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U T O R S : a r c o D i N a l l o ichela Bassanelli l e n a N a l d i arco Lampugnani
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O R G H I A B B A N D O N AT I
E l i s a A c c h i a r d o S i l v i a C o r t i n o v i s C i n z i a F u n a r o M a r i n a M e l o n i M i c h e l a F i n e t t i M a t t i a E l i s a M o r o n i E l e n a M o r M a r a B r o z z i F r a n c e s c a P o z z i A l i c e T r u a n t S t e f a n i a P r i n a Valeria Mercogliano V i o l a L u c i o n i E n r i c o F e r r a r i L i n d a T r a p p o l o n i I l a r i a B o l l a t i G i u l i a M a g l i a n i G i u l i a L i s c i S i l v i a M e d i c i C h i a r a C i cc i a re l l a L a u r a M a r i n o C h i a r a G u e r r i e r i E l e n a M u s i t e l l i E l e n a N a r d u c c i M a u r o R o v e r i Al e s s a n d ra Ta g l i a b u e P a o l a V a l s e s i a M a u r o R o v e r i A l e s s i a F e n i l i M a r c o R i z z i G a b r i e l e F r i s a r d i F r a n c e s c i B r e s s i E s t e r Z a n c h i S e r e n a S e m b i a n t e F r a n c e s c a L u i E u g e n i a M a z z o n i
A B O R A T O R I : n o r a L u p o t o r e Po r c a r o e s c a Pi re d d a
R O F E S S O R I : ennaro Postiglione o r e n z o B i n i g o s t i n o P e t r i l l o
GLI ABITANTI
E LE LORO STORIE
I BORGHI ABBANDONATI Responsabile gruppo di ricerca: Prof. Gennaro Postiglione Ricercatrici: E. Acchiardo - S. Cortinovis C.Funaro - M.Meloni Tutors: Lorenzo Bini - Agostino Petrillo Collaboratori: E. Lupo - S. Porcaro - F. Piredda
GLI ABITANTI
E LE LORO STORIE
INDICE
PARTE 1: Introduzione Cap. 1: Tema 1.1 Oggetto 1.2 Obiettivo
1.3 Azioni 1.4 Strumenti 1.5 Conclusioni
PARTE 2: Le Interviste Cap. 2: Preparazione alle interviste 2.1 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 2.1.5 2.1.6 2.1.7 2.1.8 2.1.9 2.2
Introduzione Cos’è una ricerca? Quali sono i suoi ingredienti? Qual è lo scopo della nostra ricerca? Quali sono le fasi della ricerca? Come si scelgono le persone da intervistare? Come si formulano le domande? Quali sono gli oggetti delle domande? Cos’è un’intervista? Conclusione: La nostra intervista L’intervista
Cap. 3: Lavoro in situ [punto di vista INTERNO] 3.1. Schede _INT 001 _INT 002 _INT 003 _INT 004 _INT 005 _INT 006 _INT 007 _INT 008 _INT 009 _INT 010 _INT 011 _INT 012 _INT 013
Cap. 4: La memoria oltre confine [punto di vista ESTERNO] 4.1. World Map_le voci 4.2. Schede _INT 014 _INT 015 _INT 016 _INT 017 _INT 018 _INT 019 _INT 020 _INT 021 _INT 022 _INT 023 _INT 024 PARTE 3: Frammenti [OUT] _FRAME 001 _FRAME 002 _FRAME 003 _FRAME 004 _FRAME 005 _FRAME 006 _FRAME 007 _FRAME 008 _FRAME 009 _FRAME 010 _FRAME 011 _FRAME 012 _FRAME 013 _FRAME 014 _FRAME 015 _FRAME 016 _FRAME 017 PARTE 4: Conclusioni [IN+OUT] Cap.5: Risultati 5.1. Risultati indagine in situ 5.2. Risultati indagine oltre confine Cap.6: Considerazioni bibliografia_sitografia
PARTE 1
INTRODUZIONE Titolo di questo lavoro rimanda a gli abitati e le loro storie... Il lavoro si inserisce all’interno di una ricerca più ambia su diversi fronti [vedi gli altri temi assegnati] che ha come obbiettivo strutturare un indagine sul fenomeno della dismissione dei borghi italiani, restringendo il campo alla regione Abruzzo e campionando eventuali esempi nelle Marche. Lo scopo è quello di creare un documento di lettura/ mappatura del fenomeno che possa essere utile a (eventuali) proposte di riattivazione. Fin da subito appare chiaro che l’abbandono è un fenomeno frutto del rapporto (interrotto) tra due attori principali: il territorio e gli abitanti. Col primo termine non indiachiamo un oggetto fisico neutrale, finito e misurabile come spesso viene trattato in discipline quali la geografia, la cartografia ecc. piuttosto quale esito di un processo di territorizzazione, ovvero un processo di strutturazione dello spazio fisico da parte della società insediata che, nel corso della storia1, scegli e abita una “parte dello spazio idealmente e materialmente circoscritto”, cioè un luogo. L’abitare, è difatti il modo di essere dell’uomo sulla terra; e il luogo è tale quando raca le tracce del gesto e del pensiero dell’uomo2. Perchè occuparsi delle storie, memorie, pensieri e paure dei singoli abitanti? Il rapporto tra uomo e territorio presenta un forte carattere di soggetività: si stabilisce con quell’uomo lì, in un detterminato punto del tempo e dello spazio. Dunque il problema si riflette sulla soggettività in una condizione di esperienza individuale e insieme storica. Il tema della soggettività corre quindi su due livelli: quello dell’individuo singolare, detterminato per nome, sesso, pensiero, abitudini, modo di essere e di sentire; e quella dell’individuo storico, colui che è identificabile in un preciso sistema di direzioni di uso del territorio e che concorre a una coscenza collettiva del luogo nel passare del tempo3. Ma come suggerisce Philippe Ariès nel suo testo Storia della mentalià spesso il soggeto storico non ha coscienza, perchè fa ancora parte di una collettività presente, alla quale manca il linguaggio della storia per prendere coscenza della propria identità. Per capire il rapporto (interrotto) tra territorio/ luogo e abitante non è sufficiente indagare nella storia della collettività che, non solo si esaurisce nella disciplina canonica della documentazione sequenziale di eventi, ma che inoltre non libera la persona singola dall’angoscia di diventare un essere senza passato e radici. Sempre Ariès sostiene che gli uomini sono sempre appassionatamente alla riceca della propria identità, e suggerisce nella disciplina della Nuova Storia la soddisfazione di questo bisogno4. Noi però vogliamo tenere presente la risposta di Martin Heidegger per cui l’uomo trova la propria identità attraverso la discretizzazione dello spazio indiferenziato al fine di individuare un luogo, all’interno, e in relazione del quale, esercitare, o ricordare, la propria vita, le sue passioni, le memorie, le paure, i sogni. Questa operazione si definisce abitare, per Heidegger vale l’uguaglianza abitare = essere5. La definizione dell’identità degli abitanti si materializza attraverso la raccolta delle loro memorie che, non solo non possono prescindere dal luogo abitato, ma che concorreranno alla delineazione di quella identità storica alla quale tutti le persone ambiscono. 1 Cfr. S. Dierna, Territorio, voce in P. Portoghesi, diretto da, Dizionario Enciclopedico di Architettura e Urbanistica, Istituto editoriale Romani, Roma 1969, pp.184-185. 2 Cfr. M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Verlag Güiter Neske Pfullingen, 1957, trad. it. di G. Vattimo, Saggi e discorsi, in particolare Costruire, abitare, pensare, Mursia, Milano 1976, p. 101. 3 Cfr. I. Farè, Che cosa è un luogo, in AA.VV., Il discorso dei luoghi. Genesi e avventura dell’ordine moderno, Liguori Editore, Napoli 2003, in particolare, Un soggeto singolare e plurale, pp.16-20. 4 P. Ariès, Storia della mentalità, in J. Le Goff, a cura di, La nuova storia, Mondadori, Milano 1980, p.38. 5 M. Heidegger, Vorträge und Aufsätze, Verlag Güiter Neske Pfullingen, 1957, trad. it. di G. Vattimo, Saggi e discorsi, in particolare Costruire, abitare, pensare, Mursia, Milano 1976, p. 97.
CAP.1
TEMA
1.1 OGGETTO Il tema della nostra indagine ha come oggetto gli abitanti e le loro storie. Sono stati indivuati una rosa di borghi significativi all’interno del lavoro di ricerca corale alla quale prendiamo parte, molti dei quali però sono completamente abbandonati o comunque non presentano più una struttura comunitaria. L’oggetto quindi si concentra sulla persona in sè, in quanto individuo e spesso unico portatore di una memoria legata al borgo, il quale non ha altra documentazione diretta se non il registro del ricordo di coloro che ci vivono o ci hanno vissuto. Dobbiamo comunque tenere presente che la relazione che lega le persone ai luoghi ha un carattere di tipo dinamico, sia nel senso proprio della mobilità (molte persone di sono spostate dal borgo per vivere altrove) sia nel senso di flusso che stabilisce una repiproca connessione tra le persone e i luoghi1. Dunque è possibile sempre indagare anche dove il contatto con il borgo non esiste più. Consideriamo col termine “abitanti” coloro che abitano propriamente il borgo, ma anche coloro che sono andati via, cogliendo l’occasione di un ulteriore punto di vista che sì è lontano, ma che forse, proprio per questa ragione, è meglio strutturato nella realizazione personale di un ricordo di rottura con il luogo. La figura principale di questo gruppo è sicuramente quella dell’emigrato: molti di questi borghi hanno conosciuto lo spopolamento proprio a causa di una forte emigrazione che ha interessato la regione dall’inizio del Novecento fino agli anni ‘802. Tramite le interviste è possibile raccogliere tutta una serie di informazioni immateriali e materiali che ci porteranno a costruire un quadro dettagliato della vita di queste persone. Le indagini si svolgeranno seguendo due filoni principali: 1) analizzando la documentazione esistente, attraverso la raccolta di materiale “fisico” (fotografie, filmati, oggetti, libri); 2) intervistando le persone in situ, attraverso la raccolta di materiale “non fisico” (storie,evocazioni, ricordi, sogni e timori) ci porterà a conoscere le dinamiche passate e presenti della vita di questi abitanti. In seguito si realizzeranno dei documenti che ci delineeranno un quadro degli abitanti d’Abruzzo. Quest’ultimo filone sarà preceduto da una fase di documentazione sul come organizzare la serie di domande. Sceglieremo dei campioni in quanto esistono persone che hanno vissuto in modi differenti e vivono in differenti condizioni: abruzzesi che tuttora vivono in queste terre, quelli che sono emigrati, quelli emigrati e poi ritornati nella terra di origine, studenti, artigiani, lavoratori,pensionati... Divideremo per categorie in modo da rappresentare, con i risultati della nostra ricerca, i diversi volti e le differenti realtà degli abitanti dell’Abruzzo. 1 Cfr. I. Farè, Che cosa è un luogo, in AA.VV., Il discorso dei luoghi. Genesi e avventura dell’ordine moderno, Liguori Editore, Napoli 2003, in particolare, L’insieme dinamico di uomini e cose, pp.14-16. 2
1.2 OBIETTIVO L’obiettivo principale che si vuole raggiungere è quello di ricostruire la so le
memorie degli abitanti.
storia dei luoghi attraver-
Tutto il materiale che raccoglieremo ci permetterà di ricostruire un quadro complesso e unitario del territorio. I ricordi personali serviranno a costruire tutto l’aspetto evocativo del luogo fornendoci informazioni riguardo usi e costumi, tradizioni, riti religiosi, comportamenti caratteriali, abitudini alimentari. In questo modo riusciremo a proporre una visione e una lettura del territorio da più punti di vista soggettivi che, come pezzi di puzzle, incasellati ordinatamente, restituiranno un’immagine unica.
1.3 AZIONI La nostra ricerca sì basa su una molteplicità di risorse. Molte testimonianze di abitanti abruzzesi sono già state documentate in testi o rintracciabili sulla rete sia all’interno di sitografie ufficiali sia come espressione personale dell’indivuduo in quanto singolo. Tuttavia la presa di coscenza diretta del tema che abbiamo affrontato ci è sembrata fondamentale. Abbiamo perciò condotto l’indagine su due livelli paralleli in continuo rapporto di supporto l’uno dell’altro. Allo studio di documentazioni esistenti redate da terzi abbiamo quindi affiancato un lavoro di contatto e raccolta di quello che andremo a definire materiale non fisico. Seguono le fonti delle risorse. MATERIALE FISICO ARCHIVI
_scritti _audio _video
WEB _siti internet _blogs _social network
ASSOCIAZIONI
_Italia _estero
MATERIALE NON FISICO CONTATTO _persone _luoghi _cibo _vita
INTERVISTA _storie _ricordi _evocazioni _sogni e timori
(libri, corrispondenze, trascrizioni, riviste locali) (depositi Museo delle Genti d’Abruzzo, archivi RAI) (filmatografia, Festival del Documentario d’Abruzzo) (www.abruzzoemigrazione.it, www.agenziaborghiteramo.it, www.abruzzesinelmondo.regione.abruzzo.it) (www.abruzzoblog.blogspot.com, http://abruzzointavola.splinder.com, www.laroccadiarquata.splinder.com) (www.facebook.com: gruppi Anche Io Sono Abruzzese, Regione Abruzzo, Abruzzo nel cuore) (La Maiella di Rho , Associazione degli Abruzzesi Roma) (CRAM)
1.4 STRUMENTI INTERNO_l’intervista IDENTITA’ _nome _anni _lavoro _luogo/luoghi STORIA PERSONALE _famiglia di partenza _famiglia costruita RAPPORTO COL LUOGO _problemi/disagi _evoluzioni MEMORIA _ricordo di un fatto _evocazione
ESTERNO_le associazioni CRAM _Comitato Regionale Abruzzesi nel Mondo ITALIA _Associazione Abruzzese Molisana “La Maiella” di Rho EUROPA _FEAS (Federazione Emigrati Abruzzesi in Svizzera) _FAAB (Federazione delle Associazioni Abruzzesi in Belgio) _ALAMEL (Ass. Lavoratori Abruzzesi La Maiella - Lussemburgo) _Associazione Abruzzo e Molise di Londra - Gran Bretagna _Lingue del Corfinio – Francia _Circolo Culturale Abruzzese “La Majella” - Germania AMERICHE _FAA (Federazione Associazioni Abruzzesi - USA _FEDAMO (Federazione di Ass. Abruzzesi e Molisane - Argentina) _Confederazione Abruzzese Canada OCEANIA _ FAADA (Federazione Associazioni Abruzzesi D’Australia)
OUT/IN IN IN/OUT
IN _chi ha sempre vissuto in Abruzzo IN/OUT _l’emigrato mai tornato OUT/IN_l’emigrato poi tornato in Abruzzo
Friedrich D., Due uomini in riva al mare al sorgere della luna, particolare, 1817
“il soggetto fa parte del paesaggio, è un osservatore all’interno del sistema osservato, e non esterno a esso; proprio per questo, la [sua] visione è molto limitata (...) vedere significa essere vincolati a uno e a un solo punto di vista”
Cit. F. Farinelli, Geografia. Un’introduzione ai modelli del mondo, Eunaidi, Torino 2007, p. 55
21
PARTE 2
2. LE INTERVISTE
2.1 INTRODUZIONE Per raggiungere il nostro obiettivo, abbiamo deciso di utilizzare il metodo delle video interviste dirette. Il lavoro è cominciato a tavolino. Ci siamo procurate dei testi che ci permettessero di capire come funzionasse un’intervista. Il lavoro tramite interviste, che inizialmente da neofite ci poteva sembrare piuttosto banale, si è invece dimostrato estremamente complesso e laborioso. Ci siamo rese conto che l’intervista è solo uno degli strumenti che permettono di condurre una ricerca che ha dei precisi steps da percorrere. Avendo chiaro il tema ci siamo impersonificate nel ruolo del ricercatore e abbiamo iniziato a farci delle domande su ciò che dobbiamo fare:
- Cos’è una ricerca? - Quali sono i suoi ingredienti? - Qual è lo scopo della nostra ricerca? - Quali sono le fasi della ricerca? - Come si scelgono le persone da intervistare? - Come si formulano le domande? - Quali sono gli oggetti delle domande? - Cos’è un’intervista?
Presentiamo ora in dettaglio il lavoro che è stato svolto a tavolino prima di recarci sul luogo e iniziare il vero e proprio lavoro delle video interviste.
2.1.1_COS’è UNA RICERCA? Per capire a fondo cosa sia un’intervista abbiamo iniziato a studiare il contesto in cui essa si inserisce divenedone strumento primario: la ricerca. La ricerca ha come obiettivo primario l’avanzamento della conoscenza e la comprensione teorica delle relazioni tra le diverse variabili in gioco in un determinato processo.
2.1.2_QUALI SONO I SUOI INGREDIENTI? La ricerca è costituita da una serie di elementi che sono strettamente interrelazionati tra di loro. I principlai elementi sono 5: - attori - disegno di ricerca - misure - modalità di raccolta dei dati - codifica, analisi e interpretazioni dei dati Essi si relazionano all’interno di un contesto situazionale e di processi psicologici che potranno influenzare la qualità dei dati raccolti.
2.1.3_QUAL’è LO SCOPO DELLA NOSTRA RICERCA? Una ricerca viene sempre condotta in funzione di uno scopo. Gli scopi delle ricerche possono essere di due tipi: Essendo il nostro obiettivo quello di ricostruire la storia del luogo attraverso le storie degli abitanti, lo scopo della nostra ricerca sarà complesso. Essa affronterà una serie di tematiche diverse fornite dai vari personaggi che saranno analizzate e rielaborate al fine di riproporne un quadro complessivo
RICERCA 2.1.1_COS’è UNA RICERCA? Per capire a fondo cosa sia un’intervista abbiamo iniziato a studiare il contesto in cui essa si inserisce divenedone strumento primario: la ricerca. La ricerca ha come obiettivo primario l’avanzamento della conoscenza e la comprensione teorica delle relazioni tra le diverse variabili in gioco in un determinato processo.
SCOPI Elementari (un certo fatto) Complessi (rapporto esistente tra due o più variabili)
2.1.4_QUALI SONO LE FASI DELLA RICERCA? A questo punto non ci resta che capire come si sviluppa una ricerca. Avendo ben chiaro lo scopo da perseguire, bisogna procedere per fasi. Le prime cose da fare sono: - definire i campioni: chi vogliamo intervistare? - elaborare le domande da rivolgere agli intervistati, in relazione alle risposte che vogliamo ottenere.
2.1.5_COME SI SCELGONO LE PERSONE DA INTERVISTARE? Dobbiamo scegliere i personaggi che prenderemo come campioni per la nostra ricerca. Ovviamente nella scelta dei campioni bisognerà tenere presente che le loro risposte saranno gli unici dati che avrem per raggiungere il nostro scopo. Di conseguenza dovremo ritenere esaustivi e veritieri i dati forniti. Bisogna però tenere presente, come visto precedentemente, che i contesto situazionale in cui ci porremo e i processi psicologici che noi stesse innescheremo negli intervistati potranno fornirci dei dati, la cui attendibilità potrà essere compromessa. Ci siamo prefissate di considerare come campioni le figure istituzioni piuttosto che i commercianti o anche le stesse persone che abbiano un’èta superiore ai 50 anni in modo che possa permetterci di fare una ricostruzione della situazione economica e sociale dal dopo guerra a oggi. Una voltà arrivate la inizieremo a contattare il sindaco, il prete, i principali commercianti ed eventualmente qualche pensionato.
2.1.6_COME SI FORMULANO LE DOMANDE? Le domande vengono costruite allo scopo di esaminare le proprietà di uno specifico fatto. Le risposte servono per ottenere dati che verranno analizzati e codificati dal ricercatore per descrivere i fenomeni indagati al fine di trarre conclusioni. Avendo deciso di utilizzare i metodo delle video-interviste le domande più appropriate al nostre lavoro sono domande aperte che permattano all’intervistatore di “raccontare” quello che ritiene più consono.
POPOLAZIONE CAMPIONE SCOPI DELLA RICERCA DOMANDE
MODALITA’ DI SOMMINISTRAZIONE
PULITURA E TABULAZIONE
INTERPRETAZIONE DEI DATI
ANALISI
CONCETTI
POPOLAZIONE DI INTERESSE O TARGET (bersaglio)
CAMPIONE PROBABILISTICO O CASUALE: versione miniaturizzata della popolazione di interesse (i campioni vengono estratti da una lista completa della popolazione di interesse)
FATTORI CHE INDUCONO DISTORSIONI NELLA QUALITA’ DEI DATI
_inadeguatezza delle domande _contesto situazionale inadeguato _processi psicologici dell’intervistato
TASSO DI RISPOSTA: tra tutte le risposte vengono scelte quelle che forniscono informazioni necessarie Vs TASSO DI NON RISPOSTA: soggetti mancanti
oggetto della domanda
_non professionalità dell’intervistatore _alto tasso di non risposta _inadeguatezza codifica e analisi dati rac-
alternative formato generalità di risp da scopo della della della scegliere domanda domanda domanda tra 2 risposte chiusa opinioni generale valori comportamenti eventi credenze conoscenze specifica sostanziale 1 tra più risp ecc... buffer filtro introduttiva risp multipla
formato delle alternative di risposta dicotomico lista lista ordinata scala di giudizio o valutazione su: accordo, piacevolezza frequenza grandezza probabilità ecc...
2.1.7_QUALI SONO GLI OGGETTI DELLE DOMANDE? Gli oggetti indagati nelle domande sono prevalentemente soggettivi. Il nostro intento è quello di farci raccontare opinioni, intenzioni e attenggiamenti riguardanti esclusivamente il soggetto intervistato. Gli oggetti riguarderanno specificatamente le credenze, le aspettative e i comportamenti tenuti in passato in base alle condizioni sociali e storiche del periodo. Ricordi di fatti o eventi personali e non ci permetteranno di ricostruire il quadro storico del borgo in dato periodo, mentre evocazioni, emozioni, sentimenti, stati d’animo ci forniranno i dati racchiusi nella loro memoria per definire l’aspetto più romantico della vita nel Luogo. La dimensione temporale delle domande sarà prevalentemente inerente al passato, al vissuto. Cenni sul presente ci daranno informazioni sullo stato attuale del borgo; ci sarà utile capire se il borgo è in continuo declino o se c’è qualcuno o qualcosa di forte che sta invece prendendo il sopravvento per tenere vivo o rivitalizzare la situazione. Non ci interessa fondamentalmente capire quali saranno le singole aspettative, anche se, se dovessero fare accenni, non ci dispiacerebbe...
2.1.8_COS’è UN’INTERVISTA? Cos’è? L’intervista consiste in un colloquio fatto di domande e risposte tra un intervistatore e un intervistato. Dove? L’intervista si svolge nel contesto di un’interazione sociale, generalmente nel corso di una comunicazione faccia a faccia. Come? L’intervista è un’incontro tra due sconosciuti. Attenzione al modo di presentarsi e di gestione Quando? I dati rielaborati dalle risposte ci forniscono preziose informazioni Perché I risultati ottenuti rispondono allo scopo della ricerca Lo strumento dell’intervista risulta essere piuttosto complesso. Le interviste possono essere di vario genere; di fianco presentiamo una possibile categorizzazione in base alla forma in cui esse vengono proposte. A seguito di questo studio possiamo affermare che la nostra ricerca è qualitativa. Pertanto le nostre interviste saranno semi-strutturate e non direttive. Lo scopo principale è quello di avere un polo soggettivo in modo da poter ricostruire il punto di vista personale e unico dell’intervistato.
OGGETTI DELLE DOMANDE
OGGETTI INDAGATI NELLE DOMANDE
_OGGETTIVI: (oggettivamente definibili e osservabili anche da un altro individuo)
_atteggiamenti, valori, scopi, preferenze
_SOGGETTIVI: opinioni, emozioni, atteggiamenti, intenzioni
_credenze, opinioni, percezioni, giudizi, pregiudizi, stereotipi _intenzioni comportamentali _emozioni, stati d’animo, umore _conoscenza di fatti e eventi non personali
DIMENSIONE TEMPORALE DELLE DOMANDE _passato _presente _futuro e ipotetico
STRUTTURAZIONE
_comportamenti messi in atto _caratteristiche socio-demografiche
_strutturata (domande prestabilite) _semi – Strutturata (introduzione ulteriori domande-sonda sul momento) _non Strutturata (ampia facoltà di manovra)
DIRETTIVITA’
_direttiva (l’intervistatore guida l’intervistato) _non direttiva (L’intervistato è libero di parlare come vuole)
POLARITA’
_polo oggettivo (ricostruzione fatti concreti) _polo soggettivo (punto di vista dell’intervistato)
2.1.9_CONCLUSIONE: LA NOSTRA INTERVISTA Abbiamo iniziato a pensare a una serie di domande che ci permettessero di ottenere le risposte desiderate. Come si chiama? Quanti anni ha? Ha sempre vissuto qui? Che lavoro fa/faceva? I suoi genitori che lavoro facevano? Come era lei da bambino? Un evento positivo/negativo che ricorda dell’infanzia? Aveva qualche preoccupazione? Se si, quale? Ha mai pensato di andare via? Se si perche e dove? Da quante persone è composta la sua famiglia? Di cosa si occupano? I suoi famigliari sono qui o sono andati via? Se si perche e dove? Ci sono stati cambiamenti importanti in questo paese? Se si quali? Ci sono scuole, ospedale, autostrada, centri importanti nelle vicinanze? Qual è il disagio più grande? Cosa offre la sua terra? Allevamento, agricoltura, industrie, terziario? Qual è l’elemento architettonico che rappresenta il suo paese? Che rapporto c’è con le figure istituzionali? Sindaco, prete ecc… Una volta scritte ci saimo accorte che alcune domande avevano lo stesso oggetto e che l’insieme di più domande ci avrebbero fornito dei dati che poi si potrebbero catalogare all’interno di uno stesso tema. Così per rendere coerente e fluida l’intervista abbiamo deciso di suddividere e differenziare le varie domande inserendole all’interno di 4 grosse categorie: 1. PACCHETTO IDENTIFICATIVO (dati anagrafici) 2. RICOSTRUZIONE FAMIGLIARE 3. BORGO / TERRITORIO 4. MEMORIA
2.2 L’ INTERVISTA 1. PACCHETTO IDENTIFICATIVO (dati anagrafici) • Ci può raccontare qualcosa di lei? (domanda generale) • Come si chiama? • Quanti anni ha? • Ha sempre vissuto qui? • Che lavoro fa o faceva? 2. RICOSTRUZIONE FAMIGLIARE • Ci racconti un po’ della sua famiglia. (domanda generale) • Da quante persone è composta la sua famiglia? Di cosa si occupano? • È sposato? Ha figli? Vivono qui? • Ha mai pensato di andar via? Se si, dove? 3. BORGO / TERRITORIO • Cosa fa lei nel borgo? Di cosa si occupa? Quali sono le sue abitudini? • Problemi, disagi, preoccupazioni che hanno causato lo spostamento in altre città. • Attualmente qual è il disagio più grande? • Perché vive qua? • Qual è la cosa che gli piace di più e che lo fa stare qua? • Ci sono stati dei cambiamenti, evoluzioni da quando è stato via? • In passato c’è stato qualche forte cambiamento? Se si, quale? 4. MEMORIA • Ci racconta come nel tempo è cambiato il borgo? • Ci racconti un avvenimento di quando era bambino. • Cosa le cucinava sua mamma? • Quali erano le sue abitudini alimentari? E quelle dei suoi amici? • Dove andava a giocare? • Questo luogo è ancora utilizzato dai bambini?
CAP.3
LAVORO IN SITU [ PUNTO DI VISTA INTERNO ]
0 INTERVISTATI 70 m.s.l.m. abitanti 08 13° 29’ 52.80 N, 42° 44’ 13.56’’ E
2 INTERVISTATI 589 m.s.l.m. densità 70 ab./km2 superficie 77 km2 abitanti 5.444 42°46’18.67’’ N, 13°39’59.71’’ E
3 INTERVISTATI 400 m.s.l.m. abitanti 40 42°40’37.62’’N 13°49’4.14’’E
VALLENQUINA CIVITELLA DEL TRONTO
ROCCA SANTA MARIA 13°31’45.12’’N 42°41’14.28 E abitanti 632 superficie 61 km2 densità 11 ab./km2 1073 m.s.l.m. 2 INTERVISTATI
CASTELBASSO VALLE PIOLA 42° 41’ 52’’ N, 13° 34’ 37’’ E abitanti 0 1.017 m.s.l.m. 0 INTERVISTATI CASTEL DEL MONTE
2 INTERVISTATI 589 m.s.l.m. densità 70 ab./km2 superficie 77 km2 abitanti 5.444 42° 46’ 18.67’’ N,13° 39’ 59.71’’ E SANTO STEFANO DI SESSANIO
2 INTERVISTATI 1345 m.s.l.m. densità 8,27 ab./km2 superficie 58,02 km2 abitanti 480 42°22’0’’N 13°43’44’’E
CASTELVECCHIO CALVISIO 2 INTERVISTATI 589 m.s.l.m. densità 70 ab./km2 superficie 77 km2 abitanti 5.444 42°46’18.67’’N, 13°39’59.71’’E
3.1 RACCOLTA TESTIMONIANZE Dopo un’attenta analisi dei metodi per svolgere un’intervista e dopo aver creato una lista di possibili domande, abbiamo stilato un programma di viaggio con le tappe da effettuare. Il sopralluogo è stato svolto in sette borghi compresi tra Marche e Abruzzo.
INT 001_ORLANDO
“Primo di fare il Vigile sono stato un emigrante . Sono stato in Svizzera, Germania, Arabia
Saudita e Libia. All’età di 33 anni vinsi il concorso per diventare Vigile Urbano e ritornai a Rocca S. Maria. Ho un fratello che vive da 50 anni in Svizzera. Sono sposato e ho una figlia adottata dalla Polonia. Mia madre era di Avellino e mio padre di Rocca; s’incontrarono a Roma e vennero a vivere a Rocca. All’epoca era una foresta, non c’era luce, non c’e ra niente. Trent’anni fa gli abitanti erano 1020, ora sono 620. La
gente è andata via per proble-
mi di miseria e per cercare quindi lavoro nei grandi centri o all’estero. Una volta il paese era vivo, c’erano feste in continuazione. C’era molto lavoro grazie alla risorsa boschiva che forniva carbone e traverse per i treni. C’erano molti mestieri (lo scalpellino, il falegname, il taglialegna, il boscaiolo) che ormai non esistono più. C’è ora un’ azienda
importante.
bovina
ROCCA SANTA MARIA
INT 001
Ore 10.45 Orlando, unico Vigile Urbano 62 anni
C’erano i pecorari ma ora sono scomparsi. L’agricoltura è povera . Il territorio ha ed aveva risorse ma non è possibile sfruttarle perché è zona parco e quindi è un vincolo paesaggistico. C’è poco turismo , è un turismo prettamente fungaiolo, le persone si recano qui alla ricerca di funghi porcini. La realtà di oggi fa paura perché si vede che la zona progredisce verso un deterioramento. Le persone ora tornano solo per essere sepolti nel paese di origine. ”Ho passato l’infanzia in questo borgo fino all’età di 8 anni, per motivi di miseria andai poi in vari collegi. Dell’infanzia mi ricordo le feste di paese, la vita sociale, la felicità e il ricordo più nitido
è quando a Serra un signore (durante una festa) mi ospitò a casa e mi offrì 2 teste di pollo . Per
me era come Nutella. Ogni piccola festa di famiglia diventava una festa di paese. Ora questo
non c’è più .”
INT 002_GIAMPIERO
“I miei nonni erano di Rocca Santa Maria. I miei genitori vivono qui, mio padre era proprietario di
questo bar/ristorante, e fece questa attività per 23 anni. Mia mamma ora è in pensione, lavorò alle poste. Mio fratello vive anche lui qui, lavora in provincia di Teramo, ha 2 figli. Il primo frequenta un’università all’Aquila, la seconda frequenta le scuole medie a Teramo. Ho deciso di proseguire l’attività del padre perché ci credeva. Mi sposai e andai a vivere nella provincia di Carrara. Ho una figlia che vive a Ravenna. Ora sono divorziato, e ho deciso di ritornare qua perché sono legato al territorio. Sono stato anche in altre città ma la terra mi ha richiamato. Amo la natura, mi piace andare a funghi e vado a caccia. Mi piace stare a contatto
gna .Le montagne sono abbandonate la gente va via .
con la monta-
ROCCA SANTA MARIA
INT 002
Ore 14.00 Giampiero, ristoratore 42 anni
Il turismo è pressochè inesistente (il parco è un vincolo perché non permette di fare stazioni sciistiche). La gente viene d’estate solo per raccogliere i porcini. Solo il 10% si ferma al ristorante. I giovani se ne sono andati quasi tutti (per lavoro, per i figli, per la scuola). Fra 4 o 5 anni prevedo che rimarranno solo i paesi che danno sulla statale, gli altri moriranno. Ho vissuto da bambino a Martese (un borgo ora abbandonato). Quando ci ritorno sento
no-
stalgia del posto e ripenso alla vita che si svolgeva lì. In tutti i paesi che ora sono abbandonati una volta c’erano 70/80 persone. Venticinque anni fa c’era più vita. Durante le feste (Natale, Pasqua) e durante l’estate il bar era pieno di persone che venivano a giocare a carte. Non c’era posto per sedersi, bisognava prenotare il tavolo al mattino.
”
INT 003
“ ... ora nel borgo ci sono meno di 200 abitanti ... ” “ Verso la fine del 1500 c’erano centinaia di artigiani, nel forte vi erano circa 500 soldati, il paese
contava oltre 3000 abitanti. Era uno dei paesi più grandi dell’Abruzzo interiore. La popolazione si è andata sempre più riducendo. Oggi vi sono circa 5000 persone in tutto il comune (comprese le frazioni). C’erano molti artigiani,
calzolai, fabbri, falegnami , etc. Tutte queste attività oramai sono scomparse , e quelle persone che sapevano fare qualcosa sono
andate a lavorare nelle fabbriche.
CIVITELLA DEL TRONTO
INT 003
Ore 18.30 Avvocato, storico
I punti di riferimento sono diventati quei paesi che hanno avuto uno sviluppo economico più elevato. È un paese dove è rimasto praticamente nulla tranne la
fortezza che, dopo vari restauri, è diventata il primo monumento più visitato in Abruzzo. Ma è un turismo di passaggio ,
visitata la Fortezza se ne vanno. Per attirare i visitatori a sostare nel borgo e per contribuire all’economia delle poche attività presenti nel paese
bisognerebbe
creare dei negozi che vendano prodotti tipici o souvenir. ”
INT 004_BRUNO
“ ... molti civitellesi sono a Milano ... ” “
Mia madre era friulana, della Carnia, e mio padre romano. Si conobbero a Roma. Vennero ad
abitare qui. Mio padre aveva un negozio di alimentari che dava sulla piazza. Hanno avuto 6 figli. Siamo rimasti solo in 2 fratelli. Mio fratello ha 84 anni e vive a Parigi. Iniziai a lavorare come meccanico a S. Egidio quando finii la scuola dell’obbligo. Mi venne imposto da mio padre. Fin da ragazzo ho sempre avuto passione per la storia . Faccio visite guidate nel borgo ma anche intorno. Ho 2 figlie non sposate. Una lavora alla fortezza, l’altra in un villaggio turistico.
sono pentito di non essere andato via , ebbi occasione di fare la giuda turistica a Roma. Mi trasferii e lì rimasi 6 mesi, ma l’ attacco alla terra e la qualità
Oggi
migliore della vita mi richiamarono. Una volta c’erano più attività, c’erano 3 mercati all’anno che oramai sono scomparsi. Durante il periodo fascista c’è stato un ripopolamento grazie a delle leggi che favorivano la proliferazione. Dopo la seconda
guerra mondiale c’è stato uno
spopolamento . Milano è stata, per i civitellesi, un punto di arrivo.
CIVITELLA DEL TRONTO
INT 004
Ore 10.30Ore 10.30 Bruno, curatore dellae fortezza Bruno, curatore della fortezza e guida turistica guida turistica
Molti andarono a Roma o all’estero (Germania e Svizzera ). La
prevalentemente anziana
popolazione è
e quindi molti sono deceduti. È scomparsa quindi una generazione di artigiani. Civitella era famosa per i muratori, per i fabbri e per i sarti. L’unico aspetto
cercarsi lavoro fuori . Quando ero piccolo la piazza era luogo di aggregazione , c’erano 7 negozi di alimentari e veniva gente da fuori a fare la spesa. C’era una fabbrica di gazzosa , mi affascinò, il calzolaio, chi faceva le grondaie, il negozio del dazio, un chiosco di positivo è il turismo primaverile ed estivo. I giovani sono costretti ad andare a
gelati. Mi ricordo di gente anziana che discutevano di Bartali e Coppi. C’era il Cinema che rimase
fino al 57. Quando c’era il mercato mangiavo porchetta e pesce fritto . Si giocava con un pezzo di legno, andavo con i pantaloni corti pure d’inverno. Gli anziani che venivano da fuori si
”
mettevano le scarpe quando entravano in paese, per non consumarle.
INT 005_BERNARDINO
“ ... fine anni ‘50 inizi ‘60 c’è stato uno spopolamento ... ” “
I miei genitori erano originari di Castelbasso, mio padre faceva il calzolaio che era il mestie-
re del nonno. Un mestiere tramandato ora andato perso. Negli anni 60 andai
per cercare lavoro , vi rimasi fino al 2007. Qui
a Milano
aprìi una copisteria in via Fiori Oscuri a
Milano, zona Brera (dal 61 al 2004). Sono single, ora sono in pensione e tre anni fa decisi
di
ritornare per trascorrere la vecchiaia in tranquillità. Ho 3 fratelli, 2 vivono a Castelbasso, uno vive ancora a Milano e lavora nella copisteria. Ho 2 nipoti che sono rimasti qui: uno è laureato in economia e commercio e lavora qui vicino, mentre l’altro ha aperto un ristorante nel borgo e un B&B.
CASTELBASSO Ore 10.30
INT 005
Bruno, curatoreOre della fortezza 15.00 guida bar turistica Bernardino, proprietarioe unico 64 anni
Sono contento di essere ritornato perché sono
legato al borgo e alla qualità
della vita . I giovani si sono trasferiti quasi tutti nei grandi centri perché qui non hanno grandi prospettive, sono rimasti solo gli anziani. Chi ha la casa nel borgo l’hanno restaurata e tornano d’estate per trascorrervi le vacanze. Sono di più le case che d’inverno rimangono chiuse che quelle aperte. Si viveva di piccole cose fino agli anni 60, si
viveva di agricoltura di collina, alle -
vamento . Da secoli il 14 settembre si fa la festa patronale. Da piccolo giocavo intorno al paese.
”
INT 006_PAOLA
“ ... ci sono 40 abitanti quasi tutti anziani ... ” “ Mia madre è originaria di Castelbasso, aveva 3 sorelle. Mia madre è andata via dal borgo quan-
do era bambina, perché il luogo non offriva opportunità economiche e lavorative. Lavoro a Castelbasso presso la Fondazione Menegaz, che si occupa di promuovere eventi culturali e mostre per riattivare il paese (che 10 anni fa era quasi dimenticato). Ho abitato 7 anni a Roma per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Sono tornata qui a vivere perché mi sono sempre sentita legata
a questo posto , è il sangue che mi ha chiamata. Vivo da sola come ospite nella casa di mia zia che vive a Milano. Vorrei comprare casa nel borgo. Il gas è stato allacciato negli anni 90 del 1900, quindi si riscaldavano con il fuoco.
Ore 10.30 Bruno, curatore della Ore 16.00 fortezza e guida Paola, organizzatrice eventi culturali e turistica mostre della Fondazione Menegaz 28 anni CASTELBASSO
INT 006
Ci sono ancora tradizioni radicate in questo luogo. I miei ricordi sono legati quando i miei genitori mi portavano qui da piccola. Il ricordo di Castelbasso mi è rimasto molto vivo grazie ai racconti di mia madre. Nonostante le condizioni disagiate in cui viveva, i ricordi più belli di mia madre sono legati a questo posto. Si
viveva tutti insieme in un’unica casa , 12 persone che dormivano nello stesso letto, condividevano tutto. L’alimentazione era genuina
fatta di cosa realizzate a mano, c’era un rapporto diretto con la natura e le stagioni. I giochi erano più divertenti e creativi (giocare con i tappi delle medicine).
”
INT 007_GIUSEPPE
“ ... sono stato un emigrante interno ... ” “ Io e la mia famiglia abitavamo a Castellalto, poi ci siamo trasferiti a Castelbasso, qui ho fatto le
elementari e nel ‘56 sono andato in collegio dai frati francescani e ci sono rimasto 8 anni. Non era un liceo parificato quindi sono uscito con un diploma di quinta elementare. Divenuti grandi o si
lavorava in campagna oppure qui andava molto di moda fare il sarto o il ciabattino . Ho frequentato dopo il liceo 3 anni di magistrali a Teramo, ho tentato anche l’università Cattolica di Milano per 2 anni ma per motivi economici ho abbandonato gli studi. Mi sono sposato a Milano e ho iniziato la mia vita lavorativa a Milano fino a 2 anni fa quando sono andato in pensione. Durante questo arco di tempo non ho mai reciso le radici con il mio paese di origine, anzi il legame si è rafforzato. Ogni tanto trascorro qui un pò di tempo. I miei genitori erano figli
di agricol-
tori , mio padre è morto quando avevo 13 anni e mia madre lavorava presso la campagna di suo padre per mantenere me e mia sorella. Sono tanti i ricordi della mia breve infanzia, era una vita semplice e tranquilla , fatta di poche cose, i giocattoli li fabbricavamo noi.
Ore 10.30 Bruno, curatore della Ore 16.30 fortezza e guida turistica Giuseppe, membro della Fondazione Menegaz. 63 anni CASTELBASSO
INT 007
Qualcuno aveva la radio (il prete).La maggior parte dei miei coetanei sono andati via (in Germania , in Svizzera ), poi sono tornati e si sono fatti la casa. Io sono sato un emigrante interno, sono partito per Milano. La cucina era povera , si mangiavano tagliolini fatti in casa con sugo di pomodoro (a pranzo e a cena), qualcuno mangiava la carne ma la si mangiava poche volte all’anno . La si man-
giava nelle occasioni (cresime, matrimoni, battesimi, etc.) ma era carne di pollo. Qui il 99% erano contadini, quindi si mangiavano i prodotti della terra (verdure, ”erba matta”, granoturco, mais, etc.). La legna che si raccoglieva la si usava sia per riscaldarsi, sia per cucinare il pane. C’era un forno comune per tutto il paese, lè bisognava portare una fascina di legna per ogni pagnotta di pane da cuocere, e si pagava poi 10
”
le donne del paese
lire a pagnotta . Il forno diventava il punto di ritrovo per tutte
INT 008_OSVALDO
“ ... le tradizioni si sono trasmesse oralmente ... ” “ Vivo a roma ma mia madre era di qui. La struttura urbania di Castelbasso è rimasta invariata in
tutti questi secoli anche a causa dell’emigrazione . Questi fenomeni sono iniziati nel 1902.
questa prima ondata è andata in America (Philadelphia , New Jersey ). Siamo in contatto con i discendenti di queste persone, una mia parente sta a Portland nell’Oregon. Questa gente è partita lasciando la casa vuota. Questo abbandono ha fatto si che non ci siano stati interventi di demolizione per creare nuove costruzioni in forati.
Canada , Filippine , Venezuela , Australia e poi verso l’Europa, Svizzera , Belgio . La seconda ondata è stata negli anni ’50 verso
Quindi la struttura di Castelbasso è rimasta protetta. Alcuni abruzzesi emigrati in italia, hanno risistemato casa e hanno inseriti elementi che contrastato. Fino al 19806 era proprietà dei monaci e con gioachino Murat ha unificato Castelbasso con Castellalto e quindi questo borgo è diventato una frazione, pero ha mantenuto la propria identità, le proprie tradizioni e i propri modi di pensare. Dal 1996 abbiamo fondato l’Associazione degli amici di Castelbasso rivitalizzando il borgo come polo
culturale .
CASTELBASSO
INT 008
Ore 17 Osvaldo, presidente Fondazione Menegaz 62 anni
Ospitiamo mostre di artisti ed eventi musicali. All’inizio fu difficile, ma col passare degli anni molta gente ha iniziato a venire qui, circa 40.000 persone tra luglio e agosto. È conosciuto a livello nazionale e internazionale. Si tramandavano oralmente le tradizioni religiose e gastronomiche. Castelnuovo a 3 km da qui offre tutti i servizi. Mia madre venne a Roma nel 1930, aveva 14 anni, perché castelbasso non poteva offrire niente. Mi raccontava della povertà e della miseria. Mi ha raccontato di una mia zia che è partita per il New Jersey. Mi è rimasto impresso perché la madre si inginocchia per terra per salutarla, piangeva perche sapeva che non l’avrebbe più vista, e così è stato. Questa storia è comune a molti Castelbassesi.
feste religiose , veniva la banda, le ragazze impersonificavano la Madonna, la Maddalena, la Veronica.. cantavano queste cose tramandate oralmente. Ci sono ricordi piacevoli ma l’80% erano spiacevoli . Per mia madre tornare nel borgo significava dolore, miseria. C’erano
Mia nonna andava a mietere, lavorava nei vigneti. Nel 1800 c’era una piccola fabbrica di cappelli.
Il borgo era quasi autosufficiente . Mio nonno faceva il calzolaio . percorreva10 km per andare nelle Marche a prendere le misure per le scarpe.
”
INT 009_STEFANIE E MARINA
“ ... mi mancava la montagna e il modo di vivere ... ” “
Abbiamo scelto questo borgo perché c’è l’albergo diffuso che vuole rivitalizzare le botteghe. Non essendoci persone del posto che sono artigiani, hanno chiamato chi è in grado di lavorare con il telaio . Io vengo tutti i giorni e lavoro sia come tessitura che rammendo per il ristorante che essendo un posto rimasto come “fotografato” agli inizi del ‘900 ha tutti i suppellettili e i tessuti di una volta, canapa, lino e lana. Anche se non siamo del posto, lavoriamo e svolgiamo un’atti-
vità come si faceva in passato. Qui a Santo Stefano tornano d’estate , generalmente si sono trasferiti agli inizi degli anni ’70 ad Aquila, Pescara, Roma e addirittura all’estero: Australia, Francia. Da Castel del Monte molti sono andati in Belgio per le miniere. C’è stato uno spopo-
lamento . È tornata una signora anziana, figlia della persona originaria di qui. È tornata con
l’interprete. Stefania: “io facevo la meccanica in una ditta farmaceutica. Poi ho deciso di iniziare a fare l’artigiana. Mia nonna tesseva, mia madre l’ha fatto. In passato tutto
ciò che ser viva lo si produceva in casa , si avevavo le pecore e quindi la lana .
Ore 10 Stefania e Marina, artigiane 55 anni
INT 009
SANTO STEFANO DI SESSANIO
Marina: “prima di fare tutto questo lavoravo a Milano e facevo la stilista di moda. Poi mi sono stancata della vita milanese e della produzione in serie. Sono tornata, mi sono sposata e ho iniziato a fare l’artigiana. Ho imparato l’uncinetto e il macramè dalle vecchine del paese. Faccio queste cose che mi piacciono terribilmente. Inoltre quando ero a milano mi
mancava
questo stile di vita . La era frenetico, ogni volta mezzora di fila. Qui vai all’ufficio postale, conosci la signora… è un’altra vita. Il ricordo più vivo della mia terra era la montagna e tutto, soprattutto il modo di vivere, avevo bisogno di ritrovare me stessa. Qui ti fai una passeggiata. Ormai qui ci sono tutti i servizi, c’è l’alimentare, a 10 km c’è il supermercato… alla fine ci va lo stesso tempo che a Milano. Il ricordo più bello dell’infanzia è che ho vissuto per strada, uscivo da scuola, giocavo con i miei amichetti, la gente del paese ti sorvegliava… è stata bella l’infanzia così. Oggi mia figlia non lo può più fare, troppi pericoli, macchine, non si conosce nessuno.
”
INT 010_IOLANDA
“ ... qui manca l’acqua, i campi sono secchi ... ” “ Io sono di Parigi, mia sorella si è sposata con un signore di Castelvecchio e anch’io sono venuta a vivere qui, ero giovane e ho conosciuto un uomo che ho sposato. Ho due figli e faccio la casalinga.
Oggi i campi sono tutti secchi , qui manca l’acqua , i campi sono asciutti, non è come gli altri paesi che hanno la conduttura di acqua e annaffiano.
In passato, vivevano di mucche , cavalli , pecore , asini e fino poco tempo fa di maiali . Chi aveva la mucca faceva il latte per il paese. Ci sono le mulattiere che percorrevano per le raccogliere le olive . Si coltivava legumi , cicerchia e lenticchie . Negli anni 50 parecchi sono andati in moglie tornava.
“
Australia , America , Canada . Chi non portava la
Ore 10.30 Ore 15 Bruno, curatore della fortezza Iolanda, casalinga e guida turistica 59 anni CASTELVECCHIO CALVISIO
INT 010
INT 011_GIROLOMINA
“ ... qui manca l’acqua, i campi sono secchi ... ” “
Ho sempre vissuto qui, ci stavano i conigli le mucche, le pecore, le galline, le capre, i tacchini. Erano allevate da noi. Si vendevano gli agnelli, li mangiavano, era un commercio. Non tutti avevano le bestie. In centro paese è pieno di cantine ci tenevano patate , olio , vino , maiali ,
uva , tutto quello che serviva per mangiare. Tanti sono andati all’estero , in America in Belgio . A coloro che hanno avuto fortuna che gli è piaciuto, è rimasto la.
Ancora si festeggiano tutte le feste del paese , la Madonna, Sant’Emidio. In passato si faceva il mercato, c’erano le bancarelle, venivano da fuori vendevano scarpe e indumenti.
Ore 10.30 Ore 15.30 Bruno, curatore della fortezza Girolomina, casalinga e guida turistica 73 anni
INT 011
CASTELVECCHIO CALVISIO
Erano davanti al comune e dove c’è la fontanella all’ingresso del paese. 5 fontanelle ci stan-
no in paese. Però l’acqua … chi c’aveva il pozzo in casa beveva, si lavava e si puliva chi no, prendeva la conca, se la metteva in testa e andava in campagna a prendere l’acqua. Un signore prendeva la grolla la metteva sulla spalla e andava a prendere l’acqua, noi, le bambine facevano la squadra, andavamo a prendere l’acqua dalla sorgente. Ci sono diversi pozzi , col tirare l’acqua con la corda si erano formati i segni sulla pietra. Tutti attorno a questa bocca e tiravano su l’acqua solo quando suonava la campanella. Non
bastava per tutti . “
INT 012_GIUSEPPE
“ ... la piazza del paese la sento mia ... ” “ Mia madre era di Arquata del Tronto, faceva la cuoca. Io ho sempre avuto locali, pub, ristoranti. Alla fine, dove aver venduto il locale volevo andare in pensione. Ho conosciuto un uomo. Sono andato in Australia. Sono tornato perchè qui avevo due figli. O trovato parecchi abruzzesi. Hanno la famiglia la se no tornerebbero qui. La
terra ci mancava molto . Mia nonna faceva il pane per il pese, mia zia aveva l’alimentare. I prodotti tipici sono porcini , tartufi , e soprattutto le olive . All’epoca non era come oggi, i genitori non ti ascoltavano. Ho perso mio padre che avevo 8 mesi, mia madre lavora io e i miei 6 fratelli lavoravamo, bisognava portare avanti la famiglia.
Ore 10.30 Bruno, curatore della fortezza Ore 22 e guida turistica Giuseppe, ristoratore 63 anni ROSARA
INT 012
Gli emigrati in australia facevano di tutto, i manovali, i costruttori, qualsiasi cosa pur di fare fortuna, alcuni diventavano imprenditori. Mi mancavano i sapori, c’è tutto la, non manca niente, ma il
sapore del pomodoro
di campagna , i formaggi nostrani, gli aromi nostri, i profumi. Quelli li sono sapori che non sento miei. Mi mancava casa , il mio letto, il mio bagno, la piazza del paese la sento mia. “
INT 013_CESARE
“ ... mio papà partì per necessita, io per avventura ... ” “ Uno parte per svariati motivi. Io sono di Castel Trosino, borgo di poche anime. Mio padre partì
per necessità, dopo la guerra. Andò in Germania . Io sono partito più per avventura, vai, conosci persone, posti e poi ti fai un’esperienza. La ho conosciuto molti abruzzesi, qualcuno è rimasto la altri sono tornati per nostalgia
del paese . Erano più gli uomini che partivano, le donne erano più vincolate , alla casa, ai campi, alla famiglia. Un mio nonno spaccava le pietre , le mie nonne erano contadine . Secondo me
si viveva meglio, c’erano meno cose futili, la vita era più concreta. Anche in passato come oggi avevano le loro difficoltà, ognuno s’è fatto da solo. Quando ero via l’unica nostalgia erano gli amici, anche perché sapevo che sarei ritornato.
“
Ore 10.30 Bruno, curatore della fortezza Ore 22.30 e guida turistica Cesare, cameriere 30 anni ROSARA
INT 013
CAP.4
LA MEMORIA OLTRE CONFINE [ PUNTO DI VISTA ESTERNO ]
DOMENICO SEMBIANTE_INT 016 49° 27’ 0’’ N , 11° 5’ 0’’ E Norimberga_Germania ROCCO ARTALE_INT 017 52° 26’ 0’’ N , 10° 48’ 0’’ E Wolfsburg_Germania
GIUSEPPE GOLINI_INT 014 44° 28’ 0’’ N , 73° 9’ 0’’ W Burlington_Canada
STEFANO FAGGIONI_INT 018 46° 32’ N , 6° 35’ E Renens_Svizzera
GIUSEPPE ANGELI_INT 015 32° 57’ 0’’ S , 60° 39’ 0’’ W Rosario_Santa Fe
STEVAN TERZINI_INT 019 47° 04’ 00’’ N , 7° 09’ 00’’ E Bienne_Svizzera CINZIA CROCETTI_INT 020 47° 04’ 00’’ N , 7° 09’ 00’’ E Bienne_Svizzera ANTONIO RIZZI_INT 021 47° 04‘ N , 8° 18‘ E Emmenbrucke_Svizzera
4.1 WORLD MAP_le voci
SANDRA DELLA VALLE_INT 022 45° 27’ 50.98’’ N , 9° 11’ 25.21’’ E Milano_Italia GABRIELLA SANTORO_INT 023 42°21’58’’ N , 13°23’40’’ E L’Aquila_Italia FAMIGLIA BALDI_INT 024 41° 53’ 35’’ N , 12° 29’ 0’’ E Roma_Italia
INT 014_GIUSEPPE GOLINO fonte: contatto_intervista diretta
62 anni, classe 1948 nato a Vittorito (TE), Italia residente a Burlington, Canada professore di educazione fisica
“ Sono nato a Vittorito mentre ora vivo a Burlington, una città sul Lago Ontario, a circa 40 Km da Toronto. Sono pensionato da 8 anni. Facevo il professore di educazione fisica in un liceo. emigrati nel 1962 perchè a quel tempo nelle zone come la nostra non si riusciva a vivere una vita normale . Il lavoro che mio padre faceva come Siamo
contadino non rendeva. Forse la decisione di emigrare fu presa l’anno in cui ci furono più spese che raccolto. Non c’era altra scelta. La mia famiglia quando siamo emigrati era composta da 4 persone: I miei genitori (Antonio e Velia) e mia sorella Rita che aveva sei anni. Ora la mia famiglia è composta da due persone, Shirley, mia moglie, ed io. Economicamente vi è stato un cambiamento enorme. Se non fossi emigrato e avrei continuato i miei studi molto probabilmente mi sarei trasferito al Nord Italia nelle vostre zone industriali. Ora posso permettermi molto: viaggiare oltre oceano parecchie volte all’anno, una o due macchine nuove, una villa sul lago. Qui abito in una cittadina dove dal punto di vista culturale, sportivo, economico è tutto a portata di mano e accessibile. A Vittorito queste comodità e opportunità non ci sono. Io torno spesso al paese per rivedere parenti e vecchi amici e immagino che non potrei mai più vivere in un luogo in
cui ogni giorno è sempre come quello di ieri . Il paesaggio, il clima, la freschezza dell’aria sono magnifici, oltre questo, il paese offre molto poco. L’inizio è stato molto difficile. Ero un ragazzo di 14 anni al quale gli sono stati tolti tutti gli amici di infanzia e catapultato in un ambiente nuovo, senza amici, senza conoscere la lingua, in un clima freddissimo. Per molto tempo volevo tornare al paese ma quando dopo dieci anni ci ritornai, mi
sembrò di essere un estraneo , ci fù un cambiamento grandissimo. Nei miei ricordi il paese era più grande, mentre con gli occhi da adulto era fatto soltanto di una dozzina di strade e piccole case. Col passar del tempo ci siamo adattati e abbiamo accettato il Canada come nostra patria. Quando si udiva l’Inno
di Mameli la pelle d’oca si faceva sentire.
VITTORITO (AQ) 42°7′41″N 13°49′3″E comune italiano 377 m.s.l.m sup. 14,04 kmq 960 ab. 68,38 ab./kmq
BURLINGTON (ON) 43°19’29.3’’ N, 79°48’7.6’’ W’’ E città canadese sup. 187 kmq 164,415 ab. 885.2 ab./kmq
I miei genitori erano contadini e abitavamo con i nonni in una piccolissima casa con po-
chissime comodità. Avevamo acqua potabile, senza corrente eccetto quella che produceva il focolare, non avevamo il bagno, e nemmeno una radio. Io frequentavo la scuola ed aiutavo i genitori in campagna quando ne avevano bisogno. Mi piaceva giocare a pallone ed
andare a nuotare al fiume durante l’estate, e la sera si andava sempre in piazza dove si riunivano tutti gli amici per fare giochi da ragazzi come nascondiglio. Ultimamente, gli ultimi due anni prima di emigrare, arrivò la televisione. I ricordi più piacevoli erano i giorni dell’Epifania perchè era solo allora che potevamo ricevere qualche giocattolo. Un altro ricordo che mi è ancora caro è quello delle scampagnate annuali il lunedì di pasqua. Ci recavamo alle gole di San Venanzio (4Km dal paese) dove scorre il fiume e lì potevamo gustare i dolci. Il paese è cambiato molto dal tempo della mia partenza. Ci sono molte case moderne e le altre che una volta erano catapecchie sono state ristrutturate. Le strade polverose del paese ora sono tutte asfaltate. Quelle stesse strade che una volta vedevano somari carichi di raccolti della
campagna ora ospitano auto. Non
c’è stato alcun sviluppo industriale . C’era la cantina Pietrantonj, produttore di vini e l’ombrellificio Di Felice . Queste erano le uniche due aziende industriali nel paese. Oggi, 48 anni dopo, sono ancora le sole due. Oggi la maggior parte dei terreni sono incolti. Nei vigneti, una volta, si sentivano cantare a coro melodie regionali tutti i giorni. Mentre adesso, si vedono coltivatori molto
raramente. La scuola media è stata chiusa a causa di mancanza di alunni e la scuola elementare sembra anch’essa priva di studenti. Due anni fa il prete del paese ci fece notare che durante l’anno 1947 ci furono 57 nascite a Vittorito mentre negli ultimi anni sono 10/15.
Il paese non ha alcun futuro . “
INT 015_GIUSEPPE ANGELI fonte: web_sito internet_www.tesoridabruzzo.it
79 anni, classe 1931 nato a Orsogna (CH), Italia residente a Rosario, Argentina imprenditore/deputato si occupa di politica membro di Emigrati Abruzzesi
”Sono nato ad Orsogna e dopo aver sofferto i drammi della Seconda Guerra
Mondiale in Italia, a tredici anni, nel 1944, ho raggiunto mio padre in Argentina, dove si era
costruito la sua attività nel settore delle costruzioni. Qui mi sono sposato con un’argentina e ho avuto tre figlie. Quarant’anni fà, con mia moglie, ho fondato l’impresa di viaggio Transatlantica, un impresa di viaggio e turismo, oggi la più importante del Paese e una delle maggiori in tutta l’America Latina. Così, con molta pazienza e con molto sacrificio, ma anche con una forte volontà di riuscita, ho iniziato il mio percorso in Argentina. Nel 1981 ho fondato l’Associazione “Famiglia Abruzzese” al fine di promuovere attività a favore dei giovani e degli anziani. Sempre per venire incontro alle necessità e ai desideri dei genitori, ma anche dei ragazzi, nel 1986 ho fondato la scuola bilingue “Edmondo de Amicis”, che oggi conta circa mille alunni e si è recentemente arricchita con un corso per il conseguimento di un diploma universitario. Mi sono sempre impegnato nell’associazionismo locale, non solo in quello abruzzese, nel 1986 sono stato eletto presidente del Comites (Comitato degli italiani residenti all’estero) di Rosario, carica che ho ricoperto fino al 2009. Nel periodo 1991-2004 sono stato membro del Cgie (Consiglio generale degli italiani all’estero). Oggi sono presidente della Federazione delle Associazioni abruzzesi in Argentina, e Consultore della regione Abruzzo. Le associazioni hanno rappresentato, fin dall’inizio, un luogo di rifugio e di incontro in cui queste migliaia di corregionali potevano rivivere il clima dei luoghi di provenienza e tramandare, gli uni agli antri usi, costumi, canti, ma soprattutto valori civili e umani, in una terra straniera che, anche se accogliente, era così diversa da quella di origine. Le esigenze della comunità abruzzese all’estero non sono molto diverse da quelle degli emgranti in generale: innanzi tutto per quanto concerne i servizi consolari che, malgrado la buona volontà e l’impegno dei dipendenti, comporta ore di fila in condizioni non sempre agevoli e non pochi problemi con i datori di lavoro perchè gli sportelli solitamente sono aperti negli orari in cui la gente deve lavorare.
ORSOGNA (CH)
ROSARIO
42°13’N 14°17’E comune italiano sup. 25 kmq 4.086 ab. 163 ab./kmq
32°57’S 60°39’W sup. 179 kmq 1.159.004 ab. 5.112 ab./kmq
Molto importanti per gli emigrati sono anche i servizi sociali ed assistenziali; bisogna consideare elevata età media degli emigrati in Argentina: servono servizi sopratutto per gli anziani, sia a livello prettamente assistenziale ma si sente anche l’esigenza di luoghi si ritrovo e di distrazione. Il settore culturale , infatti, continua ad essere oggetto di una particolare attenzione, con una costante richiesta di un maggiore sviluppo dei corsi di lingua e cultura italiana in loco, nonché della disponibilità di trasmissioni televisive qualitativamente e quantitativamente maggiormente finalizzate agli interessi ed alle necessità della comunità emigrata, in particolare della sua parte più giovane, interessata a mantenere stretto un contatto con la realtà sociale, ma anche
”
economica e politica del Paese d’origine dei loro avi.
INT 016_DOMENICO SEMBIANTE fonte: contatto_intervista diretta
63 anni, classe 1947 nato a Alanno (CH), Italia residente a Wolfsburg, Germania operaio in pensione/sindacalista si occupa di politica comunale membro di Emigrati Abruzzesi
”... vivo in Germania, per la precisione a Norimberga, da circa 47 anni, arrivai nel luglio del ‘63.
Il primo della famiglia a partire (sempre per Norimberga) fu mio papà nel 1960, mio fratello Nicola lo raggiunse un anno dopo. Successivamente arrivò mia sorella Elisa nel 1964 e per ultimi mia mamma e mio fratello Pasquale nel ‘66. Io sono stato costretto a partire più tardi di tutti gli altri perché la carta di identità veniva rilasciata a 15 anni. Prima di partire, per un anno, ho lavorato al lanificio del paese. A quei tempi le scuole superiori non erano obbligatorie e quindi, per motivi di necessità, sono andato a lavorare. Non appena ho avuto i documenti, compiuti gli anni, mio papà è tornato a prendermi per poter fare il viaggio assieme. In Germania mi occupavo della lavorazione di metalli in un’azienda tedesca, ora sono in pensione; anche mia moglie è in pensione. Ho due figlie, che lavorano: Claudia, del ‘71 e Monica, del ‘73. Anche loro sono partite altrove: la prima per il Canada a Toronto poco prima di compiere 19 anni e ora vive là, dove possiede una sartoria. Monica invece vive a Piacenza dove lavora in un uffico, si trasferì dopo aver conosciuto il suo attuale marito, italiano anche lui, che lavorava in Germania come rappresentante. Loro, come me e mia moglie, sono molto legate all’Abruzzo, ne hanno proprio un bel ricordo nel cuore. Mi sarebbe piaciuto tornare in Italia... ma non proprio nel mio piccolo paese perché non offre molte opportunità lavorative. Poi però sono arrivate le figlie, che ora sono andate via. Adesso la mia famiglia è dispersa e ho deciso di rimanere in Germania.
TARANTA PELIGNA (CH) 42°1’N 14°10’E comune italiano ind. spopolamento: 0,1814 sup. 21 kmq 500 ab. 24 ab./kmq
NORIMBERGA 49°27’N 11°05’E centro economico della Franconia sup. 186,38 kmq 503.638 ab. 2.695 ab./kmq
Mi ricordo che quando ero piccolo la mia famiglia possedeva una capra che tenevamo per il latte; la portavo spesso a pascolare dandomi il cambio coi miei fratelli. Erano gli anni ‘60, non molti ragarri del mio paese avevano un pallone, e quindi quando uscivo a giocare usavo i barattoli. Spesso invece mi portavo in giro la capra tra i prati, le slegavo la corda dal collo e la attaccavo ad un albero creando un’altalena artigianale. In quei giorni non ero mai da solo, eravamo sempre tre o quattro, ciascuno con la sua capra. L’ odore del finocchio selvatico mi ricorda le mie passeggiate, era una spezia molto ricorrente e cresceva davvero dappertutto! Mia madre in inverno cucinava spesso la polenta e mi ricordo che era molto buona. La nostra gioia era l’uccisione del maiale, la sua carne la mangiavamo d’inverno come salumi, mentre d’estate mangiavamo carne di agnello, pollo e coniglio. Inoltre in estate si raccoglievano i pomodori con i quali si preparava la salsa da utilizzare durante l’inverno. Un piatto ricorrente era la pasta shuoe shuoe,
”
ovvero una pasta col pomodoro molto semplice da preparare, molto spiccia.
INT 017_ROCCO ALTALE fonte: web_sito internet_www.tesoridabruzzo.it
69 anni, classe 1941 nato a Alanno (PE), Italia residente a Wolfsburg, Germania operaio in pensione/sindacalista si occupa di politica comunale membro di Emigrati Abruzzesi
”Era il 1961, avevo vent’anni, quando all’ufficio di collocamento di Alanno, il mio paese, dal-
la Germania arrivò una richiesta di manodopera. Esisteva un accordo, firmato nel dicembre del ‘55, tra il governo tedesco e quello italiano per ingaggiare manodopera italiana nella Repubblica federale tedesca; eravamo Gastarbeiter ... Lo accettai e dopo poco fui invitato a presentarmi a Verona, sede della Commissione tedesca istituita per accertare lo stato di salute dei lavoratori. Bisognava sottoporsi ad una visita medica, al limite della violazione della dignità umana. Solo chi era sano al cento per cento passava, gli altri venivano rimandati. Avevo una paura di essere rispedito a casa; mi immaginavo di nuovo nella stazione del paese, dove pochi giorni prima mi ero licenziato dalla mamma che piangeva. Mi venivano i brividi... Invece con il timbro sui documenti, Gesund und Stark (di buona e robusta costituzione) partii per Hannover. Quel treno con i sedili di legno si fermò solo dopo due giorni e una notte. Al mio arrivo mi accolse un tedesco, pronunciò il mio nome con una voce chiara e limpida, e in italiano mi disse di consegnargli il contratto stipulato a Verona. Ero stato destinato ad uno zuccherificio, era il primo marzo del 1961. I permessi di lavoro e il soggiorno erano legati al contratto e al paese di residenza. Erano scaduti, dovetti rientrare in Italia. Tre mesi dopo ero di nuovo a Verona per la solita visita. Siamo nel febbraio del ‘62, a Verona migliaia di italiani aspettavano di conoscere il loro destino. Io fui assegnato al settore automobilistico e due giorni dopo ero in un treno, pieno di italiani, destinazione Wolfsburg. Inziai a lavorare nella catena di montaggio della Volkswagen. Nel 1964 gli italiani a Wolfsburg eravamo seimila, fui scelto dai lavoratori come fiduciario sindacale dei metalmeccanici, mi occupavo dei problemi sul posto di lavoro, affinché tutti venissero trattati allo stesso modo. Noi eravamo solo una soluzione d’emergenza per la necessità di manodopera, la Volkswagen ci fornì seimila posti letto, ripartiti in quarantasei prefabbricati di legno a due piani. Un dirigente ci spiegò:
baraccamenti
“Crediamo siano sufficienti a un piano. Secondo la normativa tedesca, possono alloggiare in un stanza al massimo sei persone. Possiamo prendere in considerazione solo forza lavoro maschile senza famiglie - preferibilmente celibe, ma anche con la famiglia rimasta in patria. La manodopera lavorerà in un medesimo stabile della fabbrica, e avrà una cucina e una mensa riservata. Nel campo verranno, inoltre, aperti uno o due locali tipici italiani per mangiare fuori dall’orario di lavoro”.
WOLFSBURG ALANNO (PE) 42°18’N 13°58’E comune italiano sup. 32, 51 kmq 3.666 ab. 112,76 ab./kmq
46°32’N 60°39’W/6°35’E città extracircondariale sede industria Volkswagen sup. 204, 01 kmq 120.881ab. 601 ab./kmq
Due letti a castello, un tavolino, quattro sedie, un armadio per ciascuno, un piccolo vano per le vivande e il neon per l’illuminazione. Ogni piano ospitava sessantotto persone divise in sedici camere con sei bagni senza doccia. C’era una sola cucina per piano con diciotto piastre elettriche. Se si tiene conto delle esigenze abitative, specie alla fine dei turni e nei giorni festivi, erano necessarie pazienza e organizazione per evitare contrasti nei momenti di preparazione e consumazione del pasti. Alla fine degli anni ‘70 a Wolfsburg eravamo novemila,la città in Germania era stata soprannominata il più grande paese italiano al di là delle Alpi. Nonostante fossimo tanti ci mancavano luoghi di socialità e spesso c’erano scontri coi tedeschi in discoteco o altrove. Ho anche assistito a manifestazioni xenofobe al grido di Ausländer raus (fuori gli stranieri). Solo dopo gli anni ‘60 gli italiani hanno cominciato a parlare tedesco: parlare una lingua comune portava a più tolleranza. Nel 1972 iniziò il ricongiungimento famigliare, e così arrivarono molti bambini in età scolare, ma il sistema tedesco non era preparato. All’inizio i bimbi non potevano seguire le lezioni perché non conoscevano il tedesco, o perchè troppo grandi per essere inseriti nelle prime classi; così alla fine degli anni ‘70 la maggior parte dei figli degli italiani venne mandato in scuole speciali, ricevendo una forte impronta dalla famiglia. La generazione sucessiva invece, la terza, ha il grande problema dell’identificazione: i loro genitori parlano sempre di meno l’italiano ed i loro figli vengono a sapere sempre di meno dei nonni e dell’Italia. Oggi la Germania cerca la strada dell’inserimento... mi ricordo ancora quando fu deciso di smantellare l’area delle quarantasei baracche, ci vivemmo dodici anni. Quando rivisitai quel luoghi ricordai subito tutte le pene, l’isolamento, la vita in un campo di baracche recintato, la nostalgia della nostra terra... Dal ‘91 sono presidente dell’Associazione Culturale Abruzzese, il mio lavoro serve per
integrare gli emigrati.”
INT 018_STEFANO FAGGIONI fonte: web_social network_ www.facebook.com
27 anni, classe 1983 nato a Popoli (PE), Italia residente a Renens, Svizzera organista titolare membro di Emigrati Abruzzesi
”
Sono un pratolano doc, ma attualmente vivo a Renens in Svizzera. Ho lasciato Pratola di recente perchè lavoro a Morges, a 10 km da Renens, sul lago di Ginevra, presso la parrocchia cattolica, come organista titolare. Ho fatto i miei studi al Conservatorio di Pescara, completandoli in Germania presso l’Hochschule für Musik di Karlsruhe. Ho incominciato, come tutti i giovani neolaureati, a inoltrare domande d’impiego, a connettermi via internet a siti d’interesse musicale in Italia e all’estero, a partecipare a concorsi nazionali e internazionali, a rispondere ad audizioni per posti da organista e poi l’occasione più interessante: due audizioni in Svizzera. Ho pensato quanto fosse strana la vita. I miei nonni hanno preso le valigie e sono andati in Svizzera a cercar fortuna, hanno vissuto lì per anni, mio padre ha frequentato le scuole elementari a Ginevra e lì è nata anche mia zia. Come avvengono sempre nelle famiglie di emigrati anche i fratelli di mio nonno e di mia nonna, trovando un appoggio, sono emigrati in Svizzera e anche loro hanno messo su famiglia. Infatti, ho ritrovato a Ginevra i cugini e gli zii di mio padre, che a loro volta, a distanza di cinquanta anni dai primi contatti di famiglia, hanno costituito per me un valido ed indispensabile punto di appoggio; è triste costatare che dopo cinquanta anni le cose non sono cambiate... Se vuoi trovare un posto di lavoro, devi lasciare i tuoi cari, gli amici, il territorio, dove sei cresciuto e dove hai studiato e cercare fortuna altrove. La nostra è una sorta di rassegnazione atavica, inesorabile, scontata. Sai già fin dall’inizio che per te, finiti gli studi, non ci saranno posti di lavoro qui da noi. Tantissimi giovani come me, stanno lasciando le nostre realtà, per sistemarsi al Nord o fuori dall’Italia. I fattori che determinano il fallimento di una politica occupazionale, sono così tanti e ripartiti nel tempo che se ne sono perse le responsabilità. Quello che è certo è che il nostro Stato, che ha investito ingenti risorse economiche, organizzative, sociali, sanitarie, educative per sostenere la crescita di un giovane fino all’età di venticinque anni, quando si tratta di raccogliere i frutti di questi investimenti, non lo fa, lasciando che gli altri Stati, molto più avveduti, se ne appropriano gratis. Come un contadino che, con impegno e sudore, semina e coltiva un frutto, poi quando c’è da raccoglierlo, non sa che farsene, lo lascia sulla pianta, arrivano gli altri e se ne appropriano!
PRATOLA PELIGNA (AQ) 42°10’0”N 13°50’0”E comune italiano sup. 28, 27 kmq 7.888 ab. 279,02 ab./kmq
RENENS 46°32’N 60°39’W/6°35’E città svizzera 50% popolazione è straniera sup. 2, 297 kmq 19.000 ab. 6.435 ab./kmq
Non sono amareggiato, forse deluso... Comunque orgoglioso che qualcuno abbia apprezzato e gratificato, con un contratto di assunzione a tempo indeterminato. Avendo una cultura ed una storia di accoglienza multietnica, non hanno avuto alcun problema ad accettarmi come uno di loro ed ho subito avvertito un calore inaspettato. Forse ho trovato più distacco ed indifferenza dalle parti di Milano quando mi sono trattenuto per alcuni concerti. Adesso qua svolgo un compito importante di grande valore aggregante, sociale e culturale. Per il momento non voglio tornare in Abruzzo: ho appena iniziato un importante percorso di vita e professionale e ho tutta l’intenzione di farmi un’esperienza che possa servirmi per il prosieguo della mia carriera di musicista. Qui l’attività concertistica è fiorente, tra Ginevra, Berna e Zurigo, sono presenti ovunque auditorium, i famosi collegi svizzeri (dove vengono educati i figli dei potenti del mondo) sono dotati di sale da concerto spettacolari! Ti ricordo che mi trovo a 30 km da Montreux, dove è vissuto Freddie Mercury dei Queen e dove si organizzano eventi musicali tutto l’anno. Insomma mi trovo bene, anche se, se devo essere sincero, una piccola nostalgia ce l’ho...”
INT 019_STEVAN TERZINI fonte: contatto_intervista diretta
nato a Lettomanoppello (PE), Italia residente a Bienne, Svizzera Presidente FEAS, Presidente CAB Cavaliere al merito delle Repubblica Italiana
“ Lo scopo era di andare all’estero massimo per 2/3mesi, c’era l’illusione che massimo dopo 2
capitale enorme . In svizzera effettivamente si guadagnava bene, offriva lavori come muratore , falegname , cameriere , le donne erano impiegate settore alberghiero e nelle fabbriche . In Svizzera c’era lo statuto dello stagionale , l’italiano poteva rimanere in Svizanni si avrebbe avuto un
zera 9 mesi senza famiglia e poi doveva uscire per almeno 3mesi. Il contratto scadeva a Dicembre e a marzo potevano tornare. Molti uscivano, tornavano a Domodossola e poi prendevano il treno merci e, nascondendosi, tornavano in Svizzera perché il datore li pagava il doppio. Così fece mio zio. L’emigrante partiva con l’idea di lavorare per poi farsi la casa in Abruzzo . Vedevano che si guadagnava molto e restavano di più. Non tornava perche in Abruzzo non c’era lavoro quindi piuttosto che tornare restavano li. Mio papà emigrò in Svizzera nella metà degli anni 70, faceva il falegname a contratto sta-
gionale. Noi l’abbiamo raggiunto nel 79, stavamo in un paesino sopra Bienne. Ciò che ci mancava di più erano le abitudini, il cibo. Mi ricordo che i miei si portavano le valigione piene di prodotti tipici. Gli svizzeri a quel tempo la carne di agnello la davano ai cani. Loro cucinavano la pasta mettendo acqua e spaghetti, non aspettavano che bollisse. Anche la lingua mancava. C‘è stato un contrasto di abitudini con gli svizzeri. I loro figli andavano a dormire alle 22 , gli italiani
invece a quell’ora erano ancora in giro. Venivamo modi completamente diversi di vivere.
chiamati zingari . Avevamo due
BIENNE 47°04’00’’N , 7°09’00’’E città svizzera 434 m s.l.m. sup. 21,21 kmq 52.038 ab. 2.312 ab./kmq
LETTOMANOPPELLO (PE) 42°14′0″N, 14°2′0″E comune italiano 370 m s.l.m. sup. 15 kmq 3.098 ab. 207 ab./kmq
Anni fa durante le feste come il Natale eravamo noi emigrati che dalla svizzera andavamo giù in paese dai parenti, negli ultimi anni c’è stata una controtendenza, chi è rimasto in Abruzzo raggiunge noi in Svizzera perché sono rimasti soli . Io sono consigliere del CRAM, la regione ha fatto molto per gli emigrati. Esiste una rete molto
federazioni dove le comunità abruzzesi sono molto attive, in queste comunità è molto forte il senso della radice .
estesa di
associazioni
e
Il numero di abruzzesi all’estero è elevato. In Abruzzo ci sono 1milione e 200mila abitanti e fuori dall’ Italia ce ne sono altrettanti. C’è una regione fuori dalla regione . In svizzera non esiste un paese senza un cittadino italiano. Ci sono 500mila italiani e gli abruz-
”
zesi sono ben25mila .
INT 020_CINZIA CROCETTI fonte: contatto_intervista diretta
nata a Civitella del Tronto (TE), Italia residente a Bienne, Svizzera
Vengo da Civitella del Tronto, un bellissimo paese nella Val Vibrata che si trova a metà strada tra l’Abruzzo e le Marche. C’erano molte industrie manifatturiere in questa zona, il lavoro non mancava, l’industria fioriva, la gente viveva bene e quindi poteva permettersi di ristrutturare le case.
in decadenza , paesi alla ricerca di lavoro. Questa zona offre molto, ma mancano le strade e le strutture per permetterne una fioritura. Il rientro di soldi che gli emigrati guadagnavano all’estero ha provocato un boom economico in Abruzzo, dagli anni 70/75 in poi. In questo periodo infatti tornarono molti
Dopo il ‘95 ho trovato invece questi paesini
emigrati, fuori casa impararono un mestiere e aprirono così delle fabbriche. Per noi studenti è stata una grande cosa. Eravamo ragazzine di 15/16 anni ragioniere, segretarie, c’era lavoro per noi! Negli anni 60/70 la svizzera offriva molto lavoro ma per poter entrare bisognava risultare idonei alla “visita medica ”. Mi chiesero addirittura se avessi la tubercolosi. Mia madre e mio papà avrebbero potuto non emigrare perchè mio papà aveva una piccola impresa edile e mia mamma lavorava per conto suo, faceva la sarta. Ma in quel periodo nessuno
pagava , rimandavano di mese in mese. Un amico di mio papà gli raccontò della Svizzera, “in pochi anni ti fai un capitale” gli disse, e così mio papà decise di partire. Mia mamma inizialmente lo raggiungeva per vacanza. Lei soffriva molto, era contenta quando riceveva le sue lettere ma dopo averle lette piangeva. Decise di raggiungere mio papà lasciando me e mio fratello da nonni.
È partita quando avevo 5 anni anche lei con un contratto stagionale . 9 mesi passavano veloci, ma quando agli inizi degli anni 70 è cominciata la crisi in Svizzera nessuno si fidava a tornare a casa dopo i 9 mesi e per paura di non trovare più lavoro al rientro dai 3 mesi in Italia, fecero richiesta per contratti di lavoro più lunghi. La gente della zona diceva che noi, figli di “stagionali” eravamo figli nostri genitori non ci volevano bene.
di nessuno , che i
CIVITELLA DEL TRONTO (TE) 42°46′18.67″N 13°39′59.71″E comune italiano 589 m.s.l.m sup. 77 kmq 5.459 ab. 70 ab./kmq
BIENNE 47°04’00’’N , 7°09’00’’E città svizzera 434 m s.l.m. sup. 21,21 kmq 52.038 ab. 2.312 ab./kmq
Poi finalmente alla fine delle scuole obbligatorie si sono decisi a farci andare in svizzera con loro. Noi italiani non eravamo visti molto bene , ci chiamavano cinkali . Una signora mi raccontò che questo termine nacque negli anni della prima emigrazione dall’alto veneto. Al tempo in svizzera non si usava stare in piazza, sedersi sui gradini o sul marciapiede. Gli italiani invece giocavano a morra in piazza e lanciando i dadi chiamavano il cinque (cink), da questa parola che ripetevano in continuazione è stata “coniata” la parola cinkali. Ora è in disuso, gli svizzeri si vergognano. Al tempo un uomo svizzero non poteva corteggiare donne italiane,o se succedeva il contrario rischiavi l’espulsione. Venivi accompagnato alla frontiera, espulso con divieto di ritorno. Mio zio fu espulso nel 68. Ricordo molto bene i viaggi
in treno che facevamo tornando da Civitella verso la SvizLe valigie erano piene di prodotti locali, salame e pecorino , odori fortissimi che
zera. si sentivano per tutto il viaggio. Treni superaffollati seduti uno sull’altro, le mogli sui mariti, io e mio fratello sulle valigie. Era uno stress incredibile a volte dovevi scendere x far scendere gli
altri. Valigie che entravano e uscivano dal finestrino . La tratta del treno era Lecce-Bologna-Milano -Berna-Bienne-Basilea. Pensando agli emigrati in Oceania, Argentina, America, hanno sofferto molto perchè sono partiti per mete molto distarnti dall’Italia; ma loro hanno sofferto al momento, hanno fatto un taglio netto e si sono rifatti una vita, noi invece, più vicini, eravamo con un
piede qui e un
piede la . Dagli anni 80 gli italiani hanno cominciato a essere visti bene in Svizzera, quasi come idoli: questo grazie alla moda, le auto, lo sport. Quando durante le vacanze torniamo a casa tutto il vicinato ci aspetta. A casa siamo come tutti, persone “normali” , in paese invece ci vedono come dèi, dicono addirittura - è
svizzero
!
“
tornato lo
INT 021_ANTONIO RAZZI fonte: archivi_video_Televisione Svizzera_ documentario Falò
27 anni, classe 1983 nato a Giuliano Teatino (CH), Italia residente a Renens, Svizzera operaio in pensione/Deputato membro di Emigrati Abruzzesi
” Dei primi anni in Svizzera mi ricordo la neve e il freddo; ma noi venivamo perchè avevamo voglia
di lavorare, di riuscire in qualche cosa nella vita, il freddo non lo sentivamo neanche, avevamo
voglia di emergere, di valutare la nostra personalità, di portare qualcosa di concreto alla nostra Italia e, grazie alla Svizzera che ce l’ha permesso. Il mio salto dalla fabbrica al Parlamento è grande, ecco perchè i primi giorni mi sentivo in imbarazzo, ma non perchè non sapevo nulla, ma perchè vivevo tra dottori e avvocati e io ero un semplice operaio che veniva dalla Svizzera, però avevo la voglia di fare e promuovere per i miei connazionali all’estero, questo mi spinse a imparare. Io so che l’emigrazione è un’emigrazione sofferta perchè uno ha abbandonato la casa non per depositare i soldi in Svizzera ma per lavorare e
guadagnarci la vita per sopravvive e fa vivere meglio la nostra famiglia.
Tornare a Giuliano Teratino per me è tutto. Ricordare i primi passi, la mia infanzia, anche se un infanzia povera. Ci ho vissuto fino a diciasette anni e poi sono stato costretto a emigrare in Svizzera. In quegl’anni ‘60 frequentavo la scuola a Chieti e ho visto un manifesto affisso lungo il corso Maruccino dove la Viscose Tersuisse di Emmenbrucke chiedeva operai tessili..ero da solo, era
un
momento difficile perchè i soldi non ci stavano. Andavo a raccogliere l’uva incampagna, a aiutare per guadagnare mille lire,chi te ne dava cinquecento e così sono arrivato a avere la somma per pagarmi il treno e così sono partito. Diciamo che era il giorno sette... e mi viene da
piangere, mi scuso che... era il sette ottobre del ‘65, è chiaro che una mamma ti racomanda tutto
‘compartati bene’ lasciare la mamma è una cosa molto triste, ma sono andato per bisogno. Siamo
arrivati a Chiasso, lì ci hanno fatto scendere, per il controlo sanitario, io sono stato fortunato perchè stavo bene, e li abbiamo proseguito per la Disconsuisse a Emenbruche. Il lavoro in fabbirca mi ha dato sempre molte soddisfazioni, anche perchè mi mettevo sempre dei traguardi, se c’era la possibilità di fare il capo operaio io ci dovevo arrivare. Lavorare i fabbrica era anche molto duro, specialmente quando si doveva la vorare a tre turni e la domenica si dovevano fare dodici ore.
lucerna
GIULIANO TEATINO (CH)
46°32’N 60°39’W/6°35’E città svizzera sup. 29,04 kmq 79.156 ab. 2,622 ab./kmq
42°18’0”N 14°17’0”E comune italiano sup. 28, 27 kmq 1.344 ab. 135 ab./kmq
Io quello che racconto l’ho vissuto solla mia pelle, non è che l’ho visto fare dagli altri. Della vita che facevo prima in fabbirca mi manca, ero semplice, nel dire le cose, non c’era nessuno che potesse accusare, come invece capita ora che sono un politico. Allora parlavamo a ‘ruota libera’ e d tutto. Ora che sono in Parlamento non posso farlo e ogni volta torno alla fabbrica mi si apre il cuore perchè incontro i vecchi amici coi quali vorrei parlare dieci minuti delle cose di cui parlavamo un tempo.
Da poco faccio il pendolare Svizzera-Italia. Il fine settimana sono in Svizzera e in setimana a Roma. Viaggio in aereo è stressante ma sempre meglio che stare in albergo. A Roma ho preso un appartamento a potermi garantire la mia vita famigliare per quando arrivano mia moglie e i figli. PEr l’peai che viene eleto come me la difficoltà è enorme ma anche un operaio fa la sua parte se ha voglia di lavorare e progettare. Hanno provato a corrompermi per farmi cambiare partito, ma credo che se sono stato eletto con un partito non me la sento di tradire la fiducia di chi mi ha votato.
Io mi sono subito integrato, anzi devo dire che tutti i migliori amici erano svizzeri, con loro andavamo a ballare o a fare spiaghetti a casa mia si per mantenere l’amicizia, sia per la nostra gioia era far vedere agli svizzeri che la pasta è buona, che il nostro vino era buono. Credo che questo mia integrazione con la mentalità svizzera sia stata la base per cui io non ho mai avuto difficoltà in questi miei 41 anni in Svizzera.
Centro Regionale Abruzzese di Lucerna/Centro Culturale Europeo è dove sono nato politicamente, questo è un ritrovo degli italiani ma anche di tutta la gente. Qui ci si sente a casa, qui sono a casa mia. Come deputato oggi mi impegno a all’insegnamento gratuito della lingua e Il
della cultura italiana all’estero, le partite della nazionale prima oscurate all’estero e l’apertura agli svizzeri dei progetti culturali italiani. Non posso dimenticare che oggi o ho origini anche Svizzere;
”
sono fiero di servire due paesi.
INT 022_SANDRA DELLA VALLE fonte: contatto_intervista diretta
nata a Vittorito (TE), Italia residente a Milano, Italia
“ sono abruzzese di Vittorito, piccolo paese della Valle Peligna. Ho 55 anni e vivo a Milano dal 1974. Appena finito gli studi di scuola superiore, ho fatto una esperienza di 6 mesi in Canada dove ho molti parenti. Al termine di questo periodo poiche’ in Canada non c’e’ libero accesso, sono tornata in Italia, ma gia’ allora purtroppo, in Abruzzo non
c’era sviluppo industriale e quindi le prospettive di lavoro erano pressoche’ nulle. L’unica possibilita’ era andare via , cosi’ io e molti miei coetanei siamo partiti per non tornare piu’. La mia famiglia era composta dai genitori, tre figli e due nonni, vivevamo tutti insieme in una
piccola casa. L’economia del mio paese era basata esclusivamente sulla agricoltura ed in
pochi casi sulla pastorizia , sicche’ anche noi fin da bambini andavamo nei campi a lavorare appena chiuse le scuole. Era una condizione comune a tutti, quindi lo si faceva e basta. Quando pero’ siamo diventati piu’ grandi le nostre esigenze sono cambiate e chi di noi è andato via lo ha fatto perche’ il paese non offriva proprio nulla. Ricordo sempre le lunghe interminabili
passeggiate lungo la unica strada che portava fuori dal paese a sognare di andare via, a desiderarlo con tutte le forze, immaginando una indipendenza non solo economica che ci avrebbe reso finalmente giustizia. E poi e’ arrivata Milano! Beh, devo dire che i primi tempi , passata l’euforia, sono stati molto molto duri. Ho trovato quasi subito lavoro presso una azienda che non mi ha mai creato problemi (a quei tempi i meridionali erano ancora discriminati), ho incontrato mio marito ed ora siamo qui con due figli, siamo integrati e torniamo volentieri ai luoghi natii, ma solo in vacanza. Il mio piccolo paese e’ cambiato da quando ero ragazza quanto negli usi e costumi.
VITTORITO (AQ)
MILANO 45°27’50.98’’ N , 9°11’25.21’’ E’’ E città italiana 136 m s.l.m. sup. 183,77 kmq 1.306.800 ab. 7.111,06 ab./kmq
42°7′41″N 13°49′3″E comune italiano 377 m.s.l.m sup. 14,04 kmq 960 ab. 68,38 ab./kmq
I contadini ormai non ci sono quasi piu’, Ci sono le persone anziane che proprio non riescono a staccarsi dalla terra e da quella vita. Le generazioni che si sono succedute, come me, hanno fatto altre scelte, infatti ricordo che quando c’eraro i periodi topici delle raccolte:
mietitura , raccolta dei pomodori ,
vendemmia e raccolta delle olive, si incontrava piu’ gente nei campi che per le strade. Adesso mio padre dice che a volte c’e’ solo lui che gira per campagne. Dire che mi manca qualcosa in particolare del mio paese, non saprei, perche’ vedo ormai la gioventu’ trascorsa con romanticismo, pero’ devo dire che mi sono divertita
proprio tanto. Ero una scavezzacollo e il nostro piccolo paese con una bella pineta ed un bel
fiume per un po’ ci ha dato tutto quello che ci serviva, e poi tutti giocavamo per la strada . La tavola si imbandiva (si fa per dire) con tutti i legumi e verdure a seconda della stagione, prosciutto , uova, salsicce e pollame , qualche volta pesce, baccala’ di preferenza, e tormento delle mie domeniche: pasta fatta in casa ! Ancora adesso per
mio padre non e’ domenica senza! Il sogno culinario di noi bambini era la “pasta comprata” che proprio non ci potevamo permettere. Era festa grande quando c’era qualche dolce che non fossero i soliti biscotti , pan
spagna o ciambellone
di
rigorosamente fatti in casa.
Una perfetta dieta mediterranea, ma allora c’era solo quello, mi portavo
pane e salsic-
cia anche nella merenda per la scuola mentre desideravo tanto la nutella!
INT 023_GABRIELLA SANTORO fonte: archivi_video_docomentario_ Castelvecchio Calvisio. Tra Storia e Tradizione
nata a Castelvecchio Calvisio (AQ), Italia residente a L’Aquila, Italia insegnante di lettere
” Mia madre era una maestra elementare a Castelvecchio dove conobbe mio padre. Siccome al bor-
go non ci sono le scuole medie per poter continuare a studiare a dieci anni mi trasferii con tutta la mia famiglia a L’Aquila dove frequentai le medie e conclusi la mia istruzione. Mia madre non amò mai Castelvecchio, le andava stretto. Si tornava al borgo solo per l’estate per trova-
re i nonni, poi per un lungo periodo mia madre non volle tornare neanche per le vacanze. A me e a mio padre mancava tanto, mi ricordavo i vicoli, i profumi, mia madre con mia nonna che
andavano in chiesa… a Castelvecchio mi sentivo sempre protetta. Non tornai più, per non dare un dispiacere alla mamma. Quando lei morì decisi che era il giunto il momento di insieme a mio marito abbiamo risistemato Regina Margherita.
rientrare, e
una nostra casetta nel centro storico, in piazza
Lui è aquilano ma amò subito il borgo e fummo molto felici della nostra scelta.
Quando vivevo a L’Aquila mi mancava la serenità di Castelvecchio, in quel posto si
recupera
la dimensione umana del tempo, la giornata nel borgo dura veramente ventiquattro ore e si trova sempre tempo per tutto. Mi mancava il rapporto con gli altri, il contatto; anche se all’Aquila la vita cittadina era bella per i giovani, non l’ho mai vista come una vera e propria cit-
tà: piuttosto come un salotto dove ci incontravamo in continuazione senza il bisogno di trovarci
oggi a Castelvecchio siamo talmente pochi che per vederci dobbiamo chiamarci.
a casa. Invece
Purtroppo oggi non vivo più lì e sono tornata a L’Aquila perché il terremoto a danneggiato la nostra casa come molte altre del centro storico.
CASTELVECCHIO CALVISIO (AQ) 42°18’44”N 13°41’17”E comune italiano sup. 15, 04 kmq 187 ab. 12,43 ab./kmq
l’aquila 42°21’58”N 13°23’40”E città italiana sup. 466,87 kmq 72.935 ab. 156,6 ab./kmq
Il piacere di tornare a Castelvecchio è stato grandissimo. Oltre che un piacere è stata proprio un’ esigenza, un esigenza di ritornare lì dove sono nata, lì dove ho vissuto la mia infanzia. I ricordi sono tanti e anche nitidi per quanto fossi piccola e quindi ora ritrovarlo così con un futuro davanti, mi auguro più radioso del passato, mi emoziona, mi spinge a fare qualche cosa perché ciò possa avvenire. Mi auguro che tutto venga fatto nel rispetto della bellezza e della straordinaria unicità di queste mura. Vorrei vedere il borgo più vivo, più vivace, più pulito, più ricco, più pieno di persone, quelle giuste, quelle che sano apprezzare, quelle che non amano i rumori, quelle che amano la musica; insomma:
un paese vissuto nel rispetto della sua autenticità e della sua unicità.”
PARTE 3
FRAMMENTI [OUT]
FRAM 001
LA VITA DA EMIGRANTE
« Mio padre era nato nel 1891 a Pollutri, la miseria era troppa; andò in America ad appena 13 anni, trovando lavoro presso una farma dall’ingl. farm, azienda agricola, n.d.r. e poi in una fabbrica. Tornò in Italia apposta per combattere nella Grande Guerra; si sposò e nel ‘21 ripartì per Nuova York, quando la moglie, cioè mia madre, aspettava me, quindi per molti anni lo vidi solo per fotografia. A scuola, quando la maestra ci dava da fare un tema su nostro padre, io mi vergognavo e scrivevo che faceva il contadino in paese, ma mia madre mi correggeva dicendo che lui era più di un contadino, perché con l’emigrazione la famiglia stava progredendo. Mia madre era analfabeta, quindi toccava a me leggere la lettera che ogni mese arrivava, e rispondere. Mio padre chiedeva sempre dell’andamento del nostro piccolo fondo, coltivato da mia madre con l’aiuto del suocero; spesso proponeva di raggiungerlo a Nuova York, ma mia madre non volle partire, a quel tempo per una donna era inammissibile abbandonare i genitori e i suoceri. Non appena si trovava la combinazione di un compaesano che partiva verso New York, gli si mandava un salsicciotto e una caciotta di pecorino. I compaesani non si perdevano mai di vista. Furono anni di grandi sacrifici, lui si adattava a tutto per risparmiare il più possibile, e lavorava anche il giorno di Natale. Un Natale lui e il suo compare, per pulire un silos, quasi ci lasciarono la pelle. Finalmente, nel ‘33 tornò con una discreta somma, con la quale comprò alcuni ettari di terra. Ma, anche se era ormai un contadino agiato, riprese a lavorare in campagna, dalla mattina alla sera » (Sabettina Carusi, anni 85, intervistata a Vasto nel 2007) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 002
LA CASA
« Fa spicco, naturalmente in ogni casa miricana appartenente a emigrati che dall’America sono tor-
nati in patria, n.d.r. , il lussuoso mobilio: li mùbbile, i cui pezzi hanno una nomenclatura esotica: l’armuà l’armadio, lu cumò il cassettone, la tulatte la toletta. Ma là dove l’ostentazione è più palese, per desiderio di imitare o superare li signure o l’artiggianille gli artigiani evoluti, è la sala di ricevimento… Un grosso tavolo in noce o impellicciato e verniciato, in stile Novecento, nel mezzo, delle sedie in paglia colorata, allineate lungo le pareti; colonnine in legno con vasi di piante sempreverdi …]. Alle pareti, quadri o arazzi con scene tratte dalle più celebri opere liriche e specchiere con infilate tra le cornici e il cristallo cartoline illustrate con grattacieli, ponti, transatlantici. Lussuosamente incorniciata, la fotografia di lui, l’americano: a figura intera: alto, fiero, ‘mbusimate inamidato. Nell’angolo presso il balcone la loggie, fa mostra di sé il mobile più prestigioso, un apparecchio stupendo ch’ha ripurtate jesse da la Meriche: la toccamascina talking-machine, il grammofono, il vanto della famiglia, l’oggetto di attrazione per parenti e amici, i quali, come avverrà nel lontano futuro per la televisione, accorrono numerosi, stupiti, per ascoltare, inebriati e commossi, le note accorate di Addio, mia bella Napoli e Partono i bastimenti per terre assai lontane » fonte: archivi_scritto_P. Silveri, L’Americ’annallà, cit., pp. 100-103
FRAM 003
LA RELIGIONE
« Carissima commare Concetta, con molto piacere vi scrivo questi due righi per raccontarvi che ho
ricevuto la figurina (il santino, n.d.r.) della Madonna dei Miracoli, per il buon pensiero che avete avuto verso di me. E io credo che la Madonna mi guiderà per la via della virtù perché questa figurina da lei ricevuta, sapendo che lei tutti i giorni visita la casa della Madonna, è piena di grazie e io la porto sempre con me nel portamonete. Cara Concetta con piacere vi faccio sapere che dopo 74 giorni di sofferenze ora mi trovo bene e ho ripreso il lavoro. Pure Giovanni si sente bene. Domenica abbiamo mangiato assieme e nessuno dei due voleva cominciare a mangiare, mentre ci siamo guardati, nei nostri occhi, spargevo a terra due lacrime, la festa della Madonna è stata dolorosissima giornata, noi speriamo che questa sia l’ultima festa che facciamo lontani dai nostri cari perché la solitudine è molto brutta, vostro compare Vincenzo » (scritta da un emigrato di Casalbordino, datata 18 giugno 1964) fonte: archivi_scritto_E. Giancristofaro, Cara moglia, cit., pp. 68-69
FRAM 004
LA MAGIA
ÂŤ Mi scrivono gli emigrati: caro Alfredo, mi fa male una spalla, mi fanno male i reni e io faccio risposta per raccomandata alla Francia, al Belgio, alla Svizzera, a seconda di dove stanno e dopo 5 o 6 giorni la malattia si toglie a mezzo magia delle lettere Âť
(scritta da Alfredo D’Amico di Quadri -CH-, magaro)
fonte: archivi_scritto_Emiliano Giancristofaro, Cara moglia. Lettere a casa di emigranti abruzzesi, Lanciano, Carabba, 1984, pp. 66-68
FRAM 005
IL CIBO
« Io sono nato a Lanciano nel ‘56, e arrivato qui nel ‘61. Parlo italiano, l’ho imparato in famiglia e poi
l’ho studiato all’università. I miei genitori e gli altri lancianesi del club sono contenti di vedere un giovane alle loro riunioni e ai picnic, ci vado quando posso, purtroppo non ho molto tempo libero. Tra le tradizioni abruzzesi, quella che preferisco è il cibo. A casa nostra, si è sempre mangiato secondo la cucina tipica, che è genuina e naturale, è il cibo migliore del mondo, perché c’è molta pasta, che dà energia, molta verdura e poca carne. Ho un debole per i dolci abruzzesi, li trovo semplici e non c’è paragone rispetto ai dolci canadesi, piuttosto grassi. La nostra alimentazione è buona per la salute, ma non è solo per questo che io amo la cucina abruzzese, è anche per rispetto alle radici della mia famiglia » (Dominique DeLuca, intervistato a Toronto nel luglio 1998) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 006
IL DIALETTO
« Io l’intervista preferisco farla in inglese, perché mi hanno detto che la lingua italiana che io parlo
è il gergo dei pescatori, un linguaggio talmente chiuso e stretto che ora nessuno parla più neanche al porto di Giulianova! Me lo ha insegnato mio nonno, a cui ero molto affezionato. Per me il dialetto di Giulianova era la lingua per comunicare con i miei nonni; adesso questo dialetto a casa lo parliamo sempre meno ed io lo vivo come un bel ricordo dell’infanzia. Comunque, l’italiese [la lingua franca degli emigranti abruzzesi, n.d.r.] lo trovo un fenomeno interessante dal punto di vista sociale e antropologico; ho persino lavorato ad un documentario televisivo su questo argomento. Credo che, con il passare del tempo, questa particolare lingua degli emigrati sia destinata a perdersi, così come in Italia sta succedendo al dialetto » (Peter Gentile, anni 38, giornalista. Intervistato a Toronto nel 1999) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 007
I CLUB
« Sono arrivato in Canada nel 1959, portandomi tutto il bagaglio di tradizioni dell’Abruzzo. Io all’ini-
zio non pensavo di dare vita ad un simile contributo culturale, a cui la città di Lanciano non aveva dato alcuno stimolo istituzionale. Abbiamo cominciato con la tradizione più importante, che per noi, oltre al canto, è la festa patronale della Madonna del Ponte, che si tiene a settembre. Abbiamo cominciata a rifarla qui a Toronto dal 1968; abbiamo invitato l’arcivescovo, il sindaco e il presidente della Regione. Il Comune, nel 1975, ci ha mandato la statua della Madonna del Ponte. Poi, vista l’attività del canto tradizionale, abbiamo fondato il Coro; ora siamo 54 soci, e le nostre feste sono affollate di familiari e amici. Portiamo avanti le attività sociali con molta allegria, perché la musica, la festa e la compagnia levano il malessere che abbiamo portato con noi » (Gabriele DeLuca, pres. Club Coro Folkloristico Città di Lanciano intervistato a Toronto nel 1998) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 008
IL LEGAME CON LA TERRA DI ORIGINE
IL LEGAME CON LA TERRA DI ORIGINE
« Mio nonno materno si chiamava Giovanni Sigismondi: nato a Fraine nel 1907, è morto a Bragado
(Argentina) alcuni anni fa, ma tuttora occupa un luogo privilegiato nella mia vita. La nostra è una delle tante storie di emigranti abruzzesi che arrivarono in Sudamerica. L’unione tra me e mio nonno era straordinaria. Cosa mi portava a stare ore e ore vicino a lui, ascoltando le sue storie? Credo si trattasse di fascinazione. Nonno Giuani (come lo chiamavamo tutti i suoi nipoti) mi aveva affascinato coi suoi racconti: quasi tutti i giorni, mi portava a camminare in piazza. Parlava con un accento strano e mi regalava le scurpelle [caramelle, n.d.r.]. Raccontava di Fraine, il suo paese: diceva che stava tra verdi colline (muntagne), e che in inverno la neve che cadeva era tanta da coprire le porte. Bragado, dove vivevamo, sta nel mezzo di una immensa pampa verde e piatta, dove in inverno la nebbia e la pioggia sono costanti, e la neve non si conosce. Diceva che anche il freddo (lu frodd) è diverso, rispetto a Fraine. Tra le tante cose che mi affascinavano di Fraine c’erano le strade strettissime, con le case molto vicine tra di loro e le finestre di fronte una all’altra, tanto che le donne si parlavano senza uscire. Le case erano costruite sulle colline, le strade salivano e scendevano (e questo, io non lo potevo capire). Mi raccontava di una sorgente dove lui andava a cercare acqua, dei giochi con suoi amici, e dei giorni di sole limpido, quando si poteva vedere il mare Adriatico e d’estate, la notte si guardava la luna (liúna). Delle volte andava a visitare il santuario della Materdomine, nel mezzo di un bosco con alberi di noci (nuice). La casa dove era nato e viveva era vicino alla chiesa (la cchés), aveva due porte, una grande per entrare nella casa e un’altra, più piccola, per entrare nella cantina; dentro, c’erano il focolare, che mi dovette disegnare perché non riuscivo a figurarmelo, il forno (lo fiúrne), la pentola (tielle) di rame, la padella (vesáure). A Bragado come a Fraine, mio nonno coltivava pomodori (pamadóre) e basilico, li raccoglieva a faceva la conserva. Preparava pranzi fantastici, con i fagioli (fasciul), gli spaghetti (tagliarille), la pizza di mais (potz), le tacconelle (sagne a pezzett) e le pizzelle dolci. Fu un giorno triste quando trovammo, in un libro, la mappa dell’Italia (la prima che vedevo nella mia vita, la forma di stivale mi affascinò), ma Fraine non c’era... e nemmeno ci stava Chieti. Il nonno mi consolò dicendomi che Fraine esisteva, e che un giorno ci saremmo andati insieme. Tra le sue storie, c’era anche quella di suo padre, che era bersagliere e morì a Trieste, nel 1918. Mi mostrava la sua fotografia con una strana uniforme di colore grigio celeste e un casco pieno di piume verdi. Sua moglie Concetta Turdó (mia bisnonna) dovette occuparsi da sola dei suoi figli Giovanni, Nicola (anche lui emigrato in Argentina) ed Emilia, l’unica a rimanere con lei a Fraine. Nonno Giovanni aveva deciso di emigrare nel 1925 perché suo nonno nel 1885 era stato in Argentina, ritornando in paese con un bel gruzzoletto di soldi. Quando nonno Giovanni partì da Fraine, suo nonno (tatáun) era ancora vivo, e camminava col bastone (lu bastaún). Quelle storie, molti anni dopo, mi condussero a Fraine, dove il caro nonno mai ritornò. Emilia Sigismondi, sua sorella, ancora lo aspettava. Quell’estate, arrivando a Fraine, capii che, insieme a me, anche nonno Giovanni era tornato in paese » (Sergio Sciglitano Sigismondi, professore universitario, Argentina, intervistato nel 2001) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 009
IL RITORNO
« Dall’Abruzzo noi desideriamo il riconoscimento che siamo ancora figli dell’Abruzzo, e non citta-
dini di terza o quarta categoria. Questo perchè ci sentiamo ignorati, l’Abruzzo dovrebbe essere più aperto a noi, che siamo gente generosa e abbiamo impiegato il nostro tempo per valorizzarlo al di fuori dei suoi confini. Ci vuole più umanità, con noi! Per questo, invito la Regione a venirci a trovare e riconoscere il valore morale del nostro lavoro. Di cosa altro abbiamo bisogno? Il problema materiale (cioè i soldi per farci tornare in vacanza) propriamente non esiste, perché grazie a Dio noi emigranti stiamo tutti bene e ci autofinanziamo sia per le attività dei clubs, sia se vogliamo tornare in Abruzzo per le vacanze. Esiste invece il problema morale. Noi quando torniamo nel paese vorremmo trovare la gente più calorosa, più aperta; la nostra esperienza è diversa, abbiamo vissuto in un paese che non è il nostro, e nello stesso tempo abbiamo onorato il paese d’origine, ma pare che non se ne accorge nessuno. Eppure, tutti potrebbero essere preparati ad accoglierci con più responsabilità. Noi accettiamo tutto, siamo figli della terra d’Abruzzo. Che ci mandiate le conferenze, gli spettacoli, i visitatori, i libri, noi siamo contenti, purché ci sia un contatto umano » (Gabriele DeLuca, intervistato a Toronto nel 1998) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 010
IL RITORNO
« Ero arrivato a Calgary da solo, appena sposato; facevo il meccanico. Mia moglie è arrivata dopo
che ha partorito, col primo bambino, il secondo è nato in Canada. Avevamo l’idea di tornare. Per questo, lavoravamo tutti e due: per mettere da parte i soldi. Prima che i ragazzi entravano alle scuole alte [high school, n.d.r.], abbiamo venduto la casa e siamo tornati, era il 1979. Ma i ragazzi non si sono trovati bene, nessuno li invitava, per gelosia li chiamavano i giargianesi. Neanche per me e mia moglie c’è stato vantaggio: i genitori erano morti, i parenti erano partiti o troppo impegnati a farsi i fatti loro, e il paese di prima non c’era più. La ricchezza era arrivata, e l’amicizia se ne era andata: c’era un’officina concorrente che aveva paura di perdere clienti, e diceva che le macchine le rompevo, anziché aggiustarle, perchè conoscevo solo quelle col cambio automatico. Siamo dovuti tornare in Canada, e ci abbiamo perso un mucchio di soldi » (Frank Panaccio, anni 63, intervistato a Toronto nel 1998) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 011
LA DONNA
« Ho lasciato S. Amato, contrada di Lanciano, nel 1961; fino ad allora, non ero mai uscita da Lancia-
no. Mio marito era già emigrato in Canada, appena abbiamo potuto preparare i soldi per il viaggio sono partita con i nostri due figli piccoli. Il viaggio in nave è stato bruttissimo, non finiva mai! Quando ci siamo sistemati nella casa, mi sono dovuta arrangiare a lavorare anche io, andavo cercando lavoro, l’inglese non lo capivo, allora avevo imparato a memoria la frase do you have a job for me?, e andavo bussando alle fabbriche. Sono andata a domandare ai proprietari di una fabbrica di calze di nylon, quelli in inglese mi avevano risposto di sì, ma io non avevo capito e me ne stavo andando, meno male che un’altra italiana mi ha strillato, eh, vedi che questi ti vogliono, allora sono tornata indietro e ho cominciato a lavorare » (Angela Mirretta Barone, anni 68, intervista raccolta a Toronto nel 1998) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 012
LA DONNA
« In paese, dato che si faceva il pane in casa, di venerdì il fornaio teneva il forno acceso per le donne che dovevano cuocere la loro provvista per la settimana. Ci recavamo, quindi, a turno nel locale con la massa già pronta; anzi, era lo stesso fornaio che veniva ad avvisarci personalmente dei tempi, in modo che noi potevamo trovarci pronte con la pasta spianata. Uno di loro, che era un donnaiolo, voleva approfittare di una povera donna il cui marito era andato a lavorare in Africa, e la andò a chiamare dicendole di spianare, perché il forno era caldo. Lei così fece, ma andando con la pasta, lo trovò solo, e non c’era neppure la donna che, come al solito, in quel momento doveva cacciare il suo pane appena cotto. Sentendosi presa in trappola, la donna scappò, per sua fortuna. La vita delle donne era durissima: aiutavano in campagna, e sulle loro spalle c’era tutto il lavoro della casa, la cucina, il bucato, gli animali da accudire. In casa non c’erano né l’acqua né il gas, e bisognava provvedere con la forza fisica. Qualsiasi faccenda, oggi agevolata dagli elettrodomestici, un tempo richiedeva ore ed ore di fatica. Così, donne di soli trent’anni apparivano già vecchie e stanche, anche perché avevano tanti pensieri e preoccupazioni » (Maria Di Virgilio, 80 anni, intervistata a Vasto nel 2002) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 013
IL VIAGGIO
« Nella primavera del 1956, dopo mille ripensamenti, si comincia a discutere della possibilità di
raggiungere gli Stati Uniti, paese che aveva già accolto diversi membri della mia famiglia. Con mio fratello Francesco, si decide di partire confermando la partenza con la turbonave “Cristoforo Colombo”. Però in quel periodo imperversavano i temporali, che ci fecero ritardare la partenza fino al 17 luglio 1956, con la turbonave ammiraglia “Andrea Doria”. Il tragitto fu bellissimo. A poche ore dallo sbarco, previsto per le prime ore del mattino seguente, con mio fratello Francesco ci demmo la buona notte prima di raggiungere le rispettive cabine; quel saluto fu l’inizio del calvario di una notte d’inferno. Sentii un forte boato e, presa da incredibile sgomento, con tutte le forze chiamai mio fratello. Qualche istante dopo, ho sentito la sua voce che mi chiamava e in un attimo fummo sui corridoi, già inondati di gasolio e acqua di mare. Faticammo per raggiungere la coperta della nave, già paurosamente inclinata a sinistra. Inimmaginabile il panico creatosi nel giro di pochi minuti in tutti i reparti: grida imploranti di gente intrappolata nelle cabine, pianti ed invocazioni, un corri-corri del personale di bordo, l’Ammiraglio al megafono che invitava alla calma. Nel caos, alcuni si calavano con funi lungo il fianco della nave per raggiungere le scialuppe di salvataggio che mandava verso di noi la prima nave venuta in soccorso. L’ammiraglio continuava a chiedere di dare posto prima ai vecchi e bambini. Pertanto, fummo fra gli ultimi a lasciare la nave, che si impennava sempre di più. Mio fratello, di sua iniziativa, mi legò alla cinta con una fune e mi calò in acqua, raccomandandomi di mantenermi calma per poter raggiungere la scialuppa che stava ancora imbarcando gente e che, appena ero scesa in acqua, si allontanò con il suo carico. Da bordo, mio fratello non riusciva a vedere la mia posizione, per l’oscurità e la forte inclinazione della nave; così legata e appesa, in attesa di un’altra scialuppa, mi sentii mancare perché le grosse ondate mi sommergevano completamente e mi sbattevano contro il fianco della nave, ferendomi una gamba; da quel momento non ho più capito nulla e sono svenuta. Dopo circa una mezz’ ora mi sono svegliata tra le braccia di mio fratello che mi confortava. Ci aveva soccorso una nave mercantile giapponese » (Nedda D’Alessandro, emigrata di Orsogna)
fonte: archivi_scritto_P. Silveri, L’Americ’annallà, cit., pp. 148-150
FRAM 014
LA GELOSIA
« Io per 21 anni sono stato in Svizzera. I primi sette anni sono stato senza la moglie, la moglie non
ti poteva raggiungere in base all’accordo italo-svizzero. E se uno lascia la moglie a casa, chi lo sa cosa faceva. Non era che la moglie si comportava male, ma tante volte, sai com’è, tenevamo questo dubbio: la tentazione, la moglie giovane, quasi sempre questi problemi c’erano. Ci stavano certi colleghi gelosi che dicevano: oh, io mi vado a riaffacciare a casa senza che nessuno sa niente, perché c’era troppo dubbio e troppa sofferenza. Si aspettavano le lettere, si aspettava sempre e si voleva che arrivassero ogni giorno » (emigrante di Paglieta, intervista raccolta nel 1985 da E. Giancristofaro) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 015
LA CORRISPONDENZA
« Mia cara moglie, rispondo subito alla tua lettera che porta la data del 7 luglio. Ho capito che hai
fatto la trebbiatura con risultato così scarso e che la parte di famiglia è uscita rovinata (…). Vedi quando manca l’uomo in casa diminuisce il raccolto, quando prima in casa nostra i cereali non avevamo dove metterli. Come mi riferisci, che sta facendo una siccità insuperabile, invece qua tutti i giorni piove. Qui non sembra che ci troviamo a luglio, e se vuoi uscire di casa ci vuole il paltò, che l’aria è fresca sia di giorno che di notte. Ti spedirò altra moneta: è sempre così, non si vive di speranza che il Signore manda la pioggia quando la campagna lo richiede. Come paga è sempre tanto, in attesa che viene sempre il giorno 10 di ogni mese, da prendere la busta per rimanere soddisfatto. Ho bisogno soltanto del Signore che mi dà la salute, e non altro, e come ho fatto io, all’età di 50 anni che ho dovuto uscire da casa, così facessero pure gli altri; per me è 4 anni di carcere, e duri sacrifici per potere portare a termine il risultato. Ho capito che hai parlato con la moglie di Giovanni per riguardo del terreno dell’Annunziata, adesso non è tempo di lasciare il terreno, non ancora si fa l’aratura: vedi che il terreno più presto si ara, meglio è. Ho scritto alla promessa nuora Maria di mandarmi la foto per conoscerla: ci viene qualche volta a trovarti? Come si presenta? La famiglia ti acclama? Ti fa le cerimonie quando vai? Ti trovi contenta che io ritorno per Natale, o vuoi venire tu in Germania a conoscere che vita si fa per poter realizzare qualche soldo in più? Ho capito che stai poco bene ma come si vede sta aumentando la vecchiaia: anche io non sono come prima, i capelli mi sono tutti imbianchiti e la forza sta scendendo, ma tutto ciò devo sopportare ancora, facendo sacrifici per poter riuscire a sistemare ogni cosa. Non allungo a scriverti; resta soltanto baciarti con affetto, tanti saluti a tutti, tuo marito. » (lettera inviata nel 1965 da Hemer, Germania Federale)
fonte: archivi_scritto_E. Giancristofaro, Cara Moglia, cit., pp. 50-51
FRAM 016
LA CORRISPONDENZA
« Io volevo, così lontano come stavo a lavorare, seguire sempre la famiglia da vicino e la lettera era
l’unico modo e per questo scrivevo quasi tutti i giorni. Sentivo l’affetto di dovere sempre correggere mia moglie, non volevo che si allontanava perché una donna, pure che sta lontano, ma riceve delle parole affettuose, ha sempre l’aiuto del marito, si lega sempre di più, perché altrimenti come fa, se sta lontana e resta abbandonata da sola? La donna è come una pianta tormentosa che vuole un albero forte piantato dove si attacca attorno, perché sennò il vento della terra la tira lontano; la lettera era questo collegamento » (Michele Mancini, intervistato nel 1983 da Emiliano Giancristofaro a San Vito Chietino) fonte: web_siti internet_www.abruzzoemigrazione.it
FRAM 017
LA CORRISPONDENZA
« Mia cara Enrichetta, ieri ho ricevuto la tua cara lettera. Non pensare a niente e stai contenta e tran-
quilla che io godo ottima salute. Mangia i conigli che io mangio salamini, burro, marmellata, scatole di sardine, il giorno nella fabbrica e poi la sera alla casa dove dormiamo, facciamo gli spaghetti e 2 volte la settimana compriamo la carne ma costa troppo. (…) Riguardo al lavoro non è niente, io passo la carta vetrata alle cassette dove si mettono le sveglie e gli orologi. Digli al cugino Michele che quando viene se può portarmi un po’ di formaggio che la pasta senza formaggio non mi vuole calare. Ti mando questa palma che oggi siamo andati alla messa e ci siamo rischiarati gli occhi a guardare le donne » (Lettera inviata dalla Svizzera nel 1967)
fonte: archivi_scritto_E. Giancristofaro, Cara Moglia, Lettere a casa di emigranti abruzzesi, cit., p. 58
PARTE 4
CONCLUSIONI [IN+OUT]
CAP.5
RISULTATI
5.1RISULTATI INDAGINE IN SITU A seguito della restituzione dati possiamo trarre delle conclusioni generali. Le tematiche affrontate e analizzate per ogni singolo personaggio ci permettono di tracciare delle linee guida per ricostruire la storia dei luoghi. La volontà di non focalizzarci su un solo paese, ci ha condotte a poter fare un confronto tra vari borghi. In questo modo abbiamo una visione trasversale di territori compresi in più provincie. Le singole storie accomunano su certi aspetti più luoghi (es. spopolamento) e li differenziano per altri (es. le risorse). Vogliamo restituire qui un sunto saliente delle informazioni ricavate per ogni tematica. 1. Le origini /la famiglia_ Tutti gli intervistati risultano avere un legame originario con il luogo in cui vivono. Le loro madri e i loro padri avevo spesso attività in loco: chi coltivava la terra, chi aveva le bestie, chi l’albergo... 2. Il ricordo_Abbiamo chiesto che ci raccontassero qualcosa del passato. Tutti hanno voluto parlarci di eventi negativi che hanno influenzato il borgo e dai quali sono stati particolarmente colpiti. Inoltre hanno fatto riferimento al classico “ricordo d’infanzia”. La cosa più bella di questo momento relazionale è stata l’espressione che assumeva il loro sguardo: si passava dal dolore alla gioia. I ricordi negativi sono pressoché simili per tutti: la miseria, la povertà, la guerra, le dittature... Mentre i ricordi positivi sono, ovviamente, strettamente personali. 3. L’euforia del passato _utti ci raccontano del presente: si presentano, ci dicono che lavoro fanno; un vero e proprio dialogo di conoscenza, la routine dell’approccio. Ma quando li guidiamo nel passato la loro espressione cambia. Con il volto del bambino sognatore raccontano delle feste del paese, dei cibi “pregiati” che assaporavano solo in certe ricorrenze, dei raduni in piazza, dei giochi che facevano con gli altri bambini. Il momento diventa magico e loro percorrono un viaggio nel mondo ormai perduto. 4. L’attaccamento al luogo_Si lamentano della situazione attuale. Gli enti statali non elargiscono fondi per aiutarli. Ciò che noi vediamo come il mondo idilliaco, tranquillo e sereno,dove andare per staccare dalla vita di città, risulta invece oberato di ostacoli e disagi. Il parco risulta essere un vincolo e non un pregio. “Vengono elargiti fondi solo ai borghi del nord. Sembra che lo stato li voglia dimenticare, diventano più un fastidio che un’opportunità. Nonostante ciò tutti ritornano. Gli anziani hanno difficoltà con le strutture sanitarie. Le scuole elementari hanno un’unica classe... Ma la loro terra rimane nei loro ricordi, nei loro, sogni, nei loro desideri... questo luogo mi scorre nelle vene, è mio, fa parte di me e io di lui...”
5. I mestieri scomparsi_ Tanti mestieri come il taglialegna, il cacciatore, vengono banditi dalle leggi del parco. La gente perde il lavoro. I costruttori sono costretti a cambiare paese. Il calzolaio e la sarta, se voglio dare da mangiare ai propri figli devono spostarsi in paese e cercare lavoro nelle fabbriche. Da artigiano a operaio... 6. L’arte culinaria_ Quasi tutti, liberamente, ci parlano di cibo... La maggior parte si riferisce ai prodotti della loro terra. Ci raccontano dei raccolti, di ciò che mamma portava sul tavolo. Alcuni ricordano le prelibatezze: “sono andato a mangiare a casa di un mio amichetto e sua mamma aveva cucinato per me due teste di pollo... era come mangiare la nutella...”“A Castelabasso quando ero piccolo, avevamo un forno comune per cuocere il pane. Un signore passava e avvisava che era il momento di preparare l’impasto, poi ci avvisava quando era ora di farlo lievitare. Alla fine una serie di persone passava a raccogliere le poche lire che servivano per far cuocere il pane e disponevano l’impasto su un lungo vassoio di legno che portavano al forno...” 7. Esperienze migratorie_ Tutti gli intervistati per questioni di studio e in seguito di lavoro sono stati “costretti” ad abbandonare la loro terra. Ma appena hanno potuto sono ritornati. 8. Spopolamento e ripopolamento_Abbiamo costatato che il grande flusso migratorio è avvenuto nei diversi borghi negli anni ‘60. In quegli anni gli abitanti hanno iniziato a risentire di una grossa crisi economica. Chi, più fortunato, possedeva un attività legata al settore alberghiero o un appezzamento di terreno, riusciva a mantenersi e a mantenere la famiglia. Tutti gli altri, la maggior parte, ha dovuto abbandonare il proprio paese per spostarsi in zone più evolute. I ragazzi dovevano frequentare scuole, i più fortunati hanno potuto proseguire gli studi, altri sono stati costretti a cercare lavoro. Nelle famiglie comandava il papà: padre padrone. Molti hanno dovuto rinunciare ai propri sogni e desideri. “Il mio sogno era quello di diventare uno storico, di raccontare agli altri le vicissitudini delle nostre terre, ma mio padre mi trovò lavoro in un’officina meccanica. Ora sono in pensione, sto realizzando il mio sogno: faccio la guida per il mio borgo a tutti i visitatori assetati di storia...” 9. Risorse naturali e turistiche del luogo_Tutti questi borghi godono di una vita tranquilla e serena. Immersi nei paesaggi collinari e appenninici del centro Italia, respirano aria pure e si godono le giornate di sole nell’assoluto silenzio. Il paesaggio che si prospetta agli occhi da pace e colma tutto il vuoto che si è creato dal momento in cui ognuno è dovuto andare via al momento del ritorno. Fortunatamente alcuni di questi borghi riesce a sopravvivere grazie al turismo. Ma si tratta di un turismo di giornata. I borghi sono piccoli, in poche ore si visitano. Alcuni diventano famosi per la loro bellezza medievale, altri per le loro risorse. Civitella del Tronto offre il suo fascino con la f o r tezza e tutte le costruzioni arroccate; Rocca Santa Maria offre un turismo prettamente fungaiolo... 10. Aspetto produttivo_Alcuni borghi vantano la presenza di attività produttive industriali vicine che permettono alle poche famiglie rimaste di potersi mantenere. Altri vivono grazie alla presenza di elementi come la fortezza che essendo rivitalizzate in musei offrono occasioni di visite da parte di scuole e turisti. Alcuni si sono attivati creando fondazioni o associazioni che si occupassero dell’organizzazione di eventi legati particolarmente alla musica e all’arte. Si cerca tuttavia di portare gente e quindi economia. Rimane ancora tutto piuttosto statico anche perché dopo un giorno che si è li non c’è più niente da fare, ne da vedere.
5.1RISULTATI INDAGINE OLTRE CONFINE Gli emigranti sono la prova di come “il luogo agisca anche fuori dal luogo”1. Nonostante tutti i protagonisti interrogati vantano una buona, se non ottima, integrazione nel paese in cui sono andati a lavorare, ascoltare le loro parole ti costringe a tornare con la mente a quei luighi che loro hanno lasciato. Per avere un quadro più complessivo abbiamo selezionato una campionatura più diversificata possibile: si va da un imprenditore di successo di buona famiglia approdato in Argentina negli anni ‘40 [INT.014], a chi un ventennio dopo si vede costretto a scappare dalla povertà col desiderio di trovare una gratificazione altrove [INT.021] o almeno una vita dignitosa [INT. 16], oppure ancora persone che sono emigrate di recente perchè insoddisfatto delle opportunità locali [INT.18]. Nonostante ognuno di loro ci racconti una storia intima e unica, il più delle volte ritornano temi comuni (oltre ovviamente a quelli riconducibili alla tradizione e alla suggestività del luogo di origine, che si trovano ance in coloro che abitano in Abruzzo). Si riscontrano una serie di corrispondenze sentimentali.
rifugio
“Le associazioni hanno rappresentato, fin dall’inizio, un luogo di rifugio e di incontro in cui queste migliaia di corregionali potevano rivivere il clima dei luoghi di provenienza e tramandare, gli uni agli antri usi, costumi, canti, ma soprattutto valori civili e umani, in una terra straniera che, anche se accogliente, era così diversa da quella di origine..” [INT. 15] “in quel posto [borgo] si recupera la dimensione umana del tempo”. [INT. 023] “In quei giorni [infanzia] non ero mai da solo”. [INT. 016]
1 Cit. Teti V., Il senso dei lughi. Paesi abbandonati in Calabria, Donzelli Editore, Roma 2004, p.XVIII.
delusione “Come un contadino che, con impegno e sudore, semina e coltiva un frutto, poi quando c’è da raccoglierlo, non sa che farsene, lo lascia sulla pianta, arrivano gli altri e se ne appropriano!” [INT. 18]
paura “Avevo una paura di essere rispedito a casa; mi immaginavo di nuovo nella stazione del paese, dove pochi giorni prima mi ero licenziato dalla mamma che piangeva.” [INT.017]
rifiuto “Il paese non ha nessun futuro.” [INT. 014]
fuga “interminabili passeggiate lungo l’ unica strada che portava fuori dal paese a sognare di andare via” [INT. 022]
speranza “Mi auguro che tutto venga fatto nel rispetto della bellezza e dell’unicità di queste mura.” [INT. 023]
rivalsa “Così, con molta pazienza e con molto sacrificio, ma anche con una forte volontà di riuscita, ho iniziato il mio percorso in Argentina.” [INT. 15] “Il lavoro in fabbirca mi ha dato sempre molte soddisfazioni, anche perchè mi mettevo sempre dei traguardi, se c’era la possibilità di fare il capo operaio io ci dovevo arrivare.” [INT.21]
orgoglio “ Non posso dimenticare che oggi o ho origini anche Svizzere; sono fiero di servire due paesi.” [INT. 021]
“le cose di cui nessuno sa e che non lasciano tracce non esistono� Italo Svevo
CONSIDERAZIONI La regione Abruzzo conta circa 1.200.000 abitanti, la maggior parte dei quali vive in centri molto piccoli, in fase di abbandono e arrocati in un territorio spesso inacessibile e impervio. Inoltre il numero di coloro che vivono all’estero (senza contare l’emigrazione verso altre parti d’Italia) raggiunge quello degli abitanti nella regione. I dati quantitativi ci suggeriscono il profilo di una regione gravemente provata (basti pensare ai problemi di carattere sismico) in cui la gente sembra essersi arresa a interrompere una tradizione insediativa lunga millenni. Spesso, mentre portavamo avanti il nostro lavoro, ci chiedevamo in continuazione perchè le persone vivono in un posto e non in un altro; in base a cosa si sceglie una casa, un paese, uno Stato. Volevamo anche noi, come Vito Teti, rintracciare, cogliere, interrogare i segni della vita e della memoria; e come lui non li abbiamo trovati nelle città piene di gente, facce, voci, suoni, macchine e palazzi, come Ascoli Piceno o Pescara; abbiamo trovato le nostre risposte proprio in quei luoghi dove l’abitare sembrava cessato, il luogo svanire1 . L’abbandono è un fenomeno che comporta una rottura traumatica con il territorio, spesso durante le nostre interviste dovevamo aspettare si rischiarisse la voce dei nostri interlocutori perchè ci raccontassero di quando se n’erano andati via, o di come il borgo era ormai deserto e così dissimile da come lo ricordavano nell’infanzia. Al dolore la gente ha imparato a sopravvivere con l’esercizio della memoria: ricordare i cibi, gli odori, le giornate non diventava più una nostra richiesta ma una loro necessità. Gli abitanti dei borghi in fase di abbandono e coloro che hanno abbandonato l’Abruzzo per lavorare altrove conservano dentro di sè un immagine più nitida dei luoghi: il loro è un bisogno esistenziale, in questo modo non si sentono dispersi; quello che sarebbe solo un punto geografico tra le montagne per loro diventa identità. Il luogo, in questi discorsi, non è cosa fisica; e la storia dei luoghi, la cui ricostruzione era il nostro primo obiettivo, non è cronologia temporale. Se con la funzione dll’abitare le persone esistono, solo attraverso un lavoro di documentazione, quale quello svolto, si realizza una storia che le identifichi. Con il nostro lavoro abbiamo reso materiale la dimensione immateriale del vissuto personale, consegnando a ciascuno di essi un ruolo che li identifica all’interno della storia dei luoghi. Gli intervistati, i soggetti, gli abitanti... diventano “protagonisti” di una dimensione storica.
1 Cfr. V Teti, Il senso dei luoghi. Memorie e storie dei paesi abbandonati, Donzelli Editore, Roma 2004, pp.4-5.
24 BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
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