Produzione_100422

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10_0408_MILANO


Indice

ProfonditĂ dimenticate

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RealtĂ dimenticate

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La Regione si fa in quattro

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10_0408-Maiolica

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10_0408-Tessile

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10_0409-Zafferano

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10_0409-Confetti

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10_0410-Oreficeria

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10_0410-Merletto a tombolo

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10_0410-Ferro battuto

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Tema_PRODUZIONE Ilaria Bollati_735958 Giulia Lisci_736250 Giulia Magliani_735135 Linda Trappoloni_740419




Profondità dimenticate “Il volto è soprattutto un intarsio di organi di ricezione; la mano è azione; a volte si direbbe che pensa”. Vita della forma ed elogio della mano_Henry Focillon

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Il mondo dei mestieri, scomparsi o in estinzione, può considerarsi tra le più rigogliose memorie che ci legano a un passato neanche troppo lontano e non soltanto a quello personale, ma anche a gruppi di cui abbiamo ereditato i segni. I valori, documentari e testimoniali, hanno un’intensa dimensione socializzante di carattere antropico, storico e culturale. Ogni mestiere è cifra di una manualità vissuta come prestigio personale e dignità collettiva. Un racconto irripetibile, “tale che qualsiasi ricerca, più sagace, acribica e appassionata che si voglia, dal cinema alla narrativa, alla pittura, difficilmente possa far rivivere nella loro integrità, accenti, frammenti gergali, toni e timbri di voci, suoni, colori, odori, ritmi gestuali, prossemiche, sapori e quegli esili grumi di umori, così particolari, che appartengono soltanto a chi li ha personalmente esperiti nella loro quotidianità”. Ora secondo alcuni pensatori e sociologi, la società dei consumi si muove verso una finalizzazione del consumatore, con la manipolazione psicologica di ogni bisogno. Si assiste, secondo Baudrillard, “al dissolvimento della relazione simbolica legata alla gestualità tradizionale del lavoro artigiano”. I mestieri si possono diversificare in un’iridescente eterogeneità. “Di alcuni prendiamo, a diapositiva identitaria, la gestualità, la mimica, la prossemica, nel loro essere sempre affannati, sudaticci, iperattivi a parole e gesti, quasi sempre con perenne raucedine. Di altri artigiani, affiora la loro ridanciane ria e ciarleria. […]Alcuni artigiani quasi si confinavano in una chiusa oligarchia ereditaria, con tutti i reconditi segreti del mestiere. Attorno a tutti, un intridente polline come di malinconia e coraggiosa filosofia esistenziale.” Si entra nelle antiche botteghe, quasi sempre a pianterreno o negli scantinati, come dopo aver varcato una soglia invisibile, oltre la quale si distaccano dal mondo della gente lì fuori, ritmi, misure di spazialità e suoni, colorazioni e penombre. Avvolti in nuove percezioni, rapporti più corposi e vicini di persone e oggetti. “Tocchi il senso e il corpo del foco delle forge, il cuore del legname, dei trucioli, l’anima del cuoio, del ferro, dell’argilla, sapori digrumi e semi di suoni, di luci e bagliori, chiaroscura ture scandite di pause, silenziosità nutrite di vocii, schiocchi, picchiottolii, tinelli: tutto un fascino di genuinità riscoperte; che evocano fette di pane da grano antico, estratte da annose madie di <fratello faggio>”. Nella tradizione economica e culturale dell’Abruzzo, il lavoro artigiano ha svolto un ruolo certamente non marginale.



L’artigianato si è inserito in questo quadro produttivo come attività di servizio all’economia agro-pastorale e da questa sua preminente funzione ha tratto molteplici risorse per una costante e, in alcune fasi storiche, rigogliosa presenza, adattandosi con notevole duttilità tecnica ed organizzativa alle differenti richieste del mercato. Le botteghe di fabbri, falegnami, ramai, scalpellini, tinai, ceramisti, calzolai ed altri ancora hanno prodotto beni indispensabili alle loro comunità, trasmettendo da una generazione all’altra, da maestri ad apprendisti, un prezioso patrimonio di tecniche ed abilità pratiche, tese sempre a coniugare l’estro con la precisione e l’accuratezza esecutiva, l’obiettivo estetico con l’indispensabile funzionalità degli oggetti. E accanto a questa produzione di servizio diffusa sul territorio in modo capillare, ed attiva fino al recente passato, gli artigiani abruzzesi sono stati e sono tuttora portatori di una tradizione il cui livello artistico e tecnico ha conferito loro una meritata fama anche oltre i confini regionali. E non vanno dimenticate, inoltre, la raffinatezza dei tessuti in lana e delle tele da corredo, le forme precise e leggere dei lavori ad intreccio, la minuta varietà dei decori ad intaglio su legno, le creative soluzioni nei mosaici su vetro. Oggi più che mai, l’artigianato si rinnova anche in Abruzzo. I maestri che operano in diverse località della regione, consapevoli depositari di un’esperienza secolare nella trasformazione della materia che si pone al di sopra delle uniformi produzioni di serie, propongono al mercato attuale le proprie capacità di integrare motivi e tecniche di una tradizione illustre con nuovi spunti di ricerca nei materiali e nel design, realizzando con uguale competenza oggetti d’uso come manufatti di notevole rilievo artistico. Nelle loro opere si conserva, così, e si rivitalizza costantemente una porzione significativa dell’identità culturale abruzzese.



Realtà dimenticate “Abruzzo forte e gentile”

Primo Levi

Popolazione residente_ 1.262.392 Maschi_ 612.477 Femmine_ 649.915 Denominazione abitanti_ Abruzzesi Kmq_ 10.798 Montagna_ 65,1% Collina_ 34,9% Pianura_ 0,0%

città_residenti_densità per Kmq_numero famiglie

1. Roma_2.546.804_1.981,5_1.039.152 2. Milano_1.256.211_6.899,6_588.197 3. Napoli_1.004.500_8.565,7_337.787 34. Pescara_ 116.286_ 3.458,8_ 43.285

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La Regione si fa in quattro “I pescaresi? zingari fatti e finiti” “I chietini? Vivono in uno stato di imbambolimento borbonico” “Gli aquilani? Spocchiosi, passano il tempo a guardarsi l’ombelico con la lente d’ingrandimento” “I teramani? Tutti matti: quelli sono di un altro pianeta...”

Aquila agricoltura_120 imprese artigiane_6471 manifattura_2148

Teramo agricoltura_166 imprese artigiane_8358 manifattura_3693

Pescara agricoltura_90 imprese artigiane_7295 manifattura_2475

Chieti agricoltura_188 imprese artigiane_8640 manifattura_3800

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partenza Milano arrivo Castelli distanza 588 km produzione Maiolica

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L’artigianato ceramico rappresenta la grande risorsa economica e culturale di Castelli. Della sua origine, collocabile attorno all’anno 1000, non si hanno documenti, la sua affermazione è certa alla fine del ‘400 quando gli artigiani del “fare” intrapresero la via della soggettività creativa e coralmente diedero vita, e poi nel tempo consolidarono, uno “stile” esclusivo e ad una autentica “scuola”. Questo percorso si snoderà per secoli, registrando i nomi prestigiosi che hanno elevato l’umiltà dell’argillla ai fasti dell’arte: le dinastie dei Pompei, dei Grue, dei Cappelletti, fino ai Fuina, ben oltre la metà dell’800. Oggi l’artigianato ceramico che conta cinquantuno aziende, è vivace ed attivo e si muove in gran parte nelle scia della tradizione. Sono tempi ricorrenti le rielaborazioni di soggetti cinquecenteschi e seicenteschi, ma non mancano tentativi di ricerca e di proposta a forte valenza innovativa, particolarmente ad opera delle aziende a maggiore impegno produttivo. Fondata nel 1906 per volontà di Beniamino Olivieri e Felice Barnabei, oggi è una delle istituzioni più prestigiose nel panorama ceramico italiano. Ospitata in una struttura moderna, dotata di attrezzature tecnologicamente avanzate, si articola in due sezioni: “ Arte della ceramica” e “tecnologia ceramica”. Nelle sue aule si sono alternati, quali docenti, nomi prestigiosi dell’arte ceramica italiana e si sono formate generazioni di professionisti e di valenti artigiani. L’Istituto rappresenta anche oggi il suo supporto culturale indispensabile per dare continuità alla tradizione ceramica e nello stesso tempo stimola l’innovazione nel campo dell’arte della ceramica. La fama di Castelli è legata a una secolare eccellenza nell’arte ceramica, tra le più prestigiose del nostro paese. Questa cittadina nel versante orientale del Gran Sasso, è tra le più colpite dal devastante terremoto dell’Abruzzo avvenuto nel cuore della notte del 6 aprile 2009. Il centro storico, e anche la chiesa di San Donato con il suo famoso soffitto chiamato “ la Sistina della ceramica” sono stati gravemente danneggiati. “ Saliamo lungo i tornanti per Castelli, paese dove l’argilla fa l’amore col fuoco e muraglioni fenicotteri offrono, vicino alle bolge dei calanchi, in levitanti movenze di danza , scalette, vicoli, loggiati; che covano i respiri e i cuori dei vecchi forni di ceramica”. Ed ecco l’apertura di Terra acqua fuoco e fantasia , un articolo di centrata finezza documentaria di Domenico Verdone.

MAIOLICA

“[...]a un’altra Terra detta le Castella (Castelli, Teramo), nella qual Terra si fanno vasellamenti nobili di candida terra, e se ne portano fino a Napoli” frà Serafino Razzi



MAIOLICA

“ In qualunque modo si voglia raccontare la storia dell’artigianato ceramico d’Abruzzo, bisogna iniziare da Castelli. E non solo perchè da secoli questo paese ai piedi del Gran Sasso è il centro principale di produzioni, ma perchè da cui derivano, come per una feconda e creativa diaspora, le origini dell’artigianato di Rapino, di Bussi sul Tirino, di Torre dei Passeri. Fanno eccezione Anversa e Lanciano che rivendicano una tradizione autoctona, la cui produzione, tuttavia, non si è sottratta, negli anni, all’influsso stilistico dellla scuola castellana, che può ritrovarsi nelle forme e nelle decorazioni”.



10_0408 “Non produciamo quanti capi vogliamo, ma quelli che possiamo”.

partenza Castelli arrivo Penne distanza 35 km produzione Tessile

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Penne è una cittadina di antiche origini adagiata su un colle, con una vivace aconomia che contempla, accanto alle attività rpimarie, numerose iniziative imprenditoriali nei settori dell’industria, del commercio e dei servizi; è ricca di laboratori artigiani specializzati nella lavorazione delle pelli e nella produzione di mobili in stile. Nel 1945 il pennese Nazareno Fonticoli, maestro innovatore della grande sartoria italiana, e Gaetano Savini, talento naturale delle pubbliche relazioni, diedero vita all’Atelier Brioni in Roma. Ben presto Brioni divenne la sartoria preferita della più illustre ed esigente clientela internazionale: Henry Fonda, Clark Gable, John Wayne, Kirk Douglas, Rock Hudson e tanti altri. Dopo il primo, storico défilé in Palazzo Pitti a Firenze (fu questa sartoria ad introdurre la sfilata maschile), Brioni divenne il primo vero ambasciatore della moda maschile italiana nel mondo, aprendo boutiques nelle più importanti città del globo. Nel 1959 fu fondata a Penne la Brioni Roman Style S.p.a, azienda destinata a sviluppare i presupposti commerciali di tale attività imprenditoriale e in grado di consentire il naturale assorbimento delle tradizioni artigianali pennesi. Le secolari botteghe e le grandi scuole di ricamo e di cucito confluiscono infatti naturalmente nella Brioni, che esalta le antiche vocazioni risvegliandone i valori creativi. Con i suoi 1000 dipendenti, fra i quali oltre 300 sarti, la Brioni costituisce l’anima dell’imprenditorialità pennese. Ciascuno dei 300 abiti prodotti quotidianamente viene costantemente modellato a mano in tutte le sue fasi, con estrema cura e professionalità di lavorazione. All’interno dell’azienda è stata creata dal 1983 la Scuola Superiore di Sartoria , finalizzata a mantenere intatti quei lavori di ricerca stilistica che fanno della Brioni il leader nel campo dell’abbigliamento maschile nel mondo. Proprio partendo dalla crescente spinta che la Brioni ha saputo imprimere al sistema economico locale col graduale recupero demografico e socio-culturale dell’area, si è potuto assistere al risveglio gene rale di questa antichissisma città nel momento stesso del suo definitivo declino. Il suo futuro di sviluppo, così legato al crescente prestigio della Brioni Roman Style S.p.a ed alla sua estesa attività porterà, nella strategia amministrativa che già si avverte, al recupero della fruibilità urbana della città, in abbinamento alla razionalizzazione viaria interna ed esterna, ed alla valorizzazione del suo patrimonio storicoculturale.

ESSILE

Gaetano Savini



10_0409 “Lo zafferano: il Mida vegetale che tramuta in oro tutto ciò che tocca”.

partenza Penne arrivo Civitaretenga, Navelli distanza 94 km produzione Zafferano

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Le tradizioni di questa comunità hanno resistito con tenacia alle pressioni della modernità e del progresso: si tramanda da tempi immemorabili la coltivazione dello zafferano, che richiede attenzione e una lavorazione molto accurata ma ripaga gli sforzi dei navellesi con abbondanti raccolti e alimentando il volume delle esportazioni. La mitologia greca attribuisce la nascita dello zafferano all’amore di un bellissimo giovane di nome Crocus, che viveva riparo degli Dei. Crocus si innamorò di una dolce ninfa di nome Smilace che era la favorita del Dio Ermes. Il Nume, per vendicarsi di Crocus, trasformò il giovane nel bellissimo fiore dello zafferano. Lo zafferano è conosciuto da millenni, difatti Omero, Virgilio, Plinio ne parlano spesso nelle loro opere ed Ovidio nelle Metamorfosi. Se ne parla nei papiri agiziani del II secolo a.C. nella Bibbia, e nel IX e XII libro dell’Illiade. Isocrate faceva profumare i guanciali prima di andare a dormire e le donne troiane profumavano i pavimenti dei loro templi. Lo zafferano si coltivava in Cilicia, Barbaria e Stiria. Dall’Asia la coltivazione si estese in varie parti del mondo arrivando anche in Tunisia e da essa in Spagna, coprendo le zone Albasete, Teruel, Toledo, Valencia e Murcia. Da queste zone arrivò in Italia per mano di un certo domenicano appartenente alla famiglia Santucci di Navelli. Il Santucci si innamorò fortemente della piccola pianta e pensando ai suoi terreni dolci della piana di Navelli pensò che questa pianta potesse dare molti buoni frutti. Difatti lo zafferano qui trovò un habitat molto favorevole venne fuori un prodotto di gran lunga superiore a quello coltivato in altre nazioni. Rapidamente la coltura si estese nei dintorni e le famiglie nobili della città diedero vita in breve tempo a grandi mercati con le città di Milano e Venezia. Il nome scientifico Crocus deriva dal greco Krokos, invece il nome zafferano deriva dall’arabo Zaafran. Lo zafferano è una piccola pianta di appena 12/15 cm. di altezza. Detta pianta che in tecnica colturale viene riprodotta per propagazione vegetiva, cioè con il trapianto dei bulbi poichè la pianta non produce seme per la particolare disposizione degli organi di riproduzione. Come ben si sa lo zafferano dell’Aquila coltivato nella Piana di Navelli è il migliore del mondo per le sue elevate qualità e ce lo dimostrano i vari eventi, nonchè il convegno internazionale del 28/30 ottobre 1989 che ha conferito di nuovo allo zafferano dell’Aquila prodotto nella piana di Navelli il “PRIMATO DEL MONDO”. Nel XIII secolo la città de L’Aquila era appena nata e subito diventò famosa proprio per le qualità superiori dello zafferano aiutando così l’economia dell’allevamento delle pecore e la produzione della lana.

ZAFFERANO

Gianni Staccotti



ZAFFERANO

Dalla zona dell’Altopiano di Navelli, la coltivazione si estese per tutta la provincia dell’Aquila realizzando un commercio favoloso. Dopo breve tempo l’Aquila fu in grado di organizzare commerci con le città più importanti: Milano e Venezia nonchè con le città estere: Francoforte, Marsiglia, Vienna, Norimberga ed Augusta. Affermatosi a livello internazionale lo zafferano dell’Aquila veniva conteso da tanti commercianti. Il Sig. Jobst Findenken di Norimberga veniva di persona a L’Aquila per comperare lo zafferano e poi strada facendo lo sofisticava con altri tipi di zafferano ed arrivato a dimora lo vendeva. Ma ben presto fu scoperto e il 27 luglio 1444 venne bruciato vivo con il prodotto che portava. Nel 1513 le imprese più importanti di Norimberga acquistarono case a L’Aquila e divennero cittadini aquilani. Con questo soggiorno prolungato nella città comperarono tutto il prodotto. La città dell’Aquila per molte volte si è trovata in difficoltà soprattutto sotto il dominio spagnolo e, grazie ai produttori di zafferano che svendettero il prodotto, potà pagare le gabelle impostegli. Dallo sgomento tutti cominciarono a coltivare meno zafferano, addirittura nel 1646 si produsse un solo chilogrammo di zafferano. Con l’arrivo dei Borboni sul regno di Napoli fu data una nuova fiducia ai coltivatori tanto che nel 1830 raggiunsero una produzione di 45ql. La coltivazione comincia di nuovo a indietreggiare, prima a causa di conflitti e poi a causa dei soprusi da parte dei commercianti che non volevano concedere un pagamento equo. A questo punto i coltivatori cominciarono a dare i bulbi alle bestie per disfarsene completamente. Un semplice coltivatore Silvio Serra di Civitaretenga, amante sia della pianta dello zafferano e della storia gloriosa di essa, a rimboccarsi le maniche riunendo alcuni coltivatori ad unirsi in cooperativa riportando al suo posto ed al suo splendore quella spezia che diede e dà onore e gloria non solo alla piana di Navelli e alla città dell’Aquila , ma all’Abruzzo e l’Italia tutta. Perciò la sua coltivazione non deve essere solo salvaguardata ma diffusa e sviluppata almeno per buoni motivi come lo sviluppo economico.



10_0409 “Fiora si voltò, nel sorriso della bocca sanguigna mostrando dei denti bianchissimi dei denti mandorlati”.

partenza Civitaretenga, Navelli arrivo Sulmona distanza 49 km produzione Confetti

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Sulmona bellissimo centro sorto all’ombra della Majella che ha visto la nascita di Ovidio. Una cittadina di montagna di antiche origini, con un’economia molto varia che contempla, accanto alle attività primarie, numerose e prestigiose iniziative imprenditoriali nell’industria e nel terziario; una lunga tradizione è a monte dell’artigianato locale dei tappeti, dei metalli, della ceramica decorata e soprattutto dei confetti. In questo luogo ha sede la fabbrica Pelino che all’interno ospita il Museo dell’arte e della tecnologia confettiera . Fondata nel 1783 e oggi gestita dal signor Mario e dai suoi fratelli e cugini, la Pelino si arroga il titolo (conteso da un’altra blasonata azienda, la William Di Carlo) della prima industria confettiera della città. Il negozio , sempre all’interno della fabbrica presenta infinite varietà doi confetti e una parte dedicata completamente alle bomboniere che Pelino definisce “la gloriosa cultura del matrimonio all’italiana”. Sulmona deve sicuramente la sua fama di “capitale del confetto” alle composizioni floreali costituite da confetti che diventano petali e da filo di ferro che diventa gambo. La storia racconta che nel X secolo fu un arabo, tale Al-Razi, a inventare il metodo per racchiudere la frutta secca in un manto di zucchero che, attraverso la Sicilia, venne copiato in tutto il mondo. Fu in epoca rinascimentale che i confetti della città ebbero successo presso le corti italiane, e questo per merito della monache del locale convento delle clarisse, le quali per resistere ai peccati di gola, avevano preso a intrappolarli con fili di seta colorati creando collane e fiori da donare alla Vergine. Ancora oggi sono le donne di Sulmona a portare avanti la tradizione della confetteria. Le aziende di Sulmona puntano anche sull’ottima qualità delle mandorle ( quelle di Avola, le migliori) e degli altri ingredienti che compongono l’intero confetto. L’azienda Pelino è, dalla sua fondazione nel 1783, votata alla qualità ed al benessere del consumatore. Qualità significa utilizzare ingredienti certificati di alto valore qualitativo (mandorla Avola, Nocciola Piemonte o Romana, pistacchi siciliani, cioccolato belga, ecc.) per ottenere rispetto incondizionato per il gusto. Qualità vuol dire anche utilizzare processi produttivi tradizionali che conservano l’integrità degli ingredienti e garantiscono la piena soddisfazione organolettica del consumatore. La Confetti Pelino dichiara che i propri prodotti sono assolutamente privi di grassi animali: i confetti bianchi da cerimonia contengono mandorla Avola, zucchero e vaniglia; i confetti al cioccolato contengono i grassi vegetali derivanti dalle bacche di cacao (burro di cacao) e lecitina di soya come emulsionante.

CONFETTI

Terra Vergine_Gabriele D’Annunzio



CONFETTI

Tutti i prodotti Pelino sono realizzati secondo la antica tradizione confettiera: senza amidi, glutine e maltodestrine. Sono perciò compatibili con le piĂš diffuse intolleranze alimentari, quali la celiachia e per l’equilibrato rapporto tra proteine, carboidrati e grassi (insaturi, Omega-3 ) sono indicati come integratore alimentare dal gusto prelibato.



10_0410 “...portava agli orecchi due grandi cerchi d’oro e sul petto la Presentosa, una grande stella di filigrana con in mezzo due cuori”.

partenza Sulmona arrivo Scanno distanza 31 km produzione Oreficeria

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Comune montano di impianto medievale, rinomato per l’abilità sopraffina dei suoi orafi e per i pregiati filati e merletti; frequentatissima località di soggiorno estiva e invernale, ha visto la sua economia crescere per venire incontro alle esigenze dei turisti. La comunità degli scannesi, che presenta un indice di vecchiaia particolarmente elevato, risiede nella località di Frattura e nel capoluogo comunale, formato da una parte antica, scaglionata sul ripido pendio di un colle. Scanno è uno dei paesi abruzzesi in cui si porta ancora il costume: splendidi abbigliamenti che vengono indossati con orgoglio e amore non solo dalle persone anziane, ma anche da giovani e soprattutto dalle giovani. Gli uomini portano un lungo e spiovente mantello nero, fermato al collo da bottoni e ganci in argento lavorato a mano; le donne indossano ampie gonne nere, coperte da un grembiule di seta colorato, e camicette dalle ampie e sontuose maniche; sui polsi e sui colli brillano gemelli e bottoni in argento; sui cappelli, intrecciati di nastri, lunghi spilloni tengono fermo il piccolo, regale, turbante. Proprio per completare costumi e acconciature si afferma a Scanno la produzione di toni, nei quali ritornano motivi della stella, dei cuori, della colomba, dei fiori, delle mani intrecciate, di uccellini, cerbiatti e molti altri elementi simbolici o astratti. Merita di ricordare una curiosità a proposito della tecnica con la quale questi oggetti venivano , e vengono ancora oggi, realizzati: la fusione avviene in piccole forme scavate, secondo il disegno, entro ossi di seppia. Il pezzo così ottenuto viene rifinito e cesellato a mano. Molto nota è la presentosa, il gioiello abruzzese per antonomasia, che esce dalle mani degli orafi di Scanno. La presentosa nella sua forma “tipica”, è composta da un telaio (o scafo) di forma stellare, il cui spazio circolare interno è riempito da spiralette realizzate in filigrana o in cordellina semplice; al centro, campeggiano due cuori, uniti da un crescente lunare rovesciato (simboli di amore e felicità). Lo stesso gioiello, però, veniva prodotto anche con varianti aI motivo classico, poichè ogni orafo ambiva a differenziare la sua opera, creando uno stile, quanto più possibile, personale, oppure, perchè lo realizzava seguendo il gusto e le esigenze del committente, arricchendo il medaglione di contenuti simbolici genericamente specifici. Quindi, questo gioiello veniva spesso ricevuto dalle giovani donne quale promessa d’amore: era un “presente” ossia “dono”, da cui deriva la definizione dialettale presentenze, e la successiva presentòse; questa usanza, spiega perchè, tra tanti, prevale il motivo simbolico del cuore.

OREFICERIA

Il trionfo della morte_Gabriele D’Annunzio



OREFICERIA

Infatti, delle sette tipologie che seguiranno, le prime cinque ne rappresentano altrettante varianti. Altri esemplari, invece, mostrano elementi diversi come: la corona (allusiva di “regina” e “signora” del cuore), la chiave (che apre il cuore), fiori e colombe (messaggeri amorosi). Purtroppo, i manufatti preziosi prodotti in Abruzzo, raramente risultano contrassegnati da un marchio o bollo di identificazione: pertanto, le località di provenienza sono presumibili in base ai riscontri sul territorio, presso le botteghe orafe, i depositi votivi e le collezioni di famiglia. Inoltre, come per tutto il resto della produzione orafa, la presentosa veniva realizzata usando oro a basso titolo, 8 e 12 carati, al fine di risparmiare sul costo del materiale prezioso. Anche la filigrana, in origine, dato il basso costo della manodopera, veniva realizata per economizzare, rendendo, nel contempo, esteticamente, più “prezioso” il gioiello. Alcuni hanno addirittura un incavo in cui conservare un ricordo della persona amata.



10_0410 “La squisita ricchezza dei merletti onde erano adorne”.

partenza Scanno arrivo Pescocostanzo distanza 68 km produzione Merletto a tombolo

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Comune montano di chiara impronta cinque-seicentesca, località di soggiorno estivo ed invernale rinomata per la lavorazione del merletto a tombolo e dl ferro battuto, per l’ intaglio del legno e per l’arte impeccabile dei suoi orafi. La comunità dei pescolani, il cui indice di vecchiaia è piuttosto elevato, risiede quasi per intero nel capoluogo comunale, a cui le tipiche costruzioni in pietra, dalla scala esterna, separate da muri frangivento conferiscono un aspetto molto particolare; la crescita edilizia è di tipo turistico-residenziale. A Pescocostanzo si lavorano le trine a fuselli cioè i merletti a tombolo, introdotti dai veneziani, o forse dai lombardi, e accompagnati da una gentile leggenda d’amore. Un pescatore trovò un giorno nella rete un’alga pietrificata, dalla forma molto bella ed elegante e la portò in dono alla fidanzata. Poco dopo il giovane partì per la guerra e la fidanzata, durante la lunga attesa, lavorò e intrecciò un filo sottile, e imitando la forma e le volute dell’alga pietrificata, realizzò uno splendido e delicato merletto. Il “punto aquilano” uno degli aspetti più interessanti della lavorazione, risale al 1400; è caratterizzato da un’esecuzione molto complessa e da un filo sottilissimo che conferiscono al pizzo particolare preziosità e leggerezza. È un lavoro che attrae ancora le donne di queste parti, dove le cento lire hanno conservato un valore A Pescocostanzo, presso Palazzo Fanzago antico convento di clausura, è ospitato il museo del merletto. A Palazzo del Governatore ha sede la Scuola Comunale di Merletto a tombolo, finanziata con una specifica legge regionale dove i ragazzi possono seguire lezioni gratuite da giugno a settembre.

MERLETTO A TOMBOLO

Orazio D’Angelo



10_0410 “Il ferro non è un metallo nobile, ma nobili sono le sue forme morbide e movimentate”. Raffaele Di Prinzio

arrivo Guardiagrele distanza 59 km produzione Ferro battuto

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Cittadina di probabili origini alto-medievali allungata su di un colle; è riuscita a sviluppare armonicamente tutti i settori produttivi e il suo vivace artigianato manifatturiero, che spazia dalla produzione dolciaria e pastaria alla lavorazione delle pelli, del rame, del ferro battuto e dei metalli preziosi, rappresenta una delle principali risorse economiche. Il borgo di Guardiagrele è custode della tradizione del ferro battuto, risalente al Medioevo, quando, grazie alla fama di Nicola da Guardiagrele, autore tra l’altro della croce sull’altare di San Giovanni in Laterano, a Roma si sviluppò anche una scuola di oreficeria ora quasi scomparsa. Nei vicoli risuonano i rumori delle botteghe dei fabbri che realizzano opere monumentali, utensili agricoli e oggetti decorativi per la casa. Dalla bottega Di Prinzio del 1856 è nata la società, passata nelle mani dei nonni, dei padri e dei figli. Negli anni ’70 su commissione di Papa Albino Luciani realizzarono la Madonna dei Miracoli col Bambino e il vecchietto di Pollutri raccolto in preghiera, nel 1978 fecero dono della croce pastorale al Papa Giovanni Paolo XXIII. Entro il 2011 devranno consegnare una scultura per l’aeroporto del Messico. ì

FERRO BATTUTO

partenza Pescocostanzo


10_0411_MILANO


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