Alda merini nelle edizioni pulcinoelefante

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UNIVERSITÀ CATTOLICA DEL SACRO CUORE Milano Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Lettere Moderne

ALDA MERINI NELLE EDIZIONI PULCINOELEFANTE

Tesi di laurea di: Caterina Giso Matr. 3603158

Relatore: Chiar.mo prof. Roberto Cicala

Anno accademico 2010-2011


SOMMARIO

PRESENTAZIONE

p.

4

I. ALDA MERINI: LA VITA

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6

I.1. L’infanzia

»

6

I.2. L’adolescenza e la guerra

»

7

I.3. L’ingresso nel panorama letterario

»

8

I.4. Il matrimonio

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9

I.5. Il manicomio

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10

I.6. Il ritorno in società e il periodo tarantino

»

13

I.7. Di nuovo a Milano

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15

I.8. L’ultima stagione

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16

II.I RAPPORTI CON GLI EDITORI

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II.1. Le prime pubblicazioni

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19

II.2. La presenza di Orfeo

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II.3. Prima del manicomio

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22

II.4. Dopo il manicomio

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24

II.5. I libri con i grandi editori

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III. LE PUBBLICAZIONI PULCINOELEFANTE

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III.1. Il periodo dell’oralità di Alda Merini

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29

III.2. La casa editrice Pulcinoelefante

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30

III.3. Il piccolo editore Alberto Casiraghy e gli artisti

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32

III.4. I «pulcini» di Alda

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35

IV. LE TECNICHE DI STAMPA PULCINOELEFANTE

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40

IV.1. Premessa storica: la nascita della stampa

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40

IV.2. La carta

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42

IV.3. Il torchio

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43


IV.4. Le caratteristiche del libro

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44

IV.5. Le innovazioni

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46

IV.6. La stampa tipica di Pulcinoelefante

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49

V. ALDA MERINI E GLI AFORISMI

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53

V.1. L’aforisma in Grecia e a Roma

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53

V.2. L’aforisma in Italia

»

55

V.3. L’aforisma nel Novecento

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57

V.4. Gli aforismi di Alda Merini

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CONCLUSIONE

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APPENDICE ICONOGRAFICA

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64

BIBLIOGRAFIA

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80

INDICE DEI NOMI

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PRESENTAZIONE L’argomento di questa tesi prende le mosse a partire da due interessi che sono stati determinanti anche nella scelta del mio corso di laurea: da una parte la poesia italiana contemporanea e dall’altra il mondo dell’editoria in generale. Andando alla ricerca di un nome all’interno del panorama poetico italiano che potesse avere per me un valore, ho rivolto la mia attenzione ad Alda Merini. La poetessa era da poco scomparsa quando ho iniziato la stesura di questo lavoro. Se già da diversi anni l’attenzione su di lei da parte del mondo letterario, e non solo, era molto forte, con numerosissimi interventi che la vedevano protagonista, dopo la sua morte questi ultimi si sono moltiplicati per rendere omaggio a una delle poetesse più grandi o comunque note del Novecento. Alda Merini è legata al nome di moltissimi editori e ha pubblicato opere per case editrici tra le più affermate in Italia. Tuttavia mi sono voluta allontanare da questo contesto, anche commerciale, per cercare un elemento che fosse in grado di fare la differenza. In questo modo ho scoperto le pubblicazioni della casa editrice Pulcinoelefante di cui è titolare Alberto Casiraghi, in arte Casiraghy. Dall’unione del nome di una delle più importanti poetesse italiane del secolo appena trascorso con quello di uno dei più piccoli (ma decisamente singolari) editori del nostro Paese nasce la presente ricerca. Mi sono quindi proposta di ricostruire il percorso della Merini dal punto di vista sia biografico che della sua produzione e di incrociare il suo nome con quello di Alberto Casiraghy. In seguito mi sono concentrata sulla casa editrice Pulcinoelefante e sull’aspetto più strettamente editoriale che la riguarda. Durante questo percorso mi sono avvalsa di numerose fonti. Prima di tutto dei testi pubblicati dalla Merini stessa, che sono moltissimi e a volte anche non facilmente reperibili. In secondo luogo di quelli pubblicati da Pulcinoelefante, sia di quelli scritti dalla poetessa sia di quelli a opera di altri autori.

4


Mi sono inoltre avvalsa del supporto di diversi testi riguardanti l’autrice o l’editore in questione, di alcune storie della letteratura, di opere che riguardano la storia della stampa e il genere dell’aforisma. Importanti sono state le lezioni del mio relatore, e la visita da lui organizzata al Museo della stampa di Lodi. Fondamentali nella ricerca sono stati i contributi diretti di Alberto Casiraghy, Giorgio Matticchio e Ambrogio Borsani. Essi hanno conosciuto personalmente Alda Merini e io ho avuto il piacere di conoscerli, di parlare con loro e di avvalermi del loro aiuto per ricostruire tale sodalizio letterario. Forse non è del tutto vero che

Ciò che un editore sa dei suoi poeti sono solo le virgole.1

1

A. MERINI, Freud e altri aforismi, Pulcinoelefante, Osnago 2009.

5


I. ALDA MERINI: LA VITA

Ricostruire l’intera vita di una personalità come quella di Alda Merini è un compito arduo. Mi affido, lungo questo percorso, ad alcune biografie, numerosi documenti, testimonianze orali, testi dell’autrice. Ma le difficoltà perdurano, a causa della mole dei testi reperibili, e soprattutto per la complessità di un’esistenza, ricca di avvenimenti vissuti e rivissuti da un punto di vista sempre differente. Tenterò pertanto di rendere conto dei fatti a mio avviso più importanti, che costituiranno il sostrato della mia trattazione: una biografia, senz’altro parziale, di una delle più importanti poetesse italiane del secolo appena trascorso.

I.1. L’infanzia Sono nata il ventuno a primavera ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle potesse scatenar tempesta. Così Proserpina lieve vede piovere sulle erbe, sui grossi frumenti gentili e piange sempre la sera. Forse è la sua preghiera.2

Alda Merini nacque il 21 Marzo 1931 a Milano. Il padre, Nemo Merini, era un assicuratore, un intellettuale raffinato, figlio di un conte di Como e di una modesta contadina di Brunate; la madre, Emilia Painelli, era invece casalinga, figlia di insegnanti di Lodi. Alda era la seconda di tre fratelli: Anna era nata nel 1926, e il fratello Ezio nascerà nel 1943. La Merini nutrì sempre per il padre un sincero affetto; fu lui, infatti, a iniziarla alla letteratura:

2

A. MERINI, Vuoto d’amore, Einaudi, Torino 1991, in EAD., Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, a cura di Ambrogio Borsani, Mondadori, Milano 2010, p. 353.

6


Il mio grande amore per le lettere, la mia grande ambizione verso il sapere indussero mio padre a regalarmi un vocabolario quando avevo solo cinque anni: arrampicata alle sue ginocchia, chiedevo ogni sera il significato di almeno dieci parole e lui me le spiegava.3

La madre, donna affascinante, nei cui confronti Alda provò sempre una grande gelosia, invece la ostacolava nei suoi primi studi: Mia madre, che aborriva lo studio, non voleva che io mettessi mano alla biblioteca paterna, che tra l’altro andò distrutta durante la guerra, ma io riuscivo sempre, piccola com’ero, a rubare libri da tutte le parti.4

Su queste letture la poetessa coltivò il suo amore per lettere, durante un’infanzia segnata dalla solitudine e da alcune malattie. Alda era infatti una bambina taciturna, riservata, che legava poco con le compagne di scuola. Durante questo periodo cominciò a scrivere le prime rime sull’esempio del “Corriere dei piccoli”, un supplemento del “Corriere della sera”: Imparai dunque l’endecasillabo dalle didascalie dei vari Corrierini […].5

I.2. L’adolescenza e la guerra Di lì a poco, la seconda guerra mondiale impose difficili condizioni all’Italia, e la famiglia Merini, dopo la nascita del terzo figlio nel 1943, fu costretta a scappare da Milano:

Arrivati nel Novarese ci buttammo per terra nei campi mentre le bombe fioccavano da tutte le parti. Fu forse quello stato di cose che decise poi la mia nevrosi.6

Sfollata a Trecate, Alda Merini fece la mondina e prese lezioni di pianoforte per sei ore al giorno, fin quando, alla fine del conflitto, poté rientrare a Milano. La

3

EAD., Reato di vita. Autobiografia e poesia, a cura di Luisella Veroli, Melusine, Milano 1996, p.

13. 4

Ibi, p. 14. Ibi, p. 15. 6 Ibi, p. 25. 5

7


vecchia casa, però, era ridotta in macerie, e la famiglia Merini si adattò a un rifugio di fortuna sul Naviglio, uno scantinato. Questo alloggio, che avrebbe dovuto essere provvisorio, sarà invece la loro casa per quattordici anni. A dieci anni Alda ricevette il primo riconoscimento: le venne infatti consegnato il premio per la miglior piccola poetessa italiana dalla regina Maria José, insieme a un libretto della Cassa di Risparmio di mille lire. Tuttavia la piccola Alda non trovò l’appoggio della famiglia. In seguito all’interruzione degli studi ordinata dalla madre, Alda frequentò le Scuole di Avviamento al Lavoro Laura Solera Mantegazza. Non ottenne, più avanti, l’ammissione al Liceo Manzoni di Milano, e questo le causò una grande ferita mai risanata. Forse proprio questa fu la causa del primo manifestarsi della malattia, che si presentò sotto forma di anoressia e poi di cecità isterica quando Alda aveva circa quindici anni. La demenza era insorta così, un giorno, quando mia madre, nascendo mio fratello, mi disse: «Non puoi studiare: è nato il maschio».7

I.3. L’ingresso nel panorama letterario italiano Intorno ai sedici anni Alda entrò nell’ambiente letterario milanese.

È il 1947 quando Silvana Rovelli, insegnante di latino e cugina di Ada Negri, legge alcune poesie che Alda aveva scritto all’età di quindici anni. Colpita dall’intensità di quei versi, le mostra ad Angelo Romanò che, a sua volta, le passa a Giacinto Spagnoletti, unanimemente considerato lo scopritore dell’artista […].8

Spagnoletti la accolse nella sua casa in via del Torchio 16, luogo di ritrovo di personaggi come Giorgio Manganelli, Luciano Erba, David Maria Turoldo, Salvatore Quasimodo, Pier Paolo Pasolini e Maria Corti. Durante questo periodo Alda poté approfondire la sua conoscenza della letteratura italiana, attraverso la Storia della letteratura del De Sanctis e altri testi che gli amici di quel tempo le consigliarono. 7 8

EAD., Delirio Amoroso, Il Melangolo, Genova 1989 in EAD., Il suono dell’ombra..., p. 793. R. ALUNNI, Alda Merini. L’«Io» in scena, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008, p. 17.

8


Giacinto

Spagnoletti segnò

il percorso

della poetessa,

pubblicando

sull’Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949 due poesie della Merini: Il gobbo e Luce.9 Fu un avvenimento di grande importanza perché segnò l’ingresso sulla scena letteraria italiana della poetessa. Questo stesso periodo fu segnato dalla tormentata relazione con Giorgio Manganelli. Entrambe erano personalità difficili, e la stessa Maria Corti le guardava con preoccupazione. Ma Manganelli era sposato, e, dopo tre anni, nel 1949, scappò a Roma. Successivamente Alda si legò a Salvatore Quasimodo: un rapporto durato fino al 1953. Comincia a intravedersi nel frattempo il fantasma della malattia mentale, una costante, se vogliamo, nella vita della poetessa. Per alcune settimane, Alda fu infatti internata a Villa Turro. Nel 1950 assistiamo alla pubblicazione di alcune sue poesie nella raccolta Poetesse del Novecento, curata da Eugenio Montale e Maria Luisa Spaziani. 10 Si tratta delle liriche Il gobbo, S. Teresa del Bambino Gesù, Lasciando adesso che le vene crescano. Alda Merini aveva solamente diciannove anni.

I.4. Il matrimonio Arriviamo così al 1953, anno cruciale perché la Merini vide uscire il suo primo libro La presenza di Orfeo, pubblicato dall’editore Schwarz, e quinto quaderno della collana “Campionario” diretta da Giacinto Spagnoletti. L’anno seguente fu segnato dal matrimonio con il panettiere Ettore Carniti. La sua figura sembra essere ambivalente. Fu Ettore infatti a farla ricoverare per la prima volta: verso di lui le parole della Merini furono a volte accusatorie, altre volte, invece, di riconoscenza: 9

Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949, a cura di G. Spagnoletti, Guanda, Parma 1950, p. 370-372. 10 Cfr. Poetesse del Novecento, a cura di E. Montale e M. L. Spaziani, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1951.

9


Si trascura spesso nelle mio biografie e nelle interviste il mio matrimonio con Ettore, durato una quarantina d’anni11, che viene a essere confuso con quell’atroce silenzio di cui mi si fa carico. In realtà solo dieci di questi trentanove anni furono passati in casa di cura e soffro quando sento che lo si vuole accusare di aver lasciato che mi ricoverassero, perché non credo che avrebbe voluto regalarmi quelle atrocità. Anche le mie figlie sono d’accordo nel ricordare un padre amorevole e premuroso sebbene assolutamente incapace di badare alle faccende di casa […]. Mio marito Ettore era un uomo virtuoso, elementare se per elementare si intendono gli elementi della natura. 12

Altrove, invece, troviamo parole meno benevoli nei suoi confronti: Quando venni ricoverata per la prima volta in manicomio ero poco più di una bambina […]. Insomma ero una sposa e una madre felice, anche se talvolta davo segni di stanchezza e mi si intorpidiva la mente. Provai a parlare di queste cose con mio marito, ma lui non fece cenno di comprenderle e così il mio esaurimento si aggravò, e morendo mia madre, alla quale io tenevo sommamente, le cose andarono di male in peggio tanto che un giorno, esasperata dall’immenso lavoro e dalla continua povertà e poi, chissà, in preda ai fiumi del male, diedi in escandescenze e mio marito non trovò niente di meglio che chiamare un’ambulanza, non prevedendo certo che mi avrebbero portata in manicomio. Ma allora le leggi erano precise e stava di fatto che ancora nel 1965 la donna era soggetta all’uomo e che l’uomo poteva prendere delle decisioni per ciò che riguardava il suo avvenire […]. Dopo qualche giorno mio marito venne a prendermi, ma io non volli seguirlo. Avevo imparato a riconoscere in lui un nemico […].13

Il matrimonio durò quasi trent’anni, ed Ettore fu il padre di quattro figlie: Emanuela nacque nel 1955, Flavia nel 1958. Barbara venne alla luce nel 1968 e Simona nel 1972. Nel 1955 uscirono le raccolte Paura di Dio e Nozze romane; il 1961 fu l’anno di Tu sei Pietro.

I.5. Il manicomio Seguirono vent’anni di silenzio. Furono gli anni dell’internamento al Paolo Pini di Affori. Contiamo complessivamente ventiquattro ricoveri negli anni che vanno dal 1965 al 1972.

11

Alda Merini è imprecisa perché il matrimonio è del 1954 ed Ettore Carniti muore nel 1983. A. MERINI, Reato di vita…, p. 28. 13 EAD., L’altra verità. Diario di una diversa, Libri Scheiweller, Milano 1986, in EAD., Il suono dell’ombra… pp. 705, 706. 12

10


In tutto, comunque, feci ventiquattro ricoveri perché molti furono i tentativi di dimettermi e di farmi tornare nel mondo dei vivi. Di fatto, quando venivo dimessa, reggevo bene per qualche giorno; poi tornavo a immelanconirmi, a non mangiare più e ad essere tormentata nel sonno, e non riuscivo a procacciarmi anche le più piccole necessità, di modo che dovevo essere nuovamente ricoverata.14

Anche il manicomio era vissuto con ambivalenza. Esso era un luogo carico di paure, violenze, sofferenze, ma simboleggiava anche il rifugio e la salvezza. Dopo un po’ di tempo cominciai ad accettare quell’ambiente come buono, non mi rendevo conto che andavo incontro a quello strano fenomeno che gli psichiatri chiamano “spedalizzazione” […]; mi ero fatta un concetto molto dolce e cioè che io fossi un fiore e che crescessi in un’aiola deserta. 15

Il periodo del manicomio fu segnato dall’amore di Pierre, un altro degente del Paolo Pini. Questa relazione, se così si può chiamare, rese forse meno dolorosa la reclusione. Alda iniziò così la cura, entrando in terapia con il «Dottor G.», ossia Enzo Gabrici. Come si evince dalla lettura de L’altra verità. Diario di una diversa, il dottor Gabrici era convinto che Alda avesse subito un trauma durante la sua infanzia, che esso avesse causato la nevrosi e che pertanto dovesse essere sviscerato.

Insomma, forse non scriverò nulla di nuovo, forse questi sono luoghi triti, ma sono convinta, serenamente convinta, che se non fosse stato per la psicoanalisi, io in quel luogo orrendo ci sarei morta.16

Gli anni dell’internamento proseguirono e furono intervallati da alcuni rientri a casa. Durante uno di questi, la Merini rimase incinta, e sembrò iniziare per lei un periodo di relativa tranquillità. Vennero infatti sospese le cure a base di farmaci, e Alda ritrovò la felicità. Tuttavia, dopo la nascita, la piccola Barbara venne data in affidamento e Alda ricadde nel vortice della malattia mentale. Dopo qualche tempo ci fu un’altra gravidanza e la nascita della quarta figlia, Simona. Anche questa volta la figlia venne strappata dalle braccia di Alda, causandole una sofferenza ancora più profonda.

14

Ibi, p. 736. Ibi, p. 711. 16 Ibi, p. 717. 15

11


Col tempo mio marito aveva perso ogni affetto per me e quando gli feci vedere la bimba non la guardò neppure […]. Un giorno mi disse «Senti. Tu non stai bene. E, d’altra parte, mi sei venuta a noia. La bimba non so veramente di chi sia. Quindi portala al beretrofio». Mi sentii schiaffeggiata nell’anima. Ma stavo anche tanto male […]. Presi quella dolce bambina che era così gracile, che altro non mangiava che acqua e zucchero, e la portai in viale Piceno. Poi, dopo averla raccomandata al medico, e non avendo più motivo di vivere, tornai a ripresentarmi al manicomio dove avevo deciso di trascorrere il resto dei miei giorni e, semmai, di morire. Avrei dato la mia vita per tenermi mia figlia, ma altri me l’avevano impedito.17

Furono anni dolorosi, anche dal punto di vista fisico. Alda fu costretta a sopportare numerose torture: venne sottoposta agli elettroshock, a lunghe cure a base di Serenase, Pentotal, Largactil, Dobren.

Di solito le sofferenze erano molto forti. Forme di angoscia, effetti collaterali delle medicine, tutto concorreva a far sì che fossimo soggetti a malori continui, per cui spesso, se il male non passava, si veniva anche puniti. Ed era questo, proprio, che noi tutte cercavamo di evitare, soffocando i nostri malesseri, i nostri sensi di angoscia, le nostre aggressività […]. La stanzetta degli elettroshock era una stanzetta quanto mai angusta e terribile; e più terribile ancora era l’anticamera dove ci preparavano per il triste evento […]. L’attesa era angosciosa. Molte piangevano. Qualcuna orinava per terra. 18

In questo inferno l’unica persona avvolta da un’aurea positiva era proprio il «Dottor G.». Costui, così come il padre aveva fatto molti anni prima accendendo in lei l’amore per la letteratura e per la scrittura, ora riportava lentamente Alda alla vita spingendola a ricominciare a scrivere. Un giorno, senza che io gli avessi detto mai nulla del mio scrivere, mi aperse il suo studio e mi fece una sorpresa. «Vedi» disse «quella cosa là? È una macchinetta per scrivere. È per te per quando avrai voglia di dire le cose tue». Io rimasi imbarazzata e confusa. Quando avevo scritto il mio nome e chi ero, lo guardai, sbalordita. Ma lui, con fare molto paterno, incalzò: «Vai, vai, scrivi» […]. E gradatamente, giorno per giorno, ricominciarono a fiorirmi i versi nella memoria, finché ripresi in pieno la mia attività poetica. 19

E ancora:

In manicomio, che come istituzione ho vissuto anche come leggenda, ho incontrato una gran bella figura, una vera figura di amore: il dottor G. […]. Al tempo dei tempi mi aveva vista giovinetta scorribandare presso il collegio del Sacro Cuore […]. Quando mi ritrovò in manicomio, dove era diventato primario, corse a togliermi da quella congerie di pazzi e mi strinse sul suo cuore. Mi trovò un riparo nel suo studio e, come dico nel mio Diario, mi invogliò a riprendere in mano la penna […]. Il dottor G. salvò la mia giovinezza e il mio principio etico. 20

17

Ibi, p. 734. Ibi, p. 756. 19 Ibi, p. 741. 20 EAD., Reato di vita…, p. 49. 18

12


Forse, proprio a partire dallo spiraglio di luce che il Dottor Gabrici rappresentava in quel mondo torbido che era il manicomio, questo luogo venne ad assumere progressivamente una valenza in parte positiva. Quell’inferno dantesco, di peccatori senza colpe (come li definisce la poetessa stessa in L’altra verità. Diario di una diversa), diventò al tempo stesso Terra Santa, nome che darà il titolo a una raccolta pubblicata di lì a poco. Un luogo dove i malati, i folli, coloro che non riuscivano a fare i conti con la società potevano ricominciare a respirare e cercare la salvezza dell’anima.

1.6. Il ritorno in società e il periodo tarantino Uscita dal manicomio («Ciao rediviva» furono le parole con le quali Manganelli mi salutò), morto mio marito, senza protezione, sono esposta ad ogni tipo di angheria, di interferenza, di invasione da parte della assurda cattiveria umana. Ma è tanta la mia passione per lo scrivere, tanta la voglia di vivere e di ragionare che passo sopra alle bassezze e alle oscure vergogne della sorte.21

Prima dell’entrata in vigore della legge Basaglia, che risale al 1978, si aprirono per Alda Merini i cancelli dell’Istituto Paolo Pini. Ecco quindi che la poetessa poté ritornare nel mondo, in quella stessa società che l’aveva allontanata e quasi scartata. Alda era rifiorita, aveva ricominciato a scrivere, e in questo periodo nacquero alcuni dei suoi componimenti più affascinanti che diedero in seguito vita a raccolte come la già citata Terra santa. Poté rinascere nel mondo che stava al di fuori del manicomio, ma nascere una seconda volta non è cosa facile. Quasi quindici anni di manicomio non potevano passare in sordina. Alda doveva entrare nuovamente in confidenza con un mondo che non conosceva più, e che forse si era anche dimenticato di lei. Adesso aveva quasi cinquant’anni. Il marito Ettore era morto nel 1981. Sicuramente Alda Merini adesso era sola, veramente sola, forse più di quanto lo era stata in manicomio. In questo periodo affittò una camera al pittore Charles, un amico, un clochard che viveva sul Naviglio. A lui dedicherà in seguito la raccolta Poesie per Charles. In 21

Ibi, p. 50.

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quegli stessi mesi intrecciò una relazione con Michele Pierri. Come leggiamo in Reato di vita: Giacinto Spagnoletti, tarantino di nascita [...] fu colui che, senza volerlo, combinò il mio secondo matrimonio con Michele Pierri. Michele Pierri, fondatore dell’Accademia Salentina e amico di Maria Corti, Ungaretti, Quasimodo, chirurgo valentissimo e a parer mio grande poeta […]. Tra me e Pierri nacque in tarda età una grande passione amorosa, all’inizio puramente telefonica, che i figli non capirono. Capì invece Ettore, mio marito. Ormai gravemente malato parlò con lui: «Le affido mia moglie, ne abbia cura e le faccia da padre».22

Tale legame telefonico durò circa due anni. 23 In seguito, Pierri, che allora aveva più di ottant’anni, venuto a sapere che Alda aveva affittato una camera a Charles, decise di portarla via da Milano e di sposarla. Alda e Michele non si erano mai visti prima. Nel 1984 arrivò così il secondo matrimonio e la Merini si trasferì a Taranto. Il periodo tarantino sembrava essere caratterizzato da una relativa tranquillità. L’amore con Michele, che segnerà le pagine del Delirio amoroso, era un amore forte. Era come se Michele, avendo portato via Alda da Milano, avesse voluto sottrarla e allo stesso tempo ripagarla delle sofferenze e degli anni passati in manicomio. La malattia mentale, a Taranto, sembrava soltanto un ricordo lontano. Tuttavia Michele era un uomo spesso assente, e Alda si sentiva lasciata sola. Era inoltre un uomo geloso, e in casa dominava il ricordo della moglie precedente, di modo che Alda non si sentì mai accettata. Michele, come mio nonno, era gelosissimo: con un gesso faceva dei cerchiolini intorno alle sedie per vedere se qualcuno era venuto a trovarmi e aveva preso un cane terribile che avrebbe sbranato chiunque avesse osato avvicinarsi. E io languivo nella più nera solitudine.24

Dopo qualche tempo Michele si ammalò e il rapporto si interruppe.

22

Ibi, p. 34. Riccardo Redivo, invece, parla di quattro anni, in R. REDIVO, Alda Merini. Dall’orfismo alla canzone. Il percorso poetico (1947-2009), Asterios Editore, Trieste 2009, p. 52. 24 A. MERINI, Reato di vita…, p. 37. 23

14


I.7. Di nuovo a Milano Nel 1986 Alda fece ritorno a Milano. Qui, presso il Centro Psico-Sociale di via Conca del Naviglio, iniziò una cura con la dottoressa Marcella Rizzo, a cui dedicherà alcune poesie. La Merini soffriva terribilmente per la fine del matrimonio con Pierri. Sembrava che la vita non le desse scampo dal dolore. Michele era l’ennesimo uomo che l’aveva abbandonata, proprio come avevano fatto suo padre, Manganelli, Ettore Carniti, Pierre in manicomio. Dopo quattro anni di permanenza a Taranto non era facile ristabilirsi a Milano. Alda non era più in contatto con molti dei suoi amici. Era di nuovo sola. Tornare sul naviglio dopo quattro anni d’assenza mi è stato più che doloroso: disumano. Essere sradicata dal proprio ambiente, non trovare più radici, né patria, né letto d’amore. Quel letto di tacito desiderio, il letto delle nascite, a Taranto, è stato buttato (per eufemismo) e sono tornata al mio, diventato letto psichiatrico […]. Il Naviglio, stanco, riottoso, difficile, antico, stracarico, colpevole, puttanesco, drogato di sogni, ritoccato dalla mano sapiente del consumismo, oggi sembra un’allegra prostituta ballonzolona […]. Il Naviglio, struggente come una lacrima. Il mio viso, una grande lacrima del naviglio. 25

Il pensiero di Michele divenne, dopo il ritorno a Milano, vera e propria ossessione. Alda era probabilmente ricaduta nelle trappole della malattia mentale e, soprattutto, non aveva più i contatti con l’ambiente letterario di un tempo. Come se non bastasse, questo fu un periodo contrassegnato dalle difficoltà economiche. Sono vissuta quasi nella sporcizia per due anni, incapace di fare ciò che dovevo. I medici venuti non potevano far altro che constatare il mio stato di abbandono morale e fisico. Alcuni mi dicevano che spendevo troppo, ma che cosa spendessi non so. Forse sono talmente pazza che non capisco né voglio capire più niente […]. Ma nessuno mi ha mai veramente aiutato. Ognuno ha badato ai fatti suoi. Ognuno mi ha giudicato. Nessuno ha avuto pietà, forse neanche tu.26

Dopo questi anni difficoltosi, Alda Merini tornò finalmente a pubblicare. Era già uscito nel 1986 L’altra verità. Diario di una diversa, e, nel 1988, venne pubblicata la raccolta Testamento.

25 26

EAD., Delirio amoroso, in EAD., Il suono dell’ombra…, p. 800. Ibi, p. 846.

15


Da qui Alda sembrò riallacciare i rapporti con gli amici di un tempo, con l’ambiente culturale di Milano, tra cui soprattutto Maria Corti, e le sue pubblicazioni si fecero sempre più frequenti. Cominciò anche la collaborazione e l’amicizia con Alberto Casiraghy. La Merini accolse in casa anche Titano, un barbone del Naviglio, a cui dedicherà la silloge Titano amori intorno. Questo fu il periodo in cui frequentava il Chimera, un bar libreria di via Cicco Simonetta, vicino a Porta Genova, dove spesso incontrava gli amici e gli ammiratori, ai quali molte volte regalava i suoi versi in cambio di un caffè o di una fetta di torta. Fu il periodo in cui venne consacrato il suo successo, probabilmente a partire, come molti sostengono, da un articolo di Giovanni Raboni apparso sul “Corriere della Sera” nel gennaio del 1990. 27 Nel 1993 ricevette uno tra i riconoscimenti più prestigiosi per un poeta, il premio Librex intitolato a Eugenio Montale, di trentacinque milioni di lire. Ma rimase una poetessa povera. Il bancario, con inaudita tristezza, me lo tolse di mano e me lo vincolò tirando in ballo il fatto che, avendo io in casa Titano, non poteva darmi soldi che sarebbero finiti chissà dove. Mi trovai sull’orlo della rovina. Ogni giorno andavo da lui e lo pregavo di sbloccarmi l’assegno finché un altro bancario non gli disse: «Ma perdio, son soldi suoi». In casa mia rubarono tutto e Titano non fu più trovato. 28

Nel 1995 ottenne il vitalizio della legge n. 440 dell’8 agosto 1985, la cosiddetta “legge Bacchelli”, con cui sembrò arrivare, dopo tanto tempo, anche la tranquillità economica.

I.8. L’ultima stagione Arrivati alle soglie del 2000, Alda Merini continuava incessantemente a scrivere e a pubblicare. E non solo. Perché ottenne anche un notevole riscontro del pubblico, soprattutto da parte dei giovani. 27

Cfr. G. RABONI, Alda, la perfezione del dolore. Fra malattia e passione quasi un poema in prosa, in “Corriere della sera”, 21 gennaio 1990. 28 A. MERINI, Reato di vita…, p. 60.

16


Nel 1966 vinse il Premio Viareggio, e nel 1999 il Premio della Presidenza del Consiglio per la Poesia. La sua popolarità continuava a crescere in maniera smisurata, anche grazie alla televisione. Era avviata da qualche tempo anche la collaborazione con Einaudi, ma altri colossi dell’editoria si contendevano la poetessa. Alda Merini riusciva a vendere ventimila copie con un libro e pubblicava anche sei titoli l’anno. Infine, nel 2001, venne candidata per il Premio Nobel. Tuttavia, e forse purtroppo, Alda Merini diventò in questo periodo una sorta di fenomeno mediatico. Venne ospitata sempre più spesso in diverse trasmissioni televisive. Sono d’accordo con Roberta Alunni quando dice che […] se da un lato, ciò la fa conoscere al grande pubblico, dall’altro dà grande rilievo alla sua vicenda personale rischiando di mettere in ombra la bellezza delle parole. Il mezzo televisivo si dimostra, anche in questo caso, lama a doppio taglio, dal grande potere divulgativo, ma al tempo stesso straniante, omologativo, contenitore nel quale è facile confondere le carte.29

Senza rendersene conto, Alda Merini diventò un oggetto televisivo, vittima dei meccanismi dei grandi mezzi di comunicazione: ne sono testimonianza le fin troppo celebri interviste al “Maurizio Costanzo Show” e negli ultimi anni al “Chiambretti Night”.30 Si trattò di interventi discutibili, che suscitarono tra l’altro diverse critiche da parte di alcuni ambienti letterari. Alda era ormai anziana. La sua salute cominciava a vacillare. Negli anni novanta aveva subito due interventi chirurgici a causa di un’ernia intestinale e nel 2000 un’operazione all’anca. È impossibile non commuoversi di fronte alle parole con cui Ambrogio Borsani ricorda gli ultimi giorni: Pochi giorni prima della sua fine fui avvisato dalla figlia Emanuela che la mamma aveva perso conoscenza e tutto poteva succedere da un momento all’altro. Raggiunto l’ospedale in taxi col pensiero di non trovarla più in vita, la trovai invece seduta sul letto che fumava una sigaretta. Le quattro figlie erano lì schierate contro la parete. Allora lei portando la sigaretta all’angolo della bocca cominciò a cantare con un filo di voce una canzone popolare milanese, “Porta Romana Bella”. La

29

R. ALUNNO, Alda Merini. L’«Io» in scena, p. 112. La prima apparizione in tv si deve a Paolo Taggi, cfr. A. MERINI, Più della poesia. Due conversazioni con Paolo Taggi, Interlinea, Novara 2010. 30

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strofa che cantò diceva «La gioventù passa, la mamma muore, resta la fregatura del primo amore»; poi scorrendo con gli occhi le figlie schierata al fianco del letto ripeté «la mamma muore».31

Alda Merini morì il primo giorno di novembre del 2009.

31

A. BORSANI, Il buio illuminato di Alda Merini, in A. MERINI, Il suono dell’ombra…, p. LXI.

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II. I RAPPORTI CON GLI EDITORI

Alda Merini ha pubblicato uno straordinario numero di libri. Per questo comporre una bibliografia completa della poetessa è iniziativa difficile se non quasi impossibile. Tralasciando le opere pubblicate da Pulcinoelefante, che tratteremo nel capitolo successivo, i titoli elencati dal Sistema Bibliotecario Nazionale sono trecentottantasei. Mi sembra evidente che non è possibile, né sarebbe opportuno, dare una descrizione di tutte le opere della poetessa in questa sede. Mi soffermerò pertanto sulle pubblicazioni a mio avviso di maggior rilievo, che, per i motivi che vedremo, costituiscono dei piccoli casi editoriali.

II.1. Le prime pubblicazioni Le prime poesie di Alda Merini escono nel 1950 sulla rivista “Paragone”, mensile di arte figurativa e letteratura fondata da Roberto Longhi. 32 Si tratta delle liriche Lettere ed Estasi di San Luigi Gonzaga. Sempre nel 1950 viene pubblicata l’antologia Poesia italiana contemporanea, 1909-194933 curata da Giacinto Spagnoletti. Essa contiene cinque componimenti meriniani: La presenza di Orfeo, Il gobbo, La città nuova, Luce e la già citata Lettere. In queste poesie appaiono in nuce i temi che caratterizzeranno molte opere di Alda Merini. Si tratta del tema religioso, il quale però viene sempre fuso assieme al tema erotico e carnale, in un gioco in cui i confini delle due dimensioni si fanno indistinti e arrivano a confondersi:

Coi ginocchi piegati sul primo dei tre gradini dell’altare, Dio dell’innocenza

32 33

In “Paragone”, 4, (1950), p. XXI-XXXII. Cfr. Poesia italiana contemporanea. 1909-1959, a cura di G. Spagnoletti, Guanda, Parma 1959.

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Io ti chiedo al mio amplesso.34

E ancora, i versi di Luce, dedicata a Giacinto Spagnoletti: Beata somiglianza, beatissimo insistere sul giuoco semplice e affascinante e misterioso d’essere in due e diverse eppure tanto somiglianti35

L’anno seguente Alda Merini viene inserita in un’altra antologia, Poetesse del Novecento.36 La raccolta contiene Il gobbo, Luce, S. Teresa del Bambino Gesù e Lasciando adesso che le vene crescano. Quest’ultima, assieme a La presenza di Orfeo, costituisce una sorta di iniziazione e insieme di invocazione alla poesia: […] e mi dissanguo di canto “vero” adesso che trascino la mia squallida spoglia dentro l’orgia dell’abbandono […].37

II.2. La presenza di Orfeo È il 1953 quando l’editore Schwarz pubblica La presenza di Orfeo, nella collana “Campionario” diretta da Giacinto Spagnoletti. Si tratta della prima raccolta interamente di Alda Merini, uscita grazie all’interessamento della contessa Ida Borletti.38 Alda, assieme ai suoi fratelli, ogni estate era ospite dello zio paterno, che aveva una tenuta a Torino. È in questa città che nasce la raccolta.

34

A. MERINI, La presenza di Orfeo, Schwarz, Milano 1953, in EAD., Il suono dell’ombra…,p. 29. Ibi, p. 23. 36 Cfr. Poetesse del Novecento, All’insegna del Pesce d’oro, Milano 1951. 37 A. MERINI, La presenza di Orfeo, Schwarz, Milano 1953, in EAD., Il suono dell’ombra…, p. 28. 38 R. ALUNNI, Alda Merini…, p. 26. 35

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A quindici anni ero stata mandata a Torino per una grave anoressia, iniziata durante la guerra a causa della vera fame che si era provata ed aggravatasi per il dolore causatomi dall’interruzione degli studi ordinata da mia madre. Era nato mio fratello e non c’era da mangiare per tutti. I miei zii mi fecero curare dai migliori neurologi di Torino, ma non volevo guarire. Afflitta da una tremenda cecità isterica, un giorno il dottor G. alle Molinette ebbe una pensata: mi mise in mano un libro e mi ordinò brutalmente di leggere. Lo guardai negli occhi e nacque dentro di me La presenza di Orfeo…39

Molte poesie della raccolta sono dedicate ai grandi amici di via del Torchio; in particolare, Luce è intitolata a Giacinto Spagnoletti, e Lettere a Silvana Rovelli. Il titolo della raccolta è emblematico. La poetica dell’orfismo esalta la funzione della parola la quale, nel momento in cui si forma nell’indistinto dell’interiorità, rivela l’essenza dell’Universo al poeta, rendendolo coscienza superiore della stessa condizione umana. La parola poetica è, in tale accezione, strumento conoscitivo privilegiato, rivolto alla percezione di una oggettività sensibile colta nella sua struttura intima e nella sua sostanza […]. La peculiarità disvelatrice del momento creativo rende la poesia di per sé salvifica, poiché consente all’uomo di prendere contatto con le origini del proprio essere, salvandolo dal rischio di una perdita del senso o dall’identificazione con la prassi.40

Lungi dall’inserire Alda Merini nella categoria della poesia orfica novecentesca, questa definizione ci aiuta a comprendere il panorama in cui si inscrive La presenza di Orfeo.

Il mio Orfeo è di ispirazione amorosa, è femminile, è molto morbido, non ha niente a che vedere con la ritualità folle di Campana.41

Nella raccolta emerge chiaramente che il canto del poeta è l’unico modo per esplorare il mondo e per contrapporsi alla morte dell’anima. Secondo la tradizione mitologica, infatti, Orfeo è colui che, ricevuta una cetra in dono da Apollo, riesce, con il suo canto, a portare all’estasi tutta la natura. Dopo la morte della moglie Euridice, egli decide di scendere nell’Ade per riportarla nel regno dei viventi. Aveva infatti ottenuto la restituzione della sposa dagli dei grazie al suo canto. Tuttavia, com’è noto, Orfeo fallirà nella sua impresa. Allo stesso modo Alda Merini si affida alla parola poetica: 39

A. MERINI, Reato di vita... p. 22. Il canto strozzato. Poesia italiana del Novecento a cura di G. Langella ed E. Elli, Interlinea, Novara 2011, p. 145. 41 A. MERINI, Reato di vita…, p. 109. 40

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Orfeo novello, amico dell’assenza, modulerai di nuovo dalla cetra la figura nascente di me stessa. Sarai alle soglie piano e divinante, di un mistero assoluto di silenzio, ignorando i miei limiti di un tempo, godrai il possesso della sola essenza. […] Così, nelle tue braccia ordinatrici io mi riverso, minima ed immensa; dato sereno, dato irrefrenabile, attività perenne di sviluppo.42

Questa poesia riassume perfettamente non solo il senso e i temi dell’omonima raccolta, ma di buona parte della produzione di Alda Merini. Innanzitutto, la consacrazione della poesia, in quanto elemento salvifico che sottrae l’anima alla morte. Inoltre, l’erotismo, che, come vedremo, è una delle costanti nella produzione della poetessa, e che è quasi sempre collegato alla sacralità. […] Allora io prendevo la parte migliore dell’amato, il suo sapere o le sue virtù, prendevo la parte più consistente che potevo poi utilizzare, non certo i suoi beni immobili. Però, rinunciando a quello che era la forza della natura che poi andava a vivere nel condotto della poesia, ecco la presenza di Orfeo: quest’uomo che arriva, che ti santifica attraverso l’amore.43

Troviamo poi il tema dell’anima e del corpo, invischiati in un gioco amoroso fatto di scissioni e ricomposizioni. E infine, il ruolo del poeta, che si rivela essere quasi un veggente, una sibilla. Questa la descrizione del poeta di Alda Merini:

Quello che ha dentro è uguale a quello che sentono tutti, ha solo più capacità di dirlo: ha più sentimento, più rapimento, ma non è che sia molto lontano dal sentire comune, altrimenti gli altri non lo intenderebbero. Il poeta canta a nome di tutti.44

II.3. Prima del manicomio Nel 1955 escono due raccolte poetiche: Nozze Romane presso Schwarz e Paura di Dio, edito da Scheiwiller. Come afferma Ambrogio Borsani: 42

EAD., La presenza di Orfeo, in EAD., Il suono dell’ombra…, pag. 16. EAD., Reato di vita…, pp. 134-135. 44 Ibi, p. 112. 43

22


Per quanto riguarda il rapporto cronologico tra Paura di Dio e Nozze Romane, si segnala che in una lettera di Alda Merini a Vanni Scheiwiller del 23 dicembre 1954 (Centro Apice, Milano) la poetessa sostiene di aver espunto le poesie destinate a Schwarz per evitare sovrapposizioni. Evidentemente non le sostituì tutte o non fece in tempo a intervenire.45

Infatti in Paura di Dio, compaiono nuovamente le liriche Amo e tu sai, Epitaffio, Lettera alla mamma di un seminarista morto. Il tema che domina questa raccolta è sicuramente l’amore. Non a caso, la parola è presente in quasi tutte le poesie della raccolta, nei vari lemmi che contengono la radice del verbo “amare”, come “amante”, “innamorata” o “amorosa”. Tuttavia, su questo tema apparentemente felice, si innestano ben presto le ombre del dolore e della caducità della vita. La pienezza del sentimento puro si scontra con i limiti della corporeità e con l’angoscia religiosa che scaturisce dal peccato. Bellissimi i versi di Queste folli pupille: Queste folli pupille Troppo aderenti al ciclo dell’Amore, spengile Tu, Signore […].46

In Nozze romane il sentimento della morte si fa più intenso, e insieme a esso si accresce l’angoscia. Lo vediamo chiaramente nella lirica Una Maddalena, dedicata a Salvatore Quasimodo: […]Ma per ora, il peccato, del mio tutto, resta la tappa ultima e possente ed un ritmo incessante di condanna mi rigetta dal muovermi comune.47

E, a proposito di questa poesia, Alda Merini afferma:

Questo, in parole povere, vuole significare, almeno secondo la mia interpretazione, che ben venga il peccato se può portare a una illuminazione coerente e a una filosofia ben sostenuta del concetto del peccato, della vita, di quello che è la nostra quotidianità terrena.48

45 46

EAD., Il suono dell’ombra…, p. 28. EAD., Paura di Dio, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1955 in EAD., Il suono dell’ombra…,

p. 75. 47 48

EAD., Nozze romane, Schwarz, Milano 1955, in EAD., Il suono dell’ombra…, pp. 36-37. EAD., Reato di vita…, p. 97.

23


Le due raccolte non ottengono però il successo de La presenza di Orfeo. E così avviene anche per Tu sei Pietro, edita presso Scheiwiller nel 1962: Lo stupore che aveva suscitato con i primi libri si attenua.49

Tu sei Pietro nasce dall’amore non corrisposto per il medico Pietro de Pascale, ed è un’opera, come s’intuisce dal titolo stesso, fortemente intrisa di rimandi evangelici. Essa segna inoltre una sorta di spartiacque nella produzione della poetessa, perché, come sappiamo, a questa pubblicazione seguiranno quasi vent’anni di silenzio.

II.4. Dopo il manicomio In seguito la Merini approda a uno stile molto diverso, che scivola nella direzione della prosa. Questa, tuttavia, non andrà subito incontro al successo editoriale. È del 1962 una lettera della casa editrice Mondadori, scritta da Vittorio Sereni, nella quale vengono rifiutate le sue proposte: Cara amica, ho fatto leggere i suoi racconti da un nostro consulente, perché mi sapesse dire se sono adatti per i nostri periodici. Il parere è purtroppo negativo (per la verità, non riesco a rendermi conto come lei, che ha scritto le poesie che ha scritto, possa fare dei racconti in partenza destinati ai periodici) […]. Rimango in attesa della raccolta di poesie che sta preparando e frattanto mi creda coi più cordiali saluti, suo Vittorio Sereni.50

Ambrogio Borsani riporta inoltre una seconda lettera di rifiuto, riferita alla medesima raccolta di poesie: Nelle nostre scelte noi puntiamo oggi su direzioni diverse, lontane dalla “grandiosità”, dalla “concitazione”, dalla “visionarietà” che caratterizza l’ormai lungo e abbondante suo lavoro […]. Noi le riconosciamo una forza e un “carattere”, ma vorremmo fermarci – in contraddizione con quanto dicevo all’inizio – solo su taluni aspetti della sua opera […]. Il gruppo “Lettera all’uomo” è per ora troppo smilzo perché sia possibile farne oggetto di una pubblicazione a sé stante. In altri termini, noi

49 50

A. BORSANI, Il buio illuminato di Alda Merini, in A. MERINI, Il suono dell’ombra…, p. XXIV. Ibi, p. XXV.

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vorremmo avere maggiori possibilità di scelta all’interno del suo lavoro e rispetto ai nostri gusti. Quella che chiamerò l’operazione Merini presso di noi non è ancora matura.51

Alda Merini in seguito cerca l’appoggio dell’editore Cino del Duca, ma anche questo tentativo è destinato a fallire. 52 Nonostante i rifiuti, nonostante i lunghi anni del manicomio, Alda torna a pubblicare. Finalmente, nel 1980, esce Destinati a morire. Poesie vecchie e nuove presso l’editore Antonio Lalli. Nel 1981 pubblicherà, grazie all’aiuto di alcuni amici, il libro Poesie, in ciclostile. La poetessa non si dà per vinta, e nel 1983 vengono pubblicate tre raccolte di poesia: Le Rime petrose, Le più belle poesie, Le Satire della Ripa. Quest’ultima raccolta contiene liriche dedicate a Michele Pierri. Il 1984 è l’anno di La Terra Santa uscita anche grazie all’appoggio di Maria Corti, che l’anno precedente aveva fatto pubblicare una trentina di poesie sulla rivista “Il cavallo di Troia”, poi confluite nella raccolta. La prima edizione esce presso Scheiwiller ed è curata dalla stessa Corti. La seconda, edita da Laicata, a cura di Giacinto Spagnoletti, è più ampia e porta il titolo La Terra Santa e altre poesie. La Terra Santa è uno splendido capolavoro, ma non viene accolto come meriterebbe. Essa è il racconto delle ferite inferte dal manicomio. Il linguaggio è diventato più irto, solenne, meno giovanile. Ma non meno giovanile perché avevo trent’anni e prima ne avevo quindici, perché non sono diventata una donna in manicomio, ma una donna terrorizzata, una donna con delle incisioni fatali sulla fronte, delle ferite mortali, e quindi era una poesia di dolore. Mentre nelle prime poesie c’è speranza, un voler arrivare al sogno, in La Terra Santa non esiste una speranza, esiste un prender nota della situazione, un cantare al buio, nel buio più terrorizzante. È fare poesia, ma è fare poesia disperata[…]. Raramente si riesce a far poesia sul manicomio, è un miracolo uscirne, cantarlo poi è quasi impensabile: però io ci sono riuscita raccogliendo da una parte l’immondezza e facendo i conti con le duecento lire della spesa e con l’occhio malevolo del vicino[…]. E sono tanti gli autori che hanno pagato non per la loro poesia, ma per la demenza degli altri che non hanno rispetto del tormento del poeta, dell’isolamento, del quale non può fare a meno.53

51

Ibidem. Ibidem. 53 A. MERINI, Reato di vita…, pp. 100-101. 52

25


Il manicomio si identifica così con la terra biblica, con la terra promessa, luogo di liberazione del popolo dei malati. Ho conosciuto Gerico, ho avuto anch’io la mia Palestina [...].54

II.5. I libri con i grandi editori Nel 1986 esce presso Scheiwiller L’altra verità. Diario di una diversa. Anche quest’opera, come La Terra Santa, è la testimonianza degli anni trascorsi in manicomio. È il primo testo in prosa di Alda Merini. Le nostre infermiere erano esseri privi di qualsiasi sentimento umano, almeno per quanto ci riguardava, e, dato che la nostra vita all’interno dell’ospedale era già tanto difficile, ce la rendevano ancora più nera mortificandoci e dandoci a vedere a ogni piè sospinto che noi eravamo “diverse”[…].55

Essa è la descrizione dettagliata di ciò che accade nell’inferno del manicomio, anche se non sempre i fatti raccontati corrispondono alla realtà. Si tratta di una storia che potrebbe essere inventata ed è invece un atto d’amore e di spietate constatazioni dei fatti. Il Diario è un’opera lirica in prosa ma è anche un’esegesi, una implorazione e la completa distruzione di ogni filosofia e di ogni atto concettuale. È stato scritto con il linguaggio semplice di chi nel manicomio ha scordato tutto e non vuole né vuole più ricordare. Rimane la velata e struggente nostalgia del manicomio come tempio di una aberrante religione. I fatti sono simbolici […].56

Da questo momento, la poetessa non può più prescindere dalla prosa, che si infiltrerà sempre più anche nei versi. Ancora, nel 1988 esce, presso l’editore Crocetti, la raccolta Testamento, a cura di Giovanni Raboni. Essa comprende liriche in gran parte dedicate a Michele Pierri. […] Eravamo due poeti e ci si voleva molto bene. Ridotta in termini molto realistici, molto brutti, poteva sembrare fosse stato un matrimonio d’interesse, di testamento (da qui il titolo Testamento della 54

EAD., La Terra Santa, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1984, in EAD., Il suono dell’ombra…, pp. 230-231. 55 EAD., Diario di una diversa, in EAD., Il suono dell’ombra…, p. 717. 56 Ibi, p. 787.

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raccolta di poesie dedicata a Michele), di proprietà; perché Pierri prima di morire volle fare un testamento, e questa fu proprio la cosa che scatenò la guerra fra gli eredi, per cui io preferii andarmene indignata da tanta scurrilità.57

Da qui in poi, Alda Merini comincerà a pubblicare incessantemente. Ambrogio Borsani sottolinea questo cambiamento riferendosi ai primi anni novanta: Incomincia in questo periodo un fenomeno incontrollabile, inarginabile e forse unico nella poesia italiana. La Merini accresce la sua produzione in modo continuo, abnorme. Dalle due vecchie macchine per scrivere che allora teneva sul tavolo ingombro fino all’inverosimile, escono ogni giorno numerose poesie. Spesso sono anche battute di corsa con passi indecifrabili. Oltretutto le due macchine avevano i rotoli del nastro penzolanti e molte righe risultavano quasi bianche […]. Alla metà degli anni novanta Alda Merini è diventata una manna per editori improvvisati, qualche volta di sottobosco. Bastava andare in casa sua con un mazzo di fiori o un panettone, una cifra modesta, anche centomila lire di allora, e se si conquistava la sua simpatia si poteva uscire di casa con un mazzetto di poesie e stamparsi una plaquette.58

Nel 1991 esce Vuoto d’amore. D’ora in poi Einaudi comincerà a occuparsi dell’autrice, dando vita a un vero e proprio caso editoriale. L’opera, nella prima tiratura, venderà duemilacinquecento copie. Ma fino ad oggi ne sono state fatte ventidue ristampe, per un totale di circa quarantamila copie vendute. Per Einaudi usciranno nel 1995 Le Ballate non pagate, a cura di Laura Alunno, e nel 1998 Fiore di Poesia. 1951-1997, opera che, con le sue quindici ristampe, conta un totale di circa novantamila copie vendute.59 Nel 1999 Vanni Scheiwiller recupera dei racconti che Alda Merini gli aveva inviato circa trent’anni prima e li pubblica con il titolo Il ladro di Giuseppe. Nel 2000, ancora presso Einaudi, esce Superba è la notte. Si tratta di una raccolta di poesie inedite che venderà, nel corso degli anni, fino a venticinquemila copie. Forse è tra le più belle raccolte di Alda Merini, perché vi si può leggere la storia di una vita. Queste poesie sono scritte in un linguaggio fluttuante, che si dissolve appena si cerca di comprenderne il senso. Vi troviamo i temi dell’amore, del peccato, della follia, della solitudine, della morte; ci sono poesie dedicate ai grandi amici, come Ambrogio Borsani e Vanni Scheiwiller, quelle dedicate alle figlie, al

57

EAD., Reato di vita…, p. 118. A. BORSANI, Il buio illuminato di Alda Merini, in EAD., Il suono dell’ombra…, pp. XLVIIIXLIX. 59 Fonte: ufficio stampa Einaudi. 58

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marito. Si tratta, a differenza delle raccolte precedenti, di una poesia matura, densa di esperienze e fortemente commovente. Eccone un esempio: Ci sono giorni che corrono dietro le foglie come spettacoli pieni, anelli di calce che chiudono un volto un silenzio segreto che mi inchioda. La croce del tuo viso ove la fisionomia della materia diventa spettro, grido umanamente sconvolto e il vecchio senso che apre ferme similitudini.60

Comincia a questo punto anche la collaborazione con la casa editrice Mondadori, con la pubblicazione, sempre nel 2000, di L’anima innamorata. Presso Arnoldo Mosca Mondadori per Frassinelli usciranno altri sei titoli: Corpo d’amore. Un incontro con Gesù nel 2001, Magnificat. Un incontro con Maria nel 2002, La carne degli angeli nel 2003, Poema della croce nel 2004, Cantico dei Vangeli nel 2006, Francesco. Canto di una creatura nel 2007. Dal 2003 l’editore Acquaviva delle Fonti comincerà a pubblicare una serie di libricini, per arrivare a una trentina di titoli fino ad oggi. 61 Forse l’editore Acquaviva rimane un caso particolare in questo percorso. Il suo operato sembra essere, a mio avviso, una strumentalizzazione della poetica di Alda Merini. Non a caso, per Acquaviva, usciranno titoli che non rendono giustizia al nome della poetessa, come La scopata di Manganelli. E potrei citare moltissimi altri editori. Forse è difficile trovarne uno che non abbia pubblicato qualcosa di Alda Merini. Come diceva la stessa Merini: Sono il juke-box dei miei editori.62

60

A. MERINI, Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000, in EAD., Il suono dell’ombra…, pag. 595. Fonte: sbn. 62 A. MERINI e A. CASIRAGHY, Se gli angeli sono inquieti, Shakespeare and Company, Sancasciano 1993, p. 14. 61

28


III. LE PUBBLICAZIONI PULCINOELEFANTE

Notte tempo il vecchio portò suo figlio sul monte dell’elefante, ma lo salvò il Pulcino perché dovevano nascere i librini di Alberto.63

Inizia così la storia di Alberto Casiraghy, in arte Casiraghy, e delle edizioni Pulcinoelefante.

III.1. Il periodo dell’oralità di Alda Merini Quando Casiraghy conosce Alda Merini siamo negli anni novanta, e questa informazione ci porta a fare alcune precisazioni. Qui infatti possiamo far cominciare il periodo che molti definiscono “dell’oralità”. 64 La Merini detta le sue poesie agli amici, molte volte per telefono. È del tutto assente un lavoro di revisione. Si tratta spesso di componimenti più brevi rispetto a quelli delle raccolte precedenti, in cui può mancare una vera e propria struttura sintattica, con periodi poco costruiti, talvolta difficili da comprendere. Sono liriche che rimandano a un significato che va oltre la comprensione razionale, ma che, proprio per questo, riescono talvolta a toccare le corde dell’animo. Eccone un esempio: Rendimi i miei capelli, non portarli con te nelle tue pene, inebriami di baci, come statua che abbia compiuto musiche maggiori.65

63

Cfr. A. MERINI, Breve storia del Pulcino elefante, Pulcinoelefante, Osnago 1996. R. REDIVO, Alda Merini…, p. 134. 65 EAD., Ballate non pagate, Einaudi, Torino 1995, in EAD., Il suono dell’ombra…, p. 435. 64

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Si passa da un pensiero all’altro, e sembra sia impossibile cogliere il significato di queste liriche. In realtà, io credo siano queste le poesie più stupefacenti di Alda Merini: apparentemente senza senso, eppure bellissime. Come afferma Riccardo Redivo: La capacità più grande della Merini è usare metafore sorprendenti e trovare similitudini al limite della ragionevolezza. La stessa Maria Corti afferma che un aspetto meritevole di segnalazione è il «processo metaforico del suo linguaggio, di cui è coautrice probabilmente la lieve schizofrenia, per natura atta a generare ‘figure di pensiero’ tra cui domina la metafora».66

Quando ho avuto il piacere di parlare con Ambrogio Borsani, grande amico di Alda Merini che ha scritto alcune introduzioni e curato alcune delle sue opere, mi ha detto che spesso Alda gli telefonava, in qualsiasi momento della giornata, e aveva all’improvviso una poesia da dettargli, e lui, di corsa, doveva scrivere. La caratteristica del parlato della poetessa non è nata solo in questi ultimi anni […]. Le poesie cosiddette orali, che sono immediata dettatura, non si manifestarono subito […]. Con l’andare del tempo la genesi poetica si modificò: le poesie non avevano più bisogno (per lei) di essere riviste o dovevano esserlo solo in modo sommario. Tale procedimento andò estremizzandosi (vuoi per i numerosi impulsi improvvisi, vuoi per le numerose richieste, vuoi per la cagionevole salute) fino a portarla a dettare le poesie al telefono o a chi le stava di fronte.67

Anche Luisella Veroli ci conferma la tendenza all’oralità della Merini affermando che: Nel corso della mia frequentazione di Alda Merini da gennaio a giugno 1994, nella camera dell’hotel Certosa, è capitato che, mossa da un impulso improvviso ad esprimersi in versi, interrompesse la narrazione della sua vita per dettarmi brevi poesie. 68

III.2. La casa editrice Pulcinoelefante Alberto Casiraghy ha cinquantotto anni, ed è a dir poco un personaggio poliedrico, ma, allo stesso tempo, semplice e limpido. È liutaio, poeta, illustratore, ma soprattutto, tipografo, unico nel suo genere. Da ragazzo ha lavorato come apprendista compositore alla Same di Milano, dove si stampavano molti quotidiani importanti, 66

R. REDIVO, Alda Merini…, p. 136. Ibi, pp. 144-145. 68 EAD., Reato di vita, p. 74. 67

30


tra cui “Il Giornale” di Indro Montanelli che spesso si rivolge a lui per la composizione.69 Le edizioni Pulcinoelfante sono nate in un pomeriggio ventoso del 1982. 70 Il nome è emblematico. Da allora, Pulcinoelefante dà alle stampe libri minuscoli, composti da poche pagine, e dalle tirature limitate (all’incirca trenta): dei veri e propri capolavori che ogni bibliofilo che si rispetti dovrebbe possedere. «La casa editrice è nata dal mio amore per l’arte e la poesia e dal desiderio di offrire una vetrina a chi sente di avere un animo artistico oppure poetico. Per i primi dieci anni ho vissuto questa iniziativa come un hobby ma dal 1992 mi ci dedico a tempo pieno. È un’attività che mi soddisfa molto perché, oltre a darmi da vivere, mette a frutto le mie inclinazioni e capacità e mi consente di fare conoscenze ed esperienze sempre nuove e interessanti».71

La Pulcinoelefante ha dato alle stampe, fino al 2005 circa seimila libricini. 72 Ma i libri pubblicati fino ad oggi sono più di ottomila. Tra gli autori, troviamo nomi tra i più conosciuti, come Bruno Munari, Andrea Zanzotto, Nico Orengo, Arturo Schwarz, Alfonso Gatto e Roberto Rebora. Ogni libro contiene dei disegni, incisioni, piccole sculture, dei moltissimi artisti (circa trecento) che collaborano o hanno collaborato con Alberto Casiraghy. I libri Pulcinoelefante sono così: ogni esemplare è unico perché contiene un disegno originale o foto o scultura […]. Le tirature sono limitate, circa trenta copie; piccole di formato, solo otto pagine in carta di cotone, prezzo sempre dieci euro: è l’anima minimalista del “pulcino” che si sposa bene con l’“elefante”, il grande cuore dell’arte che batte da un trentennio dentro le ottomila opere realizzate [...].73

Vanni Scheiwiller ha coniato per lui la più adatta delle definizioni: Un bel matto di editore il “Pulcinoelefante”. Da invidiare con simpatia, perché in fondo, sono parole sue, è il panettiere degli editori: l’unico che stampi in giornata.74 69

S. VASSALLI, Pulcinoelefante: i piccoli libri diventano grandi, in “La Stampa”, 3 giugno 2007, p. XXXIV. 70 Cfr. Edizioni Pulcinoelefante, Catalogo Generale 1982-2004, a cura di Giorgio Matticchio, Libri Scheiwiller, Milano 2005, p. 9. 71 C. MAURO, La storia di Alberto Casiraghy, titolare di Pulcinoelefante, in “Corriere della Sera”, sezione lavoro, 21 marzo 2003, p. XI. 72 Cfr. Edizioni Pulcinoelefante, Catalogo Generale. 73 R. CICALA, Piccolo grande editore, in “La Repubblica”, sezione Milano, 21 ottobre 2010, p .XV. 74 Edizioni Pulcinoelefante, Catalogo Generale, p. 3.

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Verissimo. Alberto Casiraghy può stampare in giornata: L’esperienza di condivisione che sta dietro il libro prevede un rituale, non rigido ma consolidato. Gli ospiti arrivano la mattina: «passiamo del tempo insieme, si cucina si chiacchiera, si va nell’orto e si crea. […]». Poi si pensa alla frase, un aforisma o poco più, e alle immagini, a seconda che chi venga ti porti in dote (e in dono) parole o disegni. «Dopo la stampa, mi faccio aiutare a cucire le pagine. A sera l’ospite se ne va con il libro sotto braccio».75

S’intuisce subito che ad Alberto Casiraghy non interessa guadagnare. Così risponde in un’intervista fatta da Piero Dorfles, quando gli chiede come sceglie gli autori da pubblicare: «Di solito la simpatia». «Ha un prezzo fisso?» «Ma non esiste nemmeno un prezzo. Se viene qualcuno che vedo che non ha soldi glielo regalo. Se no, be’, dieci euro, un prezzo comunque molto poetico». «Dieci euro per questa specie di capolavoro fatto a mano?» «Sì, ma perché la poesia deve essere così». «Lei non vuole guadagnarci». «Ma io, guardi, più ricco di così non se ne parla».76

Ed è vero. Alberto Casiraghy è davvero ricco come dice. Il suo telefono squilla spesso. Il campanello anche. Sono gli amici che lo vengono a trovare.

III.3. Il piccolo editore Alberto Casiraghy e gli artisti Ogni libro della casa editrice Pulcinoelefante è caratterizzato da un breve testo, in genere una poesia o un aforisma, e da un’opera d’arte. Quest’ultima può avere forme differenti, ed è molto spesso un disegno su carta, altre volte invece è una fotografia, una scultura, un’acquaforte o un oggetto. Come abbiamo già ricordato, gli artisti che hanno collaborato con Alberto Casiraghy sono moltissimi. Bisogna anche dire che la maggior parte di questi non godono oggi di grande fama, e anzi, sono sconosciuti ai più. Ma ce ne sono alcuni invece il cui nome è conosciuto a livello nazionale e anche internazionale.

75

C. SEVERINO, La tipografia in salotto che sforna un libro al giorno, in “Corriere della sera”, 27 marzo 2011, p. XXXVI. 76 www.facebook.com/pages/Pulcinoelefante/ (ultima consultazione: 20 gennaio 2012).

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Dobbiamo innanzitutto citare Maurizio Cattelan, che è uno degli artisti italiani viventi più quotati sul mercato.77 Cattelan esordisce nel 1991 con Stadium 1991, ma forse una delle sue opere più conosciute è Untitled, una tela squarciata in tre punti che forma una sorta di “Z” e che, sulla scia di Lucio Fontana, sarà il suo segno di riconoscimento. Le opere di Cattelan sono molto provocatorie e tendono a irrompere con violenza nel sistema dei valori. È sufficiente ricordare La nona ora, un’opera che rappresenta Papa Giovanni Paolo II caduto a terra, con in mano il pastorale, colpito da un meteorite. Non è difficile immaginare lo scalpore e le critiche che essa ha suscitato. L’artista si dedica comunque a diverse forme d’arte, che vanno dalla scultura all’happening, alla performance, al teatro. Maurizio Cattelan ha collaborato con Alberto Casiraghy in due occasioni in particolare. Quella nota ai più riguarda la pubblicazione di un libricino intitolato Diffidate delle imitazioni.78 Il libro, uscito in diciassette esemplari, contiene un frammento di wafer. L’altra collaborazione riguarda invece un libro che riporta il nome di Marchel Duchamp, intitolato Patacche,79 e che reca in copertina la scritta “con un disegno originale”. In realtà il disegno a matita all’interno, che riproduce l’Orinatoio di Duchamp, è stato fatto proprio da Maurizio Cattelan. 80 Un altro degli artisti che hanno collaborato con Casiraghy è Pietro Pedeferri. Scomparso a settant’anni nel 2008, Pedeferri ha insegnato al Politecnico di Milano, dove è stato anche Consigliere di Amministrazione, Direttore di Dipartimento e membro del Senato Accademico. È stato inoltre membro dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere, e nel 1989 ha vinto il premio parigino “Science pour l’art”.81 Egli è ricordato soprattutto per le sue scoperte che riguardano la corrosione dei metalli. In particolare Pedeferri ha messo a punto tecniche specifiche di colorazione 77

www.mauriziocattelan.it (ultima consultazione: 25 gennaio 2012). Cfr. M. CATTELAN, Diffidate delle imitazioni, Pulcinoelefante, Osnago 1993. 79 Cfr. M. DUCHAMP, Patacche, Pulcinoelefante, Osnago 1991. 80 Intervista a Giorgio Matticchio del 28 dicembre 2011. 81 A. CASIRAGHY e P. PEDEFERRI, Tessiture di luce. I librini di Alberto e Pietro, Lucini Libri, Milano 2008, p. [34]. 78

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sul metallo, e su questo tema ha scritto Titaniocromia (e altre cose).82 Egli ha pubblicato con la casa editrice Pulcinoelefante quasi settanta libri,83 molto particolari e forse anche veramente unici perché le opere che contengono sono piccole lastre di titanio la cui colorazione è stata ottenuta grazie a particolari reazioni elettrochimiche. Dobbiamo necessariamente citare anche Bruno Munari, uno dei più grandi artisti del 1900. Munari si è cimentato in diversi generi d’arte sia visiva (pittura, scultura, design, cinematografia) che non (poesia e prosa). Egli ha partecipato all’inizio della sua carriera al movimento futurista e in seguito ha fondato il MAC (Movimento Arte Concreta).84 Nel 1947 ha realizzato Concavo-convesso, una delle primissime installazioni della storia dell’arte. Tra le opere realizzate insieme ad Alberto Casiraghy ricordiamo Aforismi riciclati85 (con un sasso lunare) e A proposito di torroni,86 libro a dir poco stupefacente perché contiene un martello. Non dobbiamo poi dimenticare Enrico Baj, pittore e scultore che a Milano ha fondato nel 1951 il Movimento nucleare e nel 1955 la rivista “Il gesto”.87 Le sue opere passano dal surrealismo al dadaismo; si tratta di bottoni, medaglie, passamanerie unite alla pittura. Baj ha disegnato per le pubblicazioni Pulcinoelefante producendo circa dieci titoli. 88 Stesso numero di opere89 per quanto riguarda Ugo Nespolo. Anche quest’artista si è cimentato in diversi settori tra cui l’abbigliamento, l’arredamento, la grafica pubblicitaria. Nespolo rimane famoso soprattutto per la tecnica dei “puzzles” che consiste nel ritagliare pezzi sagomati di legno e farli combaciare per poi comporre figure irregolari. Anche Claudio Parmiggiani ha lavorato insieme ad Alberto Casiraghy. È un artista di spicco internazionale che ha esordito nel 1965 presso la libreria Feltrinelli di Bologna.90 Le sue opere sono dominate dal silenzio, dal sogno, dalla malinconia e 82

Cfr. P. PEDEFERRI, Titaniocromia (e altre cose), Interlinea, Novara 1999. Cfr. Edizioni Pulcinoelefante, Catalogo Generale. 84 www.munart.org (ultima consultazione: 25 gennaio 2012). 85 Cfr. B. MUNARI, Aforismi riciclati, Pulcinoelefante, Osnago 1991. 86 Cfr. B. MUNARI, A proposito di torroni, Pulcinoelefante, Osnago 1996. 87 Cfr. Enciclopedia Garzanti, Garzanti, Milano 1996. 88 Cfr. Edizioni Pulcinoelefante, Catalogo Generale. 89 Cfr. ibi. 90 Cfr. Enciclopedia Garzanti, Garzanti, Milano 1996. 83

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dal tema dell’assenza. Anch’egli conduce le sue ricerche su percorsi molto differenti, lavorando ad esempio col fuoco, con la polvere o con il fumo. Dunque siamo di fronte alle più svariate forme d’arte. Tra i moltissimi artisti di cui ancora si potrebbe parlare, vorrei citare Franco Matticchio, un disegnatore di professione che attualmente collabora con “Il sole 24 ore” e che ha collaborato con il “Corriere della sera”, il “The NewYorker”, e ha disegnato diverse copertine per la casa editrice Garzanti. 91 I suoi disegni sono ironici ma allo stesso tempo fanno riflettere. Niente di più adatto per un editore come Casiraghy.

III.4. I «pulcini» di Alda Merini La casa editrice Pulcinoelefante è soprattutto legata al nome di Alda Merini. Con la poetessa Casiraghy ha dato avvio a un sodalizio durato quasi vent’anni. Si tratta di un’amicizia e di un rapporto editoriale unici nel panorama letterario italiano, che solo due personalità di tal fatta potevano creare. Da questo legame sono nati circa milleduecento Pulcini, che Casiraghy custodisce tutti nel suo archivio. Quando si entra nel mondo delle edizioni Pulcinoelefante non si può che rimanere sorpresi. Io le ho scoperte per caso, durante la ricerca di un editore che fosse legato al nome di Alda Merini. Quando poi si viene accolti nella casa di Alberto Casiraghy, a Osnago, in provincia di Lecco, non solo si rimane sorpresi, ma anche affascinati. Per chi è appassionato di libri in generale e di piccole opere d’arte in particolare, questo luogo è un porto sicuro. «Cosmonauta immobile, che è a Osnago, in Brianza, Alberto Casiraghy. Una leggenda»92 lo definisce Sebastiano Vassalli nella nota introduttiva al libro di aforismi dello stesso Casiraghy dal titolo Gli occhi non sanno tacere.

91

A. TREVISANI, Il senso di Matticchio per uomini e animali, in “Corriere della sera”, 23 gennaio 2012, p. XI. 92 A. CASIRAGHY, Gli occhi non sanno tacere. Aforismi per vivere meglio, a cura di Sebastiano Vassalli, Interlinea, Novara 2010, p. 9.

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Ho avuto il piacere di incontrare Alberto Casiraghy in un pomeriggio d’inverno, e lui mi accolto con calore in mezzo alle sue pubblicazioni. Il giorno prima, quando gli ho telefonato per chiedergli se potevo andare a trovarlo perché stavo scrivendo una tesi su di lui e su Alda Merini, lui mi ha risposto «Certo! La Merini era la regina di questa casa. La Merini è ancora la regina di questa casa». Alberto ha conosciuto Alda Merini in un’esposizione al Castello di Belgioioso quasi per caso.93 Da allora in poi, per vent’anni, non si sono più lasciati. Si intuisce subito che casa sua è un luogo allegro, e pieno di magia. È un posto che scoppia letteralmente di libri, e non solo, ma anche di opere d’arte. È un luogo pieno di oggetti, di cultura, di sentimenti. Queste parole di Roberto Tilio, amico di Alberto, lo descrivono in maniera perfetta: Alberto vive in una casetta di inizio secolo scorso con la sua macchina tipografica e i suoi “pulcini”. Oltre alle caprette e a tutti i dipinti, disegni, scritti e quant’altro colleziona da tempo. Da quando ha lasciato il lavoro di tipografo si è dedicato alla sua casa editrice e molti gli chiedono come riesca a vivere con questa attività che oltretutto gestisce in forma gratuita. Lui, serafico, risponde che non ha bisogno di molto per vivere; ha una casa, molti amici e una donna che lo ama. E quando suona il campanello della sua abitazione si reca con gioia ad accogliere il nuovo venuto.94

Su alcuni ripiani ci sono dei libri appena stampati. Accanto ad essi quelli non ancora rilegati. All’ingresso mi accoglie, imponente, il torchio tipografico. Nella stessa stanza, tanti cassetti custodiscono, ordinatissimi, i caratteri mobili e i cliché usati per le immagini. Più avanti, in cucina, di fronte a un caffè caldo, inizia la mia conversazione con Alberto. Diversi anni fa, in quella stessa cucina, non molto grande, aveva organizzato un’asta per permettere alla Merini di pagarsi le bollette del telefono. Aveva chiamato una ventina di amici pittori e aveva disposto, qua e là, sui fornelli, sul divano, una quarantina di quadri. Sul tavolo, in piedi, un amico che si era improvvisato battitore d’asta.95

93

A. TORNO, Un quarto di secolo per l’editore bonsai, in “Corriere della Sera”, 9 settembre 2007,

p. X. 94 95

R. TILIO, Sogni incrociati. Ritagli di una vita in viaggio, Altre latitudini, Varese 2009, p. 59. Intervista ad Alberto Casiraghy del 20 dicembre 2011.

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Quel giorno siamo riusciti a vendere tutti i quadri e la Merini è riuscita a pagare tutte le bollette. Da allora, ogni tanto, quando era in difficoltà, mi chiedeva «Alberto, quand’è che rifacciamo l’asta?».96

Come abbiamo detto il rapporto fra la Merini e Casiraghy è durato quasi vent’anni. E, per vent’anni, Alberto si è recato ogni sabato a casa Merini. Da Milano, tornava sempre con qualche poesia.97 Ovviamente non si è trattato solo di un rapporto editoriale ma soprattutto di un’affascinante amicizia. Ecco quello che Alda Merini ha scritto di Alberto: Io e Casiraghy siamo due rinunciatari della vita e insieme due persone ardenti di vita. Il nostro è un sodalizio amore/morte – vita/miracolo, siamo due inermi ma non inerti. Io e Alberto ci vogliamo bene come il legno vuole bene alla foglia e l’anima vuole bene alla morte.98

La giornata di Casiraghy era scandita soprattutto dalle telefonate della poetessa che era a volte ingestibile. Gli telefonava per dettargli qualche riga, o anche solo pochissime parole, e poi diceva «Alberto, dai, stampa. Facciamo un libro». Spesso, capitava anche che si arrabbiasse. Gli diceva «Basta! Io non ti voglio più». Poi passava un giorno, e ritelefonava «Ah, fai il duro eh?! Dai, facciamo un altro libro». E allora ritornava a dettare.99 Perché Alda Merini, si sa, aveva un carattere difficile. In un’altra occasione Casiraghy l’aveva accompagnata a una serata programmata da qualche tempo. C’era un pubblico molto vasto ad aspettarla. Alda aveva visto però, in mezzo al pubblico, un’amica di Alberto di cui era molto gelosa. «Chissà cosa si era immaginata» dice Alberto. E allora se n’era andata. Anche se c’era tutta quella gente ad aspettarla. «Solo lei poteva fare queste cose. Ecco perché la Merini scappa da qualsiasi classificazione. Non è come i poeti di oggi, che sono dei bravi ragazzi. Non si può inserire in nessuna corrente. É unica. Era una presenza titanica».100 Uno dei primi libri che ha pubblicato di Alda Merini è stampato nero su nero. É l’aforisma: Ci sono notti che non 96

Cfr. nota XCII. Cfr. nota XCII. 98 A. MERINI e A. CASIRAGHY, Se gli angeli sono inquieti, p. 9. 99 Cfr. nota XCII. 100 Cfr. nota XCII. 97

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accadono mai.

Uno dei preferiti di Alberto è invece La lobotomia. Il parrucchiere101, che reca il disegno di un cervello arancione fluorescente e che recita: La lobotomia è il tocco finale di un grande parrucchiere.

Un altro stupendo e simpaticissimo pulcino porta il titolo de Le ceneri di Dante.102 Simpaticissimo perché diede luogo a un divertente equivoco: […] La piccola opera […] mostra per prima cosa, ad apertura di pagina, una bustina di plastica trasparente graffettata, che rivela un conturbante contenuto: cenere, nient'altro che pallida cenere. Il fatto da cui ha preso le mosse questo delizioso happening letterario è naturalmente la "scoperta" delle ceneri di Dante, in una busta sigillata e incorniciata, con tanto di timbri notarili, che giaceva dimenticata su un qualche remoto scaffale della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Dopo aver dato la notizia alla grande nel corso del telegiornale, enfatizzandola con parole gonfie di commozione, la direttrice della biblioteca ha dovuto fare rapidamente, e tristemente, marcia indietro: Dante - le hanno spiegato i dotti, e per primo il professor Francesco Mazzoni direttore della Società Dantesca non fu cremato e quindi, semplicemente, non possono esistere ceneri a lui attribuibili.103

Davvero l’incontro di questi due menti ha creato opere d’arte favolose, che sono la testimonianza di ciò che la poesia può fare. Io e Casiraghy, col nostro amore pieno di speranza, non ci siamo mai sfiorati né le labbra né il cuore perché entrambi pensiamo di appartenere allo stesso Nume che ci ha governati fin qui. Estremi vassalli del dovere di scrivere, non ci concediamo piaceri, pause, lasciapassare. Alla dogana del sentimento noi chiudiamo gli occhi perché io e lui abbiamo un sepolcreto nascosto. Entrambi portiamo in giro un amore morto e, come tanti innamorati, siamo diventati purissimi simulacri. Non vogliamo più piangere. Entrambi egoisti fino allo spasimo, gelosi che l’uno possa guardare nel profondo dell’animo dell’altro, non osiamo neppure sperare di diventare amici e ci copriamo di quel letame immondo che la gente chiama cultura.104

Quasi tutti i libri della Merini editi da Pulcinoelefante sono ormai introvabili. Casiraghy, ovviamente, li custodisce tutti nei suoi armadi, in una stanza dove Alda Merini ha dormito l’unica volta che è andata a trovarlo.105 Ma non se ne vendono più. Alberto, dopo la morte della poetessa, ha riempito uno scatolone con tutti i libri che

101

Cfr. A. MERINI, La lobotomia, il parrucchiere, Pulcinoelefante, Osnago 2009. A. MERINI, Le ceneri di Dante. Con una bugia di ceneri, Pulcinoelefante, Osnago 1999. 103 G. BORGESE, Merini: non ridete delle ceneri di Dante, in “Corriere della sera”, 27 luglio 1999. p. XXV. 104 A. MERINI, Reato di vita…, p. 67. 105 Cfr. nota XCII. 102

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gli erano rimasti di Alda e li ha donati alle figlie. Sperando che ne facessero buon uso, ha voluto in questo modo evitare di rimanere incagliato nei cavilli della legge, come invece è successo a molti altri editori. Un altro stupendo capolavoro si intitola Freud e altri aforismi106 e reca un disegno che raffigura Alda Merini di Arnoldo Mosca Mondadori. Alda è ritratta in bianco e nero, con la sua onnipresente collana di perle, e spicca una lucente borsetta azzurra. Folgorante uno degli aforismi che vi si trovano: Ciò che un editore sa dei suoi poeti sono solo le virgole.107

E si potrebbe continuare all’infinito. Come diceva Vanni Scheiwiller A piluccarli tutti c’è da fare indigestione.108

Quel che è certo è che Pulcinoelefante non è un editore qualsiasi. Sfugge alle logiche del mercato editoriale. E poi Alberto Casiraghy è una persona magnifica, come poche se ne possono incontrare. E non esagero. Di quel pomeriggio passato con lui mi porto dietro i contatti dei suoi amici che ho conosciuto e che si sono offerti di aiutarmi nel mio lavoro. Le risate e le piacevoli conversazioni con le persone che si sono sedute allo stesso tavolo. Dei libri di Alda Merini che Alberto mi ha regalato, senza che glielo chiedessi. Dei libri che ho comprato e che ora «pigolano» nella libreria. Infine, un magnifico senso di serenità, e la certezza che verrò di nuovo a trovarlo. Casiraghy è un dolcissimo marmo pieno di venature azzurre.109

106

Cfr. A. MERINI, Freud e altri aforismi. Ibi. 108 M. APIOTTI, La minuscola factory di Alberto Casiraghy: il panettiere degli editori, in “La Stampa”, 20 luglio 2002, p. XI. 109 A. MERINI E A. C ASIRAGHY , Se gli angeli sono inquieti, p. 23. 107

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IV. LE TECNICHE DI STAMPA PULCINOELEFANTE

Per comprendere le tecniche che Alberto Casiraghy utilizza, mi sembra necessario illustrare l’evoluzione delle tecniche di stampa nel corso dei secoli e fino ai giorni nostri, in un percorso che mostri come la tecnica ha raggiunto i moderni risultati e in particolare quelli che permettono all’editore Pulcinoelefante di stampare nelle sue modalità.

IV.1. Premessa storica: la nascita della stampa L’arte della stampa tipografica nasce a metà del 1400 grazie a Johann Gutenberg. Questo salto nel tempo ci è necessario, perché, se è vero che in seguito la tecnologia ha compiuto grandi passi, è vero anche che i principi fondamentali dell’arte tipografica sono rimasti quasi invariati, almeno fino al 1800. La grande invenzione di Gutenberg è la stampa a caratteri mobili. Senza esagerare, possiamo parlare di rivoluzione più che di invenzione. La tipografia si fonda su un principio molto diverso: la combinazione di caratteri mobili di metallo che il compositore può assemblare a piacimento. La si realizza incidendo la lettera in rilievo su un punzone di metallo molto resistente come l’acciaio; quest’ultimo serve per battere una matrice di metallo più malleabile come il rame. La matrice viene messa in uno stampo nel quale viene colata una lega di piombo, stagno e antimonio fusibile a bassa temperatura. Tale processo permette di realizzare una serie di lettere assolutamente identiche, che conferiranno alla pagina stampata un’elegante regolarità.110

Più in particolare attraverso un punzone si crea, battendo un piccolo blocco di acciaio, la matrice. Per formare tutti i caratteri necessari viene usata una forma. Vengono poi fusi insieme i metalli, e questa lega serve a creare il carattere mobile, che riporta inciso in rilievo la lettera, la cifra o i segni di punteggiatura.111

110 111

B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, EDUCatt, Milano 2009, p .44. A. SCHIAVI, La stampa tipografica, Museo della stampa, Lodi 2011, pp. 1-2.

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È necessario a questo punto aprire una breve parentesi sui caratteri. La fabbricazione di questi ultimi è infatti un’operazione molto complessa ed eseguita da specialisti. Quando apparve la stampa, industria del tutto nuova, i primi tipografi dovettero cominciare coll’incidere essi stessi i primi punzoni, battere le matrici e fondersi da soli le loro serie di caratteri […]. Ben presto però – e lo si capisce – fecero la loro comparsa dei punzonisti e fonditori specializzati che andavano d’officina in officina […]. Questo metodo di fabbricazione dei caratteri richiedeva poi molto tempo: perciò spesse volte gli stampatori erano indotti ad adoperare le nuove lettere via via che eran fabbricate, mescolandole al vecchio alfabeto. E inoltre costava carissimo […].112

Dunque, i caratteri utilizzati sono per lungo tempo diversi tra loro; finché Entro circa cinquant’anni dalla morte di Gutenberg l’originaria abbondanza di caratteri diversi si divise in due correnti: da una parte l’antiqua nella serie tonda e corsiva, dall’altra il gotico […].113

L’antiqua conosce un enorme successo in tutta Europa soprattutto grazie ad Aldo Manuzio; il gotico invece si diffonde soprattutto in Germania, nei paesi scandinavi e slavi.114 Gutenberg ha un ruolo di rilievo anche per quanto riguarda l’inchiostro e la carta. Rispetto al primo egli crea un nuovo tipo di inchiostro a base di olio di semi di lino.115 Per quanto riguarda la carta, essa viene già prodotta in Europa da parecchi anni ed è di facile reperibilità. Ma serve una novità come l’invenzione dei caratteri mobili perché si vada incontro una vera e propria diffusione come supporto per la stampa.

112

B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, p. 42 S. H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa, Einaudi, Torino 1982, pp. 23- 24. 114 Ibi, pp. 24-29. 115 A. SCHIAVI, La stampa tipografica…, p. 1. 113

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IV.2. La carta La carta nasce nel II secolo 116 e arriva in Italia nel XII.117 È un supporto più fragile rispetto alla pergamena, e per questo non viene subito accolta con favore. Tuttavia il suo uso si fa largo nei secoli. Nonostante le proibizioni la carta guadagna terreno. Nella stessa Italia sorgono centri di produzione. Già all’alba del Trecento numerosi sono i cartai attorno a Fabriano. Due fatti avrebbero favorito lo sviluppo di questo primo centro, due fatti che dovevano facilitare la diffusione dell’industria della carta in tutta l’Europa occidentale. Il primo d’ordine tecnico: dal secolo XI, e forse prima, si era pensato di adattare ai molini delle leve che trasformavano il movimento rotatorio in movimento alternativo […]. Il secondo fatto fu la diffusione della coltivazione della canapa e del lino sul finire del Medioevo, e la sostituzione della tela alla lana nella biancheria personale, che doveva rendere meno cari e più abbondanti gli stracci […].118

Da Fabriano i cartai si diffondono in tutta Italia, e la carta viene esportata nell’intera Europa, sostituendo gradatamente la pergamena. Grazie ad alcune innovazioni essa diventa più resistente, e la tecnica di produzione rimane sostanzialmente invariata nelle sue componenti fino al Settecento.119 La carta viene prodotta a partire da stracci usati. Questi vengono macerati e poi fatti fermentare. Una volta triturati in acqua saponata si ottiene la pasta da carta. Quest’ultima viene poi separata dall’acqua in cui è immersa grazie alla forma, una sorta di setaccio, scuotendo il quale si ottiene un foglio. Esso è messo a essiccare, coperto di una colla che evita che l’inchiostro si assorba, e poi di nuovo ad asciugare. Una volta lisciati e satinati, i fogli sono raccolti in risme e pronti per essere distribuiti. 120 Una delle materie prime fondamentali per la fabbricazione della carta è l’acqua, ed è necessario che essa sia limpida. L’acqua torbida non è adatta, perché fa sì che la carta sia di colore scuro. Così i mulini vengono per lo più impiantati all’inizio nella parte superiore o mediana dei fiumi. 121 Mentre crescono i centri di produzione europei, si va incontro a una crisi dovuta alla mancanza di stracci.

116

ID., La carta, Museo della stampa, Lodi 2011, p. 2. L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, Universale Laterza, Bari 1976, p. 13. 118 Ibi, p. 14. 119 B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, p. 42. 120 L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, p. 17-18. 121 Ibi, p. 21. 117

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[…] i cenci diventano più rari e bisogna andarli a cercare più lontano. Di qui l’importanza dei cenciaioli […]. Per esser sicuri di trovare la materia prima necessaria e per impedire ai cenciaioli d’imporre condizioni esorbitanti, i cartai fanno più volte appello allo Stato e sollecitano l’istituzione di monopoli per l’incetta dei cenci […]. La scarsità di cenci si fa sentire in Francia […] con maggiore intensità. Si comincia allora a capire che soltanto con nuove soluzioni si riuscirà ad evitare crisi croniche.122

Nei secoli successivi, nonostante la scarsità di materia prima, le cartiere continuano a crescere, poiché il libro diventa una merce sempre più richiesta.123 Saranno le innovazioni tecniche degli anni successivi a far fronte a questa crescente domanda.

IV.3. Il torchio Come abbiamo detto, viene adottato il torchio a vite per stampare velocemente.124 Veniamo quindi alle fasi di composizione e di stampa. La tecnica della composizione a mano – sempre meno adoperata oggi, dopo l’invenzione delle macchine compositrici (monotype e linotype) – non è affatto mutata dall’invenzione della stampa. Gli strumenti sono gli stessi: il compositore […] prende i caratteri ad uno ad uno e li mette sul compositoio, piccolo recipiente a forma allungata, un tempo in legno, oggi in metallo; quando una riga è composta, il compositore la colloca nel vantaggio, piccola tavoletta su cui le linee vengono inserite tra due interlinee che le tengono distanziate, poi raggruppa le righe in pagine e riunisce le pagine nella forma, dove sono tenute ferme con pezzi di legno e saldamente legate con spago. 125

Con il tampone poi un operaio inchiostra la forma che si è ottenuta, mediante il mazzo, ossia un tampone di crine. Collocato il foglio sotto la forma, questa è posta sotto la platina, la quale viene abbassata con un colpo di barra per imprimere sul foglio i caratteri. 126 Il principio del torchio è quindi piuttosto semplice. Esso viene perfezionato nel tempo per ovviare ad alcuni problemi. In primo luogo, è praticamente impossibile inchiostrare la forma tra il piano piattaforma e la platina, non potendosi sollevare quest’ultima quanto basta per compiere l’operazione. Per inchiostrare, perciò, bisogna spostare la forma; e per poterlo fare, i tipografi collocano forma e piattaforma su un carrello

122

Ibi, pp. 21-23. Ibi, p. 24. 124 S. H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa, p. 17. 125 L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, p. 62. 126 B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, p. 53. 123

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montato su rotaie che può andare avanti e indietro sotto l’azione di un semplice accoppiamento biellamanovella. Seconda serie di problemi, posti dalla stampa propriamente detta. Conviene innanzitutto evitare che il foglio venga macchiato nel momento della stampa, soprattutto nei margini, dall’inchiostro che può spandersi su tutta la forma durante l’inchiostrazione. A questo scopo si usa un foglio protettivo di carta o di pergamena.127

Sono inoltre introdotti quasi subito il timpano e la fraschetta. Il primo serve per uniformare la pressione; la seconda per evitare movimenti del foglio. 128 Alla fine del XIV secolo vengono risolti anche i problemi che poneva il colpo di barra, con l’utilizzo di un sistema biella-manovella. 129 Il torchio di Gutenberg rimase in uso senza miglioramenti sostanziali per più di tre secoli. 130

Questo però non è del tutto vero se consideriamo che in questi tre secoli ci sono altri perfezionamenti che permettono di stampare più velocemente. Infatti nel XVI secolo la vite di legno è sostituita con quella in metallo. 131 Inoltre viene migliorata anche la qualità della carta.

I cartai italiani soprattutto produssero in questo periodo carta di ottima fibra, assai spessa, leggermente cotonosa, di colore bianco-grigio abbastanza uniforme, che sembra essere stata pienamente soddisfacente.132

Infine, vengono risolti alcuni problemi incontrati nella disposizione delle pagine nella forma, e cioè nella fase di piegatura delle pagine. 133

IV.4. Le caratteristiche del libro Per capire com’è fatto un libro dobbiamo fare un ulteriore passo indietro nel tempo. Esso infatti mantiene la sua struttura praticamente invariata dall’epoca dei copisti fino a Gutenberg. È diviso in fascicoli, costituiti a loro volta da un insieme di fogli 127

L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, p. 67. Ibi, p. 68. 129 Ibi, p. 71. 130 Ibi, pp. 18-19. 131 Ibi, p. 71-72. 132 Ibi, p. 74. 133 Ibidem. 128

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piegati, e a seconda delle piegature viene determinato il formato, che può essere infolio, in-quarto, in-ottavo, e via di seguito.134 […] L’in-folio è un volume in cui il foglio di stampa è piegato una sola volta: su ogni foglio sono stampate quattro pagine (due per facciata); in un in-quarto il foglio è piegato due volte e contiene otto pagine (quattro per facciata); in un-ottavo, è piegato tre volte e contiene sedici pagine (otto per facciata) e così via.135

Sempre per quanto riguarda l’aspetto formale dobbiamo prendere in considerazione alcune differenze rispetto ai nostri tempi. Innanzitutto, nei primi libri stampati con la tecnica dei caratteri mobili manca il frontespizio.136 Esso fornisce di solito le informazioni sul volume. In questi primi lavori invece, il testo comincia sul primo foglio disponibile. Troviamo i dati utili su colophon, in cui […] ben presto fu consuetudine indicare il luogo di edizione, il nome del tipografo e spesso il titolo esatto dell’opera e il nome dell’autore.137

Quando poi, dopo la metà del 1400, nascerà il frontespizio, in esso troveremo anche il marchio tipografico inserito dallo stampatore per farsi pubblicità. Il frontespizio risulta inoltre utile perché, come avevano notato i tipografi del tempo, il recto, cioè il primo foglio bianco a destra, tende a sporcarsi più facilmente, ed è quindi più opportuno iniziare a stampare sul verso dello stesso foglio. Così quasi tutti i libri, alla fine del 1400, possiedono un frontespizio, e si fa strada anche la consuetudine far decorare quest’ultimo da artisti della portata di Rubens. Poiché i disegni sono posti in rilievo al centro della pagina, il titolo viene dislocato in una diversa posizione. Le informazioni bibliografiche vengono dunque collocate nella pagina che segue. 138 Il frontespizio manterrà questo aspetto fino ai giorni nostri. Per quanto riguarda le illustrazioni sappiamo che esse erano inizialmente opera dei miniaturisti. In seguito, quando il libro comincia a diffondersi, si ricorre a un

134

B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, p. 30. L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, p. 74-75. 136 Ibi, p. 90. 137 B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, p. 85. 138 L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, pp. 92-96. 135

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procedimento di riproduzione in serie delle immagini, e cioè alla xilografia, già nota in precedenza. 139 Il principio è semplice: presa una tavola di legno inciso la cui parte in rilievo è stata inchiostrata, vi si stende sopra un foglio di carta che viene tamponato con un panno. Questa tecnica di stampa vive un periodo di rinnovato slancio nel corso del trecento […]. In seguito si afferma la consuetudine di comporre libretti a più pagine (detti “xilografici”) e di inserirvi dei testi sempre più lunghi […]. L’incisione su legno sopravviverà anche alla concorrenza della stampa, mantenendo una sua sfera di applicazione nella decorazione del libro.140

Verso la fine del 1500 viene abbandonata la tecnica xilografica in favore dell’arte del bulino, cioè un’incisione in incavo su rame. 141 L’utilizzo del rame permette di riprodurre le immagini in maniera più fedele e precisa. Per quanto riguarda poi la legatura, essa, in epoca medievale, è eseguita cucendo insieme i fascicoli sui nervi (cioè delle fasce di cuoio). Queste vengono poi fissate su dei supporti di legno i quali sono ricoperti di cuoio.142 L’uso di ricoprire il libro non scompare nel 1400.143

Quando però i torchi cominciano a produrre un numero sempre maggiore di libri stampati, i legatori devono modificare le loro tecniche per rispondere alle nuove esigenze […]. I legatori prendono l’abitudine di sostituire le vecchie assicelle di legno con fogli di cartone, meno cari e meno pesanti, formati da qualsiasi genere di vecchi fogli incollati gli uni sugli altri: bozze usate, libri vecchi di scarto, corrispondenza o conti di aziende o anche vecchi documenti di archivio. Così che lo smontaggio di legature dell’epoca riserva a coloro che lo eseguono sorprese spesso interessanti.144

IV.5. Le innovazioni Dopo il 1800 la stampa conosce diverse innovazioni. La prima di queste è la macchina a stampa di Koenig usata dal Times nel 145

1814.

139

Ibi, pp. 100-101. B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, pp. 42-43. 141 L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, p. 115-116. 142 B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg, p. 39. 143 L. FEBRVE, H.-J. MARTIN, La nascita del libro, p. 122. 144 Ibi, p. 124. 145 S. H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa, p. 220. 140

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Anche la carta subisce una vera e propria rivoluzione grazie a Nicolas-Louis Robert, che verso la fine del Settecento inventa una macchina sostituendo la produzione manuale. La produzione di carta venne decuplicata: mentre nelle vecchie cartiere si potevano fabbricare a mano da sessanta a cento libbre di carta al giorno, la nuova macchina ne può produrre mille. 146 Tra la metà del 1700 e i primi vent’anni del 1800 registriamo altre due importanti innovazioni: la stereotipia e il torchio in ferro. Il procedimento della stereotipia inventato da Johann Muller viene ripreso da Firmin Didot e successivamente acquistato da Lord Stanhope. 147 Il principio adottato dal torchio di Stanhope non è molto diverso da quelli precedenti e dal torchio in legno, anche se serve a incrementare la produzione. Fredrich Koenig introduce invece una grande novità con la macchina a cilindro a cui applica anche l’energia termica. 148 Questa macchina viene adottata dal Times intorno agli anni trenta dell’Ottocento, e consente al sistema di stampa di fare grandi passi avanti. Infatti: Il lavoro che poteva eseguire un torchio era circa di duecentocinquanta fogli all’ora; con la macchina di Koenig se ne potevano fare millecento […]. L’invenzione di Koenig ridusse subito i costi di stampa del venticinque per cento e rese possibili tirature maggiori a prezzo inferiore.149

Infine, grazie a David Bruce è inventata anche la prima fonditrice di caratteri.150 Ma queste non sono le uniche novità. Infatti anche la tecnica di riproduzione delle immagini conosce una modernizzazione. Essa era finora eseguita su rame, con la tecnica dell’acquaforte inventata probabilmente da Albrecht Dürer.151 Un ulteriore passo avanti viene ottenuto grazie alla tecnica della zincografia, la quale

146

Ibi, p. 221. Ibi, p. 222. 148 Ibi, p. 223. 149 Ibidem. 150 Ibi, p. 224. 151 E. MISTRETTA, L’editoria. Un’industria dell’artigianato, Il Mulino, Bologna 2002, p. 131. 147

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[…] rese tutto più rapido, perché si poteva utilizzare la pellicola fotografica come prezioso intermediario. Un’immagine veniva fotografata, il negativo si adagiava su una lastra di zinco ricoperta di albumina o gelatina e vi si stampava la fotografia. La lastra veniva allora ‘sviluppata’ (come un positivo fotografico) rinforzando al contempo la protezione dell’immagine per renderla più resistente; indi veniva immersa in un bagno di acido nitrico diluito che corrodeva le parti non protette; risaltavano così in rilievo le parti non corrose e la lastra era allora pronta per essere messa in macchina.152

Anche nel campo della rilegatura ci sono notevoli cambiamenti. Aldo Manuzio comincia a far circolare i suoi libri nelle semplici legature aldine, mentre in precedenza il libro raggiungeva il lettore ancora in fogli sciolti, oppure essi erano cuciti dal libraio stesso.153 Gradualmente la tela, meno costosa, comincia a sostituire la pelle, e negli anni trenta dell’Ottocento inizia a diffondersi la legatura meccanica.154 Ad Aldo Manuzio si deve anche un’altra fondamentale innovazione, e cioè l’introduzione del formato tascabile. La creazione o la diffusione dei piccoli formati fu una idea importante in sé, più grande della somma di tutte le numerose copie venute alla luce. La maneggevolezza fu un enorme cambiamento di marcia: facilitava il movimento libri uno ad uno, mentre prima invece la distribuzione all’ingrosso era la norma. Un libro minuscolo poteva essere portato dovunque, un aspetto, questo, che Aldo accennava spesso nelle sue corrispondenze epistolari.155

Il fatto che la legatura sia eseguita dall’editore introduce un ulteriore elemento nuovo, ossia la sopraccoperta. Essa si è evoluta al punto da diventare essenziale nei processi di pubblicità e di vendita del libro.156 La legatura è effettivamente oggi molto importante perché, in base a essa e in rapporto al formato, possiamo distinguere i libri odierni in tre grandi categorie: il libro rilegato, brossurato, tascabile.157 Il primo misura di solito 17 × 24 o 14 ×22 centimetri. Le segnature (cioè le pagine ripiegate a mannelli) sono cucite insieme e protette ai bordi dai capitelli; in seguito vengono rivestite con una copertina rigida. Questo tipo di libro può avere una 152

Ibi, p. 132. S. H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa, p. 224. 154 Ibi, p. 225. 155 L. BALSAMO, G. BARBER, N. BARKER [et al.], Tamquam explorator: percorsi orizzonti e modelli per lo studio dei libri, a cura di M. C. Misiti, Vecchiarelli editore, Manziana 2005, p. 68. 156 Ibi, p. 71. 157 E. MISTRETTA, L’editoria. Un’industria dell’artigianato, p. 35. 153

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sovraccoperta. Il libro in brossura misura circa 14×22 centimetri; le segnature sono cucite fra loro, il rivestimento è di cartoncino leggero. Infine il libro tascabile misura circa 11×18 centimetri, ma può avere misure anche inferiori a queste. Le segnature sono fresate e incollate al dorso.158 Anche la carta conosce importanti modificazioni. Il francese Reaumur è il primo a tentare di introdurre la pasta di legno nel processo di fabbricazione della carta ma i suoi suggerimenti non vengono accolti. 159 A Friedrich Gottlob Keller si deve la fabbricazione della prima carta dalla pasta di legno, e grazie a lui questa tecnica comincia a diffondersi. 160 Lo sparto, la cui introduzione fu promossa dal “Times” nel 1854, rese possibile un grande miglioramento nella carta prodotta da materiali diversi dagli stracci, entrò nell’uso corrente fin dal 1861. Da allora, manifesti, circolari, cataloghi, giornali e riviste popolari – e, in breve, tutti quegli stampati commerciali destinati a un’effimera durata nel tempo – vengono stampati su carta prodotta con pasta di legno; ed è anche diventato possibile produrre economicamente i libri delle collezioni popolari.161

IV.6. La stampa tipica di Pulcinoelefante «Somiglia a un grosso coleottero ma ogni volta che vedo “volare fuori” dalla macchina i fogli con le piccole creazioni originali è un’emozione che si rinnova. Lavorare con il piombo per me è come suonare il violino, un’arte».162

Così Alberto Casiraghy descrive come stampa i libri. Lavora con un torchio tipografico Audax Nebiolo degli anni sessanta, destinato al macero, e che ha rilevato dalla tipografia dove lavorava. 163 Il modo in cui si stampa nella casa editrice Pulcinoelefante non è molto differente da quello di qualche centinaio di anni fa. 164 Infatti, come gli antichi stampatori, Alberto Casiraghy dispone di diverse casse tipografiche in cui ripone i caratteri. Originariamente le casse tipografiche sono divise in scomparti nei quali 158

Ibi, p. 35–36. S. H. STEINBERG, Cinque secoli di stampa, p. 225. 160 Ibi, p .226. 161 Ibidem. 162 C. SEVERINO, Il fornaio di libri, in “Corriere della sera”, 9 maggio 2009, p. XXIII. 163 C. SEVERINO, La tipografia in salotto che sforna un libro al giorno, in “Corriere della Sera” , 27 marzo 2011, p. 36. 164 Cfr. nota XCII. 159

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viene conservato ciascun carattere con le proprie copie. In seguito, verso la metà del XVII secolo, cominciano a diffondersi casse “alte” e “basse”, cioè doppie. Nell’alta cassa vengono collocate i caratteri maiuscoli, maiuscoletti e le lettere accentate. Nella bassa cassa troviamo invece le minuscole e i segni di interpunzione. 165 Potremmo dire che Alberto svolge nel suo lavoro una funzione molto simile a quella che svolge in passato il compositore. Quest’ultimo preleva ogni singolo carattere dalla cassa e lo posiziona sul compositoio, sul quale si forma la linea di parole fino a raggiungere la giustezza voluta. Sul vantaggio, un piano metallico dotato di squadra, si forma progressivamente la pagina, che alla fine viene legata con dello spago. Si procede poi all’imposizione, e cioè si mettono le pagine nell’ordine corretto.166 Oggi invece la pagina è tenuta ferma per effetto di un rullo. A questo punto Alberto si appresta a svolgere le funzioni del correttore di bozze, ossia controlla che sulle pagine non ci siano errori, ed eventualmente apporta le varie modifiche. Si procede infine alla stampa vera e propria. Un rullo provvede a inchiostrare la pagina formata dai caratteri e il foglio viene poggiato sulla pagina inchiostrata e pressato grazie a un secondo rullo. Casiraghy usa ovviamente caratteri mobili in piombo, regalo del tipografo Giorgio Lucini167. Per la scelta del carattere tipografico «mi lascio guidare dal gusto del momento»,168 dice. I cliché per stampare le immagini sono riuniti in un’altra cassa, quasi tutti in legno di bosso. La carta che usa è tedesca, la Hahnemüle, una carta uso mano, leggermente ruvida, di un bianco opaco. Il formato è piuttosto piccolo, di solito 13,5 × 19,5 centimetri, ma troviamo anche libri delle dimensioni di 10,5 × 16,5 centimetri.

165

J-F ĢILMONT, Dal manoscritto all’ipertesto, Le Monnier, Firenze 2006, p. 83. Ibi, p. 84. 167 R. CICALA, Piccolo grande editore, in “La Repubblica”, sezione Milano, 21 ottobre 2010, p. XV. 168 C. SEVERINO, La tipografia in salotto…, p. 36. 166

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Infine Alberto, che riunisce in sé tutte le professioni che l’arte tipografica comprende, rilega a mano i suoi libricini. Cuce infatti le pagine con un filo di cotone dopo averle piegate. Da questa descrizione si capisce come i libri della Pulcinoelefante siano ognuno un pezzo unico. Niente di più particolare nel panorama tipografico odierno. Dal 1886 in poi registriamo infatti dei notevoli cambiamenti nell’arte della stampa. In quell’anno Ottmar Mergenthaler inventa la linotype, la prima compositrice a caldo.169 Essa è dotata di una tastiera che permette di fondere le matrici linea per linea e poi le linee fino a formare un blocco. Ogni linea è giustificata. A questo punto una colata di piombo fuso forma una riga che riporta i caratteri in rilievo. Il tempo di composizione di una pagina è così notevolmente ridotto. Pochi anni dopo Tolbert Laston inventa la monotype. Si tratta di una macchina divisa in due: la compositrice […] e la fonditrice […]. Premendo ognuno dei tasti, la macchina perfora in un punto preciso un grosso rullo di carta che scorre davanti all’operatore […]. Il rullo viene immesso nella seconda macchina, la fonditrice, che “legge” le perforazioni del nastro mediante un getto di aria compressa. Ad ogni “lettura” di ogni singolo forellino, la macchina sposta e posiziona opportunamente una piastrina che reca incisi, in negativo, tutti i caratteri e i segni corrispondenti a quelli della tastiera. A questo punto, un getto di piombo fuso viene spinto a forza, con un pistoncino, contro il carattere in negativo della piastrina […] e forma in pochi attimi […] un carattere mobile.170

Oggi queste tecniche non sono molto diffuse, mentre ha preso il sopravvento una nuova macchina, la CTP 171, che ha permesso di migliorare notevolmente le qualità di stampa e ha ridotto i tempi. Se è vero dunque che i miglioramenti tecnologici dell’ultimo secolo hanno risolto molti dei problemi legati ai processi di stampa, è vero anche che questi processi hanno favorito una sorta di omologazione del libro, che viene trattato come una merce qualsiasi. Proprio in questo risiede a mio parere la forza di Alberto Casiraghy. Non ci sono grossi canali di distribuzione; chi conosce la casa editrice Pulcinoelefante in genere si reca a casa di Alberto per comprare i libri che stampa. Ogni libro, poiché è 169

E. MISTRETTA, L’editoria. Un’industria dell’artigianato…, p. 132. Ibi, pp. 133-134. 171 Ibi, p. 163. 170

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fatto a mano, è diverso dall’altro, e pur essendo dunque un’opera d’arte i prezzi sono contenuti. Forse Alberto Casiraghy è la prova che la sua isola felice può sopravvivere anche nell’epoca dell’e-book.

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V. ALDA MERINI E GLI AFORISMI L’aforisma è una frase molto breve che somiglia molto al motto o alla sentenza. La parola deriva dal greco aphorismós e significa “definizione”. 172 Di fatto, della definizione l’aforisma ha sia la essenzialità perentoria sia la funzione, che è quella di delineare in modo chiaro e definitivo un concetto, una norma o una legge. Ma l’aforisma è anche qualcosa in più di una definizione […]. Quando è perfettamente riuscito, è un perfetto meccanismo espressivo che […] aspira a divertire e a far riflettere […]. Pretende di conciliare cose inconciliabili: la ricchezza e la profondità del significato con la concisione del significante […]. Deve essere attraente e seducente al primo incontro ma deve far durare il suo effetto ben oltre nel tempo […]. Deve essere dilettevole e piacevole e nello stesso tempo utile.173

L’aforisma ha una lunga tradizione. Prima di trattare nello specifico la produzione aforistica di Alda Merini vediamo come esso si sviluppa nel corso dei secoli.

V.1. L’aforisma in Grecia e a Roma L’aforisma nasce in Oriente sotto la forma di proverbio, 174 ed è quindi legato soprattutto alla cultura popolare. Da qui si diffonde in Grecia, e resta legato alla sapienza degli anziani. Tuttavia, col passare del tempo, l’aforisma diventa una vera e propria forma letteraria nella Grecia arcaica, ed è in gran parte legato ai nomi di Esiodo e Omero. Successivamente, verso il V secolo, assume importanza nell’ambito della tragedia euripidea. 175 Ecco che quindi in Grecia comincia a nascere il genere della raccolta di aforismi, in particolare grazie all’influenza della scuola filosofica dello stoicismo. Un’importanza particolare va riconosciuta allo stoicismo, che propugnò il culto per una sapienza espressa con una pregnante brevitas […], e diede quindi impulso all’attività di raccolta di brevi motti 172

Cfr. N. ZINGARELLI, Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 2006. Il libro degli aforismi, a cura di F. Roncoroni, Mondadori, Milano 1993, pp. 6-8. 174 U. ECO, E. TOSI, G. CALBOLI [et al.], Teoria e storia dell’aforisma, Milano, Mondadori, 2004, p.3. 175 Ibi, p. 8. 173

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avulsi da ogni contesto: è in questo ambito che vari passi della filosofia presocratica furono estrapolati e trasformati in sentenze etiche a sé stanti.176

Dalla Grecia il genere dell’aforisma si diffonde anche a Roma. Qui le scuole di retorica sono divise in due grandi schieramenti, da una parte quello dell’atticismo, dall’altro quello dell’asianesimo. Il primo è legato al nome di Cicerone, il secondo a quello di Seneca. 177 La scuola asiana dà grande spazio al pathos e il suo scopo principale è quello di muovere i sentimenti del pubblico. È uno stile ampolloso, ricercato, retoricamente studiato.178 Lo stile di cui è esponente Seneca invece è molto concentrato, quasi esclusivamente paratattico, frantumato e teso a fissare nell’animo dell’ascoltatore un precetto o una norma di vita. L’obiettivo è quello di chiarire i concetti piuttosto che prestare attenzione alla forma. 179 Alfonso Traina attribuisce la fioritura di questo stile frammentario a un cambiamento nel sistema dei valori. L’avvento dell’impero segna una frattura […]. La realtà politica passa in secondo piano e individuo e cosmo si trovano di fronte. Il problema non è più l’inserimento del singolo nella società e nello stato, ma il suo significato nel cosmo. Riaffiora la solitudine esistenziale e l’esigenza di soluzioni individuali. Il contraccolpo stilistico di questo mutamento di valori è una prosa esasperata e irrelata che ha tanti centri e tante pause quante sono le frasi.180

Ma prima di Seneca e di Cicerone, anche Catone il Censore ha raccolto i suoi aforismi in un’opera, gli Apophtegmata,181 una raccolta di antichi aforismi ripresi in seguito da Cicerone e Plutarco. Uno dei più famosi, che ha lasciato tracce nell’Institutio Oratoria di Quintiliano, recita: Orator est, Marce fili, vir bonus dicendi peritus.182

Possiamo perciò dire che già in quest’epoca c’è una propensione all’uso dei dicta, i quali costituiranno una parte della letteratura latina.

176

Ibi, p. 10 G. B. CONTE, E. PIANEZZOLA, Storia e testi della letteratura latina, Le Monnier, Milano 2009, vol. III, p. 53-54. 178 Ibi, p. 5. 179 Ibi, p. 6. 180 A. TRAINA, Lo stile “drammatico” del filosofo Seneca, Patron, Bologna 1974, p. 25-27. 181 G. B. CONTE, E. PIANEZZOLA, Storia e testi della letteratura latina, vol. I, p. 205. 182 Ibi, p. 207. 177

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V.2. L’aforisma in Italia La prima raccolta italiana di aforismi è senza dubbio l’opera I Ricordi di Francesco Guicciardini. 183 Uomo politico di grande importanza nel Rinascimento ha una notevole rilevanza anche dal punto di vista letterario. Come tutte le altre sue opere, anche i Ricordi sono stati pubblicati postumi. 184 La prima edizione viene pubblicata nel 1576 e contiene 158 pensieri che sono abbastanza fedeli alla prima redazione dell’opera del 1525. 185 Seguono poi altre tre edizioni, nel 1582, nel 1583 e nel 1585. Queste assicurano la fortuna dell’opera negli anni a venire, anche al di fuori dai confini italiani. Già nel 1576 circola a Parigi […] un’edizione di Plusieurs advis et conseils; nel 1587 ne circola una seconda a Lione; nello stesso anno si pubblica ad Anversa […] una traduzione latina[…]; del 1610 è la traduzione in spagnolo […]; del 1634 è una nuova edizione parigina sotto il titolo di Maximes populaires.186

Si fa strada così il successo di Guicciardini come scrittore di aforismi. L’autore non solo è il primo scrittore di aforismi dell’Europa moderna, ma è anche il primo a comporre un libro di aforismi consapevolmente.187 La forza dei Ricordi risiede proprio nella loro brevità. Quanto all’opera in sé, Guicciardini respinge ogni visione consolatoria della realtà. Anche la religione non è valutata positivamente. O meglio, sono gli uomini di chiesa coloro che sono investiti di una valenza negativa. I Ricordi prendono le mosse dalla realtà per affrontare problemi generali. Il titolo infatti rimanda proprio alle cose da ricordare, e perciò si tratta di pensieri e riflessioni, di esempi che possono indicare

183

U. ECO, E. TOSI, G. CALBOLI [et al.], Teoria e storia dell’aforisma…,p. 39. Scrittori italiani di aforismi, a cura di G. Ruozzi, Mondadori, Milano 1994, p. 240. 185 Ibi, p. 241. 186 Ibi, p. 241. 187 Ibi, p. 242. 184

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la strada da seguire ma che ovviamente non hanno la presunzione di giungere a una realtà assoluta.188 Tra gli scrittori di aforismi del 1500 possiamo ricordare anche Paolo Sarpi. Promotore dell’opera di rinnovamento della chiesa e mosso dalla passione per le scienze,189 Sarpi scrive anche tre testi di aforismi: i Pensieri filosofici e scientifici, i Pensieri medico-morali e i Pensieri sulla religione.190 Le opere aforistiche di Sarpi sono basate sull’importanza dell’esperienza pratica. Egli tocca vari campi del pensiero, dalla filosofia, all’astronomia, alla matematica. E nel far questo predilige il genere aforistico che secondo Bacone era il genere della ricerca. 191 Dobbiamo poi ricordare gli Aforismi politici di Tommaso Campanella, che è tra i principali esponenti della filosofia naturalistica rinascimentale. La sua opera più famosa è La città del sole,192 ma il filosofo scrive anche un’opera aforistica: gli Aforismi politici.193 Si tratta di centocinquanta precetti pubblicati per la prima volta nel 1601,194 in cui Campanella riassume il suo pensiero riguardo allo Stato, alle leggi, al sovrano, alla religione. Tra gli scrittori di aforismi del XVI secolo dobbiamo annoverare Giambattista Vico. Fu scrittore, filosofo e scienziato; di lui si ricorda soprattutto l’opera Principi di scienza nuova.195 Proprio qui troviamo centoquattordici assiomi, o, come le chiama ripetutamente Vico all’interno dell’opera, le Degnità, le quali costituiscono una sezione autonoma dell’opera. Esse sono una sorta di premessa all’intero lavoro. Anche Cesare Beccaria non rimane estraneo al genere dell’aforisma. L’autore di Dei delitti e delle pene scrive infatti i Pensieri staccati, i Pensieri diversi, e inserisce aforismi nei Pensieri sopra le usanze ed i costumi.

188

Sull’argomento si veda: G. BALDI, S. GIUSSO, M. RAZETTI [ et al.], Dal testo alla storia dalla storia al testo. Umanesimo, Rinascimento, l’età della Controriforma, Paravia, Torino 1998, p. 412415. 189 Scrittori italiani di aforismi, p. 433. 190 I tre testi sono riuniti in: P. SARPI, Pensieri, Einaudi, Torino 1976. 191 Scrittori italiani di aforismi, p. 436. 192 Cfr. T. CAMPANELLA, La città del sole, Rizzoli, Milano 1963. 193 Cfr. ID, Aforismi politici, Guida, Napoli 1997. 194 Scrittori italiani di aforismi, p. 492. 195 G. VICO, Principi di scienza nuova, Oscar Mondadori, Milano 2011.

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Questi testi sono frammenti preparatori di un’opera progettata ma non attuata, il Ripulimento delle nazioni.196

Inoltrandoci nell’Ottocento, dobbiamo parlare anche di Giacomo Leopardi. La sua produzione incentrata sulla brevità si concentra nei Pensieri, pubblicati per la prima volta da Ranieri nel 1845. 197 Il contrasto col “mondo”, nel senso evangelico del termine, è il tema principale dei Pensieri […]. Per difendersi dal mondo non c’è altro modo che usare le sue armi: […] la simulazione e la dissimulazione. Nella società di oggi e di sempre, solo l’apparenza è vincente […]. Leopardi legge senza utopie e sentimentalismi la realtà […]. Nel tracciato spezzettato e aguzzo dei Pensieri leopardiani non esistono sospiri di sollievo; possono invece esistere rifugi, arti e armi di difesa. Una di queste, forse la principale, è il riso […]. Gli eroi di Leopardi hanno perduto l’aura messianica degli eroi illuministi. In una società senza progresso e senza giovinezza […] l’unica direzione possibile è l’abisso […].198

Essi hanno un legame con lo Zibaldone,199 perché anche a chiusura di quest’ultimo troviamo alcune sentenze.

V.3. L’aforisma nel Novecento Se tra il Cinquecento e il Settecento l’aforisma riguarda soprattutto l’ambito medico e filosofico, in epoca romantica viene preso in considerazione dal punto di vista letterario.200 Nel Novecento infine si cerca di ampliare la portata del termine, e soprattutto di classificare l’aforisma, perché non è sempre facile definire una raccolta di aforismi come tale. Le ragioni di questo dato di fatto sono almeno due. La prima è di natura contingente: le raccolte essendo spesso riunite fortunosamente da curatori o da editori, talvolta zelanti e talvolta frettolosi, il titolo spurio può non corrispondere sempre alla natura del testo […]. La seconda ragione riguarda, almeno in parte, la volontà degli autori. Anche un titolo autentico infatti può risultare fuorviante[…].

196

Scrittori italiani di aforismi, p. 999.. Cfr. G. FARINELLI, A. MAZZA TONUCCI, E. PACCAGNINI, La letteratura italiana dell’Ottocento, Carocci, Roma 2002. 198 Scrittori italiani di aforismi, p. 1081. 199 Cfr. G. LEOPARDI, Zibaldone di pensieri, Mondadori, Milano 1990. 200 G. CANTARUTTI, J. LAFOND, A. MONTANDON [et al.], La scrittura aforistica, a cura di G. Cantarutti, Il Mulino, Bologna 2001, p. 15. 197

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Comunque, anche quando trasparente, il titolo può non essere significativo per l’identificazione del genere in epoche successive a quelle della sua attribuzione.201

In effetti nel Novecento non è facile trovare raccolte che contengono esclusivamente aforismi. Si parla invece di narrazioni aforistiche, saggi aforistici, poesie aforistiche. 202 Al di là delle distinzioni tra aforisma e aforistico, tra coloro che si sono dedicati alla scrittura nella sua forma breve possiamo citare Giuseppe Pontiggia. Questo autore ha pubblicato Le sabbie immobili,203 un’opera caratterizzata dall’ironia e dalla critica verso la società contemporanea. Non dimentichiamo Arturo Graf, vissuto a cavallo tra 1800 e 1900, scrittore di poesie, romanzi e saggi, nel 1907 pubblica anche Ecce Homo, Aforismi e parabole.204 Si tratta di una raccolta che contiene circa mille aforismi e che è dominata dal tema della felicità. Da ricordare anche la raccolta La fragilità del pensare205di Guido Ceronetti, un autore si scaglia contro le brutture del proprio tempo. E ne potremmo citare altri: Ellero, Dossi, Palazzeschi e così via. Tuttavia quello che mi sembra importante sottolineare è che nel nostro secolo le raccolte di aforismi propriamente dette sono sempre meno rispetto al passato. Ormai innumerevoli sono le raccolte di consigli, pensieri d’amore, decaloghi vari, in tutti i formati editoriali […]. Fanno invece più fatica a trovare editori e mercato gli scrittori di aforismi. Le raccolte d’autore sono sempre impegnative e sono pochi gli editori pronti a rischiare.206

201

Ibi, p. 202-203. Ibi, p. 161. 203 Cfr. G. PONTIGGIA, Le sabbie immobili, Il Mulino, Bologna 1991. 204 Cfr. A. GRAF, Ecce Homo, Aforismi e parabole, Treves, Milano 1908. 205 Cfr. G. CERONETTI, La fragilità del pensare: antologia filosofica personale, Rizzoli, Milano 2000. 206 La scrittura aforistica, p. 196-197. 202

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V.4. Gli aforismi di Alda Merini

Alda Merini invece si distingue, come sempre del resto, all’interno di questo panorama. L’autrice ha scritto aforismi soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Moltissimi sono stati pubblicati da Alberto Casiraghy per le edizioni Pulcinoelefante. Ricordiamo poi altri titoli come Aforismi e magie, 207 Nuove magie, 208 Alla tua salute amore mio,209Anche la donna può avere un pensiero,210 L’uomo che mangiava i poeti,211 Il re delle vacanze.212 L’oralità della poesia meriniana costituisce l’antecedente della sua produzione aforistica, la quale è tanto importante nell’analisi delle edizioni Pulcinoelefante, perché soprattutto di queste brevi e pungenti frasi si compongono le plaquette. [...] Da questo atteggiamento ancipite nei confronti della vita nascono gli aforismi. Da una parte, la voglia di sperimentare e di mettersi in gioco, di cercare nuove forme e nuove espressioni; dall’altra, il tentativo di superare i fantasmi, le ossessioni di una vita, il tempo che passa. Di creare delle risposte, di costruirsi un mondo nel quale riconoscersi. Gli aforismi si possono considerare come la parte costruens di un percorso che è sempre proceduto per sottrazione. Per destrutturazione. Ma anche quello degli aforismi è un universo contraddittorio, una filosofia non sistematica sorretta dall’ironia. Il senso dello humor, d’altronde, testimonia la solarità dello scrittore.213

Non sono cambiati i temi che Alda Merini affronta nella forma dell’aforisma; troviamo infatti parole dedicate alla morte, al dolore, all’amore. Ma si tratta di espressioni più taglienti, più dirette, che in qualche modo riescono a essere anche ironiche. Il tono si fa più leggero. Così descrive l’aforisma la stessa Alda Merini: L’Aforisma è il sogno di una vendetta sottile o la sottile considerazione 207

Cfr. A. MERINI, Aforismi e magie, Bur, Milano 2006. Cfr. EAD., Nuove magie. Aforismi inediti (2007-2009), Rizzoli, Milano 2010. 209 Cfr. EAD., Alla tua salute, amore mio: poesie, aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2007. 210 Cfr. EAD., Anche la donna può avere un pensiero: aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2002. 211 Cfr. EAD., L’uomo che mangiava i poeti: poesie, racconti, aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2003. 212 Cfr. EAD., Il re delle vacanze: favole, poesie, aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2003. 213 R. ALUNNO, Alda Merini. L’«Io» in scena, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008, p. 122. 208

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di una vendetta che non verrà mai applicata a nessun governo e tanto meno alla vita interiore del poeta; è la soggezione e insieme la liberazione di un ostello lirico entro il quale talvolta il genio si è mimetizzato in silenzio mordendo le mani al proprio io.214

Insomma, si tratta di una produzione quanto mai originale, ma soprattutto geniale. Da questo punto di vista non è difficile attestare come la poetessa abbia toccato davvero ogni forma di scrittura: dalla poesia, alla prosa, fino all’aforisma. Ad ogni modo, una produzione sempre affascinante. Forse quello che accade lungo il percorso della produzione della poetessa è che vengono cercate nuove forme per esprimere le stesse considerazioni sulla vita. La vita di Alda Merini è una vita segnata dalla sofferenza. Non dobbiamo dimenticarcene. E allora forse la poesia non basta più per cantare il male di vivere. E dall’altra parte è anche necessario cominciare a scrivere avvalendosi della lama affilata dell’ironia. Gli aforismi sembrano costituire per la Merini una riflessione complessiva. Poche parole che però racchiudono il senso dell’esperienza di tutta una vita. Non a caso la poetessa vi approda in tarda età. Così parla Gino Ruozzi riferendosi agli aforismi creati da Alda e Alberto: Lo stile di queste sentenze – quasi una forma di dialogo fra un uomo e una donna alla ricerca di una sintesi di immediatezza e di sostanza quanto mai comprensibile anche quando allude “giocosamente”, o col cianuro, a cose poco universali – è sobrio eppure felice. Alberto Casiraghy qui sembra suonare il violino. Alda Merini qui sembra posseduta dalla poesia, ma è soprattutto poetessa. 215

Si tratta di frasi molto brevi eppure spingono alla riflessione in maniera molto netta. Spesso prendono di mira il senso religioso. E qui si vede molto bene la differenza rispetto alla produzione precedente e la novità data dall’ironia tagliente. Se infatti negli anni passati il tema sacro, pur essendo trasfigurato attraverso numerosi rimandi al carnale, rimaneva comunque all’interno dei confini dell’ortodossia, ora invece la frattura è più netta, eppure non può che suscitare il riso.

214

A. MERINI, A. CASIRAGHY, Se gli angeli sono inquieti, Shakespeare and Company, Sancasciano 1993, p. 11. 215 G. RUOZZI, Scrittori italiani di aforismi, Mondadori, Milano 1996, vol. II, p. 1515.

60


Se Dio mi assolve lo fa sempre per insufficienza di prove.216

Ma l’aforisma è soprattutto la forma letteraria del quotidiano e, perchĂŠ no, anche del gioco. Con esso Alda Merini esprime il pensiero comune, semplice, ma che nessuno sa dire. Ecco dove sta la forza del poeta in generale e della Merini in particolare: nel dar voce ancora una volta alle riflessioni di intere generazioni.

216

A. MERINI, A. CASIRAGHY , Se gli angeli sono inquieti, p. 17.

61


CONCLUSIONE Con questa tesi mi sono concentrata sui nomi di Alda Merini e Alberto Casiraghy. Tuttavia ho la piena consapevolezza che, data la vastità e la complessità dei materiali analizzabili, si tratta di un lavoro senz’altro parziale e che non ha la presunzione di raggiungere risultati incontrovertibili. Durante tale percorso e ho compreso tutti i motivi per cui Alda Merini è una poetessa unica all’interno del panorama letterario, mettendo in evidenza gli elementi attraverso i quali si è differenziata, durante tutta la sua vita, dagli altri poeti del nostro secolo. La poetessa, pur non avendo avuto una formazione letteraria perché non aveva potuto proseguire gli studi e nonostante un’esistenza segnata da avvenimenti dolorosi, è riuscita a pubblicare un vastissimo numero di titoli con molte case editrici italiane, tanto che si fatica a trovare un editore che non abbia collaborato con lei. Interessante è stato studiare questi dati alla luce del mio interesse per l’editoria, facendo emergere le componenti grazie alle quali la poetessa ha rappresentato un unicum anche nel mondo editoriale del Novecento. La Merini infatti non si è limitata al genere della poesia, ma anche a quello della prosa (anche nella forma del diario) e dell’aforisma. Fondamentale poi è stato scoprire quali sono stati i rapporti di Alda Merini con Alberto Casiraghy, analizzarli e mostrare i risultati a cui hanno portato, in altre parole la creazione delle opere che vanno sotto i nomi di Alda Merini e delle edizioni Pulcinoelefante. Si tratta di piccole ma grandi opere stampate con i caratteri mobili, una tecnica che oggi è quasi scomparsa. Sono pezzi unici anche dal punto di vista artistico, perché Casiraghy si avvale della collaborazione di pittori, scultori, disegnatori anche molto famosi. Infine, ho cercato di far emergere, anche alla luce del mio percorso di studi, le tecniche di stampa Pulcinoelefante, che ho potuto vedere di persona. Sono tecniche che richiedono un grande lavoro manuale e che conferiscono al libro un aspetto unico.

62


Proprio questa credo sia stata la parte più interessante all’interno di tale percorso, e cioè poter vedere personalmente il processo di produzione di un libro della casa editrice Pulcinoelefante, in tutte le sue fasi: dalla fase di messa in forma a quella di stampa vera e propria, fino alla rilegatura, sempre rigorosamente fatta a mano. L’avere inoltre avuto la possibilità di conoscere persone che sono state molto vicine ad Alda Merini credo abbia dato a questo lavoro un valore aggiunto, poiché ha fatto emergere dati che è difficile trovare in qualsiasi altro testo. Quello che mi sembra importante sottolineare è che al giorno d’oggi esistono ancora realtà come quella della casa editrice Pulcinoelefante. Nei libri del Pulcino e l’Elefante non va cercato un senso; tutto è racchiuso nel sublimare perché la leggerezza è dono di pochi.217

Siamo nell’epoca in cui domina la tecnologia, la stampa digitale, l’editoria multimediale, in cui si diffonde l’uso dell’e-book, in cui la carta stampata viene sempre meno utilizzata. Ma c’è ancora chi, come Alberto Casiraghy, svolge il suo lavoro manualmente e soprattutto con grande passione, non badando al profitto che invece oggi preoccupa tanto la realtà editoriale.

217

Cfr. Edizioni Pulcinoelefante. Catalogo Generale, p. 7.

63


APPENDICE ICONOGRAFICA

Poesie in ciclostile del 1981.

64


Prima edizione di La presenza di Orfeo (1953).

65


Prima edizione di Paura di Dio (1955).

66


Prima edizione di Tu sei Pietro (1961).

67


Alda Merini, S. Teresa del bambino Ges첫, manoscritto.

68


Una poesia manoscritta di Alda Merini.

69


Alda Merini, Le ceneri di Dante. Con una bugia di Ceneri, Pulcinoelefante, Osnago 1999.

70


Maurizio Cattelan, Diffidate delle imitazioni. Con un frammento di wafer, Pulcinoelefante, Osnago 1993.

71


Bruno Munari, A proposito di torroni. Con un martello, Pulcinoelefante, Osnago 1996.

72


Bruno Munari, Aforismi. Con un omaggio a Munari di Giuliano Grittini, Pulcinoelefante, Osnago 1994.

73


Alda Merini, Un pensiero, con una serigrafia di Ugo Nespolo, Pulcinoelefante, Osnago 1999.

74


Ugo Nespolo, Un albero, con una serigrafia a cura di Giuliano Grittini, Pulcinoelefante, Osnago 2010.

75


Alda Merini, Aforismi, con una lastra di titanio colorata da Pietro Pedeferri, Pulcinoelefante, Osnago, 2007.

76


Franco Matticchio, Nullatenente Pinocchio, con un disegno di Franco Matticchio, Pulcinoelefante, Osnago 1997.

77


Arturo Schwarz, Una farfalla batte le ali, con una grafica a cura di Claudio Parmiggiani, Pulcinoelefante, Osnago 2002.

78


Dino Azzalin, Una poesia, con un’incisione di Enrico Baj, Pulcinoelefante, Osnago 2002.

79


BIBLIOGRAFIA

Opere citate di Alda Merini Aforismi e magie, Bur, Milano 2006. Aforismi, Pulcinoelefante, Osnago 1996. Alla tua salute, amore mio: poesie, aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2007. Anche la donna può avere un pensiero: aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2002. Antenate bestie da manicomio, Manni, Lecce 2008. Ballate non pagate, Einaudi, Torino 1995. Breve storia del Pulcino elefante, Pulcinoelefante, Osnago 1996. Cantico dei vangeli, Frassinelli, Milano 2006. Clinica dell’abbandono, Einaudi, Torino 2003. Delirio amoroso, Frassinelli, Milano 2011. Fiore di poesia 19951-1997, a cura di Maria Corti, Einaudi, Torino 1998. Freud e altri aforismi, Pulcinoelefante, Osnago 2009. Il ladro Giuseppe, Libri Scheiwiller, Milano 1999. Il paradiso, Pulcinoelefante, Osnago 2002. Il re delle vacanze: favole, poesie, aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2003. Il suono dell’ombra. Poesie e prose 1953-2009, a cura di Ambrogio Borsani, Mondadori, Milano 2010. L’altra verità. Diario di una diversa, Rizzoli, Milano 2000. L’olimpo, Pulcinoelefante, Osnago 2004. L’uomo che mangiava i poeti: poesie, racconti, aforismi, Acquaviva, Acquaviva delle fonti 2003. La lobotomia, il parrucchiere, Pulcinoelefante, Osnago 2009. La nera novella, Rizzoli, Milano 2007. La presenza di Orfeo, Libri Scheiwiller, Milano 1995. La Terra Santa, All’insegna del Pesce d’Oro, Milano 1984.

80


La volpe e il sipario, Rizzoli, Milano 2004. Le ceneri di Dante. Con una bugia di ceneri, Pulcinoelefante, Osnago 1999. Le satire della Ripa, Laboratorio Arti Visive, Taranto, 1983. Lettere al dottor G., Frassinelli, Milano 2008. Magnificat. Un incontro con Maria, Frassinelli, Milano 2002. Mistica d’amore, Frassinelli, Milano 2008. Nozze romane, Schwarz, Milano 1995. Nuove magie. Aforismi inediti (2007-2009), Rizzoli, Milano 2010. Ora che vedi Dio, Pulcinoelefante, Osnago 2002. Paura di Dio, All’insegna del pesce d’oro, Milano 1995. Più della poesia. Due conversazioni con Paolo Taggi, Interlinea, Novara 2010. Reato di vita. Autobiografia e poesia, a cura di Luisella Veroli, Melusine, Milano 1996. Superba è la notte, Einaudi, Torino 2000. Testamento, Crocetti Editore, Milano1988 Titano amori intorno, La vita felice, Milano 1993. Tu sei Pietro, Scheiwiller, Milano 1961. Vuoto d’amore, a cura di M. Corti, Einaudi, Torino 1991.

Opere citate di altri autori delle edizioni Pulcinoelefante M. CATTELAN, Diffidate delle imitazioni, Pulcinoelefante, Osnago 1993. M. DUCHAMP, Patacche, Pulcinoelefante, Osnago 1991. B. MUNARI, A proposito di torroni, Pulcinoelefante, Osnago 1996. ID, Aforismi riciclati, Pulcinoelefante, Osnago 1991.

81


Testi vari in volume R. ALUNNI, Alda Merini. L’«Io» in scena, Società Editrice Fiorentina, Firenze 2008. Antologia della poesia italiana contemporanea 1909-1949, a cura di G. Spagnoletti, Guanda, Parma 1950. G. BALDI, S. GIUSSO, M. RAZETTI [ et al.], Dal testo alla storia dalla storia al testo. Umanesimo, Rinascimento, l’età della Controriforma, Paravia, Torino 1998. L. BALSAMO, G. BARBER, N. BARKER, [et al.], Tamquam explorator: percorsi orizzonti e modelli per lo studio dei libri, a cura di M.C. Misiti, Vecchiarelli editore, Manziana 2005. F.BARBIERI, Il libro a stampa: Editoria, Tipografia, Illustrazione, Armando Curcio Editore, Roma 1995. B. BLASSELLE, Il libro. Dal papiro a Gutenberg. EDUCatt, Milano 2009. A. CADIOLI, Dall’editoria moderna all’editoria multimediale, Edizioni Unicopli, Milano 1999. T. CAMPANELLA, Aforismi politici, Guida, Napoli 1997. ID., La città del sole, Rizzoli, Milano 1963. G. CANTARUTTI, J. LAFOND, A. MONTANDON, [ et al.], La scrittura aforistica, a cura di G. Cantarutti, Il Mulino, Bologna 2001. A. CASIRAGHY, Gli occhi non sanno tacere. Aforismi per vivere meglio, Interlinea, Novara 2010. A. CASIRAGHY, P. PEDEFERRI, Tessiture di luce. I librini di Alberto e Pietro, Lucini Libri, Milano 2008. A. CASIRAGHY, Quando. Novantanove aforismi quieti e inquieti, Book Editore, Bologna 2006. G. CERONETTI, La fragilità del pensare: antologia filosofica personale, Rizzoli, Milano 2000. G.B. CONTE, E. PIANEZZOLA, Storia e testi della letteratura latina, Le Monnier, Milano 2009, vol. III. ID, Storia e testi della letteratura latina, Le Monnier, Milano 2009 vol. I.

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83


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Testi vari in periodici L. AMENDOLA, Diavolo d’un liutaio, in “La Repubblica”, sezione cultura, 4 settembre 1992, p. XXIV. M. APIOTTI, Alda Merini. Il mio Natale col Titano, in “La Stampa”, 22 dicembre 1993, p. XVII. EAD., La minuscola factory di Alberto Casiraghy: il panettiere degli editori, in “La Stampa”, 20 luglio 2002, p. XI. R. BARLETTA, Libretti seri, quasi per gioco, in “Corriere della sera”, 8 settembre 1992, p. XLI. A. BERTRANTE, Un pulcino e un elefante al Castello, in “La Repubblica”, sezione Milano, 9 luglio 2005, p. XIV. G. BORGESE, Merini: non ridete delle ceneri di Dante, in “Corriere della sera”, 27 luglio 1999.p XXV. R. CICALA, Piccolo grande editore, in “La Repubblica”, sezione Milano, 21 ottobre 2010, p .XV. A. CODELUPPI, L’editore in salotto fa bonsai letterari, in “La Repubblica”, sezione Bologna, 29 gennaio 2002, p. VI. G. COLIN, Le edizioni fatte a mano, in “Corriere della sera”, 21 dicembre 1997, p. XXXV. M. COLLURA, La Merini, poetessa “mistica”, in “Corriere della sera”, 6 dicembre 2002, p. XXXVII. S. DE RICCARDIS, I tesori dimenticati della Merini, in “La Repubblica”, sezione Milano, 5 febbraio 2010, p. XI.

84


ID, La casa di Alda Merini rinasce nell’ex tabaccheria, in “La Repubblica”, sezione Milano, 5 ottobre 2010, p. IX. F. DE SANCTIS, Pulcinoelefante: l’editore con la valigia, in “L’unità”, 29 settembre 2002, p. XXVII. S. FIORI, Per Alda Merini la fine di un incubo, in “La Repubblica”, sezione cultura, 23 luglio 1999, p. XXIII. P. FOSCHINI, Compie cento anni lo psichiatra della Merini, in “Corriere della sera”, 10 febbraio 2009, p. IV. A. GNOLI, Il caso di Alda Merini, in “La Repubblica”, 3 agosto 1991, p. XXXIII. ID, Merini: a volte mi sento un uomo di carattere, in “La Repubblica”, 21 marzo 2001, p. XLI. P. JOVINELLI, Provate a sfogliare un pulcino, in “Corriere della sera”, sezione economia, 30 novembre 1998, p. XV. C. MAURO, La storia di Alberto Casiraghy, titolare di Pulcinoelefante, in “Corriere della Sera”, sezione lavoro, 21 marzo 2003, p. XI. Paragone, 4, (1950), p. XXI-XXXII. C. PASOLINI, La Merini: «questa città mi ama», in “La Repubblica”, sezione Milano, 20 novembre 2002, p. XLI. G. RABONI, Alda, la perfezione del dolore. Fra malattia e passione quasi un poema in prosa, in “Corriere della sera”, 21 gennaio 1990, p. XXIV. S. SALIS, Il mio pulcino stampa con amore, in “Il Sole 24 ore”, 25 settembre 2010, p. IXXX. C. SEVERINO, Il fornaio di libri, “Corriere della sera”, 9 maggio 2009, p. XXIII. ID, La tipografia in salotto che sforna un libro al giorno, in “Corriere della sera”, 27 marzo 2011, p. XXXVI. A. TORNO, Un quarto di secolo per l’editore bonsai, in “Corriere della Sera”, 9 settembre 2007, p. X. A. TREVISANI, Il senso di Matticchio per uomini e animali, in “Corriere della sera”, 23 gennaio 2012, p. XI. S. VASSALLI, Pulcinoelefante: i piccoli libri diventano grandi, in “La Stampa”, 3 giugno 2007, p. XXXIV.

85


G. VIGINI, I numeri, in “Corriere della sera”, 18 settembre 2005, p. XXXVIII. L. VIVIAN, Quando scriveva poesie ai passanti per mille lire, in “Corriere della sera”, 3 novembre 2009, p. III.

Sitografia www.aldamerini.it www.facebook.com/pages/Pulcinoelefante/ www.mauriziocattelan.it www.munart.org

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INDICE DEI NOMI Koenig Fredrich, 46, 47. Alunni Roberta, 17. Alunno Laura, 27. Bacone Francesco, 56. Baj Enrico, 34, 79. Beccaria Cesare, 56. Borletti Ida, 20. Borsani Ambrogio, 5, 17, 23, 24, 27, 30. Bruce David, 47. Campana Dino, 21. Campanella Tommaso, 56, Carniti Barbara, 10, 11. Carniti Emanuela, 10, 17. Carniti Ettore, 9, 10, 13, 14, 15, 33, Carniti Flavia, 10. Carniti Simona, 10, 11. Casiraghy (vedi anche Casiraghi) Alberto, 4, 5, 16, 29, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 49, 50, 52, 59, 60, 62. Catone Marco Porcio, 54. Cattelan Maurizio, 33, 71. Ceronetti Guido, 58. Cicerone Marco Tullio, 54. Corti Maria, 8, 9, 14, 16, 25, 30, Costanzo Maurizio, 17. De Pascale Pietro, 24. De Sanctis Francesco, 8. Del Duca Cino, 25. Didot Firmin, 47. Dorfles Piero, 32. Dossi Carlo, 58. Duchamp Marcel, 33. Dürer Albrecht, 47. Ellero Pietro, 58. Erba Luciano, 8. Esiodo, 53. Fontana Lucio, 33. Gabrici Enzo, 11, 13. Gatto Alfonso, 31. Graf Arturo, 58. Guicciardini Francesco, 55. Gutemberg Johann, 40, 41, 44. Keller Friedrich Gottlob, 49.

Lalli Antonio, 25. Laston Tolbert, 51. Leopardi Giacomo, 57. Longhi Roberto, 19. Lucini Giorgio, 50. Manganelli Giorgio, 8, 9, 13, 15, 28. Manuzio Aldo, 41, 48. Maria Josè, 8. Matticchio Franco, 5, 35. Mazzoni Francesco, 38. Mergenthaler Ottmar, 51. Merini Alda, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 35, 36, 37, 38, 39, 53, 59, 60, 61, 62. Merini Anna, 6. Merini Ezio, 6. Merini Nemo, 6. Mondadori Arnoldo Mosca, 28, 39. Montale Eugenio, 9, 16. Montanelli Indro, 31. Muller Johann, 47. Munari Bruno, 31, 34, 72, 73. Negri Ada, 8. Nespolo Ugo, 34, 74, 75. Omero, 53. Orengo Nico, 31. Painelli Emilia, 6. Palazzeschi Aldo, 58. Giovanni Paolo II Papa, 33. Parmiggiani Claudio, 34, 78. Pasolini Pier Paolo, 8. Pedeferri Pietro, 33, 76. Pierri Michele, 14, 15, 25, 26. Plutarco, 54. Pontiggia Giuseppe, 58. Quasimodo Salvatore, 8, 9, 14, 23. Quintiliano Marco Fabio, 54. Raboni Giovanni, 16, 26. Ranieri Antonio, 57. Reaumur René Antoine Ferchault de, 49. Rebora Roberto, 31. Redivo Riccardo, 30. Rizzo Marcella, 15. Robert Nicolas-Louis, 47. Romanò Angelo, 8.

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Rovelli Silvana, 8, 21. Rubens Pieter Paul, 45. Ruozzi Gino, 60. Sarpi Paolo, 56. Scheiwiller Vanni, 23, 24, 25, 26, 27, 31, 39. Schwarz Arturo, 9, 20, 23, 31, 78. Seneca Lucio Anneo, 54. Sereni Vittorio, 24. Spagnoletti Giacinto, Spaziani Maria Luisa, 9. Stanhope Charles, 47. Tilio Roberto, 36. Traina Alfonso, 54. Turoldo David Maria, 8 Ungaretti Giuseppe, 14 Veroli Luisella, 30. Vico Giambattista, 56. Zanzotto Andrea, 31.

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