi. “Ricordo ancora alla perfezione le parole che Nicola aveva scritto sul nostro diario di viaggio.” Aggiunse Luca. Tanja, la luce di un sorriso s’è spenta nel buio della notte, 77
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mentre le nostre voci rese roche dall’alcool accompagnavano il sibilare del vento nelle sue melodie. L’ombra dell’oscurità copre i nostri volti increduli le umide bocche diventano mute, i cuori sanguinanti bagnano l’arida terra. Al mattino il biondo sorriso torna a risplendere e ad illuminare le nostre menti di un ricordo che accompagnerà il cammino della nostra vita. Mi sembrò di rivivere le stesse sensazioni di quella tragica giornata. A quelle parole seguì un’atmosfera cupa ed un silenzio che durò per un interminabile momento che non saprei quantificare. “Non vorremo lasciar raffreddare totalmente questa squisitezza, mi sembrerebbe un vero affronto per il nostro caro re dei branzini. Su dai mangiamone ancora un pezzettino a testa da buoni amici.” Carlo non smentiva mai il suo atavico appetito e la sua capacità di interrompere le situazioni di stallo. La sesta porzione era ancora intonsa, abbandonata sulla tavola, il suo legittimo proprietario non ci aveva ancora raggiunti. Ormai la cena stava volgendo al termine ma di Nicola ancora nessuna traccia. Non capivamo cosa avesse potuto trattenerlo così a lungo, in occasione di una situazione così importante, peraltro organizzata da lui. Eravamo ormai quasi convinti che la cosa non fosse casuale, ma quale sarebbe stata la prossima mossa? Anelie comparve con la sua figura angelica e con in mano una terrina dall’aspetto familiare. “Signori, siamo giunti al dolce. Dovete scusarmi ma il signor Nicola mi ha detto di riferirvi che al bere questa volta dovrete provvedere da soli. Avrete un’ultima missione da compiere.” Non appena il tiramisù fu appoggiato sulla tavola Carlo e Luigi furono i primi a partire con le loro mani a cucchiaio, seguiti da tutti noi. In pochi secondi la terrina si svuotò tra lo stupore dell’ignara Anelie. Ci stavamo ancora leccando le dita quando Luca si sentì 78
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in obbligo di dare una spiegazione alla nostra gentile cameriera. “è una nostra brutale tradizione. Devi scusarci ma metterci davanti agl’occhi una terrina di tiramisù è una vera istigazione, quasi come schernire un toro con un drappo rosso. Nicola lo sapeva benissimo ed ha raggiunto l’effetto voluto.” “Cosa ci stavi dicendo sulla missione che dobbiamo compiere?” Chiese Andrea. “Dovete andare a recuperare il settimo compagno del viaggio spagnolo. Solo allora il signor Nicola si unirà a voi.”
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Era l’estate del 1989. Io e i miei amici decidemmo di fare un viaggio che sarebbe rimasto per sempre nei nostri ricordi, volevamo festeggiare la fine dei nostri studi. Destinazione Spagna, la mecca che aveva visto il più esaltante risultato dell’Italia calcistica, rimasto indelebile per qualunque persona della nostra generazione. Madrid 1982, Italia – Germania 3-1. è possibile dimenticarsi l’inizio della Divina Commedia o qualche parola dell’inno nazionale ma non quella mitica formazione: Zoff, Bergomi, Cabrini, Collovati, Gentile, Scirea, Oriali, Tardelli, Conti, Graziani, Rossi. La Spagna era una terra catartica e noi volevamo andare a purificarci prima di affrontare definitivamente la nostra vita adulta. L’organizzazione del nostro viaggio si poteva riassumere in tre semplici decisioni. Il Paese di destinazione, un furgoncino come mezzo di trasporto ed un budget fisso di denaro al termine del quale sarebbe finita la nostra vacanza. Mentre attraversavamo il territorio francese decidemmo di non passare il confine lungo la costa. Volevamo evitare le zone balneari molto turistiche e provare a respirare la vera atmosfera spagnola senza per forza doverla condividere con migliaia di altri turisti. Ci dirigemmo quindi verso i valichi pirenaici che ci sembravano più affascinanti ed 80
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inaccessibili, con le loro tortuose strade che si incastonavano in mezzo ai burroni. L’atmosfera del viaggio era perfetta, vivevamo senza limiti spazio-temporali, condizionati solo dalle voglie del momento. Eravamo molto uniti ed in sintonia fra di noi e la capienza del furgoncino ci consentiva di restare tutti assieme a condividere ogni istante di quella straordinaria avventura che veniva costruita momento dopo momento. Stavamo vivendo uno spaccato della nostra esistenza che non sarebbe più potuto tornare anche se forse non ne eravamo pienamente consapevoli. Eravamo giovani, pieni di entusiasmo per la vita, privi di condizionamenti, e sentivamo che nulla avrebbe potuto fermarci, anche perché eravamo rafforzati da un grande spirito di amicizia. Il viaggio on the road ci faceva godere i paesaggi naturalistici, ma sentivamo il bisogno di entrare finalmente in contatto con i nostri coetanei spagnoli e soprattutto di conoscere belle ragazze. Era ormai tardo pomeriggio e avremmo dovuto trovare un posto dove poter trascorrere la notte. Il caso ci portò ad Estella una simpatica cittadina ai confini tra la Navarra e la regione Basca che ci sembrò subito una meta ideale, anche perché vi si poteva scorgere un gran movimento di persone. I cittadini del posto erano stranamente tutti vestiti di bianco e rosso. Gli uomini con grandi camicioni e pantaloni bianchi cinti in vita da fasce rosse che fungevano da cinture, con delle bandane rosse indossate a foggia piratesca. Le donne con dei svolazzanti vestiti bianchi anch’essi cinti in vita da dei foulard rossi e dei nastri in tinta che ne agghindavano le chiome. Improvvisamente un pomodoro maturo schizzò il nostro parabrezza e rischiammo di perdere il controllo dell’autovettura. Quell’abbigliamento non era casuale, era da poco cominciata la festa di Sant Andres. Ci trovavamo nel bel mezzo della battaglia dei pomodori durante la quale i cittadini del posto, vestiti con gli abiti tradizionali, ingaggiavano una furiosa lotta lanciandosi i 81
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rossi ortaggi. Le macchie procurate sulle vesti immacolate andavano curiosamente ad aumentare la preponderanza del rosso su quella del bianco. Si divertivano tutti come dei pazzi e noi avremmo voluto entrare nella contesa, ma eravamo disarmati e non avremmo potuto rispondere al fuoco nemico. Decidemmo quindi di provare a defilarci per parcheggiare il nostro furgone ed esplorare la cittadina in festa. Girando a piedi per le strade del centro sembrava che una colata di lava rossa avesse appena invaso la città, ma per fortuna il momento della battaglia era passato e ne restavano solo degli evidenti segni purpurei. C’era un sacco di gente riversata nelle strade e ben pochi si trovavano sprovvisti di un bicchiere in mano. Ci avvicinammo ad un baretto che ci sembrava sufficientemente ben frequentato ed ordinammo sei cervezas, finalmente ci sentivamo anche noi parte della festa. Passarono pochi minuti prima che due ragazze si avvicinassero a noi, non doveva essere difficile capire che non eravamo del posto ne tantomeno spagnoli. “Ola, de donde viene chicos?” La lingua spagnola mi aveva sempre affascinato moltissimo per quella sua gioiosa cadenza e per la facilità con la quale si poteva comprendere anche senza conoscerla a fondo. Molte parole peraltro erano del tutto simili al dialetto triestino. Riuscire a parlarla invece non era del tutto banale, ma i freni inibitori venivano rotti ben presto grazie alla simpatia degli spagnoli ed alla loro capacità di non farti sentire sotto giudizio. “Ola, nosotros italianos.” Esordì Nicola con uno spagnolo che a me sembrava maccheronico. “Complimenti, parli un ottimo spagnolo.” Replicò invece la ragazza. “Ciao, io mi chiamo Mariasol e la mia amica Fernanda. Ho studiato sei mesi in Italia a Bologna ed amo il vostro Paese. Come mai siete capitati ad Estella, conoscevate già la festa di Sant Andres?” Ci presentammo tutti quanti, ma lasciammo a Nicola la 82
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conduzione del discorso, dopotutto non si erano rivolte a lui per puro caso. “Siamo arrivati qui fortuitamente, abbiamo visto il gran movimento e la battaglia con i pomodori ed abbiamo deciso di trascorrervi la nottata. Stiamo facendo un viaggio on the road per la Spagna senza mete precise e senza vincoli di nessun tipo.” “Benissimo allora per questa serata sarete nostri ospiti. Durante il periodo della festa l’ospitalità è sacra da noi, potrete bere e mangiare tutto quello che vorrete e non dovrete pagare nulla se no ci offenderemmo.” Le parole ed il sorriso di Mariasol ci fecero subito sentire a nostro agio. La nostra nuova amica rappresentava il prototipo della ragazza spagnola, capelli corvini, occhi scuri e forme generose. Era piuttosto carina ma venimmo conquistati soprattutto dalla sua simpatia. “Ma, veramente noi preferiremmo pagare, ci imbarazza un pochino andare completamente a sbafo, specialmente se a spese di voi ragazze.” Replicò Luca. “Non se ne parla neanche, queste sono le nostre condizioni, vi accompagneremo durante la festa ma sarete nostri ospiti. Vedete, da noi non capitano molti turisti anche se siamo molto vicini a Pamplona e la nostra feria non ha nulla da invidiare a quella, senz’altro più famosa, della cittadina basca.” Continuò Mariasol. “Ci farà piacere condurvi nei meandri della festa e saremo orgogliose di mostrarvi la gioia di vivere che si sprigiona in queste sette giornate di delirio.” Fernanda si introdusse anche lei nel discorso. Era più alta ma meno carina della sua amica, con dei lunghi capelli castani chiazzati di rosso. Erano stati evidentemente colpiti da qualche schizzo di pomodoro. “Sette giorni? vuoi dire che per sette giorni c’è in giro questo casino?” Urlò Luigi. “Certo, per sette giorni la città è in festa e nessuno lavora, anche se devo ammettere che dopo i primi due o tre 83
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giorni qualche ora di sonno ce la facciamo anche noi. Questa non è comunque una peculiarità di Estella, quasi ogni cittadina spagnola ha la sua feria che normalmente dura una settimana.” Continuò Fernanda, cercando contemporaneamente di pulirsi la chioma in una sorta di vezzo femminile. “Ho sempre pensato che la Spagna fosse un grande Paese, questa si che è vita.” Esclamò Carlo rapito da questo spirito godereccio. “Bene, spero non siate astemi allora, perché è già più di dieci minuti che siete con i bicchieri vuoti e questo non va per niente bene.” Mariasol cominciò subito ad ordinarci da bere. La serata fu bellissima, le nostre amiche avevano mille attenzioni nei nostri confronti compresa quella di farci conoscere un sacco di persone tutte molto gentili e molto aperte con noi. Quando cominciò ad albeggiare il tasso alcolico era ormai arrivato al livello di guardia. Eravamo sparsi in giro per i locali ad interloquire con qualcuno del posto sugli argomenti più improbabili, utilizzando diverse forme comunicative. Mariasol aveva da subito dimostrato un debole per Nicola ma lui era stato sfuggevole per tutta la serata. In uno dei tanti bar che avevamo visitato aveva conosciuto una bella barista con cui si era lungamente soffermato a chiacchierare. Poi improvvisamente erano spariti, evidentemente avevano deciso di conoscersi un po’ meglio in un luogo più appartato. Luigi con la sua solita generosità si era sacrificato ad intrattenere la nostra guida, l’ultima volta li avevo visti appartarsi nel privè di un bar ormai semideserto. Gli altri li avevo persi di vista da qualche ora. Entravo ed uscivo da un locale all’altro preso dalla frenesia di curiosare ognuno di quei variopinti mondi pullulanti di energie positive. Ogni volta trovavo qualcosa che attirava la mia attenzione, uno sguardo, un odore, un oggetto, un colore. Nel mio sistematico peregrinare mi addentrai in un am84
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biente molto scuro e fumoso, attratto da una melodia coinvolgente e familiare, cantata da una calda voce francese. Un uomo dai lineamenti molto belli con profondi occhi verdi e boccoli biondi era seduto su una sedia a rotelle ed interpretava una struggente ballata. Era accompagnato al piano da una ragazza bionda, anche lei particolarmente bella, di una bellezza altera e sofisticata, che lo guardava con occhi pieni d’amore. Ci misi qualche secondo a capire di quale canzone si trattasse. All’epoca non avevo ancora mai sentito la versione originale di the port of Amsterdam, cantata da Jaques Brel. Continuai ad ascoltare anche le canzoni che seguirono. Mi sentivo perfettamente a mio agio cullato da quelle melodie pervase da un grande pathos, era come se quell’uomo nel perdere alcune sue prerogative ne avesse sviluppate delle altre all’ennesima potenza. La sua voce un po’ roca ma straordinariamente calda ed avvolgente creava una magia diffusa che le note provenienti dal pianoforte riuscivano ad assecondare alla perfezione. “The piano has been drinking not me ….” Quando attaccò le note di una delle mie canzoni preferite di Tom Waits ebbi l’impressione che si stesse riferendo a me e che il suo sguardo intenso ma melanconico mi stesse scrutando. Anche la ragazza al piano volgeva lo sguardo nella mia direzione. Mi sentivo nudo ed indifeso di fronte al loro volere, come se potessero entrare all’interno dei miei pensieri più reconditi, scardinando tutte le chiavi di accesso. Forse era solo l’effetto dell’alcol ma mi sentivo un tutt’uno con quell’atmosfera. Non so per quanto tempo rimasi in quello stato, ma quando la musica finì e mi ripresi, mi resi conto che attorno a me non c’era nessuna faccia conosciuta. Mi avvicinai alla coppia di musicisti per andare a fargli i miei più sinceri complimenti e ringraziarli di quei bei momenti che avevano saputo donarmi. Furono molto simpatici nei miei confronti. Venivano dal Belgio ed erano abituati a girare l’Europa mantenendosi con la musica e qualche altro lavoretto. Michael aveva avu85
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to un brutto incidente d’auto sei anni prima ed era rimasto paralizzato dalla vita in giù. Marianne che era alla guida al momento dell’accaduto non riusciva a perdonarsi per quanto successo in quella serata, ma il loro amore dopo quella disgrazia non si era per nulla affievolito, anzi paradossalmente ne aveva preso vigore. Erano molto diretti e sinceri e non ebbero grandi ritrosie nel raccontarmi che tra gli altri lavoretti che gli permettevano di andare avanti c’era la produzione e realizzazione di filmini amatoriali a sfondo erotico nei quali Michael si occupava della regia e Marianne era la protagonista femminile. Ero curioso di approfondire l’argomento, anche perché non avevo mai conosciuto due persone apparentemente così innamorate e dolci l’una con l’altro. Improvvisamente però si sentì un gran trambusto e la terra cominciò a tremare. Le persone all’interno del locale sembravano impazzite e si precipitarono fuori dal bar . Fui preso dal panico pensando subito ad un terremoto ma poi prestai attenzione alle urla che mi rimbombavano nella testa. “Vienen los toros, vienen los toros.” Marianne con la sua voce suadente mi rassicurò. “Non preoccuparti, è semplicemente la corsa dei tori. Vengono lasciati liberi per le strade della città finché raggiungono la plaza de toros, dove domani cominceranno le corride. è una tradizione che si ripete nelle ferìe di tutte le località spagnole, ma ad Estella c’è una competizione particolare. I giovani del posto ingaggiano una gara di coraggio che premia chi corre più velocemente in mezzo ai tori ed arriva per primo nell’arena. Là verrà posizionata una pregiata bottiglia di Dom Perignon annata 1953, rivestita da una custodia di alluminio rosso sgargiante. L’obiettivo è quello di arrivare davanti agl’altri partecipanti ma soprattutto prima dei tori che altrimenti cercherebbero di incornare la bottiglia, disperdendo così il prezioso liquido.” Nicola era un appassionato di vini. Mi aveva raccontato che il nome Dom Perignon era quel86
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lo di un monaco esistito realmente nel 1600, al quale la leggenda attribuiva l’invenzione dello champagne. Dom era un appellativo usato dai monaci benedettini come titolo di rispetto, derivato dal termine della lingua latina “dominus”. In qualità di cellario dell’abbazia di Hautvillers, vicino Reims, il nostro monaco trascorreva gran parte della sue giornate a curare le vigne, le cantine del monastero e ad approfondire le tecniche vinicole. Il procedimento attribuito all’inventiva di Perignon prevedeva di imbottigliare il vino quando la fermentazione era ancora in corso e di conseguenza, grazie alla chiusura ermetica con tappo di sughero, si formavano le bollicine per via dell’anidride carbonica intrappolata nella bottiglia. La qualità del Dom Perignon sembrava derivare dall’accurata selezione delle uve, rigorosamente di una stessa annata che veniva reputata speciale per fattori climatici. Il periodo di riposo in cantina variava da un minimo di sei ad un massimo di dieci anni, ma il top della gamma veniva raggiunto dopo i venticinque anni, quando tutte le caratteristiche si fondevano tra loro in un’ amalgama speciale dal sapore inconfondibile. Il 1953 era stata un’annata indimenticabile per tutti i cultori. Mi resi conto che stava avvenendo qualcosa di speciale e decisi di uscire per assistere all’evento che stava provocando tanto trambusto. Baciai Marianne, abbracciai Michael frettolosamente e mi precipitai fuori dal locale. Mi orientai seguendo la marea umana che si dirigeva rumorosa verso l’arena. L’eccitazione sembrava aver sopito la stanchezza accumulata in una serata di bagordi e mi fece volare nel giungere a destinazione. Entrai negli spalti della plaza de toros con il cuore che sembrava sussultare come la batteria di un complesso heavy metal e cercai una posizione panoramica dalla quale potermi godere lo spettacolo. Ero arrivato appena in tempo, stavano giungendo i primi corridori seguiti dal frastuono della carica dei tori. 87
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Due giovani sagome si contendevano il primato, spalla a spalla. Uno era molto alto con una fluente capigliatura bionda, l’altro, più magro e nervoso nella corporatura, si distingueva per i lunghi boccoli castani che ricoprivano le sue spalle. Il biondo campione del posto veniva acclamato dalla folla di Estella, ma dopo un po’ anch’ io mi ritrovai a gridare a squarciagola. “Dai Nicola quella bottiglia non può che essere tua.” Mancavano ormai pochi metri alla meta ed il giovane spagnolo cercò di divincolarsi dal mio amico usando l’imponenza del suo fisico. Nicola però usò al meglio la propria agilità per lanciarsi in una scivolata nella sabbia degna del migliore giocatore di baseball che conquista la sua base. La preziosa bottiglia era saldamente nelle sue mani ed il boato del pubblico si divideva tra lo stupore e l’ammirazione per quello straordinario gesto atletico. Il pubblico continuò a rumoreggiare quando si occorse che lo slancio di quella virtuosa scivolata lo aveva fatto incastrare sotto la struttura che sosteneva la bottiglia ed il primo toro stava cominciando a sopraggiungere a veloci falcate. Le persone all’interno dell’arena cominciarono a scappare ed allora mi colse un impulso irrefrenabile di lanciarmi nella sabbia e correre velocemente incontro al toro. Riuscii immediatamente ad attirare la sua attenzione ed a farmi inseguire mentre procedevo zigzagando per provare a disorientarlo. L’assolo di batteria stava per finire e con esso le mie energie residue, ma in quel momento riuscii a scorgere che Nicola si era divincolato dalla trappola in cui si era cacciato. Decisi allora di giocarmi le ultime risorse. Corsi diretto verso la staccionata alta due metri che separava l’arena dagli spalti, nell’intento di inerpicarmi prima del sopraggiungere del toro. Fortunatamente, grazie all’aiuto di qualche mano protesa, riuscii a mettermi in salvo, appena in tempo. Mentre ero steso a terra con gli occhi chiusi, ansimante dalla stanchezza, sentii una voce familiare che mi disse. “Non avrei mai pensato che ti saresti divertito a provocare i torelli con i tuoi bei bermuda rossi, sei proprio 88
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dispettoso.” Mi resi conto che erano stati Carlo ed Andrea ad avermi dato una mano a superare velocemente la staccionata e nonostante la situazione Carlo non aveva perso la sua voglia di sdrammatizzare. Ero ancora disteso a cercare di recuperare le forze quando ricominciai a sentire un grande frastuono. “Matador , matador, l’italianos matador.” Nicola era portato in trionfo dalla popolazione di Estella a riconoscimento della sua impresa. Era la prima volta che uno straniero riusciva a conquistare la bottiglia messa in palio e comunque era una buona occasione per continuare a fare festa. Dopo qualche minuto ci mettemmo a seguire il corteo impetuoso e rumoroso come un fiume in piena. La foga agonistica aveva messo sete ai partecipanti della corsa e le urla profuse per tifare avevano seccato la gola degli spettatori. Ormai era quasi ora di colazione e quegli indemoniati continuavano ad abbeverarsi a suon di birre e calici di vino, mentre io stavo bramando un bel cappuccino caldo con cornetto. Raggiungemmo Nicola mentre stava raccontando la sua impresa a Luca e Luigi ed in quanto amici dell’eroe della serata non potemmo esimerci dal brindare al matador. Luca e Luigi si erano persi lo spettacolo ma ci avevano fatto onore con le nostre due amiche spagnole, cercando di contraccambiare la loro squisita ospitalità. Cominciavo a sentire la stanchezza per la serata trascorsa e cercai di defilarmi da quel trambusto festoso. Mi diressi in una zona più tranquilla del Paese dove trovai un piccolo bar semideserto per bere il mio tanto desiderato caffè. Il silenzio e la quiete di quel posto sembravano irreali ma riuscivano ad appagare i miei desideri di quel momento. L’oste sembrava completamente estraneo a quell’atmosfera di festa con la sua barba incolta e trasandata e l’espressione triste e corrucciata. Era il primo spagnolo che incontravo che non emanasse allegria e voglia di comunicare. 89
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Alla mia richiesta di un caffè rispose semplicemente girandosi verso una macchina che sembrava averne fatti a migliaia, ma nessuno negl’ultimi sei mesi. Quando misi in bocca quell’intruglio torbato mi resi conto che non avevo sbagliato intuizione, l’atroce dubbio si era trasformato in una cruda realtà. Quel caffè era imbevibile, ma alle mie proteste il barista reagì solamente alzando le spalle e girandosi nuovamente per raggiungere il suo angolino seminascosto. Sentii una calda pacca sulla spalla. “Come va vecchio mio? Stai cercando di disintossicarti dall’alcol o stai bevendo un caffè corretto con la grappa?” “No Nic, non sto bevendo niente perché quest’intruglio è imbevibile. Era meglio continuare col vino, avrei avuto meno probabilità di dover fare una lavanda gastrica.” Nicola mi aveva raggiunto perché voleva parlarmi. “Sono venuto a cercarti per ringraziarti. Questa serata doveva essere la tua festa non la mia. Io non ho fatto nulla in confronto al tuo enorme gesto di eroismo ed amicizia. Non potrò mai dimenticare quello che hai fatto per me in quell’arena. Tu hai la tendenza a sottovalutarti ed a vivere ai margini delle cose, senza osare. Hai una strana ritrosia a volerti ergere a protagonista e ritieni di non essere sempre all’altezza delle situazioni. Volevo solo dirti che per me la tua amicizia è molto importante. Stamane hai dimostrato che il tuo coraggio e la tua capacità d’azione non sono inferiori a quelli di nessuno. Devi solo acquisire più autostima e poi nulla potrà frenare il tuo successo. Nei momenti importanti della tua vita, io voglio essere sempre li con te per condividerli. Il Dom diventerà un simbolo inattaccabile dell’amicizia del nostro gruppo ma io e te sappiamo che sei tu il protagonista che ha reso possibile questo. Dovremo custodire gelosamente la bottiglia durante il nostro viaggio per poi nasconderla in un posto sicuro a Trieste. Quando ci sarà un’occasione importante da festeggiare, allora sarà il momento di andare a recuperarla per berla assieme.” 90
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Mi girai e vidi che eravamo nuovamente tutti e sei. Mettemmo le mani al centro, in contatto, una sopra all’altra a siglare il nostro accordo. “Onore al settimo cavaliere, fedele testimone della nostra amicizia.” Carlo suggellò con queste parole il nostro patto. Al ritorno dal nostro viaggio, in Costa Azzurra, qualche sbandato aprì il nostro furgoncino alla ricerca di qualcosa da rubare. In quel momento stavamo provando a raggranellare qualche spicciolo per poter pagare la benzina, suonando le nostre chitarre sul lungomare di Saint Tropez. Quando ci accorgemmo che la serratura era stata forzata restammo quasi paralizzati per il timore che l’unica cosa importante che avevamo la dentro non ci fosse più. Carlo si precipitò a controllare il bagagliaio lanciando delle urla disperate che non potevano che significare un’unica cosa. Ci avvicinammo alla vettura sperando invano che ci fosse ancora qualche speranza di riavere il nostro compagno di viaggio, ma il caos del bagagliaio non lasciava presagire nulla di buono. Avremmo pagato qualsiasi cifra per il riscatto del Dom ma i nostri rapitori non potevano sapere che quell’oggetto aveva per noi un significato che andava ben al di là del suo valore commerciale. Era il simbolo di un forte legame che quando si crea riesce nella magia di superare ogni avversità. Eravamo tutti consapevoli che le nostre vite, nell’embrione della loro maturità, avrebbero potuto seguire percorsi diversi, ma il Dom riusciva a rassicurarci e a dare una tangibile concretezza al perdurare dell’ unione che si era creata. Il tempo avrebbe potuto cambiare molte cose, raggrinzire i nostri lineamenti e farci perdere quel modo scanzonato di affrontare la vita, ma lui sarebbe rimasto immutabile a ricordarci l’energia e la forza del nostro rapporto. Preso dallo scoramento non avevo notato che mentre tutti noi rovistavamo disperatamente nel bagagliaio, Andrea si era diretto solitario all’interno dell’abitacolo ed aveva co91
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minciato ad armeggiare sotto ai sedili. “Ecco qua ragazzi come vedete il nostro amico è sano e salvo. Non mi piaceva l’idea di vederlo buttato nel bagagliaio con il rischio che ogni sobbalzo potesse incrinarne la resistenza. Ho trovato sotto ai sedili un vano capiente che sembrava fatto su misura per accoglierlo ed allora l’ho spostato in quella più comoda posizione.” “Andrea sei un genio.” Esclamammo in coro. Lo baciammo e lo sollevammo portandolo in trionfo. La serata musicale era stata proficua. Decidemmo di andare in qualche bar del lungomare a spendere i soldi in più che avevamo guadagnato rispetto a quanto ci serviva per rientrare in Italia. Da quel momento però, non abbandonammo più il nostro fedele compagno di viaggio. Qualche giorno dopo il nostro rientro dalla Spagna ci ritrovammo la sera, nella pineta di Barcola. Prendemmo qualche lattina di birra nel nostro chiosco preferito e ci appartammo sugli scogli vicino allo squero. In questa particolare posizione, verso le cinque del mattino, si crea un vento termico che dura solo un paio d’ore e rappresenta un’ autentica ghiottoneria per gli appassionati di windsurf. Il surfista vive la propria passione come una missione da compiere e non si ferma di fronte alle terrene difficoltà degli orari scomodi o della bassa temperatura del mare. La sera esegue un’ attenta consultazione dei bollettini meteorologici e quando il vento c’è, tutto il resto va ripianificato di conseguenza. Chi lavora si prende qualche ora di permesso, lo studente rinuncia alle prime ore di lezione, l’importante è cogliere l’attimo e sfruttare questo dono della natura. Nelle giornate ventose macchine e furgoncini voluminosi e variopinti si assiepano carichi di tavole a vela e l’operosa tribù dei surfisti si mette al lavoro. Prima un’accurata opera di vestizione, poi la messa a punto dell’attrezzo ed infine il piacere di cavalcare l’onda e seguire le bizzarrie del vento. Devo confessare di aver sempre provato una forte am92
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mirazione per la passione e la tenacia che anima queste persone. Alle volte sono rimasto assorto nei miei pensieri ammirando le evoluzioni di questi acrobati del mare, nella stessa maniera in cui ci si perde a guardare la danza dei gabbiani, sballottati dal vento, nelle giornate di bora. Ci sedemmo vicino al posto dove oggi sorge la statua bronzea raffigurante la mula de Trieste, che celebra la rinomata bellezza delle ragazze del posto. Eravamo alla ricerca di un angolo isolato dalla folla che invadeva il lungomare triestino per trovare un po’ di refrigerio in quella serata afosa. Dovevamo decidere dove nascondere il nostro prezioso trofeo spagnolo. “Secondo me la pineta va benissimo. Potremmo scavare una buca abbastanza profonda in modo che nessuno riesca a trovare la bottiglia. La zona è affollata, ma questo potrebbe anche essere un fattore positivo per far si che il nascondiglio non venga scoperto.” Esordì Luca. “No Luca, forse ti stai facendo condizionare dal luogo in cui ci troviamo. Anche se fosse un posto sicuro non vorrei mai che il Dom stesse sotto all’ingombrante sagoma di qualche babazza triestina che apparecchia un tavolino da campeggio con lasagne e riso alla greca per sfamare i propri pargoletti. Non sarebbe un posto degno del simbolo della nostra amicizia.” Replicò Carlo. Durante i weekend estivi la pineta si trasformava in un pullulare di tavoli imbanditi da ogni sorta di leccornie, roba da far invidia ai personaggi più riusciti di Alberto Sordi. I bagnanti più anziani si misuravano in interminabili sfide a carte e dispute con le larve, dei piccoli dischetti volanti che fungevano da bocce adatte a terreni lisci. Quelli più giovani improvvisavano delle appassionanti sfide a pallone. La lotta per la conquista del posto migliore cominciava già alla mattina presto. Un giorno, mentre rientravo da una serata passata in una discoteca di Lignano rimasi stupito nel vedere che alle sette del mattino era già pieno di persone 93
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che nonostante l’assenza del sole si accaparravano i posti migliori. Ero pienamente d’accordo con Carlo, la Pineta non sembrava il posto più adatto per custodire il Dom. “Cosa ne pensate invece se lo nascondessimo in fondo al mare? Non c’è nulla di più sicuro.” Carlo fece la sua controproposta. “Ma cosa dici, la prima mareggiata che si scatenerebbe nel nostro golfo spazzerebbe via tutto senza lasciare più traccia del Dom.” Commentò Andrea. “Si potrebbe trovare invece un posto nella zona del ciglione carsico che si affaccia sul mare, ad esempio sul sentiero Rilke nei pressi di Duino. Quale sito potrebbe essere simbolicamente più romantico dell’ambiente che ha ispirato le elegie duinesi al grande poeta tedesco.” Andrea come sempre si distingueva per la sua sensibilità artistica. “E perché non nasconderlo direttamente nel castello di Duino. Assumerebbe un significato simbolico ancora più forte, celato all’interno di un maniero inespugnabile.” Rilanciò Luigi. “Che ne dite invece della vecchia rocca di Duino? è un posto panoramico e suggestivo. Vi ricordate quando abbiamo scavalcato il cancello ricoperto di filo spinato per andare a esplorarlo?” Mi inserii anch’io nel novero delle proposte. “Vi rammento che sia la rocca che il castello di Duino sono ancora proprietà privata dei conti della Torre e Tasso. Quindi, oltre al fatto che se ci beccassero finiremmo diretti in galera, bisogna considerare la possibilità che i due siti vengano chiusi definitivamente al pubblico, nel qual caso non potremmo più recuperare il Dom.” Il pragmatismo di Luca ci riportò subito con i piedi per terra. “C’è comunque un posto che riassume alla perfezione le vostre idee e rappresenta il simbolo più famoso di Trieste. Il nascondiglio più degno del nostro amico è senz’altro Miramare.” 94
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Nicola come sempre dava alle sue parole un tono certo, rassicurante, definitivo. “Ma …. Nicola, vuoi nascondere la bottiglia all’interno del castello?” Non capivo che cosa avesse esattamente in mente. “No, stavo pensando piuttosto al parco di Miramare, che è molto esteso, con delle zone che sono poco frequentate. Ci sono degli ingressi secondari che sono isolati e facilmente accessibili semplicemente scavalcando un cancello.” Ancora una volta Nicola aveva avuto l’idea migliore. “Miramare? Mi sembra perfetto. Una dimora regale per la regina delle bottiglie.” Con il suo benestare Carlo chiuse salomonicamente la questione, ma eravamo tutti d’accordo. “Se volete vado a casa a prendere una pala per scavare. Potremmo vederci all’ingresso che c’è dietro al Centro Internazionale di Fisica Teorica fra circa un’ora.” Salutammo Luca, soddisfatti per aver trovato la soluzione migliore. La serata era un po’ fredda per quel periodo dell’anno ma il giorno prima c’era stato un temporale estivo con bora nera a 120 km/h, quella che porta il maltempo e fa abbassare le temperature di parecchi gradi. Il clima piuttosto frizzante era compensato dalla nitidezza dell’aria che fungeva da amplificatore di tutti i colori. Il tramonto era stato spettacolare, si era tinto di mille sfumature violacee, ma anche quando l’oscurità era scesa completamente, una luna tonda, come neppure Giotto avrebbe saputo disegnare, riusciva ad animare i colori della notte. Il fatto di temporeggiare ancora un po’ alimentava la speranza che il buio si facesse più cupo e si rendesse complice dei nostri intenti. Nell’attesa di Luca decidemmo di prendere l’imbarcazione che dal porticciolo di Barcola portava alla vecchia diga, da poco riconvertita in un bar ristorante. C’era meno gente del solito considerato che la serata era piuttosto fresca e non mi fu difficile incrociare lo sguardo di Elena, una bellissima ragazza che avevo conosciuto il primo anno d’università, ma che dopo pochi mesi era sparita senza la95
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sciare più tracce. Stranamente mi riconobbe e mi sorrise, avvicinandosi per salutarmi. Da quel momento mi sentii completamente soggiogato, mi sembrò che nel locale ci fosse solo lei. “Ciao Stefano come stai? Saranno quasi cinque anni che non ti vedo. Immagino avrai terminato i tuoi studi visto che eri uno dei migliori del corso?” Non riuscivo a capacitarmi come quella splendida ragazza avesse potuto ricordarsi anche il mio nome, dopo tutto avevamo frequentato la stessa compagnia per poco tempo ed io all’epoca era fidanzato con Giovanna. “Ciao Elena, si mi sono da poco laureato e adesso devo decidere dove fare la specializzazione. E tu cosa mi racconti di te, che fine hai fatto?” “Mi sono trasferita a Bologna e all’insaputa dei miei genitori ho cambiato facoltà. Medicina non faceva proprio per me anche se mio padre avrebbe voluto che continuassi la sua attività. Mi sono iscritta a scienze dello spettacolo e mi sono laureata a pieni voti in scenografia.” Andammo a prendere qualcosa da bere assieme alle sue amiche, ma nonostante cercassi di essere il più disinvolto possibile non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Mi dimenticai persino quale fosse il nostro obiettivo di quella sera. Eravamo tutti molto eccitati dalla bella compagnia e quando una delle ragazze ci invitò a continuare a bere qualcosa a casa sua aderimmo con entusiasmo. Proprio in quel momento ci raggiunse Nicola, che fino ad allora non si era fatto vedere. “Bene ragazzi è ora di andare. Luca ci sta aspettando, abbiamo una missione da compiere.” “Ma tu dov’eri finito?” Replicò Carlo. “Ero ad ammirare il panorama che si vede dal tetto del bar. è incredibile stare in mezzo al mare, di sera, le luci della città si confondono con quelle delle stelle. Avevo bisogno di stare un po’ da solo per pensare a ciò che si compirà stanotte.” In effetti Miramare si vedeva benissimo da quella posi96
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zione privilegiata. “Veramente queste gentili ragazze ci avevano invitato a bere qualcosa a casa loro e mi sembrerebbe scortese declinare l’invito.” Carlo aveva già puntato la sua preda e difficilmente avrebbe mollato l’osso. “Fate come volete non c’è problema, diciamo allora che io ho un compito da svolgere, chi vuole seguirmi sarà il benvenuto.” Cavolo, perché solo James Bond riusciva a distrarsi prima delle sue missioni, non poteva succedere anche a noi comuni mortali. La faccenda era però troppo importante per riuscire a pensare anche al divertimento. Luigi fu il primo a prendere l’iniziativa, mostrando una forza d’animo che non gli conoscevamo. “Ci dispiace ragazze ma stasera non possiamo, dobbiamo portare a compimento un’ affare importante, sarà per un’altra volta.” “Se domani leggiamo che è stato svaligiato il caveau della Banca d’Italia sapremo quindi chi è stato?” Aggiunse ironicamente una delle amiche di Elena. “Mi farebbe piacere vederti domani, se per te va bene.” Dissi ad Elena, stupendomi del mio ardire. “Sarebbe bello rivederti Stefano ma per me le vacanze sono finite, domani ritorno a Bologna. Io ed il mio fidanzato dobbiamo cominciare le prove per un nuovo spettacolo da mettere in scena. Spero ci sarà l’occasione di rivederci prima che passino altri cinque anni.” Mi lasciò il suo numero di telefono ed un bacio stampato sulla guancia, ma quell’ultima frase mi aveva lasciato in uno stato di abbandono ed arrendevolezza dal quale non riuscivo a riprendermi. Non l’avrei certamente chiamata, si era rotto l’incantesimo che per un po’ di tempo mi aveva fatto sentire disinvolto e fiducioso di poter interessare ad una ragazza così bella. Arrivammo davanti al cancello di Miramare senza che me ne rendessi conto. Durante il tragitto in battello e poi in macchina ero assorto nei miei pensieri. Mi sentivo come un pugile che dopo aver condotto per gran parte dell’incontro, 97
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aveva ricevuto l’inatteso colpo del ko. L’unica cosa di cui ero certo era che durante il tratto di strada percorso avevamo ascoltato alla radio “You got a friend” di James Taylor . Mi resi conto che ne stavo canticchiando il motivo. Succedeva spesso che l’ascolto distratto di una canzone me la facesse rimanere impressa a lungo. Luca ci stava attendendo, probabilmente già da un pò. “Ma che fine avete fatto è più di mezz’ora che vi sto aspettando, pensavo aveste cambiato idea.” “Scusaci Luca ma abbiamo avuto un contrattempo che per fortuna abbiamo risolto brillantemente.” Il solito Carlo aveva preso la parola. “Vabbè, lasciamo perdere per ora, abbiamo altro a cui pensare.” Rispose Luca un po’ stizzito. Era la prima volta che vedevo l’ingresso del parco dinnanzi al quale ci trovavamo. In effetti era piuttosto discosto dai normali circuiti e come aveva detto Nicola l’operazione di scavalcamento non destò grandi preoccupazioni, anche perché il muretto che si affiancava al cancello costituiva una comoda base d’appoggio. Il problema era capire dov’eravamo esattamente e dove ci stavamo dirigendo. Il chiarore della luna, che ci aveva supportato sino ad allora, veniva vanificato dagl’alberi ad alto fusto sotto i quali ci trovavamo. Oltre a tutto dovevamo memorizzare il percorso prendendoci dei punti di riferimento per poter successivamente ritrovare il nascondiglio quando saremmo venuti a recuperare il Dom. Per fortuna Nicola sembrava muoversi con sicurezza in quello scuro percorso come se avesse già effettuato un sopraluogo alla luce del giorno e ripercorresse a memoria terreni già battuti. Improvvisamente abbandonammo il sentiero principale sconfinando sul prato erboso, superammo un dosso e dopo qualche centinaio di metri, giunti ai piedi di un grosso albero Nicola esclamò. “Ecco qui va benissimo.” Carlo prese la pala e cominciò a scavare alla base tronco, in prossimità delle radici. Le piogge del giorno prima 98
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agevolarono il nostro compito ed in pochi minuti riuscimmo ad ottenere una buca profonda mezzo metro. Adagiammo scrupolosamente il nostro amico sul fondo del terreno e ricoprimmo la buca compattandone il terriccio, per cercare di non far notare che era stato smosso di recente. Finita l’operazione mi prese un po’ d’apprensione. Speravo che il Dom fosse al sicuro li dove l’avevamo messo, ma dovevo anche tenere in considerazione la possibilità che potesse essere l’ultima volta in cui l’avremmo visto. “Stai tranquillo amico mio, torneremo a tirarti fuori da li per brindare tutti insieme ad un grande momento ed alla nostra immortale amicizia.” “Amen. Cos’è una preghiera per un defunto? Guarda che questo è un momento di festa in cui sigliamo un patto importante fra di noi, cos’è quest’aria funebre?” Esclamò Luigi. Improvvisamente cominciammo a sentire dei latrati di cani da una provenienza non ben definita, ma la sensazione era che si stessero dirigendo molto velocemente verso di noi. “Forza scappiamo, forse l’ingresso del parco era sorvegliato da telecamere ed i guardiani stanno venendo a cercarci.” Fu il concitato commento di Luca. Ci precipitammo a seguire nuovamente Nicola che sembrava quello più a suo agio nel muoversi attraverso l’oscurità del parco. La strada di ritorno era un po’ in salita e dopo pochi minuti cominciai ad avere il fiatone, ma il rumore dei cani si faceva sempre più vicino ed insistente e non c’era tempo per fermarsi a riposare. Arrivai per ultimo al cancello, totalmente stremato, ma fortunatamente gli altri erano pronti a tirarmi su di peso per le braccia. I cani erano ormai arrivati e cominciarono a saltare e ad abbaiarci contro. Anche questa l’avevo scampata ed era la seconda volta in meno di un mese che riuscivo a scappare da un animale inferocito che mi stava rincorrendo. “Andiamo via prima che arrivino i padroni dei cani.” Andrea era già salito in macchina e ci stava aspettando 99
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col motore acceso. “Speriamo che il Dom sia al sicuro.” Dissi stavolta ad alta voce, entrando in macchina. “Mi risulta che esistano i cani da tartufo e quelli da caccia ma di cani che ritrovano le bottiglie di champagne non ne ho mai sentito parlare. Stai tranquillo la buca era abbastanza profonda ed il parco è molto vasto, nessuno potrà mai trovarla.” Come sempre Carlo era quello che tranquillizzava il gruppo. “Si, è vero, ma adesso sanno che degli estranei si sono introdotti nel parco di notte e seguendo le nostre impronte potrebbero arrivare fino al nascondiglio. Il terreno fangoso avrà senz’altro tracciato il nostro percorso.” Nessuno replicò alle mie obiezioni e calò un lungo silenzio finché non giungemmo in città. “Dai ragazzi smontate, andiamo a berci un buon caffè.” Luca ci aveva portato davanti ad un bar che apriva alle prime luci dell’alba, nella zona del vecchio faro. Sembrava di essere al porto di Istanbul, era la zona dove si parcheggiavano tutti i camionisti turchi in arrivo dal terminal traghetti. Per trovare il bancone dovemmo farci largo tra le nubi puzzolenti di fumo che si sprigionavano dalle sigarette degli avventori. Bevemmo velocemente i nostri caffè ed uscimmo a respirare un po’ d’aria fresca. Andrea aveva preso il Piccolo, il giornale locale, che gli si era rivelato in un momento di maggiore visibilità all’interno del locale. “Ecco perché c’erano i cani, noi non centriamo nulla. C’è scritto sul giornale. Questa sera c’è stata una battuta di caccia all’interno del parco di Miramare perché erano stati avvistati dei cinghiali che avevano spaventato alcuni turisti. Dei cacciatori avrebbero cercato di stanarli grazie all’aiuto di una muta di cani da caccia per poi sparargli dei proiettili con dei potenti sonniferi.Non stavano cercando noi, nessuno si preoccuperà delle nostre tracce sul terreno bagnato. Il Dom è salvo, riposerà sotto l’ombra di quella quercia finché non torneremo a prenderlo.”
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Il momento tanto atteso era arrivato. Nicola aveva conquistato il prezioso trofeo che era diventato il simbolo della nostra amicizia e adesso a distanza di più di vent’anni, dopo esser sparito dalle nostre vite, era tornato. Aveva organizzato una bella rimpatriata e giustamente aveva deciso che per l’occasione valesse la pena di dissotterrare il Dom. La prova che ci aveva affidato sarebbe stata più complessa di quanto avessi potuto immaginare però, perché in realtà l’unico che aveva chiaramente in mente come raggiungere il nascondiglio era lui. Era passato tanto tempo ed il ricordo di tutti noi si era molto sbiadito ed oltre a ciò la situazione emotiva di quella sera ci aveva fatto scordare alcuni piccoli dettagli che ci sarebbero serviti da riferimento. Nel percorso che avevamo fatto all’andata la nostra maggiore preoccupazione era stata quella di districarci in un’ ambiente buio e sconosciuto nel quale eravamo entrati di nascosto, con un certo patema d’animo. Al ritorno invece avevamo perso completamente tutti i punti di riferimento a causa della ritirata frettolosa con i cani alle costole. “Ragazzi, chi pensa di ricordarsi come si fa a raggiungere il luogo dov’è custodito il nostro amico?” Esordì Carlo. “Potremmo provare ad usare un metal detector per individuare la sua custodia d’alluminio.”Aggiunse Andrea. 101
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“Bravo! E dove lo recuperiamo a quest’ora un metal detector? Ammesso poi di riuscire ad avvicinarsi a sufficienza per poter individuare la bottiglia.” Rispose piccato Luca. “Tanto per cambiare Nicola ha voluto metterci alla prova, non sarà facile venirne a capo ma dobbiamo provarci, mi sembra che ne valga la pena. Per una volta dovremo arrangiarci senza di lui, dopo tutto l’abbiamo fatto anche negl’ultimi vent’anni.” Replicai io. “Io penso di potermi ricordare il percorso! Un paio di volte ho portato i bambini nel parco ed ho cercato di capire dove poteva essere il nostro nascondiglio. Non è stato assolutamente facile, anche perché quando cercavo di sconfinare sull’erba, i bimbi mi riprendevano dicendo che c’era scritto che non si potevano calpestare le aiuole. Non potevo fare brutte figure davanti a loro. Ad un certo punto comunque ho scorto da lontano un albero che aveva qualcosa di familiare e ripercorrendo con lo sguardo il percorso per raggiungerlo ho notato che bisognava superare un piccolo dosso come quello affrontato la famosa sera. Sono sicuro di riuscire a portarvi sino a quell’albero.” Luca ci aveva dato uno spiraglio di speranza. “Mah, speriamo che tu abbia individuato l’albero giusto. In ogni caso con tutta la vegetazione del parco non sarà certamente facile il nostro compito.” Ero stato un po’ rinfrancato da quest’unico appiglio ma mi sembrava comunque chiaro che l’operazione non sarebbe stata agevole. Il posto non era molto distante e decidemmo di raggiungerlo a piedi, anche per smaltire le leccornie che avevamo mangiato e soprattutto l’alcol che avevamo ingurgitato. Arrivammo al cancello che avevamo scavalcato vent’anni prima e ci sembrò che nulla fosse cambiato. Probabilmente era stato oggetto di qualche manutenzione ma l’aspetto era lo stesso impresso nelle nostre memorie. In breve tempo Luca, Luigi ed Andrea furono oltre e cominciarono a chiamare me e Carlo. “Dai pelandroni che fra un po’ aprono il parco se non vi 102
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sbrigate.” Io e Carlo eravamo decisamente quelli più appesantiti dal tempo e comunque non eravamo mai stati dei gran atleti. Cominciai la mia salita quando Carlo era a mezza via nello scavalcamento degli spuntoni di metallo che contornavano la sommità del cancello. In quei frangenti sarebbero servite delle mosse agili e decise ma la sua mole ed il vino bevuto nel corso della serata non aiutavano le sue movenze. Mi affrettai a cercare di aiutarlo quando mi resi conto che gli si era incastrato il pantalone all’altezza della coscia e faceva difficoltà a divincolarsi. Ero intento a spingerlo dal basso per sbloccare quella pericolosa posizione quando il silenzio notturno venne interrotto da un rumore allegro e squillante. Era la musica di “Mamma mia” degli Abba, la suoneria del cellulare che avevo memorizzato per identificare le chiamate di mia moglie. Sempre nel momento sbagliato, la sua era una capacità innata. Provai a rispondere, ma il telefono mi scivolò e cadde per terra aprendosi in due. “Bene, almeno un problema l’ho risolto.” Fu il mio commento ad alta voce. Continuai a spingere finché la leva provocò l’effetto voluto, ma la spinta troppo forte fece ruzzolare Carlo violentemente dall’altra parte della barricata. “Che botta ragazzi! Cominciamo bene, se aspettavamo ancora qualche anno per recuperare la bottiglia dovevamo noleggiare una gru per scavalcare questo cancello.” Il fisico non era più quello di una volta ma lo spirito positivo per affrontare tutte le situazioni con un sano ottimismo ed un po’ di autoironia non mancava. Ci misi qualche minuto di troppo ma alla fine ebbi anch’io la meglio su quella barriera insormontabile. “E pensare che una volta eri specializzato nel salto degli ostacoli, forse ti sarebbe servito lo stimolo di qualche animale inferocito per darti le giuste motivazioni.” Luigi fece il suo commento sarcastico mentre mi restituiva i pezzi del telefono che nel frattempo aveva recuperato. “Vuoi che ti aiuti a montarlo per vedere se funziona ancora?” 103
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Aggiunse il mio amico. “No grazie, va benissimo così, ogni cosa a suo tempo.” Li riposi alla rinfusa in tasca, ritenendo che in quel momento avevamo altre priorità. “Su ragazzi cominciamo la nostra ricerca.” Luca iniziò a seguire il sentiero principale cercando di prestare attenzione ad ogni dettaglio che potesse rivelarsi utile. Le sue movenze sembravano sufficientemente sicure e disinvolte ma la situazione in cui ci eravamo trovati vent’anni prima era molto diversa. Quando avevamo seguito Nicola non dovevamo trovare un punto preciso in mezzo a quel dedalo di vegetazione, ma solamente scegliere un luogo che ci sembrasse adatto al nostro scopo. Ad un certo punto si fermò ad osservare le sagome indistinte della natura e decise che era arrivato il momento di svoltare a sinistra. Avremmo avuto bisogno dei visori notturni che si vedono utilizzare nei film di spionaggio, ma dovevamo accontentarci dell’istinto e dell’intuito dell’unica persona che aveva avuto la curiosità di ritornare in quel posto alla luce del sole. Improvvisamente una buca si palesò dinnanzi a noi facendo ruzzolare la nostra guida. “Bene siamo giunti in prossimità del dosso, non dovremmo essere lontani.” Farfugliò Luca togliendosi dalla bocca l’erba ed il terriccio ingoiati nella caduta. Continuammo per un po’ ad avanzare alla ricerca del nostro albero, sperando di avere la fortuna di sbatterci contro. “Ecco è lui, ne sono sicuro! Quel ramo attorcigliato come delle braccia conserte è inconfondibile. Ve lo ricordate?” Luca sembrava eccitato come un ragazzino. Non volevo smorzare i toni trionfalistici ma sinceramente non avevo nessun ricordo di quel particolare. Per quanto ne sapevo io quello poteva essere un albero come un altro, non mi restava che affidarmi ai ricordi altrui. “Certo, hai ragione! Anche a me questa fisionomia è familiare.” Il parere di Luigi avvalorò quella prima affermazione. Purtroppo non eravamo muniti degli opportuni attrezzi ed ognuno di noi cercò di recuperare qualche supporto che l’aiu104
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tasse nelle operazioni di scavo. Pezzi di rami, pietre o qualsiasi superficie rigida. Dopo quasi un’ora avevamo scavato un fossato di circa mezzo metro di profondità tutto intorno all’albero, ma senza nessun costrutto. “Cavolo, mi sa che la memoria mi ha fatto difetto, non può essere qui, abbiamo scavato troppo a fondo.” La sicurezza esibita da Luca cominciava ad incrinarsi ed in tutti noi si fece largo un certo pessimismo. “E se qualcuno l’avesse trovato prima di noi?” Andrea insinuò l’atroce dubbio. “No, non è possibile, il parco è troppo grande, perché qualcuno avrebbe dovuto mettersi a scavare proprio in questo punto?” Carlo cercò di rassicurare gli animi. “Eppure io quest’albero me lo ricordo. Mentre Carlo stava scavando la buca vent’anni fa, mi sono soffermato a guardare questa sua strana conformazione ed ho pensato che il Dom sarebbe stato al sicuro con tale guardiano a fianco. Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima! Non era questo l’albero ai piedi del quale abbiamo seppellito la bottiglia, ce n’era un altro molto vicino. Ma dove cavolo è finito? Una quercia di quelle dimensioni non può sparire nel nulla.” I ricordi di Luca stavano cominciando ad affinarsi, ma purtroppo non c’era traccia di quanto stesse dicendo. Eravamo stanchi e non riuscivamo a venire a capo di quell’enigma, ma quando stavamo ormai pensando di rientrare sconfitti, ecco che arrivò la voce della speranza. “Ecco dov’è il nostro albero!” Andrea gironzolando nei dintorni si era imbattuto in un grosso ceppo. “Le dimensioni potrebbero corrispondere, solo che il nostro punto di riferimento deve aver avuto un brutto incidente qualche anno fa. Probabilmente un fulmine l’ha incenerito lasciando solo questo mozzicone. Che brutta fine.” Luca ci esternò la sua ipotesi mentre stava accarezzando con un gesto di pietà ciò che restava di quella grossa quercia. “Mi ricordo di aver letto sul Piccolo che qualche anno fa 105
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un fulmine ha colpito un albero a Miramare, provocando un accenno d’incendio nel parco. Solo i tempestivi interventi prima del custode e poi dei vigili del fuoco, hanno scongiurato il peggio.” Esclamò Luigi. “Oltre al fuoco, in questa zona ci devono essere state decine di persone quel giorno, chissà se il Dom è riuscito a salvarsi.” Andrea aggiunse nuovamente un po’ di angoscia al nostro ritrovato ottimismo. Ricominciammo a scavare, stavolta non ai piedi di un albero ma di quello che una volta lo era stato. La terra era stranamente meno compatta ed uniforme rispetto a prima e le operazioni di scavo furono molto più veloci. Quando sentimmo un rumore metallico non ci parse vero ed i nostri cuori cominciarono a battere forte. “Stavolta ci siamo ragazzi, la nostra costanza è stata premiata.” Carlo continuò a scavare a mani nude finché non riuscì ad estrarre quella sagoma elegante e sinuosa. Il rito iniziato vent’anni prima si era compiuto. Probabilmente neanche gli avventurosi cercatori d’oro o gli archeologi dinnanzi alla scoperta del sarcofago di Tutankhamon avevano potuto provare delle emozioni così intense. Avevamo ritrovato il nostro sacro Graal e la sola possibilità di tenerlo saldamente fra le mani ci faceva emozionare come dei bambini. Baciammo a turno il prezioso scrigno alzandolo al cielo come fosse la coppa del mondo e ci stringemmo in un poderoso abbraccio. “Adesso cosa facciamo ragazzi? Si beve il sorso dell’amicizia?” Commentò Luigi. Mi scaldai subito e risposi stizzito. “Ma cosa stai dicendo non siamo mica tutti. Adesso torniamo al Bivio dove ci sarà certamente Nicola ad attenderci. Gli consegneremo la bottiglia e l’apriremo tutti assieme.” “Ha ragione Stefano, dopo tutto siamo qua per merito di Nicola. Non possiamo fargli questa vigliaccata, anche se lui 106
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sta un po’ giocando con noi.” Aggiunse Andrea. Salutammo con un cenno della mano ciò che restava della quercia, demmo un ultimo sguardo alla sentinella con le braccia conserte e ci avviammo verso il sentiero che portava al cancello d’uscita. Avevo la bottiglia fra le mie mani, il privilegio era toccato a me che in qualche modo ero stato essenziale per la sua conquista e ne andavo orgoglioso. Ero talmente contento che non sentivo assolutamente la stanchezza per la serata. La strada in leggera salita mi sembrava agevole come se fosse in discesa ed il Dom mi sembrava leggero come una piuma. Superai agevolmente l’ostacolo del cancello e mi diressi ad ampie falcate verso la zona di partenza della nostra missione, seguito dagl’altri a breve distanza. Arrivati all’altezza dello stabilimento balneare Sticco, ritornammo finalmente in una zona illuminata dai lampioni. Mi venne in mente che avevo in tasca i resti del mio telefono e provai a ricomporli come fossero un puzzle. Finita l’operazione di restauro provai a digitare il pin e con mio grande stupore sentì partire la solita musichetta, che stavolta preannunciava la resurrezione dell’apparecchio. Ero felice che il danno non fosse stato irreparabile, ma non riuscivo a staccare gli occhi da quella sagoma rosso purpurea che avevo temporaneamente passato ad Andrea. “Lo so che siamo quasi arrivati, ma potremmo almeno aprire la custodia per vedere la bottiglia, adesso che siamo tornati alla luce.” Dissi con un filo di voce. La luna si rifletteva sul mare spargendo i suoi bagliori luccicanti che sembravano volerci raggiungere. Poco lontano si poteva scorgere la candida sagoma del castello di Miramare ed i luccichii delle luci dei pescherecci che continuavano il loro lavoro in mezzo al mare. Mi posizionai sotto al lampione e cominciai ad aprire lentamente quell’involucro reso opaco dal terriccio, sotto al quale era rimasto per molti anni. Prestai molta attenzione a non incrinare quella preziosa reliquia e quando la parte superiore fu completamente sollevata provai una certa ansia 107
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nel prendere la bottiglia e farla tornare alla luce dopo così tanti anni. Come se il passaggio dall’oscurità al chiarore potesse danneggiare o compromettere quella fragile creatura. Alla fine mi decisi ad estrarla dalla sua fidata custodia ma mi resi subito conto che era inaspettatamente troppo leggera. Mi affrettai a completare l’operazione e lo stupore si tramutò in sbigottimento quando mi resi conto che la bottiglia era vuota. “No, non può essere!” Il tappo era ancora ben chiuso ma dello champagne non c’era più neanche una goccia. Era possibile che potesse essere completamente evaporato in questi anni? Si avvicinarono tutti intorno a me, incuriositi dalla mia esclamazione. Cercavamo di scorgere qualche particolare che servisse a svelare l’arcano. “C’è qualcosa là dentro.” Disse improvvisamente Carlo. Il vetro della bottiglia era volutamente scuro per poter proteggere il liquido dalla luce, ma effettivamente, a ben guardare, si poteva scorgere qualcosa all’interno. Sembravano dei fogli di carta piegati, deposti sopra ad un po’ di terriccio. Stappando la bottiglia mi accorsi subito che il tappo non poteva essere quello originale in quanto venne via con estrema facilità, senza fare nessun rumore. Qualcuno l’aveva quindi già aperta e ne aveva bevuto il contenuto per poi nasconderci dentro qualcosa. Il Dom era stato profanato, non era rimasto sotto terra per tutti questi anni, ma perché premurarsi di riporlo ormai vuoto al suo posto? C’erano un sacco di domande rimaste senza risposta ma forse la soluzione era celata in quel biglietto custodito nella bottiglia. Lo estrassi con la dovuta cura e cominciai a leggerlo ad alta voce. Cari amici, mi dispiace di avervi prima illuso e poi deluso ma non avevo un’altra soluzione. La bottiglia l’ho recuperata io qualche giorno dopo che l’avevamo seppellita tutti assieme, non me la sentivo di ab108
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bandonare ad un destino incerto il simbolo così prezioso della nostra amicizia. Dopo poco tempo, sono dovuto partire da Trieste ed ho deciso di portare con me il Dom, per custodirlo gelosamente ovunque fossi andato. Trovai lavoro presso l’ambasciata italiana in Egitto a Il Cairo. Ero tutto gasato da questa prima ed affascinante esperienza lavorativa. Ritenevo di essere stato un privilegiato nel potermi immergere in un lavoro così stimolante che riusciva a soddisfare il mio spirito d’avventura. Dopo pochi mesi però la realtà si rivelò ben diversa dalle mie aspettative. Il lavoro che mi avevano affidato era legato al disbrigo di una serie di pratiche burocratiche e non aveva assolutamente nulla di avventuroso. La mia vita sociale era fallimentare. Non riuscivo a trovare una mia dimensione in quella smisurata metropoli, era troppo dispersiva e mi mancavano le nostre spensierate scorribande triestine. Oltre a tutto ero solo e non era molto facile fare delle amicizie e conoscere delle ragazze. Ho passato dei brutti mesi in cui mi sono più volte interrogato se il mio desiderio di rincorrere un’esperienza in una nazione estera, per soddisfare la mia voglia di sprovincializzarmi, era una mia reale esigenza di vita o semplicemente il frutto della mia irrequietezza. Ad ogni modo avevo sicuramente idealizzato il fatto di lavorare presso una sede diplomatica e sottovalutato i problemi nel vivere in una nazione così profondamente diversa dalla nostra. Una sera, mentre stavo fumando il narghilè in un locale del centro che frequentavo spesso, conobbi il comandante di una piccola imbarcazione che trasportava i turisti ad ammirare le testimonianze della civiltà egizia lungo il corso del Nilo. Hans Schneider era un bell’uomo tedesco di cinquant’anni che viveva da più di quindici anni in Egitto. Si era sposato una donna del posto ed aveva speso tutti i suoi risparmi per comprarsi l’imbarcazione con la quale riusciva a guadagnare quanto gli serviva per vivere, lavorando sei mesi all’anno. 109
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Parlare con quell’uomo così sereno e felice mi aveva dato uno sprazzo di ottimismo. Dopo tutto anche lui aveva dovuto ambientarsi ad una realtà totalmente diversa dalla sua e probabilmente inizialmente ostica, ma la sua pacatezza ed il suo sorriso lasciavano trasparire che era una persona assolutamente realizzata. Sentita la mia storia, fu lui a propormi una vacanza di una settimana con la sua imbarcazione. Mi convinse che visitare i luoghi dell’antico Egitto mi avrebbe fatto entrare in una nuova dimensione mentale e forse sarei riuscito a meglio apprezzare il Paese che mi ospitava. Luxor, Karnac, Abu Simbel erano luoghi che avevo sempre sognato ed ora erano relativamente vicini, mi sembrava assurdo non approfittare di questa opportunità irripetibile. Per la prima volta da quando ero in Egitto ero eccitato ed ansioso, aspettavo con impazienza che arrivasse il giorno della partenza. L’imbarcazione di Hans era più piccola delle normali barche che si vedevano sul Nilo. Lui non si appoggiava ai normali tour operator, preferiva i turisti che si organizzavano le vacanze da soli, ai quali serviva un’imbarcazione d’appoggio. I miei compagni di viaggio erano delle persone veramente simpatiche, per la maggior parte amanti dei viaggi avventurosi e ricchi di un innato amore per la libertà, la natura e le meraviglie costruite dall’uomo. Confrontarmi con quelle persone mi faceva capire sempre di più come la scelta che avevo fatto mi rendeva represso ed infelice. Anche se nessuno di loro voleva dare dei giudizi, le loro esperienze ed il loro modo di affrontare la vita erano sufficienti per farmi ben comprendere che io non ero soddisfatto perché non stavo vivendo come avrei voluto. La più bella sorpresa della mia nuova casa galleggiante fu Nabira, una stupenda ragazza dalla pelle color ebano e dai lineamenti delicati e gentili. Nabira dava una mano a servire ai tavoli anche se l’informalità e l’eleganza dei suoi gesti non potevano farla definire una cameriera. In realtà era la sorella minore della moglie di Hans e come in tutte le brave imprese familiari si 110
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rendeva utile per aiutare il cognato. Normalmente Hans si faceva accompagnare dalla moglie e dalle due figlie, ma Karima era in attesa del terzogenito, il primo maschietto e stavolta era rimasta a casa, sostituita dalla sorella. Dopo la cena passavo le serate sul ponte della barca a contemplare il cielo stellato ed a chiacchierare con Nabira. Le feci promettere di accompagnarmi nella visita di Abu Simbel il più celebre dei monumenti costruiti nella sua terra natia e Nabira si rivelò una splendida ed appassionata guida riuscendo a farmi apprezzare quei territori, apparentemente molto ostici ma ricchissimi di storia. L’antica Nubia era una sorta di congiunzione tra le genti del bacino mediterraneo e quelle dell’Africa Nera. I sovrani egiziani vi avevano trovato oro, minerali, legni pregiati, schiavi, ma la caratteristica più preziosa del territorio erano senza dubbio le donne con la loro incomparabile bellezza. Trascorrendo il tempo con Nabira mi accorgevo che non avrei potuto più fare a meno di lei. La sua incredibile avvenenza fisica si accompagnava ad una dolcezza e ad una serie di attenzioni a cui l’uomo occidentale non era più abituato. Dopo la visita di Abu Simbel, in una sorta di sindrome di Stendhal, mi rivelai. Le dissi che ne ero follemente innamorato e che volevo trascorrere con lei il resto della mia vita. Lei era l’unica opera d’arte che volevo avere davanti agli occhi, ogni giorno. Nabira mi rispose che mi amava con tutto il cuore e che sarebbe stata felice di essere la mia sposa, ma che dovevo rifletterci bene perché il suo desiderio sarebbe stato quello di non abbandonare il suo villaggio, i suoi affetti ed il suo modo di vivere. Capiva però che per me sarebbe stato molto difficile adattarmi ad una nuova dimensione che non mi apparteneva. Ero curioso di esplorare il suo mondo e di condividerlo con lei. Decidemmo allora che mi sarei trasferito per un periodo di prova e poi avremmo preso una decisione definitiva. La vita del villaggio mi sembrò subito un paradiso ri111
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spetto alla prospettiva di tornare a Il Cairo. I ritmi scorrevano lenti e tranquilli ma la noia era un concetto inesistente nella cultura dei Nubiani, che si nutrivano di cose semplici, privilegiando l’essenza dello star bene. Riscoprii sensazioni che avevo scordato o che probabilmente non avevo mai vissuto così intensamente. Il contatto con la terra, con la natura, con gli animali, in un ambiente ancora poco contaminato dalla tecnologia e dallo stress della società occidentale. Venivo rapito dalla bellezza di quei posti, dai paesaggi, dai colori, dalla luce e dalla bellezza interiore delle persone, che mi accolsero a braccia aperte senza remore e pregiudizi. Un capitolo a parte era poi rappresentato dalle donne nubiane che costituivano ogni giorno un’incredibile scoperta. Ma al di là della curiosità che mi portava ad osservarle, io avevo occhi sono per Nabira e non avrei neanche potuto pensare di dividere il mio tempo con un’altra donna. Mi sentivo cambiato, stavo abbandonando tutti i principi che avevano guidato la mia vita, ma ne ero felice. Non approvavo incondizionatamente tutte le abitudini del villaggio, ma sentivo un grande rispetto per quelle persone e per il loro modo semplice e coerente di interpretare la vita, sempre uguale, da migliaia di anni. Dopo venti giorni che ero al villaggio mi sembrava di impazzire. Trascorrevo gran parte del mio tempo con Nabira ma il mio desiderio nei suoi confronti non era realizzabile finché non fossimo stati sposati. Le dissi che ero sicuro e deciso di abbandonare tutto per lei, che non avrei voluto più tornare indietro nei miei passi e che desideravo sposarla al più presto. Per le ragazze nubiane il matrimonio è l’evento più importante della vita, in questa giornata diventano il fulcro dell’attenzione, cosa che non capiterà mai più ad una donna. Durante la giornata delle nozze, la sposa viene decorata con l’hennè, truccata e pettinata per apparire più bella agli occhi del suo sposo ed il corpo della ragazza viene per la prima volta completamente depilato e tale verrà mantenuto in seguito. Ci volle una settimana per completare tutti i preparativi 112
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e per avere l’investitura da parte del capo villaggio, ma finalmente arrivò il giorno tanto desiderato. Hans mi fu vicino nel farmi comprendere tutti gli aspetti della tradizione che dovevo conoscere e da quel momento divenne per me come un fratello maggiore. Lo sposo tradizionalmente trascorreva la notte prima del matrimonio in solitudine ed io decisi di appartarmi nel deserto. Era una bella serata ed il silenzio regnava sovrano, ma non riuscivo a chiudere occhio. Guardavo il cielo raccogliendo manciate di sabbia facendole scivolare tra le mani. Dovevo soddisfare il bisogno di un contatto fisico con l’elemento che mi ospitava, percepivo la forza infinita della natura ma allo stesso tempo la sua precarietà e fragilità . Pensavo ai bei momenti vissuti in passato e soprattutto ai tanti episodi trascorsi con voi nella nostra Barcola. Sognavo di tornare ad essere la persona spensierata e felice di prima ed ero sicuro che in quel posto, con Nabira, avrei potuto esserlo. Camminare sui granelli di sabbia resi freschi dalla sera mi rendeva felice e non mi faceva temere nulla. Quella terra deserta e sconfinata rapiva il mio sguardo come quando mi perdevo ad ammirare il golfo di Trieste. Dopo tutto le stelle del cielo erano le stesse e brillavano in quella serata più che mai. Non ebbi più nessun contatto con i miei datori di lavoro ne mi feci mai vivo con i miei parenti. La mia era stata una scelta definitiva, senza possibilità di ritorno, volevo ripartire da zero e costruirmi una nuova vita in cui mettevo al centro di tutto il mio amore per Nabira. Vivemmo degli anni stupendi, con l’unico rammarico di aver potuto avere una sola figlia perché mia moglie ebbe delle complicazioni durante il parto che non le consentirono più di procreare. Quel poco che ci serviva per vivere lo ricavavamo dalla terra o dalla vendita di alcuni oggetti d’artigianato che realizzavamo insieme e davamo ad Hans perché li vendesse ai suoi turisti. L’unico labile legame con il mio passato divenne il Dom. Mi ero pentito di averlo estratto dal suo comodo e probabilmente sicuro giaciglio, ma ormai la frittata era fatta. 113
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Mi sentivo colpevole di aver privato i miei amici della possibilità di festeggiare, un giorno, il suo disseppellimento. Nabira conosceva bene questo mio cruccio e quando fui colto improvvisamente da una malattia incurabile, fu lei, nella sua semplice e schietta interpretazione della vita, fatta di vicendevoli momenti belli e brutti, a suggerirmi cosa fare. I Nubiani usavano spargere le ceneri dei loro cari nelle dune del deserto, per riconsegnare alla terra ciò che proveniva dalla terra. Trascorrevano il riposo eterno in una delle zone alle quali erano più affezionati. Nabira mi chiese a bruciapelo qual’era il posto al quale ero più legato affettivamente, dove avrei voluto far giacere le mie spoglie per sempre. Io ci pensai un attimo, ma in realtà non avevo dubbi. Avrei voluto tornare a Trieste, a Barcola , al Bivio, era il posto che sentivo più vicino. Considerato il fatto che non avrei più potuto vivere con Nabira, era là che volevo tornare. “Allora i tuoi amici avranno nuovamente il loro Dom con il quale festeggiare qualcosa di importante.” Fu questo il commento di Nabira. Chiamammo Anelie e le spiegammo cosa avevamo pensato e cosa avrebbe dovuto fare per suo padre. Nabira non voleva lasciare la sua terra, non l’aveva mai fatto e poi ad Anelie avevo insegnato a parlare l’italiano e questo le sarebbe servito per ciò che avevamo in mente. Le affidai una minuziosa mappa che racchiudevo nella mia mente, per rintracciare il posto dove riporre la bottiglia, e le diedi un bacio in fronte con la dolcezza che può avere solo un padre nei confronti della figlia. Mi misi a scrivere i messaggi per tutti voi ed alla fine scrissi queste poche righe con le quali ho cercato di spiegarvi vent’anni di vita, le emozioni che ho provato e con le quali vi saluto per l’ultima volta. Non mi restano che pochi giorni da vivere con la mia amata Nabira ma voglio che sappiate che dopo di lei e la mia splendida bimba, voi siete le persone a cui tengo di più. Vi chiedo solo un ultimo piccolo desiderio. 114
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Vorrei che gettaste in mare, dalla terrazza del Bivio, le mie ceneri custodite nel Dom. Mi piacerebbe che da li cominciasse un momento di festa. Dopo tutto è l’occasione per stare assieme per l’ultima volta e mi piacerebbe farvi trascorrere una serata allegra e godereccia come i bei momenti che abbiamo sempre vissuto assieme. Vi voglio bene. Nicola Anche nel suo ultimo ed estremo atto Nicola aveva saputo sorprenderci. Alle volte i silenzi sanno raccontare molto più delle parole e guardandoci in volto si percepiva lo stupore e l’ammirazione per come Nicola aveva sempre saputo gestire le situazioni con un’ineguagliabile genuinità e leggerezza. Queste sensazioni prevalevano sulla tristezza per aver perso un amico. Eravamo consapevoli che la sua essenza non si sarebbe mai persa e ci avrebbe accompagnato come un modello a cui fare riferimento. Carlo fu il primo a riprendersi dopo quelle parole. “è sempre stato un grande, è stato veramente un’ onore avere un amico così.” “A me mancherà moltissimo anche se erano anni ormai che non sapevamo niente di lui. Sapere che non è più in circolazione a donare la sua energia e la sua originalità mi fa star male.” Aggiunse Andrea. “Proprio adesso che aveva trovato la sua completa realizzazione e che aveva saputo appagare la costante voglia di cambiamento grazie all’amore.” “è vero Luca, siamo tutti distrutti dalla tristezza, ma adesso dobbiamo festeggiarlo degnamente. I nostri commenti da funerale non gli sarebbero piaciuti, amava troppo la vita per non averne rispetto. Adesso torniamo in terrazza e si fa un gran casino. Devono sentirci sino in Piazza Unità. All’alba eseguiremo il compito per il quale siamo stati radunati.” Dopo le mie parole continuammo il nostro percorso.
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L’atmosfera della festa
Mentre ci avvicinavamo al Bivio cominciammo a sentire il rimbombo della musica, sembrava essere in corso un grande rave party. C’eravamo assentati solo per un paio d’ore, come si era potuto creare tutto quel baccano? Giunti in prossimità della terrazza vedemmo una marea di persone che muovevano ritmicamente i loro corpi, i tavolini erano spariti e l’atmosfera appartata del ristorante si era trasformata in una discoteca in riva al mare. Entrammo nel locale per cercare Anelie e lei ci accolse con uno splendido sorriso di complicità, che assomigliava a quello del padre. “Ce l’avete fatta finalmente, forza ragazzi che la festa è già iniziata.” Io per primo avevo chiesto ai miei compagni di abbandonare quell’aria triste da funerale. Gli eventi erano però così repentini che non riuscivo a metabolizzare un accadimento senza che subito si intersecasse una nuova sorpresa. Dovevo parlare assolutamente con Anelie, non me la sentivo di buttarmi nella mischia facendo finta di niente. “Cos’è questa confusione? Come siete riusciti a radunare tutte queste persone?” Le chiesi urlando per non essere sopraffatto dal volume della musica. “Quando papi se n’è andato, un paio di giorni dopo avervi scritto, ho pensato che gli sarebbe piaciuta una grande festa 116
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con tanta gente, per dare l’ultimo saluto alla sua città. Lui mi raccontava sempre di come eravate abili ad infilarvi alle feste private anche solo avendo dei piccoli indizi, il nome di una via o il nome del festeggiato. Mi aveva anche raccontato che le feste più belle erano quelle che duravano poco, perché voleva dire che il baccano era stato tale da far sopraggiungere la polizia, con l’arrivo della quale finiva immediatamente l’incantesimo. La vostra abilità stava nel riuscire ad andare via un po’ prima dell’arrivo delle forze dell’ordine, per continuare la serata da un’altra parte. Il mio racconto preferito era di quella volta in cui avevate organizzato voi una festa in Carso, a casa di Andrea, ed un sacco di gente sconosciuta si era imbucata presentandosi a papà in qualità di amici di Nicola. La festa riuscì benissimo, durò solo un ora e mezza. Il povero Andrea però non poté uscire di casa per più di un mese, finché i suoi genitori non sbollirono l’arrabbiatura. Ho provato a pensare quale fosse il metodo più efficace per far arrivare più gente possibile alla festa di papà e mi è venuta l’idea di mettere l’annuncio di un party su facebook. Ho creato un gruppo dal nome i frequentatori del Bivio e poi ho lanciato l’appuntamento per una mega festa. Il risultato è quello che vedi. Ci sono almeno due generazioni di persone che ballano e si divertono al ritmo della musica.” Avrei voluto incalzare Anelie con centinaia di domande riguardanti suo padre ma non mi sembrava il caso, in quel contesto così gioioso e spensierato, così mi limitai ad un semplice invito. “Cosa aspettiamo allora? Andiamo anche noi a far festa.” Mentre ero in pista con quella splendida creatura, che avevo appena scoperto essere la figlia del mio migliore amico, mi accorsi di essere circondato da un sacco di volti conosciuti. Molte erano persone con cui non avevo mai scambiato una parola, ma erano facce che avevo incontrato un sacco di volte al Bivio, dei veri habitué. C’era il palestrato che occupava il posto in prima fila, adiacente al mare e riscuoteva molto successo con le ragazze. Non avevo mai capito come potesse essere sempre presente 117
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a tutti gli orari e riuscisse costantemente ad occupare la sua piazzola, quasi ne avesse acquisito un diritto di prelazione. C’era la ragazza che chiamavamo the body per il suo fisico scultoreo che sembrava scolpito nel marmo. Il tempo era stato un po’ impietoso con lei, la perfezione del suo corpo si era trasformata in flaccida mollezza, mentre il suo bel viso, che una volta pochi osservavano, era rimasto quasi intatto al passare degl’anni. C’erano i gruppi degli sportivi. I giocatori di football americano, quelli di basket, ancora perfettamente riconoscibili dalle spiccate caratteristiche fisiche, ma tutti ormai arrotondati dalle molte birre trangugiate e dall’attività fisica ormai rarefatta. C’era il fotografo giramondo al quale piaceva raccontare le sue avventure nei Paesi più improbabili. Il sospetto di tutti era però che fosse un novello Salgari, che non si fosse mai allontanato da Trieste e usasse i suoi racconti per rendersi affascinante agl’occhi delle ragazze. C’era il gruppo di ragazze che si esibivano in quella che era la vetrina più ammirata della città. A turno qualcuna abbandonava la compagnia quando riusciva a catturare un compagno per l’estate, per poi ritornare inesorabilmente nel gruppo. C’erano gli scienziati provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo, che studiavano al vicino centro di fisica di Miramare. Alcuni di loro decidevano di restare a vivere a Trieste, altri erano solo di passaggio. C’era la coppia di fidanzati che si tenevano sempre per mano e vivevano in perfetta simbiosi, ma quella sera erano ognuno per conto proprio. C’era la poetessa, sempre accompagnata dal suo golden retriver, che era diventato la mascotte di tutti noi. C’erano i molti professionisti, avvocati, commercialisti che in quel contesto si liberavano della loro divisa lavorativa per godersi la libertà di restare in costume. C’erano gli amanti dell’attività fisica che si vedevano solo nelle ore serali e che sfruttavano lo specchio d’acqua per farsi una lunga nuotata alla fine di una giornata di lavoro. 118
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Ma soprattutto c’era lei. Era dalla serata in cui avevamo seppellito il Dom che non la vedevo, ma l’attesa non era stata vana. Era più bella che mai, il tempo le aveva donato una consapevolezza ed una personalità che avevano amplificato la bellezza dei suoi lineamenti. “Ciao Stefano, ce l’hai ancora il mio numero di telefono o l’hai consumato per il troppo uso?” La sua battuta di spirito aveva quasi il tono stizzito di un rimprovero, ma il sorriso successivo tornò a restituirne la giusta sfumatura. “Sono contenta di vederti, devo ammettere che un po’ ci speravo.” Stavolta non ero riuscivo a cogliere con quale sfumatura venisse colorita tale affermazione. “Sei affascinante come al solito ed anzi il capello brizzolato ti rende più interessante. Sarai sicuramente preso di mira da un sacco di donne, ma questa sera potrai dedicare un po’ di tempo anche ad una tua vecchia amica, spero?” Continuò con quel tono misto tra sarcasmo e adulazione. C’era qualche particolare che mi stava sfuggendo, che facesse parte anche questo dell’organizzazione di Nicola ed Anelie? Com’era possibile che una donna dal fascino così prorompente mi facesse delle avance così esplicite e poi Elena non la ricordavo così aggressiva. Ma in fondo non ci eravamo frequentati molto e poi erano passati venticinque anni da quando ci eravamo conosciuti la prima volta. Le persone possono cambiare radicalmente in questo lasso di tempo. Improvvisamente mi resi conto che Elena mi aveva visto ballare con Anelie, che era là vicina a me a godersi la scena. Con un colpo da maestro mi avvicinai alla mia figlioccia mulatta e baciandola teneramente le dissi. “Ti prego cara lasciaci un po’ da soli, è da un sacco di tempo che non vedevo questa mia amica.” Anelie stette al gioco e mi rispose. “Va bene amore, ma non abbandonarmi per molto tempo, lo sai che senza di te mi annoio.” Presi sotto braccio Elena e ci dirigemmo verso l’angolo meno caotico della terrazza, dove la musica era meno invasi119
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va e le luci più rarefatte. Stavolta fui io a prendere l’iniziativa. “Come mai da queste parti? Ti facevo in giro per i teatri di tutto il mondo.” “Ecco appunto, Trieste fa parte del mondo mi sembra. Sto allestendo la Carmen per il teatro Verdi.” Il suo tono continuava a non essere particolarmente rilassato. “Che bello ti stai specializzando nell’opera? È un lavoro che ti riempirà di soddisfazioni, le scenografie sono un aspetto di fondamentale importanza per le opere liriche.” Provai a mettere un pizzico di dolcificante in quell’atteggiamento da yoghurt scaduto. “Si, devo dire che dal punto di vista professionale non mi posso lamentare, faccio un lavoro bellissimo che mi riempie di gratificazioni e riesce a far sfogare la mia creatività. Ti confesso però che le continue trasferte, in giro per l’Italia e per l’Europa, senza avere una base d’appoggio da poter considerare come casa mia, alla lunga cominciano a pesarmi. Anche tu non te la passi male comunque, la tua amichetta potrebbe avere l’età di tua figlia ed è veramente molto bella.” “Anelie è un tesoro però devo ammettere che l’età molte volte è una barriera insormontabile. Talvolta sento il bisogno di avere vicino una vera donna con la quale potermi confrontare alla pari e condividere patemi ed apprensioni oltre che dolci momenti d’intimità.” Provai a confezionare una risposta pensando a quello che avrebbe voluto sentirsi dire. “Io invece sento la mancanza di un po’ d’affetto. Non puoi capire cosa voglia dire cambiare ogni settimana stanza d’albergo, conoscere sempre un sacco di gente nuova ma contemporaneamente sentirsi sola anche in mezzo alla folla. Non ci crederai, ma quando ti ho rivisto è stato come se avessi incontrato un intimo familiare, anche se ci saremmo frequentati si e no una decina di volte. Tutte le persone legate alla mia giovinezza mi danno una sensazione di serenità e mi fanno sentire a mio agio come se stessi in famiglia.” Le sue parole sembravano il frutto di uno sfogo represso da lungo tempo. Allontanatasi Anelie la sua voce aveva ac120
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quistato un tono limpido e trasparente. “Mi fa piacere farti sentire a tuo agio, è bello poter rendere una persona felice. Penso che se mi avessi detto le stesse cose venticinque anni fa probabilmente sarei svenuto. Ti vedevo come un miraggio inavvicinabile, ero segretamente innamorato di te, ma tu mi sembravi così perfetta che non avrei mai osato pensare che potessi interessarti a me.” Mi venne spontaneo rompere gli indugi e dirle tutto quello che non avevo mai osato confessarle. “Invece ti ho sempre trovato dolce, carino e molto interessante, ma eri fidanzato e lei non ti mollava un secondo, poi le nostre strade si sono presto divise.” Il suo viso mi apparve così bello e desiderabile ed allo stesso tempo così triste e fragile. Istintivamente mi avvicinai e le sfiorai il viso. Lei si abbandonò completamente al mio desiderio, affamata di un po’ d’intimità e d’affetto e mi diede un lungo e profondo bacio sulla bocca. Un onda, infrangendosi sugli scogli, fece schizzare alcune gocce salate sui nostri volti e le nostre lingue voraci si nutrirono del gustoso pasto. Sembravamo dei ragazzini che provavano per la prima volta i brividi della conoscenza dell’altro sesso. La nostra voglia l’uno dell’altra aveva pazientato per molti anni ma non si era per niente affievolita, anzi era stata rafforzata dal desiderio dell’attesa. Ripreso fiato dalla lunga apnea fui il primo a parlare, probabilmente condizionato da quanto avevo da poco appreso in quella serata. “Se dovessi morire in questo momento morirei contento.” “Io invece non ci penso neanche a morire, adesso che ti ho ritrovato voglio godermi questo momento fino in fondo.” Mi prese per mano e ci allontanammo dalla terrazza dirigendoci verso il castello. Arrivammo al cancello principale ed Elena lo scavalcò agevolmente aggirando la ringhiera dal lato del mare. Poi mi invitò a raggiungerla. Un passo falso questa volta mi avrebbe fatto sfracellare sui faraglioni che si incastonavano nella baia come delle pietre preziose. Ma non esitai un attimo a seguirla. 121
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Mentre ero in precario equilibrio, in piena fase di scavalcamento, commisi l’errore di guardare verso il basso e mi prese un profondo senso di vertigine. Per fortuna la mano ferma e sicura di Elena mi aiutò a superare quel momento di difficoltà. Ero completamente in sua balia. La luna, rifrangendosi sulla sagoma bianca del castello, irrorava una luce irreale e fu proprio nel prato di fronte alla dimora di Massimiliano e Carlotta che trovammo il nostro giaciglio. I nostri corpi furono subito nudi. Cercavano disperatamente l’uno il calore dell’altro. Facemmo sesso istintivamente, come avrebbero potuto farlo degli animali in calore che scelgono il compagno in base alle sensazioni olfattive ed improvvisamente il tempo non ebbe più significato. Entrammo in una nuova dimensione fatta di emozioni e sensazioni che si svincolava dai limiti spazio-temporali. Quando ci riprendemmo da questa condizione di estasi ebbi la sensazione di aver appena esaurito l’effetto di qualche fungo allucinogeno. Sembrava che i nostri corpi riprendessero la loro autonomia dopo essersi a lungo fusi in un corpo solo. Restammo per un po’ distesi, senza parlare. Non c’era niente da aggiungere a quanto avevamo già espresso l’uno all’altra. “Fra un po’ sarà bene tornare indietro, qualcuno potrebbe accorgersi della nostra prolungata assenza.” Furono le prime parole di Elena dopo il lungo periodo di silenzio. Probabilmente stava pensando al fatto che avevo abbandonato la mia compagna alla festa. “Stasera dobbiamo festeggiare un amico e forse mi avranno già cercato per presenziare alla cerimonia.” Di colpo mi venne in mente l’ultimo desiderio di Nicola. “Cosa festeggiate, un compleanno?” Mi chiese Elena incuriosita. “No, una ricorrenza un po’ più importante, la fine di un ciclo e l’inizio di una nuova avventura.” “Qualcuno che parte? Beh dovrei festeggiare tutte le set122
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timane allora.” “Si, ma questo è un viaggio di sola andata, senza possibilità di ritorno.” “Dai, non esagerare, c’è sempre una seconda possibilità. Basta saperla cogliere e decidere di dare una svolta alla propria vita.” Forse la sua frase era allusiva, forse no, ma non lo saprò mai. Non ebbi il coraggio di approfondire a cosa si riferisse. Facemmo il percorso a ritroso verso il Bivio senza parlare di quanto era successo, avevamo paura di rovinare tutto. I nostri treni correvano su due binari paralleli che non si sarebbero più incontrati. C’era stato un unico occasionale deragliamento che era sfociato in un’esplosione dei sensi. Arrivati alla terrazza Elena mi baciò dolcemente per l’ultima volta e se ne andò via. “Ti lascio ai tuoi amici, alla tua donna ed alla vostra cerimonia. è strano però che ogni volta che ti incontro hai qualcosa di importante da fare. Ti ho messo il mio nuovo numero di telefono nella tasca dei pantaloni, vedi di non fargli fare la fine di quello vecchio. Grazie della bella serata, Stefano.” Rimasi per un po’ immobile guardandola andar via, con passo sicuro, per la sua strada piena di soddisfazioni professionali che non poteva condividere con nessuno. Riuscii solo ad esclamare un ciao a fior di labbra, che non avrebbe potuto esser colto da nessuno. La cosa strana era che dovevamo portare a compimento la missione iniziata l’ultima volta che l’avevo vista, vent’anni prima. Ma lei sarebbe rimasta ignara di questa anomala coincidenza. La festa sembrava riuscire alla perfezione. Dalla mia posizione non era possibile distinguere le fisionomie delle persone, ma erano tutti scatenati nelle danze e decisi di buttarmi anch’io nel mezzo della bolgia. Nicola si sarebbe certamente divertito al suo funerale. La gente così accalcata mi fece affiorare un nuovo ricordo legato al mio amico. 123
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Eravamo in una discoteca in Spagna e Nicola mi fece la proposta di fare un “touch the bottom race”. La sfida che mi aveva lanciato consisteva nell’attraversare l’intero locale, cercando di toccare il maggior numero di sederi di ragazze, senza farci beccare. Le reazioni delle vittime erano le più diverse. Alcune non si scomponevano, probabilmente non badavano troppo ai possibili contatti in mezzo alla calca. Altre pensavano fosse il loro ragazzo che era stato colto da un raptus irrefrenabile. Ma alcune partivano con un ceffone ben assestato al primo malcapitato che ne sembrasse il responsabile. Bisognava quindi colpire e dileguarsi. Avevamo acquisito una certa pratica nel non farci beccare ed arrivammo entrambi indenni alla meta. “Quattordici” Esclamò Nicola. “Io diciassette, stavolta ti ho fregato.” Era la prima volta che riuscivo a batterlo. Erano state fondamentali le quattro toccate con ceffone tirato ad un incolpevole malcapitato, che nel nostro particolare punteggio valevano doppio. Avevo conquistato il diritto di indossare la maglietta di campione di touch the bottom race. Il disegno che vi campeggiava era stato realizzato personalmente da noi e lasciava poco spazio all’immaginazione su quale fosse l’argomento della contesa. Suggestionato dal ricordo mi cadde l’occhio su un bel sedere femminile che si stava muovendo al ritmo della musica proprio di fronte a me. Decisi di testare se la mia sensibilità nel tocco era rimasta quella di una volta, ma la manovra non ebbe successo. La vittima si girò, mi guardò negl’occhi e colpendomi in maniera più ficcante che se mi avesse tirato uno schiaffo, esclamò. “Stefano! Non hai ancora finito di fare il cretino alla tua età?” Il suo viso era sempre sorridente e sereno come una vol124
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ta, non sembrava che avesse superato anche lei da un po’ i quaranta. L’abbigliamento giovanile risaltava la perfetta forma fisica che aveva mantenuto negl’anni. Mi sentii in imbarazzo, ma ero contento di rivederla. “Lo so che ti è sempre piaciuto il mio sedere ma pensavo riuscissi a trattenerti.” Avevo sempre amato quel suo modo di ironizzare sulle cose. Mi sarebbe piaciuto replicare in maniera brillante ma non ebbi la battuta pronta e non feci altro che dirle ciò che era realmente accaduto. “è vero, non ho mai saputo resisterti, ma stavolta era solo una prova con me stesso, per vedere se avevo ancora il coraggio di fare certe ragazzate. Non mi ero accorto che eri tu.” “Speravo fosse uno scherzo dovuto al fatto che mi avevi riconosciuto, non sarai mica diventato un molestatore di professione?” Lei ne approfittò per rincarare la dose. “Dai non esagerare e poi teniamocelo per noi questo episodio. Mi sono appena riappacificato con tuo marito, non vorrei che non ci parlassimo per altri vent’anni.” “Tranquillo, lui non si arrabbierebbe mai per una cosa di questo tipo e poi possiamo chiederglielo visto che è proprio qua vicino a me.” Da quando mi ero appartato, il gruppo si era disperso e Luigi aveva incontrato Giovanna che era uscita con delle amiche. Nei suoi confronti non avevo mai provato del risentimento, tutto il mio rancore si era sfogato solamente su Luigi. Ancora adesso, nel rivederla, sentivo in lei qualcosa di familiare che non si era mai sopito, pur essendo passati molti anni. Luigi appena mi vide mi venne incontro sgridandomi per essere sparito. “Che fine avevi fatto? Il nostro posto è qui stasera, dobbiamo presenziare alla festa di Nicola, se no che funerale sarebbe.” Per un attimo pensai di cercare una scusa plausibile ma 125
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subito dopo mi resi conto che non avevo nessuna intenzione di giustificarmi con lui e chiusi definitivamente l’argomento. “Ti assicuro che Nicola avrebbe approvato il motivo per cui mi sono allontanato. Dove sono gli altri?” Oltre a lui e Giovanna non riuscivo a scorgere più nessuno del nostro gruppo nei dintorni. “Ognuno ha incontrato qualche vecchio amico e si è fermato a rivangare i tempi passati.” Rispose Luigi. Mi soffermai a guardare i volti sorridenti delle persone che mi circondavano e mi parse di cogliere una sfumatura di stanchezza ed appagamento nei loro sguardi. Sembrava quasi che cercassero a tutti i costi di divertirsi anche se non avevano più molta voglia di ballare e dimenarsi. Si sforzavano di replicare un contesto che li aveva visti protagonisti quand’erano più giovani, ma che in realtà non era più il loro mondo. Serviva qualcosa di diverso che rompesse l’inerzia della serata e la riportasse sui binari dell’imprevedibilità. “Che ne dici di fare un tuffo in mare prima di iniziare la cerimonia?” Avevo appena finito di proferire quelle parole che Luigi cominciò a spogliarsi restando in mutande. Al grido di banzai si diresse di corsa verso il mare, esibendosi in una bomba americana con il chiaro intento di bagnare più gente possibile. La sua prontezza di spirito sorprese anche me che ero stato il promotore dell’iniziativa, ma la cosa strana fu la reazione delle persone che stavano ballando. Quasi come fossimo nella fiaba del pifferaio magico molti di loro cominciarono a togliersi i vestiti ed a seguire il mio amico nel suo tuffo serale. In breve tempo più di cinquanta partecipanti alla festa si gettarono in mare senza preoccuparsi della temperatura dell’acqua o di come avrebbero fatto ad asciugarsi una volta usciti. Io e Giovanna ovviamente non potemmo esimerci dal partecipare a quella festosa cagnara. Ci togliemmo i nostri indumenti e ci tuffammo tenendoci per mano, in quel tratto di mare un tempo a noi così familiare. 126
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Le persone in acqua cominciarono a schizzare quelli rimasti sulla terrazza che dovevano decidere a loro volta se unirsi al gruppo degli aggressori o se defilarsi ad opportuna distanza per non farsi bagnare. In breve tempo sembrò di ritrovarsi sotto alle cascate del Niagara tanta era l’acqua che veniva smossa. Ora gli sguardi non lasciavano trasparire nessuna forzatura, il divertimento ero diventato puro e sincero. I primi che cominciarono a risalire a riva constatarono quanto la brezza serale potesse essere fredda e pungente su dei corpi ancora bagnati e privi di teli per asciugarsi. Si formò così uno spontaneo aggrovigliamento di corpi che cercavano ciascuno il calore dell’altro. Ognuno provava ad avvicinarsi a delle persone conosciute, ma anche quando ciò non era possibile, il freddo induceva egualmente a cercare un contatto fisico. Si formarono delle coppie improvvisate ed alcune indugiarono nella reciproca conoscenza ben oltre ai normali limiti consentiti. Appena uscito dall’acqua mi resi conto personalmente di come si stava meglio dentro al mare, ma per fortuna Anelie mi corse incontro con un asciugamano. Si accorse che stavo battendo i denti dal freddo ed allora mi abbracciò calorosamente cingendo il suo morbido corpo al mio, fino a quando ripresi una temperatura più umana. Quando si staccò da me mi diede un bacio affettuoso per completare la sua opera da crocerossina, ed io passai dal freddo glaciale ad una vampata di calore. “Forse dovremmo cercare gli altri, si sta facendo tardi, la cerimonia è meglio farla prima che arrivino le prime luci dell’alba.” Con questa frase cercai di stemperare il rossore del mio viso. “Va bene, dividiamoci allora, così faremo prima. Man mano che li ritroviamo li facciamo andare all’ingresso del locale, sarà il nostro punto di ritrovo.” Propose Anelie. Guardai l’orologio, erano le tre e venti. C’erano ancora un sacco di persone ma non era facile 127
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distinguerne le fisionomie sia per l’oscurità sia per il fatto che si erano formate molte coppie, vecchie o nuove, che si intrattenevano in tenere effusioni. Sbirciavo distrattamente per cercare di riconoscere qualcuno dei miei amici, purtroppo era l’unico modo per riuscire a rintracciarli. Mi imbattevo in volti felici e rilassati e provavo un certo disagio nel profanare la loro intimità. Era stata una gran festa anche se non era arrivata la polizia ad interromperla. Le persone si erano divertite, ignare del fatto che in realtà stavano partecipando ad un funerale. L’atmosfera si era gradualmente riscaldata ed ora il contesto era quello giusto per completare la missione a cui eravamo stati chiamati e che ormai non poteva più attendere. Dopo aver incrociato un po’ di sguardi corrucciati dal mio insistente sbirciare, finalmente mi imbattei in Luca che stava parlando con un suo vecchio compagno delle elementari. “Pensa Stefano, non ci vedevamo da più di trent’anni eppure ho riconosciuto qualcosa nel suo sguardo che mi ha subito insinuato il dubbio. Ho sempre avuto la capacità di ricordarmi le fisionomie delle persone, mentre difficilmente riesco a ricordarmi i nomi. Mia moglie alle volte mi prende in giro dicendomi che dovrei fare gli identikit per la polizia scientifica, ma in realtà questa caratteristica è risultata spesso utile a risolvere situazioni difficili o imbarazzanti. Un giorno ad esempio, lei stessa ha cominciato ad inveire contro un vigile urbano, colpevole a suo dire di averci fermato mentre ci stavamo recando ad un appuntamento col dentista. Peraltro già con un sensibile ritardo. Per fortuna sono riuscito a fermarla in tempo, facendole notare che il vigile era il padre di un bambino che era a scuola con nostro figlio.” Luca avrebbe continuato nella sua conversazione all’infinito, mentre io cercavo di interromperlo, ma con scarso successo. Finché me ne diede lui l’occasione. “Giovanni da maggio ad ottobre noleggia barche a vela, e per il resto dell’anno se ne sparisce a girovagare per il mondo. Non trovi sia un modo di vivere affascinante?” Finalmente la sua domanda interrompeva il record di ap128
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nea che stava compiendo e dava a me la possibilità di intromettermi. “Beh si, sarebbe un po’ il sogno di tutti, pochi però hanno il coraggio di concretizzarlo. Siamo così legati alla nostra quotidianità che difficilmente riusciamo a staccare completamente per un periodo così lungo. Ho conosciuto comunque una persona che viveva quotidianamente inseguendo i propri sogni e le proprie fantasie ed anzi è giunto il momento di salutarla. Si è fatto un po’ tardi, cosa ne dici?” Mandai Luca al punto di ritrovo concordato con la mia nuova figlioccia e continuai la mia ricerca degl’altri. Mi sembrava ormai di aver esplorato ogni angolo, stavo quindi per tornare indietro nella convinzione che Anelie gli avesse già trovati, ma ad un tratto scorsi un movimento dietro agli scogli e mi avvicinai per capire meglio cosa potesse essere. Vidi Andrea che si stava abbracciando ad un altro uomo e mi sentii in imbarazzo nel disturbarli. Ero indeciso sul da farsi, quando improvvisamente il compagno di Andrea si voltò nella mia direzione e la luna ne illuminò i lineamenti che si rivelarono a me ben noti. Non capivo più nulla, cosa voleva significare tutto ciò? Provai a dare una giustificazione logica a quanto avevo visto ma non mi venne in mente nulla di plausibile. Poteva esser stato un malessere a cui si tentava di rimediare con una respirazione bocca a bocca? Il troppo alcool della serata aveva contribuito ad annebbiare le idee? Le mie congetture ebbero presto modo di interrompersi quando Carlo iniziò a parlare. “Stefano, lo so che questa serata ti sta togliendo molte certezze, ma alle volte le cose accadono senza riuscire a dare delle spiegazioni razionali. Il mio lungo girovagare per il mondo mi ha portato a cercare piccole dosi di affetto senza troppi coinvolgimenti. Sentivo la necessità di dare qualcosa agl’altri e di sentirmi un po’ amato, senza più distinguere se si trattasse di uomini o donne. L’importante era trovare delle persone con cui avessi 129
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delle affinità e con cui potessi condividere dei bei momenti, consapevole che sarebbe durato per breve tempo. Era l’unico modo per sentirmi meno solo, ma tutto doveva essere ben chiaro fin dall’inizio, per non farsi del male reciprocamente. Stasera io e Andrea abbiamo avuto una debolezza, dopo tutto siamo entrambi single, bisognosi di un po’ d’affetto e non facciamo del male a nessuno. Siamo amici, ci vogliamo bene e da stasera se è possibile ce ne vorremo un po’ di più ma poi ognuno andrà per la sua strada.” Essere amici non mi sembrava una buona motivazione per baciarsi appassionatamente, ma nonostante fossi rimasto sconvolto da quanto avevo visto cercai di non darlo a vedere. Decisi che non erano affari miei ed andai diretto al motivo per cui ero venuto a cercarli. “Ragazzi, ormai mi posso aspettare di tutto, quindi figuratevi cosa possa essere un bacino affettuoso fra due amici che si vogliono bene. In realtà sono venuto a cercarvi perché pensavamo di procedere con la cerimonia di Nicola prima che sopraggiunga il chiarore del giorno. Gli altri ci stanno già aspettando.” Ci dirigemmo speditamente verso il punto di ritrovo e lungo il tragitto ebbi modo di riflettere sul fatto che tutto sommato la mia vita non era proprio da buttare. Le situazioni che potevano sembrare più stimolanti ed avventurose in realtà creavano spesso dei grandi scompensi e solitudini difficilmente colmabili. La mia esistenza in qualche modo normale racchiudeva invece in se un sacco di piccole gioie e soddisfazioni quotidiane che tendevo a sottovalutare per effetto della routine quotidiana. L’insieme di quelle piccole cose riempiva però di senso la mia vita.
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La cerimonia
Anelie aveva rintracciato Luigi e Giovanna e teneva tra le sue mani il Dom. Eravamo al completo. La musica era ormai spenta da più di mezz’ora e le poche persone rimaste, sparse per la terrazza, si disinteressavano completamente alla nostra cerimonia. Carlo stava fissando una grande pedana di legno che fungeva da palco quando veniva assoldato qualche gruppo musicale ed improvvisamente lanciò un’idea. “Ragazzi, perché non usiamo la pedana come zattera e spargiamo le ceneri al largo. Non vorrei che un refolo di borino ci sorprendesse mentre le liberiamo dalla riva e andassero a finire sul selciato. Mi sembra più suggestivo e più efficace spingersi in mezzo al mare.” La proposta di per se non era male, restava però da capire se una pedana realizzata per altri scopi potesse essere funzionale come mezzo di trasporto marino. “Ma sei sicuro che possa galleggiare?” “Guarda, se devo darti un parere professionale, da ingegnere, non c’è che il metodo empirico per scoprirlo. La gettiamo in acqua e vediamo intanto se galleggia da sola. Se ci sembra abbastanza affidabile un paio di noi si fanno un breve collaudo e se regge al collaudo ci imbarchiamo tutti.” Forse era una pazzia ma decidemmo di provarci. La sollevammo in quattro e la gettammo in mare tenendola ancorata a riva con due scope che avevamo trovato all’interno del locale. Il legno sembrava robusto, era trattato 131
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per essere usato all’esterno e resistere alle intemperie, ma restava da fare la prova galleggiamento. Carlo e Luigi si offrirono volontari per effettuare il collaudo e non indugiarono a lanciarsi sulla zattera per provarne la resistenza. Presero le due ramazze per utilizzarle come remi e li vedemmo allontanarsi nell’oscurità del mare. Dopo una decina di minuti la voce di Carlo si fece sentire. “Coraggio pelandroni cosa state aspettando, questa imbarcazione è un siluro, un incrocio tra la velocità di un motoscafo e la sicurezza di un transatlantico . Forza si sale in carrozza, prima le donne e i bambini.” Non ci restava che affrontare questa ennesima avventura. Non era per niente scontato che l’improvvisata zattera, pur sostenendo il peso di due persone potesse assolvere alla sua funzione anche con sette persone a bordo, ma l’ottimismo di Carlo ci contagiava tutti e poi l’ingegnere del gruppo era lui. Andrea e Luca prima aiutarono Anelie e Giovanna a salire a bordo e poi le raggiunsero lanciandosi dagli scogli. La nostra fragile imbarcazione oscillò pesantemente e l’acqua del mare ne coperse la superficie bagnando le scarpe dei miei compagni d’avventura. “Ma siete pazzi?” Si mise ad urlare Anelie. “Volete che finiamo tutti in acqua? Altro che transatlantico, qua facciamo la fine del Titanic.” Aggiunse Giovanna. “Bisogna sollecitare un po’ la struttura per studiarne la resa. Se ne scoprissimo la fragilità una volta giunti a decine di metri dalla riva sarebbe troppo tardi. Che ne dice ingegnere?” Fu la giustificazione di Andrea. “Dico che manca l’ultimo passeggero a bordo e vista la sua agilità non vorrei dover ricorrere all’utilizzo di una gru per completare l’equipaggio. Forza Stefano, cosa stai aspettando, sbrigati, non è il momento di tirarsi indietro.” Devo ammettere che la prospettiva di farmi trasportare in 132
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mezzo al mare da quel trabiccolo non mi allettava per niente. Ma aveva ragione Carlo, non era il momento di fare lo schizzinoso, era giunta l’ora di dare l’ultimo saluto a Nicola, lui non si sarebbe di certo tirato indietro in una situazione simile. La luna sembrava volermi incoraggiare illuminando il mio percorso. Mi sedetti quindi su uno scoglio sufficientemente liscio ed allungai le gambe per raggiungere il legno ormai già bagnato e scivoloso. Sentii la zattera spostarsi sotto ai miei piedi e cercando di mantenere il contatto con la superficie mi diedi una poderosa spinta con le braccia facendo leva sullo scoglio. La manovra riuscì e mi ritrovai a bordo, seppur in precario equilibrio. Avrei preferito potermi sedere per evitare di ciondolare goffamente spostando il peso da un piede all’altro alla ricerca del bilanciamento. L’acqua però, ad ogni movimento un po’ più accentuato, continuava a trasbordare. I nostri remi improvvisati si rivelarono ben presto poco efficaci a fungere da propulsore per tutto quel peso. Dopo qualche timido tentativo di aiutarci con le mani, capimmo che la soluzione migliore era quella di restare più fermi possibile, aiutando l’inerzia del mezzo con dei colpi di scopa per guidarne il tragitto. Visti dal di fuori dovevamo sembrare piuttosto ridicoli ma ormai sulla riva non c’era quasi più nessuno e le poche ombre che riuscivamo a scorgere erano indaffarate in ben altre attività. Il castello di Miramare, bianco ed illuminato, ci serviva da riferimento per fare una specie di punto nave casereccio ed evitare di allontanarci troppo. Cominciavamo ad essere più rilassati e padroni del mezzo, ormai avevamo raggiunto i giusti equilibri e ben presto raggiungemmo una distanza dalla riva che ci sembrava consona. Carlo fu il primo a rompere il silenzio che si era creato da qualche minuto. “Bene ragazzi, direi che ci siamo. Penso che tocchi a Stefano tenere in mano la bottiglia e dire qualche parola di commiato al nostro amico.” 133
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Non avevo prestato attenzione alla bottiglia durante tutto il percorso ma ora mi accorsi che era saldamente nelle dolci mani di Anelie. “Tieni Stefano, sono anch’io d’accordo che spetti a te.” Non ero abituato ad ergermi a protagonista, ma questa era una cosa che sentivo di voler fare per riuscire a star bene con me stesso e mi resi conto che stavo cominciando a parlare. “Mi sembra così folle ed incredibile quanto sta accadendo. Essere qui con voi dopo molti anni, in mezzo al mare, su un’imbarcazione improvvisata, con questa bottiglia in mano che ho sempre immaginato di poter rivedere in un momento bello e gioioso. Così invece non è, anche se la grandezza di Nicola ha saputo renderlo tale, nonostante le tristi circostanze che l’hanno causato. Quest’ idea di voler festeggiare anche nel momento della sua morte fa parte del suo modo così personale di interpretare la vita. Una caratteristica che ha affascinato chiunque abbia vissuto al suo fianco. Conoscere Nicola ed essere suo amico è stata l’esperienza più incredibile della mia vita. Custodirò gelosamente i suoi insegnamenti ed il ricordo dei bei momenti trascorsi assieme. Grazie di aver accompagnato le nostre vite per un breve ma intenso periodo, adesso ti riconsegniamo al mare che hai amato tanto e che ti custodirà fedelmente.” Non ero mai stato un grande oratore ma queste poche, semplici parole erano ciò che mi sentivo di dire e non mi aspettavo nessuna folla plaudente. Aprii la bottiglia, versai un po’ del suo contenuto nelle mani dei miei compagni di viaggio e sparsi in mare il pugno di ceneri che tenni per me. Sentii Anelie sussurrare. “Ciao papino ti ho voluto un mare di bene.” Riempii la bottiglia d’acqua e lasciai che affondasse anch’essa, come segno tangibile del punto in cui era stata compiuta la cerimonia. Le mani dei miei amici si erano svuotate. Nicola si era 134
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ricongiunto all’elemento che più amava, nel posto al quale era più affezionato. Non saprei dire quanto ci mettemmo a rientrare, ci lasciammo trascinare dalla corrente. Nessuno aveva una gran voglia di parlare, ma stavolta fu Luca a rompere il ghiaccio. “Beh ragazzi fra un po’ arriverà l’alba, che si fa ora? Sarebbe brutto che adesso che ci siamo ritrovati facessimo finire tutto con un addio e la promessa di restare in contatto. Vorrei proporvi un’idea che ho maturato nell’arco della serata. Questa breve esperienza di convivenza in mezzo al mare ed i racconti del mio amico di scuola mi hanno fatto venire la voglia di fare una crociera in barca a vela con tutti voi. Perché non ci prendiamo un periodo di libertà dai nostri impegni per continuare a condividere questa straordinaria avventura insieme? Non ci ricapiterà mai più un’occasione simile. Se siete d’accordo potremmo andare a comprare lo stretto indispensabile e noleggiare un’imbarcazione dal mio amico. Mi ha detto che ne ha una disponibile.” Nulla avrebbe più potuto sorprenderci quella sera ma il fatto che un’iniziativa di questo tipo provenisse da Luca era effettivamente anomalo. Ognuno fece i propri ragionamenti, poi Carlo per primo tese il proprio braccio e con il pollice verso dette il proprio assenso. Ben presto le braccia tese furono sette. L’avventura non era finita. Andammo a riposarci qualche ora nell’ ostello che si trovava a pochi metri di distanza, con l’impegno di ritrovarci alle 16.00 al porto nautico di Muggia, da dove saremmo salpati. Mi svegliai a mezzogiorno, avevo dormito poco più di sei ore, era ormai da anni che non mi alzavo a quell’ora. Uscii all’aperto per vedere se trovavo qualcuno ma se n’erano già andati tutti ed ormai era troppo tardi per provare a farsi portare la colazione. 135
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Mi diedi una veloce rinfrescata e poi il primo pensiero andò subito a mia moglie. Cosa le avrei raccontato? Come avrei giustificato la comunicazione interrotta la sera prima? Provai a ragionarci e mi resi conto che non sarebbe stato un gran problema. Potevo aver finito la batteria o banalmente poteva essermi caduto il cellulare, come in effetti era successo. In realtà la mia preoccupazione derivava dal fatto mi sentivo in colpa ed avevo paura che dalla mia intonazione di voce si potesse capire qualcosa. Accesi il telefono, respirai profondamente e poi decisi di improvvisare. “Pronto? Ciao cara, scusami se ti chiamo solo ora ma è stata una serata molto intensa e piena di sorprese. Alla fine ho scoperto che l’incontro era stato organizzato dalla figlia di Nicola, per il suo funerale. L’appuntamento al Bivio era solo una scusa per invitare tutti noi amici.” “Mamma mia, che modo strano di comunicare le cose. Non preoccuparti caro, mi dispiace di averti incalzato con le mie raccomandazioni, ero solo un po’ preoccupata che eccedessi nei festeggiamenti. Ora che questa storia è finita non vedo l’ora che torni a casa da noi.” Il commento di mia moglie mi parse pacato e rassicurante. “Com’è andato l’anniversario dei tuoi genitori? Sono rimasti soddisfatti?” Aggiunsi io, per non interrompere quell’ atmosfera idilliaca. “Si grazie, è andato tutto a meraviglia, ma mi sembra sospetto il fatto che te ne preoccupi, non è che devi dirmi ancora qualcosa?” Mossa sbagliata, avevo subito innescato il suo sesto senso. “Beh vedi, pensavo di prendermi ancora qualche giorno di riposo dal lavoro. Questo fatto che un mio amico, peraltro coetaneo, sia deceduto, mi ha fatto molto pensare. Ho bisogno di stare ancora un po’ lontano da casa e dai 136
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miei impegni quotidiani per riflettere su me stesso e ripercorrere i luoghi della mia giovinezza.” Mi sembrava di essermi ripreso alla grande ma non era detta l’ultima parola. “Mah, non so, fai pure come credi… …speravo avessi voglia di rivederci, ma posso capire che stai vivendo una brutta situazione. Anch’io qualche anno fa ho perso una mia amica d’infanzia e come ti ricorderai ho passato dei momenti molto difficili. Prenditi il tuo tempo, ma cerca di non sparire a lungo, ti aspettiamo presto. Ti danno un bacio anche i ragazzi. Ciao amore.” Era la seconda volta nel giro di pochi giorni che venivo sorpreso dall’atteggiamento di mia moglie. Forse ero solo un po’ prevenuto nei suoi confronti o forse c’era qualche altro motivo per questo comportamento stranamente accondiscendente. Ora non avevo voglia di pensarci però. Ormai era quasi ora di pranzo e mi venne in mente che non molto lontano da dov’ero, nel porticciolo di Grignano, c’era una bella trattoria in riva al mare, di quelle spartane con le tovaglie a quadrettoni ma dove il cibo era di buona qualità. Presi la macchina e percorsi gli stretti tornanti che mi portavano a Grignano pregustandomi già un buon pranzetto a base di pesce fresco. Forse avrei dovuto immaginarmi che la coppia di persone di mezz’età che gestivano il locale vent’anni prima non avrebbero potuto continuare all’infinito. Ma la delusione fu tanta quando mi accorsi che quell’ accogliente trattoria era stata trasformata in un posto dove cucinavano kebab per asporto. Negl’ultimi anni questi locali erano proliferati anche a Ferrara e non riuscivo a capire come fosse possibile che ne sopravvivessero così tanti. La fame cominciava a farsi insistente ma non avevo nessuna intenzione di scendere a compromessi, quindi decisi di dirigermi verso il luogo di ritrovo. Strada facendo avrei trovato un posto che facesse al caso mio. Dovevo andare all’estremo opposto della città, saranno stati una ventina di chilometri ma la direzione era estrema137
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mente facile, bastava seguire la linea del mare. La radio stava suonando I naviganti, uno dei miei pezzi preferiti di Ivano Fossati. …siamo stati naviganti con l’acqua alla gola… Ormai avevo la precisa sensazione che tutto quello che mi stava accadendo non era frutto del caso. Mi soffermai su cosa avrebbero potuto significare quelle parole, ma ciò che mi veniva in mente non aveva un risvolto piacevole e decisi di sgombrare la mente da quel pensiero. Nel primo tratto del mio percorso mi ritrovai a costeggiare la riviera Barcolana, poco dopo aver sorpassato il Bivio mi ritrovai all’altezza del California. Questa zona prendeva il nome da uno storico american bar il cui proprietario era un appassionato degli States, ma l’unica affinità che si poteva trovare con lo stato americano che dava il nome al locale, era probabilmente nell’avvenenza delle ragazze che lo frequentano. In questo tratto di mare si evidenziava una strana caratteristica morfologica, per cui, in alcuni punti comparivano delle zone sabbiose che si sostituivano all’ambiente roccioso. Tale peculiarità, unita ad un’altezza del fondale di circa un metro, creava un effetto piscina che facilitava i giochi d’acqua dei ragazzi liceali che ne erano assidui frequentatori. Continuando il mio percorso costeggiai i topolini, sicuramente la zona più caratteristica e suggestiva di Barcola, tappa obbligata per tutti gli adolescenti triestini. Il loro nome derivava dalla particolare conformazione delle terrazze affacciate sul mare, che da una veduta aerea ricordavano la fisionomia del topolino disneyano. Nella parte sottostante erano stati ricavati degli spogliatoi di libero utilizzo, l’intera zona diventava d’estate un lungo stabilimento balneare gratuito. I topolini, più di qualsiasi altro sito barcolano rappresentavano un passaggio ineluttabile per un triestino. Ad un certo punto arrivava il momento nella vita di ogni mulo o mula in cui bisognava affrontare i genitori per poter chiedere il permesso di andare autonomamente ai topolini con gli amici. Questo percorso iniziatico segnava il passaggio all’età adolescenziale allo stesso modo di alcuni riti pra138
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ticati dalle tribù africane. Un’altra tappa obbligata per i giovani frequentatori dei topolini era quella di imparare a tuffarsi. Era impensabile accedere in acqua dalle scalette senza sottoporsi agli scherni degli amici, molto meglio vincere la paura di un piccolo volo nel vuoto che a seconda della marea poteva essere di uno o due metri. I veri virtuosisti erano i ragazzini che riuscivano ad effettuare i tuffi con la maggior gittata di schizzi. L’affinamento di tale tecnica poteva essere determinante nell’acquisizione della leadership della compagnia o nella conquista delle ragazze più carine. Continuando a costeggiare il lungomare raggiunsi la zona della spiaggetta, territorio di conquista di giovani mamme e papà che portavano i loro bimbi al mare. Questo era l’unico tratto in cui dei piccoli sassi si sostituivano a scogli ed asfalto ed in cui il livello del mare si alzava gradualmente permettendo di rinfrescarsi anche a chi non sapesse nuotare. Nel percorrere quel tragitto mi si accavallarono una serie di ricordi, ad una velocità tale che mi risultava impossibile focalizzarne qualcuno. Era come se si stesse riavvolgendo rapidamente la bobina di un film, ed era il mio film, quello della mia giovinezza. In realtà avrebbe potuto assomigliare a quello di un qualsiasi ragazzo triestino della mia età, perché le esperienze, i luoghi, le persone, si ripetevano ciclicamente come una trama già vista. Ogni metro di quell’asfalto rappresentava un tassello senza il quale non si sarebbe potuto accedere alla tappa successiva. Non era facile comprendere come queste consuetudini si perpetuassero nei decenni, generazioni dopo generazioni. Sta di fatto che Barcola rappresentava a tutti gli effetti una sorta di metafora della vita del triestino. Ogni stagione della nostra esistenza veniva caratterizzava inesorabilmente da un tratto di quei tre kilometri di lungomare. Ebbi per un attimo la sensazione che percorrendo il tragitto nel senso inverso, la bobina del film avrebbe girato nel 139
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verso giusto ed avrei saputo quale sarebbe stato il mio futuro. La radio stava suonando Johnny B. Goode, un classico del rock’n roll, che aveva fatto parte della colonna sonora del film Ritorno al futuro. Per pranzo decisi di fermarmi direttamente a Muggia, ero sicuro che in quel piccolo paesino di origine venete avrei trovato qualche trattoria che potesse soddisfare la mia voglia di calamari fritti. Per qualche mese Nicola abitò da quelle parti. Aveva deciso che nei mesi estivi aveva voglia di affacciarsi sul porticciolo dei pescatori e respirare l’odore del mare. Una mattina, verso le quattro, gli capitai all’improvviso, in mutande, svegliandolo per chiedendogli ospitalità per la notte. I miei genitori erano fuori città ed avevo la casa libera tutta per me. Quella sera uscii con alcuni amici e facemmo un po’ di baldoria fino alle tre del mattino. Poi, rientrato a casa, dopo essermi messo in libertà per andare a dormire, sentì provenire dal pianerottolo il rumore di una finestra che sbatteva. Stava arrivando il brutto tempo e qualcuno aveva lasciato la finestra aperta. Mi diressi verso la porta d’ingresso ma ebbi un attimo di lucidità e decisi di prendere le chiavi di casa. Non appena uscito infatti, un colpo di vento improvviso fece sbattere la porta che si richiuse dietro di me. Guardai soddisfatto le chiavi nelle mie mani, ma il sorriso stampato sul mio volto svanì presto quando mi accorsi di aver preso le chiavi della macchina al posto di quelle di casa. Cosa fare? Ero in mutande sul pianerottolo, nel cuore della notte, senza chiavi e senza telefono. Avrei potuto dormire nella mia uno bianca, ma poi il problema si sarebbe ripresentato al mattino seguente e stavolta alla luce del giorno. Suonare il campanello a qualche inquilino, in mutande, a quell’ora di notte, non mi sembrava il caso. Non c’era nes140
LA CERIMONIA
suno col quale potessi avere abbastanza confidenza. L’unica ancora di salvezza mi sembrò quella di prendere la macchina ed andare a casa di Nicola per farmi ospitare. Ero sicuro che lui non mi avrebbe mandato a quel paese a quell’ora di notte, in quelle condizioni. Infatti non mi chiese neppure una spiegazione, mi accolse come se la mia richiesta fosse la cosa più normale del mondo. Era veramente un grande amico, come ce ne sono pochi.
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L’equilibrio dei sassi
Ero riuscito a mangiare la tanto desiderata frittura di sardoni e calamari ed avevo trovato un supermercato aperto dove comprare le poche cose che mi sarebbero servite per il viaggio. Porto San Rocco era la nuova marina di Muggia dove erano ormeggiate splendide barche a vela e sontuosi yacht. Mentre aspettavo che gli altri arrivassero mi misi a curiosare le imbarcazioni attraccate, erano tutte luccicanti grazie alle amorevoli cure dei loro proprietari. Mi ero sempre chiesto com’era possibile dedicare tanto tempo e tanti sforzi ad una passione che la maggior parte delle persone poteva permettersi di godere solo pochi giorni all’anno. Per come la vedevo io, un natante era semplicemente un mezzo di trasporto che abbisognava di molta più manutenzione degl’altri e quindi ne apprezzavo l’uso solo se venivo ospitato da amici o in caso di noleggio. A meno che non si riuscisse a fare come l’amico di Luca, che spariva per sei mesi all’anno. In quel caso sarei stato affascinato anch’io. Mentre ero assorto in questi pensieri, vidi Luigi, Giovanna ed Anelie che stavano uscendo da un negozio di nautica e gli andai incontro. “Ciao Stefano ho l’impressione che hai dormito molto bene stanotte, quando abbiamo lasciato l’ostello stavi eseguendo una sinfonia di strumenti a fiato tanto da sembrare una filarmonica intera.” “Beh si, la serata è stata impegnativa, ci voleva proprio qualche ora di sonno. Cosa avete comprato?” 142
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“Luca sta parlando con il proprietario della nostra imbarcazione e ci ha mandato a prendere l’equipaggiamento che ci serviva.” “Bene, mancano solo Andrea e Carlo poi possiamo salpare, non vedo l’ora.” Non avevo ancora finito la frase che mi si parò di fronte, in lontananza, uno spettacolo che non avrei mai pensato di dover vedere. Due uomini in pareo ed infradito procedevano abbracciati verso di noi. Carlo ed Andrea avevano deciso di vivere questa breve vacanza come una coppia, alla luce del sole, senza preoccuparsi di dover nascondere la loro storia. Durante gli anni dell’università si era parlato molte volte di voler realizzare un viaggio in barca a vela tra amici. Prenderci un periodo di libertà per cementare la nostra amicizia, senza particolari mete, seguendo unicamente la voglia del momento e la direzione del vento. Nicola era uno dei più accesi fautori di tale iniziativa ma l’esperienza nella quale stavamo per cimentarci non era esattamente ciò che lui e tutti noi all’epoca avevamo in mente. Nel nostro originario progetto non si pensava di partire con delle ragazze, per il semplice motivo che si sarebbe guastato il clima goliardico che si voleva instaurare. In secondo luogo il breve periodo che avevamo a disposizione ci avrebbe permesso di raggiungere solamente mete vicine e comunque già conosciute, mentre nel viaggio che avevamo immaginato avremmo dovuto toccare località mai visitate prima. Ad ogni modo, anche se non sarebbe stata esattamente la crociera che avevamo idealizzato, era comunque una bella occasione per stare ancora un po’ assieme. Avevamo deciso che la prima meta dove avremmo sostato sarebbe stata Pirano. Il tragitto era piuttosto breve, ma gran parte della giornata se n’era ormai andata ed il buio della notte sarebbe sopraggiunto ben presto. Saliti a bordo i ruoli si definirono naturalmente senza bisogno di molte discussioni. Luigi prese in mano il timone, Andrea e Carlo cominciarono a mollare gli ormeggi, le donne decisero di sistemare la cambusa con le vettovaglie che avevamo acquistato ed io e Luigi andammo a sistemare le 143
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nostre cose, aspettando eventuali istruzioni per poter dare una mano in caso di necessità. L’imbarcazione, che avevamo ribattezzato Nicola, aveva tre vani per la notte. Si pensava di lasciarne uno per Andrea e Carlo uno per le due ragazze e l’altro per me, Luigi e Luca, ma Anelie ribatté subito che per lei non era un problema dormire nel vano più grande con me e Luca. Preferiva lasciare assieme le coppiette. La serata era ventosa e raggiungemmo in poco più di mezz’ora il porticciolo turistico di Pirano. L’aspetto di questa graziosa cittadina sulla costa slovena, tradiva i trascorsi della dominazione veneziana della quale restavano riconoscibili i tratti delle abitazioni del centro storico e soprattutto l’imponente fisionomia del campanile, copia fedele, anche se ridotta nelle proporzioni, di quello di piazza San Marco. Il campanile era posizionato nel luogo più panoramico della collina ed era visibile da ogni angolo del golfo di Trieste. Nonostante la nostra cambusa fosse ben fornita non riuscimmo a resistere alla tentazione di andare a mangiare del pesce fresco in uno dei molti ristoranti che si affacciavano sul lungomare. Mentre stavamo mangiando le palacinke accompagnate con il pelinkovec, un amaro veramente degno di tale nome, cominciò ad alzarsi un impetuoso vento. Le nubi scure che si addensavano all’orizzonte non lasciavano presagire nulla di buono. Pagammo in fretta il conto e ci precipitammo verso la nostra barca. Onde alte e raffiche di vento, facevano scagliare l’una contro l’altra le numerose imbarcazioni che affollavano il porticciolo, tanto da farle sembrare degli autoscontri imbizzarriti. “Se lasciamo qua Nicola subiremo sicuramente molti danni ed è possibile che il nostro viaggio sia quindi già terminato. Le imbarcazioni sono fatte per navigare, non per restare ormeggiate a riva e quindi sono più sicure in mezzo al mare anche in caso di condizione estreme. Cosa ne dite se salpia144
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mo immediatamente ed andiamo ad affrontare la bufera in mare aperto? Sarà dura governare la barca, ma con un po’ di fortuna Nicola subirà meno danni che se restasse imprigionata nel suo ormeggio.” Luigi era quello tra noi che aveva maggiori cognizioni di nautica, la sua proposta mi sembrava però un po’ troppo audace. Forse l’imbarcazione avrebbe avuto qualche possibilità in più di non subire gravi danni, ma avremmo messo a repentaglio le nostre vite andando ad avventurarci all’interno di quel temporale. In ogni caso bisognava prendere una decisione veloce, il rollio delle barche si stava facendo sempre più accentuato ed in poco tempo l’ipotesi di fuga in mare aperto non avrebbe avuto più senso. “Andiamo su, cosa aspettiamo? Ogni minuto che passa è un pericolo per Nicola.” Disse Anelie. “Volevamo questa avventura ed ora è arrivato il momento di affrontarla. Io ci sono”. Carlo saltò sulla barca, cominciò ad accendere il motore ed a mollare gli ormeggi. Ben presto fummo tutti a bordo cercando di accelerare le operazioni per uscire da quell’inferno. Lo slalom tra le barche impazzite sembrava lo schema di un videogioco nel quale ogni istante poteva essere quello fatale per lo schianto, poi una virata provvidenziale riusciva a raddrizzare il percorso. Superammo brillantemente lo schema e ci ritrovammo in mare aperto con qualche piccola ammaccatura, indelebile, come un tatuaggio, a ricordo della nostra ardita manovra. Le vere difficoltà stavano appena per arrivare però e forse non ne eravamo del tutto consapevoli. Le raffiche di bora erano assolutamente imprevedibili ed i cavalloni erano talmente alti che quando stavamo nella loro parte inferiore non riuscivamo a vedere l’orizzonte. Riducemmo al minimo la superficie velica e cercammo di assecondare il moto ondoso per evitare di esserne travolti. Sembrava di stare sulle montagne russe. Dopo dieci minuti di questo altalenante sali e scendi mi ritrovai a vomi145
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tare la splendida cena da poco degustata, assieme ad ogni elemento solido o liquido fosse rimasto trattenuto dal mio corpo. Eravamo completamente bagnati ma dovevamo assolutamente evitare di cadere in mare perché non ci sarebbe stata nessuna possibilità di recupero. Ci legammo con le cime all’imbarcazione, volevamo condividere la sorte con Nicola in una specie di patto da moschettieri del re, uno per tutti, tutti per uno. Ormai avevamo rinunciato a governare la nostra barca, eravamo completamente in balia della bufera. C’era solo da stabilire quanto tempo il nostro fisico avrebbe potuto sopportare quelle condizioni estreme e sperare che un’onda maligna non compromettesse definitivamente la resistenza della nostra imbarcazione. Cominciavo ad avere difficoltà a respirare per quanto sferzanti fossero gli schiaffi ricevuti dalla tempesta d’acqua e mi chiedevo che senso avesse resistere a quella tortura senza fine. Improvvisamente poi il mare si calmò e la superficie tornò ad essere liscia. Mi svegliai con la pelle incrostata dal sale e bruciata dal sole cocente, ma sentivo anche una gradevole sensazione umida e dolce al tempo stesso. Dovevo essere crollato dalla stanchezza, così come i miei compagni. La prima a riprendersi era stata Anelie che stava leccandomi le labbra per cercare di darmi un po’ di sollievo dall’arsura provocata da quella miscela esplosiva. Che splendido inizio di giornata. Ti ringrazio mia cara, non credevo più di poter rivedere la luce del sole. Il sapore delle tue dolci labbra rendono ancora più indimenticabile l’ormai insperato risveglio. Questo era quello che avrei voluto avere la prontezza di dirle, ma in realtà mi venne istintivo ritrarmi da quella piacevole sensazione e pronunciare con fare imbarazzato. “Andiamo a svegliare anche gli altri, dobbiamo festeggiare questa nostra impresa.” Sarebbe stato bello disporre di secchiate di acqua dolce ma a bordo della barca non restava più nulla se non la strut146
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tura essenziale. Per fortuna non avevamo subito danni irreparabili, anche se le ammaccature erano molte ed evidenti. Venti minuti dopo erano tutti svegli. Il caldo opprimente non conciliava il sonno neppure dopo una nottata del genere. “Ve lo dicevo che ce l’avremmo fatta.” Esordì Luigi. Aveva appena finito di pronunciare quelle parole che Carlo ed Andrea si precipitarono a sollevarlo per le braccia e le gambe, con l’intenzione di buttarlo a mare. “Ma cosa state facendo, siete impazziti.” Protestò Luigi. “No, siamo stati pazzi ad ascoltarti, ma la fortuna ha vegliato su di noi.” Replicò Andrea stizzito. “Cercavamo un po’ di avventura no? Quando mai ci ricapiterà di sfidare così apertamente le forze della natura.” Luigi sembrava ancora eccitato dall’esperienza appena vissuta. “Guarda che se vuoi sfidare le forze della natura puoi tranquillamente continuare il tuo viaggio a nuoto, noi non ci opporremo a questa tua volontà.” Esclamò Carlo con aria minacciosa. “Su dai ragazzi basta scherzare, siamo tutti stanchi e stressati ma non potete pensare che Luigi abbia tentato di ucciderci deliberatamente, ha solamente sottovalutato la situazione. Dai fate la pace.” Giovanna cercò di stemperare gli animi. La giornata era tersa e limpida come avveniva solo dopo che la Bora aveva spazzato le impurità dell’aria. Il cielo sembrava esser stato dipinto da un pittore impressionista. In lontananza si riusciva a scorgere un’ isola dalla forma allungata e sullo sfondo la terraferma. “Cosa ne dite se ci prendiamo una giornata di totale relax e ci godiamo questo splendido clima cercando di recuperare le forze?” Luca sembrava il più provato di tutti, ma nelle sue parole c’era qualcosa di enigmatico che lasciava presagire avesse in mente un piano preciso. “Per me va bene, d’altronde siamo in vacanza e dopo la 147
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nottata di ieri un po’ di sole e di mare ci tonificherà.” Anelie fu la prima ad aderire entusiasta. Ci trovavamo in prossimità di un’ isola della costa Croata. Senza porci molti problemi di capire dove eravamo finiti ne costeggiammo la riva finché trovammo una splendida baia deserta, bagnata da un mare color turchese. Calammo l’ancora e decidemmo che quel piccolo paradiso valeva la pena di essere goduto in tutta la sua selvaggia bellezza. Finimmo ben presto tutti in acqua giocando e scherzando come fossimo dei ragazzini, nessuno avrebbe potuto credere che quella stessa notte eravamo scampati ad un terribile destino. Dopo aver sfogato la nostra gioia di vivere, ognuno cercò la propria dimensione per rilassarsi. Luca si mise a poppa per pescare, Andrea e Carlo decisero di andare ad esplorare l’isola, Luigi e Giovanna restarono in acqua per curiosare all’interno di una grotta che avevano visto in lontananza. Io decisi di stendermi a prua per godermi il tepore del sole, in tranquillità. Mentre stavo assaporando il calore dei raggi che asciugavano il mio corpo bagnato, sentivo il sale marino irrigidirsi sulla mia pelle, ed istintivamente mi venne da strofinarmi. “Ti da fastidio il sale?” La voce calda e profonda di Anelie mi sussurrò all’orecchio. Doveva essere li vicino già da un po’ di tempo. “Vuoi che ti spalmo un po’ d’ olio solare così non ti bruci la pelle e fai andar via il sale?” Avrei voluto rispondere di getto ma la mia voce sarebbe sembrata un po’ convulsa. Aspettai quindi qualche secondo per riuscire a darmi un contegno. “è proprio quello che ci vuole, grazie Anelie”. “Stai tranquillamente steso a pancia in giù che comincio dalla schiena.” Si mise inginocchiata di fronte a me e cominciò a massaggiarmi le terga con un olio all’aroma di cocco, che si era salvato perché nascosto nella stiva. Si chinò fino a sfiorarmi col suo seno e continuò la manipolazione con i gomiti, scendendo lungo la spina dorsale. Infine si stese su di me e si occupò dell’interno delle cosce. 148
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“Adesso puoi girarti.” Mi disse con voce suadente ma decisa. Cominciò a massaggiarmi le tempie lasciandomi completamente in balia dei suoi voleri, passò le sue dolci mani sul mio petto, scendendo fino all’inguine e poi alle gambe. “Sono contenta che ti piaccia il mio trattamento…” Arrossii dall’imbarazzo realizzando subito da quale segnale poteva aver dedotto il mio gradimento per le attenzioni che mi stava rivolgendo. “…anche a papà piaceva esser massaggiato.” Mi augurai che ci mettesse meno malizia quando gratificava Nicola, ma la parola papà mi fece subito rinsavire dall’estasi che stavo vivendo. Ripresi coscienza del fatto che avevo l’età di suo padre, che oltre a tutto era stato un mio grande amico. Pensai a mia figlia e a come avrei sofferto a saperla con un uomo molto più grande di lei e l’effetto dei miei pensieri fu analogo a quello di una doccia gelata. Provai a cambiare discorso per togliermi dall’imbarazzo, senza riuscirci completamente. “Perché non mi racconti qualcosa del tuo Paese d’origine, deve essere molto affascinante.” “Va bene, ma tu continua a rilassarti che mentre ti racconto proseguo con il mio massaggio. La storia dell’antica Nubia è legata all’Egitto dei Faraoni con il quale ci furono sempre rapporti molto intensi, anche se spesso caratterizzati da scontri e conflitti militari. Pensa che ci fu anche un’epoca in cui i Nubiani dominarono la civiltà egizia, fu chiamato il periodo dei faraoni neri. In epoca recente, dalla prima metà del secolo scorso, questa terra desertica ma ricchissima di risorse minerarie, aveva attratto studiosi e avventurieri, che andavano alla ricerca di tesori e preziosi reperti nelle maestose tombe costruite dagli antichi nubiani. Il fatto determinante che ne ha favorito la riscoperta come area di notevole interesse storico-archeologico, è stato però la costruzione della grande diga di Assuan negl’anni ‘70. A causa dei mutamenti geografici determinati dalla nuova costruzione, la cosiddetta Bassa Nubia, compresa nel territorio 149
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meridionale del moderno Stato egiziano, fu completamente inghiottita dalle acque del lago Nasser, il bacino artificiale creatosi in seguito alla realizzazione della diga. Grazie ai contributi finanziari offerti dai governi di vari Paesi, i principali complessi architettonici furono messi in salvo attraverso una delicata opera di smontaggio e ricostruzione che consentì di spostare i monumenti in luoghi al sicuro dalle inondazioni. Il più celebre di questi interventi è senz’altro quello che ha permesso il salvataggio dei due templi di Abu Simbel, dov’è sbocciato l’amore tra mio padre e mia madre. Il problema è che il grande afflusso di turisti ha portato un po’ di linfa alla nostra povera economia, ma ha spesso ridotto i villaggi della nostra gente a semplici attrazioni turistiche.” Il lucido ed affascinante racconto di Anelie fu interrotto da un urlo proveniente da prua che mi riportò improvvisamente alla realtà terrena. “L’ho presa, è un’ombrina, venite a vedere è bellissima.” Luca venne verso di noi con in mano la sua preda che cercava di divincolarsi dagl’ami che la tenevano prigioniera. “è enorme, peserà almeno cinque chili. Ragazzi che mangiata che ci aspetta.” Non riuscii a trattenere il mio stupore nel vedere quello splendido esemplare. “Forza! Dobbiamo trovare un contenitore dove custodirla fino al ritorno degl’altri.” Anelie entrò subito in azione per cercare di non far scappare la preda. Mentre lei si dirigeva verso la cambusa a cercare ciò che ci serviva, Luca si avvicinò a me e mi sussurò. “Hai visto con che occhi mi guarda quella ragazza? è pazza di me. Dopo questa impresa diventerò definitivamente il suo eroe.” Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Ormai dovevo prendere atto che Anelie cercava di attirare la mia attenzione, ma forse non ero il solo. Stava giocando un po’ con tutti, o almeno con tutti quelli che erano liberi? O forse Luca aveva semplicemente travisato qualche sguardo, magari diretto al sottoscritto? Avevo già notato lo strano atteggiamento di Luca, eviden150
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temente doveva aver colto messaggi molto espliciti per entusiasmarsi in quel modo ed io non mi ero accorto di nulla. In quel momento lei tornò con il secchio in mano guardando verso di noi con uno sguardo dolce e malizioso, che non mi era del tutto sconosciuto, ma che non avevo mai interpretato come un messaggio diretto a me. Mi vennero in mente altri momenti in cui avevo colto quello sguardo, non attribuendogli il significato che probabilmente voleva avere ed in alcuni di quei momenti effettivamente Luca mi era vicino. Ormai ero quasi sicuro che il suo fosse un vero e proprio fraintendimento ma non avevo nessuna intenzione di disilluderlo. Anelie con poche abili mosse riuscì a liberare il pesce dagli ami e a deporlo nel recipiente che era andata a recuperare, premurandosi di coprire l’unica via di fuga rimasta. “Sei stata brava a domare il mio pescione.” Non so quanto la conoscenza della nostra lingua avesse potuto far cogliere ad Anelie il becero doppio senso da avanspettacolo di quella frase, ma dovevo ormai prendere atto che Luca era partito per la tangente. Avevo finalmente capito cosa l’aveva spinto a proporre una giornata di puro svago ed immaginai che l’adesione entusiastica di Anelie l’avesse ringalluzzito nelle sue supposizioni. Il tempo era trascorso velocemente in quell’angolo di paradiso, non avrei saputo dire che ora fosse ma verosimilmente era già pomeriggio inoltrato e ci rendemmo conto di non aver mangiato nulla. Il pesce pescato da Luca aveva risvegliato in tutti noi il normale istinto dell’appetito che era stato sopito fino a quel momento. “Cosa dite se andassimo a riva a cucinarlo, così anche i nostri amici esploratori sentiranno l’odore e si uniranno a noi.” La mia proposta fu accettata all’unanimità e fummo ben presto sulla terra ferma per cominciare ad accendere il fuoco. Anelie e Luca si occupavano di tenere vive le braci mentre io avevo il compito di insaporire il pesce con alcune spezie che avevamo trovato sull’isola. L’aroma del cibo si disperdeva 151
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in tutta l’area circostante. Speravamo che in breve tempo anche i nostri compagni si sarebbero diretti nella nostra direzione attirati dagli odori invitanti. Dopo circa un quarto d’ora Giovanna e Luigi furono infatti di ritorno. “Che odorino invitante cosa avete pescato di buono?” Restarono sbalorditi quando videro quello splendido esemplare. “Bravi ragazzi era proprio quello che ci voleva.” Esclamò Giovanna. “Dobbiamo ringraziare Luca che mentre tutti noi pensavamo a rilassarci si è messo a pescare.” Anelie si mise ad incensare il nostro pescatore e vidi gli occhi di lui luccicare dalla gioia. “Tranquilli, per me è stato un piacere, io non riesco a star fermo a prendere il sole. Com’è andata la vostra gita?” Luca cambiò discorso come per sminuire la sua impresa. “Benissimo, abbiamo scoperto un posto incredibile. Addentrandoci nella grotta sottomarina ad certo punto si vede un fascio di luce e si arriva dall’altra parte del promontorio dove si trova una piccola spiaggetta di sabbia bianca. Ci sembrava di essere i protagonisti del film Laguna blu.” “Ragazzi mi sa che il pesce è pronto, mi spiace che non siamo tutti ma sarebbe un delitto non mangiarlo adesso.” Attirai nuovamente l’attenzione degl’altri verso il cibo. Nel breve lasso di qualche minuto non restò più nulla della nostra preda, a parte la grossa lisca. “Era veramente buono ma mi sento un po’ in colpa verso i nostri amici, vado di nuovo a pescare prima che arrivino, così gli faremo una bella sorpresa.” Luca si allontanò con la sua attrezzatura nella speranza di essere nuovamente fortunato. “Mi piacerebbe vedere il posto che avete scoperto, mi avete messo una grande curiosità.” Disse Anelie rivolgendosi a Giovanna. “Certo Anelie, stiamo noi qui ad aspettare gli altri ed a tenere acceso il fuoco in attesa del nostro bravo pescatore. Perché non l’accompagni tu Stefano?” Giovanna con il suo istinto femminile aveva probabil152
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mente capito come stavano le cose molto prima di me. L’idea era allettante, anche se mi preoccupava ciò che sarebbe potuto succedere. In ogni caso non avevo possibilità di scelta, qualunque diniego non sarebbe stato facilmente giustificabile. “Certo sarà un piacere, anch’io sono rimasto molto incuriosito.” Fu il mio laconico commento. Ci allontanammo silenziosamente in direzione della grotta, all’interno della quale il mare perdeva la sua caratteristica tonalità turchese per tingersi di un color petrolio. Giunti nel punto più buio, con una certa titubanza, scorgemmo non lontano una piccola feritoia da cui filtrava un raggio di sole. Ci infilammo in quello stretto passaggio e lo spettacolo che ci si parò davanti ci fece restare a bocca aperta. Il contrasto con l’angosciante oscurità della grotta rendeva quel piccolo paradiso, variegato di colori, ancora più unico e strabiliante. Sembrava impossibile che quel gioiello potesse rimanere così preziosamente nascosto. Ci mettemmo a correre su quella lingua di terra con la spensieratezza di due ragazzini, affondando i piedi nudi nella candida sabbia intiepidita dai raggi del sole. Anelie si liberò dal suo costume, manifestando la libertà del suo spirito e rivelandosi completamente nel suo splendore che si incastonava alla perfezione in quello scenario naturale così unico. Mi fermai rapito a godere di quello spettacolo mentre la mia compagna d’avventura si gettava nel mare, realizzando un bizzarro binomio cromatico nocciolaturchese. Un gesto della sua mano mi invitava a raggiungerla, non pensai a nulla e mi tuffai anch’io nel mare cristallino per ricongiungermi a quella sirena tentatrice. L’acqua separava ed univa i nostri corpi. Lei fuggiva per poi farsi riprendere e sentire il calore delle mie mani che le cingevano i fianchi. Ci inseguivamo giocosamente sott’acqua ritrovandoci a curiosare i nostri corpi per poi riemergere ad ossigenarci. Ad un certo punto Anelie nuotò velocemente verso la spiaggia e si gettò sull’arenile per sentirne il caldo contatto. 153
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Io la raggiunsi immediatamente e mi stesi vicino a lei. Da quando c’eravamo allontanati dagl’altri non ci eravamo ancora scambiati una parola, ma non si può dire che non c’era stata comunicazione fra di noi. I corpi, gli sguardi ed i gesti si erano riappropriati dei loro spazi e si erano immersi nella natura selvaggia. Mi sentivo ridicolo ad indossare l’unico elemento che non era in sintonia con la natura, il mio costume da mare. Ma mentre stavo per disfarmene sentii delle voci in lontananza che si stavano avvicinando sempre di più. Si era rotto l’incantesimo. Anelie indossò frettolosamente il suo costume, per tornare ad una condizione più convenzionale. Dopo qualche minuto i nostri amici sbucarono dalla feritoia. “Ciao ragazzi, come ve la passate?” Chiese Giovanna. “Benissimo, questo posto è veramente fantastico. Avete fatto presto a raggiungerci.” Rispose Anelie. “Andrea e Carlo sono rientrati poco dopo la vostra partenza e siccome nel frattempo Luca non aveva ancora pescato niente, ha insistito per raggiungervi e restare tutti assieme.” Come immaginavo era stato Luca ad affrettare il ricongiungimento. “Com’è andata la vostra esplorazione dell’isola?” Feci io, riappropriandomi dell’uso della parola dopo essere stato immerso in un mondo di riscoperta delle sensazioni primordiali. “Non abbiamo trovato nulla di particolare, questo posto invece è veramente bello.” è vero e lo era ancor di più prima che rompeste l’incantesimo, mi trovai a pensare tra me e me. “Abbiamo trovato però una bottiglia di rum portoricano ancora sigillata, abbandonata misteriosamente sulla spiaggia.” Continuò Andrea. “Beh direi che è l’occasione giusta per aprirla e brindare a questo posto meraviglioso.” Risposi come se fosse la più logica conclusione. Sorsata dopo sorsata ci passavamo la bottiglia e l’atmosfera si riscaldava immediatamente. 154
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Il sole stava scendendo rapido fino a quando si sarebbe tuffato nel mare. Il cielo cominciava a colorarsi di tonalità calde che andavano dal giallo ocra al rosso vermiglio. Eravamo un pò brilli e decidemmo di ritornare in barca prima che si facesse troppo scuro. Poi ci stendemmo sul ponte col lo sguardo rivolto al cielo stellato. “Dove ci dirigiamo domani?” Chiese Andrea. “Perché non raggiungiamo il canale di Lemme?” Propose Luigi. “Mi sembra una bella idea, l’ultima volta che ci sono stato ero un ragazzino.” Commentò Carlo. Luca stava già russando e decidemmo che era ora di andare tutti in branda, il giorno dopo avremmo veleggiato per parecchie miglia. Il nostro compagno di letto continuava con il suo rumoreggiare cadenzato ed io facevo fatica a prendere sonno, ma forse quello non era l’unico motivo. Anelie era in mezzo a noi due e mi rivolgeva le spalle, anche lei sembrava già essersi addormentata. Mentre cercavo la posizione ideale per provare ad assopirmi, lei si spostò leggermente e sentii il contatto del suo corpo sul mio. Non aveva niente addosso, riuscivo a distinguere perfettamente le rotondità delle sue natiche appoggiate sulla mia coscia. Alzai lievemente il lenzuolo per poterla ammirare, ma lei ricercò nuovamente il contatto, quasi fosse rimasta infreddolita. Le cinsi i fianchi e lei si spinse verso di me alla ricerca di un po’ di calore. Facemmo l’amore in quella posizione animalesca, senza che lei si girasse, con Luca che continuava il suo concerto da solista. Lei sembrava in preda a sonnambulismo, apparentemente dormiva ma si agitava ed emetteva dei gemiti strozzati, come se avesse paura di svegliare il nostro inquilino. Non riuscivo a pensare più a nulla, volevo solo che quel momento non finisse mai, ma era difficile restare in silenzio e Luca si girò 155
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improvvisamente, facendo finire quel magico momento. Dopo aver cambiato posizione ricominciò con il suo rumoroso riposo, ma ormai anche Anelie sembrava aver assunto definitivamente la parte della dormiente e mi rassegnai anch’io ad abbandonarmi al mio sonno agitato. La mattina seguente ero attanagliato da una miriade di dubbi. Non riuscivo a capire se fosse stata veramente addormentata o se volesse solo far finta di niente, per togliersi dall’imbarazzo o forse per togliere me dall’imbarazzo di dover giustificare qualcosa che non andava fatto. Mi convinsi che era stata una carineria nei miei confronti, ma in questo modo rimanevo da solo alle prese con i miei rimorsi di coscienza. Non potevo fare a meno di pensare a Nicola, a cosa avrebbe pensato di me se avesse potuto vedermi fare l’amore con sua figlia. In realtà per come l’avevo conosciuto da giovane forse sarebbe stato addirittura contento del nostro consumato piacere. La sua fiducia sul libero arbitrio primeggiava su tutto il resto, ma questo non riusciva a sollevarmi. Eravamo già tutti svegli. Stavamo facendo colazione assieme ma c’era una strana atmosfera silenziosa. Forse io e Anelie non eravamo stati sufficientemente discreti e le nostre effusioni della sera prima erano state scoperte. Mi sentivo imbarazzato ed al centro dei pensieri dei miei compagni, cominciai quindi a parlare per sviare l’attenzione da quelli che credevo fossero i giudizi degl’altri su di me. “Non riesco a capacitarmi che Nicola non sia qui con noi, mi manca molto la sua leggerezza di spirito ed il suo modo di sdrammatizzare le cose. Adesso che non c’è più mi sembra quasi che non sia mai esistito, è come se fosse stato semplicemente una proiezione di tutto ciò che avremmo voluto essere: liberi, gioiosi, spavaldi, sinceri, affascinanti. Un completamento ideale di ciascuno di noi.” “Ma Stefano non ti rendi conto che Nicola non è veramente mai esistito?” La raggelante sentenza di Luigi interruppe le mie riflessioni. “Luigi…” 156
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Esclamò Luca in preda ad agitazione. “No Luca, è il momento di finirla, Stefano non ha più bisogno di Nicola, ha raggiunto consapevolezza di se stesso e delle sue doti. Non saranno quelle di un supereroe ma sono comunque caratteristiche di una persona eccezionale. Nicola è stato in questi anni solo una tua creazione per sopperire ad alcune caratteristiche di cui avresti voluto essere dotato e che non facevano parte del tuo modo di essere. Noi ti abbiamo sempre assecondato perché ci sembrava che questo personaggio inventato riuscisse a darti più forza e sicurezza in te stesso. Ecco quindi che Nicola veniva con noi la sera a bere una birra, in vacanza, durante le nostre scorribande, faceva innamorare tutte le ragazze ma non si legava mai a nessuna. Era un’entità astratta, un grande amico immaginario, un riferimento ed un idolo da seguire. Quando una ragazza che ti piaceva non voleva saperne di te era perché era rimasta affascinata da Nicola, quando invece provava interesse era merito del fatto che ne eri amico. Poi ad un certo punto Nicola è sparito perché non ne avevi più bisogno, hai cominciato ad affrontare la vita nella consapevolezza del tuo modo di essere, con pregi e difetti. Hai avuto successo nella tua professione e hai fatto innamorare di te tua moglie, con la quale hai costruito una bella famiglia. Nicola per me e per tutti noi è stato solo un pretesto per rivederci nuovamente, nella speranza che i nostri dissapori fossero stati superati dal trascorrere degl’anni. Non avrei mai immaginato che stavi vivendo di nuovo un momento di insicurezza della tua vita, in cui si palesavano dei forti dubbi sul tuo rapporto familiare e sulle tue doti caratteriali. Ripensare a Nicola ha risvegliato in te la voglia di reagire ad una situazione di stallo in cui si era incastrata la tua routine familiare, ti ha dato la giusta dose di entusiasmo ed il coraggio per vedere le cose sotto una nuova luce. Lui per te è sempre stato come una coperta di Linus che ti faceva star meglio ed essere più sicuro, ed era diventato ormai anche per noi un prezioso compagno di avventure. Quando hai avuto quell’eroico gesto di salvare il turista 157
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americano che era rimasto incastrato in mezzo alla plaza de toros, lui ha voluto sdebitarsi con te regalandoti la bottiglia di dom rouge, ma tu hai preferito non prenderti l’onore dei festeggiamenti. L’eroe, nella tua testa, non poteva che essere Nicola anche se quello era il tuo momento di gloria. Tutti noi eravamo molto fieri di averti come amico e volevamo gridarlo al mondo. La bottiglia è rimasta per tanti anni l’unico strenuo baluardo a testimonianza del tuo nobile gesto e di quella indimenticabile stagione, finita purtroppo prematuramente per i nostri dissapori. Nicola però, ancora una volta, ha dimostrato la sua importanza, riuscendo a farci riunire ed a riaccendere il sacro fuoco dell’amicizia. In tutti questi anni ho sofferto molto per il tuo allontanamento, ed un giorno Giovanna mi ha chiesto perché non facevo qualcosa per tentare il riavvicinamento. Lei si era laureata in psicologia ed aveva studiato il tuo raro disturbo che la scienza medica catalogava freddamente come scissione schizzofrenica della realtà. Patologia rarissima tra le persone adulte ma del tutto simile alla presenza dell’amico immaginario, che riveste un ruolo chiave nel percorso di crescita dei bambini tra i tre ed i cinque anni.” Giovanna si inserì in quel racconto che mi aveva lasciato senza parole e continuò con la dissertazione di quanto aveva imparato con i suoi studi. “è un fenomeno molto comune nei bambini. Secondo uno studio effettuato dall’Università di Boston sono due terzi i bambini in età prescolare che hanno o hanno avuto un amico immaginario, con una percentuale più alta tra i primogeniti. Non si tratta di bambini problematici. L’amico immaginario, infatti, serve al bimbo che gli dà vita per rapportarsi con il complesso mondo degli adulti, proiettando su un agente esterno i propri vissuti interiori, paure, sensi di colpa, desideri, aspirazioni. Laddove il bambino ne parli, raccontando a mamma e papà o all’insegnante le sue avventure e i suoi pensieri, può essere anche visto dall’adulto come una sorta di finestra sul mondo interiore del 158
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piccolo, un’espressione dei suoi bisogni. Per questo motivo e per la normalità della cosa, gli psicologi rassicurano i genitori. L’amico immaginario arriva ad un certo punto della vita del bimbo, gioca con lui, gli parla, gli racconta delle storie, litiga e si arrabbia anche con lui, ma poi scompare senza lasciare traccia, senza alcuna conseguenza. Viene semplicemente dimenticato. è vero che siano soprattutto i primogeniti ad averne bisogno, perché dopo la nascita del fratellino perdono il ruolo centrale che rivestivano nel mondo di mamma e papà, ma non esiste una regola precisa e talvolta anche i bimbi più socievoli, quelli che hanno tanti amici, possono averne uno. Si tratta di personaggi reali che nelle fantasie dei bambini hanno un volto, un aspetto fisico, un nome e un background familiare che li contraddistingue. Generalmente, sono più grandi dei loro piccoli creatori, sono sempre disponibili e non hanno nessun tipo di obbligo nei confronti della società. Non vanno a scuola, non devono tornare a casa, non vanno a dormire presto, non devono fare i compiti o andare in palestra. Semplicemente appaiono e scompaiono ogni volta che occorre. L’amico immaginario è sempre molto solidale col suo piccolo inventore, lo ascolta per ore mostrando interesse per le storie che il bambino gli racconta. Qualche volta nelle avventure può avere il compito di compiere alcune azioni eroiche al posto del bambino, quando il piccolo gli ha trasmesso la parte più spavalda della sua personalità, quella che forse non riuscirebbe mai a mostrare in prima persona. I bambini danno di solito all’amico un nome inventato o storpiato, questo è il primo segreto tra i due componenti della coppia. Anche il linguaggio che il bambino usa per parlare col suo amico è spesso inventato, perché l’idea di avere un segreto e di essere solo in due a saperlo rafforza nel bimbo l’immagine di sé e questo può offrire maggior sicurezza nell’affrontare il mondo esterno. L’amico immaginario è un amico speciale, l’unico di cui ci si può fidare ciecamente, che non farà mai la spia e non abbandonerà mai il suo creatore per un altro amico. Un’altra funzione dell’amico è 159
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quella del rispecchiamento. Nel personaggio immaginario, con cui dialoga tutti i giorni, il bambino riversa tutte le immagini di sé che ha raccolto nelle relazioni con gli altri e questo gli permette di aggiustarle. Il compagno però non ha soltanto le caratteristiche del suo creatore, ma assume anche tratti delle persone vicine al bambino, ossia l’insieme degli adulti che dettano regole e dicono cosa si può fare e cosa no. Con l’amico immaginario è possibile dialogare e discutere, a differenza che con gli adulti, visti dai bimbi spesso come troppo concentrati su di sé per mostrare interesse nei loro confronti. La continua interazione col proprio amico insegna al bambino a rapportarsi più facilmente con gli altri, grazie all’acquisita capacità di patteggiare e negoziare col compagno immaginario. L’amico immaginario può assumere vari aspetti come è stato testimoniato anche dal mondo del cinema o dei cartoon. Può essere un bambino invisibile oppure può incarnarsi in un peluche o in una bambola come ad esempio la Signora Bisley con cui parlava la piccola Buffy nel telefilm Tre nipoti e un maggiordomo. Nei casi più estremi, può essere una parte di sé come ad esempio il dito di Danny, il bambino protagonista del film Shining. Nel film Ratatouille il topolino Remy chiede consiglio e dialoga con l’anima di un grande chef scomparso, il venerato chef Auguste Gusteau. Il cagnolino Snoopy invece ha un nemico immaginario da sconfiggere, il Barone Rosso. Ma mentre nel mondo dei bambini l’amico immaginario è una costruzione assolutamente frequente e normale, nel mondo degli adulti si tratta di un caso assolutamente anomalo ed eccezionale, con pochissimi precedenti. Le caratteristiche sono comunque assolutamente analoghe, salvo il fatto che tu Stefano non ne eri consapevole. Noi ci siamo sempre chiesti se e quanto tu fossi ignaro della cosa, ma solo quando ho approfondito i miei studi sono riuscita a capire come nel tuo caso non avevi nessuna percezione del fatto che Nicola non esisteva veramente.” 160
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Terminata la spiegazione della dottoressa Luigi riprese. “Ho deciso di seguire il consiglio di Giovanna e di utilizzare per l’ultima volta Nicola per farci riavvicinare. Poi avrebbe potuto riposare per sempre. Io e Luca abbiamo rintracciato Carlo ed Andrea , siamo andati a recuperare la bottiglia per poi riseppellirla una volta svuotata ed abbiamo chiesto alla nostra baby-sitter, Anelie, se si prestava ad aiutarci nella messa in scena. Speravamo di riuscire ad incuriosirti con la scusa del messaggio per farti intraprendere questa avventura e chiudere definitivamente un capitolo. Volevamo che Nicola finisse la sua esistenza nello stesso modo in cui era vissuto, sopraffatto dall’ineluttabile destino di essere sempre al centro dell’attenzione, grazie al suo naturale anticonformismo ed alla sua originalità. Non era necessario raccontarti la cruda verità, ma purtroppo non ce l’ho più fatta ad andare avanti con questa finzione, era ora di sgombrare tutti i fantasmi del passato e di farti entrare finalmente nella vita adulta. Devi appropriarti di una nuova fiducia in te stesso ed affrontare un’altra stagione della vita.” “Ma che storia mi stai raccontando? Io Nicola me lo ricordo come fosse oggi, perché vuoi farmi passare per pazzo? Ci sono mille episodi che ne dimostrano l’esistenza, non ha nessun senso ciò che stai dicendo.” A questo punto intervenne Carlo. “Nicola eravamo tutti noi, Stefano. Luca ti ha ospitato a casa sua nel cuore della notte quando ti sei presentato in mutande. Luigi era il protagonista degli episodi con le turiste straniere conosciute in discoteca e con le ragazze romagnole che avete preso in giro. Andrea era quello che restava incantato dinnanzi allo spettacolo dei tramonti, io ero il tuo compare di minzione in piazza San Marco ed il tuo antagonista nelle gare di toccate di sedere.” Luca rincarò la dose. “Non volevamo dirtelo, volevamo solo chiudere definitivamente una parentesi, ma quando tu hai ricominciato con le tue celebrazioni Luigi non ce l’ha fatta più, ha capito che non sarebbe mai finita.” 161
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“Meglio così, era giusto che tu sapessi tutto, la vita non è una rappresentazione teatrale, la realtà e la finzione devono essere ben distinte per evitare di sovrapporle. Hai forse conservato qualche foto di Nicola? Non penso proprio, a meno che non abbiano inventato qualche apparecchio per immortalare i pensieri della mente.” Aggiunse Andrea. Mi tornò in mente l’infruttuosa ricerca nel baule della cantina di casa mia e non ebbi più la forza di replicare. Sentivo il bisogno di appartarmi, per ragionare su quelle rivelazioni che mi avevano letteralmente sconvolto. Ero rimasto ad ascoltarli mentre stavano distruggendo una parte della mia vita, dei miei ricordi. Mi sembrava tutto così surreale. Io ero consapevole di aver vissuto molto intensamente il mio rapporto con Nicola. Non poteva essere solo il frutto della mia immaginazione, non riuscivo a credere di aver trascorso in maniera falsata ed irreale gran parte della mia vita. Rividi in un veloce flashback molti momenti che pensavo di aver trascorso insieme a lui ma avevo al mio fianco qualcun altro dei miei amici ed il contesto era talvolta lievemente diverso. Una frase mi rimbombava nella mente. “Tutto pol esser.” Quelle tre semplici parole rappresentava così bene il mio Nicola, c’era tutta l’ineluttabilità del destino e l’incertezza del domani. All’epoca mi sembrava un modo estremo di vivere la propria esistenza, ma in realtà lui non aveva la possibilità di pianificare il suo futuro e di instaurare dei rapporti duraturi. La sua situazione di precarietà non gliel’avrebbe permesso, prima o poi era destinato a sparire. Quant’è labile il confine fra la verità e la verosimiglianza? Come fare a riconoscerlo? Forse la linea di demarcazione sta nell’appagamento della verità che ciascuno di noi vorrebbe ottenere. Il verosimile gratifica e soddisfa il nostro mondo sensoriale conformandosi ad un modello ideale, la verità rientra invece nella nostra sfera 162
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soggettiva. La mia parte razionale aveva creato un alter ego per poter dare libero sfogo a quella più istintiva, irrazionale e scevra da condizionamenti. Mi resi conto che avevo vissuto una realtà simile al vero ma diversa da quella delle persone che mi circondavano. Mi ero creato una mia visione del mondo per poter sprigionare una parte di me che altrimenti non si sarebbe mai espressa. Volsi lo sguardo ad ammirare per un’ultima volta l’isola che ci aveva ospitato e la mia attenzione venne attratta da un gruppo di pietre che stavano in un equilibrio apparentemente precario, formando una sagoma che assomigliava ad una scultura di Mirò. Mi venne in mente che qualche mese prima avevo visto un servizio televisivo sullo stone balancing, l’equilibrio dei sassi. Una disciplina in stretta relazione con la filosofia Zen, il cui scopo era di porre in equilibrio pietre e massi di varie forme e dimensioni, senza alcun supporto ulteriore a quello della stessa forza di gravità. Il rapporto che si creava tra la persona ed il sasso da porre in equilibrio dava la percezione di uno scambio di energia con l’ambiente circostante e fortificava la mente. L’operazione più complessa era quella del posizionamento di una nuova pietra, che avrebbe dovuto rispettare l’equilibrio di quelle esistenti e poi costruirsi il proprio. Mi venne naturale associare quell’immagine alla situazione che avevo vissuto. Nel mio caso i sassi erano quelli di Barcola e l’ultima pietra, quella che aveva dato una forma compiuta ed esteticamente armonica alla mia vita, era Nicola. Si era inserito nel mio mondo senza turbarne gli equilibri preesistenti per rendermi più forte, più libero e consapevole dei miei mezzi.
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Epilogo
Il suono della sveglia rimbomba nelle mie orecchie alle 7.30, come ogni giorno, anche se oggi è Sabato e potrei dormire più a lungo. L’unica consolazione è che la melodia che ho scelto è la struggente Time di Tom Waits. Mi rannicchio tra le lenzuola aspettando che finisca, per godermela fino in fondo. Siamo ormai in autunno ma il clima caldo umido di Ferrara sembra non voler dare ancora tregua e mi sveglio con il volto imperlato di sudore. Mia moglie si è già alzata scattando sull’attenti alla prima nota della sveglia, percepisco i suoi rumori mentre sta preparando la colazione in cucina. Alessandro salta improvvisamente dentro al mio letto. “Forza papi non fare il dormiglione dobbiamo andare. La mamma mi ha detto di venire a svegliarti, oggi non possiamo essere in ritardo.” Era già tutto pronto, il mio bel vestito nuovo era appeso in camera ed aspettava solo di essere indossato. Le scarpe erano state lucidate da mia moglie la sera prima, dovevo solo farmi la doccia e infilarmi l’abito. Mi sarebbero bastati dieci minuti. Le donne di casa ci avrebbero messo almeno un’ora invece a prepararsi e truccarsi, ma non era ammissibile che io stessi ancora un po’ a letto a poltrire, dovevo essere partecipe alla preparazione dell’evento. “Va bene, va bene, sto arrivando.” Entro in cucina e mi rendo conto che mia moglie aveva 164
EPILOGO
già fatto colazione con Alessandro, mentre mia figlia stava al telefono con un’amica. è mai possibile che non si riesca a fare colazione tutti insieme almeno una volta? Ormai mi ero un po’ rassegnato, ma i primi tempi questa cosa mi faceva veramente imbestialire. Il mio caffè è ormai freddo e sono costretto a servirmi di quella macchina infernale che toglie la poesia alla cucina, il microonde. Provo ad entrare in doccia ma i bagni sono entrambi occupati. Non mi potevate lasciare in pace a letto ancora una mezz’ora? Era inutile innervosirsi, tanto avevo già messo in preventivo che quella sarebbe stata una giornata infernale di passione e sacrificio. Accendo la radio per ascoltare le notizie del telegiornale, parlano di Trieste. “… è stata trovata una zattera al largo del golfo e si sospetta che qualcuno possa essere disperso in mare al largo di Miramare.” La mia mente si perde in un mare di ricordi. Quanti tuffi in quello specchio d’acqua, con gli scogli a fungere da improvvisati trampolini e poi il refrigerio del mare. Qualche bracciata sott’acqua, inseguendo l’azzurro profondo, fino a quando il fiato non reclama la risalita, per poi godere dello spettacolo della verde vegetazione incastonata tra le bianche rocce calcaree. Penso di non aver mai più provato una così completa sensazione di libertà e di sintonia tra la natura ed il mio corpo. Posso dire di aver vissuto intensamente ogni lembo di quel selciato che ha scandito le tappe della mia esistenza. Quando sarà arrivato il momento di percorrere gli ultimi metri dei miei tre kilometri di vita vorrei avvicinarmi al mio scoglio preferito, il più liscio e regolare, volgere lo sguardo a sinistra per ammirare la città che si rannicchia nell’insenatura del suo golfo ed aspettare il segnale intermittente del faro della Vittoria. Virare lo sguardo sulla destra a salutare 165
EPILOGO
il candore del castello di Miramare, per poi tuffarmi con un gesto ormai rituale, ma stavolta definitivo, in quel tratto di mare così familiare. Spingersi verso l’azzurro infinito senza doversi più preoccupare della risalita. “Dai papà smettila di fantasticare, il bagno è libero. Devi sbrigarti, i nonni ci aspettano per il loro 40° anniversario di matrimonio. Lo sai quanto ci tengono, non vorrei mica farci fare tardi?” Guardo l’orologio e mi accorgo che senza rendermene conto è passata più di mezz’ora da quando avevo acceso la radio. La voce di Francesca mi ha richiamato alla realtà e mi ha fatto abbandonare tutte le fantasie in cui si era perso il mio cervello. Quella notizia per radio è stata l’innesco che mi ha fatto sognare ad occhi aperti. Mi sono perso in una storia fantastica, che è stata alimentata dall’inconscio desiderio di non voler partecipare a quella cerimonia ed ha preso corpo da un mistero mai risolto, la scomparsa del mio amico Nicola. Cosa ne era stato di lui? Ammesso che fosse mai esistito. Improvvisamente mi torna in mente una frase letta la sera prima all’interno della carta di un cioccolatino. Il miglior modo per far avverare i propri sogni è quello di svegliarsi. Questa giornata campale, tanto temuta, inizia con un sorriso stampato sulle labbra. Mi sento in gran forma, sono consapevole di essermi definitivamente svegliato.
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Il misterioso messaggio di un amico scomparso da vent’anni arriva a sconvolgere la vita tranquilla di Stefano. Un tuffo nel passato scoperchierà i ricordi della giovinezza e farà riemergere l’antico simbolo dell’amicizia di un tempo. Una storia ambientata a Trieste da leggere tutto d’un fiato per arrivare a svelare le verità nascoste di un gruppo d’amici.