INSOSPETTABILI BURATTINAI MUOVONO DA SEMPRE I FILI DELL’ESISTENZA UMANA
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INSOLITO E FANTASTICO ROBOT E ANDROIDI
La psicologa Arsha Niversen è incaricata di far luce sulla scomparsa dello scienziato Langhan, consapevole che da lui dipendono molti destini.
Non ultimo, quello della Terra...
Asciuti Bordoni Bosica Coco Fossati Gallo Gramantieri Panella Pestriniero Runcini Vietti Zandel
1/2009 I N S O L I T O & FA N TA S T I C O
ROBOT E ANDROIDI
Rivista dell’Insolito e del Fantastico diretta da Carlo Bordoni Anno I / n. 1 / Settembre 2009 Periodico
trimestrale
Supplemento ad “ABRUZZOpress” n. 212 del 24 Giugno 2009 Registrazione presso il Tribunale di Chieti n. 1/1981 Direttore Responsabile: Marino Solfanelli Diffusione e Amministrazione: Via A. Aceto, 18 - 66100 Chieti Tel. 0871.63210 / 0871.561806 Fax 0871.404798 / Cell. 335.6499393 Corrispondenza Diffusione e Amministrazione: rivistaif@yahoo.it Direzione e Redazione: direzioneif@tiscali.it Internet: http//www.insolitoefantastico.blogspot.com Una copia Euro € 8,00 - Abbonamento a 4 numeri: Euro€€ 30,00 Per acquisti e abbonamenti: versamento sul c/c postale 68903921 oppure IBAN: IT35 H076 0115 5000 00068903921 Intestati a Gruppo Editoriale Tabula Fati Librerie dove trovare la rivista: http//www.insolitoefantastico.blogspot.com/2009/01/librerie.html In copertina: “Il sistema riproduttivo” di Franco Brambilla © 2009 Logo di “IF” grafica di Piero Orsi Copyright © 2009 Gruppo Editoriale Tabula Fati
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SOMMARIO 1/2009 Copyright © 2009 Tutti i diritti riservati EDITORIALE Una nuova rivista sul fantastico Romolo Runcini, Il fantastico e l’immaginario del nostro tempo
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SAGGI L’uomo e il suo doppio: Robot e Androidi Domenico Gallo, Lunga vita alla nuova carne Riccardo Gramantieri, La letteratura cyborg di W. Burroughs e K. Acker Carlo Bordoni, Karel Capek: Il primo robot non si scorda mai Giuseppe Panella, Sulla tecnologia e il suo feticcio. Ipotesi su Crichton Alessandro Vietti, Isaac Asimov e le leggi della robotica Asimov: il sogno dei robot genera mostri Francesco Galluzzi, Robot e spettri in Fritz Lang
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FICTION Renato Pestriniero, A sua immagine e somiglianza Andrea Coco, Scrivete a Donna Cibernetica Alessandro Vietti, Daneel Vincenzo Bosica, Capsule
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RASSEGNE Riccardo Gramantieri, L’auto-uomo di J. G. Ballard Diego Zandel, Intervista a J. Gomez Jurado Franco Fossati, Il fantastico e la fantascienza nei fumetti Ricordo di Franco Fossati (1946-1996)
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VISTI & LETTI Dei modi per liberarsi dei libri (Carlo Bordoni) Il futuro è una scienza rigorosa (Giuseppe Panella) Armageddon: l’eterna battaglia (Claudio Asciuti) Un’estate di sangue per lo sbarco sulla Luna (Claudio Asciuti) Le vele di Astrabat (Renzo Montagnoli) Antidoti umani. Il rimedio nel male (Giuseppe Panella) A volte ritornano... La fantascienza dei padri fondatori (Giuseppe Panella)
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3 Bordoni Coco Gallo Gramantier i Panella Pestriniero
Runcini Vegetti Vietti Zandel
S
ì, una nuova rivista sull’insolito e il fantastico. Un’idea forse un po’ démodée in tempi di comunicazioni virtuali, blog e digitali. Un ritorno alla cara e vecchia carta stampata che, se da un lato fa tenerezza, è comunque una conferma dell’interesse per la produzione letteraria artistica e visiva non mimetica che si avverte nella nostra cultura e che è percepibile in molta parte della produzione cinematografica e televisiva, come nel successo della narrativa di genere distribuita principalmente in edicola. If, che si richiama con tutta evidenza alla tradizione del fantastico dei “pulp magazines” americani (la prima If si fuse con la mitica Galaxy nel 1974: chi scrive esordì nell’edizione italiana pubblicata dalla Tribuna di Piacenza nel lontano 1964), vuole essere un punto di riferimento per la riflessione in questo campo, con particolare attenzione all’apporto critico, ma non escludendo per questo la fiction. Una rivista sul fantastico non può prescindere dalla presenza di Romolo Runcini, forse il massimo studioso del settore, che fino a poco tempo fa ha diretto un’analoga rivista, “Labirinti del Fantastico” (Pellegrini Editore),
ROBOT E ANDROIDI
INSOLIT
1/ 20 09
O & FA N TA S
TICO
di cui sono usciti solo i primi tre numeri. Di Runcini pubblichiamo in questo primo numero, a titolo programmatico, un intervento tratto dal suo Abissi del reale, in corso di pubblicazione. Un particolare ringraziamento va all’editore di If, Marco Solfanelli, che ha promosso questa coraggiosa iniziativa con entusiasmo e brillante intuizione. Del resto Solfanelli ha alle spalle una solida esperienza e un’attenzione costante per il fantastico, e If non poteva trovare un mecenate migliore. Tutto questo dovrebbe, nelle intenzioni nostre e dell’editore, favorire un ritorno al piacere della lettura: un piacere che non si è perso, ma solo affievolito. Per arricchire ulteriormente la sua proposta, If sarà dedicata, di volta in volta, a un tema monografico specifico, attorno al quale ruoteranno gli interventi critici e i contributi narrativi (ma non le rassegne e le recensioni, per ovvii motivi). Per i primi quattro numeri gli argomenti sono stati individuati in altrettante tematiche di ampio interesse: Robot e androidi, Oltretomba, Ucronia e Altrimondi. Con questo non intendiamo certo esaurire lo spettro degli argomenti, ma solo muovere i primi passi in un mondo tanto vasto, quanto affascinante. Buona lettura!
Una nuova rivista sul fantastico
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Romolo Runcini
Il fantastico e l’immaginario del nostro tempo
C
ominciando con il fantastico non si può non confrontarsi con un importante testo critico di Todorov, Introduction à la littérature fantastique (1970) in cui si danno in modo sistematico le coordinate ermeneutiche e stilistiche di questo filone narrativo. Dopo aver opportunamente rintuzzato il criterio tassonomico e astorico adottato da Northrop Frye nella classificazione dei generi letterari, venendo al cuore dell’argomento Todorov sostiene: “Il fantastico è l’esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi naturali di fronte a un avvenimento apparentemente soprannaturale. Il concetto di fantastico si definisce quindi in relazione ai concetti di reale e di immaginario”.1 Ma lo studioso rientrando nel testo specifica poi, lungo un attento esame dell’ inquietante libro di Jan Potocki, Il manoscritto trovato a Saragozza (1805), come il racconto fantastico debba ottemperare alle istanze narrative e stilistiche del proprio genere, accettare servitù e divieti imposti alla fabula per mantenere trame e personaggi
nelle linee di snodo del modello prescelto. “Adesso siamo in grado di precisare e di completare – scrive Todorov – la nostra definizione del fantastico. Esso esige che siano soddisfatte tre condizioni. In primo luogo occorre che il testo obblighi il lettore a considerare il mondo dei personaggi come un mondo di persone viventi e a esitare tra una spiegazione naturale e una spiegazione soprannaturale degli avvenimenti evocati. In secondo luogo anche un personaggio può provare la stessa esitazione: in tal modo la parte del lettore è per così dire affidata a un personaggio e l’esitazione si trova ad essere, al tempo stesso, rappresentata, diventa cioè uno dei temi dell’opera… È necessario infine che il lettore adotti un certo atteggiamento nei confronti del testo: egli rifiuterà sia l’interpretazione allegorica che l’interpretazione poetica. La prima e la terza condizione costituiscono veramente il genere; la seconda può non essere soddisfatta. Tuttavia la maggior parte degli esempi le rispettano tutte e tre”.2 La tesi di Todorov è chiara: il fan-
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SAGGI
L’uomo e il suo doppio
Franco Brambilla, Copertina per "Pianeta Proibito" di W.J.Stuart, Urania collezione 035
Robot e Androidi
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e storie di robot sono ormai una costante nella fantascienza. Sotto forma di servomeccanismi computerizzati o di androidi, veri eredi di Frankenstein, sempre più simili all’uomo, in una singolare ricerca del suo doppio, i robot hanno subito un’evoluzione non solo fisica, ma anche per cosi dire morale. II termine robot nasce col
dramma R.U.R. (1920) di Karel Čapek, dove è usato per indicare un meccanismo costruito per lavori serviti (dal ceco ròbota, «lavoro»). Ma il vero padre della robotica, per unanime riconoscimento, è Isaac Asimov. In due raccolte di racconti, lo Robot (1950) e Il secondo libro dei Robot (1964), pubblicati su riviste dagli anni quaranta in poi, Asimov ha dettato le
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Domenico Gallo
Lunga vita alla nuova carne
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ranz Kafka nel 1914, mentre è impegnato nella stesura de Il processo, scrive il racconto “Nella colonia penale”. Una macabra macchina è l’elemento centrale di quella perversa utopia carceraria. Il suo funzionamento è precisamente descritto dall’ufficiale all’esploratore e inquieta perché non si pone come un dispositivo esterno all’uomo, estraneo e lontano, ma si proietta sull’uomo stesso, scrive su lui il testo della condanna durante l’esecuzione di quel lento e regolare martirio. Strumento apparentemente asettico della giustizia, la macchina della colonia penale si affianca ai molti esperimenti letterari che a partire dall’illuminismo si interrogano laicamente sulla natura dell’uomo e cercano di definire i suoi confini, ovvero dove finisce il corpo e inizia qualcosa d’altro. La creatura del barone Frankenstein, immaginata da Mary Shelley nel 1818, era un assemblaggio di organi provenienti da diversi corpi in cui gli scienziati, che “potevano comandare ai fulmini del cielo”, erano in grado di infondere una nuova vita. In quegli anni l’immaginario scientifico era ancora cata-
lizzato dall’Encyclopédie e dagli scritti di molti scienziati come Luigi Galvani. I suoi studi sull’elettricità, come De viribus electricitatis in motu musculari, furono la base dell’idea blasfema che i meccanismi regolatori della materia vivente fossero intimamente fondati su leggi fisiche e relazioni matematiche, regole che condividevano con la materia non vivente. Sarà poi Alessandro Volta a vincere la sfida scientifica sull’elettricità, ma a Galvani va riconosciuto il merito di aver contribuito a fondare la biofisica, oggi una delle discipline più importanti nel panorama della ricerca di base. È dunque la letteratura a carpire alla scienza il suo fondamentale ruolo di trasformazione dell’uomo e della sua società, e a darne una forma speculativa di grande potenzialità. Si tratta di un ruolo inquieto e critico, che contribuisce alla costruzione dell’immaginario suggerendo alla letteratura le immagini delle prossime trasformazioni. Per secoli l’uomo ha costruito le macchine per poi chiedersi cosa esse fossero. Incredibilmente si tratta di domande indirette, costruite all’in-
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Riccardo Gramantieri
La letteratura cyborg di William Burroughs e Kathy Acker Espressione contratta della sigla cybernetic organism, il cyborg è un umano ipotetico1. Non può stupire dunque che i maggiori esponenti di quella che viene definita letteratura post-moderna, utilizzino questa figura, divenuta quasi archetipica, in pagine che vogliono descrivere il contemporaneo coniugato al futuro prossimo. Quella che è stata definita l’Età dello Spazio, ha saputo creare nell’arco di un paio di decenni, una letteratura meticcia che, al pari del cyborg, vuole integrare in un unico corpus letteratura realistica e science fiction. Come l’organismo cibernetico riunisce nel proprio essere mutante caratteristiche e qualità di due entità in un’unica possibilità corporea, l’una biologica (l’uomo) e l’altra artificiale (il meccanismo), così la letteratura che dalla fine degli anni Sessanta e almeno fino alla fine degli Ottanta, è stata salutata come avanguardia, integra mainstream (come a dire, l’uomo) e pulp science fiction (come a dire, il meccanismo). Definita ben presto post-moderno, forse per differenziarla dalle correnti artistiche che il termine generico di avan-
Kathy Acker
guardia tendeva a rappresentare, questa letteratura di confine, borderline e tangente a territori spesso estranei ai frequentatori della regione opposta, ha avuto negli anni, alterne vicissitudini: all’inizio, in Gran Bretagna, ve-
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Karel Capek: Il primo robot non si scorda mai
“Un giorno di primavera alle quattro di pomeriggio finii di scrivere R.U.R., dunque gettai via la penna con sollievo e me ne andai a fare due passi a Nebosízek”.
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n una vecchia immagine degli anni Trenta, Herbert George Wells e Karel Čapek siedono attorno a un tavolo rotondo, immersi nella lettura, come due gentiluomini nel loro club. Come due sodali, uniti dalla comune passione per l’immaginario letterario. Pare che l’autore di
The War of the Worlds abbia influito notevolmente sul suo più giovane amico, profondamente attratto da una visione distopica del futuro. La prima guerra mondiale ha aperto una prospettiva drammatica e pessimistica di quello che potrà essere il domani dell’uomo, vittima delle sue stesse scoperte tecnologiche e della macchina, l’infernale e insondabile strumento artificiale che già aveva caricato di angosce e paure irrazionali l’immaginario sociale a partire dalla
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Giuseppe Panella
Sulla tecnologia e il suo feticcio Ipotesi su Michael Crichton «Il fatto che attualmente le macchine posseggano ben poca coscienza, non ci autorizza affatto a ritenere che la coscienza meccanica non raggiungerà col tempo il massimo sviluppo. Un mollusco non possiede gran che di coscienza. Pensate alla straordinaria evoluzione delle macchine in questi ultimi secoli, e osservate con quale lentezza progrediscono il regno vegetale e quello animale. Le macchine più altamente organizzate sono creature non di ieri, ma addirittura degli ultimi cinque minuti, oserei dire, di fronte alla storia dell’universo. Supponiamo che gli esseri coscienti esistano da venti, venticinque milioni di anni: guardate quali passi da gigante hanno fatto le macchine nell’ultimo millennio! Il mondo non può forse durare altri venti milioni di anni? Ma se dura altri venti milioni di anni, che cosa finiranno per diventare le macchine? Non è più prudente distruggere il male all’inizio e impedire loro di progredire ulteriormente?» (Samuel Butler, Erewhon)
1. R. I. P. Plaidoyer per Michael Crichton
È
stato probabilmente lo scrittore più alto della letteratura di tutti i tempi (per quel che se ne sappia). La sua statura era di 2 metri e 6 centimetri (6’ 9’’ secondo la misura ancora impiegata nei paesi anglosassoni). Si tratta di una curiosità,
certamente, che non influisce sul giudizio da formulare oggi sulla qualità della sua scrittura – sono curiosità anche il fatto di aver avuto cinque mogli o di essere stato esorcizzato nel 1986 o che Nicholas Roeg lo volesse come l’interprete dell’Alieno in L’uomo che cadde sulla terra (1976) tratto dal romanzo aurorale di Walter Tevis (il ruolo poi passò a David Bowie e forse andò meglio così). Di Crichton la critica letteraria si è occupata poco e quando lo ha fatto non sempre è stata benevola. Gli venivano rimproverati la natura estremamente commerciale del suo lavoro letterario, l’adesione a modelli stereotipati di scrittura (in particolare nei libri dell’ultimo periodo), il taglio troppo cinematografico, da sceneggiatura in fieri, di molti di essi, l’apparente ripetitività dei plot e delle storie. Eppure Michael Crichton se non ha inventato dal nulla il technothriller sicuramente ha contribuito in maniera essenziale e definitiva alla sua affermazione come sotto-genere fantascientifico – indubbiamente il Firefox Down di Craig Thomas del 19771 appare come uno dei libri di ri-
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Alessandro Vietti
Asimov nel 1940
Isaac Asimov e le leggi della robotica
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simov era solo ventenne quando scrisse Robbie (1939, Robbie), racconto che dieci anni più tardi avrebbe aperto la sua antologia I, Robot (1950), ma dovette penare non poco prima di trovare un pezzo di carta su cui essere stampato. Come gli aveva predetto il suo amico Frederik Pohl, che ne aveva letto in anticipo il manoscritto, John W. Campbell Jr., editore di Astounding Science Fiction, con il quale Asimov aveva già iniziato un fecondo rapporto di collaborazione fin dall’anno precedente, il 6 giugno 1939 rifiutò il racconto per le stesse ragioni addotte da Pohl, ovvero perché aveva un finale debole. In quel periodo Pohl era anche agente di Asimov, ma non riuscì a piazzare il racconto nemmeno in Inghilterra. L’ironia del caso volle però che, nell’ottobre dello stesso anno, proprio Pohl divenisse responsabile di due nuove riviste chiamate Super Science Stories e Astonishing Stories, e fu lui in qualità di editore ad acquistare il racconto per la somma per allora principesca di 35 dollari. La storia uscì sul numero di settembre del 1939 di Super Science
Stories con il titolo Strange Playfellow (Strano compagno di giochi), cambiato poi in seguito dallo stesso Asimov nel più familiare Robbie. Malgrado la scrittura ancora acerba e una trattazione ancora parecchio superficiale delle Leggi della Robotica, alle quali viene accennato solo con l’esistenza di una certa Prima legge, senza peraltro enunciarla, che condizionerebbe i robot a non poter fare del male gli esseri umani, e che costituisce l’artificio narrativo necessario a giustificare in pieno il superamento della visione del robot-mostro, Robbie ha però il pregio di definire un altro elemento fondamentale che Asimov manterrà pressoché costante nelle sue storie robotiche. Il robot è quindi prima d’ogni altra cosa un elettrodomestico, come un frigorifero o una lavatrice, che l’uomo deve imparare ad usare e con il quale l’uomo deve imparare a convivere. Il robot asimoviano dunque non ha diritti, se non quello di preservarsi in mancanza di altre priorità più importanti grazie alla Terza legge; esso non è una vera e propria creatura, ma un oggetto, un utensile poco più evoluto del nostro
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Asimov: Il sogno dei robot genera mostri
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simov è stato uno dei più prolifici autori di fantascienza, forse il più prolifico: ha scritto migliaia di pagine, ricomponendo i suoi racconti in varia forma. L’antologia Misteri (Fanucci, 2003), curata alla fine degli anni Sessanta, sperimenta la contaminazione dei generi, in cui rifugge dall’ambito specialistico della SF per stabilizzarsi su una produzione fantastica tout court. Quella che Remo Ceserani ha definito “forma” (e non genere) del fantastico. Tra i tredici racconti alcuni denunciano l’età, ma sono pezzi di storia e vanno trattati con riguardo. L’operazione di Asimov è una contaminazione cosciente, proveniente dalla frequentazione dei sacri testi del poliziesco americano. Niente hardboiled, ma positivistiche riflessioni alla Poe, nei misteri risolti grazie all’acume dell’investigatore di turno. La figura del dottor Wendell Urth richiama quel Nero Wolfe, flemmatico e solitario “privato” di Rex Stout. Come questi tende all’obesità, è afflitto da pigrizia e agorafobia. Esce malvolentieri di casa e solo a piedi, rifiutando l’utilizzo di ogni mezzo di trasporto. Sogni di robot (Net, 2003) presenta ventuno racconti attorno al tema della sensibilità delle macchine, che spinge ad adeguarsi a un nuovo modo di pensare. Che dire dell’ipotesi di S come Zebatinsky (1958), dove la logica rigorosa dei computer può cambiare il destino di un uomo? Dal primo racconto del 1940, Robbie, quello per gli automi è stato un amore lungo tutta la vita. Il suo merito è proprio quello di aver dato un’anima alle macchine e aver interpretato le paure profonde dell’uomo contemporaneo nei confronti del suo doppio artificiale. Per fronteggiarne la minaccia, ha dettato le leggi della robotica, una sorta di blocco che impedisce loro di far del male all’uomo, salvo poi divertirsi a confutarle in una serie di contesti narrativi. Del resto non potrebbe essere altrimenti: non è Asimov lo scrittore che ha creato una nuova branca delle scienze dello spirito, la robot-psicologia, che indaga sui meccanismi mentali e sulle emozioni provate dagli organismi cibernetici?
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Francesco Galluzzi
Robot e spettri in Fritz Lang La creatura artificiale a pieno titolo coprotagonista di Metropolis (1926) di Fritz Lang, non è certamente il primo personaggio del genere nella storia del cinema. Solo in Italia (senza voler considerare il Pinocchio realizzato nel 1911 da Anton Giulio Antamoro, che pure avrebbe qualche buon motivo per essere incluso nel genere), si possono ricordare almeno un Frankenstein di Eugenio Testa del 1920 (perduto, appartenente al genere dei film di forzuti affermatosi sulla scia del Maciste di Cabiria, vede la creatura artificiale sconfitta da Sansone, ed è considerato il primo horror italiano), e L’uomo meccanico del 1921, futuribile (e talvolta inclusa tra i film futuristi) fantasia diretta e interpretata da André Deed (di cui resta soltanto qualche spezzone). Come se il cinema, già dai primi film narrativi di Méliès (nei quali è frequente il tema del ‘quadro animato’), sotto la suggestione di una sua concreta praticabilità resa possibile dal progresso tecno scientifico delle “immagini-movimento”, ambisse a rendere visibile e in apparenza vivente quella congiunzione tra opera d’arte animata e homunculus alchemico che
aveva già accompagnato tutto il XIX secolo romantico, a partire dal Frankenstein di Mary Shelley. Del mito di Pigmalione, Metropolis recupera la centralità dell’implicazione erotica. La passione amorosa mai soddisfatta spinge lo scienziato Rotwang (nel film di Lang) a realizzare un simulacro artificiale della donna amata e mai avuta (era invece andata sposa al capitalista Fredersen, padre del protagonista principale e ‘padrone’ di Metropolis); il simulacro, cui vengono fatte assumere poi le sembianze della buona eroina quasi da romanzo d’appendice Maria, è destinato a sua volta a scatenare altre passioni devastanti, motori della trama di gran parte del film (anche se alcune versioni montate senza il controllo del regista, a quanto sembra, elidevano il motivo nostalgico di tale realizzazione fantascientifica), vera incarnazione meccanica della femme fatale. In un film fortemente segnato da un formalismo visivo quasi astratto e dall’assimilazione delle tecniche e degli stilemi del nascente cinema sperimentale (che proprio in quegli anni conosceva la sistemazione critico-teorica della propria au-
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F I C T I O N
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Copertina di Franco Brambilla per "Io, robot" di Isaac Asimov, Urania Collezione 001
grado quello fosse egli auricoormai un lavoro di lari c’era routine, l’avvicinal’intreccio mento, attracco e consueto di istruscarico di una nave zioni, rapporti, il cui dislocamento conferme... e poi le lordo sulla Terra sasolite battute, rebbe stato di mezzo quelle non mancamilione di tonnelvano mai, anche late, era sempre nei momenti di qualcosa di estremamaggior tensione. mente complicato e Gli interventi di pericoloso. Sebàstian erano i Renato Pestriniero Negli auricolari, il più pacati. Lui non solito brusio di dati faceva battute, tecnici, scambi... usava parole strinMylos era assicurato gate, essenziali, e a uno dei numerosi non doveva esserci anelli d’attracco diincertezza nell’esesposti sulla fiancata, cuzione dei suoi in attesa che il bocordini. caporto della wing Sebàstian era il starboard tank nuBerth Activity Master. Durante le operazioni di carico e mero ventitré si aprisse. A poca discarico la sua autorità era superiore a stanza dai suoi occhi la muraglia quella di qualsiasi altro nella stazione, metallica aveva la vernice bianca discompreso lo stesso Space Station seminata di scrostature e macchie, Chief Executive. D’altra parte, era tracce dei precedenti viaggi. Comunnecessario che fosse una sola persona que, il colore della nave non era il a regolare la sequenza delle opera- bianco ma il nero dello spazio. Quella zioni e a prendere decisioni imme- zona verniciata di bianco apparteneva diate in caso di emergenza, non alla lettera R di STAR. Il nome del soggette a discussione. Perché, mal- cargo era Black Star 7, unità della
A sua immagine e somiglianza
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Andrea Coco
Scrivete a Donna Cibernetica
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e avete curiosità, dubbi e perplessità su ogni aspetto della Vostra vita, pubblica e privata, contattate Donna Cibernetica. Le risposte saranno pubblicate, assieme alla Vostra lettera su Women Universal Magazine, l’unico periodico raggiungibile al medesimo indirizzo telematico da ogni angolo della Galassia. “Problemi di vicinanza” Cara Donna Cibernetica, sono un androide bionico di sesso femminile, concepito per operazioni di eliminazione dei nemici dello Stato. Sono molto brava e apprezzata dai miei superiori nonché molto ammirata, per via del mio avvenente aspetto fisico, da molti esseri umani e non. Ma ho un problema: non riesco a stabilire un contatto passionale con nessuno. Io vorrei tanto ma proprio non ci riesco. Quando arrivo “a quel fatidico momento” e abbraccio il mio potenziale spasimante, scatta in me qualcosa che mi spinge ad afferrare la pistola antimateria e a disintegrarlo. Ho effettuato una visita medica specialistica ma la psicoanalista mi ha detto che non può farci nulla. In un impeto di rabbia ho disintegrato pure lei. Sono terribilmente frustata da questo limite e temo che prima o poi avrò dei problemi sul lavoro. Non vorrei essere tolta dalla circolazione per scarso rendimento. Dimmi cosa posso fare per guarire, soffro troppo. Bella ma impossibile P.S. Ho saputo che verrai sul pianeta di Bluneko la prossima stagione. Vorrei proprio incontrarti e spero per l’occasione di poterti abbracciare forte forte. Tu solo mi puoi capire, gli altri mi sfottono dicendo che mi sono messa in testa delle strane idee.
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Alessandro Vietti
Daneel
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già molto tempo che il mio padrone non si sente bene. Analizzando i discorsi che giungono sino al mio sofisticato sistema di percezione sonora, deduco che presto lui se ne andrà per sempre. Morte, la chiamano gli umani, ma io non riesco a comprenderne completamente il significato. Per me deve trattarsi di una specie di blocco definitivo di tutte le funzioni, uno spegnimento totale di tutte le attività ed in tal senso, i miei positroni incontrano una tale resistenza nel loro flusso che io stesso mi sento a disagio. Paura, la chiamano gli umani. In un certo senso la capisco. Io sono un robot della serie H.A.R.I., High Artificial Rapid Intelligence, il mio numero di serie è IS2AC, ma il mio padrone ha sempre voluto chiamarmi Daneel, fin dal primo giorno in cui venni portato per far servizio nella sua casa. Alcune volte ebbi qualche squilibrio di potenziale che mi faceva capire che c’era qualche precisa ragione per cui desiderava chiamarmi in questo modo. Qualcosa di particolare che mi lega a lui. Affetto, lo chiamano gli umani. Certo, quando io sono con il mio padrone percepisco i flussi di coscienza, rapidi e liquidi, non sento più ostacoli nei
miei processi di analisi e sintesi e riesco sempre a raggiungere i giusti nodi all’interno della matrice di platino-iridio al primo tentativo. Insomma, mi sento bene. Questo mi capita solo quando interagisco con lui, quindi deduco che questa mia sensazione sia la cosa più vicina al concetto di affetto per un essere umano. Oggi la moglie del mio padrone mi ha detto che il padrone desidera vedermi. Il suo sguardo era basso, i suoi occhi presentavano una percentuale di umidità superiore alla norma. Ho capito che la situazione si stava aggravando. Lei stessa mi ha accompagnato qui, all’ospedale. Ora mi ha lasciato solo. Ha detto che va a prendersi un caffè e che comunque il mio padrone ha espresso il desiderio di vedermi da solo. Il corridoio è chiaro ed ampio. Umani in camice bianco vanno e vengono freneticamente portando strani strumenti al collo e cartelle in mano. Percepisco un odore intenso: 36% ammoniaca, 12% cloro, 41% alcool etilico, 10.3%
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Vincenzo Bosica
Capsule
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o paura. Nonostante sia stato preparato all’evento sin dalla nascita, ho lo stesso paura. E sento freddo. Starmene qui tutto nudo assieme ad altri bastardi come me, in fila come soldati, non mi aiuta di certo a rilassarmi. Dannazione, ho paura. E sento freddo. Dunque, vediamo come iniziare… Sono Denny, precisamente Daniel Kirby, nato a Dallas e residente a Manhattan. Non ho mai conosciuto i miei genitori, sono stati uccisi quand’ancora ero un poppante. Ho sedici anni e una gran voglia di godermi la vita, tipo ubriacarmi, fare sesso, spararmi qualche dose galvanizzante, scatenare delle risse e via discorrendo. Sono consapevole di desiderare cose futili, ma al momento vorrei semplicemente essere e vivere come un ragazzo della mia età, niente più. Perdonatemi il trasparente malumore, ma credo che a nessuno piaccia sentirsi ordinare quello che dovrà fare per tutta la sua esistenza sin da quando ha un sufficiente livello cognitivo per discernere tra una costrizione categorica ed una qualsivoglia operazione facoltativa, con le conseguenti sanzioni che saranno inesora-
bilmente applicate qualora si rifiuti di adempiere alle procedure esecutive del primo gruppo normativo. Ma procediamo per gradi, altrimenti rischio di smarrire il senso del discorso, senza farvici raccapezzare nulla. Sapete com’è, per me che ho vissuto e vivo la storia, l’ordine d’esposizione dei fatti ha assunto una certa superficialità, è tutto indelebilmente registrato nei meandri della mia massa celebrale e non mi occorrono pertanto dettagliate descrizioni o precise sequenze degli avvenimenti susseguitesi in seno alla vicenda per comprendere cos’è accaduto, in che maniera si è evoluta e con quali effetti. Abbiate pazienza, cercherò di fare del mio meglio. Eccole lì, tutte perfettamente allineate. Sinistri scintillii danzano sulla loro cromatura argentea, in una coreografia psichedelica, coadiuvate da intermittenti pulsazioni luminescenti che disegnano incomprensibili figure su variopinti display. Grovigli di cavi serpentiformi si dipanano da sotto di loro, avviluppandosi viscidamente, collegandosi l’un con l’altro in un intreccio mefistofelico con un enorme terminale la cui grandezza sta a monito della sua potenza.
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RASSEGNE
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almente eccesste l’ umano composivo, con le sito, un organismo sue pagine che biologico “arricchito” odorano ancora di di un desiderio estramotori e carrozzeria neo alla natura esplose, che non semumana, allora Ballard bra siano passati treninventa il cyborg psitacinque anni dalla Riccardo Gramantieri cologico: può essere sua pubblicazione. quello che desidera mutarsi in cristallo, Eppure Crash, romanzo scandalo di come il dottor Sanuna fantascienza ders in The Crystal scandalosa per chi anWorld (1966), poscora si ostinava a pensono essere Vaughan sare la science fiction una scenografia e James, i protagonisti di Crash, che dello spazio esterno, è ancora attuale desiderano confondere la propria più che mai, nella nostra società dello carne con le lamiere incidentate di spettacolo. E il suo autore, l’inglese un’auto sfasciata. James Graham Ballard inventore di Ballard scrive Crash quando vede che diversi scenari apocalittici, e di altret- la science fiction non ha più al suo intanti uomini dis-umani, proprio que- terno nessun nuovo movimento intest’anno è scomparso. Fra i primi nella ressante, e che la tendenza degli fantascienza a trasportare lo scenario scrittori più ambiziosi è quello di ridella distruzione, dall’ambiente ai vestire in maniera più brillante vecpersonaggi, non ha esitato ad acca- chie storie1. E’ il 1974, ed il nirsi in una ventina di romanzi suoi movimento della new wave inglese, propri autobiografici protagonisti, nato sulla rivista New Worlds per mutandone la psiche con gli acces- mano di Michael Moorcock e celesori, prima della diversità, poi della brato dal volume antologico England modernità pop. Se in fantascienza esi- Swings SF a cura di Judith Merril, è
L’uomo-auto di J. G. Ballard
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Diego Zandel
Intervista a Juan Gomez Jurado
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vventura, fantascienza, mistero si mescolano nell’ultimo romanzo dello scrittore spagnolo Juan Gomez Jurado. Al centro c’è l’Arca dell’Alleanza di biblica memoria, che le ultime ricerche danno per sepolta nel deserto della Giordania. Il miliardario Raymond Kayn vuole trovarla ad ogni costo e organizza una spedizione. Con gli archeologi e una giornalista che racconterà la missione c’è anche un inviato dei servizi segreti vaticani, e naturalmente gli uomini della sicurezza. La spedizione in Giordania è segreta. Il miliardario Kayn è riuscito con la corruzione di un funzionario giordano ad acquisire il territorio in cui si presume si trovi l’Arca, ma da quel momento i nemici sono aumentati. Pur di mettere le mani su quel tesoro tutti i colpi bassi, compreso l’omicidio, sono ammessi. Cominciano infatti a verificarsi non pochi delitti e a dispiegarsi, uno dietro l’altro, i misteri, i colpi di mano, gli agguati, in una parola, l’avventura. Sta in queste poche linee il nuovo romanzo dello spagnolo Juan Gomez Jurado “Ultima ora nel deserto”, uno tra i più avvin-
centi degli ultimi mesi, edito in Italia da Longanesi (pag. 382, €.18,60). Abbiamo intervistato l’autore, di passaggio in Italia. Signor Jurado, premetto che il suo romanzo mi è piaciuto molto, nel senso che mi ha avvinto fin dall’inizio, per trama, suspense e personaggi. Detto questo, volevo chiederle se non giudica ormai troppo sfruttato il meccanismo di un reperto antico – si tratti dell’Arca, o di un manoscritto, o di un violino, o di un codice – a cui ricchi e potenti danno la caccia e sono disposti a tutto pur di trovarlo? Grazie, sono molto contento che Ultima ora nel deserto le sia piaciuto. Forse la differenza tra il mio e altri romanzi incentrati su quello che lei chiama il meccanismo del reperto antico è che l’Arca dell’Alleanza è
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Franco Fossati
Il fantastico e la fantascienza nei fumetti
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l fantastico fa la sua comparsa nei fumetti sin dalla prima tavola di Little Nemo in Slumberland, una serie creata dall’americano Winsor McCay nel 1905. Il piccolo Nemo viene invitato a raggiungere il regno di Morpheus e da allora, ogni notte, viene trasportato in sogno negli immaginari mondi della fantasia, dove vive avventure fantastiche e meravigliose sullo sfondo di preziose e accuratissime scenografie in ricercato
Little Nemo (1905) di Winsor McCay
stile Liberty. Ogni suo sogno-avventura-incubo si svolge generalmente in una singola tavola e si conclude con un brusco risveglio. I sogni di questo fantastico eroe dell’impossibile (il parallelo con il mondo letterario di Lewis Carroll è senz’altro d’obbligo) entusiasmarono i lettori, condotti di volta in volta in mondi magici e bizzarri dove gli oggetti inanimati prendono vita e possono diventare, come gli animali e i
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Ricordo di Franco Fossati (1946-1996)
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ranco Fossati se n’è andato tredici anni fa, a cinquant’anni. Vogliamo ricordarlo con questo articolo che aveva scritto nel 1985 per il giornale che dirigevo, a cui l’avevo chiamato a collaborare con una serie di ritratti di personaggi dei fumetti. Un compito a cui si era apprestato con la solita competenza, dotando ogni pezzo delle illustrazione adatte. Fossati era nato a Voghera, ma aveva trascorso alcuni anni della sua infanzia in Argentina, a seguito del padre medico. Dal 1958 era rientrato in Italia, per stabilirsi a Genova. Di questo intreccio tra la cultura argentina e quella ligure gli avevo fatto notare la coincidenza con Italo Calvino. Sorrideva, sornione, ma il paragone gli faceva piacere. Ci eravamo conosciuti all’inizio degli anni Sessanta, uniti dalla comune passione per la fantascienza e avevamo subito cominciato a darci da fare con giovanile entusiasmo. “Micromega” fu la storica fanzine che costruimmo assieme a Piero
Prosperi. Fossati era un amico fedele sempre disponibile: mitiche le nostre scorribande milanesi a caccia di editori. Partivamo alla ventura, bussando alla porta delle case editrici per proporre le nostre idee. Da quell’andirivieni deve essere sortito l’impegno con la Mondadori, dove restò diversi anni come giornalista, prima a “Supergulp!” e poi a “Topolino” e a “Focus”. Del suo amore per i fumetti aveva fatto una professione, divenendo in breve tempo uno dei più ricercati esperti del settore, coinvolto in ogni iniziativa, a cominciare da Lucca Comics. Ma la cosa più curiosa che potesse capitare a un esperto di fumetti era di diventare, egli stesso, un personaggio dei fumetti: accadde nelle tavole di Bruno Cannucciari (suo il ritratto in questa pagina). La considerava un po’ come il coronamento di una carriera prestigiosa. Di lui ci restano, oltre che un ricordo indelebile, i suoi numerosi libri e una fondazione a suo nome (http://www.lfb.it/fff/index.htm). (C. B.)
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VI ST I & LE T T I
Dei modi per liberarsi dei libri U. Eco, J.-C. Carrière, Non sperate di liberarvi dei libri, Milano, Bompiani, 2009
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l titolo suona come una vaga minaccia: qualsiasi cosa inventerà la tecnologia, il libro resterà sempre. Difficile liberarsene. Lo assicurano Umberto Eco e JeanClaude Carrière, in un dialogo in cui s’inserisce il curatore del volume, JeanPhilippe de Tonnac. In realtà si tratta di una dichiarazione d’amore, in cui i due dialoganti esprimono la loro accorata preoccupazione di fronte al dilagante aumento di testi digitalizzati, ma anche per il futuro delle loro biblioteche personali all’indomani dell’inevitabile dipartita (“ Cosa fare della propria biblioteca quando si muore?”). La soluzione più pratica è quella di una donazione a un Istituto universitario o a una Biblioteca pubblica che renda disponibile quel patrimonio in un apposito fondo. Perché di tenerseli in casa, i libri, neanche a parlarne: è un’eredità ingombrante e il più delle volte inutilizzabile,
n o n monetizzabile. Per contenere tutti i suoi libri, ad Eco sono necessari centinaia di preziosi metri quadri in edifici di pregio, cantine e soffitte comprese. Meglio disfarsene, allora. E anche al più presto. Un’altra modalità è la costituzione di una fondazione ad hoc che provveda a catalogarli, conservarli e metterli a disposizione del pubblico. La difficoltà, qui, sta nei costi e nell’impegno di un capitale adeguato a sostenerla. Poi c’è il trasloco: provate a trasferire migliaia di volumi da un luogo all’altro e scoprirete che una percentuale consistente sparisce nel nulla. E infine il rogo: simbolica, rituale e liberatoria pratica già utilizzata dai nazisti a fini dimostrativi e poi abbandonata. Il risultato deludente deve aver fatto preferire a Hitler la distruzione sistematica degli esseri
umani: un orrore di fronte al quale il rogo dei libri appare un’inezia. I libri che restano dopo la scomparsa dei loro proprietari sono orfani. Manca loro la figura del padre e la ragione stessa di essere in quell’insieme, in quell’organica raccolta che aveva un senso solo per lui. Da soli si sentono perduti, considerano gli altri libri non più come fratelli, ma come nemici da cui guardarsi. Sono ingombranti, pesanti, invadenti, così “voluminosi” da sentirsi imbarazzati. Ma se i libri non li vuole nessuno, ora che non sono più di moda neppure per arredare le pareti di casa (meglio grandi schermi al plasma e schiere di Dvd), perché gli editori si ostinano a pubblicarne tanti? (Carlo Bordoni)
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Il futuro è una scienza rigorosa
Georges Minois, Storia dell’avvenire. Dai profeti alla futurologia, trad. di M. Carbone, Bari, Dedalo, 2007 Jacques Attali, Storie del tempo, trad. di G. Sangalli, Milano, Spirali, 1983 Jacques Attali, Dizionario del XXI secolo, trad. di L. Fusillo, Roma, Armando, 1999 Jacques Attali, Breve storia del futuro, trad. di E. Secchi, Roma, Fazi, 2007 Jacques Attali, Lessico per il futuro, trad. di Aa. Vv. Roma, Armando, 2008
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a detto fin da subito che ciascuno di questi libri meriterebbe, in realtà, una nota recensoria a sè e quella mia che seguirà non intende affatto essere una rassegna di carattere esaustivo. Vorrei soltanto segnalare l’esistenza di una prospettiva di lettura del futuro che passa attraverso la sociologia, quella branca del sapere che una volta Jorge Luis Borges segnalò essere la
più vicina alla fantascienza di ogni altro aspetto della cultura umana. Anche se questo illustre giudizio può suonare ingeneroso e riduttivo, va detto che, proprio occupandosi del futuro e delle possibili trasformazioni del mondo che in esso accadranno, la sociologia può dare un importante contributo alla crescita delle conoscenze umane. Nel suo saggio sulla Storia dell’avvenire, Georges Minois, già ben noto in Italia per il suo progetto di storia materialistica delle emozioni e della mentalità (celebre è la sua Storia dell’ateismo dove cerca di andare al di là delle teorie tradizionali sull’argomento leggendo la storia dei “senza Dio” in chiave non ideologica ma storico-strutturalistica), investiga il desiderio di futuro presente nella storia dell’umanità fin dai suoi albori. I nostri antenati (ricorda Minois) disegnavano i bisonti che avrebbero ucciso sulle pareti delle caverne in cui vivevano già il giorno prima di farlo… Per questo motivo, i profeti, gli astrologi, gli astronomi (astronomia e astrologia hanno vissuto insieme la loro parabola scientifica almeno fino
all’affermarsi del newtonianismo). Anche nella cultura del secolo dei Lumi, insieme all’elogio della Ragione come strumento assoluto di governo dell’uomo, erompono incontenibili magnetismo e occultismo (si pensi alla fortuna del grande viennese Mesmer a Parigi all’epoca della crisi economica che precedette la Rivoluzione Francese) e lo stesso accade per tutto l’Ottocento (con la pratica dello spiritismo a farla da padrona nell’immaginario collettivo). E ancora oggi i lettori dei quotidiani possono contare su Stelle su misura (per usare il titolo di un celebre saggio di Theodor Adorno). La volontà di prevedere il futuro, dunque, accomuna falsi e veri profeti nel contesto di una ricerca secolare fondata sull’ansia del genere umano di anticipare quale sarà la propria sorte. Lo stesso desiderio è al centro delle opere più interessanti di Jacques Attali, l’ex-eminenza grigia di Mitterand, professore di scienza economica e prolifico scrittore di opere di futurologia. Uomo dalla cultura immensa (è stato perfino direttore d’orchestra!), la sua attività di
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teorico è stata finora inadeguata alla fama conquistata negli anni all’Elisée. La sua lettura di Marx come apologeta (anche se inconsapevole) del capitalismo e suo grande elogiatore, ad es., appare priva di sostanza storico-dialettica e ne annacqua consapevolmente la portata rivoluzionaria e dirompente.. Ma questi suoi libri dedicati al futuro restano interessanti non tanto per il metodo utilizzato quanto per la capacità di rendere comprensibili i problemi di cui tratta. Utilizzando l’ordine alfabetico (come fece il Voltaire di La Raison par alphabet), i nodi da sciogliere per la soluzione futura dei problemi dell’umanità a partire da quelli più noti e costanti (fame, economia, amore, sessualità) per finire con quelli appena emersi dalle contraddizioni del presente emergono con chiarezza e rigore. Sia in Lessico per il futuro che nel Dizionario del XX secolo (composto da trecento lemmi essen-
ziali), Attali si potrà a descrivere quello che potrà accadere nel nuovo secolo a venire. Nel costruire il suo lessico del futuro, ha inventato alcuni termini per descrivere realtà ancora non ben delineate ma, a suo avviso, essenziali per capire il futuro come “clonimmagine”, “computele” (che dovrebbe a breve sostituire il computer) e “nanomadismo” (che non ha nulla a che vedere con i nomadi del deserto!).globalizzazione sarà sostituita da un “superimpero” che finirà per controllare anche politicamente il mondo policentrico che seguirà al nostro e non servirà soltanto il mercato. Le guerre locali e nazionali diventeranno forse un “super-conflitto” dalle conseguenze ancora non calcolabili. La “gente comune” si sposterà continuamente in ogni angolo della Terra per seguire e
obbedire ai dettami dell’economia, con la conseguenza che si scateneranno presto lotte interne tra nomadi e sedentari con risultati letali per i meno agguerriti. Ancora una distopia – come quelle di Orwell, di Philip K. Dick o di Harry Harrison ? Non è così perché – sostiene Attali – la Storia non è una semplice catena di fatalità. Il domani dipende da come gli uomini saranno capaci di usare già oggi le innovazioni tecnologiche che hanno scoperto e da come saranno capaci di mettere a disposizione dell’umanità le potenzialità individuali, in particolare quelle creative. In Attali, infine, il futuro è aperto a tutte le possibilità (basta saperle afferrare). La sua visione ottimistica, tuttavia, non sembra incontrare un grande successo di fronte alla dimensione più concreta (e più vicina) di un mondo che non sembra ancora rendersi conto della necessità di rimediare ai guasti di una società basata soltanto sulla ricerca del profitto e sull’indifferenza reciproca tra gli uomini stessi. (Giuseppe Panella)
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Armageddon: L’eterna battaglia Alan D. Altieri, Armageddon, Milano, Tea, 2009 Nella teologia cristiana, Armageddon o Meghiddo è il luogo dove si svolgerà la definitiva battaglia fra bene e male. Un conflitto cosmico di cui Giovanni di Patmos profetizzava poco meno di duemila anni fa, somma terminale di tutte le guerre. E se nella cultura moderna con Armageddon si intende invece la catastrofe, nelle sue varie forme, Alan D. Altieri ne incrocia il senso: Armageddon è la catastrofe ma non la fine di tutte le guerre; ne è solo la continuazione in altra forma. Chi ha letto la grande “trilogia di Magdeburg” (edita negli scorsi anni da Il Corbaccio), ha avuto agio di conoscere la propensione dell’autore milanese per la catastrofe, attraverso le immagini della distruzione dell’Europa nella guerra dei Trent’Anni, “madre di tutte le guerre”, come più volte ha affermato, comprese le moderne “guerre preventive”. Così Armageddon (Tea, pag. 290, euro 10,00) diventa il nome convenzionale che antologizza alcuni racconti nel nome della distruzione; rac-
conti che erano fuori reperibilità da tempo e che si muovono attraverso i generi, in controtendenza con la letteratura italiana oramai impastoiata in una ricerca continua quanto vana della letteratura “alta”, anche quando la scrittura sembri ben lontana dal senso. Come nasce l’Apocalisse? In tutti i modi che la moderna civiltà permette. In Amazzonia, come ci racconta Ponte, potrebbe nascere quando la foresta viene tranciata in due dalla grande Autostrada Transamazzonica, un progetto che servirà a far passare petrolio venezuelano, manganese, oro, caucciù del Rio Negro, legname autoctono e platino ecuadoriano, per la gioia delle multinazionali. E in Antartide (La Sindrome di Wolverton) quando in una base privata, impegnata nelle prospezioni petrolifere, l’accoppiata fra la sparizione della fascia di ozono e la solitudine claustrofobia determina la mutazione del DNA umano, trasformando gli esseri umani in assassini. In tutto il mondo, quando per un misterioso disegno del caso si sviluppa un’inarrestabile epidemia, la sindrome dell’Ecclesiaste (Miss Ecclesiaste), che
distrugge ogni essere umano. Lasciando in una New York disabitata e spettale l’unica donna superstite, un tempo star conosciuta in tutto il mondo. O in un disastrato futuro, dopo la Terza Guerra dell’Energia, la Mega Depressione e il Morbo Grigio (Certificato Omega, modello da cui deriverà, anni dopo, il tecnothriller Città di luce), ancora a New York: un groviglio di malavita e degrado, di spacciatori di droga e di bande criminali, mentre cade la pioggia acida e le città sono in preda al caos. Con l’onesto poliziotto Roth che cerca di incastrare uno spacciatore e criminale minorenne di Lady Blast, una droga degli effetti devastanti, e finisce per l’essere incastrato da poliziotti corrotti… Ma il caso più significativo è quello di Phoenix. Siamo in un’area geografica e un tempo poco utilizzati, quella della Guerra nel Pacifico, in una piccola base nascosta delle Marianne. Partono i raid aerei contro i giapponesi e i militari scom- mettono sulla vita dell’equipaggio del B 24, Phoenix, che un tempo si chiamava Mae Belle. Chi fra i due sopravvissuti ad ogni missione, il colonnello
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Deveraux e il sergente Yurick morirà per primo? Il sergente cerca di comprendere chi sia Deveraux e perché il loro destino sia intrecciato in quella relazione di vita, mentre sullo sfondo si prepara l’ultima missione: quella in cui un B 29 battezzato Enola Gay porterà nel suo ventre di metallo qualcosa di cui nessuno è a conoscenza, e il Phoenix avrà il compito di parteciparvi… Armageddon è alla porte sotto la forma del fungo di Hiroshima e nessuno cerca di arrestarla. Variazione tragica sui temi di Comma 22 di Joseph Heller, dove il soldato Yossarian diventa un esperto di sopravvivenza ad ogni missione, Phoenix, come scrive l’autore “potrebbe essere il vero e proprio cardine connettivo del mio lavoro di narratore”, e infatti nomi e situazioni ci proiettano nella “trilogia di Magdeburg” e nel concetto chiave della sua comprensione “la guerra è eterna”. Vengono in mente le parole di James Hillmann, il maggior erede e continuatore di Jung, nel suo Un terribile amore per la guerra (Adelphi, 2004) quando insiste sulla natura conflittuale
CALIS
Armageddo n, Ragnar ok, Apocali Epoche diverse, sse. culture div retaggi dive erse, rsi. re comune Un unico denominat o: l’ultimo uomini e deg gio li dèi. Saldan rno degli scritta alle do la parola iconografi e profetiche grandi ma estri pittoric dei i costringen do il lettore del passato, a scrutare l’apparenz oltre a, Alan D. Altieri esp nostro futu lora il ro ro nel qua più inquietante, un futu le potrem mo già ess immersi. Arm ere age ddo n rac que «cronac he della fine coglie cinPonte, La »: Phoenix Sin , Miss Ecclesi drome di Wolver ton, aste, Certific Cinque sto rie che affr ato Omega. ontano con stesso imp eto e la ste lo ssa forza naria dei suo visioi che sempre grandi romanzi tem atipiù incomb stazione soc enti: la dev aiale, l’etern Male, lo sco a rinascita del ntro tra l’illu cratica del sione tecnol’uomo e la forza implaca bile della Natura, il genere um tramonto ano… Riv del isti minuzi mente dal osal’au da tem po tore, questi raccon ti intr ova bili app unt am son o un ent o imp erd ibil e fedeli lett per i ori di Alti eri. E anc mig liore he la introdu zio ne narrativo senza ugu all’ uni ver so ali dell’au considera tore to italiano del da molti il «Maes tro l’Apocaliss e».
d e l l’uomo e sull’imprescindibilità del carattere bellico, nella fascinazione che armi e battaglie esercitano sugli esseri umani. Ma una differenza sostanziale si apre fra il concetto di “guerra eterna” e il suo significato simbolico. I racconti, quali sia il loro territorio di appartenenza (horror, fantascienza, tecnothriller) mostrano a prima vista una sovrabbondanza bellica fatta di armi e munizioni, mezzi e tecniche, spogliate del loro significato rituale e viste con assoluto realismo. Si tratta cioé di forme umane che secondano un disegno sostanzialmente economico-politi- co, e non sociale. Altieri, che ha vissuto a lungo negli States lavorandovi come sceneggiatore cinematografico, conosce bene il mondo americano e sa che il motore principale della sua cultura e della sua politica é il dollaro. Il “Popolo Invisibile”, le poche centinaia di nativi amazzonici sopravvissuti allo sterminio delle multinazionali non si arma uccidendo i costruttori, ma invoca il Dio dell’Abisso, il vento. Contro SE
il dollaro richiama la tradizione. E il poliziotto Roth, che ha visto la sua squadra morire in un agguato, compiuta la sua vendetta e ucciso il corrotto giudice Ashok ne cosparge di dollari il corpo, prima di andare verso la morte volontaria. Il colonnello Deveraux è un immortale che si nutre della morte altrui, ma quando decide di lasciare la vita, lascia Yurick come erede e una nuova guerra futura e preventiva che incarni la sua maledizione. Il B 24 ad elica guidato da Deveraux nella seconda guerra mondiale è sostituito dal Vampire, il jet a geometria variabile che combatte la Guerra dell’Energia, “un diluvio di fuoco atomico dal Mediterraneo orientale al Golfo del Bengala, dai tumuli annientati di Gerusalemme alle rovine vetrificate di Teheran”, sempre in nome del petrolio. La guerra è eterna e ha i suoi significati, e ogni sua metafisica spiegazione trova ampio insediamento nel genere umano e nella sua corruzione. Al di fuori del denaro, c’è se non salvezza, almeno senso; quello dell’ individuo che lotta ostinatamente per la libertà. (Claudio Asciuti)
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Un’estate di sangue per lo sbarco sulla Luna Eraldo Baldini, Alessandro Fabbri, Quell’estate di sangue e di luna, Torino, Einaudi, 2009.
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nno millenovecentosessantanove. Tutti gli occhi del mondo sono all’insù, in attesa che il LEM sbarchi sulla Luna e qualcuno vi pianti la bandiera yankee. Nel piccolo paese di Lancimago, quattro bambini (Enrico, Billo, Valerio e Gianni), intervallano discussioni sull’impresa lunare e visioni televisive in bianco e nero, con Tito Stagno e Ruggero Orlando. Ma nel frattempo una serie di fenomeni straordinari sembra accanirsi in modo particolare contro Lancimago: grandine improvvisa, improvvise ondate di follia dei cani, cocomeri che marciscono e frumento che si secca, morti misteriose... Fenomeni che hanno in parte una spiegazione e in parte no, e che solo la tradizionale saggezza contadina sarà in grado di comprendere e di risolvere, contro le interpretazioni e la tendenza moderne a razionalizzare anche ciò che non è razionalizzabile. Questa è, in sintesi, la trama di Quell’estate di san-
gue e di luna (Einaudi, pag.255, euro 15,00) l’ultima fatica di Eraldo Baldini, vero e unico magister horroris italiano, qui in coppia con lo sceneggiatore e scrittore Alessandro Fabbri; romanzo di grande respiro, che oltre ad offrirci un’eccellente ricognizione horror, ci permette, in occasione del (futuro) quarantennale della conquista della Luna di rivedere e di accorgerci quanto è cambiato il mondo di allora e le sue illusioni (sempre che non sia vero ciò che sostengono Keysing e molti cospirazionisti; che fu un grande inganno per dimostrare al mondo la superiorità scientifica yankee). La poetica di Baldini viene esplicitata in tutti i suoi nodi: un paesaggio italiano, e più specificatamente emilio-romagnolo; una serie di presenze misteriose, fantasmi atavici dei campi che vivono ancora nelle credenze dei contadini ma forse anche nella realtà; il mondo rurale, con i suoi riti, la sua arcaicità, la sua immobile quiete millenaria, che si scontra con la progressiva modernizzazione della società e l’abbandono delle campagne; la perdita dell’ingenuità dei bambini, e la consapevolezza che il
mondo degli adulti è qualcosa di ben diverso; e infine la violenza, vista come naturale (e per così dire innocente) prolungamento dello stato dell’essere bambino, e come sedimentazione culturale, malessere psicologico, forma culturale dell’uomo adulto. La campagna di Lancimago (uno dei luoghi topici dell’immaginario di Baldini, in cui ha ambientato diversi lavori) con le sue terre malariche, la sua piana infinita, i suoi abitanti che strappano alla terra la sopravvivenza, diventa una specie di quadro neorealista, ma anche il teatro di azioni che sfuggono alla percezione ordinaria delle cose. E’ infatti il nonno Siro, orgoglioso quanto enigmatico appartenente alla generazione dei “vecchi” che parlano in dialetto, a comprendere ciò che avviene e a farlo capire al nipotino Enrico; non solo per quel che sa - ma per quel che percepisce. La sua radicazione nella terra ne presuppone l’orientamento. D’altronde, come abbiamo detto, Baldini è il magister horroris nazionale. La sua scrittura non soffre di esterofilia, non utilizza ambientazioni straniere, non cerca
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motivi nelle tradizioni esoteriche e mitiche di altre terre. La sua è una ricerca a tutto tondo dei fenomeni italiani, che nella loro assoluta specificità, sono analoghi a altri luoghi, in quanto segni di qualcosa che è metastorico, metageografico, transculturale; e il paesaggio italiano riveste grande importanza, non solo per una questione d’ambientazione, ma di caratteristica ontologica della sua letteratura. Una volta l’autore romagnolo disse che non c’era bisogno di andare in America per fare della letteratura horror, che la strega di Blair (riferendosi al “falso documentario” di Myrick e Sanchez, The Blair Witch Project-Il mistero della strega di Blair) ce l’avevamo qui, bastava andarsene in giro per le campagne. A dire che la tradizione nostrana, soprattutto quella contadina, nulla ha da invidiare all’ angloamericana, a cui i grandi scrittori horror, da Lovecraft a King, da Bloch a Simmons hanno attinto, e che pure l’esterofilia italiana non riconosce come tale. E sarebbe interessante discutere, a questo proposito, quanto suddetta esterofilia guidi le scelte letterarie: per
cui gli stessi che si fanno affascinare dagli horror contadini yankee, che coniugano fondamentalismi religiosi e mondo rurale, magari non leggono opere come Gotico rurale (2000), Ragni, bambini e altri predatori (2003), Nebbia e cenere (2004) o Terra di nessuno (2005), che di un mondo analogo sono manifestazioni italiane. Infine, va segnalato un punto importante della scrittura di Baldini, strumentale al suo esser portatrice di paura: un lavoro per sottrazione, come molti scrittori usano fare, anziché per accumulo. Accumulo è quello di Lovecraft, che riempie lo spazio di mostri e di spettri, di citazioni e di testi veri o inventati, e li veicola con un linguaggio spesso ampolloso. E’ accumulo quello di King, che monta una tensione lenta analizzando ogni oggetto o evento e indugiando sulla sua descrizione, usando un linguaggio cronachistico. Baldini invece riduce tutto al minimo, e lo disegna con un linguaggio altrettanto secco.
Quel che compie, appunto, è uno svuotamento dello spazio. Lo spazio delle campagne e delle montagne è uno spazio non abitato, o almeno che ci dà questa impressione; ma proprio perché disabitato finisce con l’esser riempito dalla nostra stessa idea di essere osservati. È come se nel vuoto ci fosse qualcuno che osserva, e la vera chiave dell’horror è in questa semplice evidenza. Insomma, quel che fa paura non è lo splatter ambientato nella metropoli che gronda sangue; quello dà al massimo fastidio o disgusto. La paura è quella che il gruppetto dei protagonisti di Quell’estate di luna e di sangue si trovano ad affrontare in mezzo ai campi di grano, quando, avventuratisi in uno di essi, perdono il loro amico. Billo sta naturalmente scherzando e irride la loro paura. Ma noi sappiamo che benissimo che quello scherzo nasconde qualcos’altro che in mezzo al grano ci sta osservando. Proprio come il bambino che nasconde la testa sotto le lenzuola per non vedere il mostro che lui stesso ha evocato, ma da cui nel contempo teme di esser visto. (Claudio Asciuti)
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Le vele di Astrabat Antonio Messina Le vele di Astrabat Edizioni Il Foglio, 2009. Quando mi appresto ad aprire un libro di Antonio Messina avverto già una trepidazione, perché so che sto per avventurarmi in un universo sconosciuto, in un mondo situato su un piano dove l’irrealtà è il riflesso, mediato dalla mente dell’autore, della realtà che ci circonda e in cui siamo immersi. Leggere le storie di questo grande scrittore è come fare un viaggio nell’onirico e perciò al primo impatto può apparire anche incomprensibile, tanto che consiglio vivamente una preventiva lettura dell’eccellente nota introduttiva di Monica Cito. Personalmente non trovo grandi difficoltà perché affronto il testo con lo stesso metodo che adotto con la poesia, nel senso che mi lascio andare, mi astraggo completamente da ciò che mi circonda e senza la necessità di soffermarmi sui vari punti proseguo la lettura in modo piuttosto rapido, tanto che assai alla svelta arrivo al termine del testo. Ritengo anche doveroso precisare che i generi a cui ri-
c o r r e Messina per mostrarci il s u o mondo gener a l mente n o n rientrano fra i miei preferiti, passando dal fantasy de La memoria dell’acqua al fantascienza-fantasy, visti certi richiami mitologici, de Le vele di Astrabat. Tuttavia, affronto la lettura senza nessuna ritrosia e mi immergo completamente in un’altra dimensione. Non sto a delineare la trama, fatta di apparenti discontinuità, ma ci tengo a precisare che il lavoro concettuale già avviato con l’eccellente La memoria dell’acqua qui è diventato più chiaro, in questa ricerca, che non è solo letteraria, di fuggire dall’estrema materialità della vita corrente per rifugiarsi in un sogno, dove elementi del passato si accavallano, si fondono, si dividono, implodono con visioni del futuro, quasi a dimostrare come sia vero che il concetto di tempo sia solo
umano. In questo senso l’autore ci prende per mano per accompagnarci nella sua realtà, senza tuttavia imporcela, perché le immagini caleidoscopiche che ci scorrono davanti possono essere viste a nostro piacimento, con la possibilità così di costruirci un nostro sogno, un rifugio a cui approdare dopo la tormentata esperienza di una vacuità morale del mondo in cui siamo. L’abilità di Antonio Messina è di avere una scrittura in bilico fra la prosa e la poesia, con l’innegabile vantaggio, così, di poter far apparire come concrete cose che non lo sono, una tangibilità che aiuta il lettore nella completa immersione in un mondo che reale non è. Astrabat è un pianeta di Sabbie e di Ombre, dove c’è un
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Antidoti umani Il rimedio nel male vento miracoloso che riesce a rigenerare le cellule, così da permettere agli uomini di rinascere. Ma è anche una metafora della storia umana, di una continua serie di apogei e di decadenze, di nascite e di morti, in un disegno i cui motivi non ci è dato di conoscere e che annulla di fatto il tempo. Può venire in mente il bellissimo film di Kubrick 2001 Odissea nello spazio, ma non è così, perché Le vele di Astrabat ha una sua dignità autonoma, ha una forza che scaturisce dalle parole e che può consentire, a chi l’accolga pienamente, di rendersi conto di quanto potrebbe essere bella la vita solo che noi lo volessimo, solo che rinunciassimo all’egoismo per percorrere insieme, solidalmente, il viaggio terreno. Non ci sono forzature, né imperativi nel procedere del testo, ma solo una sottile pacata malinconia che induce ad accogliere a braccia aperte il messaggio filosofico che lo permea. Le vele di Astrabat è un’opera di elevato valore, da leggere, rileggere, assaporare prima con il cuore e poi con la mente. (Renzo Montagnoli)
Francesco Verso, Antidoti umani, Massarosa (LU), Giovane Holden Edizioni, 2009
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a biosfera è ormai divisa in due zone nettamente divaricate e non comunicanti: la Bolla contiene le città e i luoghi fittamente popolati dove la Rete impazza e impone il proprio dominio assoluto e ciò che c’è fuori dalla Rete dove la popolazione è scarsa e la tecnologia poco rilevante. All’interno della Bolla esistono tre grossi blocchi di situazioni abitative legate al reddito di chi ci vive: Alta, dove si trovano le case dei VIP delle case discografiche e dei media, i funzionari più ricchi dell’industria telematica e i gestori politici della Globalframe mondiale; l’Agglomerato (diviso in sette zone o quartieri) dove si addensano gli impiegati e gli operatori di minore importanza dell’apparato olografico e cibernetico e Suburbia dove vivono, in strati sempre più profondi che scendono vertiginosamente fin quasi al centro della Terra, i reietti, gli emarginati, i fuggiaschi, quelli che non vogliono farsi
rintracciare dagli Agenti della polizia o che tentano di sottrarsi al controllo totale in cui vivono gli altri abitanti della Terra. Ogni lunedì nell’Agglomerato viene distribuita gratuitamente la Manna, una sostanza nutritiva che dovrebbe essere il rimedio finale contro la scarsità ormai impellente di cibo presente nel pianeta (una situazione che ricorda molto da vicino Largo! Largo!, il celebre romanzo di Harry Harrison su un tema analogo e il film di Richard Fleischer, Soylent Green del 1973, che ad esso è ispirato anche se non fedelmente). Anche la cuffia che permette la comunicazione di pensieri e sensazioni a distanza, la Wave-o-matic, ricorda molto il modo di produrre visioni e immagini della realtà presente nelle sequenze iniziali di Strange Days del 1995 di Kathryn Bigelow ispirato a un soggetto di James Cameron. Il richiamo e la citazione da film importanti del cinema di Sci-Fi potrebbe, in realtà, continuare a lungo senza togliere originalità alla struttura narrativa che costituisce la spina dorsale dell’operazione letteraria di Francesco Verso. Il merito principale di questo
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grosso volume, infatti, consiste non tanto nell’allineare trovate e colpi di scena (che pure ci sono e sono frequenti) quanto nello sviluppare organicamente una visione del futuro e di renderlo verosimile nei suoi tratti distintivi. I personaggi che attraversano il romanzo (gli “antidoti umani” del titolo) rappresentano significativamente gli opposti che si attraggono in una società dove l’uniformità dei comportamenti è scandita dalla quantità di falsa trasgressione che mostrano e sembrano indicare come nuova frontiera della soggettività. Ovviamente si tratta di una falsa capacità di trasgressione così come è fasullo il piacere e la tranquillità emozionale indotta attraverso le molecole contenute nella Manna, un prodotto che più che a calmare la fame serve a indurre una pacificazione biologica alle inquietudini e alle difficoltà socio-politiche della popolazione a cui viene recata ogni inizio settimana durante la celebrazione di un Rito. I due personaggi principali (il DJ creativo Felix Navataar e la giornalista di origine samoana Mona Satoshi) hanno nei loro corpi e nelle loro menti la capacità di
condensare tutto ciò che è necessario per sconfiggere il grande piano di controllo totale sviluppato dalla Cyfarm attraverso gli altercibi (quelli che contengono le molecole produttrici di assuefazione al controllo) e dalla VirgoDreams, che sta per lanciare sul mercato una cuffia di diffusione mentale capace di registrare e di ritrasmettere i sogni. A loro due si rivolge l’apparentemente sgangherato gruppo di contestazione anti-sistema più noto come RadioKarma e coordinato da J.R. Gigan, uno scienziato biochimico molto amico del defunto padre di Felix. «J. R. riapre gli occhi: la soluzione esiste ma pare legata a così tante variabili da renderla un percorso cieco e quasi disperato. ”È qui che entrate in gioco voi. Per questo siete tanto vitali per noi quanto letali per la Cyfarm. Voi potete percepire e manipolare delle frequenze precluse agli altri. Felix si guadagna da vivere trasmettendo flussi neurali mentre Mona potrebbe essere in grado di ascoltare le frequenze dello stato del sonno, anche se per ora non sap-
piamo come ciò avvenga. Il nostro compito, come KarmaRadio, consiste nel mettere insieme i due elementi e potenziare le vostre doti grazie alla tecnologia più appropriata» (pp. 290-291). Inutile dire che il piano di J. R. Gigan e di KarmaRadio riuscirà in pieno (i piani di VirgoDreams e della Cyfarm saranno battuti in breccia e i loro dirigenti finiranno falliti e in esilio sulla Luna) e che tra Felix e Mona scatterà la scintilla del vero amore che li condurrà ad abbandonare la Bolla e cercare rifugio a Samoa. Ma non è questo che conta, purtroppo – il dato più inquietante alla conclusione del libro sarà che la tecnologia continuerà a comandare sul mondo delle passioni e dei sentimenti e che il corpo postumano delle protesi e delle amplificazioni dei sensi non sarà rimpiazzata da un (impossibile) ritorno al passato ma dominerà ancora (e forse per sempre) il modo di vivere e di pensare degli es-
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seri umani. Per questo motivo, tuttavia, e grazie alla capacità di Verso di modulare il crescendo narrativo fino a smorzarlo in un finale che resta, per certi aspetti, aperto ad ulteriori sviluppi, il libro non si chiude con una soluzione netta di trionfo del Bene contro il Male ma lascia il lettore con una sorta di attesa di quello che ancora potrà venire. La conclusione conferma la modalità di scrittura con cui l’autore ha saputo procedere nella redazione dell’opera – si tratta di un testo che presenta, infatti, tre diverse modalità di lettura possibile. La prima, quella più scontata ma non per questo la meno efficace, è quella della vicenda “classica” d’avventura, con inseguimenti, colpi di scena, ricerca di verità nascoste e, perché no?, con un romance non banale né stereotipo nella sua modulazione affettivo-erotica, con toni spesso di forte intensità espressiva. La seconda è quella della riflessione di tipo filosoficosapienziale sul problema ormai largamente dibattuto (anche in ambito accademico) della realtà del corpo postumano che è fatto sì di
protesi (come quello dei protagonisti del romanzo che godono di una Vista-Plus, ad es., o di un Gusto-plus) ma è anche potenziato dalla tecnologia in maniera tale da portarlo a livelli di eccellenza sensoriale e mentale. In sostanza, quella che è in questione è la dimensione della trasformazione della natura in cultura introiettata e trasformata nella realtà stessa dei corpi, quella che già Hegel nei Lineamenti di filosofia del diritto del 1820 aveva genialmente chiamato “seconda natura”. Il problema che viene discusso (e parzialmente risolto mediante il ricorso alla saggezza orientale dello Zen buddhista) è il rapporto tra piacere e libertà e soprattutto quello tra felicità e capacità di essere liberi. Se per lo Zen l’esercizio del piacere non è negativo in quanto anch’esso riconduce la soggettività al Vuoto originario, il problema della libertà umana resta aperto: si può essere liberi o tutto è già consegnato e inscritto nel proprio Karma personale (che confluisce poi in quello universale)? Per Verso, il Karma di ognuno contiene già al suo interno la sua capacità di scelta e i
membri di KarmaRadio, liberando gli uomini dell’Agglomerato dal dominio biopo- litico della molecola della Manna (potere esercitato nel senso che si può ritrovare nelle ultime opere di Michel Foucault) non hanno fatto altro che dargli la possibilità di scegliere. Per il resto vale ciò che scrisse Arthur Schopenhauer nel suo saggio sulla Libertà del volere del 1841 e che viene riportato come esergo del cap. XIX del romanzo (e la presenza di un esergo più o meno borgesianamente apocrifo per ogni capitolo del libro arricchisce in maniera esponenziale la dimensione riflessiva e sapienziale dell’opera): «Essere libero non dà la certezza di essere anche felice, ma se mi dovesse capitare d’essere infelice, lo sarei alle mie condizioni e non a quelle di un altro» (p. 223). E’ l’esito finale (anche se non è detto del tutto) del libro. I protagonisti di esso preferiranno sempre l’essere liberi a qualsiasi forma di allettamento il Potere possa proporgli e rendergli disponibile sotto qualsiasi forma (dalle donne alla condivisione del dominio stesso,
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dalle droghe e le illusioni dei paradisi artificiali al denaro e al successo). La terza modalità d’uso di questo libro è quella più profonda e sottotraccia che, però, spesso riemerge come una sorta di fiume carsico: la poesia (nel romanzo chiamata neurogramma) che attraversa come una tentazione il corso della vicenda. Gli squarci poetici (non solo in versi, comunque) che passano nell’opera non sono solo occasioni di bello stile e di dimostrazioni di saper scrivere seguendo una modalità mainstream ma risultano funzionali al disegno di costruzione del testo. Felix scrive poesie e le invia a Mona innescando così la vicenda e il rapporto tra di loro ma anche le carrellate descrittive di luoghi e situazioni (dall’Agglomerato a Suburbia passando per le residenze lunari dei ricchi proprietari delle multinazionali) acquistano una forte densità e un’identità decisa di proposta letteraria proprio grazie alla volontà di afflato poetico che caratterizza lo stile di scrittura. In conclusione, allora – Antidoti umani è un romanzo leggibile a più livelli a partire da quello legato al genere per fi-
nire a quello legato alla capacità di innovazione linguistica. Si tratta di una prospettiva sicuramente originale in un panorama ancora legato all’ossequio nei confronti delle fonti tradizionali e ai modelli genetici della formaromanzo di Sci-Fi. Muovendosi in quest’ottica, Francesco Verso dà (e continuerà a dare) un contributo essenziale allo sviluppo del movimento di cui fa parte (quello
connettivista, di cui fa parte insieme a Marco Milani, Giovanni De Matteo e Sandro Battisti) e, nello stesso tempo, sarà capace di innovare la letteratura di anticipazione in un ambiente come quello italiano in cui ci sono ancora molte difficoltà da affrontare nuovamente, tante forme di pigrizia intellettuale da smuovere e innumerevoli pregiudizi da superare. (Giuseppe Panella
Micromegas Una piccola collana per i grandi temi della cultura del nostro tempo...
Edizioni Solfanelli
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A volte ritornano... La fantascienza dei padri fondatori Davide Ghezzo, Dei padri fondatori. La fantascienza dalle origini al 1926, Bologna, Elara Edizioni, 2009
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volte ritornano anche gli autori apparentemente meno ricordati e letti (o relegati sotto l’etichetta di classici nelle sezioni più polverose e meno frequentate delle biblioteche). A volte ritornano, infatti, all’attenzione dei lettori romanzi o figure di personaggi una volta emblem- atici presenti in opere letterarie che sembravano aver detto “tutto quello che avevano da dire” (per citare in maniera un po’ modificatala celebre definizione di classico dovuta a Italo Calvino). Il merito di questo libro di Davide Ghezzo è proprio quello di ripartire dall’inizio. Non a caso, si parte con la Grecia arcaica del testo di Esiodo (fin dalle origini, dunque, della cultura occidentale ) e si continua con l’Ellenismo e le opere satirico-utopistiche di Luciano di Samosata. Poi si prosegue con le grandi opere rinascimentali (l’Utopia di Sir Thomas More, La Città del Sole di Tommaso Campanella,
The New Atlantis di Francio Bacon) fino a giungere al Settecento dell’Illuminismo e della proposta del miglioramento delle sorti del genere umano mediante l’utilizzazione della Ragione libera dai pregiudizi religiosi e sociali, pur passando, tuttavia, per i Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift e la sua satira acre, rabbiosa e radicale nel rifiuto delle qualità attribuite agli uomini (cui vengono preferiti i più saggi cavalli). Il “vero” punto di partenza del libro di Ghezzo, comunque, è costituito dal Frankenstein ovvero Il moderno Prometeo di Mary Shelley. Con esso inizia quella che si suole chiamare la ”narrativa di anticipazione”. Dopo il romanzo aurorale della grande scrittrice inglese, il passo successivo è costituito dalla figura tragica e straordinaria di Edgar Allan Poe. In essa saranno presenti tutte le caratteristiche che costituiranno il futuro canone della narrativa fantascientifica. Allo scrittore americano si devono, infatti, le prime grandi narrazioni legate al fantastico (il romanzo dedicato alle Avventure di Arthur Gordon Pym, i racconti “del grottesco e dell’arabesco”, le fantasti-
cherie gotiche di sapore romantico dal tono allucinato e sognante, la scoperta dell’esistenza del Doppio) e alla sua trasformazione in una pratica di scrittura che tende a legarle alla dimensione razionale dell’esposizione narrativa (non è un caso che Poe sia stato il primo autore di racconti di detection, la futura “narrativa poliziesca”). Il primo autore di romanzi che siano riconducibili all’interno della moderna concezione del racconto fantascientifico è, però, Jules Verne. Ad esso è dedicato il quarto capitolo del libro. In Verne, lo spirito d’avventura e la spinta tecnologica verso la trasformazione del mondo si fondono in un tentativo di anticipazione delle sorti future dell’umanità, in un primo tempo in un’ottica di tipo ottimistico, poi con taglio e tono sempre più pessimistico. Verne risulta, di conseguenza, uno degli effettivi precursori della science-fiction contemporanea perché in esso la dimensione scientista e predittiva si sposa con quella narrativa in senso apocalittico e avventuroso. Figure come quella del capitano Nemo, protagonista
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di Ventimila leghe sotto i mari ne rappresentano lo spirito e, probabilmente, la nemesi. In stretta continuità nel suo progetto descrittivo, a Verne si susseguono i diversi autori del fantastico vittoriano (dallo Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde fino ai meno conosciuti La battaglia di Dorking di George T. Chesney e The Coming Race di Edward Bulwer-Lytton) e infine la rassegna si ferma alla narrativa politico-fantascientifica di Herbert G. Wells. Anche se l’ultimo autore esaminato è Howard Phillips Lovecraft (certamente uno dei grandi classici della letteratura del soprannaturale novecentesco) è con Wells che la fantascienza trova il suo secondo precursore importante. Anche se Ghezzo inserisce nella lista degli scrittori da lui esaminati anche scrittori come Franz Kafka o Karel Čapek che sono, in realtà, autori che usano il mezzo narrativo del fantastico per proporre una propria e definita visione del mondo, è in realtà con Wells che il genere d’anticipazione si afferma e si consolida de-
finitivamente in attesa (come avverrà a partire dal 1926) dell’approdo americano delle riviste di Hugo Gernsback (il creatore del termine science-fiction). Esaminando, con attenzione e acribia, novecento e più anni di letteratura fantastica (dalla Grecia di Esiodo a The Dunwich Horror di Lovecraft), il progetto di Ghezzo è quello di tracciare una sorta di manuale di storia della fantascienza inteso ad una consultazione immediata per quanto riguarda autori e cor-
renti. La dimensione ridotta del volume (191 pagine !) che privilegia la sintesi e il linguaggio piano e scorrevole dell’opera lo rendono, quindi, una introduzione assai efficace e adeguata ad un genere letterario che fino ad oggi non ha ricevuto l’attenzione metodologica e storiografica che sicuramente meritava. (Giuseppe Panella)
Asciuti Bloch Bordoni
Coco Fassio lia Fregug
Gallo Lumley ntieri Grama Panella Stocco
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N TA & FA OLITO
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STICO
INSOSPETTABILI BURATTINAI MUOVONO DA SEMPRE I FILI DELL’ESISTENZA UMANA
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INSOLITO E FANTASTICO ROBOT E ANDROIDI
La psicologa Arsha Niversen è incaricata di far luce sulla scomparsa dello scienziato Langhan, consapevole che da lui dipendono molti destini.
Non ultimo, quello della Terra...
Asciuti Bordoni Bosica Coco Fossati Gallo Gramantieri Panella Pestriniero Runcini Vietti Zandel
1/2009 I N S O L I T O & FA N TA S T I C O
ROBOT E ANDROIDI