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Universitari per la Federazione europea

Una nuova vecchia sfida per l’Europa: le identitĂ


Som m a r i o

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Gerard Piqué, ma di cosa stai parlando?

La Bce accende la miccia a una bomba da 1000 miliardi

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Germania e Austria: d’autunno tornano i nazionalisti?

Lo stato dell’incertezza

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“Unirsi o perire”. L’europeista che nascondiamo

Conosciamo i federalisti europei: Altiero Spinelli (1907-1986)

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Universitari per la Federazione europea

Articolor Verona Articolor Verona srl srl Via Olanda, 17 ComuniCazione GrafiCa 37135 Verona Via Olanda, 17 37057 Verona Tel. 045 584733 Tel. 045 584733 Fax 045 584524 articolor@articolor.it P.I.email: C.F. 04268270230 REA 406433

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Rivista degli Universitari per la Federazione europea Con il contributo dell’Università degli studi di Verona: Responsabile del gruppo studentesco: Marco Barbetta. Direttore: Filippo Sartori. Collaboratori: Dimana Anastassova, Gianluca Bonato, Davide Corraro, Andrea Golini, Federico Grigoletti, Umberto Marchi, Filippo Pasquali, Andrea Zanolli. Redazione: Via Poloni, 9 - 37122 Verona • Tel./Fax 045 8032194 • www.mfe.it • gfe.verona@gmail.com Progetto grafico: Bruno Marchese

Universitari per la Federazione europea•Ottobre 2017


Editoriale

I

di ri Filip po Sarto

l 2017 passerà probabilmente alla Storia come un anno cruciale nella formazione degli Stati Uniti d’Europa. Formazione o definitiva distruzione. Ad oggi sono già molti gli ostacoli che si sono presentati sul cammino dell’integrazione. Alcuni problemi sono francamente costanti, ritornano ogni anno, dovuti a difetti strutturali dell’odierna Unione, già spesso e ampiamente dibattuti ma mai veramente affrontati con determinazione: parliamo della gestione dei flussi migratori, che ogni estate mette alle corde i rapporti tra gli Stati membri e porta alla luce egoismi nazionalisti e spinte populiste sempre più forti e pericolose; parliamo dell’instabilità economica, che continua ad essere affrontata con manovre e soluzioni individuali da parte dei singoli Governi, in assenza di una gestione sovranazionale degna di nota. Quello che però è cambiato, rispetto agli anni scorsi, è che molte che sembravano solo sterili ed inattuabili minacce sono ora diventati veri e propri segni di sgretolamento dell’Europa. Se infatti, da un lato, si è scelto un atteggiamento, giusto, di durezza nei confronti della Gran Bretagna e della Brexit, non andando a supplicare nessuno ma mantenendo una posizione forte, d’altro canto è innegabile che perdere un tassello come il Regno Unito rappresenti una sconfitta nel progetto e nel sogno dei Padri Fondatori. Ora stiamo assistendo, in Spagna, a quella che può rappresentare un’altra pericolosa pagina nella saga del disfacimento dell’Unione europea. Sia chiaro: non solo per la scelta della Catalogna di proclamare un’indipendenza che ha dei tratti al limite dell’inverosimile, ma anche per la reazione del tutto inappropriata ed impreparata dello Stato spagnolo, che ha mostrato tutta la sua debolezza ed inadeguatezza nel gestire la tensione. È tuttavia un errore classificare questa presa di posizione del popolo catalano come mera miopia politica, come follia. Se migliaia di cittadini, insoddisfatti del loro Stato, anziché cercare di spingere per una maggio-

re presenza e forza a livello continentale, desiderano rinchiudersi dentro confini sempre più ristretti, significa che la mancanza di fiducia verso Bruxelles è a livelli davvero allarmanti e non più trascurabile. L’atteggiamento, da parte delle forze europeiste, da parte di molti europeisti fortemente convinti e attivi e da parte dei Governi più illuminati, è spesso quello di etichettare queste crisi come assenza di lungimiranza di una parte di popolazione e di alcune forze politiche, salvo poi indicare in post scriptum come un piccolo ruolo lo abbia anche l’inadeguatezza europea. Oggi dobbiamo invece fermarci un attimo a riflettere, perché se le spinte divisioniste provengono da più lati, da più popolazioni e da Paesi diversi, non può essere un’epidemia dilagante di chissà quale forma di follia la causa. Ai cittadini britannici, ai cittadini spagnoli, a tutti i cittadini europei in difficoltà e disillusi dal sogno europeo va dato un segnale forte, immediato e deciso. Non si può più chiedere fiducia in cambio di nulla, bisogna dimostrare di meritarla e di saperne fare un utilizzo intelligente e lungimirante. Tutto ciò va fatto ora, va fatto con decisione, altrimenti la novella che ai posteri racconterà la formazione degli Stati Uniti d’Europa diventerà presto un terribile racconto dell’orrore, che piace sì, ma solo sugli schermi cinematografici.

Ottobre 2017•Universitari per la Federazione europea

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Gerard Piqué, ma di cosa stai parlando? di lli And rea Zano

«S

ono e mi sento catalano, oggi più che mai. Mi sento orgoglioso della gente della Catalogna perché credo che si sia comportata meravigliosamente come sempre durante gli ultimi sette anni in cui non è successo nulla.» Queste sono solo alcune delle parole che l’1 ottobre, il giorno in cui ha avuto luogo il referendum per l’indipendenza della Catalogna, Gerard Piqué, difensore del Barcellona, ha sentenziato in lacrime davanti ai giornalisti, unici spettatori della partita che ha visto i blaugrana sconfiggere il Las Palmas, in uno stadio completamente vuoto. Non c’erano dubbi sul fatto che il numero 3 si sentisse fortemente catalano, perché a più riprese lo aveva sbandierato. Non c’erano nemmeno dubbi che lo fosse, visto che è nato e sempre vissuto a Barcellona, ma un altro dubbio ci sorge comunque: Piqué si sente spagnolo? Insomma, davanti ai microfoni non ha mai detto di non sentirsi spagnolo e anzi, proprio nella stessa intervista, ha affermato che vorrebbe continuare a giocare con la nazionale di calcio spagnola. Quindi, sommando il tutto, questo signore, nello stesso giorno in cui ha votato per l’indipendenza catalana dalla Spagna, afferma di voler giocare per la nazionale spagnola. Impossibile celare la confusione che regna nella testa di quest’uomo, emblema della maggioranza del popolo catalano. Una confusione che porta gli indipendentisti catalani a usufruire di concetti come democrazia e autodeterminazione dei popoli per giustificare il fatto che stanno mettendo in scena un atto non solo incostituzionale, ma che va anche nella direzione sbagliata per la risoluzione dei problemi che affliggono oggi l’Europa, provando a tornare indietro nei secoli. Una confusione totale che por-

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ta a sovrapporre le idee di patriottismo, di attaccamento alla propria cultura, alla propria terra, alla propria comunità con le idee nazionaliste, antenate e indipendentiste. Una confusione, però, che nasce dalla constatazione che lo status quo europeo odierno non può continuare, che la necessità di cambiare esiste ed è potentissima, ma questa sete di cambiamento – o di rivoluzione forse – in Catalogna si evolve trascurando le possibilità federaliste in vantaggio di quelle nazionaliste. Questo desiderio neo-romantico di divorzio con un nazionalismo, quello spagnolo, in favore di un sodalizio con un altro nazionalismo, quello catalano, evidenzia il problema maggiore fra tutti quelli che questa situazione ci consegna. Il problema di Piqué e dei suoi corregionali è quello di non comprendere che si è catalani, ma contemporaneamente anche spagnoli, europei e addirittura, appartenenti alla specie umana, facenti parte di una comunità enorme che è quella degli esseri umani di tutta la Terra. L’errore più grosso è proprio quello di non capire che si può avere un’identità a più strati, più ricca, che un’appartenenza non esclude le altre, che anche io mi sento profondamente veneto, ma poi anche italiano, europeo e abitante del mondo, sempre allo stesso grado di intensità. Vi è poi un’evidente incapacità di comprendere che l’alternativa allo Stato nazionale non è un altro tipo di nazionalismo formato da microregioni e che sogna un’Europa suddivisa in piccoli staterelli barricati nei propri territori sovrani, ma – e ci siamo – un sistema statale che sappia far coniugare l’unità e la solidarietà, ad autonomia e identità particolari. Quel sistema statale, così vistosamente necessario, è in grado di garantire la convivenza tra lo Stato centrale e le comunità locali, non attraverso l’omologazione a un unico modello, ma solo condividendo poche, ma determinanti, istituzioni e competenze a un livello più ampio di quello regionale e lasciando poi ampia autonomia ai territori e alle loro diversità. Quel sistema statale è la federazione, possibile (e necessario, permettete) a ogni livello: nazionale, europeo, mondiale. Caro Piqué, sarà che ti preferisco Sergio Ramos, ma credo che la soluzione sia una Catalogna in una Spagna federale, a sua volta in un’Europa federale.

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di to Gia nluca Bona

Germania e Austria: d’autunno tornano i nazionalisti?

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i è portati a pensare che E oggi questo è quanto mai nel’Europa si costruisca Elezioni in Germania cessario: il quadro esistente, sorrettramite le elezioni nato dal trattato di Lisbona, soffre il e in Austria zionali. Che il processo peso di quasi dieci anni di crisi ecoCome sono andate le elezioni di integrazione europea parlamentari in Germania il 24 set- nomica, finanziaria e istituzionale. possa procedere solo se tembre scorso? Sia il centro-destra, C’è bisogno di rimediare alla più in Francia vince un partito europei- la Cdu-Csu di Angela Merkel, sia i grande anomalia della costruzione sta, e così in Germania, in Italia and socialdemocratici (Spd) hanno per- europea: dare alla moneta euroso on and so forth. Per questo ci si so consensi, attestandosi i primi al pea un governo europeo demo33% e i secondi al 20,5%. Un certo rallegrava per l’elezione di Macron scalpore ha suscitato l’affermazione cratico, responsabile di fronte al e ora ci si intimorisce per le elezioni dei nazionalisti dell’AfD, entrati nel Parlamento europeo, che sia conautunnali in Germania e in Austria. Bundestag con il 13% dei consensi traltare dell’Europa dei governi e Non funziona del tutto così, e la cui leader afferma serenamente possa gestire un bilancio dell’Europerché ogni governo nazionale che arabi, sinti e rom sono “popo- zona. Si può sviluppare una discusche si forma in seguito alle elezio- li senza cultura dai quali veniamo sione sul tema. inondati”. ni nei vari Paesi fa inevitabilmente Ha lanciato l’esca Emmanuel E le elezioni parlamentari in Augli interessi dei cittadini che l’han- stria? Primo partito, con il 31,5%, è Macron con un discorso tenuto il no eletto: la Cancelliera tedesca gli stato lo Övp, di centro-destra, ma 26 settembre scorso alla Sorbona, interessi dei tedeschi, il Presidente che negli ultimi tempi ha assunto dove ha parlato di un’«Europa sofrancese gli interessi dei francesi posizioni vicine al Fpö, di matrice vrana, unita e democratica»: in nazionalista come l’AfD in Germaeccetera. E chi sostiene (falsamen- nia e terzo in classifica alle elezioni breve, un’Europa federale. Qualcute) di fare meglio gli interessi della con il 26%. Secondo è stato il Parti- no ha affermato che il suo discorso propria nazione sono i nazionalisti. to socialdemocratico d’Austria con il potrebbe essere paragonato per Tuttavia, ci possono essere go- 27%. rilevanza storica alla Dichiarazione verni nazionali più europeisti o Schuman del 9 maggio 1950. Sarà più nazionalisti, ma, finché i governi nazionali rimanla storia a dirlo, ma, se non si dà oggi inizio alle discusgono padroni assoluti dei trattati europei e della polisioni sul cambiamento dell’assetto istituzionale eurotica dell’Ue, tramite il Consiglio europeo, l’Europa non peo, sappiamo già la risposta. farà nessun passo in avanti significativo. I passi in avanti significativi l’Europa li ha fatPs: prevengo una critica che immagino vi starà ti quando sono state trasferite le competenze e turbando, a proposito di elezioni ed Europa: sono state create le apposite istituzioni a livello euro«Nessuno ha votato l’Europa; l’Europa si è sempeo: carbone, acciaio e la Ceca, la regolamentazione pre fatta alle spalle dei cittadini». Punto pridel mercato e la Cee, la moneta e la Bce; e quando, mo: ogni volta che un trattato europeo è eninoltre, si sono create le basi per una democrazia trato in vigore, così è stato perché i parlamenti europea, come con l’elezione diretta del Parlamento nazionali, eletti dai cittadini, o i referendum europeo. I passi in avanti significativi non sono stati denazionali l’hanno approvato. Punto secondo: terminati da un’elezione nazionale in particolare. Cerper fare il salto verso la Federazione europea, i to, un’elezione nazionale aiuta e consente di difendefederalisti auspicano che si voti con un referenre il quadro esistente, perché, se avesse prevalso la Le dum su scala europea a maggioranza degli StaPen in Francia, oggi staremmo vivendo un’altra storia, ti e dei cittadini. Evidenziasi un referendum ma nulla succede se non si verifica un cambiamento su scala europea, non una somma di referendell’assetto istituzionale. dum nazionali com’è sempre avvenuto. Ottobre 2017•Universitari per la Federazione europea

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di Andr Golini ea

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“Unirsi o perire”. L’europeista che nascondiamo Le prossime elezioni legislative italiane si avvicinano e le principali forze politiche non sembrano farsi promotrici di un deciso spirito europeo, anche a causa di cittadini delusi o poco interessati: vero sentimento oppure europeismo nascosto?

a miopia del nazionalismo che 60 anni fa sembrava dovesse lentamente scomparire oggi è sempre più presente. Con il passare del tempo si dimentica ciò che il nazionalismo ha causato. Nell’Unione europea le forze politiche nazionaliste sono sempre più influenti e in alcuni Stati, come Ungheria e Polonia, sono al Governo. Fortunatamente non c’è solo l’ideologia nazionalista, alcuni Paesi contrastano tale linea politica in un unico grande modo: rilanciare l’Unione europea. La volontà di rilanciare l’Unione europea sia sul quadro politico che sociale è appoggiata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel che, dopo la vittoria alle elezioni federali del 24 settembre, ha nuovamente la responsabilità di guidare lo Stato più influente dell’Unione. Anche in Francia qualcosa sta cambiando e il promotore di questo cambiamento è Emmanuel Macron. Il discorso tenuto dal presidente francese alla Sorbona, lo scorso 26 settembre, parla di un nuovo modello di Europa: «Il solo modo per garantire il nostro avvenire è la rifondazione di un’Europa sovrana, unita, democratica». Parole molto forti e significative se pensiamo che sono espresse dal presidente della Francia, uno degli Stati d’Europa più legati alla propria sovranità. Purtroppo questo discorso ha motivato poco le persone, e l’interesse è stato al di sotto delle aspettative. Le parole di Macron non sembrano aver riacceso il dibattito pubblico riguardo i temi dell’Unione europea, soprattutto in Italia.

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Per l’Italia si avvicina la data delle 18esime elezioni legislative. Nel 2018, infatti, la penisola italiana vedrà lo svolgersi delle elezioni che determineranno la composizione del Parlamento della Repubblica e, come conseguenza, il nuovo Governo. Perché nessuna delle principali forze politiche attuali si è fatta promotrice di un’Unione europea più concreta ed efficace? Perché questi nuovi slanci europeisti sono così deboli in Italia? La risposta potrebbe essere l’opinione pubblica. Dai dati dell’indagine demoscopica condotta da Deloitte, in collaborazione con SWG, emerge che vi è una forte insoddisfazione da parte dei cittadini nei confronti dell’Unione europea: il 77% degli italiani non ha visto vantaggi dall’appartenenza del proprio Paese all’UE, l’80% delle imprese italiane non giudica positivo l’impatto dell’UE; il 60% dei cittadini italiani non ripone fiducia nell’Unione; il 63% degli italiani si sente più cittadino del proprio Stato che cittadino dell’Unione europea. L’unico dato “confortante” è il 57% degli intervistati che riporrebbe la propria fiducia nell’Unione purché ci sia un decisivo miglioramento sui temi chiave quali economia, immigrazione e terrorismo. Sempre da questa ricerca si evince che i cittadini sono sempre più disinformati e disinteressati di ciò che succede a Bruxelles: 1 italiano su 3 non conosce tematiche europee né attuali né storiche, il 37% dei cittadini italiani è euro-neutro, ovvero non assume posizione definita o non è interessato all’UE, mentre gli europeisti sono il 14% e gli anti-euro il 13%.

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Possono essere riprese anche in Italia le parole di Macron?

Per il momento le forze politiche italiane non sono abbastanza coraggiose per assumersi il compito di migliorare la situazione dell’Unione europa. I politici italiani valutano troppo rischioso lo schieramento europeista e preferiscono non parlarne o addirittura opporsi. Come molti esperti sostengono, per l’Italia sembrerebbe una sfida tra euro-fobici, euro-scettici ed euro-timidi. Questi dati statistici dell’attuale sentimento dei cittadini verso l’Unione europea andrebbero presi con razionalità e prudenza. È innegabile che negli ultimi anni l’identità europea abbia subìto una grande depressione, ma i dati non cambiano, i sentimenti sì. In Italia chi si sente europeo? Solo il 14% di europeisti? L’ex presidente del consiglio Enrico Letta sostiene che l’europeismo è la carta vincente per battere i populismi. Sembra un’affermazione priva di significato e molto opinabile ma in Francia lo stesso Macron, giocando la carta dell’europeismo, è riuscito a prevalere sul nazionalismo di Marine Le Pen. «Non è vero che l’europeismo non paga elettoralmente. Le proporzioni della vittoria di Macron sono superiori alle attese e ai sondaggi»: conclude Letta. In effetti i sondaggi prima delle elezioni francesi mostravano la grande influenza del nazionalismo contrastata dai partiti conservatori, pochi stimavano la portata della politica europeista di Macron. Politica che alla fine è risultata vincente. In Italia lo spirito e l’identità europea potrebbero essere temporaneamente nascosti, oscurati dalla popolare demagogia nazionalista. I sostenitori della “dittatura di Bruxelles” non si nascondono di certo. Le lacune dell’attuale Unione europea, con la crisi economica che non si ferma, con i fenomeni migratori e

con la lotta al terrorismo, si fanno sempre più evidenti. L’attuale conformazione dell’Unione non favorisce l’idea di un’ Europa che decide per gli europei anzi, stimola lo scetticismo. Ma l’errore è quello di pensare che senza Unione europea si starebbe meglio. L’Unione europea non è la causa di tutti i mali. L’Unione è responsabile di un mercato unico di riferimento per le nostre imprese. È responsabile della possibilità di utilizzare i fondi europei per le infrastrutture e per le opere importanti. È responsabile della nostra libertà di muoverci per studio e per lavoro. È responsabile del progetto Erasmus, dell’integrazione e della pacifica convivenza dei popoli degli Stati d’Europa. Una politica costruttiva è l’unica politica che può fermare una politica distruttiva. L’identità europea è qualcosa che va oltre l’identità nazionale, è il valore in più che può unire soprattutto le nuove generazioni e che determinerà il futuro dei giovani. Lo spirito europeo coinvolge più persone di quante si pensi e le forze politiche italiane lo sottovalutano. Il fatto che gli italiani nascondano questa identità europea è spiegato dalla storia: nel 1929 Aristide Briand e Gustav Stresemann proposero la creazione di un vincolo politico, economico e sociale tra gli Stati europei, in base alla formula “unirsi o perire”. La proposta non andò lontano a causa dell’opposizione dell’Italia fascista e per la crisi economica che colpì la Germania di Weimar. Gli anni successivi furono così gli anni del risorgere del nazionalismo e dell’autoritarismo in Europa che causarono l’ultima guerra mondiale. Luigi Einaudi, considerato uno dei padri fondatori della Repubblica Italiana, che aderì al movimento federalista europeo, criticava il permanere della sovranità statale assoluta, da lui considerata la radice delle guerre. L’Unione europea è parte di un progetto ambizioso che ha come obiettivo gli Stati Uniti d’Europa, fermarlo sarebbe una scivolosa caduta nel passato. Gli italiani stanno dimenticando la storia e la politica sta facendo altrettanto. All’Italia del passato, quella nostalgica del nazionalismo, se ne contrappone una nuova con una mentalità sovra-nazionalista, più ampia di quella che riportano i sondaggi. La politica italiana dovrebbe essere in grado di vedere oltre i dati e capire che c’è un sentimento europeista nascosto. Nelle prossime elezioni legislative mi aspetto una politica italiana consapevole del passato e aperta allo spirito europeista. Siamo italiani ma non siamo solo questo, apparteniamo a qualcosa di più grande. Siamo anche europei.

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di Filip ali po Pasqu

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La Bce accende la miccia a una bomba da 1000 miliardi

a mesi sembra che nel settore bancario italiano, dopo una serie di default, le acque si siano placate. Ma è veramente così? Recenti news dall’ambiente rivelano invece una crescente preoccupazione per il divenire. I segnali sono eloquenti: da aprile gli acquisti di titoli di stato/BTp da parte delle banche italiane sono cresciuti esponenzialmente, raggiungendo quota 400 mld di euro. Segna l’inversione di un trend positivo iniziato nel 2016, quando la ripresa economica trascinò con sé le performance bancarie, ora più bendisposte ad allentare i lacci della borsa vendendo titoli. Dal momento però che la situazione si è ribaltata, la spiegazione più plausibile è che gli istituti si aspettino un riaggravamento della situazione finanziaria e sono dunque spinte ad aumentare la propria sicurezza, a scapito del credito. Va ricordato che la crisi dei Non Performing Loans (NPL), ovvero i prestiti deteriorati, è tutt’altro che risolta. Stime più recenti fotografano una situazione traballante: le sole banche italiane detengono circa 300 mld di crediti che non saranno più rimborsati, circa il 30% in Europa. Un ordigno a pressione pronto ad esplodere alle prime turbolenze. In questa cornice si inserisce la BCE, scompigliando le carte. Prima però un’altra rapida premessa: da anni il settore creditizio è distorto da politiche economiche non convenzionali (Quantitative Easing, 2015) in aggiunta a regolamenti deformanti (Solvency II, 2009). Il risultato è stato una progressiva alterazione dei rendimenti finanziari, peggiorando la situazione degli istituti di credito europei (emblematico il caso “Anomalia Bund” a rendimenti negativi). Il mercato delle rendite è dunque drogato dall’intervento monetario della BCE. Completato il quadro, ecco le ultime novità di cui si

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accennava sopra. Il 4 ottobre, l’Organismo di Vigilanza della BCE (Ssm), ha fatto circolare un documento per aprire una consultazione sulla redazione di linee guida per la gestione futura dei NPL. Tra queste, la più controversa riguarda l’obbligo per le banche dell’eurozona di coprire gli NPL con una quota di capitale pari al loro ammontare. Tradotto: vista l’impossibilità di abbattere i crediti marci nel breve termine, si chiede agli istituti di mettere in sicurezza il proprio bilancio ricapitalizzandosi in modo tale da essere al sicuro da eventuali bufere. Chiaramente la notizia ha sortito un effetto esplosivo dalle nostre parti. Le richieste sono al di fuori della disponibilità italiana, dove attualmente il tesoretto accantonato è mediamente pari al 60% circa dei propri NPL. Trovare il restante 40% in tempi brevi è uno scenario agghiacciante per tutti. In Europa si stima siano in circolazione una cifra di NPL pari a 1000 mld di euro, secondo i più recenti studi della BCE. Per pareggiarli le banche si vedrebbero costrette a tesaurizzare a ritmi massicci, sacrificando investimenti e prestiti. In Italia si è subito cercato di prendere tempo. «No a battaglie di principio» ha sostenuto il governatore di Bankitalia Visco. A stretto giro Padoan: «sugli Npl serve chiarezza e gradualità». Tutti attendono l’apertura del tavolo di discussione ad inizio dicembre per cercare di modificare l’addendum. A loro si è aggiunto il presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, con una lettera indirizzata direttamente alla presidente dell’Organismo di Vigilanza, Daniele Nouy, additandole un travalicamento in competenze altrui. Di fronte alle reazioni, Mario Draghi si è preoccupato di smorzare i toni, per scongiurare reazioni negative ai listini, organizzando una serie di faccia a faccia in vista delle trattative per dialogare con le parti. Per ora la situazione è in stallo, ma solo rimandata al secondo round.

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Lo stato dell’incertezza di o Sal vatore Roman

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n Moby Dick Ismaele racconta come, dopo aver ucciso la balena, l’equipaggio si attrezzi ad ormeggiarla alla nave e da lì cominciare il lavoro di scuoiamento degli strati di grasso. Tutto per il prelievo del suo olio, merce preziosa, richiesta dai mercati di tutto il mondo. Nei giorni dedicati a questa attività frenetica la nave è costretta a portare sul fianco, come ancorata, la massa enorme del capodoglio. E mentre sul ponte gli uomini sono occupati in queste torbide faccende e la nave solca l’oceano e porta come appeso al collo la spia del suo delitto, attorno al mostro, che un momento prima aveva terrorizzato i marinai nell’atto di arpionarlo, ora fanno banchetto gli squali. A preservare la balena dagli attacchi di questi è Queequeg, uno degli arpionieri. Calato sulla maestosa carcassa, metà in acqua metà fuori, con il suo arpione li uccide, mentre Ismaele dall’alto del ponte lo mantiene con una corda, da cui egli stesso è legato. In questa spiacevole posizione il povero Ismaele, angosciato, si abbandona ad alcune riflessioni: “così legato cominciai a pensare e vidi il mio libero arbitrio come dimezzato; d’altronde come poteva essere altrimenti? stretto a Queequeg da una fune un suo passo falso poteva essere il mio, la sua caduta in acqua mi avrebbe inevitabilmente precipitato con lui negli abissi. Poi mi venne alla mente un altro pensiero: è davvero questa mia posizione così speciale? Non è forse la medesima in cui tutti gli uomini vivono, così legati invece che ad un solo uomo ad una moltitudine? Non provo nulla di nuovo e di diverso da ciò che l’uomo sulla terraferma sperimenta tutti i giorni in società”. In questi termini Ismaele conclude il suo sermone. Il 13 settembre scorso un discorso di altra natura si è tenuto davanti al Parlamento europeo. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, ha presentato l’annuale discorso sullo stato dell’Unione. Ha parlato dell’attuale momento in cui vive l’Europa, delle difficoltà passate e delle future. Ha proposto alcune idee per l’avvenire, che hanno toccato diversi punti: la possibilità di allargare lo spazio Schengen, la creazione dello strumento di adesione all’Euro, il bisogno di un mercato unico più forte, il ruolo attivo della Procura Europea nella lotta al terrorismo,

la volontà di ribadire che l’Europa è innanzitutto una questione di valori comuni. Dopo di lui ha preso la parola il presidente dell’Alde, eurogruppo al Parlamento, Guy Verhofstadt. Ha ringraziato il presidente per le sue parole, e ha sottolineato l’urgenza del momento attuale. Per catturare il vento nelle vele, come ha detto Juncker, bisogna per lui attuare un piano più deciso di riforma dell’Europa. Ora più che mai, visto che non soltanto la maggioranza dei cittadini ha richiesto soluzioni ai problemi con il motto più Europa, ma anche i leader euroscettici se ne sono avvalsi. E ha snocciolato compulsivamente i nomi di Orbán, Marine le Pen, Geert Wilders, e Norbert Hofer. A loro, Verhofstadt ha continuato, bisogna dire benvenuti, anche se si sa che non si allineano per convinzione ma per i voti. Nella franchezza del suo discorso di pochi minuti risiede la maggiore virtù di cui oggi necessita l’Europa, per scoprire i suoi limiti e porvi rimedio. E forse proprio dalla consapevolezza delle cose ancora da fare si scopriranno i punti più cedevoli della corda che tiene legata l’Ue, e si potranno stringere i nodi. L’ambizione di oggi rimane quella di ieri, non ripetere più con angoscia le parole del poeta Apollinaire: «Incertezza, io e te pari siamo. / Io e te, mio bene segreto, /come i gamberi ce n’andiamo / a culo indietro, a culo indietro».

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Rubrica Erasmus: León (Spagna) di i Fed tt erico Grigole

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a prima volta che ho pensato all’opportunità di svolgere un periodo all’estero non avevo la minima idea di cosa mi avrebbe aspettato. Assolti gli obblighi scolastici e con l’inizio del percorso accademico, mi chiedevo spesso se stavo massimizzando pienamente l’esperienza all’Università degli Studi di Verona. Dopotutto, avevo la fortuna di poter investire nel mio futuro, e non potevo credere che seguire le lezioni e tornare a casa soltanto per studiare, fosse il miglior modo per sviluppare le mie competenze. In una comunità multiculturale come quella odierna, sentivo il bisogno di immergermi in un ambiente meno familiare, mettendo alla prova la mia capacità di adattamento. L’Erasmus, il famigerato progetto di mobilità studentesca europea, sembrava una proposta interessante. Il bando era lì, una semplice icona della pagina web dell’Università, ma prima della partenza per me era solo un termine che evocava lontananza e un po’ di mistero. Considerai l’idea di buttarmi e superati tutti (figuriamoci) gli interrogativi, compilai il modulo d’iscrizione. Da quel momento realizzai cosa stavo facendo: stavo uscendo dalla comfort zone. Collezionai più informazioni che potevo sull’esperienze altrui, valutavo le destinazioni possibili considerando pro e contro. Costo della vita, clima, cultura, prezzo degli affitti erano i criteri di scelta, ma soprattutto gli esami compatibili all’Università di origine, dato che l’obiettivo principale era quello di essere nel corso di studi regolarmente. Scelsi l’opzione del semestre invernale in Spagna, in una città sperduta nell’altopiano a Nord e con poco più di 150mila abitanti: Leòn. L’impatto fu abbastanza brusco: non praticavo lo spagnolo dalla scuola media e lo studente tutor affidatomi dall’Università faceva molta fatica con lo spagnolo. Comunque, poco dopo essere entrato in contatto con l’ambiente Erasmus, il mio primo sgomento si trasformò in una euforica curiosità. Inizialmente, anche le lezioni erano ostiche da seguire, ma già nel giro di un mese avevo migliorato notevolmente il livello di comprensione, e stabilito un ottimo rapporto coi professori, ciascuno molto disponibile fin da subito. È stato affascinante osservare l’enorme differenza

con il metodo di insegnamento tipicamente italiano: i compagni intervenivano spesso e volentieri senza la paura di sentirsi criticati, il professore veniva chiamato per nome ed in generale la qualità dell’insegnamento si innalzava anche grazie alla condivisione dei diversi punti di vista di ciascuno studente. Oltre all’ambito accademico, l’esperienza Erasmus fu gratificante sicuramente anche dal punto di vista sociale e culturale: un centinaio di nuove amicizie con studenti provenienti da tutta Europa e oltre (un buon numero di messicani), l’occasione di visitare luoghi limitrofi nel weekend e soprattutto le Tapas, un’immancabile tradizione culinaria della città. Certamente, un’esperienza così piena ha anche riservato qualche difficoltà, come la lontananza da casa, la sopportazione di coinquilini con diversi stili di vita, ma in compenso ne ha giovato la consapevolezza di poter superare le sfide con la giusta volontà e un maggior senso di appartenenza europea. In fondo, se non ci si mette in gioco come si può comprendere quanto si è speciali?

10 Eureka Universitari per la Federazione europea•Ottobre 2017


di hi Um berto Marc

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Conosciamo i federalisti europei: Altiero Spinelli (1907-1986)

a chi è Altiero Spinelli? Egli aderisce molto giovane al PCI, partecipando alla lotta clandestina contro il fascismo. Arrestato nel 1927, sconta dieci anni di prigione e sei di confino. Durante il confino a Ventotene, studiando i testi dei federalisti anglosassoni, abbandona il comunismo e abbraccia il federalismo. In quel periodo elabora, insieme a Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, il Manifesto di Ventotene (1941). Nel 1943 promuove la creazione del Movimento federalista europeo al fine di portare avanti, con la propaganda e con l’azione, il progetto di una Europa unita e federale. Agli inizi degli anni ‘50, l’azione di Spi-

Con questo numero, parte la nostra nuova rubrica “Conosciamo i federalisti europei”, in cui raccontiamo la biografia di alcuni famosi federalisti; non potevamo che iniziare con Altiero Spinelli!

«Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente […] che troverebbero nella Federazione europea la più semplice soluzione».

nelli e del MFE sul governo italiano si rivela decisiva per fare della costituente europea la questione centrale nelle trattative intergovernative per la creazione della Comunità europea di Difesa (CED). È grazie a questa azione che l’assemblea ad hoc (l’assemblea allargata della CECA) viene incaricata di elaborare lo statuto della Comunità politica europea, cioè l’organismo politico incaricato di controllare l’esercito europeo. L’Assemblea assolve al suo mandato elaborando un testo di costituzione, ma la sua opera viene vanificata dalla mancata ratifica della CED da parte della Francia (1954). Nonostante questa sconfitta, Altiero Spinelli e il MFE non si perdono d’animo e rilanciano la lotta federalista. Dal 1976 al 1986 Spinelli è membro del Parlamento europeo, divenendo nel 1984 presidente della Commissione istituzionale. È nel Parlamento europeo che Spinelli, per la seconda volta, ha l’opportunità di avviare un’azione di tipo costituzionale, promuovendo l’elaborazione di un progetto di Trattato dell’Unione europea (approvato a larghissima maggioranza in seno al Parlamento europeo il 14 febbraio 1984). Questa iniziativa viene frenata e insabbiata dai governi nazionali, che nel 1985 varano il meno ambizioso Atto unico europeo, che segna tuttavia l’ingresso sulla scena europea del Parlamento europeo come nuovo soggetto politico nel processo di democratizzazione delle istituzioni comunitarie. Spinelli muore a Roma nel 1986. Oggi la sede di Bruxelles del Parlamento europeo porta il suo nome. Ps: se volete leggere altre biografie, cercatele sulla pagina Facebook “Gfe Verona”: ogni domenica ne troverete una!

Ottobre 2017•Universitari per la Federazione europea

Eureka 11


Disertando la politica non si lasciano le cose come sono, nemmeno nella vita privata. Si creano vuoti di potere, cioè si affida il potere agli altri, si accetta che degli altri divengano i padroni del proprio futuro. Mario Albertini


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