Le avventure di Peter Pan

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Le avventure di Peter Pan di James Matthew Barrie

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Chiedete a vostra madre se conosceva Peter Pan quand'era piccola, vi risponderà: “Certamente piccolo mio”. Chiedetele se a quei tempi andava a cavallo di una capra, vi dirà: “Ma sono queste domande da farsi? Certo che ci andava”. Provate a chiedere a vostra nonna se anch'essa conosceva Peter Pan quand'era piccola, anche lei vi dirà: “Certamente piccolo mio”. Ma se le chiedete se a quei tempi Peter cavalcava una capra vi risponderà che non ha mai sentito parlare di nessuna capra. Forse ha dimenticato, proprio come a volte dimentica il tuo nome e ti chiama Mildred, che poi è il nome della tua mamma. Eppure è difficile che abbia potuto dimenticarsi di una cosa così importante come la capra. Ne dobbiamo dedurre quindi che la capra non c'era quando vostra nonna era piccola. Questo dimostra che se si racconta la storia di Peter Pan e si comincia con la capra (come fanno molti) si dice una stupidaggine, come se ci si infilasse la canottiera sopra al panciotto. Naturalmente questo dimostra anche che Peter è molto vecchio, ma in realtà ha sempre la stessa età e quindi l'età non ha la minima importanza per lui. Ha solo una settimana e benché sia nato tanto tempo fa, non ha mai avuto un compleanno e non c'è la minima probabilità che ne abbia mai uno. La ragione è che era sfuggito alla condizione di essere umano quando aveva sette giorni, era fuggito volando dalla finestra ed era tornato ai giardini di Kensington. Se pensate che sia l'unico bambino che abbia mai potuto fuggire, significa che avete completamente dimenticato i vostri giovani anni. All'inizio David, una volta sentita questa storia, era proprio sicuro di non aver mai tentato di fuggire, poi gli ho detto di ripensare intensamente al passato, premendosi le mani alle tempie, e dopo averlo fatto concentrandosi al massimo, si è ricordato di essere a letto e di stare a meditare la fuga appena la sua mamma si fosse addormentata e che lei una volta lo aveva acchiappato a metà strada lungo il camino. Tutti i bambini potrebbero avere di questi ricordi se si premessero le mani con forza alle tempie, perché essendo stati uccelli prima di essere creature umane, sono per natura un po' selvaggi durante le prime settimane e hanno un gran prurito alle spalle dove avevano le ali. Così come dice David. Devo dirvi ora come ci comportiamo quando raccontiamo una storia: prima gliela racconto io, poi lui la racconta a me, con l'intesa che è una storia del tutto diversa; poi io la racconto di nuovo con le sue aggiunte e così andiamo avanti finché nessuno riuscirebbe a dire se si tratta più della sua storia o della mia. In questa storia di Peter Pan, per esempio, la narrazione nuda e cruda e gran parte delle riflessioni morali sono mie, ma non tutto, perché questo ragazzo sa essere un severo moralista, invece i pezzi interessanti sui modi e le abitudini dei bambini nella fase di uccelli sono, per la maggior parte, ricordi di David ritornatigli alla mente premendosi le tempie con le mani e pensando con grande intensità. Allora, Peter Pan uscì dalla finestra che non aveva le sbarre. In piedi sul davanzale poteva vedere in lontananza gli alberi che senza dubbio erano quelli dei giardini di Kensington, e nel momento in cui li vide dimenticò completamente di essere un neonato 2


in camicia da notte e se ne volò diritto sulle case verso i giardini. Era meraviglioso, riusciva a volare senza ali, ma aveva un tremendo prurito in quel punto e... e... forse tutti potremmo volare se fossimo così ciecamente sicuri della nostra capacità di farlo così come l'aveva fatto quella sera il coraggioso Peter Pan. Si posò allegramente sull'ampio terreno erboso tra il palazzo della bambina e la serpentina, e la prima cosa che fece fu di stendersi sul dorso e di tirar calci. Si era già completamente dimenticato di essere stato una creatura umana e credeva di essere un uccello anche nell'aspetto, proprio come nei suoi primi giorni di vita, e quando tentò di acchiappare una mosca non capì che non gli era riuscito perché aveva cercato di prenderla con la mano, cosa che naturalmente gli uccelli non fanno. Si accorse, comunque, che doveva già essere passata l'ora di chiusura perché c'erano in giro moltissime fate, tutte troppo affaccendate per accorgersi di lui. Preparavano la colazione, mungevano le mucche, prendevano l'acqua, e così via, e la vista di quei secchi d'acqua gli fece venir sete, così volò al laghetto rotondo per farsi una bevuta d'acqua. Si curvò ed affondò il becco nel laghetto, pensò che fosse il suo becco, ma, naturalmente, era solo il suo naso e quindi di acqua ne venne su ben poca, e non fu nemmeno rinfrescante come al solito; allora provò in una pozzanghera ma vi cadde dentro di schianto. Quando un vero uccello cade così, allarga le penne e se le asciuga con il becco, ma Peter non riusciva a ricordare cosa bisognava fare e decise, piuttosto di malumore, di andare a dormire sul salice piangente della piccola passeggiata. Sul principio gli fu difficile mantenersi in equilibrio su un ramo, ma dopo un po' si ricordò come si faceva e si addormentò. Si svegliò molto prima dell'alba tremando e dicendo tra sé: “non mi sono mai trovato fuori in una note così fredda”. Veramente s'era trovato fuori in notti ben più fredde quando era un uccello, ma naturalmente, come tutti sanno, quello che sembra una notte calda a un uccello è una notte fredda per un bambino in camicia da notte. Peter si sentiva anche stranamente a disagio, come se avesse la testa imbottita, sentiva dei forti rumori che lo inducevano a guardarsi attorno bruscamente, anche se in realtà erano solo starnuti. C’era qualcosa che desiderava tantissimo, ma pur sapendo di desiderarla, non riusciva a pensare che cosa fosse. Quello che tanto desiderava era sua madre che gli soffiasse il naso, ma non gli venne in mente, così decise di rivolgersi alle fate per chiarimenti. Si ritiene che sappiano molte cose. Ce n'erano due che girellavano lungo la piccola passeggiata tenendosi con le braccia intorno alla vita e lui saltò giù per interrogarle. Le fate hanno a volte dei dissapori con gli uccelli, ma normalmente rispondono civilmente, e lui se la prese a male quando quelle due se ne scapparono appena lo videro. Un'altro se ne stava beatamente su di una sedia da giardino a osservare un francobollo che qualche umano aveva lasciato cadere e quando udì la voce di Peter si nascose allarmato dietro un tulipano. Peter scoprì con sgomento che tutte le fate appena lo vedevano scappavano via. Una squadra di operai che stava segando un fungo, fuggì abbandonando gli utensili. Una lattaia rovesciò il secchio e vi si nascose sotto. In un attimo i Giardini furono in subbuglio. Folle di fate correvano di qua e di là chiedendosi, con tono fermo, se qualcuno aveva paura, vennero spente le luci, barricate le porte, e dai giardini del 3


palazzo della Regina Mab si udì un rullo di tamburi, segno che la guardia reale era stata chiamata a raccolta. Un reggimento di lancieri venne alla carica lungo la passeggiata grande armato di foglie di agrifoglio, con le quali passando sfregiano orribilmente il nemico. Peter sentì quegli esseri minuscoli gridare dappertutto che nei giardini era rimasto un essere umano dopo l'ora di chiusura, ma non gli venne in mente neanche per un attimo che stessero parlando di lui. Si sentiva sempre più intontito e sempre più desideroso di sapere cosa bisogna fare al suo naso, ma le inseguiva invano con il suo problema vitale. Quelle timide creature fuggivano appena lo vedevano, e persino i lancieri quando li avvicinò sulla gobba svoltarono velocemente in un sentiero laterale fingendo di averlo visto là. Disperando delle fate, decise di rivolgersi agli uccelli; ma ora si ricordò di una cosa strana: tutti gli uccelli sul salice piangente se ne erano volati appena lui appena lui vi si era posato e sebbene questo non l'avesse inizialmente preoccupato, adesso ne capì il significato. Ogni essere vivente lo sfuggiva. Povero piccolo Peter Pan! Sedette e si mise a piangere e nemmeno allora si accorse che, come un uccello, si era seduto con la parte sbagliata. Fortuna che non lo sapeva altrimenti avrebbe perduto la fiducia nella sua capacità di volare, e nel momento in cui dubitate di poter volare, perdete per sempre la facoltà di farlo. La ragione per cui gli uccelli volano e noi no sta nel fatto che loro hanno una fede assoluta, perché aver fede vuol dire avere le ali. Ora l'isola che sta nella Serpentina la si può raggiungere solo volando, perché è proibito alle barche degli esseri umani approdarvi e ci sono pali ficcati nell'acqua tutt'intorno e su ognuno di essi c'è di sentinella giorno e notte un uccello. Era proprio verso l'isola che ora Peter volava per esporre il suo strano al vecchio Salomone il corvo, e vi atterrò con sollievo, molto rincuorato di trovarsi finalmente a casa: gli uccelli chiamano così l'isola. Tutti dormivano comprese le sentinelle, eccetto Salomone che era completamente sveglio da un occhio, e ascoltò tranquillamente le traversie di Peter e poi gli spiegò il loro vero significato. "Guarda la tua camicia da notte, se non mi credi" disse Salomone; e Peter con gli occhi fissi guardò la camicia, e poi gli uccellini addormentati. Nessuno indossava niente. "Quante dita dei tuoi piedi sono pollici?" disse Salomone un po' crudelmente, e Peter con costernazione vide che tutte le dita dei suoi piedi erano dita di mano. Lo shock fu così grande che il suo raffreddore scomparve. "Arruffa le piume", disse l'arcigno vecchio Salomone, e Peter cercò col massimo accanimento di arruffare le piume, ma non ne aveva. poi si alzò in piedi tremante, e per la prima volta da quando era stato sul davanzale della finestra si ricordò di una signora che gli aveva voluto tanto bene. "Credo che tornerò dalla mamma", disse timidamente. "Addio", rispose Salomone il corvo con sguardo strano. 4


Ma Peter esitava. "Perché non vai?" chiese il vecchio con cortesia. "Penso..." disse Peter con voce rauca, "penso...potrò ancora volare?" Vedete, aveva perduto la fede. "Povero piccolo metà-e-metà!" Disse Salomone che in realtà non aveva il cuore duro, "non riuscirai più a volare, nemmeno nei giorni di vento. Dovrai vivere qui sull'Isola per sempre". "E non andrò nemmeno più ai giardini di Kensington?" chiese Peter tragicamente. "E come potresti arrivarci?" disse Salomone. Poi promise comunque molto gentilmente di insegnare a Peter tutte le possibili arti degli uccelli che un essere di forma così goffa avrebbe potuto imparare. "Allora non sarò proprio una creatura umana?" chiese Peter. "No". "E nemmeno proprio un uccello?" "No." "E che cosa sarò?" "Sarai un "tra il qua e il là" disse Salomone, e certamente era un vecchio saggio, perché è esattamente ciò che avvenne. Gli uccelli dell'isola non si abituarono a lui. Tutti i giorni le sue stranezze li eccitavano come fossero del tutto nuove, benché in realtà erano gli uccelli ad essere nuovi. Ogni giorno uscivano dalle uova, e subito ridevano di lui, poi subito se ne volavano per diventare esseri umani, e altri uccelli venivano fuori da altre uova e così le cose andavano avanti per sempre. Le mamme astute, stanche di covare uova, presero l'abitudine di far rompere ai piccoli il guscio un giorno prima del tempo, bisbigliando loro che ora avevano l'occasione di vedere Peter Pan che si lavava, beveva o mangiava. A migliaia gli si radunavano intorno ogni giorno per guardarlo mentre faceva queste cose, proprio come voi osservate i pavoni e gridavano di gioia quando lui prendeva con le mani le croste che gli gettavano, invece di prenderle nel solito modo, con la bocca. Tutto il cibo che gli arrivava glielo portavano gli uccelli dei giardini per ordine di Salomone. Non mangiava né vermi né insetti (cosa che a loro sembrò assai stupida) così gli portavano del pane nel becco. Perciò quando gridate "Ingordo! Ingordo!" a un uccello che se vola con una grossa crosta di pane, sappiate che non dovreste farlo perché è molto probabile che la stia portando a Peter Pan. 5


Ormai Peter non aveva più indosso la camicia da notte. Per intenderci, gli uccelli lo imploravano sempre di dargliene dei pezzi per rivestire i loro nidi e lui essendo di buon cuore non sapeva rifiutare, così su consiglio di Salomone aveva nascosto quanto gliene era rimasto. Ma benché fosse ormai completamente nudo non dovete credere che avesse freddo o che fosse infelice. Di solito era molto felice e allegro, e ciò dipendeva dal fatto che Salomone aveva mantenuto la promessa e gli aveva insegnato molte arti degli uccelli. Accontentarsi facilmente, per esempio, e fare sempre davvero qualcosa e pensare che qualunque cosa facesse era una cosa di grande importanza. Peter diventò molto abile nell'aiutare gli uccelli a costruirsi i nidi. Ben presto riuscì a costruirli meglio dei colombi selvatici, e quasi bene quanto i merli, benché non riuscì mai a soddisfare i fringuelli, e poi vicino ai nidi faceva dei graziosi piccoli abbeveratoi o scavava vermi con le mani per i più piccoli. Inoltre imparò molto della sapienza degli uccelli, e sapeva distinguere col fiuto un vento dell'est da uno dell'ovest, e riusciva a vedere l'erba crescere, e a percepire il cammino degli insetti all'interno dei tronchi d'albero. Ma la cosa migliore di Salomone era stata insegnargli ad avere un cuore felice. Tutti gli uccelli hanno un cuore felice se non gli si ruba il nido e così, essendo l'unica specie di cuore che Salomone conosceva, gli fu facile insegnare a Peter come averne uno. Peter aveva un cuore tanto felice che sentiva di dover cantare per tutto il giorno, proprio come gli uccelli che cantano di gioia, ma essendo in parte una creatura umana aveva bisogno di uno strumento, così si fece un flauto di canna e passava la serata seduto sulla spiaggia dell'isola esercitandosi a imitare il sussurro del vento e il mormorio dell'acqua, e afferrando manate di raggi di luna li metteva tutti nel suo flauto e suonava così in modo meraviglioso da ingannare perfino gli uccelli che si domandavano: "era un pesce che saltava sull'acqua o era Peter che suonava il salto del pesce col flauto?". E a volte suonava la nascita degli uccelli e allora le madri si rigiravano nei nidi per vedere se avevano deposto un uovo. Se siete un bambino dei giardini dovete conoscere il castagno vicino al ponte che fiorisce prima di tutti gli altri castagni, ma forse non sapete perché quest'albero è il primo a fiorire. E' perché Peter desidera tanto l'estate e suona che è arrivata, e il castagno essendo così vicino lo sente e viene tratto in inganno. Ma mentre Peter se ne stava seduto sulla riva emettendo suoni divini dal suo flauto, a tratti era assalito da tristi pensieri, e quindi anche la musica diventava triste e tutta la sua tristezza dipendeva dall'impossibilità di raggiungere i giardini, pur potendoli vedere attraverso l'arcata del ponte. Egli sapeva che non sarebbe mai più potuto essere una vera creatura umana, e del resto quasi non lo desiderava, ma ahimè, come desiderava giocare come giocavano gli altri bambini, e naturalmente per giocare non c'è posto più delizioso dei giardini. Gli uccelli gli portavano notizie sui giochi dei bambini e delle bambine e gli occhi di Peter si riempivano di lacrime di tristezza. Forse vi domanderete perché non facesse la traversata a nuoto. Era perché non sapeva nuotare. Avrebbe voluto imparare ma nessuno sull'isola sapeva nuotare eccetto le anatre, che sono così stupide. Comunque volevano insegnargli, ma non sapevano dirgli altro che: "siediti sulla superficie dell'acqua in questo modo e poi dai dei calci così" Peter aveva provato spesso, ma invariabilmente affondava prima di poter dare i calci. Quello 6


di cui in realtà aveva bisogno di sapere era di come ci si siede sull'acqua senza andare a fondo, e loro dicevano che era assolutamente impossibile spiegargli una cosa tanto semplice. Ogni tanto dei cigni arrivavano sull'isola e Peter di solito gli dava tutto il cibo che aveva per la giornata e poi gli chiedeva come facevano a stare seduti sull'acqua, ma appena la roba da mangiare era finita quegli odiosi esseri gli facevano un fischio e se ne andavano. Una volta credette realmente di aver scoperto il modo di raggiungere i giardini. Una cosa bianca, meravigliosa, come un giornale in fuga, fluttuava alta sopra l'isola e precipitava a ruzzoloni proprio come un uccello che abbia un'ala spezzata. Peter era così spaventato che si nascose, ma gli uccelli gli dissero che era solo un aquilone e gli dissero che doveva essere scappato di mano a un bambino e se stava volando via. Dopo di ciò risero della passione di Peter per l'aquilone. Egli lo amava tanto e dormì perfino tenendoci sopra la mano, e mi pare che questo sia commovente e grazioso, perché la ragione per cui l'amava era che era appartenuto a un vero bambino. Agli uccelli questa parve una ben povera ragione, ma i più vecchi in quel tempo gli erano grati perché egli aveva curato i loro piccoli ammalati di rosolia, e così si offrirono di mostrargli come gli uccelli fanno volare un aquilone. Sei di loro presero l'estremità dello spago nel becco e si levarono in volo; e con sua grande meraviglia l'aquilone volò dietro gli uccelli e sali ancora più in alto di loro. Peter gridava, "fatelo ancora!" e loro con grande simpatia lo fecero salire parecchie volte e tutte le volte lui invece di ringraziarli gridava, "fatelo ancora!" dimostrando che anche ora non aveva del tutto dimenticato cosa voleva dire essere bambini. Infine, con il suo coraggioso cuore palpitante di un grande progetto, li pregò di farlo ancora una volta con lui attaccato alla coda dell'aquilone. Così un centinaio di uccelli si levarono in volo con lo spago, e Peter attaccato alla coda, con l'intento di lasciarlo cadere quando fosse sopra i Giardini. Ma l'aquilone in aria andò in mille pezzi e lui sarebbe annegato nella Serpentina se non si fosse aggrappato a due cigni indignati e non si fosse fatto portare all'isola. Dopo di ciò gli uccelli gli dissero che non lo avrebbero più aiutato nella sua pazza impresa. Ciò nonostante Peter raggiunse finalmente i Giardini con l'aiuto della barca di Shelley come andrò a raccontarvi adesso. II Nido di Tordo Shelley era un giovane gentiluomo, e adulto quel tanto che fosse possibile aspettarsi da lui. Era un poeta e i poeti non sono mai veramente adulti. E' gente che disprezza il denaro eccetto quello che gli necessita per oggi e lui lo aveva e in più aveva anche cinque sterline. Cosi, mentre passeggiava nei giardini di Kensington, fece una barchetta di carta con la sua banconota e la mandò a navigare nella Serpentina. 7


La barchetta raggiunse l'isola di notte e la sentinella la portò a Salomone il Corvo che sul principio penso si trattasse della solita cosa, un messaggio con cui qualche signora si dichiarava molto obbligata se lui avesse potuto mandargliene uno veramente buono. Chiedono sempre il migliore che ha, e se a lui la lettera piace gliene manda uno di classe A, ma se non gli garba manda dei piccoli veramente buffi. A volte non ne manda affatto, talvolta ne manda un nido intero; tutto dipende dall'umore del momento. Gli piace che gli si lasci la scelta, e se fate cenno in particolare alla speranza che lui trovi il modo di procurarvi questa volta un bambino, e quasi certo che vi manderà un'altra bambina. E che siate una signora o solo un ragazzino che vuole una sorellina, abbiate sempre cura di scrivere chiaramente il vostro indirizzo. Non potete immaginare quanti bambini Salomone ha mandato all'indirizzo sbagliato. La barca di Shelley, una volta aperta, lascio assolutamente perplesso Salomone che chiese consiglio ai suoi assistenti. Questi dopo avervi camminato sopra due volte, la prima volta a zampe tese, la seconda a zampe adunche, decisero che proveniva da qualche persona molto avida che ne voleva cinque. A tale conclusione arrivarono perché c'era stampato sopra un grosso cinque. " Assurdo!" gridò Salomone in un impeto di rabbia, e regalò la banconota a Peter; ogni cosa inutile che approdava all'isola veniva data di solito a Peter per giocarci. Ma lui non giocò con la preziosa banconota, essendo stato molto attento durante la settimana in cui era stato un bambino comune, capì subito di cosa si trattava. Con tanto denaro, pensava, avrebbe certamente potuto trovare il modo di raggiungere alla fine i giardini. Cosi incominciò a esaminare tutte le possibilità e decise (credo saggiamente), di scegliere il modo migliore. Ma prima doveva comunicare agli uccelli il valore della barca di Shelley, e benché fossero troppo onesti per chiederne la restituzione, egli vide che erano amareggiati e lanciavano tali cupe occhiate a Salomone, di solito assai fiero della sua perspicacia, che lui se ne volo nella parte estrema dell'isola e sedette là mortificato con la testa nascosta sotto le ali. Ora Peter sapeva che senza l'amicizia di Salomone non si sarebbe mai potuto ottenere nulla sull'isola, cosi lo seguì e cerco di rincuorarlo. Ma Peter non fece solo questo per guadagnarsi il favore del potente vecchio. Dovete sapere che Salomone non aveva intenzione di rimanere in carica tutta la vita. Pregustava la gioia di ritirarsi, di li a poco, e di dedicare la sua vigorosa vecchiaia a una vita di piaceri su un certo tronco di tasso nelle Magnolie che gli era piaciuto, e per anni aveva continuato a riempire tranquillamente la sua calza. Era una calza appartenuta a qualche bagnante che era stata gettata sull'isola, e al tempo in cui vi parlo conteneva centottanta briciole, trentaquattro noci, sedici croste, un nettapenne, e una stringa da scarpe. Una volta riempita la calza, Salomone calcolava che gli sarebbe stato possibile ritirarsi e vivere agiatamente. Ora Peter gli dette una sterlina che taglio dalla sua banconota con un bastoncino affilato. Questo gli procurò l'amicizia eterna di Salomone, e i due, dopo essersi consultati insieme, convocarono un'assemblea di tordi. 8


Vedrete subito perché furono invitati soltanto i tordi. Il progetto che bisognava presentargli era veramente di Peter, ma Salomone fece gran parte del discorso, perché si irritava appena gli altri parlavano. Cominciò dicendo che era rimasto molto colpito dalla superiore ingegnosità mostrata dai tordi nella costruzione dei nidi, questo li mise subito di buon umore, come appunto si voleva, perché tutte le liti fra uccelli nascono sul modo migliore di costruire i nidi. Altri uccelli, disse Salomone, omettono di foderare i loro nidi con il fango, di conseguenza essi non tengono l'acqua. A questo punto drizzo la testa come se avesse espresso un giudizio inconfutabile ma, sfortunatamente, una certa signora FringuelIa che era venuta all'assemblea senza essere invitata, strillò, "Noi non costruiamo nidi perché tengano acqua, ma uova"; e allora i tordi smisero di applaudire, e Salomone rimase cosi perplesso che bevve diversi sorsi d'acqua. Infine disse: "Pensate a come il fango rende caldo il nido!" "Pensate" – grido la signora Fringuella che quando l'acqua entra nel nido ci rimane e i vostri piccoli annegano." I tordi pregarono Salomone con uno sguardo di dire qualcosa di schiacciante in risposta a questo, ma ancora una volta egli era perplesso. Bevi un altro sorso », suggerì con insolenza la signora Fringuella. Si chiamava Kate e tutte le Kate sono insolenti. Salomone provò a bere un altro sorso e questo gli diede un'ispirazione. "Se si mette un nido di fringuello sulla Serpentina" disse "si riempe e va in pezzi, mentre un nido di tordo resta asciutto come l'incavo sul dorso del cigno." Come applaudirono i tordi! Ora sapevano perché foderavano i nidi col fango, e quando la signora Fringuella grido, "Noi non mettiamo i nostri nidi nella Serpentina", fecero quello che avrebbero dovuto fare subito, la scacciarono dall'assemblea. Dopo di ciò tutto si svolse con ordine. Essi erano stati convocati, disse Salomone, per ascoltare quanto segue: il loro giovane amico Peter Pan, come ben sapevano, desiderava moltissimo di poter traghettare fino ai Giardini, e lui ora proponeva di costruire una barca con il loro aiuto. A queste parole una certa agitazione pervase 1'uditorio e Peter incominciò a tremare per il suo progetto. Salomone si affrettò a spiegare che quello che intendeva non era una di quelle ingombranti barche usate dagli esseri umani; la barca che intendeva doveva essere semplicemente un nido di tordo ampio abbastanza per contenere Peter. Ma i tordi, con grande angoscia di Peter erano ancora di cattivo umore. “Siamo gente occupatissima,” brontolavano, “e questo sarà un lavoro enorme.” “proprio così”, disse Salomone “e certo Peter non permetterà che lavoriate per niente. Ricordatevi che egli si 9


trova ora in condizioni floride e vi compenserà con un salario che non avete mai ricevuto in vita vostra. Peter Pan mi autorizza a dire che sarete pagati tutti sei pence al giorno. » Allora tutti i tordi si misero a saltare di gioia, e cominciarono quel giorno stesso la "costruzione della barca". Lasciarono indietro tutti gli altri lavori. Era il tempo dell'anno n cui avrebbero dovuto pensare a preparare i nidi, ma non fu costruito nessun nido eccetto quello grande e cosi Salomone si trovo ben presto a corto di tordi da fornire alle richieste della terra ferma. I bambini robusti, piuttosto ingordi, che stanno cosi bene nelle carrozzine, a cui però viene facilmente il fiatone quando camminano, erano un tempo dei piccoli tordi, e le signore a volte richiedono proprio quelli. Cosa credete che facesse Salomone? Mando a prendere dai tetti delle case un certo numero di passeri e ordino loro di deporre le uova nei vecchi nidi di tordo, poi inviò i piccoli alle signore giurando che fossero tordi. In seguito quell'anno venne ricordato nell'isola come l'anno dei passeri. Cosi quando incontrate nei giardini degli adulti che respirano e si gonfiano come mantici credendo di essere più grandi di come sono, è molto probabile che siano di quell'annata. Chiedeteglielo. Peter era un padrone molto giusto e ogni sera pagava i suoi operai. Si mettevano in fila sui rami aspettando educatamente mentre lui tagliava tanti sei pence di carta dalla sua banconota, poi faceva l'appello e ogni uccello appena chiamato per nome volava a terra e riceveva il suo sei pence. Deve essere stato un bello spettacolo. E alla fine, dopo sei mesi di lavoro, la barca fu terminata. Oh, l'esultanza di Peter mentre la vedeva crescere sempre più simile a un gran nido di tordo! Fin dal primo momento della sua costruzione vi dormì accanto e spesso si svegliava per dirgli dolci parole, e dopo che era stato foderato col fango e il fango s'era asciugato, egli vi dormì sempre dentro. E ancora dorme nel suo nido e ha un modo straordinario di arrotolarvisi dentro, perché e proprio largo abbastanza da contenerlo comodamente quando vi si raggomitola come un gattino. Dentro è marrone, naturalmente, ma all'esterno è quasi tutto verde, essendo intessuto d'erba e ramoscelli, e quando questi appassiscono e si rompono, le pareti sono rifatte a nuovo. Ci sono anche delle piume qua e la, perse da tordi mentre lo stavano costruendo. Gli altri uccelli erano gelosissimi e dicevano che la barca non sarebbe stata in equilibrio sull'acqua, ma invece era perfettamente stabile; dicevano che vi sarebbe entrata dentro l'acqua, ma l'acqua non entrò. Poi osservarono che Peter non aveva remi e questo fece si che i tordi si guardassero costernati; ma Peter replicò che non aveva bisogno di remi perché aveva una vela, e con un'espressione orgogliosa e felice mostrò una vela che aveva tagliato dalla sua camicia da notte e, sebbene assomigliasse ancora molto a questa, era pur sempre una bella vela. E in quella notte di luna piena, mentre tutti gli uccelli dormivano, egli entrò nel suo piccolo guscio (come avrebbe detto mastro Francesco. il Grazioso) e lascio l'isola. E, prima di tutto, senza sapere il perché, guardò in alto con le manine giunte e da quel momento i suoi occhi rimasero fissi verso occidente. Aveva promesso ai tordi che per cominciare avrebbe fatto brevi viaggi servendosi della loro guida, ma in lontananza vide i giardini di Kensington che lo invitavano da sotto il 10


ponte, e non poté resistere. Aveva il viso rosso, ma non si voltò mai indietro, nel suo piccolo petto c'era un'esultanza che metteva in fuga la paura. Era forse Peter il meno prode fra gli uomini di mare inglesi che hanno veleggiato verso occidente per affrontare l'ignoto? Sul principio la sua barca continuò a girare in cerchio e lui fu ricacciato al punto di partenza, allora ridusse la vela togliendo una delle maniche, e immediatamente fu riportato indietro da un tenue vento contrario, con non poco pericolo. Allora mollò la vela col risultato di essere spinto verso la riva lontana, dove ci sono ombre scure. di cui non conosceva i pericoli ma li sospettava, e così ancora una volta issò la sua camicia da notte e andò sempre più allontanandosi dalle ombre, finché non colse un vento favorevole che lo portò verso occidente, ma a una tale velocità che fu sul punto di andare a sbattere contro il ponte. E, avendolo evitato, vi passo sotto e, con sua grande gioia, arrivò perfettamente in vista dei deliziosi Giardini. Ma avendo tentato di gettare l'ancora, che era una pietra attaccata a un pezzo di filo dell'aquilone, non trovò il fondo e fu costretto ad allontanarsi alla ricerca di un ancoraggio. Poi, proseguendo con cautela, urtò contro uno scoglio a fior d'acqua che lo gettò fuori bordo per la violenza del colpo e stava per annegare, ma si riafferrò al battello risalendovi. In quel momento scoppiò un terribile temporale, accompagnato da un ruggire di acque, tale che non aveva mai udito l'uguale, e fu sballottato di qua e di là, e le sue mani erano cosi intirizzite dal freddo che non poteva chiuderle. Avendo poi scampato questo pericolo, fu misericordiosamente portato in una piccola baia dove la sua barca navigò in pace. Tuttavia non era ancora in salvo perché nell'atto di sbarcare, trovò una moltitudine di gente minuscola schierata sulla spiaggia che si opponeva al suo sbarco e gli gridava con voce stridula di andarsene perché l’ora di chiusura era passata da un pezzo. E facevano ciò con un gran brandire le loro foglie di agrifoglio; e inoltre un gruppo di essi portava una freccia che qualche bambino aveva lasciato nei Giardini, ed erano pronti a servirsene come ariete. Allora Peter sapendo che erano fate, grido loro che non era un essere umano comune e che non desiderava scontentarli, ma essere loro amico; tuttavia, avendo trovato un porto ridente, non se la sentiva di ritirarsi da cotal luogo, e li ammonì nel caso avessero cercato di molestarlo di tenersi pronti alla guardia. Cosi dicendo prese coraggiosamente terra e loro gli si radunarono intorno col proposito di condurlo a morte, ma proprio in quel punto levaronsi fra le donne alte grida, dappoiché quelle osservarono che la sua vela era una camicia da notte da bambino. Dopo la tal cosa lo presero immantinente a ben volere e rammaricaronsi d'essere i loro grembi troppo piccoli, la qual cosa non posso spiegare se non dicendo che tale è il fare delle donne. Cosicché le fate uomini osservando il comportamento delle loro donne, sulla cui intelligenza facevano grande assegnamento, rinfoderarono le armi e lo condussero civilmente dalla loro regina che gli conferì il privilegio di frequentare i giardini dopo l'ora di chiusura, e d'allora innanzi Peter poté andare in qualsivoglia luogo gli aggradisse e le fate ebbero l'ordine di agevolarlo in alcunché. 11


Questo fu il suo primo viaggio ai giardini e dal linguaggio antiquato potete concludere che avvenne molto tempo fa. Ma Peter non diventa mai vecchio e se noi potessimo osservarlo sotto il ponte questa notte (ma, naturalmente, non possiamo) oso dire che lo vedremmo issare la sua camicia da notte e veleggiare o remare verso di noi dentro il nido di tordo. Quando va con la vela sta seduto ma si alza in piedi quando rema. Vi racconterò fra poco come ebbe il remo. Molto prima che arrivi l'ora dell'apertura dei cancelli lui se la svigna nell'isola, perché la gente non deve vederlo (dopo tutto non è tanto umano) ma questo gli permette qualche ora di gioco, e lui gioca esattamente come i veri bambini. Almeno lo crede, ed è una delle cose patetiche di lui il fatto che spesso gioca in modo assolutamente sbagliato. Vedete, non c'era nessuno che gli diceva come giocano veramente i bambini, perché le fate se ne stanno tutte più o meno nascoste fino all'ora del tramonto e così non sanno niente, e benché gli uccelli pretendevano di essere in grado di insegnargli una quantità di cose, e straordinario quanto poco sapessero quando veniva il momento di insegnargliele. Gli dissero la verità su come si gioca a rimpiattino, e lui spesso gioca da solo, ma neanche le anatre del Laghetto Rotondo seppero spiegargli che cos'è che rende il Laghetto cosi affascinante per i bambini. Ogni notte le anatre dimenticano tutti gli avvenimenti del giorno, eccetto quanti pezzi di torta gli sono stati gettati. Sono creature squallide e dicono che le torte non sono più quelle che erano ai tempi della loro gioventù. Così Peter dovette scoprire da solo molte cose. Giocava spesso alle navi nel Laghetto Rotondo, ma la sua nave era solo un cerchio che aveva trovato sull'erba. Naturalmente non aveva mai visto un cerchio e si domandava come si fa a giocare coi cerchi e decise che si gioca fingendo che siano barche. Inevitabilmente questo cerchio affondava subito, ma lui si infilava nell'acqua per prenderlo e a volte lo trascinava allegramente intorno all'orlo della vasca ed era proprio orgoglioso pensando di aver scoperto quello che i bambini fanno col cerchio. Un'altra volta avendo trovato un secchiello di un bambino credette che bisognasse usarlo per sedile e vi si sedette con tanta energia che a stento poté trarsene fuori. Trovò anche un palloncino, che rimbalzava qua e là per la Gobba, proprio come se stesse giocando per conto suo, e riuscì a prenderlo dopo una caccia emozionante. Ma pensava fosse una palla, e Jenny la Passera gli aveva detto che i bambini danno i calci alle palle, quindi si mise a calciarlo, dopo di che non riuscì più a trovarlo. Forse la cosa più sorprendente che trovò fu una carrozzina. Era sotto un tiglio, vicino all'entrata del Palazzo d'Inverno della Regina delle Fate (che si trova in mezzo a sette castagni selvatici in cerchio) Peter si avvicinò ad essa con circospezione perché gli uccelli non gli avevano mai parlato di una cosa simile. Temendo che fosse viva, le rivolse gentilmente la parola; poi siccome non ebbe risposta, le andò più vicino e la toccò con cautela. 12


Le dette una piccola spinta, e la carrozzina se ne corse via allontanandosi da lui, e questo gli fece pensare che dopo tutto doveva essere viva, ma visto che si era allontanata da lui, non ebbe paura. Così allungò la mano per tirarla a sé, ma questa volta la carrozzina corse verso di lui ed egli ne fu così spaventato che saltò la ringhiera e si precipitò verso la sua barca. Non dovete credere tuttavia che era un codardo, perché ritornò la notte successiva con una crosta in una mano e un bastoncino nell'altra, ma la carrozzina era scomparsa e lui non ne vide mai più un'altra. Vi ho promesso di parlarvi anche del suo remo. Era una paletta da bambino che aveva trovato vicino al pozzo di San Govone e credeva fosse un remo. Forse, per tutti questi errori, Peter Pan vi fa pena. Se è cosi, penso sia piuttosto sciocco da parte vostra. Voglio dire che, naturalmente, si può compiangerlo di tanto in tanto, ma compiangerlo sempre sarebbe un'incongruenza. Egli credeva di passare nei Giardini ore deliziose, e credere di farlo è quasi tanto bello che farlo veramente. Lui giocava sempre, mentre voi, a volte, sciupate il tempo facendo il birbantello o il piagnucolone. Lui non poteva fare né l'una né l'altra cosa, perché non ne aveva mai sentito parlare, ma pensate che per questo lo si debba compiangere? Oh, se era allegro! Era molto più allegro di voi, per esempio, come voi siete più allegri di vostro padre. Alle volte si rotolava in terra come una trottola per pura allegria. Avete mai visto un levriero saltare gli steccati dei giardini? Peter li salta allo stesso modo. E pensate alla musica del suo flauto. Certi signori che tornano a casa di notte scrivono ai giornali per dire che hanno sentito un usignolo cantare nei giardini, ma in verità è il flauto di Peter che sentono. Naturalmente non aveva la mamma... ma infine a che cosa gli sarebbe servita? Potete compiangerlo per questo, ma non siate troppo addolorati, perché la prossima cosa che voglio raccontarvi e come fu che andò a farle di nuovo visita. Furono le fate a dargliene la possibilità. L'Ora di Chiusura E’ terribilmente difficile sapere molte cose sulle fate, e quasi l'unica. cosa che si sa per certo è che ci sono fate dovunque ci sono bambini. Tanto tempo fa ai bambini era proibito andare nei Giardini, e a quel tempo in quel posto non c'erano fate; poi i bambini furono ammessi e le fate vennero a frotte quella stessa sera. Non possono fare a meno di seguirli, ma raramente le vedete, in parte perché durante il giorno vivono dietro i recinti dove a voi non è permesso andare, e in parte anche perché sono molto astute. Dopo l'ora di chiusura non lo sono per niente, ma fino all'ora di chiusura, se sapeste! Quando eravate uccelli conoscevate le fate abbastanza bene e ricordate molte cose su di loro nella vostra infanzia, ed è un gran peccato che non possiate scrivervele perché a poco a poco le dimenticate, e ho sentito di bambini che dichiarano di non aver mai visto una fata. Molto probabilmente se dicessero questo nei giardini di Kensington, si troverebbero a dirlo fissandone di continuo una. La ragione dell'inganno sta nel fatto che lei finge d'essere qualcosa altro. Uno dei loro trucchi più riusciti è questo. Fingono 13


generalmente di essere fiori, perché la corte ha le sue sedute nella Valletta delle Fate e lì e lungo la piccola passeggiata di fiori ce ne sono tanti, che un fiore ha meno probabilità di attirare l'attenzione. Si vestono esattamente come i fiori, e cambiano con le stagioni; vestono di bianco quando ci sono i gigli e di azzurro quando ci sono le campanule e cosi via. Amano più di tutto la stagione del croco e del giacinto perché vanno matte per un po' di colore, ma i tulipani (eccetto quelli bianchi che sono le loro culle) li ritengono sgargianti, e a volte rimandano giorni e giorni prima di vestirsi da tulipani, sicché le prime settimane della loro fioritura e quasi il periodo migliore per sorprenderle. Se pensano che non le guardate, sgambettano alquanto rapidamente, ma se le guardate e se temono di non fare in tempo a nascondersi, stanno immobili fingendo di essere fiori. Poi, dopo che siete passati senza averle riconosciute, corrono a casa a raccontare alle loro mamme la grande avventura. La Valletta delle Fate, ricordate, è tutta coperta di edera (da cui estraggono il loro olio di ricino) e qua e là vi crescono fiori. Molti son proprio fiori, ma alcuni sono fate. Non si può mai essere sicuri di loro. Un buon stratagemma però è quello di camminare guardando dall'altra parte e poi voltarsi di scatto. Un altro buon stratagemma, che alle volte David e io escogitiamo, è di fermarci a fissarle. Dopo molto tempo non possono fare a meno di battere le palpebre, e allora siete certi che sono fate. Ce ne sono anche molte lungo la piccola passeggiata che è un celebre delicato luogo come sono definiti i posti da loro frequentati. Una volta ventiquattro di esse vissero una straordinaria avventura. Erano bambine di una scuola, travestite da giacinti, a passeggio con la loro insegnante. A un certo punto lei si mise un dito sulla bocca e loro restarono tutte immobili, su una aiuola vuota, fingendo di essere giacinti. Disgraziatamente quello che l'insegnante aveva udito era l'avvicinarsi di due giardinieri che venivano a piantare dei fiori nuovi proprio in quell'aiuola. Spingevano una carriola con dentro i fiori e furono sorpresi di trovare l'aiuola gia occupata, “Peccato levare i giacinti”, disse uno dei due. “Ordine del duca “, rispose l'altro, e dopo aver vuotato la carriola tirarono su la intera scolaresca e misero quelle povere creature terrorizzate in cinque file. Naturalmente né l'insegnante né le bambine osarono far sapere che erano fate, cosi furono portate in carriola lontano sotto una tettoia per i vasi da cui fuggirono senza scarpe durante la notte, ma sul fatto scoppiò fra i genitori una grande baruffa e la scuola fu rovinata. Per quanto riguarda le loro case è inutile cercarle perché sono esattamente il contrario delle nostre, che si possono vedere di giorno, ma non quando e buio. Ebbene le loro si possono vedere quando è buio, ma non quando è giorno, perché hanno il colore della notte, e non ho mai sentito ancora nessuno che abbia visto la notte durante il giorno. Questo non significa che sono nere, perché la notte ha i suoi colori proprio come il giorno, ma tanto più brillanti. I loro azzurri e rossi e verdi sono come i nostri ma con dietro una luce. Il palazzo è tutto fatto di vetri multicolori ed è una delle più deliziose fra tutte le residenze reali, a volte pero la regina si lamenta perché la gente comune. E’ gente molto curiosa, e preme con forza la faccia contro i vetri, per la qual cosa i loro nasi sono prevalentemente schiacciati. Le strade sono lunghe chilometri e chilometri e 14


serpeggianti e su ogni lato hanno sentieri fatti di tessuto pettinato di lana lucente. Gli uccelli erano soliti rubare il tessuto per i loro nidi, ma è stato messo un poliziotto per tenerlo fermo a una delle estremità. Una delle grandi differenze tra le fate e noi è che loro non fanno mai niente di utile. Quando il primo bambino rise per la prima volta, il suo riso ruppe in milioni di frammenti che se ne andarono saltando tutt'intorno. Quella fu la nascita delle fate. Inoltre sembrano terribilmente occupate, come se non avessero un attimo di tempo, ma se poi vi salta in mente di chiedergli cosa stanno facendo non saprebbero minimamente cosa rispondervi. Sono terribilmente ignoranti e tutto quello che fanno è finzione. Hanno un portalettere, ma non va mai da nessuno, eccetto che a Natale con la sua scatolina, e benché abbiano belle scuole non vi si insegna niente; e essendo il bambino più piccolo la persona più importante, lo prescelgono sempre come direttore, e quando ha fatto l'appello escono tutti per una passeggiata e non tornano mai indietro. E’ degno di nota il fatto che nelle famiglie delle fate il più piccolo è sempre la persona più importante e di solito diventa principe o principessa. I bambini lo ricordano e credono che dovrebbe accadere lo stesso anche fra gli esseri umani, e questa è la ragione per cui spesso si sentono inquieti quando colgono la loro madre che prepara segretamente un nuovo corredo per la culla. Avrete probabilmente notato come la vostra sorellina vuol fare tutte le cose che la mamma e la bambinaia non vogliono che faccia: per esempio, alzarsi quando è il momento di sedersi, e sedersi quando è il momento di alzarsi, o svegliarsi quando dovrebbe dormire, o strisciare a quattro zampe per terra quando ha il vestitino più bello, ecc. ecc., e forse pensate che siano capricci. Ma non è così, significa solo che si comporta come ha visto fare alle fate; comincia col seguire le loro abitudini e poi ci vogliono due anni circa per riportarla alle abitudini degli esseri umani. I suoi scoppi di collera, cosi orribili a vedersi e che sono generalmente chiamati dentizione, non c'entrano con questa, invece la piccola è esasperata ovviamente perché, pur parlando una lingua intelligibile, noi non la comprendiamo. Parla fatese. Mamme e bambinaie capiscono i suoi discorsi prima di ogni altra persona. Come “Dam“ che vuol dire “Dammelo Subito” oppure “Pep”: «Perché hai un cappello cosi ridicolo?” Ciò dipende dal fatto che stando tanto spesso coi bambini esse hanno imparato un po' la lingua delle fate. Recentemente David si è messo a ripensare intensamente alla lingua delle fate, con i pugnetti stretti alle tempie e si è ricordato di alcune frasi che un giorno o l'altro vi dirò, se non le dimentico. Le aveva sentite ai tempi in cui era un tordo e pur avendogli io suggerito che forse quello che si ricorda è in realtà linguaggio degli uccelli, lui dice di no, perché queste frasi parlano di giochi e di avventure e gli uccelli non parlano d'altro che di costruzione di nidi. Ricorda distintamente che gli uccelli avevano l'abitudine di andare da un punto all'altro, come signore davanti alle vetrine dei negozi, guardando i vari tipi di nidi e dicendo, “Mia cara, non è il mio colore “ e “non andrebbe meglio 15


ricoperto con una fodera morbida?” e “ma durerà?” e “che orrenda guarnizione”, e così via. Le fate sono ballerine deliziose ed è per questo che uno dei primi gesti del bambino è farvi segno di ballare per lui e quando lo fate piange. Le fate tengono i loro grandi balli all'aperto in un cerchio che è chiamato il cerchio delle fate. Dopo, per settimane, questo cerchio lo si può vedere sull'erba.. Non c'è quando il ballo comincia, ma si forma a furia di ballare il valzer in girotondo. Qualche volta dentro al cerchio si trovano dei funghi e sono le sedie delle fate che la servitù ha dimenticato di portar via. Le sedie e i cerchi sono gli unici segni rivelatori che questa gente minuscola lascia dietro di sé, e toglierebbero anche questi se non fossero cosi appassionate del ballo. Infatti muovono i piedi proprio fino al momento in cui si riaprono i cancelli. David e io una volta abbiamo trovato un cerchio delle fate ancora caldo. Ma c'è anche un altro modo di venire a sapere del ballo prima che avvenga. Conoscete i cartelli che espongono quotidianamente l’ora di chiusura dei giardini. Bene, quelle astute fate a volte cambiano furtivamente il cartello la sera del ballo, cosi si legge, per esempio che i giardini chiuderanno alle sei e mezzo invece che alle sette. Per cui possono incominciare mezz'ora prima. Se in quelle notti potessimo rimanere nei Giardini, come fece la famosa Maimie Mannering, potremmo assistere a scene stupende. Vedremmo centinaia di graziose fate affrettarsi verso il ballo, quelle sposate con le fedi matrimoniali intorno alla vita, i signori tutti in uniforme che reggono le code alle signore e valletti che corrono avanti portando gli alkekengi che sono le lanterne delle fate. Vedremmo il guardaroba dove indossano le pianelle d'argento e prendono lo scontrino per i loro mantelli; i fiori che arrivano a frotte dalla piccola passeggiata per guardare, e che sono sempre bene accolti perché possono prestare qualche spillo; la tavola imbandita per la cena con la Regina Mab a capotavola, e dietro la sua sedia il Gran Ciambellano che porta un soffione sul quale soffia quando Sua Maestà vuol sapere l'ora. La tovaglia varia a seconda delle stagioni, e in maggio è fatta di fiori di castagno. Il metodo che seguono i servi delle fate è questo: una ventina di camerieri si arrampicano sugli alberi, scuotono i rami, e i fiori cadono come neve. Poi le cameriere li raccolgono insieme, agitando le gonne fino a che si ammassano proprio a forma di stoffa, ed ecco fatta la tovaglia. Hanno veri bicchieri e vino vero di tre qualità, cioè vino di prugnolo, vino di crespino e vino di primula, ma le bottiglie sono cosi pesanti che la Regina fa solo finta di versarlo. Il pranzo ha inizio con pane e burro in pezzetti grandi come monetine da tre pence, e finisce con pasticcini, e anche questi sono così piccoli che non lasciano briciole. Le fate sono sedute su dei funghi tutte intorno e sul principio si comportano bene: se tossiscono si mettono sempre la mano davanti alla bocca e cosi via; ma dopo un po' non sono più tanto corrette e ficcano le dita nel burro, che proviene da radici di vecchi alberi. Anzi quelle veramente incivili camminano a quattro zampe sulla tovaglia, a caccia di zucchero 16


o altre leccornie da leccare con la lingua. Quando la Regina le vede fare così fa segno ai camerieri di levare i piatti e di portar via tutto e allora tutti passano alle danze. La Regina avanza per prima, seguita dal gran ciambellano che porta due piccoli vasi, uno dei quali contiene succo di violacciocca e l'altro succo di dittamo. Il succo di violacciocca serve per rinvigorire i ballerini quando cadono a terra stremati, e il succo di dittamo serve per le contusioni che sono molto frequenti. Quando poi Peter suona presto, sempre più presto, essi danzano fino a cadere a terra stremati. Perché, come certamente saprete senza che ve lo dica, Peter Pan è l'orchestra delle fate. Si siede al centro del cerchio, e oggigiorno loro non si sognerebbero mai di avere un bel ballo senza di lui. Sull'angolo dei biglietti d'invito, inviati a tutte le famiglie veramente distinte, ci sono due iniziali: “P.P.” . Le fate diventano debuttanti al cadere del loro secondo compleanno e compiono gli anni ogni mese. Esse sono personcine riconoscenti, e al ballo del debutto della principessa offrirono a Peter di appagare il suo desiderio più segreto. Successe in questo modo: la Regina gli ordinò di inginocchiarsi e poi gli disse che per aver suonato così bene avrebbe esaudito il suo più segreto desiderio. Poi tutti si raccolsero intorno a Peter per sentire quale era questo desiderio, ma egli esitò a lungo, perché non lo sapeva nemmeno lui. "Se scegliessi di ritornare dalla mamma" chiese infine, "potreste appagarlo questo desiderio?" Questa domanda irrito un po' le fate, perché se lui fosse tornato dalla mamma avrebbero perduto la sua musica; allora la Regina arricciò il naso con aria sprezzante e disse, “Pooh! esprimi un desiderio più grande”. "E' proprio un desiderio da poco?" domandò lui. ”Piccolo così” rispose la Regina mettendo le mani una accanto all'altra. ”Che grandezza ha un grande desiderio?” chiese lui. Lei lo misurò sulla sua gonna, ed era proprio di una bella lunghezza. Allora Peter rifletté e disse:, "Va bene, allora credo che esprimerò due desideri invece di uno grande". Naturalmente le fate dovettero accettare, benché la sua abilita le avesse abbastanza colpite. Peter disse che il suo primo desiderio era di andare da sua mamma, ma con il diritto di ritornare ai Giardini se la visita lo avesse deluso. Il secondo desiderio se lo tenne di riserva. Loro tentarono di dissuaderlo e cercarono perfino di ostacolarlo. “Posso darti la facoltà di volare a casa sua “ disse la Regina “ma non posso aprirti la porta.”

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“La finestra dalla quale sono fuggito sarà aperta” disse Peter fiducioso. “La mamma la lascia sempre aperta nella speranza che io ritorni”. “Come lo sai?” chiesero le fate piuttosto stupite, e veramente Peter non poteva spiegare come faceva a saperlo. ”Lo so” disse semplicemente. Cosi visto che insisteva nel suo desiderio, dovettero accontentarlo. Per dargli la facoltà di volare fecero cosi: lo solleticarono sulle spalle e lui sentì presto uno strano prurito in quel punto, e poi salì sempre più in alto e se ne volò sui Giardini e sopra i tetti delle case. Il fatto era cosi delizioso che invece di volare diritto a casa sua se ne andò planando sopra S. Paolo verso il Crystal Palace e ritorno, lungo il fiume e Regent's Park, e quando raggiunse la finestra di sua mamma, aveva ormai deciso che il suo secondo desiderio sarebbe stato di diventare un uccello. La finestra era spalancata proprio come aveva pensato, così doveva essere, e lui entrò volando e c'era sua mamma che dormiva. Peter si posò leggermente sulla sponda di legno ai piedi del letto e la guardò a lungo. Giaceva con la testa posata sulla mano e l'incavo sul cuscino era come un nido foderato dai suoi capelli castani ondulati. Si ricordò, anche se lo aveva dimenticato da tempo, che lei di notte dava sempre una vacanza ai suoi capelli. Com'erano graziosi i merletti della sua camicia da notte! Era tanto felice di avere una mamma cosi carina. Ma sembrava triste, e lui sapeva perché sembrava triste. Un suo braccio si mosse come se volesse cingere qualcosa e lui sapeva che cosa voleva cingere; Oh, mamma!” disse Peter fra sé, “se tu sapessi chi c'e seduto ai piedi del tuo letto!” Accarezzò, appena sfiorandolo, il monticello fatto dai suoi piedi e capì dall'espressione del suo viso che le faceva piacere. Sapeva che non avrebbe dovuto far altro che dire "mamma" delicatamente, e lei si sarebbe svegliata. Si svegliano sempre all'istante se siete voi che le chiamate per nome. Poi avrebbe lanciato un tale grido di gioia e lo avrebbe stretto forte a sé. Come sarebbe stato bello per lui, ma oh! quanto più meraviglioso e stupendo per lei. Cosi, temo, Peter considerava la cosa. Tornando dalla mamma non aveva mai dubitato che le stava facendo il più grande regalo che si possa fare a una donna. Non c'è niente di più splendido, pensò, di avere un bambino tutto nostro. Come sono orgogliose di lui! Ed è anche giustissimo e naturale. Ma perché Peter siede cosi a lungo sulla sponda, perché non dice alla sua mamma che è tornato? Rimpicciolisco quasi all'idea della verità, cioè che stava li combattuto fra due sentimenti; a volte guardava la mamma con desiderio accorato, a volte guardava con desiderio accorato la finestra. Certamente sarebbe stato piacevole essere di nuovo il suo bambino, ma d'altra parte che giorni meravigliosi erano stati quelli passati nei giardini! Era proprio 18


sicuro che gli sarebbe piaciuto indossare ancora degli abiti? Saltò giù da letto e aprì qualche cassetto per dare uno sguardo ai suoi vecchi indumenti. C'erano ancora, ma non riusciva a ricordarsi come indossarli. I calzini, per esempio, si mettevano alle mani o ai piedi? Era sul punto di provarne uno sulla mano quando ebbe una grande avventura. Forse il cassetto aveva cigolato, insomma la mamma si svegliò perché la senti dire “Peter”, come se fosse la più bella parola del mondo. Rimase seduto sul pavimento, trattenendo il respiro, domandandosi com'è che lei sapeva del suo ritorno. Se avesse detto di nuovo “Peter “, avrebbe gridato "Mamma" e sarebbe corso da lei. Ma lei non parlò più, fece solo dei piccoli lamenti, e quando lui le gettò uno sguardo poco dopo era nuovamente addormentata con il volto rigato di lacrime. Peter ne fu molto rattristato e quale fu secondo voi la prima cosa che fece? Seduto ai piedi del letto, col suo flauto suonò per la mamma una magnifica ninna nanna. L'aveva composta lui stesso sul ritmo con cui lei aveva detto “Peter”, e non smise di suonare finché non la vide felice. Come sono stato abile, pensò, e riuscì a stento a non svegliarla per sentirle dire, “Oh, Peter, suoni divinamente!”. Comunque, ora che lei sembrava tranquilla, lui riprese a lanciare occhiate alla finestra. Non dovete pensare che meditava di volarsene via e di non tornare mai più. Aveva proprio deciso di essere il bambino della sua mamma, ma era incerto sul cominciare proprio quella notte. Era il secondo desiderio che lo preoccupava. Non pensava più a quel desiderio di diventare uccello, ma rinunciare al suo secondo desiderio gli sembrava uno spreco, e naturalmente, per ottenere che venisse esaudito doveva ritornare dalle fate. E poi se avesse continuato a rimandare oltre la richiesta del suo desiderio, magari sarebbe andato a monte. Si chiese se non era stato insensibile a volarsene via senza aver detto addio a Salomone. “Come mi piacerebbe andare ancora solo per una volta nella mia barca”, disse con nostalgia alla mamma che dormiva. Discuteva con lei come se potesse sentirlo. “Sarebbe cosi bello raccontare agli uccelli questa avventura,” disse dolcemente. “Prometto di ritornare" aggiunse con solennità, e intendeva proprio farlo. E infine, come era prevedibile, se ne volo via. Dalla finestra tornò indietro due volte perché voleva baciare la mamma, ma temeva che si sarebbe svegliata per la gioia, così alla fine le suonò un meraviglioso bacio col flauto, quindi se ne volò verso i Giardini. Trascorsero molte notti e persino mesi prima che esponesse alle fate il suo secondo desiderio e non sono sicuro di sapere proprio perché rimandò tanto. Una ragione fu che doveva dire un'infinità di arrivederci non solo ai suoi amici particolari, ma a centinaia di luoghi amati. Poi fece il suo ultimo giro in barca, poi il suo ultimissimo, e poi il più ultimo di tutti e cosi via. Inoltre vennero date parecchie feste d'addio in suo onore; e un'altra comoda ragione fu che, dopo tutto, non c'era fretta perché sua mamma non si sarebbe mai stancata di aspettarlo. Quest'ultima ragione non piacque al vecchio Salomone perché incoraggiava gli uccelli a procrastinare. Salomone aveva molte massime eccellenti per tenerli sempre occupati. Per esempio “non rimandare a domani l'uovo che puoi fare oggi”, e “in questo mondo non c'e una seconda occasione”. 19


Eppure ecco che Peter rimandava allegramente e tutto andava bene lo stesso. Gli uccelli si segnalavano a vicenda questo comportamento e si lasciavano andare alla pigrizia. Ma, sia chiaro, benché Peter fosse cosi lento nel decidersi a tornare da sua madre, era assolutamente deciso a farlo. La miglior prova di ciò era la sua prudenza con le fate. Esse desideravano tanto che lui rimanesse nei giardini e suonasse per loro, e per fare in modo che ciò avvenisse gli tesero dei trabocchetti per indurlo a fare commenti come: “desidererei che quest'erba non fosse tanto bagnata “, mentre altre danzavano fuori tempo sperando di sentirgli urlare: “Desidero che teniate il tempo! “. Allora avrebbero detto, ecco questo è il tuo secondo desiderio. Ma lui subodorò i loro propositi, e sebbene in certe occasioni cominciasse con un “desidererei...” si fermava sempre in tempo. Cosi quando infine disse loro spavaldamente, “desidererei tornare dalla mia mamma per sempre, proprio per sempre”, loro dovettero solleticargli le spalle e lasciarlo partire. Alla fine partì in gran fretta, perché aveva sognato che sua mamma stava piangendo e lui sapeva qual’era la vera causa del suo pianto. Un abbraccio dal suo magnifico Peter, l'avrebbe presto fatta sorridere. Oh! era così sicuro di questo e così ansioso di farsi coccolare fra le sue braccia, che questa volta volò direttamente alla finestra che avrebbe dovuto essere sempre aperta per lui. Ma la finestra era chiusa, e davanti c'erano delle sbarre di ferro. Sbirciando dentro vide sua madre che dormiva pacificamente e fra le braccia teneva un altro bambino piccolo. Peter chiamò, “Mamma! Mamma!” ma lei non lo senti; invano batté le piccole mani contro le sbarre di ferro. Dovette rivolarsene singhiozzando ai Giardini e non rivide mai più la sua cara mamma. Che bambino stupendo aveva pensato di essere per lei! Ah, Peter! Noi che abbiamo commesso il grande errore, quanto diversamente ci comporteremmo in una seconda occasione! Ma Salomone aveva ragione, non c'e seconda occasione, non c'e per la maggior parte di noi. Quando arriviamo alla finestra è ora di chiusura. Le sbarre di ferro sono lì a vita. La casetta Tutti hanno sentito parlare della casetta dei Giardini di Kensington, l’unica casa al mondo che le fate hanno costruito per gli esseri umani. Ma nessuno l’ha vista veramente; eccetto proprio tre o quattro, e questi non soltanto l’hanno vista, ma vi hanno dormito, perché, a meno che non vi si dorma, non la si può vedere. E questo succede perché non c’è, quando vi ci coricate, ma e lì quando vi svegliate e ne uscite fuori. In un certo modo tutti possono vederla, ma quello che vedono non e realmente la casa, ma soltanto la luce delle finestre. Quella luce la si vede dopo l’ora di chiusura. David, per esempio, l’ha vista benissimo in lontananza fra gli alberi, mentre tornavamo a casa dopo la pantomima, e Oliver Bailey la vide la notte ch’era stato fino a tardi a Temple, che è il nome dell’ufficio di suo padre. Angela Clare, a cui fa piacere farsi estrarre un dente perché poi la portano a prendere il the in pasticceria, ha visto più di una luce, ne ha viste centinaia insieme. Devono essere state le fate che fabbricavano la casa, perché la 20


fabbricano ogni notte e sempre in un posto diverso dei Giardini. Lei pensò che una delle luci fosse più grande delle altre, pur non essendone proprio sicura, perché le luci saltellavano di qua e di là e quella che pareva più grande magari era un’altra. Ma se era la stessa, doveva essere la luce di Peter Pan. Frotte di bambini hanno visto la luce, non c’e niente di straordinario. Ma fu Maimie Mannering la famosa bambina per cui la casa fu costruita per la prima volta. Maimie era stata sempre una bambina piuttosto strana, e la sua stranezza veniva fuori di notte. Aveva quattro anni e di giorno era come tutte le altre bambine. Era contenta quando suo fratello Tony, un magnifico giovanottino di sei anni, le prestava attenzione. Lo considerava giustamente con ammirazione e cercava invano di imitarlo e quando lui la spintonava, lei invece di arrabbiarsi ne era quasi lusingata. Inoltre, quando era alla battuta, anche se la palla era in aria, si fermava per farvi vedere che aveva le scarpine nuove. Durante il giorno era proprio simile a tutte le altre bambine. Ma quando scendevano le ombre della notte, Tony lo spaccone perdeva l’aria di disprezzo che aveva per Maimie, e la guardava impaurito, e non c’e da meravigliarsene perché con il buio la faccia di lei assumeva uno sguardo che posso solo definire maligno. Era anche uno sguardo sereno che contrastava grandiosamente con le occhiate inquiete di Tony. Poi Tony le faceva omaggio dei suoi giocattoli preferiti (che si riprendeva sempre il mattino dopo) e lei li accettava con un sorriso che lo turbava. In breve, la ragione per cui ora lui era cosi pieno di blandizie e lei così enigmatica, era che sapevano di stare per essere mandati a letto. Ed era allora che Maimie diventava tremenda. Tony la scongiurava di non farlo quella notte, e la mamma e la bambinaia di colore la minacciavano, ma Maimie non faceva altro che sfoggiare quel suo sorriso inquietante. E dopo poco, quando i due bambini rimanevano soli con il loro lumino da notte, lei balzava in piedi sul letto gridando “Scicc... cos’era quel rumore?”. Tony la implorava: "Non era niente, non fare cosi, Maimie, non farlo!” e si copriva la testa con le lenzuola. ”Si sta avvicinando!” gridava lei, "Guardalo Tony! Cerca il tuo letto a tastoni con le corna, ti infilzerà, oh, Tony oh!". E non la smetteva finché lui non si precipitava per le scale in camicia da notte urlando. Quando gli altri salivano per dare una lezione a Maimie, di solito la trovavano tranquillamente addormentata, e non faceva finta, sapete, ma dormiva sul serio e assomigliava al più dolce angioletto del mondo, il che mi sembra che renda la cosa ancora peggiore. Quando si trovavano nei Giardini però era giorno, e allora Tony chiacchierava per quasi tutto il tempo. Da quello che diceva si poteva dedurre che era un bambino molto coraggioso, e nessuno più di Maimie era orgoglioso di ciò. Le sarebbe piaciuto avere addosso un biglietto in cui si diceva che lei era sua sorella. E non lo ammirava mai tanto come quando le diceva, con ammirevole sicurezza, e lo diceva sovente, che un giorno sarebbe rimasto nei giardini, dopo la chiusura dei cancelli. “Oh Tony” gli diceva con grande rispetto "ma le fate si arrabbieranno assai!” “Lo credo bene” rispondeva Tony con noncuranza. ”Forse”, diceva lei tremante,”Peter Pan ti farà fare un giro sulla sua barca!” “Lo costringerò”, rispondeva Tony. E non c’e da meravigliarsi che lei ne fosse orgogliosa. 21


Ma non avrebbero dovuto parlare cosi forte perché un giorno li udì una fata che stava raccogliendo scheletri di foglie da cui quella gente minuta tesse le tende per l’estate, e da allora Tony fu un bambino segnato. Allargavano le sbarre delle panchine poco prima che vi si sedesse e lui andava a finire in terra battendo la testa. Lo facevano inciampare tirandogli le stringhe delle scarpe e corrompevano le anatre con doni perché affondassero la sua barca, Quasi tutte le cose spiacevoli che vi capitano nei giardini accadono perché le fate vi hanno preso a mal volere, perciò vi conviene stare attenti quando parlate di loro. Maimie era uno di quei tipi a cui piace fissare un giorno per fare le proprie cose, Tony invece non era di questo tipo, e quando lei gli chiedeva quale giorno aveva scelto per fermarsi nei giardini dopo l’ora di chiusura, lui si limitava a rispondere,”un giorno o l’altro”. Era sempre incerto sul giorno, eccetto quando Maimie gli chiedeva,”sarà per oggi?”. Allora lui poteva sempre rispondere con sicurezza che non sarebbe stato quel giorno. Cosicché Tony aspettava la vera buona occasione. Questo ci porta a un pomeriggio in cui i Giardini erano bianchi di neve, e c’era il ghiaccio sul Laghetto Rotondo, non abbastanza spesso da poterci pattinare sopra, ma almeno pronto da rompere con un lancio di pietre, cosa che molti bambini allegramente stavano facendo. Appena giunti, Tony e la sorella vollero andare direttamente al Laghetto, ma la loro bambinaia indiana disse che prima dovevano fare una bella passeggiata, e mentre lo diceva gettò uno guardo al cartello degli orari per vedere che ora chiudevano quella sera i Giardini. C’era scritto alle cinque e mezzo. Povera bambinaia! E' una di quelle che ridono sempre perché ci sono tanti bambini bianchi al mondo, ma non avrebbe riso tanto quel giorno! Bene, percorsero la Piccola Passeggiata avanti e indietro; quando ritornarono davanti al cartello dell’orario, la bambinaia fu sorpresa di vedere che adesso l’ora di chiusura era alle cinque. Lei non era al corrente degli astuti espedienti delle fate, e cosi non si accorse (come fecero invece subito Maimie e Tony) che le fate avevano cambiato l’ora perché quella sera ci sarebbe stato un ballo. La poverina disse che ora c’era solo il tempo di andare fino sulla cima della Gobba e ritorno, e mentre i bambini le trotterellavano al fianco, non poteva certo indovinare quello che agitava i loro piccoli petti. Quella era proprio l’occasione ideale per assistere a un ballo di fate. Tony sentì che non avrebbe mai potuto sperare in un’occasione migliore. E lo sentì perché Maimie cosi chiaramente lo sentì per lui. Gli occhi ansiosi di lei posero la domanda: ”E’ per oggi?”. Egli rimase senza fiato e fece cenno di si. Maimie lascio scivolare la sua mano in quella di Tony; la sua bruciava, quella di lui era gelata. Con grande gentilezza lei si tolse la sciarpa e gliela dette, dicendogli sottovoce, "nel caso avessi freddo”. La sua faccia era raggiante, quella di Tony molto cupa. Mentre tornavano indietro dalla cima della Gobba lui le bisbiglio, ho paura che la bambinaia mi veda, non sarà facile farlo.

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Maimie l’ammiro più che mai perché aveva paura solo della bambinaia, quando c’erano cosi tanti terrori sconosciuti da provare e disse ad alta voce,”Tony, facciamo una corsa fino al cancello?” e in un bisbiglio,”cosi puoi nasconderti”, e si misero a correre. Tony riusciva sempre a staccarla facilmente, ma lei non lo aveva mai visto correre alla velocità di quel giorno, ed era certa che corresse così per poter avere più tempo per nascondersi. ”Bravo, bravo!” gridavano i suoi occhi doloranti, ma ecco il tremendo shock. Il suo eroe, una volta arrivato al cancello, invece di nascondersi, era scappato fuori! A quello spettacolo penoso Maimie si fermò sbigottita, come se d’un tratto avesse perduto tutti i suoi tesori più cari, e non poté neanche piangere per lo sdegno, in un impeto di protesta contro tutti i codardi piagnucolosi, corse al Pozzo di San Govone e si nascose al posto di Tony. Quando la bambinaia arrivò al cancello e vide Tony lontano, pensò che l’altra sua sorvegliata fosse con lui e passò oltre. Il crepuscolo calo lentamente sui giardini e uscirono centinaia di persone, compresa l’ultima, l’eterna ritardataria, ma Maimie non vide nessuno. Aveva chiuso gli occhi con forza e lacrime accorate glieli tenevano incollati. Quando li aprì, qualche cosa di gelido le sali su per le gambe e le braccia e le cadde nel cuore. Fu l’immobilità dei Giardini. Poi senti un clang, poi da un’altra parte clang, ancora clang, e poi un clang lontano. Era la chiusura dei cancelli. Si era appena spenta l’eco dell’ultimo clang che Maimie udì distintamente una voce che diceva, ”cosi va bene”. Aveva un suono legnoso e sembrava venire dall’alto. La bambina fece appena in tempo a guardar su e vide un olmo che si sgranchiva le braccia e sbadigliava, Era sul punto di dire,”non avevo mai saputo che gli alberi parlassero”, quando una voce metallica che sembrava venire dal secchio del pozzo, disse all’olmo,”sarà freddino lassù” e l’olmo rispose, a non tanto, ma ci si intorpidisce a stare per tanto tempo su una gamba sola”. Poi aprì e chiuse con energia le braccia proprio come fanno i vetturini prima di avviar la carrozza. Maimie fu proprio sorpresa nel vedere che molti altri alberi facevano la stessa cosa, e si andò a nascondere nella piccola passeggiata. Si rannicchiò sotto un agrifoglio di Minorca che scrollo le spalle ma non sembrò accorgersi di lei. Maimie non aveva affatto freddo. Indossava un cappottino rossiccio e aveva il cappuccio che le lasciava scoperto soltanto il visino grazioso e i riccioli. Tutto il resto del suo corpicino era nascosto in fondo in fondo a cosi tanti indumenti caldi che aveva piuttosto l’aspetto di una palla. Il suo giro di vita arrivava forse a un metro. C’era un gran movimento lungo la Piccola Passeggiata dove Maimie arrivò in tempo per vedere una magnolia e un albero dei rosari attraversare il recinto e incamminarsi per una bella passeggiata. Si muovevano senza dubbio un po’ come a scatti, ma era perché usavano le grucce. Un sambuco attraversa zoppicando la passeggiata e si fermò a chiacchierare con alcuni giovani cotogni, e tutti avevano le loro grucce. Le grucce erano i bastoni che sono legati agli alberi giovani e agli arbusti. Erano oggetti familiari agli occhi di Maimie ma fino a quella notte non aveva mai saputo a cosa servissero. Gettò un’occhiata furtiva alla passeggiata e vide la prima fata. Era una fata-monello che correva lungo la passeggiata, per chiudere i salici piangenti. Faceva in questo modo: 23


schiacciava una molla nei tronchi ed essi si chiudevano come ombrelli ricoprendo di neve le piccole piante che erano li sotto. «Oh, impertinente di un ragazzaccio!” grido Maimie indignata, perché sapeva che cosa vuol dire sentirsi sgocciolare sulle orecchie un ombrello. Fortunatamente il birichino non era a portata di orecchio, ma la udì un crisantemo che disse forte,”Ohibo! Cos’e questa?” cosi la piccola fu costretta a venir fuori e farsi vedere. A quel punto l’intero regno vegetale fu piuttosto perplesso sul da farsi.”Naturalmente non è affar nostro” disse una fusaggine dopo che tutti ebbero fatto capannello bisbigliando, "ma sai benissimo che non dovresti essere qui, e forse è nostro dovere riferirlo alle fate. Cosa ne pensi tu?” “Penso che non dovreste” replico Maimie e questa risposta li sconcerto a tal punto che dissero stizzosamente "è inutile discutere con lei.” Ma lei li rassicuro: ”non ve lo avrei chiesto se avessi creduto che non fosse giusto”, e a questo punto naturalmente essi non potevano mettersi a fare rapporti. Allora dissero,”ahinoi!” e «questa e la vita!” perché sanno essere spaventosamente sarcastici. Maimie pero si sentì dispiaciuta per quelli che non avevano grucce e disse gentilmente, «Prima di andare al ballo delle fate, mi piacerebbe accompagnarvi a fare una passeggiata, uno per volta, potete appoggiarvi a me”, A queste parole tutti applaudirono e lei li accompagnò uno per volta alla piccola passeggiata e li riportò indietro, mettendo un braccio o un dito attorno ai più deboli, facendogli muovere le gambe per bene quando diventavano troppo ridicoli, e trattando gli stranieri con la stessa cortesia con cui trattava gli inglesi, anche se non riusciva a capire una sola parola di quello che dicevano. Nel complesso si comportarono bene, anche se alcuni si lamentarono perché non li aveva portati cosi lontano come aveva fatto con Nancy, Grazia e Dorothy, e altri la graffiarono, ma lo fecero involontariamente, e lei era troppo signora per lamentarsi. Tutte quelle passeggiate l’avevano un po’ stancata, e non vedeva l’ora di andare al ballo, ormai non aveva più paura. Se non aveva più paura era perché ormai era notte e nel buio, come sapete, Maimie era sempre piuttosto strana. Ora essi erano restii a lasciarla andare, e cosi l’ammonirono: ”se le fate ti vedono ti faranno del male, ti uccideranno a pugnalate o ti obbligheranno a curare i loro bambini, oppure ti trasformeranno in qualche cosa di monotono, in una quercia sempreverde per esempio”. Cosi dicendo, guardavano con un’aria di compassione ostentata una quercia sempreverde, perché d’inverno sono invidiosi dei sempreverdi. “Ehila” rispose la quercia sarcasticamente, ”com'è delizioso starsene qui al calduccio abbottonati fino al collo, a guardare voi povere creature nude, che rabbrividite dal freddo.”

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Questo li mise di cattivo umore, anche se in realtà se l’erano voluta, e cosi fecero a Maimie un quadro molto fosco dei pericoli che avrebbe dovuto affrontare se si fosse ostinata ad andare al ballo. Da un nocciolo rossiccio apprese che in quel momento a Corte non c’era il consueto buon umore a causa del cuore del Duca delle margherite natalizie, che faceva soffrire tutti. Egli era una fata orientale, ed era afflitto da una tremenda malattia, cioè incapacità ad amare, e pur avendo tentato con molte giovani donne in molti paesi non era riuscito a innamorarsi, La Regina Mab, che ha il governo dei giardini, aveva sperato che le sue ragazze l’avrebbero conquistato, ma ahimè, diceva il dottore, il suo cuore rimaneva freddo. Questo dottore piuttosto irritante, che era il suo medico privato, auscultava il cuore del Duca appena gli veniva presentata qualche signora e sempre scuoteva la testa calva mormorando, ”è freddo, proprio freddo”. Naturalmente la regina Mab era disperata e per prima cosa tentò con un rimedio. Ordino alla corte nove minuti di lacrime, poi rimproverò i cupidi e ordinò loro di mettersi i berretti da pagliaccio finché non fossero riusciti a intenerire il gelido cuore del Duca. “Quanto mi piacerebbe vedere i Cupidi coi loro graziosi berretti da pagliaccio!”, grido Maimie, e corse via a cercarli molto incautamente perché i Cupidi non sopportano che si rida di loro. E’ sempre facile scoprire dove si tiene un ballo di fate, perché fra quel luogo e tutte le zone popolose dei Giardini sono stesi dei nastri sui quali gli invitati possono camminare fino al ballo senza bagnarsi le scarpette di vernice. Quella notte i nastri erano rossi e facevano un bell’effetto sul bianco della neve. Maimie camminò per un certo tratto lungo il bordo di uno di essi senza incontrare nessuno, ma alla fine vide una cavalcata di fate che si avvicinava. Con sua sorpresa, sembrava che tornassero dal ballo, e lei fece appena in tempo a nascondersi. Si inginocchiò e tese le braccia facendo finta d’essere una sedia da giardino. Sei cavalieri andavano avanti e sei dietro, in mezzo camminava un’impettita dama che aveva un abito con un lungo strascico sostenuto da due paggi, e sullo strascico come se fosse stato un divano era adagiata una amabile fanciulla; perché e cosi che viaggiano le fate aristocratiche. La fanciulla era vestita di pioggia d’oro, ma la cosa più invidiabile di lei era il collo, che era di uno stupendo colore azzurro, aveva la morbidezza del velluto e faceva risaltare naturalmente tutto lo splendore di una collana di diamanti, come nessun collo bianco avrebbe mai potuto fare. Le fate di alto lignaggio ottengono questo mirabile effetto, pungendosi la pelle. Il sangue azzurro che ne esce tinge i loro colli, e non si può immaginare niente di più smagliante, a meno che non abbiate visto i busti in velluto nelle vetrine dei gioiellieri. Maimie notò inoltre che l’intera cavalcata sembrava essere in preda a una grande irritazione. Tutti storcevano il naso molto più di quanto sia naturale perfino alle fate, e 25


concluse che questo doveva essere un altro caso in cui il dottore aveva detto ”freddo, proprio freddo”. Intanto Maimie seguì il nastro e arrivò in un punto in cui esso diventava come un ponte sopra uno stagno asciutto in cui un’altra fata era caduta e da cui non riusciva più a risalire. In principio, questa damigella ebbe paura di Maimie che gentilmente era corsa in suo aiuto, ma presto si sedette sulla sua mano chiacchierando gaiamente e dicendole che si chiamava Brownie, e che pur essendo solo una povera cantante da strada si stava recando al ballo per vedere se il duca volesse accettarla. «Lo so, sono piuttosto insignificante”, disse, e Maimie si senti a disagio, perché in realtà l’elementare creaturina era piuttosto insignificante per essere una fata. Era difficile sapere cosa risponderle. “Mi pare che anche tu pensi che non ho alcuna probabilità”, disse Brownie esitante. “Non dico questo”, rispose cortesemente Maimie,”certo il tuo viso e proprio un po’ casalingo, ma...” In verità la situazione per lei era decisamente imbarazzante. Fortunatamente si ricordò di suo padre e della fiera di beneficenza. Egli era andato a una elegante fiera di beneficenza, dove il secondo giorno erano visibili, per mezza corona, tutte le più belle signore di Londra. Quando era tornato a casa invece di essere scontento della mamma di Maimie aveva detto, "non puoi immaginare, mia cara, che sollievo sia rivedere un volto casalingo". Maimie racconto questa storia a Brownie che riprese decisamente coraggio, tanto che non ebbe più il minimo dubbio di essere scelta dal Duca. Cosi se ne corse via sul nastro, gridando a Maimie di non seguirla, temendo che la Regina le facesse del male. Ma la curiosità continuo a spingere Maimie avanti e, all’altezza dei sette castagni spagnoli, vide una luce meravigliosa. Si avvicinò guardinga, finché non fu vicinissima e poi si mise a spiare nascosta dietro un albero. La luce, che si levava alta da terra ad altezza di bambino, era composta da miriadi di lucciole che si tenevano attaccate l’una all’altra, formando un abbagliante baldacchino sopra il cerchio delle fate. C’erano migliaia di piccoli esseri che guardavano lo spettacolo, ma erano nell’ombra e grigi in confronto alle meravigliose creature dentro quel cerchio luminoso. Esse erano cosi splendenti che Maimie fece fatica tutto il tempo a tenere gli occhi aperti per guardarle. Era stupefacente e perfino irritante per lei che il Duca delle margherite natalizie potesse restare anche solo per un attimo indifferente all’amore. Eppure, che sua triste grazia fosse cosi, lo si capiva dalle occhiate umiliate della Regina e della corte (pur se fingevano indifferenza). Lo si capiva dalle graziose signore, che condotte davanti a lui 26


per la sua approvazione, scoppiavano in lacrime quando si sentivano dire di allontanarsi, e dalla faccia scura di lui. Maimie riusciva anche a vedere il pomposo dottore che ascoltava il cuore del Duca, e lo sentiva emettere quella sua voce da pappagallo, ed era dispiaciuta per i cupidi che se ne stavano in angoli oscuri coi loro berretti da pagliaccio e ogni volta che sentivano dire quel “freddo, proprio freddo”, abbassano tristemente le loro testine. Era delusa di non vedere Peter Pan, e io posso dirvi ora perché quella notte era così in ritardo. La sua barca si era trovata sulla Serpentina incastrata tra i banchi di ghiaccio vaganti e aveva dovuto aprirsi con un certo rischio un varco con il suo fedele remo. Le fate non avevano, si può dire, ancora sentito la sua assenza perché avevano il cuore troppo oppresso per danzare. Quando sono tristi esse dimenticano tutti i passi e li ricordano immediatamente quando sono allegre. David mi ha detto che non dicono mai,”siamo felici”, dicono invece "siamo in danza”. Ebbene avevano un’aria tutt’ altro che in danza, quando a un tratto tra gli spettatori scoppiò una risata, causata da Brownie, che era arrivata in quel momento e insisteva per essere presentata al Duca. Maimie allungò il collo ansiosa di vedere come se la sarebbe cavata la sua amica, ma in realtà non aveva speranza. Nessuno sembrava avere la minima speranza eccetto Brownie stessa che era assolutamente fiduciosa, Fu portata davanti a sua grazia, e il dottore mettendo con noncuranza un dito sul cuore ducale, al quale per riguardo si giungeva attraverso una porticina a scatto che era nella sua camicia di diamanti, aveva cominciato a dire meccanicamente, a freddo, pro...” quando si fermò bruscamente. “Ma cos’e?” grido. Quindi, prima scosse il cuore come un orologio, poi vi accostò l’orecchio. “Perbacco!” gridò il dottore, e a questo punto gli spettatori furono percorsi da una tremenda eccitazione, fate cadevano svenute a destra e a sinistra. Tutti fissavano senza fiato il Duca che era come spaventatissimo e aveva l’aria di chi volesse fuggire. “Misericordia divina!” mormorò il dottore fra sé e sé. Evidentemente ora il cuore era già in fiamme, perché egli dovette con uno strappo ritirare in fretta le dita e mettersele in bocca. L’incertezza era terribile. Poi con voce sonora e con un profondo inchino,”Duca, mio signore”, disse il dottore esultante,”ho l’onore di informarla che vostra grazia è innamorato”. Non potete immaginare l’effetto di queste parole. Brownie tese le braccia al Duca e lui vi si gettò, la Regina si getto tra le braccia del Lord Ciambellano e le dame della corte si gettarono nelle braccia dei loro cavalieri, perché l’etichetta vuole che si segua l’esempio 27


della regina in ogni cosa. Così in un solo momento ebbero luogo cinquanta matrimoni, perché gettarsi nelle braccia l’uno dell’altro significa sposarsi, negli usi delle fate. Naturalmente deve essere presente un sacerdote, Che salti e che gioia tra la folla! Squillarono le trombe, apparve la luna e immediatamente migliaia di coppie afferrarono i suoi raggi come se fossero nastri in una danza di maggio e si abbandonarono a un valzer ballando sfrenatamente intorno al cerchio delle fate. E lo spettacolo più gioioso era quello dei cupidi che si strapparono l’odioso berretto da pagliacci e lo lanciarono in aria. E allora arrivò Maimie sciupando ogni cosa. Non poteva farne a meno. Era pazza di gioia per la fortuna della sua piccola amica, così fece qualche passo avanti e grido con trasporto:”Oh, Brownie, e magnifico!” Tutti si fermarono di colpo, la musica tacque, le luci si spensero e tutto questo avvenne nel tempo di dire ”ah!” Una tremenda sensazione di pericolo assalì Maimie. Si ricordo troppo tardi di essere una bimba perduta in un posto dove nessun essere umano deve trovarsi tra la chiusura e l’apertura dei cancelli; udì il mormorio della folla infuriata; vide migliaia di spade lampeggianti in cerca del suo sangue; lanciò un grido di orrore e fuga. E come fuggi! Pareva che gli occhi dovessero schizzarle fuori dalle orbite. Si fermò parecchie volte ma poi saltava su in fretta e riprendeva a correre. La sua piccola mente era così stretta dal terrore che non sapeva più di essere nei giardini, L’unica cosa di cui era sicura era che non doveva mai smettere di correre e infatti le pareva ancora di correre molto dopo che si era lasciata cadere fra le magnolie e s’era addormentata. Credeva che i fiocchi di neve che le cadevano sulla faccia fossero i baci della buona notte della sua mamma. Credeva che il manto di neve che la ricopriva fosse una morbida coperta e cercava di tirarsela sulla testa. E quando sentì parlare in sogno credette fosse la mamma che accompagnava il babbo nella camera dei bambini per guardarla mentre dormiva. Ma erano le fate. Sono tanto felice di potervi dire che non desideravano più farle del male. Quando Maimie era fuggita le fate avevano riempito l’aria di grida come ”uccidetela”, ”trasformatela in qualcosa di estremamente sgradevole!” eccetera, ma l’inseguimento era stato ritardato perché erano nate discussioni su chi avrebbe dovuto marciare in testa, e questo dette tempo alla duchessa Brownie di gettarsi ai piedi della Regina e di chiedere grazia. Tutte le spose hanno diritto a una grazia, e lei chiese le grazia per la vita di Maimie. ”Tutto, fuorché questo”, rispose energicamente la regina Mab e tutte le fate fecero eco, ”tutto, fuorché questo.” Ma quando appresero come Maimie aveva aiutato Brownie dandole la possibilità di partecipare al ballo per l’onore e la gloria di tutte loro, lanciarono tre evviva per la piccola creatura umana, e si avviarono compatte come un esercito per ringraziarla, la corte in testa e il baldacchino al passo con essa. Rintracciarono facilmente Maimie seguendo le sue orme sulla neve.

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Ma pur avendola trovata sotto una spessa coltre di neve fra le magnolie, non poterono ringraziarla perché non riuscirono a svegliarla. Allora compirono la cerimonia del ringraziamento: il nuovo re salì sul corpo di Maimie e lesse un lungo discorso di benvenuto, del quale pero lei non sentì una parola. Le tolsero la neve di dosso, ma ben presto ne fu ricoperta, cosi capirono che correva il pericolo di morire assiderata. “Mutiamola in qualche cosa che non soffra il freddo» suggerì il dottore e parve una buona soluzione, ma l’unica cosa che non soffriva il freddo, cui riuscirono a pensare, fu un fiocco di neve.”Ma si potrebbe sciogliere”, fece notare la Regina, cosi si dovette scartare l’idea. Venne fatto un magnifico tentativo di portarla al riparo da qualche parte, ma era troppo pesante pur essendo le fate moltissime. Intanto le signore avevano tirato fuori i fazzoletti e piangevano, ma poco dopo i cupidi ebbero una splendida idea.”Fabbrichiamole una casa intorno” gridarono, e tutti capirono subito che era la cosa da farsi. In un attimo un centinaio di fate segatori si sparpagliarono tra i rami; gli architetti giravano intorno a Maimie e le prendevano le misure; un cantiere edile spuntò ai suoi piedi, settantacinque muratori accorsero con la prima pietra della fondazione e fu la Regina a deporla; furono nominati dei sorveglianti per tenere lontani i bambini, furono innalzate le impalcature; da ogni parte si udivano martelli, scalpelli, torni, e a questo punto il tetto era pronto e i vetrai stavano mettendo le finestre. La casa aveva le precise dimensioni di Maimie ed era graziosissima. La bambina aveva un braccio disteso, e questo per un attimo li aveva preoccupati, ma vi avevano costruito intorno una veranda che portava alla porta d’ingresso. Le finestre avevano le dimensioni di un libricino illustrato per bambini, mentre la porta era un tantino più piccola, ma per Maimie sarebbe stato facile uscire togliendo il tetto. Le fate, come è loro consuetudine, batterono le mani ammirate dalla loro stessa abilita, ed erano cosi innamorate della casetta che non riuscivano a convincersi che fosse ormai finita. Cosi vi apportarono un’infinità di ulteriori ritocchi e una volta finiti questi ne fecero altri. Due di esse, per esempio, salirono su una scala e montarono il camino. "Purtroppo ora è proprio finita”, sospirarono. Ma non era cosi. Altre due salirono sulla scala e attaccarono del fumo al camino.”Con questo è finita di sicuro" dissero a malincuore. “Niente affatto” gridò una lucciola,”se si svegliasse senza vedere un lumino da notte, potrebbe spaventarsi, cosi io sarò il suo lumino da notte.”

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“Aspetta un momento, e io vi fabbricherò un piattino", disse un negoziante di porcellana. Ora, ahimè! era proprio finita. Ma no, che non la era, miei cari.”Perbacco!” gridò uno che lavorava l’ottone,”manca la maniglia della porta”, e gliela mise. Un negoziante in ferramenta aggiunse un raschietto per pulirsi i piedi, e una vecchia signora accorse con uno stoino. Arrivarono i carpentieri col serbatoio dell’acqua piovana e i pittori vollero a tutti i costi pittarlo. Finalmente era finita! “Finita! Come può essere finita”, disse l’idraulico sdegnosamente, ”se non è ancora stata sistemata l’acqua calda e l’acqua fredda?” e fece l’impianto. Poi arrivo un esercito di giardinieri con carriole fatate e pale e semi e bulbi e serre, e presto fecero un giardino sulla destra della veranda e un orto sulla sinistra, e coprirono i muri della casa di rose e clematidi e in meno di cinque minuti tutte queste belle piante erano in piena fioritura. Oh, come era bella adesso la casetta! Ma finalmente era finita, proprio finita, e loro dovettero lasciarla e ritornare alle danze. Allontanandosi le mandavano baci con le mani e l’ultima ad allontanarsi fu Brownie che rimase indietro un momento per lasciar cadere un bel sogno giù dal camino. Tutta la notte la graziosa casetta se ne stette fra le Magnolie ed ebbe cura di Maimie, e lei non lo sapeva. Dormì fino alla fine del sogno, e si sveglio con una sensazione di deliziosa intimità, proprio mentre il giorno si schiudeva alla luce, e quasi ricadde addormentata di nuovo, poi chiamò ”Tony”, credendo di essere a casa nella sua cameretta. Ma visto che Tony non rispondeva, si mise a sedere, e a questo punto batté la testa contro il tetto che si aprì come il coperchio di una scatola. Con sua grande sorpresa Maimie vide attorno a sé i giardini di Kensington sotto una fitta coltre di neve. Non essendo nella sua cameretta si domandò se fosse veramente se stessa, cosi si pizzicò le guance, e allora capì che era proprio lei. E questo le fece ricordare di essere proprio al centro di una grande avventura. Si ricordò tutto quello che le era accaduto dalla chiusura dei cancelli fino a quando era fuggita inseguita dalle fate, ma tuttavia si domandò, ”come aveva fatto a finire in un posto cosi strano?”. Uscì dal tetto, proprio sopra al giardino e allora vide la deliziosa casetta nella quale aveva passato la notte. Ne fu così estasiata che non riuscì a pensare ad altro.”Oh, cara, cara! Oh, casettina mia! Amore mio!” gridò. Forse la voce umana aveva spaventato la casetta, o forse essa sapeva di aver esaurito ormai il suo compito; sta di fatto che non appena Maimie pronunciò l’ultima parola, la casetta cominciò a diventare sempre più piccola. Rimpiccioliva cosi lentamente che lei non riusciva quasi a credere che stesse rimpicciolendo, eppure presto si accorse che già non avrebbe potuto più contenerla. Era sempre completa come prima, ma diventava più piccola, sempre più piccola e nello stesso tempo anche il giardino si riduceva, e la neve avanzava sempre più vicino, ricoprendo a poco a poco casa e giardino. La casa ora aveva 30


le dimensioni di un canile, un attimo dopo quelle di una piccola arca di Noe, ma si poteva ancora vedere il fumo, e la maniglia della porta, e le rose sul muro, ogni cosa al suo posto. Anche la luce della lucciola si stava estinguendo, ma c’era ancora. ”Mia cara, mia amatissima, non andartene!” gridò Maimie, mettendosi in ginocchio, visto che la casa ormai era grande come un rocchetto di filo, anche se pur tutta al completo. Ma mentre lei tendeva le braccia implorando, la neve era ormai salita da tutte le parti, fino a congiungersi, e dove c’era stata la casetta non era rimasta ora che una intatta distesa di neve. Maimie pestò i piedi con rabbia e stava portandosi le dita agli occhi, quando udì una voce gentile che diceva: "Non piangere graziosa creatura umana, non piangere”, e allora si voltò e vide un bel bambino nudo che la guardava pensoso. Capì subito che doveva essere Peter Pan.

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