Eureka 05 2017

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Universitari per la Federazione europea

La riscossa europea


Som m a r i o

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Una nuova linfa all’integrazione europea

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La Turchia uno Stato europeo? Sì, ma non ora

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Commento alla Dichiarazione di Roma

Racconto di un’Erasmus francese (Verona)

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Roma, 25 marzo

Rubrica Istituzioni: Consiglio dell’Unione europea

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Universitari per la Federazione europea

Rivista degli Universitari per la Federazione europea Con il contributo dell’Università degli studi di Verona Responsabile del gruppo studentesco: Marco Barbetta Direttore: Filippo Sartori

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Collaboratori: Gianluca Bonato, Davide Corraro, Andrea Golini, Umberto Marchi, Salvatore Romano, Audrey Rothera, Andrea Zanolli Progetto grafico: Bruno Marchese Redazione: Via Poloni, 9 - 37122 Verona Tel./Fax 045 8032194 www.mfe.it gfe.verona@gmail.com

Universitari per la Federazione europea•Maggio 2017


Editoriale di ri Filip po Sarto

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a primavera 2017 rappresenta un momento chiave nella recente storia politica europea. In questo periodo si concentrano infatti svariati eventi che, sul piano continentale, daranno una direzione precisa agli avvenimenti del futuro prossimo. Innanzitutto, con la lettera pervenuta al Consiglio Europeo, si avvia ufficialmente il procedimento di uscita del Regno Unito dall’UE. A destare scalpore, più che questa formalità prevista dalle procedure, sono state le successive dimissioni di Theresa May. Osservando il panorama politico britannico, tuttavia, è facile capirne le ragioni: visto il prossimo inizio delle trattative per la Brexit, ma soprattutto il vantaggio nei sondaggi, la May andrà in cerca del maggior sostegno possibile da parte delle Camere, dove attualmente non gode di una maggioranza così solida. Buone notizie sono giunte dai Paesi Bassi, dove il rischio di una vittoria dei populisti del Pvv di Wilders è stato scacciato dal risultato ottenuto dai liberali. La vittoria di Rutte, seppur con una perdita di consensi rispetto al 2012, rappresenta dal punto di vista europeo uno schiaffo all’euroscetticismo e al pericolo di instabilità che sarebbe potuta derivarne. Tuttavia, degli svariati appuntamenti elettorali di questo periodo, quello senza dubbio più importante, specie per le possibili ripercussioni, è rappresentato dalle Presidenziali francesi.

Al primo turno si è assistito alla vittoria di Macron, che col suo movimento En Marche! è riuscito a precedere, seppur di pochi punti, il Front National di Marine Le Pen, oramai figura di riferimento di tutto il nazionalismo europeo. Il risultato di questo ballottaggio, che tiene col fiato sospeso tutta l’Unione, può essere fonte di nuova linfa, dando uno slancio al rinnovamento delle politiche comunitarie, così come può rappresentare un brusco, e forse definitivo, stop alla politica di integrazione comunitaria, che già di per sé prosegue a passi molto brevi e lenti. Il condizionale è d’obbligo, in quanto le recenti dichiarazioni della leader populista francese hanno mostrato una parziale attenuazione dei toni nei confronti dell’Unione, restando tuttavia profondamente critica e continuando a sventolare l’arma referendaria. Le elezioni federali in Germania rappresentano un ulteriore banco di prova, con uno scenario molto incerto ma che non pare avere spazio per grandi minacce euroscettiche: la sfida sembra essere tra Cdu-Csu e Spd, che grazie alla candidatura di Martin Schulz, già Presidente del Parlamento Europeo e leader del Pse, sembra aver ridotto parzialmente il gap presente. In Italia, seppur con un peso decisamente differente rispetto alle Presidenziali francesi, si sono svolte le primarie del Partito Democratico. Nonostante rappresentino la scelta del segretario di un partito, essendo il PD in questo momento l’unica fazione opposta al populismo a 5 stelle, è rilevante capire cosa intenderà fare in campo comunitario il nuovo segretario. L’annunciata vittoria di Renzi pone da un lato un leader forte, in grado di gestire situazioni difficili con polso e autorità, ma solleva qualche perplessità legata agli atteggiamenti in politica continentale dell’ex Premier dem. Sarà importante capire quale strada deciderà di percorrere il Pd, la cui natura europeista resta comunque chiara e solida nelle sue fondamenta. Con la fine di maggio, dunque, una larga fetta di cittadini europei potrà esprimere la propria opinione, in una tornata elettorale più che mai incentrata sulle diverse visioni in ambito europeo. Una sconfitta dei partiti euroscettici metterebbe in chiaro il volere dei cittadini, che in un periodo di instabilità internazionale cercano nell’Unione Europea un baluardo in difesa di pace e democrazia.

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di lli And rea Zano

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Una nuova linfa all’integrazione europea

l 23 giugno scorso, ci siamo risvegliati con uno storico risultato proveniente dalla Gran Bretagna: Brexit. Qualche mese più tardi, abbiamo assistito all’elezione a Presidente degli Stati Uniti di un uomo che indossa orgogliosamente cappellini contro l’Unione Europea e che continua a manifestare il suo dissenso verso l’unione del Vecchio Continente. Due eventi di una portata, almeno apparentemente, epocale e che addirittura ad alcuni sono sembrati essere l’inizio della nostra fine, a maggior ragione vedendo il calendario elettorale che avrebbe investito l’Europa nei mesi a seguire. Invece, il 4 dicembre il verde Alexander Van der Bellen ha sconfitto il più nazionalista degli avversari nel ballottaggio per le presidenziali austriache, osando sferrare un programma che parlasse d’Europa. Due mesi più tardi, il 16 febbraio, nell’aula dell’Europarlamento di Strasburgo, sono stati approvati tre rapporti presentati da alcuni parlamentari e che avanzano rilevanti proposte di cambiamento nel funzionamento dell’Unione. Successivamente, il 15 marzo il liberale Mark Rutte ha vinto le elezioni in Olanda, dove aleggiava lo spettro nazionalista di Geert Wilders, e si è presentato davanti alla stampa affermando: «È la vittoria dell’Europa». Sempre in Olanda, il più europeista dei partiti (GroenLinks) ha aumentato il proprio numero

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di seggi in Parlamento da 4 a 14. Situazione analoga c’è stata pochi giorni prima nella piccola Irlanda del Nord, dove il partito europeista e secessionista Sinn Fein è andato vicinissimo alla conquista della maggioranza dei seggi a discapito del Partito Unionista, antieuropeista e pro Brexit. Inoltre, fra febbraio e marzo si è risvegliato anche il cuore di piazza del popolo europeo che ha invaso le città d’Europa, a Barcellona, a Londra, a Berlino, fino a Roma il 25 marzo dove le manifestazioni federaliste hanno sconfitto in numero e in mobilitazione i cortei anti europeisti. Proseguendo cronologicamente, il 23 aprile in Francia Emmanuel Macron ha festeggiato la vittoria al primo turno della corsa all’Eliseo davanti a un mare di bandiere francesi e, soprattutto, a dodici stelle, dopo una campagna elettorale in cui ha sferrato moltissimi colpi in direzione convintamente europeista. I prossimi appuntamenti elettorali sono le elezioni britanniche, di cui possiamo disinteressarci in questa sede, e le elezioni tedesche del 24 settembre, oltre, chiaramente, al ballottaggio francese del 7 maggio. In Germania la sfida per la Cancelleria sarà fra i due più grossi e potenti partiti: quello Cristiano-Democratico di Frau Angela Merkel e quello Socialdemocratico di Martin Schulz. Abbassatesi nell’ultimo periodo le quotazioni dei nazionalisti di Alternative für Deutschland, i due candidati principali saranno loro due, entrambi di stampo europeista e possibili trascinatori di una nuova storia di integrazione che ci auguriamo possa avvenire a partire da dopo la formazione del nuovo governo in Germania. Per quanto riguarda il ballottaggio francese, pochi giorni dopo il primo turno, stando ai sondaggi, pare che il leader di En Marche! Macron sia favorito sulla leader del Front National Marine Le Pen, che nonostante il passaggio al secondo turno ha raccolto un numero di voti inferiore rispetto a quanto si prospettava avrebbe raggiunto fino a qualche mese fa e inferiore anche a quanto raggiunto alle europee del 2014. Addirittura Le Pen è stata vinta da un trentanovenne che ha fondato il suo partito solo un anno fa e che la ha sorpassata proprio sul tema forte della campagna lepenista: nazionalismo contro

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europeismo. Inutile dire che noi federalisti ci schieriamo dalla parte dell’ex Ministro dell’Economia, non solo perché l’avversario è l’esponente primario dei nostri peggiori nemici, ma anche perché Macron ha portato avanti il messaggio europeo con coraggio, coerentemente e senza mai togliere le bandiere europee dal suo ufficio o da un suo comizio, ma anzi sventolandole orgoglioso insieme ai suoi sostenitori dall’inizio alla fine della propria campagna. Le parole dette da Macron sull’Unione Europea non si sono focalizzate contro il nemico comune rappresentato dai tecnocrati di Bruxelles, come invece spesso avevamo sentito e sentiamo da altri esponenti che si dicono europeisti, ma che non dimostrano di esserlo a spada tratta come fa il leader di En Marche!. Analizzate queste situazioni, credo che sintomo di una qualche novità fra il popolo europeo siano sia la discesa di consensi di Alternative für Deutschland, sia il successo sotto le attese di Le Pen alla prova dei fatti, sia il sostegno a un candidato con le caratteristiche di Macron da parte dei francesi, storicamente molto legati al concetto nazionale. Guardando a cosa è accaduto negli ultimi mesi ci rendiamo conto che il vento sta cambiando e che è la gente a soffiare in una direzione che a detta di alcuni oggi doveva già essere morta. Dobbiamo continuare a chiedere a gran voce alle forze politiche e ai governi nazionali di avere il coraggio di aprire le vele e sfruttare questo vento che chiede risposte nuove a problemi ormai sempre più vecchi e perennemente resistenti davanti alle (in)

capacità dello Stato nazionale. Sperando che Macron sia eletto Presidente della Repubblica francese e che il suo cammino coerente e limpido possa diventare un esempio per altri esponenti di altre nazioni, permettiamoci di credere che un futuro non troppo lontano sia prospero per un vero rinnovamento dell’Unione, guidato da quelle che noi come federalisti crediamo essere le soluzioni. La pressione del popolo europeo e una (possibile) altra vittoria per il fronte Europa non potranno non avere effetti sulle decisioni dei governanti nazionali, a partire, magari, dalla politica estera e di sicurezza comune, visto che il terrorismo e le guerre ai nostri confini non si placano. Ora spetta a noi mantenere alto il livello di desiderio di integrazione che gli europei stanno dimostrando, perché le vittorie di chi presenta proposte chiare e serie senza inseguire i metodi e i valori populisti e nazionalisti possano moltiplicarsi. Non fermiamo il processo di manifestazione e di sostegno all’Europa e a un’Europa federale in un momento favorevole come quello odierno, perché non venga ricordato solo come un periodo propizio, ma anche e soprattutto proficuo. P.S. Ho scritto questo articolo prima del secondo turno delle presidenziali francesi, quindi non so ancora se Le Pen è davvero sconfitta, ma nutro la speranza che la Francia possa rispondere in maniera affermativa nelle urne, proprio perché credo che davvero ci sia un vento nuovo che non rallenterà neanche davanti ai francesi.

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S (un ergio Pistone o) iver n sità di Tori

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Commento alla Dichiarazione di Roma Questo articolo è apparso sul numero 02/2017 de L’Unità europea.

a “Dichiarazione di Roma” approvata il 25 marzo in occasione del 60° anniversario dei Trattati di Roma contiene un importante messaggio di chiusura alle suggestioni della disintegrazione emerse in particolare in connessione con la Brexit, un messaggio significativamente sottoscritto, oltre che dai ventisette capi di stato e di governo, dai leader delle istituzioni europee. Tale messaggio si accompagna all’impegno comune nella lotta alla disoccupazione e alle diseguaglianze, alla condivisione del metodo del multilateralismo e del commercio equo e solidale a livello internazionale, alla lotta al cambiamento climatico, alla necessità di sviluppare la dimensione europea della sicurezza esterna e della difesa, al rispetto delle regole comuni e alla prospettiva del rafforzamento democratico delle istituzioni comuni. L’indicazione di questi impegni deve essere apprezzata, tenendo presente che, nel contesto della celebrazione del 60° anniversario dei Trattati di Roma e della crisi esistenziale in cui si trova l’integrazione europea, era necessaria una presa di posizione unitaria a favore delle fondamentali finalità del processo di unificazione europea e la manifestazione della volontà di affrontare le sfide vitali con cui si confronta l’Unione Europea.

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Ciò riconosciuto, si deve d’altra parte dire chiaramente che un messaggio non basta se esso non è accompagnato da impegni concreti e precisi sul contenuto dei progetti, sul metodo e sull’agenda per realizzarli, in mancanza dei quali il messaggio rischia di essere rapidamente disatteso e contraddetto, come è avvenuto pochissimo tempo dopo la sua firma da parte del Gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia) e dell’Austria. È evidente che la ricerca dell’unanimità ha decisamente ostacolato la chiarezza e la concretezza sulla via attraverso cui realizzare gli impegni affermati. E tuttavia è passata nella dichiarazione di Roma l’affermazione sulla possibilità, se necessario, di procedere con ritmi diversi. Ciò significa che i governi più europeisti anticipano la volontà – che potrà manifestarsi concretamente solo se nelle prossime tornate elettorali nazionali risulteranno sconfitte le tendenze nazionalpopuliste – di compiere una scelta in direzione dell’integrazione differenziata. Il Vertice di Roma, con i suoi aspetti apprezzabili e i suoi limiti, è stato accompagnato da altri eventi che vanno ricordati per valutare complessivamente la celebrazione del 60° anniversario dei Trattati di Roma. Ci sono state le manifestazioni popolari a favore di una Europa unita, democratica e solidale, il cui messaggio fondamentale è la rivendicazione di una rapida realizzazione di un’unione politica federale partendo dai paesi disponibili. E ci sono state le dichiarazioni, che vanno sottoscritte pienamente, del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella del 22 marzo, secondo cui «la riforma dei trattati europei è ormai ineludibile» e del 25 marzo secondo cui occorre aprire “una fase costituente” con il traguardo delle elezioni europee della primavera del 2019. I federalisti devono impegnarsi con tutte le loro energie per far sì che dal 60° anniversario dei Trattati di Roma parta una battaglia decisiva per la Federazione europea.

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di o Sal vatore Roman

Roma, 25 marzo

«V

iva l’Europa, viva la Federazione europea, viva gli Stati uniti del mondo». Con queste parole ha concluso il suo discorso il presidente del Movimento Federalista Europeo, Giorgio Anselmi, dal palco di piazza Bocca della Verità. Alla folla, riunitasi nella piazza romana per celebrare i sessant’anni della firma dei Trattati di Roma, ha presentato con questa estrema sintesi una linea di pensiero che risale al trattato Per la pace perpetua di Immanuel Kant. Un filo rosso che ha unito e tenuto insieme non solo “menti illuminate”, ma anche le azioni di coloro che dal secondo dopoguerra si sono impegnati nell’attuazione del progetto europeo. Nella prospettiva che solo il superamento degli innumerevoli particolarismi nazionali avrebbe portato ad una gestione previdente delle risorse comuni, e ad una loro giusta e pacifica distribuzione, si sono mossi quegli uomini. Con la consapevolezza che la creazione di un organismo sovranazionale avrebbe rappresentato un’indispensabile soluzione alle immortali rivendicazioni nazionaliste, hanno scelto quale strada seguire. La medesima che il 25 marzo scorso hanno deciso di percorrere i manifestanti del corteo, facendo sentire la presenza del popolo europeo e la sua reale consistenza ad un popolo opposto, quello degli euroscettici, o a coloro che pensano che i confini degli Stati siano i migliori spazi entro cui muoversi e l’orizzonte nazionale l’unico limite verso cui guardare. Chi ha calcato le strade della capitale quel giorno, conosceva la posta in gioco, il significato dell’evento, e per questo, sotto il sole inclemente, ha marciato insieme a chi ha provato una vertigine al pensiero «viva l’Europa, viva la Federazione europea, vive gli Stati Uniti del mondo». In uno dei primi capitoli dell’Uomo senza qualità, Musil scrive che l’uomo che ha il senso della possibilità

non può non avere anche il senso delle realtà. Questo individuo vede la realtà non come qualcosa di immutabile, un dato fisso e stabile, ma come un elemento in cui sono nascosti gli indizi di una sua radicale trasformazione. Perciò egli si adopera affinché tali spinte dinamiche vengano alla luce, a trattare la realtà alla stregua di un materiale da lavoro. Ma da questo tipo, che si potrebbe definire forte, differisce il tipo debole, spiega Musil, e la natura di quest’ultimo sembra essersi manifestata in modo comico proprio il 25 marzo. Mentre a Roma duravano le manifestazioni e i capi di Stato si impegnavano nella sottoscrizione di un documento per il futuro del continente, a Lampedusa prendeva corpo l’ennesimo spot “Italia più sicura, padrona dei suoi confini” del leader della Lega Nord, Matteo Salvini. Se le sue parole, insieme a quelle di chi proclama un ritorno alla sovranità nazionale, fossero giunte alle orecchie di uno dei diecimila in piazza quel giorno, questi avrebbe capito che erano fumo negli occhi, che si trattava di nostalgie, o delle chimere di un sognatore. Se si fossero sentite, si sarebbe facilmente smascherato l’illusionista, il visionario, le formule del quale non trovano mai un vero ancoraggio alla realtà, e sono come ragnatele che sembrano perfette nella loro tessitura, ma in verità si dimostrano inconsistenti e campate in aria. Ecco il tipo debole. E se quelle parole fossero state echeggiate dai microfoni e altoparlanti, ne avremmo avuto la prova. Ma la discrepanza tra il sognatore e il realista che marciava a Roma si è concretizzata involontariamente nel video malriuscito, in diretta dall’isola, disturbato dalle raffiche di vento che coprivano parole troppo leggere quel giorno.

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di Andr Golini ea

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La Turchia uno Stato europeo? Sì, ma non ora Europa e Turchia hanno cercato per oltre sessant’anni qualcosa che li unisse, adesso sembrano aver trovato tutto quello che li separa.

ra il 1924 quando, tre anni dopo il Teskilât-ıesasîye kanunu (la legge sulle istituzioni fondamentali ovvero la prima costituzione turca), Mustafa Kemal proclamò la nascita della Repubblica di Turchia. La fine dell’impero ottomano segnò l’inizio dell’avvicinamento della Turchia verso l’occidente, o meglio, verso l’Europa. Politicamente, è da quasi 70 anni che la Turchia fa parte del mondo europeo: iniziò con l’adesione al Consiglio d’Europa nel 1949 e alla NATO nel 1952. L’anno successivo all’adesione alla NATO la Turchia firmò, con la Comunità economica europea, l’Accordo di Ankara, ovvero il trattato di associazione con lo Stato turco. Nel 1996 aderì all’unione doganale e negli anni successivi ottenne lo status di candidata per entrare nell’Unione europea. All’inizio del ventunesimo secolo, in Turchia sale al potere l’AKP (il Partito della Giustizia e dello Sviluppo), un partito islamico-moderato guidato da Recep Tayiip Erdogan, l’uomo che secondo molti sarebbe riuscito a conciliare Islam e occidente. Lo stesso Erdogan apre nel 2005 le trattative di adesione all’Unione europea, trattative che nel corso degli anni sono andate scemando. Le cause sono molteplici: dalla crisi finanziaria che ha colpito l’Europa, dalle ragioni culturali e religiose, le quali preoccupano molti europei (ricordiamo che la Turchia è uno stato musulmano), dalle tensioni che si sono formate in Medio Oriente – in particolare la guerra in Siria – e da provvedimenti da parte dello Stato turco sempre più distanti dai valori europei. Non solo: Stati come Francia e Germania sono preoccupati da un eventuale ingresso della Turchia, perché tale Stato conta circa 80 milioni di abitanti e un paese così popoloso potrebbe mutare i fondamenti politici dell’Unione europea. Infatti, l’attuale ripartizione dei seggi al Parlamento europeo è basata sulla popolazione: più uno Stato è popoloso, maggiori saranno i suoi seggi. Oggi la Germania, con gli attuali 96, è il paese con più seggi. La Turchia, con una popolazione pressoché pari a quella

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tedesca, si troverebbe ad avere altrettanti seggi. Anche le Primavere arabe non aiutarono il processo di adesione, anzi lo peggiorarono. Quest’ultime sconvolsero ogni equilibrio ed Erdogan intravide la possibilità di fare della Turchia la potenza egemone in Medio Oriente. L’allora premer turco iniziò il suo cammino nella direzione opposta all’Unione europea, Unione che non fece nulla per evitare la deriva turca. Erdogan, vista la situazione instabile del paese, iniziò il suo percorso autoritario indebolendo ogni contro-potere interno. Nel 2013, dopo una lunga serie di manifestazioni contro il primo ministro turco, vi fu la prima grande repressione del governo ossia quella delle rivolte di Gezi Park, che causò la morte di 5 persone, 8000 feriti e intossicati e oltre 2000 arresti. L’anno successivo, Erdogan, nonostante le proteste e le manifestazioni contro di lui, vinse le prime elezioni presidenziali, diventando così il nuovo capo dello Stato turco. Questo perché il “Sultano”, dopo 12 anni di governo, è riuscito a fidelizzare i propri elettori, che vedono in lui un leader forte e capace di garantire stabilità politica in Turchia. Da quel momento in poi, vi fu un’erosione della democrazia e della libertà dei cittadini che constatiamo ancora oggi, con le molteplici censure e gli innumerevoli casi di oppositori politici, giornalisti e manifestanti che vengono arrestati a causa del loro dissenso nei confronti del capo dello Stato turco. La democrazia in Turchia ha subito un duro colpo circa un mese fa: il 16 aprile 2017, si è tenuto il referendum costituzionale riguardante l’approvazione di 18 emendamenti che prevedono la sostituzione del sistema parlamentare di governo con un sistema presidenziale. Il referendum è stato approvato con il consenso del 51,41% dei votanti, durante lo stato d’emergenza che non ha permesso un libero e democratico confronto tra le parti (molti sospettano brogli elettorali a favore del Sì). Di fatto, il nuovo presidente diventa, come prevede l’articolo 104, sia il capo dello Stato sia il capo del Governo, con il

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potere di nominare e rimuovere dall’incarico i ministri e i vicepresidenti. L’entrata in vigore della nuova costituzione nel 2019 azzererà il primo mandato del presidente consentendo al “Sultano” di governare la Turchia fino al 2029. Il presidente potrà, inoltre, mantenere il legame con il proprio partito di provenienza, nel caso di Erdogan il partito della Giustizia e Sviluppo (Akp), legame che inizialmente doveva essere troncato a favore di un giuramento di totale imparzialità. La nuova Repubblica presidenziale turca si muove sempre di più verso uno Stato autocratico ma, nonostante questo, le relazioni tra Unione europea e Turchia proseguono in particolare per un motivo: Ankara serve all’Occidente come filtro per bloccare i flussi migratori del Medio Oriente e bloccare la minaccia terroristica derivata dalla guerra in Siria. Per quanto riguarda i flussi migratori, oggi la Turchia si impegna a tenere sul proprio territorio chi, dei circa 3 milioni di profughi lì presenti, tenta la traversata verso la Grecia, in cambio di quasi 3 miliardi di euro (dati del 2016) e di sostanziose concessioni, tra le quali le più importanti sono la riapertura del processo di adesione e la possibilità per i cittadini turchi di viaggiare nell’UE senza visto. Per la guerra in Siria, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, dichiara: «La Turchia è uno degli interlocutori più importanti che abbiamo, condividiamo ancora l’interesse di portare la pace in Siria». L’Europa è pronta a continuare un dialogo con la Turchia per la liberalizzazione dei visti e per l’accordo sui rifugiati. Il dialogo, invece, per l’ingresso della Turchia nell’Unione europea sarà cessato in caso venga re-introdotta la pena di

morte. Recep Tayyip Erdogan, infatti, sembra deciso ad andare avanti col progetto di referendum per ripristinare la pena capitale. Il portavoce della Commissione europea, Margaritis Schinas, commenta questa posizione di Erdogan: «La pena di morte non è solo una linea rossa, ma è la linea più rossa di tutte, passare dalla retorica all’azione sarebbe un chiaro segno che la Turchia non vuole andare verso la famiglia europea». Sempre Schinas: «Sulle relazioni future, come ha detto in passato il presidente Juncker, incoraggiamo la Turchia ad avvicinarsi di nuovo all’Ue e non ad allontanarsi ulteriormente da noi». È decisa, invece, la posizione del leader dei liberali dell’Alde, Guy Verhofstadt, secondo cui, dal fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, «la Turchia è diventata uno Stato autocratico, il quale non soddisfa più i requisiti di Copenhagen per l’adesione alla UE», e per la questione migranti aggiunge: «serve un sistema funzionante di asilo europeo» e non un «losco accordo con un leader autocratico». Infine, un problema che va considerato in caso di allontanamento della Turchia dall’Occidente, riguarda il destino dell’appartenenza turca alla NATO, un punto cruciale nello scacchiere globale. Dal fallito colpo di Stato del 15 luglio, si è vista chiaramente la solidarietà e l’appoggio di Putin al Governo di Erdogan. Questa solidarietà non si è vista altrettanto per quanto riguarda europei e americani. In questo modo, la Turchia potrebbe diventare un potente alleato russo. Per molti, la Turchia è indispensabile per la gestione dei migranti e per i legami internazionali, ma tutto questo nasce a causa di un’Europa ancora debole, fragile e dipendente, non ancora in grado di gestire al meglio le problematiche internazionali. Il compito dell’Unione europea deve essere quello di slegarsi dalle dipendenze di Stati esteri. L’Europa ha bisogno di una politica estera comune in grado di gestire i flussi migratori senza i ricatti della Turchia. La Turchia, però, non va abbandonata, non si possono fermare le discussioni per il suo ingresso in Europa; integrare un paese ricco economicamente e culturalmente per evitare conflitti politici e sociali. Uno Stato musulmano in Europa non deve essere visto come estraneo o incompatibile, deve essere visto come un valore aggiunto per credere in un mondo federale. Il multiculturalismo in Europa deve essere un obiettivo fondamentale da raggiungere. Bisogna, quindi, continuare i dialoghi con il presidente turco affinché si possa trovare un accordo che renda la Turchia uno Stato più democratico e civile e l’adesione all’Ue sia possibile. La guerra, come la pace, non ha confini. L’Unione europea al confine ha la Turchia.

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di ra Aud rey Rothe

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Racconto di un’Erasmus francese (Verona)

’anno scorso, essendo stata la prima Erasmus ad essere arrivata nella bella città che è Verona, ero un po’ nervosa. Oggi sono tornata a lavorare qua. Per quali motivi il mio Erasmus mi ha fatto innamorare di Verona e dell’Italia? Innanzitutto vorrei parlare delle cose che mi hanno “disturbata”. Infatti, anche se la Francia e l’Italia sono due paesi limitrofi, mi sono resa conto velocemente che non abbiamo la stessa vita né le stesse abitudini. Come mai non dobbiamo fermarci quando il semaforo è arancione? A cosa servono i limiti di velocità se nessuno li rispetta? Perché gli autovelox sono spenti? Scherzavo, ho smesso di lamentarmi del modo di guidare dei veronesi quando sono tornata dalle mie vacanze a Napoli. Però la cosa più difficile per me è stato di abituarmi alla vita tranquilla, che da noi si direbbe “à la cool”. Sono abituata ad essere organizzata, stressata per quasi tutto e così sono arrivata in Italia. Ho intuito come funziona quando con la mia coinquilina abbiamo fissato l’appuntamento con l’idraulico alle 14 e abbiamo dovuto aspettarlo fino alle 18 senza notizie. Infatti questo modo di vita ho

dovuto adottarlo: per uscire con amici e fare serata si doveva sempre aspettare fino alle 22 per sapere chi sarebbe stato presente o no. L’ultima cosa che me l’ha dimostrato è stato il mio primo esame all’università: l’esame era previsto alle 9:30, e io, abituata alla Francia, sono arrivata davanti alla porta alle 9, per evitare agitazioni da ritardo. Mi sono molto infastidita quando ho visto che il professore è arrivato alle 9:28 e che si doveva ancora procedere con la verifica di tutti i documenti prima di entrare nell’aula! Ma alla fine ho capito quanto è rilassante prendere tempo di vivere, e non essere sempre di fretta! Comunque i cliché italiani esistono veramente e mi hanno fatto trasferire in questa bella città del Nord dell’Italia: Verona. Grazie a questi bei ragazzi che non sanno limonare, a queste pizze che mi hanno ingrassata e a questi giri delle osterie che mi hanno fatto ricordare che… AH NO non mi ricordo più. Il mio Erasmus a Verona rimarrà per sempre uno dei miei più bei ricordi, degli incontri multiculturali che non dimenticherò mai e fra poco sarà anche tatuato sul mio braccio.

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di hi Um berto Marc

Rubrica Istituzioni: Consiglio dell’Unione europea

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el 1958 viene istituito il Consiglio della Comunità economica europea, conosciuto oggi come Consiglio dell’Unione europea o, altresì, semplicemente Consiglio, avente sede a Bruxelles. È di preliminare importanza sottolineare come il medesimo non vada confuso né con il Consiglio europeo (organo dell’UE che riunisce i capi di Stato o di governo degli Stati membri, col fine di delineare in senso ampio le direttrici politiche dell’Unione) né con il Consiglio d’Europa (organizzazione internazionale, distinta dalle istituzioni dell’UE). Premesso ciò, il ruolo di tale istituzione può essere sintetizzato in tre punti fondamentali (ex art. 16 TUE): • dare voce ai governi dei Paesi dell’UE, creando uno spazio di dialogo e confronto in merito alle innumerevoli politiche di interesse europeo (che posso spaziare dall’Economia alla Sanità, alla Giustizia e Affari Interni ecc.); • esercitare, congiuntamente al Parlamento europeo, la funzione legislativa e la funzione di bilancio; • coordinare le politiche dell’UE alle condizioni stabilite nei trattati. Nel Consiglio dell’Unione Europea non siedono membri permanenti, bensì i ministri di governo degli Stati membri competenti per materia: il Consiglio, infatti, si riunisce in dieci diverse configurazioni, ognuna delle quali corrisponde al settore politico oggetto di discussione, perciò, a seconda di tali configurazioni, i ministri chiamati a rappresentare il Paese di provenienza saranno diversi (ad esempio, al Consiglio “Affari economici e finanziari” – Consiglio ‘Ecofin’ – partecipano i ministri delle Finanze di ciascun Stato). Tutte le riunioni del Consiglio sono presiedute dal ministro competente del Paese che in quel momento esercita la presidenza di turno dell’UE. Tuttavia, vi è una eccezione costituita dal Consiglio Affari esteri, il quale ha un presidente permanente: l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’UE (carica ricoperta, attualmente, da Federica Mogherini). La coerenza generale dei lavori del Consiglio è assicurata dal Consiglio Affari generali, coadiuvato dal Comitato dei rappresentanti permanenti, composto

dai rappresentanti permanenti presso l’UE degli Stati membri, di cui sono in effetti gli ambasciatori nazionali presso l’Unione. Inoltre, bisogna menzionare la particolarità dei Paesi facenti parte della cd. Eurozona. Questi ultimi, invero, coordinano le loro politiche economiche attraverso l’Eurogruppo, composto dai rispettivi ministri dell’economia e delle finanze, che si riunisce il giorno prima del Consiglio Affari economici e finanziari. Gli accordi raggiunti nelle riunioni dell’Eurogruppo sono approvati formalmente in sede di Consiglio il giorno successivo; spetta solo ai ministri dei Paesi dell’area dell’euro votare su tali questioni. Infine, tutte le discussioni e le votazioni del Consiglio si svolgono pubblicamente. Le decisioni vengono di norma adottate a maggioranza qualificata (ossia il 55% degli Stati membri – in altri termini almeno 16 Paesi su 28 –, che rappresentino almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione), salvo che le stesse non vengano previamente bloccate da almeno 4 Paesi (che rappresentino il 35% della popolazione totale dell’UE). Fanno poi eccezione le decisioni in materie di delicata importanza, quali la politica estera o la fiscalità, le quali richiedono il raggiungimento dell’unanimità, e tutte le questioni procedurali amministrative e procedurali che vengono adottate a maggioranza semplice.

Maggio 2017•Universitari per la Federazione europea

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Disertando la politica non si lasciano le cose come sono, nemmeno nella vita privata. Si creano vuoti di potere, cioè si affida il potere agli altri, si accetta che degli altri divengano i padroni del proprio futuro. Mario Albertini


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