CAMPANIA FELIX
MENSILE DI TURISMO CULTURA STORIA ARTE FOLCLORE NATURA CURIOSITA DELLA CAMPANIA
ITINERARI
ALLA SCOPERTA DELLA REGIONE
OTTOBRE 1997 N. 17
LUOGHI LUOGHI PAESI PAESI EE CITTA CITTA SANTISSIMO ROSARIO DI MONTICCHIO
MERCATO SAN SEVERINO
FONTANAROSA CONVITTO NAZIONALE DI MADDALONI
SPECIALE I Normanni Casina Vanvitelliana Il Museo Provinciale Campano Buccino, un Museo a Cielo Aperto Il Castello di Mercato S. Severino Sped. in A.P. - 45% - Art. 2 comma 20/ b Legge 662/96 -Fil.Napoli
ANNO 2째 - N. 17 OTTOBRE 1997
ITINERARI ALLA SCOPERTA DELLA REGIONE
SAN LORENZO MAGGIORE
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A LTRASTAMP A EDIZIONI NAPOLI
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dell’esistenza (oggi sarebbero di gran moda tra gli attori di Hollywood). È facile immaginare dove lo portasse tutto ciò, innestato su di una personalità di sicuro ipersensibile e catturata da una tensione artistica che l’obbligava a un simbolismo a volte ermetico a volte misticamente irrazionale a volte presago di minacciosi messaggi. Nonostante un certo successo di varie esposizioni - con l’interesse financo di membri della famiglia imperiale - Diefenbach finì accusato di essere pazzo e sobillatore del popolo, oggetto di campagne denigratorie di stampa che lo portarono prima a girovagare e poi del tutto a fuggire. Anche la moglie - certo esasperata non scherzava, in quanto tentò prima di avvelenarlo poi di togliergli i figli. Come che sia, e nonostante una discreta fama che tuttavia lo accompagnava, decise ad un certo punto di trasferirsi al Sud, alla ricerca della Natura, di un nuovo incontro tra soggettività e oggettività. Si spinse sulle Alpi, sul Garda, quindi fin tra le sabbie nilotiche, nei pressi del Cairo. Tornò per poco in patria, ritemprandosi nel clima stimolante della Secessione viennese. Ma nell’ultimo giorno del Carnevale del 1899 stabilì la partenza definitiva, a vantaggio ancora una volta dell’Egitto. Fece tappa a Trieste, ma la mancanza di soldi (viaggiava con figli e qualche seguace al seguito) gli impose una diversa meta. Nel 1900 arrivò in una Capri un po’ più simile a quella del giorno della Creazione di quanto lo sia oggi. E vi si fermò. Capri mi basterà per tutta la vita con queste aspre rupi che adoro, con questo mare tremendo e bellissimo benché, in verità, io soffra il martirio e il boicottaggio dei miei connazionali che venendo qui muovono contro di me vergognose accuse di immoralità ed empietà (e questo l’abbiamo già segnalato). I suoi strani atteggiamenti coincidevano con le sue strane tele (molte sono ora esposte alla Certosa
In alto: Non uccidere, Roma, coll. priv.; sotto: L'artista nell'isola, Capri, coll. priv.
di San Giacomo a Capri, ma altre sono in musei tedeschi e in varie collezioni private italiane), scure ma balenanti luci, spesso enormi, quasi sopraffatte da vere e proprie allucinazioni, manifesti irrazionali di un’altra realtà. In quelle tele vi è tanta cultura simbolista, il richiamo alla natura e al divino, l’esplorazione dei percorsi della psiche,
l’esaltazione dello spirito, il repertorio figurativo più e più volte ripetuto in mezza Europa, con gli edifici diroccati, le rupi scoscese, le tempeste, le lune ghiacciate, i simulacri degli dei, le sfingi, le colonne abnormi, le fanciulle diafane e misteriose nell’ombra. In più Diefenbach, evidentemente impressionato dagli aspetti
più tenebrosi dell’isola, accresceva pittoricamente i toni bruni, notturni, squarciati da spari di luce e colore, schegge di sole mediterraneo prigioniere in notti da Walhalla; inventava così situazioni cromatiche non più naturali, ma appartenenti al mondo dell’ego, alludenti a una dimensione diversa dalla nostra, quasi senza più colori, segnata dalle prevalenti assenze di luce, sprofondate verso l’insalvabilità. Tutto questo era il frutto evidentemente non solo delle marcate convinzioni in campo artistico, ma di una integrale condizione di vita e di una personalità particolarissima. Certo fu un diverso, uno sradicato, magari un visionario egocentrico con qualche disturbo psichico; eppure fu anche un uomo consapevole della vita intesa come autentica ricerca, un artista autentico, intenso lucidissimo, come scrisse già nel 1875 Raffaello Causa. Molto di tutto ciò era del resto già segnato da tempo, se si pensa che già nel pieno degli anni ‘80 dell’Ottocento (quando la Germania del Kaiser era in piena corsa verso l’industrializzazione e il militarismo) così andava predicando: Malattie, miseria, crimini di ogni tipo, prostituzione e degenerazione, delitto e suicidio, strage che grida al cielo chiamata guerra, sono le conseguenze naturali della contraddizione e del peccato contro le leggi di natura ... tutti sono vittime dell’ingiustizie della società, della irreligiosità delle pubbliche istituzioni, dell’allontanamento da Dio. Infine Diefenbach finì di portare i suoi camicioni, di cibarsi di sole verdure, di mostrare tra gli isolani e i già numerosi quanto stupiti turisti il proprio aspetto fiero ed irsuto. Una peritonite lo stroncò il 16 dicembre del 1913. Da allora i suoi strani messaggi sono stati declamati solo dal linguaggio dell’arte.
Museo da vivere Buccino
Un normale lavoro di
routine. Gli operai, sotto la guida di esperti archeologi, danno corso a uno dei tanti scavi che la Soprintendenza archeologica di Salerno sta conducendo a Buccino. E’ il 1995, quindici anni dopo la straordinaria campagna ricognitiva iniziata da Werner Johannowsky nell’immediato dopo terremoto. Il sole brucia la pelle, l’arsura si fa sentire: il lavoro è veramente duro nelle assolate campagne limitrofe all’antico borgo del salernitano. Il piccolo gruppo è all’opera in un terreno di proprietà Femicola-Paterno, a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla zona già scavata da Johannowsky in località Santo Stefano, che si era rilevata di estremo interesse storico: strutture ed edifici di complessa articolazione del IV secolo a.C. sovrapposti a necropoli databili a partire dalla fine del VII a.C. In quel luogo lo scavo di una tomba a camera aveva restituito, tra le altre testimonianze, un vaso in frammenti firmato addirittura
SPECIALE PROVINCIA DI SALERNO di Erminia Pellecchia Foto di Alfio Giannotti
Una scoperta di estremo interesse. La Tomba della Principessa segna la fortuna di Buccino.
dal ceramografo pestano Asteas. Sì, proprio il celebre pittore fliacico cantore della hilarotragoedia, quel genere teatrale che fiorì a Taranto nel turgido tramonto del IV secolo e nella prima parte del III e che inaugurava una concezione dello spettacolo non come strumento di educazione, ma piuttosto come divertimento ed evasione. Scoperta eccezionale e conferma della presenza di Asteas a Buccino o quanto meno del gusto di una popolazione ricca e colta che prediligeva le opere provenienti dall’atelier dell’artista. Infatti, uno dei più famosi vasi di Asteas, quello raffigurante la parodia del ratto di Cassandra, fu rinvenuto alla fine dell’Ottocento a Buccino e fa ora parte della collezione del Museo Romano di Villa Giulia. Ritorniamo a quell’estate del 1995. Dal In alto: panorama; al centro: casa costruita sui resti di un tempio romano; in basso: botteghe romane
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terreno rimosso affiora qualcosa. Si lavora freneticamente fin quando non vengono alla luce i resti di una tomba semicircolare, costruita in parte con blocchi di calcare locale e in parte tagliando le rocce emergenti nel banco d’argilla del sito. Il pio asilo raccoglieva le spoglie di una donna deposta su di un letto funebre col capo rivolto a nord. Racconta Adele Lagi, responsabile archeologo di Buccino: al di sotto di un sottile strato di calce e trito di cocci, residuo dell’intonaco parietale, era conservato il corredo. Fortunatamente, malgrado gli sconvolgimenti franosi, i blocchi della parete avevano fermato un prezioso set di vasi in metallo pregiato, probabilmente parte di un servizio personale d’argento per cosmesi: una bottiglia, un kalathos con corona d’edera in oro niellata sul collo, uno strigile, alcune pinzette, spatoline, due laminette d’argento dorato con grifi e leoni affrontati, una conchiglia portabelletti. Gli ornamenti personali erano costituiti da una ricca parure di oreficeria: due orecchini a doppia protome di leone e d’ariete, una collana a maglia piatta e pendenti lanceolati, un bracciale in lamina con anima in rame e terminazioni a protomi leonine, due borchie circolari decorate da motivi vegetali in filigrana, due anelli digitali, uno dei quali conserva ancora la corniola incisa con
In alto: pavimento romano a mosaico; al centro: probabili terme; sotto: taberna; in basso: simboli fallici in una taberna romana
un’Afrodite con Eros. Si sono, inoltre, rinvenuti fuori posto, elementi di una corona con corimbi e bacche di terracotta dorata e foglie di bronzo insieme a testine femminili in argento. Il vasellame metallico e fittile doveva essere stato disposto intorno al letto funebre. In bronzo erano un bacino a doppia ansa con attacco a palmette traforate e un’applique con leone che assale un cervo, due olpai con coperchio, un candelabro con piedi leonini nascenti da teste di grifo, mentre un bell’esemplare di specchio circolare con coperchio ornato da una figura di Tritone su pistrice in lamina sbalzata, in frammenti, doveva far parte dell’insieme per cosmesi. La Tomba della Principessa segna la fortuna di Buccino. Il piccolo paese, dopo secoli di silenzio, ritorna nuovamente agli onori delle cronache. Già nel novembre del ‘95 l’esposizione del ricco corredo funebre richiama migliaia di visitatori. Buccino entra, così, definitivamente nel circuito del turismo culturale che, soprattutto in questi ultimi anni, sembra privilegiare le località archeologiche. Una moda consacrata dalla passerella di lusso di Palazzo Grassi a Venezia dove
recentemente ha trionfato la mostra I Greci in Occidente, che, tra l’altro, esponeva gli ori buccinesi. Per la verità non l’unico tesoro della storica cittadina. Per i gastronomi c’è un altro oro ben più prezioso: il saporitissimo olio, prodotto in maniera naturale e degno di rivaleggiare con quelli più famosi dell’Umbria e della Toscana. Per non parlare del vino, che pur non avendo ottenuto alcuna certificazione Doc, è quanto mai squisito e ottimo compagno dei prelibati primi piatti, altro vanto della cittadina in cui da oltre diciotto anni, nel periodo di Ferragosto, si celebra la sagra della pasta fatta in casa. Dalla principessa volceiana alle attuali regine di Buccino, le donne sono le grandi protagoniste della vita cittadina e le custodi di riti e tradizioni tramandati di madre in figlia. Sono riuscite, infatti, a non lasciarsi sopraffare dalla caotica civiltà delle macchine e, con orgoglio, continuano a reiterare vecchie abitudini e vecchi costumi. Il ricamo è ancora la loro attività preferita e dalle esperte mani nascono veri e propri capolavori ricercati dagli intenditori di tutta Italia. E sono sempre loro a perpetuare pratiche devozionali che affondano le radici nella notte dei tempi. La processione in onore della Santissima Immacolata, la prima domenica di luglio, è una delle manifestazioni religiose più affascinanti e commoventi della Campania. La notte si illumina magicamente con la luce di centinaia di ceri trasportati faticosamente per le impervie strade che dalla Chiesa Madre su, in alto, a pochi passi dai ruderi del castello, portano giù fino a valle, attraversando tutto il centro storico. Un centro storico che conserva inalterato il suo fascino di borgo fortificato fin dalle età più remote. Arrampicata sulla collina di Tufariello, Buccino per secoli ha avuto il ruolo di città di frontiera in rapporto al territorio della Lucania. Già il primitivo villaggio dell’Età del Bronzo presenta muri di cinta alternati a spazi per lavori artigianali (e va detto che l’artigianato è tuttora
Le donne sono le grandi protagoniste della vita cittadina, custodi di riti e tradizioni tramandati di madre in figlia.
attività principe, particolarmente per la lavorazione del rame). Col successivo passaggio all’Età del Ferro continua a svolgere un ruolo primario nell’ambito territoriale in cui insiste, ruolo che diventerà predominante quando da villaggio essenzialmente contadino si trasformerà nell’aristocratica Volcei, ricordata durante la seconda guerra punica quando nel 209 a.C. il console Quinto Fulvio Flacco - come scrive Livio - riceve la resa di Hirpini et Lucani et Volceientes. La lucana Volcei è, inoltre, citata nel successivo Liber coloniarum in cui si dà notizia di una Praefectura Vulcentana. Città federata di Roma fino alla guerra sociale, successivamente diventa municipio retto da quattuorviri e ascritto alle tribù Pomptina. Veramente scarse le notizie storiche, per fortuna ora integrate dalle ricognizioni archeologiche eseguite all’interno del centro storico. Grazie a una buona intesa tra Amministrazione Comunale e Soprintendenza, tutti gli interventi di ricostruzione post-sismica sono stati preceduti da indagini approfondite che hanno evidenziato le varie fasi evolutive di Buccino. Dai saggi appare - sottolinea Adele Lagi che agli scarsi resti dell’insediamento lucano si sovrappone, obliterandoli, una fase edilizia databile al II secolo a.C. Sembrerebbe, quindi, che la rivitalizzazione dei municipi italici condotta in Età Augustea deve avere interessato anche Volcei in misura notevole, considerata la sua posizione strategica a ridosso della via Popilia. Un segno di vitalità è la costruzione, in questo periodo, del ponte Cono, ai piedi della collina, certo in sostituzione di una struttura più antica. Nella stessa fase, nell’area urbana, fu impiantato un nuovo tessuto urbanistico di cui si sono riconosciuti, finora, tratti di strade ortogonali e vari edifici in opera quasi reticolata: a quell’epoca risale la costruzione del tempio rinvenuto in via In alto: botteghe romane ai piedi del castello; al centro: il castello; in basso: case nella roccia sotto il castello
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Mali Artistici
T ESORI DA S ALVARE
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Spirito e noto come Caesareum. Templi, strade, mosaici, porte, edifici monumentali, cinte murarie, necropoli fanno di Buccino un enorme parco urbano archeologico. Un parco di eccezionale valore e forse unico al mondo, in quanto gli episodi storici si sovrappongono e si intersecano armonicamente con le costruzioni del borgo medievale, feudo dei conti Lamagna e dei Caracciolo e rifugio di Urbano VI, il papa perseguitato da Carlo Durazzo. Un miracolo urbanistico che, a breve, con l’accorta politica dell’amministrazione e con l’ausilio di finanziamenti europei, sarà messo in luce in tutto il suo splendore. Significativa è, infatti, la volontà di far convivere, all’interno del Piano di Recupero, il sito archeologico con i palazzi e le case tuttora residenza dei buccinesi, che vi stanno ritornando man mano che procedono i restauri. Sarà, quindi, possibile attraversare le strette viuzze, sostare ammirati di fronte agli eleganti portali, rimanere colpiti dalla pregnante spiritualità emanata dalle chiese di raffinata semplicità architettonica, gustare cibi divini nelle piccole osterie e, nello stesso tempo, entrare nelle cantine private e visitare i resti di antiche botteghe, trovarsi improvvisamente di fronte a colonne, capitelli e statue, percorrere tratti di
ph. Nicola Re
Partimonio culturale, come salvarlo
strade romane, affacciarsi in cortili e rimanere estasiati dinanzi al gioco di pavimenti musivi. E non solo percorsi tra archeologia e Medio Evo. Nell’ex Convento degli Agostiniani, ubicato all’ingresso di Buccino e sede ospitale dell’economista
Antonio Genovesi e di re Ferdinando II di Borbone, sorgerà il Museo archeologico di Volcei e del suo territorio in cui saranno esposti i materiali delle necropoli (sono state finora scavate 270 tombe per un totale di più di diecimila oggetti) e quelli provenienti
di Flavia Petrelli, Angela Schiattarella e Lorella Starita
In alto: il chiostro del Convento di Sant'Antonio; al centro: uno dei preziosi monili; in basso: l'ambulacro del chiostro
dal territorio di Volcei che comprendeva gli attuali comuni di Sicignano degli Alburni, Romagnano al Monte, Caggiano, Salvitelle, Auletta, Ricigliano e San Gregorio Magno. In più il museo farà parte di una rete museale integrata che a partire da Pontecagnano, attraverso il museo di Eboli, raggiungerà la Certosa di Padula, il Cilento e Velia. Il terremoto del 1980 causò morti e rovine. Eppure, come nel caso di Buccino, dalle ceneri può ritornare la vita. Il primo passo verso la ricostruzione fu segnato dal recupero di Porta Consina che diede il la all’opera di riqualificazione e valorizzazione del paese. Poi, nel 1989, il restauro della Chiesa di San Nicola di Bari, primo edificio sacro a essere restituito agli abitanti e simbolo della rinascita. Se da una parte gli archeologi cercavano le tracce di un passato glorioso, dall’altra gli architetti lavoravano per evitare le demolizioni e ricostruire un centro vitale e abitabile nel rispetto della memoria storica. Due cammini distinti che alla fine si sono intrecciati compiendo il miracolo Buccino. Informazioni a pag. 63
La catalogazione dei beni artistici
Secondo una stima recente in
Italia si contano all’incirca cento milioni di beni culturali intesi come unità-bene e quindi considerando come tale sia un’abbazia che un palazzo, un’area o un grande monumento archeologico, o un singolo oggetto: un quadro, un’incisione, una scultura, una moneta e così via. A fronte di un così ingente e ricco patrimonio artistico si fa forte e pressante l’esigenza di mettere a punto idonei strumenti di lavoro che riescano a soddisfare in tempi relativamente brevi la domanda della consistenza quantitativa, del censimento e della catalogazione. Nell’ambito delle attività istituzionali delle Soprintendenze, la catalogazione dei beni storicoartistici è da considerare come uno strumento prioritario di intervento in quanto, una volta individuata la
consistenza patrimoniale di un determinato territorio, è possibile promuoverne la tutela, il restauro e la valorizzazione. Quella che oggi chiamiamo banca dati,
grazie all’uso innovativo delle tecnologie informatiche, rappresenta quindi la base indispensabile per qualsiasi operazione si voglia intraprendere sul bene
culturale e sul suo ambiente. La domanda che viene rivolta frequentemente a chi si occupa di catalogazione è questa: quando sarà ultimata la schedatura? La risposta dovrebbe essere mai o comunque non può che caratterizzarsi quasi sempre in senso negativo, perché se è vero che ormai il lavoro di schedatura può dirsi pressoché concluso, non va dimenticato che per sua definizione questa attività deve essere sempre considerata come work in progress: un volume di informazioni cioè suscettibile di continui aggiornamenti, revisioni, rivalutazioni a fronte degli avanzamenti degli studi scientifici e della ricerca in genere. Ma la schedatura spesso non finisce per motivi molto più banali: In alto: Chiesa di Santa Maria Vertecoeli, altare maggiore; in basso: Cappella di Santa Maria dei Pignatelli, monumento a Carlo Pignatelli
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