LAB-INT 2’10
MARA BROZZI_FRANCESCA POZZI_STEFANIA PRINA_ALICE TRUANT
“per conoscere un territorio dobbiamo farcelo raccontare...”
INDICE ABSTRACT L’ABRUZZO. NELLA LETTERATURA NEL CINEMA NELLA STAMPA INTERPRETAZIONE DEL TEMA: 4 PERSONAGGI RACCONTANO L’ABRUZZO CAPITOLO 1 : IL PASTORE IERI
la pastorizia un antico mestiere
OGGI
gli ultimi pastori
DOMANI
il tratturo: una memoria da ripercorrere
CAPITOLO 2 : IL GUARDIABOSCHI IERI
OGGI
DOMANI
una natura incontaminata
una natura tutelata
una natura partecipata
CAPITOLO 3 : IL VECCHIO IERI
case piene
OGGI
case vuote
DOMANI
case da rivivere
CAPITOLO 4 : IL SERPARO IERI
una religione legata alla “terra”
OGGI
le tradizioni religiose: cronaca dell’oggi
DOMANI
i santi nelle feste popolari: nuove icone di socialità
FAQ: domande e non-ancora risposte BIBLIOGRAFIA
Raccontare il territorio d’Abruzzo attraverso il cinema, la stampa, la letteratura. Questo il fine ultimo di questo libro e l’intento della ricerca analitica svolta che si è posta l’obbiettivo di descrivere il territorio abruzzesee i suoi borghi. Si è preso come assunto il concetto di paesaggio fornitaci da A.Humbold che vede il paesaggio come “Eindrucht” nell’ accezione di contemplazione estetica, dove “-drucht” indica il cumulo di percezioni e sensazioni che si imprimono nell’animo dell’osservatore come i caratteri tipografici su un foglio bianco, mentre “ein-” significa unico, poiché il soggetto osservatore nella presa di coscienza di ciò che lo circonda, tende ad attuare una sintesi di tutte queste moltiplici “impressioni”. Il territorio, osservabile, oggettivo e tangibile che appare ai nostri occhi è dunque mediato da un paesaggio interno dei sensi che ci sfugge, misterioso e nascosto, mutevole e sconosciuto e che segna nuovi percorsi imprevedibili e contraddittori ma che sono anche potenti segni capaci di disvelare un luogo e la sua vera storia. Il paesaggio naturale e culturale rimane indefinito fino a che la coscienza non lo trasforma in parole, immagini, racconti e rappresentazioni. Rappresentazioni che non solo danno visibilità al paesaggio, ma significato e senso all’esperienza della vita nel tempo e nello spazio. Ecco così che a particolari territori vengono attribuiti nomi, valori e significati più profondi che ne superano la mera descrizione fisica. Diventano, essi stessi, parte integrante del nostro mondo che percepiamo con i sensi, diventano parte di quella “densa descrizione esperienziale” derivante dal rapporto uomonatura che, agendo da catalizzatore, riesce a riorganizzare, rimontare, il tutto nella sua complessa unitarietà dando “il suo significato” ad un territorio.
INTERPRETAZIONE DEL TEMA: 4 PERSONAGGI RACCONTANO L’ABRUZZO
Per conoscere un territorio bisogna viverlo, ma per conoscerlo profondamente, forse, bisogna in fondo anche lasciarselo raccontare, dalle sue immagini, dai suoi suoni, dai suoi odori, dai suoi colori, dai suoi sapori, ma soprattutto dai suoi abitanti, depositari della memoria di un luogo, che esperiscono direttamente queste terre, e che sono parte integrante di esse. Abbiamo dunque pensato che potessero essere proprio gli abitanti dell’Abruzzo a raccontarci questa terra. Sono diventati gli attori protagonisti della nostra storia, della storia dell’Abruzzo. Un pastore, un serparo, un anziano abitante ed un guardiaboschi ci guidano nell’esplorazione dell’Abruzzo, in una chiave di lettura metaforica che li vede protagonisti nel tentativo di farci conoscere un territorio così peculiare. Queste quattro figure chiave diventano anche quattro icone volte a rappresentare quattro tematiche nodali, leitmotiv emersi nel percorso di ricerca fino ad ora condotto.
Con le loro voci, i loro volti o semplicemente come simboli ci aiutano a ricomporre il quadro sintetico, complessivo, di questa regione Secondo la definizione di paesaggio come impressione estetica fornitaci da Humboldt nell’ accezione di contemplazione estetica, che si origina da un cumulo di sensazioni per divenire un “ein”, una sintesi, anche questo book vuole tentare di proporsi come sintesi ragionata delle numerose informazioni e “impressioni” raccolte. I nostri quattro protagonisti introducono ai motivi ricorrenti nella nostra ricerca: il forte rapporto uomo-natura-terra, la pastorizia e la transumanza, le radicate credenze popolari e religiose, nonchè il senso di solitudine e di abbandono dei borghi abruzzesi. Portavoci di un profondo intangible heritage, un pastore, un serparo, un anziano abitante ed un guardiaboschi sono figure che ci aiutano a tuffarci nelle atmosfere di questo territorio e di ricomporre i frammenti, letterari, della stampa e del cinema, che lo hanno raccontato nel corso della storia.
CAPITOLO 1 il pastore
Il primo personaggio protagonista del nostro racconto è un pastore. Il pastore ci accompagnerà in un virtuale percorso tra i tratturi abruzzesi e l’attività pastorale ancora altamente praticata nella regione. Questa figura si è evoluta nel corso dei secoli, il tradizionale biscino, garzone locale addetto all’accompagnamento dei greggi, è stato recentemente sostituito da pastori immigrati di origine macedone. Ciò nonostante il pastore può essere assunto come chiave di lettura del territorio, delle sue abitudini, nonchè della sue risorse naturali. Questa attività è ancora praticata, ma fortemente in crisi a causa dei cambiamenti della abitudini degli abitanti che hanno lasciato gli aspri centri abitati montuosi in favore della pianura. Cambiamenti del mercato, delle abitudini alimentari, nuovi ritmi di vita sempre più accelerati hanno “abbandonato i pastori a se stessi” lungo le solitarie vie della transumanza. Tuttavia le pecore nella filiera produttiva abruzzese e soprattutto nei costumi locali rappresentano ancora una risorsa, un’eredità materiale e sociale da conservare. Diversamente da ora, nel passato, i pastori erano parte importante dell’economia. La pastorizia infatti è una delle più antiche professioni esistenti, nacque nell’Anatolia nel 4000 a.C. circa e si sviluppò solo in determinate zone. Nelle pianure e nelle valli dei fiumi era molto più conveniente far crescere il grano, perciò l’allevamento delle pecore si spostò in zone rocciose. Questo è ancora visibile lungo i pendii scoscesi dell’Appenino abruzzese.
A causa del rigido clima invernale di questi luoghi all’inizio della stagione fredda, cominciava un trasferimento delle greggi verso la pianura più calda. In estate al contrario si risaliva verso i monti in cerca di pascoli verdi e freschi. Questo trasferimento stagionale delle greggi, che avveniva a piedi per centinaia di chilometri, prende il nome di transumanza. In Italia questa antica usanza prese le mosse tra la zona dell’alto Tavoliere-Gargano e l’Abruzzo. Consisteva nel trasportare (transumare, appunto) gli animali dall’alto Tavoliere verso l’Abruzzo. Tutto ciò avveniva tramite dei sentieri detti tratturi. Il tratturo è un largo sentiero erboso, pietroso o in terra battuta, sempre a fondo naturale, originatosi dal passaggio e dal calpestio degli armenti. In Italia l’intrecciarsi di queste vie armentizie, stimato in 3.100 km, si rileva prevalentemente nei territori delle regioni centro-meridionali tra cui proprio l’Abruzzo. Le loro piste erano percorse nelle stagioni fredde in direzione sud, verso la Puglia, dove esisteva, presso la città di Foggia, la Dogana delle pecore. Con l’arrivo della ferrovia e della rete stradale asfaltata il trasferimento del bestiame è stato sempre più spesso compiuto con camion o furgoni ed i tratturi persero sempre più importanza perché i grossi armentari preferivano risparmiare sulla maggior quantità di manodopera occorrente per le transumanze a piedi. Alcuni tratturi sono giunti fino ai nostri giorni pressoché intatti e rappresentano una rete di vie, immerse nella natura, da ripercorrere e tutelare non solo da un punto di vista ambientale, ma anche come memoria collettiva.
ieri
oggi
domani
Tratturi
“ I percorsi che i pastori seguono nelle loro annuali migrazioni nell’Abruzzo e dall’Abruzzo sono costituiti da larghi tratti segnati sul terreno erboso, l’integrità dei quali è mantenuta con grande cura. Sotto il generico nome di tratturo delle pecore. ” [...] “ Uno dei larghi tratturi, o sentieri per bestiame, passa nella stessa linea della strada maestra per L’Aquila; fui fortunato perché la vidi occupata da una lunga fila di greggi, che passarono lentamente presso la mia carrozza per un miglio e più. La parola «fortunato», adatta per un tale spettacolo, può tuttavia suscitare un sorriso tra i miei lettori, ma confesso che mai vidi uno di questi numerosi gruppi di animali camminare lenti e affaticati attraverso le pianure della Capitanata e delle valli d’Abruzzo, a perdita d’occhio, senza provare un nuovo senso di eccitazione, quasi simile alla gioia, ma che non mi proverò a descrivere. “ [...]
capitolo 1_IL PASTORE
Viaggio in Abruzzo_La pastorizia abruzzese di Richard Kappel Craven_1831
“ Le pecore camminano in file di circa dodici ciascuna e ogni battaglione, se così può chiamarsi, è guardato da cinque o sei cani, secondo il suo numero; questi accompagnano la mandria, camminando in testa, al centro e dietro. La bellezza e docilità di questi cani, che sono di solito bianchi, è stata spesso descritta e il loro comportamento è buono fino a quando le pecore non vengono molestate, ma alla sera diventano così feroci, che sarebbe pericoloso avvicinarsi all’ovile che essi guardano. Le capre, che sono assai poche in proporzione alle pecore, e sono generalmente nere, chiudono la schiera e manifestano la loro superiore intelligenza mettendosi a giacere quando c’è una temporanea sosta. Le vacche e le cavalle viaggiano in gruppi separati. “ “ Un certo numero di queste greggi comunemente appartiene a un unico proprietario; sono sotto l’immediato governo e ispezione di un agente, detto fattore, che le accompagna stando a cavallo, armato di fucile e meglio vestito dei pastori, i quali, d’estate e d’inverno, vestono un giaccone di pelle di pecora e sono sotto altri rispetti provvisti di un discreto anche se semplice abbigliamento e di scarpe resistenti. “ [...]
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
capitolo 1_IL PASTORE
oggi
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Tratturi
Escursioni illustrate negli abruzzi_Viaggio illustrato in Italia di Edwar Lear_ottobre 1844
“ Moltissime terre tra gli Appennini e l’Adriatico sono intensamente coltivate e abbondano di vite, olivo ecc.; le terre più alte degli Abruzzi Primo e Secondo Ulteriore sono adibite principalmente a pascoli. A sud e ad est delle province, una larga zona, confinante con la Terra di Lavoro e con lo Stato Pontificio, è fittamente boscosa; ma la maggior parte del territorio abruzzese è estremamente spoglio. “ [...] “ Secondo Del Re, le greggi dell’Abruzzo Ulteriore Secondo contano settecentomila capi, di cui la maggior parte emigra annualmente nelle Puglie alla fine di settembre, attraverso i tre principali tratturi che hanno origine nelle vicinanze di Aquila, Celano e Pescasseroli; il ritorno avviene a maggio sulla stessa strada, dopo la tosatura. “ [...]
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
oggi
domani
“Questa gente di montagna, austera e cortese, non è espansiva come lo è il carattere che si attribuisce in genere agli italiani. Gli Abruzzesi, infatti, sono orgogliosi, diffidenti e poco inclini a parlare di se stessi, e non credono che un forestiero possa interessarsi a loro”...
capitolo 1_IL PASTORE
NEGLI ABRUZZI di Anne Macdnell, Chatto & Windus 1908
I pastori sono stati apostrofati con ogni brutto epiteto. Il contadino si prende gioco di loro per l’ ignoranza e la rozzezza , nonché per il loro paganesimo. Sono molti i canti in cui i pastori vengono disprezzati. Uno dice: Ru pecurare, quanne va alla messa, Dice a ru sacrestane: "Qual è Cristo?". Quanne ce arriva 'mbaccia a l'acqua sanda: "Che bella coppa pe magnà lu latte!". Quanne ce arriva 'mbaccia a gli altare: "Che bella preta pe pestà lu sale!". Quanne ce arriva dent'a la sacrastia: "Che belle capemandre che saría!". (Anonimo)
“Sulle alture si trova un pascolo eccellente; è stato il destino, dunque, a fare degli Abruzzesi un popolo di allevatori. I pastori abruzzesi, che costituiscono una larga fetta della popolazione, reclamano una speciale attenzione. Essi vivono completamente isolati dalla gente di campagna ”...
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
oggi
domani Maiella
capitolo 1_IL PASTORE
Ostaggi dello stupratore killer di Giuseppe Caporale, La Repubblica 21 agosto 1997
Terrore sui monti della Maiella. Tre ragazze venete in mano a uno stupratore-killer armato di pistola. L’ incontro con un “mostro” nel parco che ha trasformato la loro gita nell’ Abruzzo in un incubo. Quella montagna, poco frequentata se non da scout e appassionati, immersa nel silenzio, è stata “complice” di un’ efferata violenza. Il monte adesso è un “rifugio” per il mostro, che sa muoversi meglio di carabinieri e polizia tra quei boschi che sono la sua casa. Dalle ultime notizie si è appreso che due pastori macedoni, probabilmente armati, sono stati interrogati dai carabinieri, ma ancora non escono fuori elementi utili alle indagini La Maiella, la montagana ‘sacra’ per gli abruzzesi, da pochi mesi è stata trasformata in parco nazionale. Quest’ angolo ancora incontaminato e selvaggio, nasconde però molte insidie naturali: gole e rocce che non permettono percorsi agevoli ad un qualunque visitatore non allenato [...]
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
oggi
domani
Tratturi
«Se non mi fanno partire», sibila furibondo Francesco Schiavone, quattromila pecore, 800 bovini e 250 cavalli da accudire giorno e notte, «porterò gli animali sotto il Comune. Qui, tra qualche mese diventa l’ inferno. Caldo insopportabile, acqua con il contagocce, terreno arido e niente erba. Prima la storia della mucca pazza, poi l’ afta, adesso lo spettro della lingua blu. No, così non si può andare avanti: il mio gregge deve andare in montagna, in Abruzzo, sul Gran Sasso». L’ emergenza Bse e l’ incubo dell’ afta epizootica non colpiscono solo le nostre abitudini alimentari. Alterano equilibri economici e finanziari, condizionano le strategie territoriali, sconvolgono tradizioni millenarie. Così, davanti al blocco decretato dal governo e applicato dalle Regioni, ci sono centinaia di pastori che si trovano a fare i conti con una realtà mai affrontata prima. Parliamo del rito della transumanza, quel viaggio, un tempo affrontato a piedi, oggi con treni e camion, che due volte l’ anno vedeva i pastori emigrare dalla pianura verso gli altipiani. Una tradizione che si ripete in Spagna, nella Murcia, e in Italia, dalla Puglia verso l’ Abruzzo e viceversa. Oggi gli ultimi transumanti sono un centinaio.
capitolo 1_IL PASTORE
NERE Niente rito Documentario_PECORE della transumanza.Così il nostro gregge muore di Daniele Mastrogiacomo, La Repubblica 16 maggio 2001
Ma due secoli fa erano tremila. Il loro calendario era scandito da due date precise: il primo maggio e il primo ottobre. «Lì, verso il Gran Sasso», ricorda Saverio Russo, docente di Storia moderna all’ università di Bari, «trovavano l’ aria buona e l’ erba fresca. Quella che era una tradizione, imposta da esigenze climatiche, divenne un obbligo. E poi, la lana aveva un suo mercato che favoriva la pastorizia e quindi gli allevamenti». Le statistiche affidate ai libri di storia, spiegano che tra il 1600 e il 1700 ben un milione e mezzo di capi faceva ogni anno la spola tra l’ Abruzzo e la Puglia. Tra crisi e nuovi sviluppi, il rito si tramanda di padre in figlio fino al lento declino segnato con la trasformazione delle colture e il definitivo colpo di grazia con la bonifica del Tavoliere. Si costruiscono le prime ferrovie, nasce l’ automobile, arrivano i camion, quelli scoperti, con le transenne ai lati dove si ammassano pecore e capre. Cambia la tradizione, la transumanza perde i suoi simboli fatti di lunghe camminate attraverso il «Regio tratturi», le soste nei casali dei contadini, i racconti attorno al fuoco, i dazi pagati con sale, pelli, carne e lana grezza.
«Nel 1950», ricorda il professor Russo, «la transumanza interessava solo 60 mila capi. Dieci anni più tardi, un geografo francese li ridusse a 30 mila. Adesso, credo che saranno al massimo 10 mila». Ma sono proprio questa trentina di pastori, veri imprenditori dell’ allevamento, a sentire il peso di un blocco che non capiscono e sono costretti a subire. La lana non è più la fonte primaria del guadagno. Oggi, avere un gregge significa vendere carne e latte. «Ma per fare buon latte e mantenere inalterato il gusto della carne», spiega Antonio Sulli, transumante di Castel del Monte, in provincia dell’ Aquila, che durante l’ inverno scende in Puglia, «gli animali devono vivere nell’ ambiente giusto. Sugli altipiani abruzzesi, tra dicembre e marzo, si raggiungono temperature polari. Non c’ è un filo d’ erba, i pascoli sono pieni di neve. Per noi, la maledizione, la vera jattura non arriva dalle malattie degli animali. Ci siamo abituati e sappiamo come combatterle. I veri guai li provoca la burocrazia. Incomprensibile, contraddittoria: una pastoia di leggi e decreti che ti imbriglia e non ti indica soluzioni. Loro non sanno neanche cos’ è la transumanza.
capitolo 1_IL PASTORE
Teramo
ieri
oggi
domani
Sono centinaia i serbi, macedoni, sloveni che si si isolano per mesi sui pascoli dell’Aquilano o nelle piane del Tavoliere, se le greggi praticano la transumanza- “ In fondo è grazie a loro se la pastorizia torna ad essere un’attività che rende”- I clandestini lavorano il doppio dei locali, guadagnano la metà e altri arrivano dal Portogallo. Alle cinque in punto Slatko Vujkaic, trentotto anni, smette di dormire. Non ha bisogno di sveglia, a scuoterlo sono i tempi di una specie di orologio animale misurato sui ritmi del gregge. Niente toilette tanto nel rifugio si dorme vestiti. Bisogna aprire gli stazzi e portar fuori le pecore quando i prati sono ancora ghiacciati, raggiungere i pascoli mentre la brina comincia a sciogliersi.
capitolo 1_IL PASTORE
TERRA Documentario_PECORE VERGINE NERE Slatko, pastore d’abruzzo di G. L , La Stampa, 5 aprile 2002
Ancora pochi giorni e poi la neve sul Gran Sasso si farà abbondante, allora bisognerà scendere per le piccole valli, sempre più giù inseguendo le ultime pasture fino ai ricoveri invernali. I pastori d’Abruzzo ormai lanciano richiami in serbo macedone, sloveno. Arrivano in Italia con l’etichetta di turisti o studenti, trovano un mercato sempre più affamato di braccia, dovranno lavorare qualche mese solitamente “in nero”, poi ripartono, si fanno sostituire da parenti, amici, poi ritornano. La pecora dicono nell’Aquilano, “vale quanto costa”, ogni anno fra latte, agnelli, lana, ripaga l’allevatore, e così per otto, nove stagioni almeno. Ma perchè questo prodigio economico si rinnovi occorre che qualcuno segua le greggi, che abbandoni ogni consuetudine per calarsi in un mestiero antico, isolarsi mesi in montagna o nelle piane del Tavoliere , le greggi praticano la transumanza in cerca di prati verdi e «appetitosi» da brucare. In Abruzzo non c’è più un solo giovane che sarebbe disposto a tanto, ma a nord del terzo mondo c’è sempre chi è pronto a subentrare agli altri nelle attività più dure. Nelle terre di immigrazione l’esercito degli immigrati continua a ingrossarsi.
L’Abruzzo accoglie questa corrente di immigrazione “specializzata” con autentico sollievo. Sarà perchè gli slavi non sono ancora tanto da porre problemi di integrazione, sarà perchè hanno salvato quello che altrimenti sarbbe scomparso. “Clandestini sì, ma benedetti”. Se gli slavi non fossero arrivati molte aziende, soprattutto quelle familiari avrebbeo chiuso. Nella provincia si allevano ancora 180 mila capi, per i propriatari seguire le greggi senza l’aiuto dei pecorari non sarebbe stato possibile. In Jugoslavia la pastorizia ha ancora forti tradizioni , era gente che ci sapeva fare. All’inizio se ne vedevano pochi, anche perchè non è un lavoro che faciliti i contatti con la gente. Poi la voce si è sparsa, gli arrivi si sono fatti più massicci. Quanti sono adesso? Forse qualche decina, ma bisognerebbe verificare azienda per azienda nella provincia di Teramo, Chieti e a Sulmona. Imprese ardua perchè i lavoratori clandestini non hanno alcun interesse a farsi contare, si procede a campione una stima possibile. In giro si vedono poco: sono tranquilli, riservati, non riescono a incontrarsi molto nemmeno fra di loro. La gente li rispetta, in fondo li apprezza, è grazie a loro che la pastorizia torna ad essere un’attivitàredditizia. La pecora “sopravvissana”, la più diffusa in Abruzzo, piccola, resistente, rende al lordo circa 150 mila lire l’anno, circa 50 miliardi per la regione. E se gli salvi un giorno dovessero andar via? Si sta scoprendo che i pastori possono arrivare anche dal Portogallo.
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
capitolo 1_IL PASTORE
oggi
domani
Documentario_PECORE VERGINE NERE ITERRA bianchi cani d’ Abruzzo di D. M , Abruzzo, Airone,5 aprile 2002
Sono esistiti dei ragazzini, nemmeno tanto tempo fa, cha hanno rappresentato la parte mancante di una cane. Quei ragazzini erano detti i Biscini, abitavano l’Abruzzo e, se faccio bene i conti, molti di loro sono ancora vivi, forsi alcuni nemmeno tanto vecchi. Non sono un esperto di uomini, sono pìù esperto in fatto di cani, e i biscini li ho scoperti occupandomi proprio di un cane, il bianco e lanoso cane da pecora d’Abruzzo, oggi divenuto razza pura, chiamato pastore maremmano. Quel cane una volta era rozzo, non era nemmeno tutto bianco e accompagnava le sterminate compagnie di pecore nel viaggio interminabile dal tratturo al piano.
Occorre sapere che il cane d’Abruzzo si differenzi da tante altre razze di cani d a pastore per non avere evoluto la tendenza a guidare il gregge, sa far compiere alle pecore compatte ogni tipo di tragitto. Le pecore d’Abruzzo dovevano spostarsi, c’era la transumanza che giungeva fino a quell’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti. C’era la transumanza e c’erano i biscini, il manziero , un montone castrato posto a capo di tutte le pecore. I biscini erano ragazzetti, apprendisti pastori che avevano il compito di radunare le pecore ritardatarie. I cani da pastore abruzzesi hanno potuto specializzarsi nell’opera di difesa del gregge dalle minacce dei lupi, perchè per la conduzione delle pecore c’erano quei ragazzini. In quel buon tempo antico che sembra buono perchè non esiste più i ragazzini avevano la possibilità di un’autonoma esplorazione della natura, all’autentica conoscenza dell’ambiente, oggi le pecore si spostano soprattutto con i camion e i tratturi stanno scomparendo.
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
oggi
domani Anversa degli Abruzzi
capitolo 1_IL PASTORE
Alla scoperta della Fattoria Italia contadini o pastori a distanza di Maria R.Sannino, La Repubblica 16 febbraio 2003
Diventare contadini a distanza oggi si può, adottando pecore, vigneti e intere fattorie con la coltivazione di prodotti locali, soprattutto quelli a rischio estinzione. Secondo una recente denuncia di Legambiente, molte produzioni sono a rischio e perché non fare qualcosa per scongiurare questa triste possibilità? Due specie di animali su tre sono a rischio estinzione. L’adozione di queste «specie» potrà rappresentare un concreto aiuto ai pochi contadini rimasti». E così bastano 180 euro all’ anno e si può fare concretamente qualcosa contro l’ abbandono della montagna e il rischio di vedere intere produzioni scomparire. «Adottare una pecora spiega Nunzio Marcelli, primo ideatore di questa iniziativa, laureato in Economia e Commercio, ora imprenditore agricolo in Anversa degli Abruzzi, riavvicina persone attente e sensibili al mondo pastorale, ai suoi valori, ai suoi gesti umili e rituali, offrendo in cambio prodotti certificati e perfino la possibilità di controllare fasi e tecniche d’ allevamento, di trasformazione, sia direttamente sul posto o attraverso internet. Il contributo richiesto è solo un capitale di anticipazione che verrà restituito coi frutti del pascolo».[...]
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
oggi
domani Anversa degli Abruzzi
DAL NOSTRO INVIATO ANVERSA DEGLI ABRUZZI (L’ Aquila) - La strada sale a tornanti stretti verso le vette, inerpicandosi alta sul fondovalle del Sagittario, dove i primi colori di un tardo autunno macchiano di giallo e rosso il bosco. Ad Est, sulle vette della Maiella, c’è già la neve. L’aria è fredda e tersa ma Nunzio, vestito appena di un grosso maglione, non se ne cura: sta seguendo le sue 1.300 pecore che, dopo l’ultimo pascolo in quota (sul Genzana) sono tornate a valle. Una piccola transumanza. Nell’agritursimo La Porta dei Parchi, a 700 metri, fervono i preparativi per l’inverno: rito che assume un significato particolare in questa azienda agro-zootecnica la cui fama ha valicato l’Atlantico.
capitolo 1_IL PASTORE
«Tutto è cominciato negli Anni ‘70 - racconta Nunzio Marcelli, cinquantenne, una laurea in economia e un passato recente al ministero dell’Agricoltura, prima di tornare all’azienda dei genitori - per “colpa” di Manuela che mi ha assecondato in una scommessa impossibile: far rivivere questa montagna». Lei, toscana, agronomo, sorride e replica allo scherzo: «Era destino, due folli che han speso energie in atenei diversi, per laurearsi con tesi sulle pecore, presto o tardi si dovevano incontrare». Nell’82, quando l’azienda era un sogno, Manuela Cozzi venne in Abruzzo per una ricerca sulle piante medicinali. «Ma la mia passione erano le pecore e fin dall’ inizio riuscimmo a coniugare la tradizione secolare della transumanza». Dallo studio dei pascoli, «che in un metro quadrato offrono una biodiversità unica in Europa, oltre 100 fioriture diverse», Nunzio e Manuela sono passati all’impiego delle piante aromatiche nella trasformazio ne dei pecorini e della ricotta al ginepro.
Ridiamo vita ai pascoli con le pecore adottive di Luca Zanini, Corriere della sera, 14 novembre 2004
Pascoli traditi da anni sono tornati a vivere. E non solo grazie ai formaggi. La nascita del loro «bioagriturismo» ha portato nuovo valore ai prodotti, facendoli conoscere ai turisti (20 mila visitatori l’anno!) e quindi ai consumatori delle città. I corsi di avvicinamento alla zootecnia per adulti e bambini hanno contribuito a formare una nuova clientela, più consapevole. Poi, quattro anni fa, il boom, grazie ad un’idea che ha portato la foto di Manuela sui giornali di mezzo mondo. Didascalia: «La signora delle pecore». È nata quasi per caso la grande avventura delle pecore adottive: «L’azienda era ben avviata, ma il mancato sviluppo dell’area rischiava di travolgere anche la nostra realtà - ricorda Nunzio -. Ci salvò l’idea di sfruttare internet come mezzo per raggiungere direttamente la clientela». La proposta: condividere oneri ed onori di un mestiere difficile, anticipando le spese di sostentamento del gregge per poi raccoglierne i frutti: lana, formaggi, carne (per i vegetariani la chance di ricevere invece più maglioni e caciotte). La notizia del progetto «Adotta una pecora, difendi la natura» si sparse in un lampo: «La risposta fu esaltante - ricorda Manuela - 600 testate giornalistiche (dal New York Times a Le Figaro), 80 emittenti televisive (dalla CNN alla BBC) si sono occupate del nostro caso. In quattro anni migliaia di contatti, adozioni dall’Australia al Canada, agli Usa». Oggi ci sono 1.112 ovini «adottati» e i «genitori» partecipano attivamente alla vita dell’azienda: «Chi viene per la tosatura, chi per imparare a fare il formaggio, chi per portare al pascolo la propria beniamina o affrontare al suo fianco la transumanza, chi per assistere alla nascita del... nipotino».
Nunzio e Manuela hanno vinto la loro scommessa. Grazie alle «adozioni a distanza» di ovini, oggi un territorio rurale a lungo afflitto da emigrazione e spopolamento è rivitalizzato. La coppia sta estendendo le adozioni ad altri allevatori, come Gregorio Rotolo a Scanno. Sulla scia del loro successo, è nata un’associazione regionale con 170 produttori ovicaprini e 35.000 capi di bestiame. Poi il Consorzio di Produttori Biologici «Parco Produce» che commercializza le tipicità locali. Tutto per garantire prodotti sani, genuini, nel rispetto della tradizione e della sostenibilità per l’ambiente. Una pastorizia «di frontiera», aiutata da internet eppure ancora impegnativa. Una fatica collettiva che combatte l’abbandono e il degrado di un territorio unico. Una valle che rischiava lo spopolamento è stata salvata da un’azienda oggi conosciuta dall’Australia al Canada. Abbiamo ben 1.112 ovini con «genitori» che vengono quassù a seguire la tosatura, a imparare come si fa il formaggio, a veder nascere i «nipotini». Ricetta dei briganti per un formaggio da premio. L’ultimo nato è il «Brigantaccio» un pecorino prodotto con la ricetta che si dice fosse dei briganti d’Abruzzo: invecchiato in orci sottovuoto, avvolto in crusca. La più richiesta è la ricotta affumicata al ginepro, medaglia d’oro a livello europeo fra i formaggi biologici di montagna. Il bioagriturismo La Porta dei Parchi è un’azienda che ha fatto fortuna anche grazie al suo caseificio. Fa parte dell’ «Associazione Formaggi sotto il cielo» che ha dimostrato la superiorità del latte da pascolo, grazie alla ricchezza di piante aromatiche che le pecore mangiano quassù.
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
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domani
Tratturi
C’è anche il sistema degli antichi tratturi, allungato fra Puglia Abruzzo, Molise, Campania, tra le bellezze naturali che aspirano a entrare nell’ elenco dei siti protetti dall’ Unesco. [...] Il sistema dei tratturi, destinato oggi al cammino dell’ uomo e a passeggiate a cavallo, è complesso e avrebbe bisogno di manutenzione accorta e delicata da affidare magari a gruppi di giovani o agli istituti tecnici agrari. Ai fini di una reale valorizzazione dei tratturi sarebbe fondamentale un coordinamento fra Stato, Regioni e Comuni in un quadro di valenza turistica. Ancora oggi, nonostante il declino della transumanza tradizionale e l’ inesorabile degrado, gli antichi tratturi, testimoniano uno dei caratteri più radicati del territorio. Le vie della transumanza hanno segnato per secoli larga parte del Centro-sud,
capitolo 1_IL PASTORE
Anche i tratturi diventino patrimonio dell’umanità di Titti Tummino, La Repubblica 6 settembre 2005
incorporandosi al paesaggio e al contesto territoriale in modo inestricabile, determinando i caratteri profondi di un’ identità mediterranea dei luoghi, producendo una grandiosa rete di varia ampiezza (tratturi, tratturelli, bracci), di manufatti annessi (poste, masserie di pecore, mungituri, iazzi) di infrastrutture (ponti, guadi, viabilità di raccordo). Di questo imponente sistema, che coincide per molti tratti con le vie romane, prima fra tutte l’ Appia traiana, l’ Archivio di Stato di Foggia conserva un’ imponente documentazione: un preziosissimo archivio, utile non solo a tramandare la memoria, ma anche a favorire gli interventi di riqualificazione. Al di là di quanto farà l’ Unesco, ci vuole una tutela della memoria e del territorio: si spera che i tratturi, “in quanto monumenti della storia economica e sociale del territorio”vengano davvero tutelati.
capitolo 1_IL PASTORE
ieri
oggi
domani Avezzano
Domenico Alonzi rientra ogni sera dal pascolo con 120 capre, due cani abruzzesi, la moglie e i tre figli. Sono ragazzini svegli e allegri e lo seguono per chilometri portandosi dietro i libri di scuola, sempre con un occhio alla montagna dove passano i lupi. L’ ovile è la solitaria reception di un campeggio abbandonato, concesso solo per qualche mese dal municipio di Collelongo. Ma lo stesso il rientro del gregge è una festa grande. Il gigante buono adora quel lavoro. Ma ora è pieno d’ amarezza. I lupi gli hanno scannato quaranta bestie. Quattro cani gli sono stati avvelenati. I pubblici veterinari, pochi e mal pagati, arrivano quando possono. Non parliamo del risarcimento per l’ ecatombe: una corsa a ostacoli. Ma il peggio è che i sensali non passano, non prenotano più i capretti pasquali. I macellai non chiedono più carne locale. La gente corre al supermercato e compra agnello straniero.« Nun ce stà commercio-brontola-e se nun ce sta commercio, nun vale la pena lavorà». Ma come? La pastorizia non è il futuro, la salvaguardia delle terre marginali e il rilancio della spesa a chilometro zero? Non affonda nella storia millenaria della nazione? «Allevamento, allevamento, allevamento!» ripeteva duemila anni fa il vecchio Catone a chi chiedeva quale fosse il miglior affare del Centro-Sud.
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La battaglia degli Documentario_PECORE ultimi pastori. Questo NERE paese non ci vuole più di Paolo R.Collelongo, La Repubblica 23 aprile 2008
Lo diceva tre volte perché il guadagno era immenso, l’ investimento minimo e l’ autosufficienza del territorio garantita. Il Pil italico stava in Appennino, a mille metri di quota, e non si contava in azioni ma in pecore. I pastori d’ Abruzzo tornavano dalle fiere pugliesi con mule cariche d’ oro, sacchi tintinnanti che seppellivano nelle fondamenta di palazzi monumentali. Ogni chiesa, ogni capitello, ogni portale di quelle valli son cresciuti su montagne di lana. Dalla Garfagnana all’ Aspromonte l’ Italia grondava latte, era un immenso belato. «Settembre andiamo, è tempo di migrare», scriveva solo un secolo fa Gabriele d’ Annunzio. Anche oggi è tempo di andare, ma per sempre. In trent’ anni il numero di capi e di aziende è crollato dell’ ottanta per cento, mentre quello dei funzionari che si occupano di agricoltura e allevamento continua ad aumentare. Domenico mostra l’ombra di una montagna nella notte: «Jannarumma si chiama. Il branco è sempre lì che segue ogni mossa delle mie bestie. Quella sera è arrivato in silenzio, ha spinto verso l’ altro una parte del gregge e in pochi minuti ha fatto un macello. Ma il bello è venuto dopo. Ho chiamato la Forestale, mi hanno risposto che non era loro competenza.
Ho chiamato la Polizia provinciale, mi hanno detto di portare lì tutte le quaranta carcasse. Ho chiamato l’ Asl di Avezzano, ma avevano un veterinario solo e non sono venuti». E allora? «Allora sono arrivati i guardiaparco, ma dopo venti giorni, così ho dovuto chiamare un veterinario privato perché mi facesse la relazione. Oggi la domanda di risarcimento è alla Provincia e non ne so più niente».[...] Ecco come l’ Appennino rinnega i suoi figli e la sua storia pastorale. Il pastore è visto come un peso, un nomade extracomunitario cui non si vuol dare possibilità di accampare diritti sul territorio. E così, mentre si denunciano gli allevatori per pascolo abusivo, nessuno interviencontro il cemento illegale che ricopre i tratturi protetti da una legge di Stato [..] «Eravamo un popolo di pastori e oggi siamo un popolo di funzionari, portieri e bidelli che rinnegano il loro passato. Gente che ci guarda con sufficienza e corre a comprare insipida carne straniera sui banconi luccicanti dei supermercati. Vedono la natura con ostilità. Pensano che siamo ignoranti. Ecco il risultato dell’ abbandono. L’ Italia è diventata terra di cinghiali. Una colonia della grande distribuzione. Dopo migliaia di anni le greggi spariscono dal paesaggio italiano».
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I sentieri del Terminillo per l’antica transumanza di De Leo Carlotta, 17 maggio 2009, Corriere della Sera
Pastori e greggi partono oggi alla ricerca di pascoli migliori. Appuntamento per gli appassionati al rifugio Sebastiani. I sentieri del Terminillo per l’antica transumanza L’ eterno migrare di greggi e pastori alla ricerca dei pascoli migliori. D’estate, la lenta risalita dalle valli alle alture. D’autunno, la ripida discesa dai picchi per sfuggire ai primi freddi. È la transumanza, il rituale antico e emozionante che si ripete di anno in anno con la stessa suggestione. È proprio questa l’atmosfera che rivivrà oggi al rifugio Sebastiani sul monte Terminillo, in occasione della sesta edizione della «Festa della Transumanza» promossa dalla Coldiretti di Rieti. Il lungo tragitto delle greggi, che anticamente andava dalla pianura romana - la zona di Castel di Guido - fino al Monte Terminillo rivive, quindi, in una sola giornata. Un’occasione unica per uscire dalla città ed entrare in una dimensione bucolica e poetica al tempo stesso. Protagoniste, le pecore di razza sarda e sopravissana - le più diffuse nella zona - che scaleranno il Terminillo fino ai 1.850 metri dove i prati sono più verdi e «appetitosi» da brucare.
La loro scalata sarà accompagnata da musica folcloristika, giochi e piatti locali che potranno essere gustati per tutta la giornata. Il menù è, ovviamemente, a base di pecora: tra i formaggi tipici non può mancare l’antico pecorino romano e le sue moderne varianti, al tartufo e al pepe. La vera specialità, però, è quella degli antichi pastori transumanti: la pecora «a lu cotturu», bollita per più di dodici ore. L’atmosfera della transumanza ha avuto e ha oggi grandi estimatori. Persino il Vate ne era affascinato e un po’ invidioso. «Settembre, andiamo: è tempo di migrare» Con queste parole Gabriele D’Annunzio esortava i pastori della sua terra, l’Abruzzo, a lasciare i pascoli d’altura per rifugiarsi a valle. «Ah perché non son io co’ miei pastori» era l’ultimo, commosso verso della poesia «I pastori». Le origini della transumanza sono remote, ma precise. Numerosi autori preromani del II e I secolo prima di Cristo, infatti, ne hanno lasciato dettagliate testimonianze: l’usanza era diffusa specialmente fra la Sabina, il Sannio, la Lucania e l’Apulia. Il primo grande esperto di transumanza è Terenzio Varrone, nel suo trattato «De Rustica» del I secolo prima di Cristo, la pratica della transumanza sopravvive anche in età imperiale, ma lentamente con il passare degli anni e dei secoli, si avvia al declino. Fu il re Alfonso d’Aragona nel 1447 a dare di nuovo slancio all’antica migrazione delle greggi, emanando la «prammatica della Dogana Menae Pecudum Apuliae» che imponeva precisi periodi per la transumanza. Per secoli essa ha rappresentato per il centro-sud dell’Italia un’importante attività economica. Insieme alle greggi, oggi come ieri, si sposta anche il sapere, la cultura e la poesia, di generazione in generazione.
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Dall’orto alla tavola ora la spesa si fa dal contadino di Jenner Melett, 26 giugno 2009, La Repubblica
Dice subito che bisogna stare attenti agli «effetti collaterali». «Il prodotto dà assuefazione. Una volta assaggiato, non puoi più farne a meno. E c’ è anche pericolo di contagio: gli amici che vengono a cena chiedono dove hai trovato cibi così buoni». Nessun allarme. Di stupefacente, in questa storia, c’ è «il sapore delle fragole, c’è il profumo di zucchine, peperoni, melanzane. «C’è la voglia dice Antonella Prisco di raccontare agli altri che ci sono ancora prodotti della terra che sanno di buono. Mangi un pomodoro che sa di pomodoro». [...] Comprando dal produttore, si può conoscere la storia di ciò che si mangia.[...] Chi ama la carne può “adottare” una pecora o un maiale. Con 120 euro all’ anno mantieni la tua pecora all’ azienda Tuminello di Anversa degli Abruzzi (in cambio arriveranno a casa un agnello, formaggi e ricotte) mentre per il porco spendi 45 euro al mese e quando peserà 2 quintali verrà trasformato in prosciutti e salami.[...]
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“Il pastore cerca sempre di convincere il gregge che gli interessi del bestiame e i suoi sono gli stessi” (Stendhal). Mille ovini di razza gentile, trecento bufale, cinquanta cavalli. «Così abbiamo resistito alla facile politica del pomodoro» La sfida dei fratelli Carrino: la tradizione contro l’ illusione dell’ «oro rosso» La rinuncia - “Non abbiamo lasciato i nostri pascoli per coltivare ortaggi «da industria», non abbiamo piegato la testa davanti a chi ci chiedeva una lana più grossolana.”-. Il progetto Solo: lo scorso anno il ministero ha pensato di creare una serie di «itinerari tratturali» e di far accogliere quest’ area tra i patrimoni dell’ umanità dell’ Unesco.
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Non c’è nessuno che possa dire di non aver mai, almeno una volta, sbuffato di noia appena il professore a scuola intonava «Settembre, andiamo. È tempo di migrare», l’ incipit della famosa poesia “I miei pastori”, di Gabriele d’ Annunzio. L’ irredentista, il fascista d’ Annunzio. Una poesia che, tolta dalla scuola, diventa invece subito bellissima, vera, alta, attuale e persino rivolta al futuro. «Ora in terra d’ Abruzzo i miei pastori... vanno pel tratturo antico al piano». Quei pastori non ci sono quasi più, ormai. In tutta l’ Italia centro-meridionale ne sono sopravvissuti, proprio come «gli ultimi dei Mohicani», una ventina. Quattro o cinque famiglie. Ma i tratturi ci sono ancora. Sono «antichi», perché quasi sempre coincidono con le grandi vie romane, e sono quell’ «erba al fiume silente» (ancora d’ Annunzio) che a settembre - dai monti alla pianura - e a maggio - in senso inverso - per le greggi in transumanza erano strada ed erano pascolo. I pastori non ci sono più non soltanto perché non è più possibile praticare la transumanza di una volta, quella, faticosissima, che durava due o tre settimane. Ma anche perché li hanno uccisi un po’ alla volta, oggi, èra dei nuovi idoli artificiali: bestiame, carni, latte senza alcuna identità.
Alla dogana delle pecore di Vulpio Carlo, 14 MARZO 2010, Corriere della sera
Gli altri piegavano la testa di fronte alle imposizioni del mercato e vendevano la lana a prezzi stracciati - sessanta centesimi al chilo, quando tosare una pecora costa quasi tre euro. Ma è bastato questo per imporre alla attenzione di tutti un tema politico, economico, storico e ambientale in un colpo solo. I tratturi, infatti, sono un luogo che è ancora vivo e per questo non va «salvato» incartandolo come un reperto o, al contrario, falsamente «riqualificato» con la costruzione selvaggia di orribili capannoni. Ma può rinascere, se si recuperano le bellissime masserie e le osterie che fungevano da «poste» di sosta lungo i percorsi. E se si recupera la memoria di un’ antichissima istituzione amministrativa e fiscale, introdotta dal re Alfonso d’ Aragona nel 1447 per una più razionale organizzazione e gestione della terra: la Dogana delle pecore. «È questa la strada per valorizzare le aree interne, il cosiddetto “osso” della nostra Penisola, che subisce un continuo processo di spopolamento, una vera e propria desertificazione umana» dice Saverio Russo, docente di Storia moderna all’ Università di Foggia. «Questo è l’ approccio giusto anche per promuovere una cultura alimentare seria - dice Agostino Sevi, preside della facoltà di Agraria -, basata su prodotti di “tracciabilità certa”, come per esempio potrebbero essere i “prodotti del tratturo”.
L’ Italia se n’ è accorta un po’ tardi, ma l’ idea di un «itinerario tratturale» che al ministero dei Beni culturali è venuta soltanto nel 2009, è una bella idea. Non solo perché avvalora percorsi turistici diversi (bicicletta, moto, trekking), ma anche perché «aiuta» il progetto di quattro regioni del Sud - Abruzzo, Molise, Puglia e Campania - a far accogliere dall’ Unesco «i tratturi e la civiltà della transumanza» nel patrimonio dell’ umanità. In Italia si calcola che i tratturi coprano attualmente un’ estensione pari a circa 3.100 chilometri, divisi principalmente tra Abruzzo, Molise, Umbria, Basilicata, Campania e Puglia, le regioni in cui la transumanza (da trans-humus, cioè «di là da» e «terra») conobbe la sua affermazione più originale. In letteratura e arte non è stato solo d’ Annunzio a parlare di tratturi. Tra i classici anche Varrone, nel I secolo a.C., nel suo «De re rustica» (in cui si parla dei pastori sabelli). E ancora, Virgilio e Plinio il Giovane. Da ricordare, infine, anche un gruppo di pittori abruzzesi che tra Otto e Novecento rappresentarono scene di vita pastorale: nel tondo «Il suono e il sonno» di Basilio Cascella (1894). «Tratturo» deriva dal latino «trahere», che vuol dire trascinare, tirare. La parola «tratturo» comparve durante gli ultimi secoli dell’ Impero romano come deformazione del termine latino «tractoria», che nei Codici di Teodosio (401-460) e di Giustiniano (482-565) designava il privilegio dell’ uso gratuito del suolo dello Stato, di cui beneficiavano i funzionari e che venne esteso ai pastori della transumanza per l’ uso delle vie pubbliche. Nei dialetti abruzzese e pugliese, dalla seconda metà del XVII secolo, si afferma la parola «tratturë». In siciliano queste «vie» sono chiamate «trazzere».
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Tratturi
Documentario_TRANSUMANTE di Donatello Conti e Silvia Negrato_ITALIA 2008
SINOSSI: Il progetto TRANSUMANTE nasce per riscoprire alcune delle tradizioni che ruotano intorno alla transumanza, un fenomeno che ha visto la regione Abruzzo protagonista, negli anni settanta e buona parte degli ottanta. Il documentario ha lo scopo di raccogliere e conservare testimonianze su questo fenomeno socio-culturale, riscoprendo alcune fi gure chiave che lo hanno vissuto e raccontato come parte fondamentale della cultura abruzzese e della propria vita.
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Documentario_PECORE NERE di Luca Merloni_ITALIA 2008
SINOSSI: Un breve viaggio alla scoperta di come sia cambiato il mestiere di pastore in Abruzzo, in particolare con l’arrivo di pastori dell’est Europa, e di come si stia avviando verso un futuro di poche speranze.
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CAPITOLO 2 il guardiaboschi
Il secondo personaggio del nostro racconto è un guardiaboschi, custode del parco Nazionale d’Abruzzo e della sua natura incontamninata. Nell’immaginario collettivo la figura del guardiaboschi o guardiaparco è legata a lunghe camminate nei boschi, all’osservazione silenziosa della fauna selvatica, uno specialista al servizio della conservazione delle aree protette e della natura. Natura di cui questo personaggio si fa bandiera, una natura leopardiana che compare come tratto distintivo del territorio nelle narrazioni locali medievali come nella cronaca attuale. Significativo che solo due Parchi nazionali (Gran Paradiso e Abruzzo,) italiani vantino uno storico servizio di vigilanza proprio. La professione del Guardiaparco vede la sua prima apparizione in Italia nel lontano 1923 proprio in coincidenza con la nascita del Parco Nazionale d’Abruzzo. La figura del guardaboschi in particolare, è un’antico mestiere legato alla tutela dei boschi al fine di evitare i furti di legname e in esso trova le sue radici la moderna guardia del parco. Il nostro guardiaboschi porta con sè l’immagine del bosco, della terra e delle risorse naturali così ampiamente diffuse sul territorio. L’Abruzzo vanta infatti un primato: il 33% del territorio è rappresentato da parchi naturali ed aree protette. E’ la regione più verde d’Italia. La natura, vi fa dunque da padrona: nell’Abruzzo montano sono situati i quattro Parchi : lo storico Parco d’Abruzzo, Lazio e Molise, istituito nel 1923, quelli del Gran Sasso-Laga e della Majella, istituiti più di recente; un Parco Regionale: il Sirente-Velino e le oltre 30 Riserve della regione, per cui quasi metà del territorio montano abruzzese è natura protetta.
L’Abruzzo può essere dunque cosiderato come una sorta di antologia del paesaggio euro-mediterraneo, poiché concentra entro i propri confini una varietà di ambienti naturali. Ci sono gli antichissimi centri storici, ciascuno arroccato sulla sommità d’un colle, di un rilievo, c’è lo sterminato territorio della pastorizia, gli antichi tratturi e naturalmente il paesaggio montano abruzzese. Il Guardiaboschi non svolge unicamente un costante lavoro, ma sempre più diviene il personaggio chiave per la conservazione della fauna selvatica e del suo ecosistema. Due animali in particolari costellano le leggende e i miti abruzzesi : l’orso e il lupo. C’era una volta l’orso bruno marsicano la cui sopravvivenza è un miracolo avvenuto proprio nel parco nazionale d’Abruzzo. “Lo spirito del grande orso riempie la terra d’Abruzzo”, i suoi racconti popolari, ma anche la sua quotidianità. La cronaca testimonia visite improvvise di esemplari di orso nei centri abitati abruzzesi o ancora la nascita di specifiche aree faunistiche dedicate alla sua osseravzione. Accanto all’orso un altro protagonista: il lupo Appenninico. Nella fantasia popolare, il lupo rappresentava l’ossessione dei viandanti e dei pastori che si spostavano lungo i tratturi, con le greggi. La tradizione del lupo come simbolo della malvagità, è nato, quindi, da un pericolo reale connesso al mondo agreste della pastorizia, nelle zone montane e pedemontane. Oggi è una specie protetta in via d’estinzione che resiste grazie all’organizzazione del Parco Nazionale d’Abruzzo. Il lupo come l’orso rappresentano un patrimonio che contribuisce allo sviluppo del turismo e quindi alla crescita economica regionale.
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Escursioni illustrate negli abruzzi_Viaggio illustrato in Italia di Edwar Lear _ottobre 1844
“ La pianura di Avezzano, l’azzurro chiaro del lago, Alba e il Velino con le sue belle cime, o sotto il sole oppure adombrati da nuvole passeggere; le montagne lontane oltre Sulmona coperte di neve, il passo brullo di Forca Carusa, la rupe scoscesa di Celano: tutte queste cose assieme, in una splendida mattina italiana, erano uno spettacolo da non potersi guardare senza esserne conquistati, o da dimenticare facilmente: che pace tutt’intorno! “ [...] “ Una serena bellezza infondeva un magico incanto su tutto. Un gregge di capre bianche ammiccavano e starnutivano pigramente sotto il sole del mattino; il capraio suonava una piccola zampogna; due o tre grossi falchi si libravano sul lago; un vigile cormorano stava come immobile sulla lucente superficie dell’acqua; una moltitudine di mosche volava nell’aria fragrante; questi erano i soli segni di vita nel luogo in cui furono posti i troni di Claudio e della sua augusta sposa sulla collina brulicante di popolo.”
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“Queste masse e vette costituiscono i contorni irregolari di una muraglia che racchiude una terra singolare, rozza e primitiva, poco lontana da Roma quanto a miglia , ma per tutto il resto incalcolabilmente remota. Se ci si inoltra appena, si scorge la meraviglia di questa terra ed il terrore che nello stesso tempo essa evoca: catene di montagne che si susseguono, una barriera dopo l’altra, isolando valli da altre valli e rendendo estranea, l’una all’altra , la gente degli altopiani e delle pianure” [...]
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NEGLI ABRUZZI di Anne Macdnell, Chatto & Windus, 1908
“Se fossimo nel periodo romantico, potremmo trovare un buon numero di scenari per i nostri drammi, romanzi e poemi epici proprio qui, in questa regione, dove rivolgimenti della natura creano cose da brivido, dove l’uomo è davvero solo con la sua anima e le sue passioni, quasi fosse un pigmeo impaurito sotto rocce svettanti” [...]
“In Abruzzo ci sono vestigia di grande valore artistico che meritano un viaggio. Tuttavia, la maggior parte di esse deve essere scovata in vallate deserte e non frequentate, in borgate quasi disabitate o su remote montagne”[...] “Qui l’uomo non è mai stato conquistatore: si è solo aggrappato al suo ambiente con pazienza ostinata e tenace.”
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domani Maiella
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L’AVVENTURA DI UN POVERO CRISTIANO di Ignazio Silone, Mondadori 1968
“Dopo vari giorni di pioggia e vento nella piana di Sulmona, un mattino ci svegliamo con un cielo interamente limpido. Una tenera luce dorata bagna i campi gli alberi i paesetti pedemontani il grandioso scenario della Maiella e dà una proporzione armoniosa ad ogni minimo oggetto. Benchè nato e cresciuto in una valle attigua, da cui la Maiella è invisibile, nessuna montagna mi tocca come questa”... “La Maiella è il Libano di noi abruzzesi. I suoi contrafforti le sue grotte i suoi valichi sono carichi di memoria. Negli stessi luoghi dove un tempo vissero innumerevoli eremiti, in epoca più recente sono stati nascosti centinaia e centinaia di fuorileggi, di prigionieri di guerra evasi, di partigiani, assistiti da gran parte della popolazione ”...
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“Gigantesco e compatto massiccio calcareo, le cui cime dominano la maggior parte dei panorami abruzzesi, il Gran Sasso è il centro dell’Abruzzo e secondo i romani anche l’ombelico d’Italia. E’ comunque la montagna protagonista da sempre della storia e della vita della regione. E’ il rilievo più terribile e rispettato, il massiccio più alpino dell’Appennino, con ripide pendici, creste scoscese, guglie piramidali. Possiede perfino un proprio ghiacciaio, l ‘unico dell’Italia peninsulare: il Calderone, tra le balze del Corno Grande”...
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GUIDA ALLA NATURA DEL LAZIO E DELL’ABRUZZO di Fulcro Pratesi, Mondadori 1972
“Dalla vetta del Corno Grande si ammira probabilmente il panorama più vasto di tutta la penisola, con un raggio d’orizzonte visibile di oltre 200 chilometri. Se la mattinata è rigida, l’aria tersa e i contorni del paesaggionitidi di pioggia recente, si abbracciano con lo sguardo buona parte dell’Appennino, i due mari Tirreno e Adriatico e perfino la lontana e tremolante linea della costa dalmata, delle isole Tremiti, del Gargano...”
“Enorme e solenne bastionata calcarea, solcata da valloni selvaggi e culminante in vette grandiose, la Maiella tocca i 2795 metri di quota. Il suo nome deriverebbe, secondo qualcuno, dal maggiociondolo detto majo o fiore di maggio, frequente con le sue dorate fioriture sulle pendici meno elevate, o a detta di altri da Maja, madre di mercurio, adorata dalle genti pelasgiche approdatte sulle tranquille spiagge adriatiche dalla vicina Grecia. E che il massiccio primordiale e solenne potesse ispirare timoroso rispetto alle antiche popolazioni non è difficile da credere, perchè pur nella tranquilla ondulazione del rilievo, la Maiella madre ha sempre dominato il paesaggio litoraneo dell’Abruzzo meridionale con la sua mole imponente, le sue collere improvvise, le sue selve cupe e misteriose...”
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IL GUARDABOSCHI “ Di fuori il vento mugulava tra le gole delle montagna, e di tratto sbuffava una pioggia obliqua di neve contro le finestre fuliginose, che davano luce scialba alla cucina. E quella luce si perdeva nella volta scura della stanza, da cui pendevano carni salate e frutta secche a grappoli�...
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LA COLOMBA
Dacia Maraini, 2004
ORSO “Tutti lo chiamavano così, e quando ne parlavanopareva che nominassero qualche cosa di bello, di santo, di gentile. Eppure Orso, chi l’avesse visto a’ crepuscoli ed anche di pieno giorno,ne avrebbe avuto un po’ paura. Non era nè alto, nè basso, ma i contadini dei dintorni assicuravanoche egli si trasformava ora in gigante ed ora in nano”...
LA SCEMA E’ negli Abruzzi una lunga e larga vallata, o meglio un bacino formata da due grandi catene di monti, le quali, partendo dal punto culminante dell’Aquilano, che è il Gran Sasso d’Italia,e correndo quasi in linea parallela verso mezzodì, da incontrarsi sulla terra di Pettorano, formando come un ellisse, le cui curve più lunghe sieno però rettilinee”...
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“La sera arriva con lampi e vento forte. A cena in una locanda , uomini della forestale raccontano di un lupo investito sulla via Tiburtina ,tra Sulmona e la stretta del Pescara. Succede spesso: le macchine e i camion li beccano lì, sempre nello stesso punto.Il branco passa di notte. Ed è sempre di notte che , a pensarci bene, la sua ombra clandestina mi è apparsa finora”... “I forestali mi portano a sentirli, i lupi, ai piedi del Monte Morrone. Nella pausa fra un camion e l’altro scende un gran silenzio e allora, a tratti, lontanissimo, ecco il lamento. E’ il solitario cacciatore del branco mi dicono. Da un’altra direzione arriva il canto corale del gruppo. Poi l’ululato degli adulti, più breve, quasi soprannaturale”.....
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LA LEGGENDA DEI MONTI NAVIGANTI di Paolo Rumiz, Feltrinelli 2007
“La Maiella imbiancata pare la Sierra Nevada sopra un terreno andaluso popolato di ulivi. Sulla strada solo qualche motociclista e una miriade di ramarri e serpentelli in cerca di tepore. «Attenti» ci hanno detto prima di partire, «il Gran Sasso è maschio, la Maiella femmina»; comincia la terra delle madri. Qualcosa di vero dev’esserci: la Maiella è montagna rotonda, morbida come le balie tettone di una volta. Sul passo di San Leonardo il paesaggio è tutto prati, campanacci e abbeveratoi. Da qualsiasi parte la guardi, la Maiella è un grande luogo simbolico della fecondità” ...
“Poi comincia la discesa; torri medioevali, uno stradone che corre sul displuvio tra rumore di stoviglie e profumo di arrosto. Un negozietto dove si trova di tutto, dall’uva alle prese elettriche. Sembra impossibile che la gente abbia potuto emigrare da qui. E invece è scappata così in fretta che ha fatto in tempo a morire per le patrie degli altri”... “I forestali mi portano a sentirli, i lupi, ai piedi del Monte Morrone. Nella pausa fra un camion e l’altro scende un gran silenzio e allora, a tratti, lontanissimo, ecco il lamento. E’ il solitario cacciatore del branco mi dicono. Da un’altra direzione arriva il canto corale del gruppo. Poi l’ululato degli adulti, più breve, quasi soprannaturale”.....
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Parco Nazionale d’ Abruzzo
‘ Michelino’ ti guarda con gli occhioni languidi dal recinto che lo accoglie nel centro di visita di Pescasseroli. E’ irrequieto, come tutti i cuccioli. Cerca di avvicinarsi: sporge il muso come per chiedere qualcosa. ‘ Michelino’ è uno splendido esemplare di orso marsicano. Ed è diventato il simbolo del Parco Nazionale d’ Abruzzo. L’ hanno trovato quest’ inverno le guardie del parco, mezzo morto: era stato investito da un’ auto. Era in coma. E’ stato curato e allattato amorevolmente: medicine, cibo, persino la fisioterapia, come un bambino.
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Tra i monti abruzzesi sulle tracce dell’orso La Repubblica, 7 agosto 1995
In bici nel parco d’ Abruzzo non è affatto facile incontrare l’ orso, che pure è presente (ce ne sono un’ ottantina di esemplari), ma si può andare in cerca delle sue tracce. l Parco d’ Abruzzo, infatti, risulta uno dei meglio organizzati per chi va in bici. Molte delle passeggiate-itinerari, proposte nella guida che è possibile acquistare sul posto sono, in tutto o in parte, ciclabili. Boschi, acque limpidissime, tante specie di animali selvaggi.[...] La splendida solitudine di quei luoghi consente di godere di una natura straordinaria, per non parlare del rarissimo lupo appenninico che, però, di solito si tiene a distanza dall’ uomo.[...]
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Parco Nazionale d’ Abruzzo
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Colazione sul prato con l’orso Yoga di Pratesi Fulco, 21 AGOSTO 1995, Corriere della Sera
L’ atmosfera del Parco Nazionale d’ Abruzzo induce al riserbo, alla contemplazione, alle passeggiate tra i boschi, piu’ che alle mondanita’ . Dopo anni in cui poter osservare un orso in natura era un’ utopia, adesso i miti plantigradi si sono fatti piu’ disinvolti: Yoga, una femmina di 90 chili, munita di radiocollare per seguirne i vagabondaggi, si fa vedere anche in pieno giorno e, spesso, va a far visita ai campeggiatori in cerca di leccornie. E attraversa strade anche trafficate, suscitando l’ ammirazione dei turisti. All’ alba e al tramonto, fermandosi con il binocolo lungo la statale Marsicana, e’ molto facile scorgere cervi, caprioli e cinghiali uscire dal bosco per pascolare nei prati.
E chi ha voglia di farsi un’ oretta e mezza di salita puo’ offrirsi lo spettacolo dei camosci d’ Abruzzo (“i piu’ bei camosci del mondo”) al pascolo con i piccoli tra le rocce e sui prati d’ altitudine. Fiori oramai ce ne sono pochi. Ma sulle pendici piu’ calde e aride esplode adesso il violetto superbo dei cardi ametistini che spiccano tra l’ erba secca. I paesini, che ricordo avviliti o poveri negli anni ‘ 60, oggi appaiono rinnovati: restauri sapienti, recuperi amorevoli, scalpellini al lavoro, locali tipici che han saputo districarsi dalla moda consumistica e pacchiana che ha rovinato tanti altri borghi un tempo bellissimi<nella loro composta struttura. Accorrono a vedere i cervi e lupi, ammirano le linci in un ampio recinto, godono della vista dei camosci.
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domani Introdacqua
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Corriere della sera _ ESCURSIONI CON GLI ASINI, RITORNO ALL’ANTICO di Cristina Coglitore _13 aprile 2004
Non è cocciuto e nemmeno stupido. L’asino è un animale sensibile e rispettoso. E sta diventando un fedele compagno per chi ama camminare alla scoperta del territorio italiano, oltre che un cardine per le terapie con animali rivolte ai bambini autistici. Un gruppo di appassionati dell’esplorazione lenta e meditata e il coordinamento degli «asinari» (cultori delle 5 specie d’asino sopravvissute in Italia, in rete: www.asino.org) hanno riscoperto il valore dell’animale simbolo della testardaggine.
L’ asino è utile per la produzione di latte simile a quello materno umano, e quindi adatto ai bambini intolleranti al latte vaccino. Ed è indispensabile nell’asinoterapia praticata in Abruzzo, a Introdacqua, sui bambini che hanno difficoltà a relazionarsi con gli altri. La calma solidità dall’asino li tranquillizza e apre canali di comunicazione che altrimenti resterebbero chiusi. Poi è nato il primo catalogo nazionale di viaggi a piedi con gli asini. «Proposte di esperienze, più che vacanze vere e proprie», spiega Luca Gianotti, guida ambientale e presidente dell’ associazione «Boscaglia», che organizza i tour. Da 10 anni l’associazione propone viaggi a piedi in Italia, nell’area mediterranea ed europea (con puntate anche in Marocco e a Capo Verde). Con guide e accompagnatori di media montagna il viandante percorre itinerari storici. Come il viaggio con asini in Aspromonte sulle tracce di Edward Lear, lo scrittore e acquerellista inglese che nell’Ottocento «scoprì» la catena montuosa calabra. Gli asini, che portano i bagagli e i viveri sul basto, hanno il passo dell’escursionista. «Sembriamo pastori in transumanza», racconta Gianotti. Ai tre viaggi realizzati finora in Aspromonte (costo circa 300 euro alla settimana, informazioni online: www.boscaglia.it) hanno partecipato soprattutto famiglie con bambini, che quando sono stanchi invece che sulla groppa del babbo possono salire su quella dell’asino.
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Non solo monti, l’Abruzzo da riscoprire di Pescari Maurizio, 14 LUGLIO 2006 ,Corriere della Sera
Tre percorsi tra cielo e terra per scoprire le zone montane d’ Abruzzo. Sport, natura, enogastronomia, artigianato ed eventi culturali si incontrano in Abruzzo in occasione di «NonsoloMonti», manifestazione che occuperà il weekend del 21-23 luglio sul territorio della Piana di Navelli e Campo Imperatore, con eventi nel Castello Camponeschi (Prata D’ Ansidonia), a Palazzo Santucci (Navelli), Castello Piccolomini (Capestrano), nel magnifico borgo di Santo Stefano di Sessanio, nella Chiesa dei Centurelli di Caporciano ed in quella della Madonna del Campo. Tutte gemme di un ristretto territorio abruzzese che offrono al turista il meglio dell’ Abruzzo montano. La proposta è di rivivere gli antichi percorsi della transumanza e del tratturo in chiave moderna, viaggiare alla scoperta di una natura meravigliosa che si incontra con l’ uomo in uno scenario unico fatto di castelli e abbazie, di borghi e tradizioni. NonsoloMonti è una luce sull’ Abruzzo interno, su tutto il suo insieme paesaggistico, sia quello naturale fatto di parchi, monti e riserve naturali, che quello legato alla storia dell’ uomo, dei pastori, della ruralità, dei percorsi culturali ed artistici, di borghi, abazie, rifugi e pagliare di cui tutta la regione è ricca.
Un viaggio di tre giorni alla scoperta delle meravigliose risorse del territorio interno della regione: dall’ ambiente, all’ arte, all’ artigianato ai percorsi enogastronomici (Navelli è la patria dello zafferano). Originali gli itinerari e le escursioni proposti per affascinare anche i visitatori più esigenti portati a diventare protagonisti della vita di montagna. Tre differenti percorsi caratterizzeranno l’ evento organizzata e ideato dalla Comunità Montana Campo Imperatore. Il Percorso del Cielo: esperienza utile per per osservare il paesaggio montano dall’ alto, grazie alle mongolfiere sia come ascensori del cielo in volo vincolato, che come mezzi di trasporto in volo libero. I più coraggiosi poi potranno raggiungere le vette più alte e volare in deltaplano o parapendio accompagnati da personale di guida e di assistenza. Il Percorso di Terra: passeggiate a piedi, a cavallo ed in bicicletta, per raggiungere i castelli e le abbazie d’ Abruzzo, le roccaforti più insidiose e le zone più impervie, inaccessibili con l’ auto. Il Percorso per Tutti: di facile accesso, con navette e bus aperti che consentiranno anche agli anziani ed ai diversamente abili l’ accesso ai teatri naturali di Nonsolomonti. In tutto questo viaggiare in Abruzzo non poteva mancare un itinerario nei luoghi del gusto: castelli, borghi e rifugi saranno trasformati per l’ occasione in punti di incontro e di accoglienza dove i portavoce delle 19 comunità montane abruzzesi e delle pro-loco, presenteranno tradizioni, cultura ed enogastronomia.
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Orso maschio in piazza a Fontana Liri: Bubu va in paese, che paura! Gli orsi d’ Abruzzo non cessano di stupire: dopo la famosa orsa Yoga - che, dopo aver combinato numerosi malestri, rubando nutella e caciocavalli, e’ stata messa in un grande recinto assieme all’ orso Sandrino con la speranza che a primavera si accoppino mettendo alla luce degli orsacchiotti da rilasciare in liberta’, ora e’ venuta la volta di Bubu. Quest’ orso maschio da qualche giorno faceva visita agli orti e ai frutteti del paesino di Villetta Barrea nel Parco nazionale d’ Abruzzo. Cosi’, per evitare guai, le guardie del parco l’ hanno catturato e rilasciato in una valle del parco lontana una decina di chilometri da Villetta.
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Bubu va in paese che paura di Pratesi Fulco, 18 AGOSTO 2006, Corriere della sera
Ma Bubu, non conoscendo il territorio é disorientato per la tempesta di questi giorni, ha sbagliato strada ed e’ arrivato nella piazza di Fontana Liri, non lontana dai confini laziali del Parco stesso. Per fortuna le guardie e il veterinario del Parco, grazie al fatto che l’ animale era munito di radiocollare, l’ hanno potuto subito recuperare nelle campagne circostanti sparandogli una siringa di sonnifero e, ancora addormentato, lo hanno rilasciato in una zona sicura al centro dell’ area protetta. Il fatto e’ che, con l’ aumento della vigilanza e una dura azione contro i bracconieri, gli orsi del Parco sono aumentati di numero e divenuti piu’ disinvolti. Ce ne sono oltre cento, quest’ anno hanno avuto molti cuccioli e se ne vedono un po’ ovunque.
Alcuni, piu’ dotati di spirito d’ avventura, se ne sono andati a colonizzare i parchi nazionali di nuova istituzione sulla Majella e sul Gran Sasso. Altri, invece, piu’ affezionati al luogo nativo, escono dai confini per andare a mangiare carote e mele nella Piana del Fucino, o si avvicinano agli orti dei villaggi. Naturalmente questo fenomeno, che pure entusiasma i turisti i quali, nonostante i severi divieti, a volte offrono loro del cibo, preoccupa non poco i dirigenti dell’ area protetta che temono una eccessiva familiarizzazione con questi bestioni che superano spesso i due quintali di peso. Chi voglia vedere da vicino e in semiliberta’ nel loro ambiente due magnifici esemplari di orso marsicano, dovra’ recarsi presso l’ area faunistica del paese di Villavallelonga,che si trova a pochi chilometri da Avezzano. Nell’ occasione potra’ ammirare la splendida colorazione degli alberi autunnali che espongono proprio adesso tutta la gamma del rosso e del giallo e udire i bramiti dei cervi in quest’ epoca in lotta per la conquista delle femmine.
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Neanche il freddo che taglia le gambe e la fitta coltre di neve la fermano: persino in pieno inverno, la scrittrice passeggia su e giù, instancabile, tra boschi, vecchi casolari e piccoli centri. E ogni volta è accolta come una celebrità: «Ringraziamo l’ illustre ospite per essere qui», almanaccano emozionati sindaci e assessori locali. Dacia Maraini ricambia la gentilezza sottoponendosi, paziente, al rito delle dediche autografe sul frontespizio del suo ultimo libro; ma soprattutto parlando del suo grande amore per questa terra, l’ Abruzzo: «Ci si innamora dei luoghi e di un paesaggio come ci si innamora delle persone», spiega. «Tutti i luoghi hanno qualcosa da dire, bisogna solo saperli ascoltare». Quinta ristampa in pochi mesi, 210 mila copie, ai primi posti nelle classifiche dei libri più venduti: Colomba è un romanzo in gran parte nato qui, a Pescasseroli, nella villetta appena fuori dal paese che la scrittrice ha acquistato una decina di anni fa. «Ho scoperto le montagne abruzzesi grazie a Ettore Scola e sua moglie Gigliola, che da trent’ anni frequentano questi luoghi. All’ inizio ho preso in affitto una casa, poi ho deciso di comprare questa. E ora passo molto più tempo qui che a Roma». «Questi boschi parlano e hanno una memoria antica, che risale indietro nei secoli. Una volta passeggiando ho scoperto per caso un antico cimitero preromano, con scheletri perfettamente conservati. Un’ altra volta mi sono trovata davanti a uno spettacolo inquietante: ero sola, e all’ improvviso ho visto un cane impicca to a un albero, forse vittima di una faida tra pastori».
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Dacia Maraini _ dove nascono le mie storie_ di Zanini Luca, 24 AGOSTO 2006, Corriere della Sera
Un gioco narrativo che mescola autobiografia e finzione: «Un po’ pirandellianamente la voce narrante diventa personaggio - chiarisce la Maraini - e i suoi ricordi e le sue sensazioni si intrecciano alla storia principale e alle vicende dei parenti di Zaira, una saga famigliare che dal 1898 giunge fino all’ oggi». Unità d’ Italia, Prima guerra mondiale, fascismo, Resistenza, emigrazione, Sessantotto: Colomba è anche un affresco che ripercorre, con una serie di flashback, la storia italiana del Novecento, dalle Madonie fino a Torino e oltre, in Russia e in Australia. Ma il cuore della narrazione è fra queste montagne: a Touta, cittadina immaginaria, oppure nelle foreste verso Forca d’ Acero, uno dei pochi posti che nel libro mantengono il loro vero nome e che bisogna attraversare per giungere a Sulmona, uno dei centri, insieme ad Atina, dove nei giorni scorsi si sono svolte le presentazioni ufficiali del libro, tra canti popolari e suoni di zampogne che intonano vecchie ninne nanne e serenate, raccontando storie di amori, mietitura e transumanza.
Terra «aspra» e «misteriosa» l’ Abruzzo, come la definisce la scrittrice: «Un po’ come il suo dialetto che contrae, fino ad eliminarle, tutte le vocali». E il mistero è anche alla base dell’ intreccio di questo libro che racconta della scomparsa di Colomba, una ragazza di vent’ anni di cui non restano più tracce, se non la bicicletta abbandonata in uno di questi boschi. Rapimento? Delitto? A cercare Colomba, dopo più di un anno, è rimasta solo sua nonna, Zaira, che insieme alla voce narrante - «la donna dai capelli corti» in cui molti hanno riconosciuto la stessa autrice è la vera protagonista del romanzo.
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Gran Sasso
Gran Sasso la più lunga ippovia d’Italia 5 SETTEMBRE 2006 ,Corriere della Sera
Conoscere i cavalli? All’ ippodromo è facile, ma se sapete già cavalcare e vi piace farlo en plein air, non potete mancare di sperimentare il nuovo circuito equestre per turisti-cavalieri inaugurato in Abruzzo: intorno al Gran Sasso, la più lunga ippovia d’ Italia si sviluppa per oltre 300 chilometri nel verde, fra borghi, boschi antichi, pascoli distribuiti nelle province di Teramo, Pescara e L’ Aquila. I sentieri tracciati (e ben segnalati) partono da alcuni varchi d’ accesso al Parco nazionale del Gran sasso e passano tangenti il lago di Campotosto, Fonte Cerreto, Campo Imperatore. Lungo l’ ippovia sono stati resi agibili numerosi punti d’ acqua per gli animali, mentre per i cavalieri sono previste soste golose in capanni, ristori e ostelli. Info: www.gransassolagapark.it/
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Scanno
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Documentario_VIVERE CON GLI ORSI ACCANTO di Claudio Potestio_ITALIA 2009
SINOSSI: Realizzato intorno a Scanno, evidenzia lo stretto rapporto fra abitanti e orsi. E’ la rappresentazione di una realtà storica e sociale presente da secoli a Scanno.
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CAPITOLO 3 il vecchio
Il terzo personaggio chiave della territorio abruzzese narrato è un vecchio abitante dei suoi borghi abbandonati. Il vecchio spesso è considerato una persona che ha concluso il suo cammino e che non ha più niente da dire, mentre per noi rappresenta un punto di vista su questi luoghi poco conosciuti e un depositario delle tradizioni, una figura emblematica per comprendere e ricostruire il modo di vivere, le credenze e le usanze di queste piccole comunità arroccate sui monti. In un certo senso questi borghi possono considerarsi come scrigni di storie e di vita, in cui i pochi abitanti anziani rimasti, ne narrano la storia attraverso i segni e le memorie lasciate dalla cultura materiale e immateriale. La ragione che rende questi piccoli paesi come una grande famiglia è il forte legame che si instaurava tra ognuno dei suoi abitanti, nonostante l’assenza di parentela, e persino i nomignoli di ciascuno vengono tramandati a distanza di secoli tanto da dimenticarne pure l’origine. Tuttavia nel tempo si è assistito ad un abbandono di questi paesi, diventati ben presto borghi fantasma o abitati da pochi e orgogliosi anziani, legati a quella terra e decisi a non tradire le proprie origini. In molti di questi paesi “fantasma” in via d’abbandono vivono ormai pochi anziani “superstiti”. Un anziano signore, o una vecchia donna come Angiolina del papa che nella solitudine e nel silenzio dei monti dell’Abruzzo è nata, cresciuta e non intende allontanarsene. Un tempo si trattava di popolosi comuni, ma nel secondo dopoguerra l’emigrazione li ha svuotati. Tuttavia malgrado il terremoto, i lupi, il freddo e l’indigenza, alcuni anziani abitanti non hanno intenzione di abbandonare le loro decadenti casette in pietra e la loro chiesa. Il vecchio è dunque personaggio custode di queste pietre, di queste case, in cui appare ancora incisa la memoria collettiva e l’immenso patrimonio intangibile di questi centri “disabitati”. La voce di un anziano seduto sull’uscio di una casa costruita a secco e un’anziana donna vestita di nero ci narrano della miseria, delle beghe politiche e di campanile, che hanno travagliato i borghi abruzzesi presi in esame nella nostra ricerca.
Il loro commento testimonia inoltre il tema della migrazione oltreoceano e il grande esodo verso la più fertile pianura o verso la ricca e turistica fascia costiera adriatica. I loro figli si spostarono per mettere nuove radici in Canada, negli Stati Uniti, soprattutto in Australia, abbandonando i genitori o i parenti stretti in queste condizioni di isolamento. D’altronde l’emigrazione è un mestiere che gli abruzzesi hanno praticato per secoli: prima, quando l’economia della regione era basata sulla pastorizia, con la forma del duro pendolarismo stagionale della transumanza verso i pascoli pugliesi; poi, con il lavoro di manovalanza a Roma; infine con la partenza diretta verso le terre d’oltreoceano e il Nordeuropa. Malinconia, ma anche fascino romantico. Alcune città fantasma sono diventate o possono diventare attrazioni turistiche, luoghi di incontro culturale nella loro suggestiva cornice dal sapore decadente. Le frazioni montane abruzzesi preservano edifici e opere architettoniche, si tratta perlopiù di piccoli centri di origine medioevale, nati a ridosso di roccaforti feudali o di antichi monasteri. Sopravvissuti negli anni il più delle volte grazie alla loro posizione sicura sulle dorsali delle montagne testimoniano la vita agro-pastorale, dei cafoni di Ignazio Silone, che fu. Le sensazioni che accomunano tutti i luoghi oramai deserti sono di profonda malinconia ma anche di grande curiosità, sensazione che ritroviamo nelle testimonianze orale di questi anziani abitanti. Sono molte le cause dell’abbandono di un centro abitato: in alcuni paesi l’esodo è totale, in altri è solo il centro storico ad essere svuotato, per motivi che vanno di volta in volta individuati. Oggi si apre l’ipotesi di itinerari omogenei e tematici legati ad un discorso di recupero, ove possibile, delle antiche strutture edilizie e delle testimonianze storiche e artistiche di un’ Italia minore meno fortunata ma certo non povera di cultura.
capitolo 1_IL PASTORE
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domani Lago del Fucino
“ Il lago di Fucino […] Durante il medioevo, era più frequentemente chiamato lago di Celano per la sua vicinanza a quella città, allora la principale della Marsica. [...] Nelle immediate vicinanze del lago ci sono gli interessanti resti del grande Emissario, un tunnel alto diciannove piedi, largo nove e lungo quasi tremila, costruito dall’imperatore Claudio […] con l’intenzione di portare fuori le acque del lago, che frequentemente inondavano le terre circostanti, e incanalarle nel fiume Liri. “
capitolo 3_IL VECCHIO
Escursioni illustrate negli abruzzi_Viaggio illustrato in Italia di Edwar Lear_ottobre 1844
“ Non sono state trovate ragioni valide dell’innalzamento delle acque del lago in taluni periodi. Secondo una credenza popolare, le acque crescono e decrescono ogni sette anni (Antinori, I, 366); gli scritti di Antinori e di Afan di Rivera contengono molte in formazioni sull’argomento e anche particolari relativi alla costruzione dell’Emissario. “ [...]
“ Dal 1806 a l 1816 ebbe luogo la più terribile inondazione che si ricordi: la superficie del lago divenne venti palmi più alta dell’innalzamento più grande tra il 1780 e il 1787. La penisola di Ortucchio divenne un’isola; le acque superarono l’altare della chiesa e molte proprietà furono distrutte, così come pure a Trasacco e a Luco. La stessa Avezzano rimase a ventisette palmi sul livello del lago e il 1816 sarà sempre ricordato come anno di paura e di miseria per gli abitanti del distretto. “
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domani Anversa degli Abruzzi
GIGLIOLA “La casa crolla. Tu senti la ruina grande. L’hai vista al lume delle fiaccole fùnebri. La tua casa muore. E non le ami tu, queste vecchie muraglie? Tu sei l’ultimo dei Sangro di Anversa: sei l’erede”.
capitolo 3_IL VECCHIO
Documentario_PECORE NERE LA FIACCOLA SOTTO IL MOGGIO di Gabriele D’Annunzio, 1905
SIMONETTO “E’ bello il Saggitario sai? Si rompe e schiuma, giù per i macigni,mugghia, trascian tronchi, tetti di capanne, zangole, anche le pecore e gli agnelli che ha rapinato alla montagna. E’bello sai”? TIBALDO “Tu sai la cecchia diceria che corrre tra la gente di Anversa, e per tutta la valle del Saggitario, e dalla Forca d’oro alla Terrata fra i pastori. La casa magna dei Sango, tutta crepacci e tutta ragnateli, che da tutte le bande si sgretola, e nessuno ci rimette pur una mestolata di calcina”...
capitolo 3_IL VECCHIO
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Colledara
Quasi tutti erano chiamati, come si vede, col soprannome. Il nome non ha quasi mai nessuna relazione con la persona che lo porta: esso è dato poco dopo della nascita, ed è difficile che poi venga a mettersi in qualche rapporto, o per il suono o pel significato, con la persona che lo possiede. A questo difetto ripara il soprannome, che è quasi sempre suggerito da qualche azione, o qualità, o detto della persona a cui è attribuito. I soprannomi sono tanto più frequenti là dove è più facile, per lo scarso numero delle persone, acquistar profonda conoscenza di esse. E la scarsezza del numero delle persone da cui siamo attorniati, non serve soltanto a rendere più profonda la conoscenza di esse: il nostro spirito, o in un modo o in un altro, cerca di adoperar sempre tutte le sue forze. Nel mio villaggio io conoscevo i galli, e le galline, i muli, le pecore, i cani; ne vedevo la fisonomia, ne indovinavo l’indole e i sentimenti, come facevo con le persone.
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COLLEDARA
L’ultima volta che tornai a Colledara, e fu dopo tre quattro anni che non c’ero più stato, trovai, sulla strada nuova che si svolge fuori del vecchio villaggio, dalla parte di mezzogiorno, davanti alla vista superba del Gran Sasso, il quale in quel punto si presenta in tutta la gloria del suo aspetto maestoso, trovai, dico, alcune nuove casette bianche e pulite; e ad alcune donne che sciorinavano panni li accanto, domandai di chi fossero. - Sono nostre, - mi risposero; - i nostri mariti, dopo che sono tornati dall’America, non hanno più voluto abitare nelle sudice capanne di prima; e hanno fabbricato queste casette.
di Fedele Romani,Bemporad, 1907
Colledara è un villaggetto di poche case, posto sopra una delle più verdi e più ridenti colline che allietano la Valle di Monte Corno, o Gran Sasso d’ Italia, dal lato che guarda l’Adriatico. Da quella parte, il Gran Sasso si mostra più magnificamente elevato e superbo. La sua altezza non è grande (2914 m.), se la si paragona, per esempio, a quella delle più ardue cime delle Alpi; ma io non ho mai visto un monte che più faccia pompa della sua statura, e che svegli nell’animo più intensamente il senso della maestà e del sublime. Colledara non conta che poco più di cento abitanti; ma, benchè il villaggio sia così piccolo, pure è diviso in due parti:una più alta e una più bassa; ed ha due nomi: quello di Colledara, che appartiene in proprio alla parte più bassa, e serve, oltre a ciò, a indicar tutto il villaggio nel suo insieme, e quello di Capo di Colle, che è il nome della parte più alta, o, diremo, dell’ acropoli. E qui sorge, circondata di tugurii e d’ulivi, la mia casa paterna, o «il palazzo», come lo chiamano i contadini.
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“Ho dato questo nome a un antico e oscuro luogo di contadini poveri situato nella Marsica, a settentrione del prosciugato lago di Fucino, nell’interno di una valle, a mezza costa tra la collina e la montagna. Fontamara somiglia dunque , per molti lati, a ogni villaggio meridionale il quale sia un po’ fuori mano, tra il piano e la montagna, fuori dalle vie del traffico, quindi un po’ miseri e arretrato e abbandonato dagli altri”. “ A chi sale a Fontamara dal piano del Fucino il villaggio appare disposto sul fianco della montagna grigia brulla e arida come su una gradinata. Dal piano sono ben visibili le porte e le finestre della maggior parte delle case: un centinaio di casucce quasi tutte a un piano, irregolari, informi, annerite dal tempo, e sgretolate dal vento dalla pioggia, dagli incendi, coi tetti malcoperti da tegole e rottami d’ogni sorta”.”. “ La parte superiore di Fontamara è dominata dalla chiesa col campanile e da una piazzetta a terrazzo, alla quale si arriva per una via ripida che attraversa l’intero abitato, e che è l’unica via dove possano transitare i carri. Ai fianchi di questa sono stretti vicoli laterali, per lo più a scale, scoscesi, brevi, coi tetti delle case che quasi si toccano e lasciano appena scorgere il cielo”.
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Documentario_PECORE NERE FONTAMARA
di Ignazio Silone,1933
“ Cisterna e Perticara sono due grossi villagi situati l’uno alle spalle dell’altro, sui due versanti dello stesso monte, nascosti completamente l’uno all’altro. Ma per spostarsi, a piedi e senza fretta, dall’uno all’altro, ci si mette un po’ meno di un’ora”... “ La sua meta fu una piazzetta, non lontana di lì, attorniata di macerie. Nell’altro lato stavano i resti di una modesta casa con la porta sprangata da un asse di legno inchiodato di traverso sui battenti ”.
“L’uomo continuò il suo camino seguendo la strada incavata sul fianco della montagna. Alla prima svolta, su una collinetta di fronte, gli apparve l’intero paese. Una targa infissa alla sommità di un palo ne indicava il nome: Cisterna dei MArsi Alt. s. M. 950
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“ Vi erano alcune donne che si lamentavano; donne è inutile fare i nomi, sedute per terra, davanti alle loro case , che allattavano i loro figli , o li spidocchiavano, o facevano la cucina e si lamentavano come fosse morto qualcuno. Si lamentavano per la sospensione della luce, come la miseria, al buio, fosse diventata più nera”. “Donna Clorinda vestiva un abito nero con molte trine sul petto e portava sulla testa una specie di cuffia pure nera. Guardandola in faccia e ascoltando la sua voce si capiva perchè nel paese era stata soprannominata il Corvo”. “ Un tempo i giovani cominciavano a partire in cerca di lavoro appena oltrepassati i sedici anni.Chi andva nel Lazio, chi nelle Puglie e chi, più ardimentoso, in America. molti lasciavano la fidanzata per quattro, sei, persino dicei anni, la ragazza giurava fedeltà e d essi si sposavano al ritorno”.
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ABRUZZO ( da Il raccoltoNERE Documentario_PECORE dello zafferano, M.Lelj) FONTAMARA di Ignazio Silone,1933
“ La scala sociale non conosce a Fontamara che due piuoli: la condizione dei cafoni, raso terra e un pochino più su, quella dei proprietari. I più fortunati tra i cafoni di Fontamara possiedono un asino, talvolta un mulo. Arrivati all’autunno, dopo aver pagato a stento i debiti dell’anno precedente, essi devono cercare in prestito quel poco di patate, di fagioli, di cipolle, di farina, di granoturco che serva per non morire di fame durante l’inverno”. “ La vita degli uomini, delle bestie e della terra sembrava così racchiusa in un cerchio immobile saldato dalla chiusa morsa delle montagne e dalle vicende del tempo. Saldato in un cerchio naturale, immutabile, come in una specie di ergastolo”. “ Prima veniva la semina, poi l’insolfatura, poi la mietitura, poi la vendemmia. E poi? Poi da capo. La semina, la sarchiatura, la potatura, l’insolfatura, la mietitura, la vendemmia. Sempre la stessa canzone, lo stesso ritornello. Sempre. Gli anni passavano, gli anni si accumulavano, i giovani diventavano vecchi, i vecchi morivano e si seminava, si sarchiava, si insolfava, si mieteva si vendemmiava”.
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“ Le ore della canicola passarono lentamente. Ma, appena la campana della parrochia suonò il vespero, le porte e le finestre della case, rimaste chiuse nelle ore della canicola, cominciarono a riaprirsi, gli artigiani riportarono sulla strada , accanto alla porta di casa, i loro tavoli da lavoro, e le donne dei contadini, in attesa del ritorno dei loro uomini dalla campagna, tornarono a parlarsi da una soglia all’altra. Il prete non riapparve però che verso l’avemaria. Un asino carico di steli di granoturco scendeva il sentiero della costa che sta a monte del paese, e dietro l’asin, accanto a un vecchio contadino, fu visto appunto il prete”.
Documentario_PECORE NERE IL SEGRETO DI LUCA
di Ignazio Silone,1956
“Erano le ore pomeridiane della canicola, ore di letargo e di apparente morte.Il paese sembrava disabitato. Le vie erano deserte, le porte e le finestre chiuse, silenziose. Lungo la via principale casette nuove, ancora fresche di muratura, si alternavano alle antiche, a mucchi di macerie e di baracche. Davanti al vuoto di macerie egli indugiò a guardare in alto, verso le finestre e i balconi scomparsi. Egli camminava in mezzo alla via. In quella luce abbagliante, in quella solitudine di macerie e di muri nessuno si accorgeva di lui. Sembrava uno spettro, un’anima in pena.” “Egli fece a ritroso il giro della chiesa e s’inoltrò nel groviglio di vicoli della parte più antica del paese, stretti come corridoi. Il suo passo risuonava sull’acciottolato come quello di un viandante notturno. In quel silenzio si udirono all’improvviso spalancarsi le imposte di un balcone al primo piano di una vecchia casa, e subito vide una donna vestita di nero, alta, magra, visibilmente cieca, avanzare verso la ringhiera e chinare il viso con le occhiaie vuote nella direzione dei passi che si avvicinavano.
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Le frontiere invisibili_Il parlar rozzo di Gianni Oliva, Bulzoni editore_1982
Sono arcaiche consuetudini rurali lanciate nel vortice del mito con valenze ingigantite dalla proiezione nell’atemporale, come nelle tragedie pastorali di D’Annunzio: “[…]
la stirpia nostre è stirpia sante, ca ne venème da na discendenze de mill’anne d’età! “ Una vena triste, dunque, solca la poesia di Luciani, che si apparenta talvolta anche con motivi crepuscolari. [...] Nel respiro lungo della poesia-racconto, la misura metrica più congeniale al Luciani, si innesta una vasta gamma di spunti lirici, tessuti su antiche suggestioni popolari e letterarie. [...] Su quello stampo si sono plasmati i contadini abruzzesi bruciati dal sole, i pastori (<<gente da campagne>>), i mietitori insuperabili nell’incanata, ossia in quel corpo rituale fatto di canti allusivamente osceni e di dileggio che il gruppo di braccianti al lavoro indirizza verso il passante o verso la padrona.
[…]. “ Luciani in sostanza rafforza nella storia della poesia in dialetto abruzzese la linea che nelle sue voci più considerevoli procede di pari passo con lo sviluppo della poesia italiana. I suoi versi, più che scontate concessioni al genere dialettale, sono solidamente inseriti nella temperie culturale primo novecentesca. Le non poche spie dannunziane e in parte pascoliane che vi si riflettono contribuiscono a definire un prodotto di qualità degno di occupare il posto che gli compete nel quadro della letteratura dialettale del nostro secolo e, conseguentemente, l’emarginazione anche editoriale che lo colpisce tuttora. E ciò nonostante si tratti di poesia colta, squisitamente letteraria.”
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Le frontiere invisibili_Il “poema sinfonico” di Giuliante di Gianni Oliva, Bulzoni editore_1982
“ È notevole in Abruzzo la fioritura di poeti rimasti fedeli, secondo un’atavica tradizione, ad una pregnante disposizione umana, informatrice incondizionata d’una poesia dagli affetti caldi, ancora incantata e stupita dinanzi alla bellezza della natura, ai misteri dell’universo, ipersensibile indicatrice dei suoi segreti.
È poesia sana, incontaminata, ancorata ai sussulti della macerazione riflessiva, come a un baluardo da contrapporre alle degenerazioni dell’industria culturale, nella difesa energica dei valori dello spirito contro il generale appiattimento. “ [...] “ Poeti abruzzesi, i quali, più che lasciarsi trascinare in balia della corrente, sembrano aver stretto tra loro un solido patto d’alleanza, pur esorbitando dai canoni aprioristici della scuola. È l’influsso forse d’una terra ricca e gelosa delle proprie tradizioni che uniforma e orienta il loro gusto verso problemi vissuti in profondità, ritenuti la più sicura àncora di salvezza, gli unici mezzi idonei a disposizione per la salvezza.”
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Marsica
“ La diffusa tendenza allo studio delle espressioni popolari, accanto alla fenomenologia delle abitudini comportamentali, abbracciò anche la favola, come prodotto genuino e inequivocabile della fantasia creatrice del popolo, dei suoi miti, delle sue paure e delle sue gioie. […] L’Abruzzo, che è terra viva e feconda di tradizioni, protette gelosamente dalla corona orografica e dallo spirito conservatore degli abitanti, non poteva non offrire in questo campo il suo specifico contributo. “ [...] “ La favola esprimente il mondo fantastico della gente abruzzese, raccolta dalla voce tremante dei vecchi che narravano gesta eccezionali o avventure di poveri derelitti e lo scontro tra le forze contrarie, tra giustizia e ingiustizia, trovava in quelle sillogi un proprio considerevole spazio. “
Le frontiere invisibili_L’Abruzzo magico di Porto di Gianni Oliva, Bulzoni editore_1982
“ Un paesaggio abruzzese composito, popolato di pipistrelli, ma anche di pastori, protagonisti di una condizione storica inconfondibile. Nei passaggi che legano strutturalmente le storie, nelle brevi descrizioni degli sfondi, s’intravedono connotati paesistici ben identificabili con l’Abruzzo marsicano, con le sue montagne, le sue vallate, la sua pace sotto la neve, i suoi boschi misteriosi. Elementi che colorano anche la poesia di Porto e che qui ritornano come contorno necessario: << Qui la notte è sparsa di velli / d’arieti turchini, il cielo è calmo / lago di meduse stellari / (…) / Qui ti ribagni a battisteri / d’acque rileviate dai sassi / e qui si addentrano ancora / strette vallate di silenzi / che solo vento di foglie / percorre atraverso di brividi>>. “
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capitolo 3_IL VECCHIO
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ABRUZZO ( da Gioielleria notturna) di Gianni Oliva, Carlo De Matteis, ed. La Scuola1986
TRAMONTO case chiuse lontane un giorno io v’ho abitato fanciullo sulla soglia d’ogni porta che passavo con un salto smemorato: la fune sulla carrucola del pozzo e un rauco giravento di latta sul tetto: tutto ciò è un mio sangue: io lo tocco: bevevo alle cannelle a un palmo dalla terra nativamente pure, il grano cresceva a guardarlo, e le pecore brucavano sui greppi, io le ho sentite belare la sera quando il fieno ammucchiato fermenta odorando come un giardino, scendevano le caste valanghe delle vacche pezzate inazzurrando le coste col fiato conreo vento: si passeggiava in piazze aperte dalla parte del mare e il collare del cane mi rinfrescava la mano stasera la pozza d’acqua è colma di nuvole in secco e di foglie di pampini gialle come la faccia dei vecchi che portano a spalla la bisaccia: ho fatto l’elemosina da tutti i balconi ed ho aperte le finestre ai deserti di pietra cittadina su cui passa il tramonto seminando le sue sitibonde primavere serali, e tra l’una l’altra pausa del vento le foglie si staccano dai rami, mentre io rassetto il mio scarno giardino dove i fiori mi guardano a uno a uno. (N.Moscardelli)
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ABRUZZO ( da Romanzetto del Tione) di Gianni Oliva, Carlo De Matteis, ed. La Scuola1986
LE LUCERTOLE AFFACCIATE La terra aveva ringhiottito e spiegava al sole tranquilla la sua forza, il giorno era venuto per non andarsene più , tardo a finire, che non moriva, dormiva a pena sull’aria rossa, e le donne stremate litigavano ai pozzi, al filo della fontana: le bestie accompagnate dal fischio bevevano il fondo dei piloni. Le cose non volevano staccarsi dall’abbraccio dell’ultima luce, aveva un bell’aspettare la campana; i paesi seguitavano a ripetersi dalle piazze le antiche insolenze, si guardavano in faccia ancora chiari, i grilli strillavano che il giorno non ci avrebbe lasciati, che buono era coricarsi in quel riverbero. [...] Le povere case in piazza erano incantate; a te, coricato sul selciato, i rospi si avvicinavano discreti, curiosi, a salti flosci di vesciche piene e tu cercavi nello splendore della via lattea, chiamata la strada della Madonna, il ragazzo andato a acchiappare la stella, che aveva passato tante valli e tante montagne, e s’era perduto in quello splendore coi piedi insanguinati. (M.Lelj)
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domani Roccacaramanico
A ROCCACARAMANICO sui monti dell’Abruzzo, in inverno vive soltanto una donna di 85 anni, Angiolina del Papa: la storia di questo paese ormai abbandonato e della sua unica superstite[…] Fu un popoloso comune. Ai tempi del fascismo e del dopoguerra l’emigrazione lo svuotò. Una donna di 85 anni, Angiolina, ha trascorso un terzo della propria vita da sola nel paese morto, malgrado il terremoto, i lupi, il freddo e l’indigenza. Il paese “fantasma”ha il cacofonico nome di Roccacaramanico. E’ un paesino sui monti dell’ Abruzzo. Oggi uomini di cultura e appassionati lo hanno riscoperto e stando aiutando a trsformarlo in sereno luogo di villeggiatura estiva. D’inverno però, qui Angiolina resta ancora sola, a far la guardia al paese fantasma, ma lei non abbandona, perchè è il “suo” paese, dove sorge la sua casa, dove la chiesa è quella della quale fu nominata sacrestano e dove il cimitero è posto nel quale ella andrà a riposare, un giorno. Di queste cose, pietre, case, memorie, Angiolina si sente custode appassionatamente.
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Narra in proposito il professor Marcello De Giovanni : “ I miei cari e io decidemmo di trascorrere il Natale qui a Rocca, nella casetta che abbiamo acquistato e rimesso in ordine. Era, mi sembra, il Natale di tre anni fa. Una notte, l’ululato del vento. Una cosa da far spavento anche a chi, come noi, non concede nulla alla superstizione. Mia moglie ed io uscimmo. Scorgemmo nella neve una sorta di fantasma carico di stracci, con un cappello bianco sulla testa. lottava col vento per avanzare, era Angiolina che pretendeva di correre alla chiesa, perchè aveva sognato che qualcuno la depredasse . De Giovanni sta inoltre per dare alle stampe uno studio sulla storia e sulle vicende di Roccacaramanico e, con altri, ha fondato un’associazione che si batte per far rivivere questo centro. Roccacaramanico è a 1050 metri di altitudine, a poche decine di chilometri da Pescara e dal mare Adriatico. Fino al 1927, Roccacaramanico era un comune di 785 abitanti, e l’attuale Sant’Eufemia a Majella era una sua frazione. Ma era un comune povero, l’unica risorsa era vendere i boschi. Poi la miseria, le beghe politiche e di campanile , fecero scegliere ai più la via di fuga già largamente praticata dai montanari meridionali negli ultimi 100 anni: l’emigrazione.
L’ultima anima del paese fantasma di G.M , 9 DICEMBRE 1989,Scienze e vita nuova
Nel secondo dopoguerra, poi questa divenne l’unica via possibile. Partirono per primi i capifamiglia, poi essi chiamarono gli altri. In pochi anni, Roccacaramanico si svuotò, praticamente si spense. I suoi figli si trapianatrono in Canada, negli Stati Uniti, soprattutto in Australia, gli “americani” vennero assorbiti dal nuovo ambiente, gli “australiani” no, rimasero tenacemente e ostinatamente roccolani, con tutte le loro passioni politiche, i rancori e le contrade. Nel nuovissimo continente popolarono due pesini dello stato di Victoria, dove subito, però rivissero gli antagonosmi, le piccole faide. I due paesi si chiamano Lilydale a Boxhill, sono separati da meno di 50 chilometri, ma a dividerli sono ancora una volta i ricordi, gli antichi spunti di rivalità. Comunque nel 1953 a Roccacaramanico c’erano ormai solo 15 famiglie. Pochi anni dopo, era un paese morto. Non completamente, però, giacchè conservava un’anima, Anzi, due. Le anime del paese morto erano infatti due anziani: Angiolina Del Papa, e Pasquale Di Julio, che ne ha 87. Lui però, da alcuni anni ha dovuto dichiarare forfait e accettare il ricovero invernale a Sant’Eufemia.
Anche Angiolina varebbe bisogno di cure, ma lei il paese non vuole lasciarlo. Nemmeno il terremoto dell’Irpinia riuscì a farel cambiare idea, terremoto o no, lei dal paese non si sarebbe mossa, le assegnarono dunque una roulotte, ma Angiolina non vi entrò nemmeno per vedere come fosse fatta. Angiolina in gioventù era stata un po’ chiacchierata, poi sposata e il marito era andato in Australia, ora è sola al mondo, dimenticata, forte, irrazionale,chiusa, un po’ ostile. Vive della pensione del marito, persone buone le procurano le poche provviste di cui ha bisogno, che però paga, non accetta regali. Per il resto si arrangia: perfino le cure mediche se le fa da sè. Naturalmente in queste condizioni di isolamento ad angiolina ne sono capitate tante. A parte i lupi, che d’inverno grattano alla sua porta, a parte i rigori dell’inverno montano, gli acciacchi e le difficoltà di sopravvivere in condizioni quasi primordiali, lei stessa è tipo che i guai se li va a ceracre. Come quella volta che, in pieno inverno, dovendo recarsi in un vicino paese, cadde in un torrente ghiacciato. Spesso trascorre le notti facendo la guardia alla chiesa o al cimitero, contro i saccheggiatori, ha sempre difeso il suo paese con i denti e con le unghie. Oggi Rocca, sta diventando una località turistica estiva, le sue case sono poche, antiche, in parte demolite, le rimanenti restaurate dai turisti. Ma d’inverno, Roccacaramanico torna ad essere il “paese fantasma”eccetto per un’anima, per questa vecchietta: Angiolina Del Papa.
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Ignazio Silone come Don Chisciotte di Maraini Dacia,11 AGOSTO 2001, Corriere della Sera
[…] Lo storico abruzzese Roberto Melchiorre ricorda che Silone era visto male dai marxisti perché anziché «liberare i contadini dalla loro condizione, voleva liberare la terra». Quindi, non spedire i «cafoni» a fare gli operai in città - come poi è successo con il conseguente abbandono del territorio - ma dare loro la terra con gli strumenti e l’ agio per coltivarla a modo loro. La nitidezza con cui Silone legge le differenze fra Nord e Sud del nostro Paese appare ancora oggi convincente: «Gli operai e i contadini poveri, messi alla prova, si comportarono onestamente. Perché? Negli operai e in genere nei lavoratori settentrionali era evidente l’ efficacia dell’ educazione socialista, diventata esigenza e costume di libertà, mentre la forza di resistenza dei contadini meridionali era sostanzialmente diversa. Estranei alla tradizione risorgimentale, disgustati dal cattivo esempio del trasformismo dei politicanti locali e scettici verso tutte le forme politiche, anche se democratiche, la loro coerenza rivoluzionaria era priva di ogni illusione utilitaria e aveva un fondo essenzialmente religioso. «Nella parte d’ Abruzzo in cui sono nato, non vi era una vera e propria vita politica[…]
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Navelli
Altopiano del risotto di Zanini Luca, 23 NOVEMBRE 2001, Corriere della Sera
C’ e’ un piccolo fiore lilla che negli ultimi trent’ anni ha permesso a pastori e contadini di una delle aree piu’ povere d’ Abruzzo di sopravvivere e a volte prosperare. E’ il Crocus sativus: un croco, uno di quei fiorellini che in montagna sbucano in ottobre e novembre fra le prime chiazze di neve. Ogni anno gli abitanti dell’ altopiano di Navelli, una trentina di chilometri da L’ Aquila, ne raccolgono circa 8 milioni. Una montagna di petali delicati tra i quali si cela il vero tesoro di queste terre sassose: lo zafferano. Anzi, il miglior zafferano del mondo. Raccolto e lavorato a mano: fiore per fiore, cento famiglie estraggono i pistilli che celano la spezia. Utilizzata non solo per il famoso “risotto alla milanese”. Un viaggio da L’ Aquila a Navelli, l tra antiche pievi, castelli diroccati e campi pettinati dall’ aratro, alla vigilia delle nevicate che renderanno percorribili le vicine piste da sci di Campo Felice, puo’ condurre alla scoperta di una delle coltivazioni piu’ singolari del centro Italia. Ad introdurla fu, nel XIII secolo, il monaco Santucci, che dalla Spagna era tornato al paese d’ origine,portando i bulbi .[…]
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domani Maiella
[…] Domenico Troilo aveva poco più di vent’ anni ed era un sottotenente reduce dall’ Africa: un giorno ritrovò fra le macerie della casa di famiglia, nel borgo di Gessopalena, il cadavere della madre uccisa dai tedeschi. La Resistenza in Abruzzo cominciò così, come reazione spontanea alla brutalità dell’ esercito nazista, che si era attestato saldamente nella regione e sottoponeva la popolazione civile a continui abusi. Ogni accenno di ribellione suscitava rappresaglie sanguinose. E ci furono anche eccidi gratuiti. Ettore e Domenico Troilo si misero alla testa degli abruzzesi ansiosi di riscatto, furono il comandante e il vicecomandante della formazione armata la cui vicenda è ripercorsa passo passo nel libro di Marco Patricelli I banditi della libertà . Erano solo 15 volontari il 5 dicembre 1943, tra i monti dell’ Appennino; giunsero in 1300 a Bologna. Ma alcuni si spinsero poi fino ad Asiago, dove stamane il sessantesimo anniversario della liberazione della città viene commemorato dagli ex partigiani veneti e abruzzesi. I combattenti della Maiella si erano dati alla macchia per difendere le loro case e le terre dov’ erano nati, ma quando l’ Abruzzo fu liberato, nel giugno 1944, proseguirono la guerra al fianco delle forze alleate. l reclutamento della Brigata era su base locale, ma il suo spirito era fieramente patriottico: la lotta non poteva interrompersi finché ci fosse stato un solo nemico in armi sul territorio italiano.
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Brigata Maiella, gli eroi riscoperti di Carioti Antonio , 11 MAGGIO 2005 ,Corriere della Sera
Le imprese della Maiella non sono state celebrate quanto avrebbero meritato, si trattava di una formazione non politicizzata. Proprio da alcuni partigiani della Maiella era stato accolto il giovane ufficiale Carlo Azeglio Ciampi nel 1944, quando raggiunse le linee alleate fra i monti dell’ Abruzzo.[…]Fa male pensare adesso alla parola che più associavo all’ interno dell’ Abruzzo, alla bellissima città dell’ Aquila, alle sue frazioni, ai borghi antichi, al paesaggio naturale che la circonda. La parola era: intatto. Almeno considerato come contraltare alle brutali edificazioni della costa adriatica trasformata in un unico serpentone di seconde case, o alle valli piene di centri commerciali e case nuove tirate su come si sa.
Anche questa è geografia d’ Abruzzo: le piccole americhe dei grandi centri commerciali, del megacinema, l’ orribile moderno; e la sostanza agricola, contadina e anzi montanara del capoluogo, tra il Gran Sasso e i parchi nazionali più selvaggi del Paese, ma con il suo cuore d’ arte. Facce, anche, geografia umana. E facce anziane soprattutto. Eppure quelle facce, queste facce, sono anche loro, com’ era il centro del centro d’ Italia, in qualche modo intatte. Magnificamente intatte. Nel senso di non corrotte, dure, forse. Facce d’ Abruzzo, gente di terra, legata alla terra, che pure il mondo l’ ha percorso in lungo e in largo, ma che di terra riconosce solo quella. Una patria generosa protetta dalla distanza. 99 piazze, 99 fontane, 99 chiese, questo si diceva de L’ Aquila, accettandone quell’ essere intatta. Come quelle facce che guardano dritto, senza una lacrima, nel giorno del dramma.[…]
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Castelbasso
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DAL NOSTRO INVIATO. CASTELBASSO (Teramo) - Strade che corrono fra le montagne più alte del Centro Italia. E poi giù per le colline che digradano verso l’ Adriatico. Piccole arterie intercomunali che si snodano tra i filari ordinati delle vigne già cariche di rossi grappoli. E campanili, borghi arroccati e case coloniche, isolate sul culmine di un colle. L’ aria inconfondibile dei monti che si mescola alle brezze marine. Un viaggio nella provincia di Teramo, appena due ore d’ auto da Roma, è occasione per scoprire paesaggi incontaminati e godere del clima temperato di queste verdissime zone. Ma non c’ è solo questo nelle fertili terre del Settentrione d’ Abruzzo. Musica, poesia, letteratura, arti visive, spettacoli etnici e comici: sono i temi che si intrecciano nella manifestazione Castelbasso Progetto Cultura, iniziata sabato scorso nel piccolo borgo-galleria, che domani inaugura la sezione dedicata ai «recital di versi e musica» e fino al 28 agosto ospiterà eventi di ogni genere.
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Arte e vino nel borgo antico di Zanini Luca , 15 LUGLIO 2005 ,Corriere della Sera
Castelbasso, un paesino dell’ XI secolo che d’ inverno conta solo 80 abitanti, è affolato ogni sera di turisti provenienti dagli agriturismi sulle colline come dagli alberghi in riva al mare per seguire il suo ricco calendario. Fra le antiche case, le atmosfere medievali sposano l’ arte contemporanea e d’ avanguardia: Progetto Cultura dedica questa edizione alla figura, all’ insegnamento e all’ eredità di Lucio Fontana. L’ italo-argentino, in Italia dal ‘ 47, «è stato insieme a Burri l’ espressione più alta e autorevole della ricerca artistica italiana nota Ottaviano Del Turco, neo presidente della Regione Abruzzo - in un mondo dominato dall’ irruzione della grande ondata newyorkese dei Pollock, Rothko, De Kooning». […]Letteratura, con una kermesse poetica cui partecipano 24 poeti da tutto il mondo.
Nuovi gruppi italiani - anche etnici - e nuovi comici animano le notti di musica (stasera Cuore a nudo, domani i Masquèra) e cabaret in piazzetta Arlini, nel cuore del borgo, secondo il calendario studiato dall’ Associazione Amici per Castelbasso (vedi www.castelbasso.org). E c’ è spazio anche per il gusto e la conoscenza delle delizie del territorio. Nella sezione Enogastronomia (a cura di Massimo Di Cintio) si è appena concluso il primo mini corso sul Montepulciano d’ Abruzzo Colline Teramane - nuova Docg che già riscuote grande apprezzamento fra gli esperti di vini - e il 21 cominceranno le serate incontro (ogni giovedì) per permettere al grande pubblico di conoscere e degustare alcune fra le circa 50 etichette del Consorzio di tutela: grandi vini ormai in grado di competere con Baroli e Supertuscans. Insieme agli altri sapori della terra abruzzese: formaggi di montagna (il 12 agosto, giornata dedicata ai pastori d’ Abruzzo), pasta artigianale, carne di pecora, […]
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“Una legge per i piccoli comuni. Così l’Italia potrà ripartire” di Lucio Cillis, La Repubblica, 17 MAGGIO 2006
Ci sono quasi seimila piccole realtà pronte a far ripartire il motore ingolfato del nostro Paese. Seimila comuni con meno di 5mila residenti che diventano i protagonisti del rilancio dell’ Italia, grazie alla prima proposta di legge che si prefigge di «promuovere e sostenere, le attività economiche, sociali, ambientali, culturali esercitate nei piccoli comuni e di tutelare il patrimonio». In pratica valorizzazione dei prodotti agroalimentari tradizionali, interventi per lo sviluppo, incentivazione alle attività commerciali e all’ insediamento nei piccoli comuni.
L’ iniziativa - sotto l’ Alto Patronato del Presidente della Repubblica - sarà accompagnata domenica prossima dal terzo appuntamento con “Voler bene all’ Italia”, una vera e propria festa nazionale dei piccoli comuni organizzata da Piccola Grande Italia, Legambiente e da numerose altre associazioni ed enti. Cuore della manifestazione sarà un paesino dell’ Abruzzo in provincia dell’ Aquila, Castel del Monte, Capitale d’ Italia per un giorno per sottolineare «l’importanza dei piccoli comuni, di quell’ Italia minore solo per dimensione anagrafica, visto che rappresenta il 72 per cento dei municipi italiani. Piccoli centri, dove spesso si ritrovano le radici della nostra competitività».
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La strada corre dritta nella piana riarsa. Pietre calcaree affiorano dai campi arati tra antiche pievi, castelli diroccati e case sparse. I monti intorno sono già imbiancati. E fra cespugli rossi di bacche della rosa canina e ciuffi d’ erba spunta qualche piccolo fiore lilla: sono i pochi Crocus sativus scampati alla meticolosa raccolta di fine ottobre. Muti testimoni di una risorsa che ha reso famose nei secoli queste terre brulle a trenta chilometri da L’ Aquila: lo zafferano. Siamo sull’ altopiano di Navelli, da alcuni ribattezzato con sintesi riduttiva l’ «altopiano del risotto». Eppure c’ è ben più del risotto negli orizzonti dei contadini che con fatica coltivano ancora i fiori dell’ «oro rosso». Lo zafferano è un prodotto prezioso e quello di Navelli è unico nel suo genere. Il più pregiato al mondo, dicono i puristi della cucina delle spezie.
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Navelli
E almeno sotto il profilo economico nessuno può negarlo: quest’ anno il prezzo è cresciuto dai 7 ai 9-10 euro al grammo; 9-10 mila euro al chilo, più del tartufo. Vabbene che per fare un chilo di zafferano ci vogliono i pistilli di 200-230 mila crocus, estratti a mano, un fiore dopo l’ altro, dai pazienti abitanti della piana. Ma il compenso vale la fatica. E anche la lavorazione: fino a pochi giorni fa un centinaio di famiglie di Navelli e Civitaretenga passavano i pomeriggi chine sui tavoli di marmo, nelle grandi cucine scaldate dai camini su cui viene essiccato il fiore, a estrarre il loro tesoro da montagne di delicati petali. Sono trent’ anni che pastori e contadini sopravvivono in queste terre povere grazie allo zafferano. Eppure c’ è stato un periodo in cui il crocus ha rischiato era stato,di scomparire dall’ altopiano. A portarcelo nel XIII secolo, il monaco Santucci, dominicano inquisitore al Tribunale di Toledo, originario di Navelli.
L’oro rosso di navelli di Zanini Luca, 24 AGOSTO 2006, Corriere della Sera
Dalla Spagna aveva contrabbandato i bulbi del prezioso fiore. Cent’ anni dopo la produzione locale era già rinomata nel mondo come «Zafferano dell’ Aquila». La spezia era così preziosa che con le gabelle sul suo commercio si pagò la costruzione della basilica di San Bernardino (1454) a L’ Aquila. Ma se nel 1890 la raccolta di zafferano di Navelli era arrivata a 40 quintali di pistilli (in Italia se ne consumano oggi 100 quintali l’ anno), gli anni 60 segnarono il tracollo: rovinati dall’ import di zafferano di bassa qualità dal Nordafrica, tremila contadini aquilani abbandonarono la coltura.
Nel ‘ 71, la rinascita, con la fondazione della Cooperativa Altopiano di Navelli. Eppure ancora oggi i giovani di Navelli non ne vogliono sapere: «L’ età media dei soci è di 55 anni. Qui, a 800 metri di altitudine, il crocus sativus ha trovato un habitat ideale e da esso si ricava il migliore zafferano del mondo con cui i ristoratori locali impreziosiscono i piatti . Il segreto sta anche nella tecnica di coltivazione. Mentre altrove i bulbi del crocus vengono coltivati perennemente, a Navelli ogni anno, in agosto, i bulbi vengono cavati e selezionati e reimpiantati. Tra ottobre e novembre, lo zafferano fiorisce. Si raccolgono uno a ad uno gli stimmi di colore rosso acceso. Per produrre un chilo di zafferano servono circa 200 mila fiori e cinquecento ore di lavoro manuale. Gli stimmi, per potersi conservare, vanno essiccati sulla brace e si riducono a un sesto del loro peso originario, poi macinati e ridotti in polvere. Il migliore è comunque quello che resta sotto forma di stimmi interi, e costa al dettaglio circa nove euro al grammo, da qui «oro rosso».
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Castel del Monte
I versi di Alda Merini tra le valli d’Abruzzo di De Leo Carlotta ,21 APRILE 2009, Corriere della Sera
Prosegue anche questo fine settimana il Festival di Castelbasso Progetto Cultura, organizzato nell’ antico borgo abruzzese dall’ Associazione Amici per Castelbasso. Con un appuntamento d’ eccezione. Oggi, nella sezione di letteratura salirà sul palco la straordinaria poetessa Alda Merini. la Merini si confronterà, in un recital poetico, sul tema «La Luce e l’ Ombra» nella poesia contemporanea. L’ incontro si concluderà con un omaggio musicale di Giovanni Nuti con musiche tratte dai testi di Alda Merini.
Musica colta anche domani, quando sul palco di Castelbasso si esibiranno alcuni i jazzisti. Ma Castelbasso è anche spettacoli ed enogastronomia. La rassegna giunta alla sua penultima settimana con 35 mila visitatori (7 mila solo per la bella mostra di Mario Schifano) propone per domenica 20 Andrea Rivera, cantastorie romano a metà strada tra Belli e Gaber, che presenterà il suo spettacolo «Prossime aperture»: mix di sagace satira politica, costume, poesia colta e allegria popolare con lo scopo di far ragionare e divertire allo stesso tempo, un pubblico il più vasto possibile. Poi seguirà una giornata dedicata ai sapori: martedì 22 appuntamento con l’ enogastronomia a cura di Massimo Di Cintio, per conoscere i prodotti del territorio abruzzese.
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Montesilvano
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LA GUERRA DEGLI ANTO’
di Riccardo Milani (1999)
Perché sono contro: contro il cemento che devasta la costa, contro una guerra che gli soffia sul collo (Iraq 1991) e da cui si può solo scappare... e allora gridano “E-mo’-basta” (il nome della loro fazione). Perché si muovono un po’ storti, e con scarpe troppo grosse, in giro per l’Europa, o sul lungomare vicino a casa. Camminano a tempo delle musiche zingare degli Avion Travel, spinti da quel coraggio della disperazione che travolge i personaggi di Kusturica..
Lu Malatu, Lu Zombi, Lu Zorru e Lu Purk sono bellissimi. Da Montesilvano, Pescara, buco del culo del mondo, i quattro Antò arrivano dritti al cuore. Perché hanno facce potenti, che sembrano uscite da un fumetto di Pazienza. Perché hanno creste celeste metallizzato e giubbotti di pelle, ma sono lontani dal nichilismo “No Future” del punk inglese: vogliono essere travolti dal troppo vivere per uscire da quello che chiamano “il disumano vuoto pescarese”.
[..] esce nelle sale (poche e “scomode”) “La guerra degli Antò”. Questo piccolo film che parla abruzzese stretto, scoprendo un’ignorata (dal cinema, dalla tv) realtà di provincia e dei veri attori/non-attori reclutati nelle Arci della regione, rischia di passare inosservato, di scomparire. Riuscirà Donatella Raffai a ritrovarlo, proprio come fa nel film con Lu Purk (trasformando Chi l’ha visto? in una sagra paesana)? Forse il film é fuori moda come i punk, forse degli Antó non gliene frega niente a nessuno, ma - come dice Lu Malatu - “se ci scancellano a noi, cosa resta di Montesilvano?”. E cosa dell’attuale cinema italiano? la Repubblica (26/10/1999) Roberto Nepoti
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domani Colli Frentani
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Documentario_NA VOTE E MOâ&#x20AC;&#x2122; di Ottavio di Paolo_ITALIA 2008
SINOSSI: Aneddoti di persone dei Colli Frentani dove stenti e fatiche, ma anche gioie e candore, ne hanno scandito per lungo tempo la vita.
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Santâ&#x20AC;&#x2122; Omero
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Documentario_LE CHIAVI PER IL PARADISO di Caterina Carone_ITALIA 2007
SINOSSI: Le chiavi per il paradiso è un improbabile viaggio alla ricerca di qualcosa in cui credere. Ed è proprio nel luogo delle sue origini, Sant’Omero minuscolo paesino abruzzese, che la regista decide di fare questo tentativo. Eroi inconsapevoli della sua infanzia: Creola, Leandro ed Angelo, rispettivamente di 77, 89 e 68 anni, tra loro diversissimi, si ritrovano così ad essere i ciceroni di questa ardua e surreale ricerca
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Documentario_IL DIAVOLO INVENTò LA VANGA di Caterina Carone_ITALIA 2007
SINOSSI: Nell’arco delle stagioni - dalla primavera all’inverno – la vita dell’uomo dei campi e di una civiltà ormai perduta: gli usi, i costumi, i lavori, i canti tradizionali, i riti, le credenze, le storie e le feste.
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CAPITOLO 4 il serparo
L’ultimo personaggio della narazzione del territorio abruzzese è un serparo. Il serparo è un semplice ragazzo o contadino locale che il primo giovedì di Maggio si trasforma nel protagonista di un rituale magicoarcaico che si perpetua in Abruzzo da secoli. La figura del serparo è assunta come emblema della forte identità religiosa, a tratti pagana, di questa regione. Il Serparo è un protagonista fondamentale per il suo contributo nella tradizione del rito arcaico, che perpetua il calendinaggio cocullese. Il serparo come portavoce degli ultimi abitanti dei borghi abbandonati abruzzesi che non abbandonerebebro mai la propria casa come la propria chiesa. Il serparo come sintesi metaforica delle credenze popolari tanto radicate in Abruzzo. Questo personaggio racconta contemporaneamente il timore e il rapporto mistico degli abtanti con la natura, narrando gli aspetti magico- religiosi di una cultura subalterna abruzzese. Il Rito dei Serpari, come manifestazione al confine tra contenuto religioso e pagano, ebbe inizio nel dodicesimo secolo.Le prime documentazioni storiche sulla festa di S. Domenico a Cocullo risalgono al 1392, mentre intorno al 1500 è già possibile dire con certezza che il giorno della festa era anche allora il primo giovedì di maggio. Oggi il serparo è un ragazzo o un contadino qualsiasi, che nella caccia alle serpi esprime con naturalezza l’agilità e la forza della gente dei campi. La grande giornata del Rito dei Serpari inizia alle prime luci dell’alba con l’arrivo delle compagnie di pellegrini provenienti da quei luoghi dove il culto del Santo è più profondo: Campania, Molise e Lazio.
E’ un momento di alta tensione umana. Donne, uomini, vecchi giovani costituiscono la testimonianza più viva dei significati attuali del rito tra i quali, appunto, quello del recupero della identità sociale e antropologica smarrita. In piazza la commistione tra sacro e profano raggiunge il culmine. I fedeli, a turno, addentano la catena di una piccola campana facendola suonare. Questa usanza secondo la tradizione, ha il potere di preservare dal mal di denti. Intanto la piazza è il luogo dove sostano i serpari i quali, in attesa della processione, esibiscono orgogliosamente grappoli di serpi che sono riusciti a catturare. I serpari sono per lo più giovani sui trenta anni e bambini intorno ai dieci anni. A Mezzogiorno in punto la Processione, il clou della giornata; dal Santuario di San Domenico, la statua del Santo esce portata a braccia, appena uscita viene adagiata sul sagrato dove i serpari la “inghirlandano” con le serpi più grosse intorno al collo ed alla testa del Santo. Terminata la festa, i rettili - che un tempo venivano uccisi - vengono riportati nei campi. La presenza del serpente nei riti religiosi di questa zona è molto antica ma le origini della figura del serparo sono forse da ricercare nel “ciarallo o ceraulo”, un personaggio assai diffuso in età tardo medioevale, figura sacrale che incarnava una sorta di mago. Oggi, scomparso l’elemento magico rituale e passata l’identificazione con contadino ed il pastore, tutti, prevalentemente i giovani, si dedicano alla cattura dei rettili.
capitolo 1_IL PASTORE
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domani Cocullo
capitolo 4_IL SERPARO
VIAGGIO IN ABRUZZO_I MARSI, INCANTATORI DI SERPENTI di Richard Keppel Craven_1831
“ Spero che non sia ritenuta un esagerazione frivola a favore della loro identità osservare che gli attuali abitanti di questa regione pretendono di possedere lo stesso occulto potere dei loro antenati: incantare i serpenti velenosi e renderli innocui. In moltissimi luoghi del regno di Napoli si possono vedere occasionalmente carri che trasportano scatole piene di serpenti di ogni specie e colore, che i marsicani mostrano alla folla intenta a guardare; nello stesso tempo, questi offrono, molto a buon mercato, il modo di rendere gli spettatori invulnerabili ai morsi dei serpenti. “ “ L’operazione richiesta per assicurarli contro il veleno dei serpenti per l’avvenire consiste in un leggero graffio alla mano o al braccio fatto dal dente di una vipera, privata del suo veleno, poi nell’applicare una pietra misteriosa alla puntura e infine nel dare all’interessato un‘immagine di San Domenico di Cocullo con una preghiera.” [...]
capitolo 4_IL SERPARO
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domani Cocullo
“La sequenza centrale resta la processione, nella quale la statua di San Domenico, circondata da serpenti all’uscita della chiesa, viene portata su base lignea a quattro stanghe: come in molti altri centri abruzzesi i portatori, in numero di quattro, hanno vinto all’asta il diritto di reggere le stanghe. La statua è preceduta dal clero locale, dalla banda e da ragazze che cantano l’inno composto da Marchione. Le compagnie arrivano in corriere, si ordinano a file di tre, con separazione sessuale dei maschi, che precedono, dalle donne che seguono. La fila processionale è preceduta da una croce, spesso adornata con grandi ciuffi di fronde e di fiori e dagli zampognari, quando la compagnia ha procurato la loro partecipazione”... “Seguono due ragazze in costume che reggono sulla testa le ceste in cui sono i ciambelli o pani rituali. I ciambelli sono cinque e vengono preparati e cotti nel forno comunale da alcune donne specializzate. Questo cibo rituale esprime probabilmente una simbologia di fecondità, con riferimento alla forma (ostio vaginale) e alla stanga cui sono apposti. La processione esce dalla chiesa a mezzogiorno e attraversa il paese, per sostare ai limiti di una breve vallata all’estremità della quale vengono sparati botti e accesi fuochi d’artificio”...
capitolo 4_IL SERPARO
GLI ASPETTI MAGICO RELIGIOSI DI UNA CULTURA SUBALTERNA ITALIANA di Alfonso M. di Nola, Bollati Boringhieri 1972
“I serpenti appaiono in due aspetti diversi della festa. Nella folla numerosi giovani esibiscono e portano in mano o al collo viluppi di serpenti che sono toccati dai presenti e che sono insieme oggetto di contrattazione e di vendita. Il secondo momento è quello della processione, quando la statua del santo viene circondata da serpenti. Sussiste nella memoria degli intervistati il costante riferimento al serpente come al rettile pericoloso e malefico che attenta , quando è velenoso, alla vita umana e, quando è innocuo, succhia il latte delle donne, delle pecore, delle capre e delle mucche”... “Con la saliva dei serpenti i serpari curano le morsicature. Essi uccidono anche i serpenti per preparare antidoti contro i veleni, che poi vendono. I serpenti, dopo che sono stati strappati loro i denti, vengono conservati al fresco, posti in vasi e messi sotto terra, con una piccola apertura”... “Durante la festa emerge una conflittualità fra timore e familiarità con i serpenti. Le risposte degli intervistati sono indicative: «Si toccano i serpenti perchè solo oggi, nella festa sono innocui», «I serpenti si offrono al santo», «Se un serpente morde un animale o un uomo non si deve uccidere, perchè si provocherebbe la morte dell’animale o dell’uomo aggrediti»”...
capitolo 4_IL SERPARO
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capitolo 4_IL SERPARO
LE FRONTIERE INVISIBILI_LO CHIARO E LO FUSCO di Gianni Oliva, Bulzoni editore_1982
“ Del carattere prevalentemente religioso della cultura abruzzese fanno fede testimonianze antichissime che risalgono alla prima diffusione del Cristianesimo. Da Roma la nuova dottrina penetrò a raggiera nei territori limitrofi e tale penetrazione fu facilitata dalle frequentatissime strade di comunicazione e di commercio, in particolare dalla via Valeria, che raggiungeva il cuore dell’Abruzzo. “ [...] “ La grande figura di Celestino, l’eremita del Morrone, assurge in seguito a simbolo di una condizione esistenziale facilmente estensibile alla gente abruzzese e al suo vivere la religione, fuori da ogni schematismo dottrinario o complicazione teologica, improntandola ad una semplicità o, se si vuole, anche ad una rozzezza di modi che si rivela << genuina, ma non ingenua (…) frutto di una coraggiosa scelta cristiana>>, imparentata alla primitiva condizione evangelica. “ […] “ Nonostante la conformazione orografica e le grandi vallate che lo percorrono, caratteristiche fisiche che farebbero pensare ad una naturale chiusura verso l’esterno, l’Abruzzo non può mai dirsi territorio isolato; la posizione geografica centrale ne fa invece una regione di passaggio obbligato delle comunicazioni verticali e orizzontali della penisola. Vi consegue che i movimenti vi penetrarono facilmente e rapidamente. “ […]
capitolo 4_IL SERPARO
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ABRUZZO ( da Testi volgari abruzzesi del duecento) di Gianni Oliva, Carlo De Matteis, ed. La Scuola1986
LAMENTAZIO BEATE MARIE DE FILIO Ore plangamo de lu Siniore, De Iesu Christo lu Redentore, Con alta voce per grande amore, Piçuli et grandi, tutti, per core. Pro nui tradutu fo e immartoriatu. Tradiulu Iuda dèlu a Ppilatu. Oi me tapinu, ke reu mercatu! [...] Poi fo menatu em monte Calvaru, Tuti Iudei là xe assemblaru, La vestementa soe li spoliaru Et am gran tortu lu condendaru. Su ne la croce fo clavellatu Et de le spini fo coronatu Et de la lança feruru au latu Oi me tapinu, ke gran peccatu! [...]
Ore pregimo l’altu Siniore, Ke de lu mundo è rredemptore, Quillu ke benne na passione Ka le peccata nostre perdone. [...] Su de la croce scì fo posatu L’altu Siniore nostru beatu; Sancta Maria scì l’à ‘ braçatu E ttuttu quantu scì l’à vasatu: “Or me favella, dolce meu amore, Maritu et filiu et patre et siniore. Or so feratu scì nde lu core Ke sempre moro de lu dolore” [...]
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domani Cocullo
capitolo 4_IL SERPARO
In diecimila a Cocullo per la festa dei serpari 6 MAGGIO 2004 , Corriere della Sera
Sono attese oltre diecimila persone oggi a Cocullo per la tradizione Festa dei Serpari, che si tiene ogni primo giovedì di maggio. Il piccolo centro rinnova il rito dei serpari e di San Domenico in una processione unica al mondo nel suo genere. La festa ha origini antichissime che si riallacciano ai riti precristiani locali: i Marsi coltivavano l’ arte di incantare i serpenti. All’ epoca della Roma Repubblicana era si venerava la dea Angizia protettrice contro i morsi dei serpenti. Con l’ avvento del Cristianesimo fu sostituita San Domenico.
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“In un piccolo centro a ridosso della vergine montagna abruzzese si annuncia la chiusura del locale stabilimento produttore di pneumatici decisa dalla casa madre americana. Succede tutto quello che deve succedere. Ci si stringe nella protesta e nella solidarietà, nella difesa di quanto la fabbrica - tossica fonte di morte, luogo di identità e di orgoglio di classe.” Paolo D’Agostini_La Repubblica
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IL POSTO DELL’ANIMA
di Riccardo Milani (2003)
“- fammu nu cafè va’- l’orso si è visto?- il macellaio di Benaco dice di averlo visto due sere fa, a ridosso del paese... non te l’assicuro però eh, lo sai come sono questi di Benaco...brutta gente: bugiardi e perfidi...Qua sai che si dice? Si dice che a fare sto brutto scherzo dei licenziamenti sia stato proprio uno di Benaco...Il procugino della moglie di Mario, pare sia stato lui a farvi licenziare, Gerardo Colafossi, dei Colafossi di Benaco, questo Gerardo si è laureato e se n’è andato a studiare in America 10 anni fa, lì è diventato un dirigente della Carair, e si dice che sia stato proprio lui a tagliare lo stabilimento di Campolaro... - e perchè? - Quelli di Benaco lo sai come sono, vendicativi! Le ossa di Santa Gemma, la patrona nostra, si dice che appartengano solo a loro...e non hanno ancora accettato che dopo settecento anni le reliquie della santa tornino qua da noi... -”
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Abruzzo
? CONCLUSIONI TERRA Documentario_PECORE VERGINE NERE Le nostre domande, le nostre aspettative
Torneranno a vivere questi borghi? Riusciranno a convivere tradizioni, nuovi stili di vita, turismo e rispetto per l’ambiente? L’Abruzzo regione poco conosciuta e trascurata dai classici percorsi turistici, abbiamo cominciato a scoprirlo attraverso documentari, film, articoli, immagini, libri di diversi autori e epoche, attraverso molteplici racconti... Ci siamo create un’idea di terra affascinante, ma difficile da scoprire e vivere, forse anche per la sua conformazione geografica, tra monti e vallate, che separano il mare dalla terra creando microcosmi distinti, lontani. La parola che viene spontaneamente da associare all’ interno dell’ Abruzzo, alle sue tradizoni, alle sue frazioni, ai borghi antichi, al paesaggio naturale che la circonda, la parola é: INTATTO. Un Abruzzo aspro e isolato, come contraltare alle brutali edificazioni della costa adriatica trasformata in un unico serpentone di seconde case e di centri commerciali. Immaginiamo questa geografia d’ Abruzzo: da un lato i grandi centri commerciali, i megacinema, dall’altro la sostanza agricola, contadina e anzi montanara stretta tra il Gran Sasso e i selvaggi parchi nazionali. I racconti raccolti descrivono geografia, ma soprattutto facce, facce anziane e solitarie. Facce che ci aspettiamo di incontrare nei borghi e che ci possano racconatare con le loro parole e nei nostri scatti fotografici com’ era e com’è questa “remota” regione del cento d’ Italia, in qualche modo ancora intatta, rimasta incorrotta dal tempo.
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BIBLIOGRAFIA ARTICOLI DI GIORNALE: Pazzi per le pecore su Internet, Pubblicato il 19 novembre 2000 Corriere della Sera, Autore: Farkas Alessandra I sentieri del Terminillo per l’antica transumanza, Pubblicato il 3 agosto 2004 Corriere della Sera, Autore: De Leo Carlotta Terminillo, la lunga marcia delle greggi, Pubblicato il 9 agosto 2003 Corriere della Sera, Autore: Vecchiarelli Valerio, Stracca Roberto L’ altopiano del risotto, Pubblicato il 23 novembre 2001 Corriere della Sera, Autore: Zanini Luca Bianchi cani d’Abruzzo, Pubblicato nel febbraio 1991 Airone, Autore: D.M Slatko pastore d’Abruzzo, Pubblicato il 5 aprile 2002 La Stampa, Autore: G.L L’ultima anima del paese fantasma, Pubblicato il9 dicembre 1989 Scienze evita nuova, Autore: G.M
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