Eureka Maggio 2016
Universitari per la federazione europea
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Indice Editoriale ........................................................................................................................... 3 Autore: Filippo SartorI .................................................................................................................................... 3
Intervista con il Rettore dell’ Università di Verona, Nicola Sartor ...................................... 4 Intervista ........................................................................................................................................................ 4
Brexit: il tormentato rapporto fra Regno Unito e Unione Europea .................................... 6 Autore: Giacomo Dindo ................................................................................................................................. 6
Il mito di Europa ............................................................................................................... 8 Autore: Pierfrancesco Bettini ........................................................................................................................ 8
Rubrica: Erasmus (Germania) .......................................................................................... 10 Autore: Giacomo Lucchini ........................................................................................................................... 10
Rubrica: il Parlamento Europeo ...................................................................................... 11 Autore: Anna Bellegante, Gianluca Bonato ................................................................................................. 11
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Editoriale Autore: Filippo Sartori
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a notizia è fresca, giusto pochi giorni fa: Ted Cruz abbandona la corsa alla candidatura repubblicana per le Presidenziali USA, consegnando di fatto la vittoria a Donald Trump. Trump che promette di “fare grande l’America di nuovo” con politiche di espulsioni di massa e costruzione di muri. In Europa, sentendo le opinioni comuni, il Tycoon americano è considerato un folle, con idee da fondamentalista: ci si augura che non ce la faccia a diventare Presidente, ma tanti dicono “si sa, gli americani potrebbero anche votarlo”. Rileggendo però la sua “teoria” per rendere l’America grande, non vi suona familiare? La politica di Trump non è poi così lontana da quella che sta prendendo piede in Europa, dove sempre più Paesi mostrano la loro insofferenza verso i migranti. Questo tema è ricorrente, io stesso sono conscio di averlo toccato in quasi ogni editoriale. Eppure non si può far a meno di trattarlo, perché rappresenta un nervo scoperto dell’Unione. Parliamoci chiaro: sulla questione migratoria si gioca il futuro dell’Unione e la possibilità di creare una Federazione! La situazione, dobbiamo essere obiettivi, sembra essere in fase di degenerazione: su tutte, la tensione al Brennero, con l’Austria che, dopo aver visto la vittoria del fronte nazionalista anti-europeo alle scorse elezioni, minaccia di costruire un vero e proprio muro al confine con l’Italia; ma non solo questo, purtroppo. Altri sei paesi, tra i quali anche Germania e Francia, spaventati da ondate migratorie destinate ad aumentare in estate, chiedono il prolungamento dei controlli alle frontiere con gli altri Stati europei: di fatto chiedono un prolungamento dell’interruzione di Schengen. Schengen rappresenta forse il più grande trofeo degli europeisti convinti, oltre ad avere una grande valenza per tutti i cittadini dell’Unione Europea. Spesso si tende a non apprezzare ciò che si ritiene scontato, ma Boris Nemcov, politico russo (morto in circostanze sospette), parlando del possibile ingresso dell’Ucraina nell’UE, disse “Entro sette anni, l'Ucraina entrerà nell’Unione europea e tutti gli ucraini avranno un passaporto Schengen. E noi [russi] li invidieremo.”. Il primo privilegio che molti osservatori esterni associano all’ingresso nell’Unione è quello di godere del trattato di Schengen. Per questo non è assolutamente esagerato affermare che un passo indietro che comporti una rinuncia sistematica a Schengen suonerebbe come il Requiem dell’Europa. Nel frattempo, mentre gli Stati membri si preparano a chiudere le porte, ai confini si affollano disperati: a Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, in migliaia dormono da settimane nelle tende, aspettando di potersi muovere verso il cuore del continente per iniziare una nuova vita. Ovunque, Italia compresa, nel parlare di politiche di accoglienza si trova sempre qualcuno pronto ad etichettare queste parole come buonismi inutili e dannosi: eppure è difficile osservare le immagini che giungono da Siria e Libia, dove le città vengono rase al suolo da bombardamenti, e non pensare che i cittadini di quei Paesi abbiano tutto il diritto di fuggire dalla costante e quotidiana minaccia di morte, anche a costo di lasciare tutto. La crisi migratoria rappresenta la più grande sfida che l’Europa si trova ad affrontare, in ballo c’è la sua stessa esistenza: nel mese in cui si celebra la festa del nostro continente, il futuro sembra sempre più incerto. Nonostante quello che crediamo, tanti Trump sono presenti anche in Europa, e rischiano di rappresentarne i carnefici. Nei due mondi la sfida sembra essere tra chi alza muri e chi li vuole abbattere: parafrasando chi dei due mondi era l’Eroe, “o si fa l’Europa, o si muore!”. Eureka
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Intervista con il Rettore della Università di Verona, Nicola Sartor Intervista
Il Rettore era stato piuttosto audace lo scorso 2 dicembre, all’inaugurazione dell’anno accademico, parlando di Europa. Era stato molto chiaro su tutte le crisi che sei mesi fa come oggi l’Europa sta affrontando: non esistono soluzioni che non siano europee. C’è bisogno di una politica estera europea unica, di una difesa europea, c’è bisogno di completare l’unione bancaria. Come dargli torto? Abbiamo pensato, quindi, per domandargli qualcosa in più su quello che pensa riguardo a questa malconcia Europa, ma anche riguardo all’università, di chiedergli un’intervista. Professore, quanto è europea l’università di Verona e quanto lo sono i suoi studenti? L’università di Verona è proiettata in una dimensione europea. È aiutata in questo dalla sua collocazione geografica, nelle direttrici nord-sud ed est-ovest, ma anche dalle strutture presenti sul territorio, come un aeroporto internazionale e non solo. Vero è che le infrastrutture aiutano solo se c’è anche la volontà di essere europei. Ma l’ambiente universitario ha la transnazionalità nella propria natura: la ricerca, il sapere non hanno confini e i nostri docenti hanno reti di collaborazioni globali. Da parte degli studenti, invece, vedo una buona partecipazione al programma Erasmus. Un punto su cui si possono fare progressi è la presenza di studenti non italiani. Esistendo oggi solo cinque corsi in lingua non italiana, gli studenti stranieri, se non hanno già una buona padronanza dell’italiano, non trovano molte scelte. Ma su questo fronte in futuro si può migliorare.
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Quali conseguenze possono avere sulla carriera di uno studente dell’università i problemi che l’Europa sta affrontando (immigrazione, minaccia per la sicurezza…)? Ritengo che il rischio più grande di queste crisi sia in realtà l’arretramento dello spazio europeo; non penso che possa essere messo a repentaglio il fatto che i giovani dell’Europa continuino a venire a contatto con coetanei di culture diverse, che finisca la condivisione di valori in Europa. Anche sui programmi comunitari dell’Erasmus Plus conseguenze specifiche non ci dovrebbero essere. A mio parere, il vero rischio, appunto, sta nell’arretramento della costruzione europea. Spostiamoci allora sulla politica. Può esistere un futuro per gli Stati europei senza istituzioni europee? Senza istituzioni europee, i nostri Stati sarebbero soggetti senza rilevanza nelle tematiche mondiali: in economia, lotta al cambiamento climatico eccetera. Coloro che oggi hanno le dimensioni giuste per incidere sono gli Stati continentali, come Cina, USA, India, Brasile. Ma proviamo a pensare – è una suggestione –: se in Italia ci fossero ancora gli Stati preunitari, o addirittura le città-stato, oggi come staremmo? Un’infinità di barriere doganali, limitazioni alla libera circolazione e alla libera professione, nessun tipo di interazione. Sono i problemi che affronterebbero gli Stati nazionali europei, se divisi. E nessuno Stato può illudersi di farcela da solo; nemmeno la Germania ha il peso politico sufficiente. Lo ha affermato anche Obama qualche giorno fa, in occasione del suo incontro con i leader europei: c’è bisogno di un’Europa unita e prospera. È imperativo, oltretutto, preservare millenni di cultura europea. Quanto, invece, secondo Lei è probabile che si realizzi quella “democrazia europea postnazionale” di cui ha parlato all’inaugurazione dell’anno accademico? Devo dire che sono preoccupato per le sorti dell’Europa. Condivido i timori di Mario Draghi sul fatto che la sfida migratoria sia quella più pericolosa per il destino del continente. In particolare i Paesi dell’est-Europa (Ungheria, Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia) stanno mostrando grandi insofferenze su questo tema. Eppure rialzare i confini all’interno dell’Europa non aiuta a risolvere il problema. Al contrario, preoccupano le popolazioni locali, come i sudtirolesi e gli altoatesini, impensieriti dalla minaccia di questa nuova barriera, al Brennero. Anche se l’aspetto sociale non è da trascurare, stando ai numeri, la dimensione del problema è ridicola rispetto ad altri Stati. Proprio oggi [5 maggio, ndr], in un’intervista al Corriere della sera, lo zio del sovrano di Giordania, El Hassan bin Talal sottolinea che, se in Europa ci fosse la stessa proporzione di migranti presente nel suo Paese, sarebbero 150 milioni. E non dimentichiamo che questi migranti non sono colpevoli, ma vittime. Sono d’accordo, infine, con quanto ha detto il Segretario dell’Onu Ban Ki-moon: chi pensa di bloccare gli spostamenti con i muri è fuori dal mondo. Di fronte alla paura di morire, non c’è muro che tenga.
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Brexit: il tormentato rapporto fra Regno Unito e Unione Europea Autore: Giacomo Dindo
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ome tutti sappiamo, il prossimo 23 giugno si terrà il referendum con il quale i cittadini britannici decideranno se il Regno unito rimarrà all'interno dell'Unione europea oppure si separerà.
Il voto non è affatto scontato. Secondo un sondaggio di fine aprile fatto da YouGov per il The Times, al netto degli indecisi, sarebbe in vantaggio, con il 51% dei voti, l'uscita dall'Unione. Come sottolinea il settimanale inglese Economist nel suo primo numero di maggio, il voto sul referendum inglese non poteva essere in un momento peggiore. Infatti, la crisi dell'euro non è ancora finita, con la crescita che rallenta, la disoccupazione giovanile ancora alta e la Grecia sempre in difficoltà. A tutto ciò si aggiunge anche la crisi dei migranti e dei rifugiati che sta, tra l'altro, ponendo a rischio la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione. Tanto che molti leader, fra cui anche la tedesca Angela Merkel, sembrano indeboliti politicamente. Se il Regno unito lasciasse l'Unione europea, anche gli effetti a lungo termine sarebbero gravi. La UE perderebbe molto prestigio dalla uscita di uno dei suoi membri più grandi. Lo UK è uno dei pochi paesi europei con un vero peso diplomatico e militare. La Brexit sbilancerebbe, inoltre, la bilancia del potere, alzando il velo sull'egemonia della Germania e sulla debolezza della Francia. L'Europa apparirebbe, e probabilmente sarebbe, più chiusa su se stessa rispetto al resto del mondo. Lo stesso Regno unito, naturalmente, risentirebbe molto della Brexit. Secondo uno studio fatto dal ministero del tesoro inglese sui costi e benefici dell'uscita dall'Unione, la Brexit potrebbe ridurre il Pil del paese del 6,2% in 15 anni. Anche il presidente gli USA, Barack Obama, che è stato in Inghilterra lo scorso 22 aprile, si è speso pubblicamente a favore della permanenza del Regno unito all'interno dell'Unione europea. In una recente intervista rilasciata al Corriere della sera, Giorgio Napolitano, commentando il discorso del presidente americano, si è così espresso: “Viviamo una grave crisi dell’unità europea e del processo di integrazione. Ma abbiamo appena vissuto un intervento storico del presidente degli Stati Uniti, che non è stato sottolineato abbastanza. Obama si è rivolto ai popoli europei e alle leadership. Ha fatto capire che gli USA non vogliono più trattare con i singoli Stati europei, ma con l’Europa nel suo insieme. Ha detto che la relazione speciale tra Washington e Londra non avrebbe più senso se Londra non restasse nell’UE. E ha usato un’espressione che mi ha colpito per la sua durezza: “È nella nostra natura umana l’istinto, quando il Eureka
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futuro appaia incerto, di ritrarsi nel senso di sicurezza e di conforto della propria tribù, della propria setta, della propria nazionalità”. Insomma, Obama ha messo gli impulsi neonazionalistici sullo stesso piano degli istinti tribali”. Come il Presidente Napolitano, anche noi condividiamo le parole di Obama e riteniamo che la risposta alle sfide del mondo moderno, fra cui il cambiamento climatico, le crisi migratorie, la povertà e lo sviluppo dei paesi emergenti, la crisi finanziaria e lo sviluppo della democrazia nel mondo, non possano che essere affrontate da un'Europa unita e coesa. I singoli Stati europei sarebbero irrilevanti in un mondo dominato da potenze delle dimensioni degli Stati uniti d’America, Russia, Cina, India e Brasile. Lo ha sottolineato lo stesso Obama. Se il Regno unito vuole essere degno del suo glorioso passato, non può ritirarsi dentro se stesso come 1a lumaca nel suo guscio, perché diventerebbe irrilevante. Ma anche l'Unione europea ne sarebbe indebolita sia politicamente che da un punto di vista culturale. Per questo speriamo che nel referendum del 23 giugno i cittadini britannici vincano i loro "istinti tribali" e votino per restare all'interno dell'Unione. In ogni caso, il processo di integrazione dell'Unione europea non è ancora completo; per affrontare con successo le grandi sfide della globalizzazione ed essere un protagonista di peso nella determinazione del nostro futuro, l'Europa deve essere unita e federale!
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Il mito di Europa Autore: Pierfrancesco Bettini
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uropa. Il nostro continente: un libro così antico, variegato e prezioso. Sfogliando le sue pagine, scritte dalla decisa mano della storia, leggiamo come esse siano profondamente legate già dagli albori della civiltà e della cultura. Già i Greci attribuivano all’Europa una connotazione geografica, indicandola come il complesso di regioni posto a Occidente rispetto all’Asia e affacciato al suo confine sul vasto e sconosciuto Oceano, dove mai nessuno aveva osato avventurarsi superando le “colonne d’Ercole”. Ma ancora prima di questo attributo territoriale, la parola Europa veleggiava tra le sognanti atmosfere del mito, stando a indicare differenti figure femminili, ma indubbiamente il racconto più famoso è antichissimo, si perde nel remoto periodo del misterioso poeta Omero, ed è quello che comunemente è conosciuto come il ratto di Europa.
Ci troviamo sulle spiagge della Fenicia, Ovidio ne “Le Metamorfosi” ci suggerisce nei pressi di Sidone. Su questi bianchi lidi, Europa, figlia di Agenore, re della vicina Tiro, gioca leggiadra con le amiche. È bellissima, a tal punto che Zeus, colpito e innamoratosi follemente, cerca il modo per conquistarla. Confusosi quindi con gli armenti del re, diretti verso lo stesso lido in cui si trova l’amata, prende le sembianze di un toro bianco, magnifico, di un candore abbagliante, simile a quello della neve: le corna, piccole e delicate, con la loro sagoma levigata e quasi scolpita con abilità, nobilitano trasparenti un aspetto mansueto e docile. La bella Europa non può ignorarlo, e nemmeno sfuggire ad un animale così elegante ed innocuo. Vinto pian piano l’iniziale timore, la fanciulla si avvicina al toro, e comincia a giocare con lui, gli porge fiori, intreccia allegramente verdi ghirlande per le sue corna. L’innamorato, ardente di desiderio, saltella sull’erba, distende il fianco sulla sabbia dorata. La principessa gli si appoggia sul dorso e si lascia condurre dolcemente fino alle onde che accarezzano la riva. E così Zeus mette in atto i suoi propositi, si inoltra tra i flutti, conducendo in mezzo al mare la sua preda che, piena di timore e aggrappata alle corna del suo sconosciuto rapitore, rivolge lo sguardo confuso, atterrito e innocente verso la sua terra. Non vi fece mai più ritorno. Giunse invece a Creta, dove Zeus, deposte le sembianze di toro, si unì a lei a Gortina, nei pressi di una fonte e di un platano che ebbe il privilegio di non perdere mai le foglie in ricordo di tali amori, mentre il toro bianco e mansueto divenne una costellazione posta tra i segni dello zodiaco. Europa gli diede come figli Radamanto, Minosse (futuro re di Creta e grande legislatore, famoso per la leggenda del Minotauro e per il ruolo agli Inferi di giudizio delle anime dei morti insieme al fratello Radamanto) e Sarpedone. Rimase sull’isola e diventò moglie di Asterione, re di Creta, che ne adottò i figli. Zeus non abbandonò il suo affetto per l’amata e le elargì tre doni: il guardiano di bronzo Talo, un cane che non poteva lasciarsi sfuggire alcuna preda e uno spiedo da caccia che non mancava mai il bersaglio. A questo punto la trama affascinante e lontana dei miti intreccia queste vicende con altre, altrettanto famose e importanti come quelle dei validi guerrieri Argonauti e delle vicissitudini dei fratelli d’Europa. Seguendo il vano peregrinare di questi ultimi, alla ricerca della sorella rapita, lungo i territori bagnati dal Mediterraneo, ci affascina il pensiero di un continente allora ritenuto così ampio, in parte sconosciuto e che ha sentito riecheggiare tra i propri monti, boschi, pianure, città e fiumi, quel nome, Europa, allo stesso momento tremante e deciso, carico di speranza e di coraggio, che di lì a breve avrebbe poi fatto proprio. Fascino, ma anche riflessioni: questi fratelli di stirpe regale, Cadmo, Fenice e Cilice, girovagando per mari e monti e fondando città, ci trasmettono un’idea di Europa intraprendente, vincente, fondata su spostamenti, movimenti costruttivi, latori di una cultura raffinata, elevata, ambiziosa, che plasma e migliora i territori che tocca. D’altra parte loro padre, Agenore, re siriano, era fratello del re d’Egitto, ed era Eureka
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pure figlio di Libia: parliamo di territori ricchi e fiorenti. La sua parentela poi con Poseidone quasi vuol indicare un richiamo al dominio sui mari. Tutto ciò, però, nato da un rapimento e da una conseguente ricerca. Una ricerca di armonia che ci richiama alla mente, come membri dell’Europa moderna, la potenzialità della nostra Europa come riserva e fucina di bellezza. Si prendono così in considerazione anche le ricadute di questo mito sul potenziale creativo in tutto il continente: diverse espressioni artistiche, infatti, ne mettono in evidenza aspetti differenti, attualizzati e carichi di emotività e modernità. All’atmosfera sognante e distesa dipinta dal Veronese si contrappone in una sorta di movimentato ossimoro la tensione e la drammaticità della tela di Rubens che nella costruzione rappresentativa aderì in modo preciso al “Ratto d’Europa” del Tiziano. La figura elegante e raffinata della principessa che, ritratta nel momento precedente al rapimento, troneggia sul “locus amoenus” e distoglie l’attenzione dell’osservatore dalle fasi più tragiche del mito rappresentate sullo sfondo, viene sostituita da un’Europa impotente e strappata dai lidi paterni dall’energia veemente del toro, immerso da Rubens in una natura sconvolta e agitata. Le due opere messe a confronto sono indice di una ricerca che scandaglia in profondità l’animo umano nel suo multiforme rapportarsi con la realtà. Ma ogni ricerca deve avere un obiettivo: la bella Europa deve essere ritrovata. Ecco, siamo chiamati in causa, ancora una volta. Il fine comune, che non è un ritrovamento ma un consapevole rinascimento della nostra Europa, è da perseguire mediante i mezzi e gli entusiasmi migliori, mediante un miglioramento consapevole, partendo dall’ottimizzazione delle singole realtà, dei singoli Stati, chiamati a esprimere il massimo del loro potenziale. Ecco il testamento del mito e come il mito si rende utile per la modernità. Europa un tempo non fu ritrovata. Un epilogo che può essere riscritto.
Paolo Caliari, detto il Veronese, Il ratto d’Europa, 1580 ca., olio su tela (240 x 370 cm), Venezia, Palazzo Ducale
Pieter Paul Rubens, Ratto di Europa, 1628-1629, olio su tela (120 x 109 cm), Madrid, Museo del Prado
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Rubrica: Erasmus (Germania) Autore: Giacomo Lucchini
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l mio Erasmus è iniziato come iniziano la maggior parte degli Erasmus: scegliendo una città a caso tra quelle disponibili. Sono stato molto fortunato perché la mia scelta è caduta su Berlino.
L’Erasmus è sempre un’esperienza unica che ti permette di incontrare persone e modi di vita differenti, ma l’Erasmus a Berlino raddoppia la vincita! Fin da subito ho trovato una stanzetta vicino a Mauerpark e appena arrivato ho visto il mercato delle pulci di questo parco, che ti fa ben capire l’atmosfera della capitale tedesca: ci si trova di tutto, sia nelle persone che nelle merci vendute, dai turisti alla ricerca di un ricordino al senza tetto alla ricerca di qualche bottiglia vuota per recuperare la cauzione, dai giovani punk riempiti di tatuaggi alla numerosa famiglia turca che fa un barbecue. E poi cibo tipico della Baviera e della Turchia, bici usate e rubate, vestiti vintage, scatoloni di cartoline tirate fuori da una vecchia soffitta. E così come è iniziato il mio Erasmus è andato avanti ubriacandomi di nuove persone, di esperienze e punti di vista diversi e dell’ottima e conveniente birra tedesca. Certo non è tutto rose e fiori, ci sono state anche le cose negative, ad esempio il lunghissimo inverno tedesco che quando è pasquetta e fuori nevica pensi che sia uno scherzo, o la lingua (“life is too short to learn german” cit. Sir Richard Porson), o ancora che alla fine anche l’Erasmus finisce e ritornare alla solita routine ti manda un po’ in depressione. Superata la depressione da ritorno ti accorgi di essere cambiato, cresciuto forse. Ti ricordi di molte persone, di alcune ti dimenticherai in fretta, di altre ti rimarranno dei piacevoli ricordi, con altre ancora resterà una profonda amicizia che neanche la distanza potrà spezzare. È difficile spiegare cosa ti rimane dall’Erasmus in poche righe, bisognerebbe praticamente scrivere un libro diverso per ogni studente, ma c’è una cosa che accomuna tutti quando tornano: la sensazione che esista un sentire comune, una comunità europea che non è formata solo dagli uffici di Bruxelles, ma è formata dai milioni di giovani che si muovono liberamente per un’Europa senza confini e senza muri. L’Erasmus a mio avviso dovrebbe essere obbligatorio per tutti, per comprendere che facciamo parte tutti di una stessa comunità. Se i nostri governanti avessero fatto l’Erasmus, molto probabilmente riuscirebbero un po’ meglio a mettersi nei panni degli altri europei e disastri come quelli visti con i (non-)aiuti alla Grecia si sarebbero evitati. Io immagino l’Erasmus come la leva militare nell’Italia di fine ‘800: come quella fece scoprire a calabresi e veneti che esisteva un’Italia unica, così questo dovrebbe far capire a tedeschi e greci, finlandesi e italiani che l’Europa è unica!
P.S. (Nel titolo della rubrica è scritto che l’Erasmus l’ho fatto in Germania. Non credetegli, Berlino non è Germania, è un’altra cosa!)
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Rubrica: il Parlamento Europeo Autore: Anna Bellegante, Gianluca Bonato 3. funzione di bilancio (elabora il bilancio dell’UE e insieme al Consiglio approva il cd. quadro finanziario pluriennale).
La sua storia Il Parlamento europeo, con il Consiglio dell’Unione europea, è l’organo legislativo dell’UE. Se l’Europa è una “democrazia postnazionale” incompiuta, visto che la maturità di una democrazia si misura in buona parte sul ruolo del parlamento, vale forse la pena ricordare brevemente le tappe della storia del Parlamento europeo. La sua data di nascita è il 1952, quale Assemblea comune della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Prende il nome di Parlamento europeo nel 1962, ma i cittadini europei devono attendere fino al 1979 per eleggere i loro rappresentanti, in modo che difendano gli interessi dei cittadini europei. Prima, erano gli Stati nazionali a interporsi nell’elezione ognuno dei suoi membri. Dal 1979, ogni cinque anni si tengono le elezioni del Parlamento europeo (le ultime sono state a maggio 2014) e, da allora, ha acquisito sempre maggiori competenze.
Il ruolo
La composizione Il numero massimo dei suoi membri è stato fissato a 751, compreso il Presidente (attualmente il socialista Martin Schulz). A ciascuno Stato membro sono assegnati non più di 96 seggi; il numero è peraltro proporzionale alla popolazione di ciascun Paese. I parlamentari sono poi aggregati in gruppi politici: per formarne uno, è necessario che almeno sette Paesi siano rappresentati e i due più grandi sono quelli del Partito popolare europeo (217 MEPs) e del Partito socialista europeo (190 MEPs).
Funzionamento Il lavoro del Parlamento si articola in due fasi:
Il Parlamento – dicevamo – ha funzione legislativa. Abbiamo tuttavia imparato dalla scorsa puntata (numero di marzo) che è la Commissione europea che deve proporre un Regolamento o una Direttiva. Il Parlamento può solo, assieme al Consiglio, emendare, approvare o bocciare la proposta. Importanti sono poi le sue funzioni in materia di supervisione e di bilancio. Vediamole schematicamente tutte e tre: 1. funzione legislativa (adotta la legislazione dell’UE, sulla base delle proposte della Commissione europea, decide sugli accordi internazionali e in merito agli allargamenti e rivede il programma di lavoro della Commissione); 2. funzione di supervisione (svolge un controllo democratico su tutte le istituzioni dell’UE, elegge il Presidente della Commissione e le dà la fiducia – o la fa decadere in blocco – quale organo, esamina le petizioni dei cittadini, discute la politica monetaria con la BCE…);
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Le due sedi del Parlamento europeo sono a Bruxelles e a Strasburgo (ma è in discussione un progetto per cancellare la doppia sede!).
1. Commissioni: preparano la legislazione, sono 20 (più 2 sottocommissioni), ognuna delle quali si occupa di un determinato settore; 2. Sessioni plenarie: adottano la legislazione: in questa fase gli eurodeputati si riuniscono per esprimere un voto finale sulla proposta legislativa e gli emendamenti proposti.
Curiosità: capita spesso che importanti personalità, non tenute secondo la procedura, per motivi politici e non, tengano discorsi e dialoghino con i membri del Parlamento europeo. Alcune di queste, in seguito alle ultime elezioni europee, sono state papa Francesco, Alexis Tsipras, Sergio Mattarella, Angela Merkel e François Hollande.
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Disertando la politica non si lasciano le cose come sono, nemmeno nella vita privata. Si creano vuoti di potere, cioè si affida il potere agli altri, si accetta che degli altri divengano i padroni del proprio futuro. Mario Albertini
Rivista degli Universitari per la federazione europea
Direttore: Filippo Sartori Collaboratori: Anna Bellegante, Pierfrancesco Bettini, Gianluca Bonato, Giacomo Dindo, Giacomo Lucchini, Marco Barbetta Impaginazione Grafica: Andrea Leopardi Redazione: Via Poloni, 9 - 37122 Verona Tel./Fax 045 8032194 www.mfe.it gfe.verona@gmail.com
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