Eureka 06 - Gennaio 2017
Universitari per la Federazione europea
Le sfide per l'Europa del 2017
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Gennaio 2017
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Indice Editoriale ........................................................................................................................................................................... 3 Autore: Salvatore Romano ............................................................................................................................................ 3 2017: il cuore d’Europa alle urne ............................................................................................................................................. 4 Autore: Andrea Zanolli ............................................................................................................................................... 4 Breaking news: le istituzioni possono cambiare! ........................................................................................................................ 6 Autore: Gianluca Bonato ............................................................................................................................................... 6 Il Paese della Mezzaluna fra contraddizioni e scelte .................................................................................................................... 7 Autore: Giulia Sulpizi ..................................................................................................................................................... 7 Il sogno americano ................................................................................................................................................................ 9 Autore: Salvatore Romano ............................................................................................................................................ 9 Erasmus: L’ arte dell’arrangiarsi! ............................................................................................................................................ 10 Autore: Anna Bilancio .................................................................................................................................................. 10 Il rapporto Bresso-Brok: un piano per il rafforzamento della democrazia in Europa ....................................................................... 11 Autore: Davide Corraro ............................................................................................................................................... 11
In copertina da sinistra: Mercedes Bresso, relatrice, assieme a Elmar Brok, di un importante Rapporto al Parlamento europeo; Angela Merkel, possibile Cancelliere della Germania per la quarta volta di fila alle prossime elezioni tedesche; Marine Le Pen, forte candidata alle prossime presidenziali francesi; Alexander Van der Bellen, neo-presidente dell'Austria;
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Editoriale Autore: Salvatore Romano
“R
oma non deve essere un banco di prova, sarebbe irriguardoso nei confronti dei romani”, ammette Di Maio, ospite a Dimartedi il dieci gennaio, rispondendo all’ennesima provocazione a cui i leader del M5s hanno fatto il callo dopo il caso Marra. Prosegue snocciolando in pochi punti il piano di risanamento per l’Urbe. Ma a questo punto, forse, il livello dell’audience è già calato rispetto ai primi minuti, quando l’esponente dei Cinque Stelle si è pronunciato sul fallimento dell’accordo con gli europeisti dell’Alde, gruppo al Parlamento europeo dei Liberali e democratici. A chi ha parlato di incoerenza, e di snaturare l’anima del Movimento, la risposta è stata che l’accordo non si doveva che intendere come una mossa tattica per garantire una maggiore visibilità alle loro proposte. Per chi ha guardato favorevolmente alle trattative l’accordo avrebbe rappresentato un primo passo nel cammino di responsabilizzazione, e la speranza che l’etichetta di populismo sarebbe caduta man mano che questa forza, fuori dal perimetro dei processi decisionali, fosse entrata nel campo della vera politica, assorbendone le leggi. A chi ha visto con chiarezza, fin da subito, che il populismo va dove soffiano i venti più favorevoli, le trattative ricordavano quella vecchia sentenza: “nihil sub sole novum”. A chi dei due gruppi ha guardato con orrore al pericolo di contaminare il proprio corpo con quello dell’altro, ed ha gridato il proprio “no” o ha votato su un sito web, le trattative segrete dei due leader assumevano le sembianze di una danza macabra, e il mondo poteva sembrare veramente capovolto e l’intera Europa il teatro dove le streghe di Macbeth, instancabili, ancora recitavano il loro ritornello: “il bello è il brutto, e il brutto è il bello”. “Arremba sulla strinata proda / le navi di cartone, e dormi, fanciulletto padrone: che non oda / tu i malevoli spiriti che veleggiano stormi”. A differenza di questo “piccolo lupo di mare” di Montale, gli occhi di chi ha a cuore l’Europa dovranno rimanere invece ben aperti ora che proprio quelle forze, che vogliono alzare i muri e rafforzare i confini nazionali, tentano di intrecciare i fili di un sistema di alleanze e simpatie a livello europeo e non solo. Paradossalmente, coloro che spingono per l’uscita dall’Unione europea, nel loro anti-europeismo, mostrano un’audacia maggiore di quelle forze che dovrebbero unire con determinazione l’Europa. Veramente sta nascendo quella che è stata definita l’internazionale nazionalista, dove ognuno vuole viaggiare per conto suo, farsi i conti nelle sue mani, più fidate di quelle estranee. Molti pezzi dello scacchiere europeo desiderano oggi fare le proprie mosse separatamente, imitando forse chi ha gambe più robuste e lunghe e riuscirà a sopportare meglio il cammino del nazionalismo e del protezionismo. I prossimi mesi si riveleranno quindi decisivi per testare la forza del progetto europeo. Il Vertice europeo del 25 marzo a Roma e le elezioni, francesi e tedesche in particolare, che si terranno quest’anno, costituiscono uno duro banco di prova. In quello che è stato definito un cambiamento d’epoca più che un epoca di cambiamenti dal Pontefice, nel mondo della globalizzazione per chi vive sul suolo europeo i confini nazionali rappresentano le colonne d’Ercole da oltrepassare. Chi sorveglia il passaggio obbliga a fare marcia indietro. Solo la vista delle insegne che dicono “non plus ultra”, sfidano il viaggiatore a proseguire.
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2017: il cuore d’Europa alle urne Autore: Andrea Zanolli
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’anno appena concluso ci ha consegnato un messaggio netto e su cui è indispensabile riflettere: il populismo è forte e sa vincere. Brexit prima, Trump poi, hanno messo davanti agli occhi di tutti che le forze xenofobe, razziste ed eurofobe non vanno sottovalutate come si è fatto fino a oggi. Le grandi colpe da attribuire ai tradizionali schieramenti e alle odierne istituzioni sono soprattutto la carenza di risposte concrete ai bisogni dei propri elettorali, la mancanza di vicinanza fra cittadini e decisioni e, appunto, la sottovalutazione delle nuove forze populiste. Dall’altra parte, abbiamo assistito in Austria alla (ri)elezione del verde Alexander van der Bellen, al termine di una campagna elettorale lunghissima, durante cui la sfida è stata anche fra nazionalismo ed europeismo, con la dimostrazione che quest’ultimo è ancora in grado di vincere. Con questo scenario alle spalle, oggi l’Europa si ritrova fragile e inerte a guardare al calendario del 2017 e alle sue scadenze con il cuore in gola. Il prossimo anno è ricco di appuntamenti: si andrà a elezioni in Olanda, in Francia, in Germania e, con discrete probabilità, anche in Italia e inoltre dovrebbe essere avviato il processo di negoziazioni per l‘uscita del Regno Unito dall’Unione. Il rischio che isolazionisti e antieuropei conquistino potere e spazio d‘azione è forte in tutto il Continente e la via per una maggiore integrazione e una più stretta cooperazione può subire ulteriori e, forse decisivi, rallentamenti.
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I primi a recarsi alle urne saranno gli olandesi, che il 15 marzo eleggeranno presidente uno fra Geert Wilders e Mark Rutte. Il primo, che oggi pare essere in testa nei sondaggi, guida il partito euroscettico e invoca la possibilità di un referendum sul Nexit, il secondo è il premier uscente e guida lo schieramento dei liberali. Anche in Francia la situazione non è delle migliori, dove Marine Le Pen è lanciatissima, soprattutto dopo la crescita alle scorse elezioni regionali e alla vittoria del Leave in Gran Bretagna, e pare avere un posto sicuro al ballottaggio del 30 aprile. Il centrodestra candiderà il liberista e conservatore François Fillon, che alle primarie ha sconfitto a sorpresa Sarkozy e il più moderato Juppé. I socialisti, dopo la rinuncia di Hollande a una ricandidatura, eleggeranno il proprio candidato il 29 gennaio, ma con molte probabilità non sarà costui a contendersi l’Eliseo con il Front National. Infine, è da valutare il seguito che riuscirà ad acquisire nei prossimi mesi l’ex Ministro dell’Economia Emmanuel Macron, che si candiderà con un proprio partito e che proporrà europeismo, sicurezza e progresso. In Germania, a quasi un anno dal voto Frau Merkel pare favorita per conquistare il quarto mandato consecutivo, ma sarà importante valutare, già dalle primaverili elezioni regionali, di quanto sia stata la crescita del partito populista Alternative für Deutschland, in impennata dopo l’elezione di Trump e le critiche alla Cancelliera per l’accoglienza degli immigrati. Infine, potrebbe spostare gli equilibri anche la posizione che deciderà di occupare sullo scacchiere il Presidente uscente del Parlamento Europeo e socialista Martin Schulz. L’ultimo capitolo spetta all’Italia, dove la situazione è di incertezza totale. I partiti che hanno spinto per la vittoria del No al referendum costituzionale ora sperano nel voto anticipato, ma anche i vertici del Partito Democratico hanno fatto intendere che si anticiperà la fine della legislatura. In questo caso, gli italiani sarebbero chiamati alle urne entro la fine del 2017, ma non si sa ancora con quale legge elettorale e quindi ogni previsione ipotizzata ora sarebbe azzardata e poco ponderata. Sicuramente il Movimento 5 Stelle ha trovato un’identità a livello nazionale e una vittoria dei grillini potrebbe rappresentare per l‘Italia una svolta isolazionista e, nella peggiore delle ipotesi, anche fortemente eurofoba, possibilità che viene spontaneo ipotizzare soprattutto considerando il fatto che nell’Europarlamento i pentastellati siedono ancora insieme a Farage e che viene ulteriormente accreditata dalle ultime uscite di Grillo in tema di immigrazione. Oggi più che mai è evidente il fatto che in gran parte dell‘Europa la situazione politica è simile a quella affermata in modo lungimirante nel 1941 da Spinelli, quando scrisse che la linea di demarcazione tra conservazione e progresso non è più tra destra e sinistra, ma tra nazionalismo ed europeismo. Il 2017 dovrà necessariamente rappresentare un anno di svolta per l’Europa: o si ritorna a proporre e a costruire un vero progetto europeo che miri innanzitutto allo Stato federale e alla democrazia europea sovranazionale, oppure il populismo continuerà a trionfare e a portarci indietro nel tempo, a quando nazionalismo e guerre uccidevano l’Europa e gli europei.
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Breaking news: le istituzioni possono cambiare! Autore: Gianluca Bonato
Lo diciamo subito, senza fraintendimenti: questo è un articolo fuori tema. Giusto per accorgercene prima di quei bei testi che scrivevi alle superiori per poi renderti conto, quando ormai eri alla conclusione, che eri andato troppo lontano. Questa volta, il tema era una riflessione da un punto di vista europeo sul post referendum costituzionale italiano, ma lo spunto che questo ci offre è troppo ghiotto per lasciarcelo scappare. E quale diavolo sarà mai lo spunto? Uno dei triti e ritriti argomenti del dibattito sulla riforma sentiti dieci, cento, mille volte? No, lo spunto viene da una considerazione molto più originale: il quesito posto agli elettori ha toccato un aspetto quasi sempre trascurato nel dibattito politico: le istituzioni possono cambiare. È stata sottoposta al vaglio dei cittadini una proposta di modifica delle istituzioni statali e dei loro rapporti. E, a pensarci bene, può sembrare incredibile, perché, quando si discute dell’attualità politica, si assume in fondo sempre lo stesso punto di vista. Si dànno per scontate le istituzioni esistenti e, sopra questo scenario, si analizzano i processi in atto. Per cui, in un periodo, possono prevalere i conservatori, poi arriva una ventata di socialdemocrazia e ora tirano la corda le forze chiamate populiste; però si pensa che lo Stato nazionale italiano ci sarà sempre, sempre ci sarà lo Stato nazionale francese e così anche la monarchia britannica, e dunque si pensa anche che solo all’interno di questi Stati si potranno verificare dei processi politici. E dire che questo modo di ragionare porta a commettere talvolta degli svarioni storici mica da scherzo. Si arriva così ad affermare che la nazione italiana (o qualsiasi altra nazione) in fondo è sempre esistita. “Sì, la Repubblica ci sarà solo da una settantina d’anni e l’unità d’Italia l’avremo pure avuta solo nel 1861, però dài, era scritto nella storia che ci saremmo uniti prima o poi. Già Dante e Petrarca si sentivano italiani…” Cosa? Dante italiano? Non scherziamo. Dante si pronunciò fiorentino, si professò cristiano, ma mai scrisse che gli allora Comuni della penisola italica avrebbero dovuto formare un unico Stato. Non facciamoci certo ingannare dall’”Ahi, serva Italia”… L’identità nazionale, alla base degli Stati nazionali europei di oggi, è invece un fenomeno molto recente, che ha una sua data di nascita più o meno ufficiale nella Rivoluzione francese, ma ha impiegato almeno altri cent’anni per affermarsi compiutamente. Le istituzioni attuali, dunque, non sono affatto perenni; sono anzi in perenne evoluzione. Basti pensare che non molti anni fa uno storico come Eric Hobsbawm parlava di un periodo post-nazionale, mentre oggi sembra riprendere vigore il nazionalismo. Per chiudere il nostro articolo fuori tema, ci abbandoniamo a un’ultima considerazione. C’è un fenomeno storico degli ultimi settant’anni che sovverte questa diffusa analisi basata sui processi mutevoli in un contesto di istituzioni stabili, in quanto è un processo stabile che ha istituzioni mutevoli. È il processo dell’integrazione europea, che ha visto istituzioni in evoluzione, dalla Ceca, alla Cee, all’Ue, ma un processo stabile con un obiettivo definito, la “Federazione europea” della dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950 che diede vita alla Ceca, l’”unione sempre più stretta dei popoli europei” del trattato di Lisbona oggi. Insomma, c’è da ripensare a come guardiamo all’attualità e alla storia. Ok, abbiamo divagato abbastanza.
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Il Paese della Mezzaluna fra contraddizioni e scelte Autore: Giulia Sulpizi un momento difficile per l’Europa questo, pieno di sorprese e paure, di ansie e di attese. E molte di queste vengono dalla nostra vicina Turchia. Dal 15 luglio del 2016 la situazione sembra essere precipitata dopo il golpe fallito dei militari contro il Presidente Erdogan, le purghe del Capo di Stato e gli sguardi, inorriditi, spaventati e confusi, degli Stati membri dell’UE.
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Eppure è dal 2005 che la Turchia ha cercato di avvicinarsi a noi, cominciando a sottoscrivere i negoziati di adesione all’Unione, condizionati dal riconoscimento di nuovi diritti e libertà civili, e nel marzo 2016 sembrava che ci sarebbero stati nuovi sviluppi grazie al raggiungimento di un accordo sui migranti, che vede lo Stato di Erdogan ospitare 3,5 milioni di rifugiati nei loro campi profughi. Ma, dopo i fatti di luglio, il Paese sembra come impazzito. 15900 sono i militari arrestati da allora, 3000 i magistrati, 44200 gli insegnanti, 13100 gli esponenti del mondo politico e 500 i religiosi. Numeri impressionanti, che confermano che a breve le tensioni, dentro e fuori lo Stato, non svaniranno, ma che al contrario esse sono destinate ad aumentare. A partire dalla risoluzione del Parlamento europeo, che ha definito le azioni del leader turco come violazioni dei diritti umani, e che ha invitato la Commissione e i governi a sospendere le trattative per entrare nell’UE. Non si è lasciata attendere la risposta del Presidente, che ha rivolto parole dure, di rabbia nei confronti dei leader europei: non solo sono accusati di non aver dato alla Turchia i 3 miliardi di euro promessi in seguito all’accordo sui migranti, ma di aver stanziato solo 700 milioni, e di essere disumani, indifferenti di fronte alla tragedia dei profughi. E nelle nostre menti non possono non scorrere le immagini tragiche dei morti in mare e dei bambini riversi a terra, senza vita. Una tragedia che non si può facilmente scordare.
Eppure chi fa veramente paura oggi, chi incute timore è proprio Erdogan. Dietro i suoi modi controllati e pacati, c’è l’uomo che non ha esitato ad eliminare i propri oppositori, dando il via ad una vera e propria caccia alle streghe, che ancora oggi non si sa se sia giunta effettivamente al termine. È per questo che i rappresentanti dei maggiori partiti politici che siedono a Bruxelles sono contro di lui: i Popolari, i Socialisti, i Liberali e i Verdi sono tutti uniti contro Erdogan e non si fermeranno facilmente. 06 - Eureka
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In un mondo e un’epoca di sempre maggiori incertezze non è facile dare la propria fiducia ad un cambiamento così forte e radicale, anche se le parole dell’Alto rappresentante Federica Mogherini sono di altro genere: “sarebbe un errore perdere la Turchia, il suo isolamento non aiuterebbe né noi né loro”. Ma non sono certo queste le aspettative dei parlamentari, che vedono ancora tutte le contraddizioni del Paese: se da una parte infatti ci sono arresti, dall’altra c’è il ritiro della legge sulle spose bambine. Il partito di Ergogan, l’Akp, – anche dietro le pressioni internazionali – si è fatto carico di risolvere questa questione, proibendo alle minori di 17 anni di sposarsi e avere rapporti sessuali con uomini ben più grandi. Bisogna ricordare che questo non è certamente un fenomeno insolito nel Paese della Mezzaluna, nonostante negli ultimi anni questo abbia cercato di rendersi più moderno e sensibile ai bisogni della popolazione. Ma gli avvenimenti dell’ultimo periodo sembrano un deciso cambiamento di rotta rispetto a quanto è stato già fatto. E ora che cosa accadrà? Cosa succederà in Europa? È difficile a dirsi. Se da una parte l’UE si trova con le mani legate a causa dei migranti, ci sono ancora molte perplessità, innanzitutto riguardo alle sorti degli arrestati e di coloro che potrebbero trovarsi, loro malgrado, nell’occhio del ciclone. La Turchia potrebbe sperare in un ravvicinamento solo se evita di alzare troppo la voce, altrimenti non otterrà niente, forse nemmeno l’amicizia che fino ad ora c’è stata, nel bene e nel male.
Sembra, però, ormai escluso che questo Stato candidato all’adesione diventi un membro effettivo dell’UE, anche secondo quanto affermato da Mustafa Akyol in un’intervista al Corriere della Sera. “Dobbiamo prendere atto che l’ingresso nella famiglia europea non ci sarà. È importante farlo perché così si può lavorare su una soluzione alternativa in modo da salvaguardare la democrazia”, ha affermato lo scrittore turco, che esprime inoltre la sua preoccupazione per i fatti che agitano il suo Paese d’origine da ormai svariati mesi. Non c’è una facile soluzione a breve termine ed è difficile comprendere cosa ne sarà del nostro mondo se ci dovesse essere anche un’ulteriore spaccatura, così vicina all’Europa che sta cercando di gestire l’emergenza legata all’immigrazione, causa dei tanto vituperati muri che dividono gli Stati membri. Barriere fisiche e mentali, nonché culturali, che in questo momento di crisi dobbiamo abbattere per creare un’Unione nuova.
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Il sogno americano Autore: Salvatore Romano
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lla luce dell’elezione del nuovo presidente americano, Donald Trump, la voce più diffusa, che circola sui giornali e si sente in televisione, è questa: “ crisi della democrazia e progressiva affermazione di leader e movimenti populisti”. Che si proponga come forza “terza” in un contesto bipartitico, che riesca a proliferare all’interno di un partito con una storia secolare, che si presenti sotto le spoglie di un movimento di estrema destra, il populismo è la fiaccola reazionaria che ha incendiato il mondo. I suoi portatori sono chiamati democratori, eletti dal popolo, aspirano a svuotare di senso ogni forma di mediazione democratica e governare come autocrati per il bene del popolo. Sul continente euroasiatico i loro nomi sono sotto gli occhi di tutti: Putin, Erdogan, Orban con i nuovi Marine Le Pen, Matteo Salvini, Beppe Grillo, Nigele Farage. I loro discorsi si somigliano, le loro strategie non sono nuove ma recuperano un passato tristemente famoso per il Vecchio Continente. Trasformano una rabbia sociale, la disperazione di tanti, il loro malcontento verso “l’élite” al potere in voti elettorali. Così si è mosso pure il settantenne neopresidente americano, Donald Trump, sull’altra sponda dell’Atlantico, importando senza pagar pedaggio, lui fervente protezionista, le parole di comando dei suoi fratelli europei. Presentatosi come candidato del Grand Old Party alla corsa presidenziale ha battuto Hillary Clinton, candidata democratica. I suoi messaggi durante la campagna elettorale sono stati chiari. Inequivocabili i punti del suo programma. E l’otto novembre milioni di persone hanno fatto il suo nome ed è stato eletto. La mattina dell’otto novembre il corpo elettorale americano, testa, pancia, gambe, braccia, si è alzato ed è andato a votare. “We the people of the United States” sono le prime parole della Carta Costituzionale americana. Rimandano all’idea cardine di democrazia e ad un concetto essenziale per uno Stato federale, ossia l’unione. Centro della cultura americana, lo stato dell’unione è il tema su cui a ridosso delle presidenziali i presidenti sono soliti tenere un discorso. “The state of the union is strong”, semplificando, è il messaggio che tentano di far veicolare. Così non sorprende che Donald Trump, dopo una campagna violenta, infarcita di offese, si presenti ai microfoni e nel suo victory speech prima si congratuli con Hilary Clinton e poi dichiari di volere essere il presidente di tutti gli americani. L’unione, quindi, prima di tutto. Quell’unione che sembra mancare ai due corridori che ora si passeranno il testimone nel gioco a staffetta che lega un presidente al suo successore, come scrive Obama nella sua “Lettera per il mio successore” tradotta su Repubblica l’otto ottobre dell’anno scorso. Infatti se l’uno ha seguito una strada, bisogna star certi che l’altro, da quanto annunciato, sceglierà quell’opposta. In quell’intervento il presidente uscente dichiarava che il capitalismo si era rivelato un ottimo vettore di prosperità, e che il recupero del dinamismo economico doveva andare di pari passo con la diminuzione delle disuguaglianze sociali, perché l’uno dipende dall'altro. Questi sono stati i propositi che durante il suo mandato ha cercato di realizzare, senza il rigetto della tanto vituperata globalizzazione, della crescita tecnologica, e con l’impegno di rispettare gli accordi sull’ambiente. “Make America great again”, fare grande di nuovo l’America, americani inclusi. Questa, in sintesi, la promessa elettorale di Donald Trump. In questi giorni le sue mosse sono state quelle di richiamare sul suolo patrio quelle multinazionali che avevano scelto di delocalizzare in Messico o altrove. Con la promessa di sgravi fiscali ha dato avvio alle prime misure di quella che sarà una politica protezionistica, volta a difendere aziende americane e a creare nuovi posti di lavoro per gli americani. Dunque, come promesso, “America first”. Per questo è stato votato, per questo milioni di persone hanno fatto il suo nome. Per decidere sul proprio futuro, come otto anni prima, come fra otto anni, il popolo americano quella mattina, con gli occhi ancora pesanti di sonno, è andato a votare. Quello stesso popolo che si è dato una Costituzione. Quel popolo che, tra le sirene del populismo e quelle sempre più deboli della democrazia , ha votato per realizzare il proprio sogno americano. Tutto secondo la norma e la prassi di un paese moderno. Intanto la voce più diffusa, che circola sui giornali e si sente in televisione, è questa: “crisi della democrazia e progressiva affermazione di leader e movimenti populisti”.
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Erasmus: L’arte dell’arrangiarsi! Autore: Anna Bilancio Partire o non partire? È questo l’esistenziale dilemma con cui si trovano a dover fare i conti i fortunati vincitori della borsa di studio offerta dal ben noto programma Erasmus. Le paure e le incertezze sono tante: “Mi troverò bene?” “Imparerò la lingua?” “Il mio aereo precipiterà?” “Il mio gatto sopravviverà alla mia assenza?” Eccetera eccetera. Beh, ad essere sincera, nel mio caso non avevo alcun dubbio (e nemmeno il gatto), volevo assolutamente partire e nutrivo tantissime aspettative nei confronti di questa esperienza. Così, dopo aver trascorso un’esagerazione di notti insonni dovute all’ansia di trovare un appartamento, all’ingestibile burocrazia, a continui viaggi in treno fino a Padova per elemosinare tutte le firme necessarie, era finalmente giunto il mio momento e un’enorme valigia traboccante di vestiti e un po’ instabile ne era la prova evidente. A spingermi a lasciare il mio caldo lettuccio in una fredda mattina di fine gennaio per intraprendere un viaggio verso la piccola isola di Malta, di cui fino a poco tempo prima non conoscevo nemmeno l’esistenza, c’era sicuramente la voglia di diventare più indipendente, di mettermi alla prova, aggiunta al forte desiderio di migliorare il mio inglese scadente e di stringere tante nuove amicizie. Ora, alla luce di quanto affrontato, devo sicuramente ammettere che non tutto è andato proprio secondo i piani... Ero molto soddisfatta della cura e l’impegno investiti nella preparazione della valigia in cui, ne ero certa, avevo messo proprio tutto l’indispensabile ... peccato che già al secondo giorno mi sono accorta di avere con me l’adattatore tedesco invece di quello inglese e così ho avvolto i capelli fradici in un buffo turbante, ho infilato le infradito da mare e sono corsa fuori dall’ostello come una matta alla ricerca dell’oggetto INDISPENSABILE! Anche nell’ambito cucina qualcosa è andato storto, invece di imparare a cucinare tanti manicaretti mi sono lasciata viziare dalle mie coinquiline, due cuoche provette, e ho dato il mio contributo adempiendo al ruolo di lavapiatti, che veniva gentilmente edulcorato con l’appellativo di co-chef.
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Meglio stendere un velo pietoso anche sulla nutrita speranza di migliorare il mio senso di orientamento rasente allo zero. Nonostante la grandezza irrisoria dell’isola trottavo di qua e di là con aria smarrita alla ricerca di Triq Giovanni Schranz o all’interno del grande campus universitario chiedendo indicazioni ad ogni passante, che ovviamente non mi indicava mai la stessa strada del precedente, e avendo come unico punto di riferimento un camioncino su cui era disegnato un enorme Bart Simpson sempre parcheggiato vicino a casa. Da sola in terra straniera ho scoperto che l’arte dell’arrangiarsi non è una delle mie principali qualità. Sono riuscita a rimpatriare indenne solo grazie al mio talento nell’imbattermi in tante persone gentili disposte ad aiutare, guidare e vegliare su una ragazza con la testa spesso sulle nuvole. Ma, nonostante la prospettiva di diventare un asso nell’inglese o una perfetta donna di casa non si sia del tutto concretizzata, ripartirei subito senza indugio. Anzi, sono state le mille emozioni ed esperienze vissute in maniera del tutto inaspettata a rendere l’Erasmus così imperfetto e nello stesso tempo così unico. Resteranno per sempre nel mio cuore le numerose passeggiate in riva al mare, alcune viste mozzafiato, le cene a base di torte, i picnic sulla spiaggia, le hick delle domenica, le maratone di Game of Thrones, i tuffi da altezze vertiginose, le nuotate in mezzo alle meduse, le serate a Paceville, il ballare tutta la notte, le tequile alla russa, le lezioni di storia all’alba del venerdì mattina, gli assignments da consegnare, il mio posto in biblioteca, la colonia di gatti adottata dall’università, il buffo faccione del mio coordinatore, le abbuffate di pastizzi... ma specialmente i fantastici amici che non avrei mai immaginato di trovare e che hanno reso quest’esperienza una delle migliori della mia vita. Quindi il mio consiglio è di non perdere troppo tempo a pensare e a scervellarsi cercando di rispondere a tutti i martellanti interrogativi che vi assillano... Al contrario provateci davvero, partite il più leggeri possibili pronti a lasciarvi sorprendere dai dolci imprevisti che l’Erasmus ha in serbo per voi!
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Il rapporto Bresso-Brok: un piano per il rafforzamento della democrazia in Europa Autore: Davide Corraro Nel novembre 2014, gli eurodeputati Mercedes Bresso e Elmar Brok vengono incaricati dal Parlamento Europeo (PE) di elaborare un documento volto ad esplorare le possibilità di riforma della governance dell’eurozona senza modifica alcuna dei trattati, sfruttando appieno le potenzialità degli stessi. Le sfide che il documento si propone di affrontare sono complesse ed ambiziose. Secondo i due eurodeputati, infatti, l’Unione “deve riacquistare la fiducia dei cittadini, migliorando la trasparenza dei suoi processi decisionali e rafforzando la sua capacità di agire” e di essere protagonista nella scena mondiale, per rispondere alle crisi (come quella dei rifugiati o quella finanziaria) che stanno minando alla sua stessa essenza e che alimentano lo spettro nero dei populismi. L’idea di base è di ampliare al massimo l’utilizzo del c.d. “metodo comunitario”, l’unico in grado di consentire la trasparenza del processo decisionale, grazie alla procedura di codecisione, che vede ugualmente protagonisti l’organo rappresentativo dei cittadini dell’Unione (il Parlamento) ed il Consiglio, il quale rappresenta, invece, i singoli governi nazionali. Il documento, dopo aver esaminato quali siano i miglioramenti apportabili alle singole istituzioni dell’Unione, descrive una serie di traguardi ed obiettivi che dovrebbero fungere da stella polare all’attuale legislatura del PE. La prima proposta è quella di formulare un nuovo atto giuridico in ambito di politica economica, attraverso cui creare un quadro vincolante di coordinamento della materia, aprendo una vivace discussione con i parlamenti dei 28 Stati membri. L’obiettivo finale della proposta è volto alla creazione di un meccanismo capace di assorbire gli shock che potrebbero ancora colpire l’Unione in ambito finanziario e sociale, o nelle politiche relative al welfare. La parte centrale del documento propone poi numerose e rilevanti modifiche degli aspetti economici dell’Unione. Innanzitutto, si cerca di garantire un miglior utilizzo del bilancio dell’UE attraverso un sistema che la porti ad avere risorse proprie (derivanti, ad esempio, dall’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie). Si passa poi ad esaminare il modo per garantire una maggiore capacità di investimento dell’UE attraverso approcci innovativi, sfruttando al meglio il Fondo europeo per gli investimenti strategici, essenziale per dare completa attuazione anche ad altri obiettivi definiti dalla politica europea (tra cui il piano Juncker). Il documento sancisce inoltre in maniera cristallina l’esigenza di completare l’Unione bancaria, basata su un Meccanismo di vigilanza unico e sostenuta da un adeguato meccanismo di protezione, capace di rendere meno rischiosa una possibile crisi dei sistemi bancari interni. La proposta, approvata dalla Commissione Affari Costituzionali del PE sul finire del 2016, esprime dunque l’esigenza di incrementare il ruolo decisionale del Parlamento Europeo a partire dalla materia economica, con l’ambizioso ma condiviso obiettivo di giungere infine ad un’Europa che sia sempre meno una semplice organizzazione di Stati e sempre più un organo di rappresentanza di quelli che dovrebbero essere i protagonisti assoluti della vita politica delle istituzioni: i cittadini.
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Disertando la politica non si lasciano le cose come sono, nemmeno nella vita privata. Si creano vuoti di potere, cioè si affida il potere agli altri, si accetta che degli altri divengano i padroni del proprio futuro. Mario Albertini
Rivista degli Universitari per la Federazione europea Con il contributo dell’Università degli studi di Verona
Responsabile del gruppo studentesco: Marco Barbetta Direttore: Filippo Sartori Collaboratori: Gianluca Bonato, Anna Bilancio, Davide Corraro, Andrea Golini, Salvatore Romano, Giulia Sulpizi, Andrea Zanolli Responsabile grafica: Andrea Leopardi Redazione Via Poloni, 9- 37122 Verona Tel./Fax 045 8032194 www.mfe.it gfe.verona@gmail.com
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