PRODUZIONE STORIE, TRADIZIONI E REALTA’ ATTUALI
Ilaria Bollati Giulia Lisci Giulia Magliani Linda Trappoloni
735958 736250 735135 740419
PRODUZIONE STORIE, TRADIZIONI E REALTA’ ATTUALI ABSTRACT PARTE 0: Tema cap.0: Produzione cap.1: Metodologia PARTE 1: Indagine cap.2: Economia_ISTAT: rilettura cap 3: CRESA: rapporto economia abruzzese cap.4: Sviluppo economico decennale cap.5: Grande Imprenditore cap.6: Piccolo e medio imprenditore cap.7: Artigiano
Scopo ultimo di questo libro è una panoramica sul tema “produzione” in Abruzzo: una parola che raccoglie mille sfaccettature, così come mille sono le informazioni che abbiamo raccolto, analizzato, approvato, verificato. Dati analitici, statistici, articoli di giornale, riviste, interviste, racconti, fotografie, ma anche e soprattutto esperienze reali che ci hanno permesso una conoscenza diversa, diversa perché unica e tangibile. Così tra queste pagine si potrà cogliere un Abruzzo estroverso e aperto all’idea di far parte di un’economia nazionale, in alcuni ambiti anche mondiale, ma allo stesso tempo anche un territorio più timido e volutamente geloso dei suoi saperi, ben custoditi da tanti abruzzesi che ancora cercano di tramandare ai loro posteri come dei veri e propri tesori. Perché è questa la vera produzione dell’Abruzzo: l’aver saputo perpetuare una cultura artigianale che in alcuni e importanti casi si è trasformata in realtà imprenditoriale nota anche a livello internazionale. Questa stessa campagna costruita, o questa struttura urbana diffusa, è diversa e estranea alla forma della metropoli. Io credo che se riusciamo a liberarci dall’ossessione dei modi della grande città, possiamo cogliere, i questa unità urbano-rurale, il carattere di una classicità cercata e forse possiamo dare un significato all’utopia. Se riusciamo a pensare alla campagna non come residuo negativo della metropoli ma come parte dl’intera realtà, possiamo partecipare dei caratteri di queste terre. Questo carattere non è tanto legato al passato , ad una storia tutto somato di subordinazione e sfruttamento, ma ad un futuro possibile; non è tanto di confronto con la storia che emerge la forma e il senso di questo territorio, quanto nel suo misurarsi contradditorio con la metropoli odierna. […] Di fronte al processo di appropriazione- espropriazione capitalistico, la struttura urbano-rurale dell’Abruzzo subappenninico non esprime né una sintesi di opposte tendenze, né un avanzamento rispetto alle condizioni odierne, né una condizione più arretrata in attesa di un congiungimento alla metropoli. Essa, riconoscendosi per se stesa, può manifestare, nella generale costruzione dello spazio, una forma di opposizione interna, fisica oltre che culturale e razionale. Agostino Renna, L’illusione e i cristalli, Clear, Roma, 1980. Nelle zone collinari non interessate dalle riconversioni agricole sono rimasti i vecchi poderi, così come le vecchie case o le vecchie ville, recuperate in qualche caso dall’agriturismo, esso rappresenta in sostanza il “ritorno alla campagna della città”, ritorno come amore per la ruralità, per il podere in campagna, come era caratteristico della vecchia borghesia urbana che aveva il podere e la villa. E’ un ritorno per modo di dire. Molte della ville e
dei relativi poderi sono di gente che vive a Roma o a Milano, anche se nono sono pochi, tuttavia, i vecchi proprietari che hanno valorizzato in modo nuovo, dal punto di vista culturale e organizzativo, le loro tenute. Non sempre, nelle stesse aree non riconvertite, c’è stato abbandono. La pendolarità tra la casa colonica e l’industria situata nei centri vicini consente ancora l’occupazione delle vecchie case e in molti casi la stessa conduzione del podere: ciò attraverso una suddivisione dei compiti nell’ambito familiare, che comprende in taluni casi anche il lavoro a domicilio. Adattabilità, in sostanza, della società locale alle esigenze mutate, nell’impossibilità di vivere unicamente del podere quando non è riconvertito. Eugenio Turri, Semiologia del paesaggio italiano, Longanesi, Milano, 1990. Questa terra è struttura di elementi che in sé hanno poco valore. Ma in ciò è un fascino profondo; dove ogni elemento o forma sembra essere inessenziale e rinviare ad un modello più alto e lontano, Roma, Firenze, tuttavia è sempre parte di un tutto che non rinvia ad altri che a se stesso. L’insieme di questa opera umana, creata per la soddisfazione dei bisogni di una vita modesta e senza gloria, comporta una forma di bellezza tutta propria. Come in un’antica città, i monti, il mare, i campi, gli antichi borghi e le ville, si compongono, in modo casuale e inconsapevole forse, in un’unica emozione di forma. Non come la grande campagna toscana, unità di natura e spirito, non come la favolosa pianura delle ville venete, modello d’Europa, la forma possiede qui un che di ancestrale, di non ingentilito, di nostro come eravamo e, forse, di come vorremmo essere. Un inconscio accordo collettivo nella scelta dei luoghi,dei grandi tracciati, di tipi dell’abitazione e del lavoro dei campi rinvia ad una remota origine comune e unifica gli elementi fisi della costruzione. Ogni luogo risponde ad un’attesa non pensata, ogni cosa è come già vissuta, da sempre, e i luoghi ci sono familiari in una conoscenza senza tempo. Una familiarità che ci richiama, con inquietudine, a remote origini che hanno fissato per noi, prima ancora che Roma sorgesse, le scelte e i caratteri definitivi. Agostino Renna, L’illusione e i cristalli, Clear, Roma, 1980.