Anno II numero 28 9 ottobre 2012
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Fuga dalla cittĂ
Sopravivvere a Cagliari sta diventando sempre piÚ difficile. Ma nascono nell’hinterland e nei piccoli centri dei modelli di vita virtuosi e alternativi. Scopriamoli insieme
Ph: Samanphoto
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sommario
Anno II numero 27 25 settembre 2012
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OPINIONI _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _6 CAGLIARI _ _ _ _ _ _ 2013: _ _ _ _FUGA _ _ _ DALLA _ _ _ _ CITTÀ _ _ _ _AL _ _RITMO _ _ _ _DI _ _MILLE _ _ _ ALL’ANNO _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _8 IL SU_ TRE _ _LAVORO _ _ _ _ _CHE _ _ _NON _ _ _C’È. _ _ UN _ _ _CAGLIARITANO _________ _ _ _È_DISOCCUPATO _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1 _0 BRUCIA _ _ _ _ _LA _ _CITTÀ: _ _ _ _TRA _ _ _PAPERONI _ _ _ _ _ _IN_ FERRARI _ _ _ _ _ _E _IMPIEGATI _ _ _ _ _ _ALLA _ _ _MENSA _ _ _ _CARITAS _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1 _2 MA _ _ _C’È _ _ANCHE _ _ _ _CHI _ _ _DIVENTA _ _ _ _ _SARDO _ _ _ _PER _ _ _SCELTA? _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1 _4 CITTÀ CHE _ _ _ _ CHE _ _ _LASCI _ _ _ _PAESE ____ _ _TROVI _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1 _6
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DOLIANOVA. _ _ _ _ _ _ _ _LA _ _PICCOLA _ _ _ _ _REALTÀ _ _ _ _ _CHE _ _ _NON _ _ _RINNEGA _ _ _ _ _IL_ PASSATO _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _1 _8 L’ESEMPIO _ _ _ _ _ _ _VIRTUOSO _ _ _ _ _ _DI _ _SADALI: _ _ _ _ _“TORNIAMO _ _ _ _ _ _ _ALLA _ _ _TERRA” _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _2 _0 PARTIRE _ _ _ _ _ _È _UN _ _PO’ _ _MORIRE _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _2 _3 IL _ _MODELLO _ _ _ _ _ _VIRTUOSO _ _ _ _ _ _DA _ _IMITARE: _ _ _ _ _ SOPHIA _ _ _ _ _ANTIPOLIS _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _2 _5 ECCO _ _ _ _CHI _ _ SONO _ _ _ _I_SARDI _ _ _ _PER _ _ _RENZI _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _2 _6
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ADDIO _ _ _ _ _EMANUELE _ _ _ _ _ _SANNA, _ _ _ _ _POLITICO _ _ _ _ _ _GENTILUOMO _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _2 _8 ADESSO CENTRALISMO _ _ _ _ _ BASTA _ _ _ _CON _ _ _IL __ _ _ _ _ _ _ _ _A_CAGLIARI _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _2 _9 IL _ _RACCONTO _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _3 _0 LAIF _ _ _ STAIL _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _3 _2 COLPI _ _ _ _ DI _ _PENNA _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _ _3 _4 L’immagine di copertina è di Sara Mandis - Samanphoto@fb
28 Anno II numero 27 25 settembre 2012
Editore GCS - Green Comm Services S.r.l. - Direttore responsabile Guido Garau - Hanno collaborato: Alessandra Ghiani, Lexa, Ennio Neri, Carlo Poddighe, Simone Spiga - Grafica XL Luca Crippa Stampa Grafiche Ghiani - Monastir Cagliaripad Sede legale: via Giotto 5 09121 Cagliari Redazione: Largo Carlo Felice 18 09124 Cagliari - www.cagliaripad.it redazione@cagliaripad.it Tel. 070 332 1704 • 342 599 5701 - Autorizzazione Tribunale di Cagliari 15/11 del 6 settembre 2011
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Arriva l'autunno
e con lui i suoi sapori vieni a scoprirli al Ristorante Crackers
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Corso Vittorio Emanuele II, 195 - Cagliari - 070 653912 r
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I L D I R E T TO R E
I due gradini GUIDO GARAU g.garau@cagliaripad.it
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iete mai stati alla periferia di una grande metropoli? La linea di confine che separa il centro dalla sua propaggine è la metafora della situazione in cui siamo stati gettati. Al centro il cuore, una ricca borghesia, abitazioni eleganti, quartieri alla moda, belle automobili, ma anche teatri, università, centri di cultura. Ai margini uomini e donne che non hanno mai superato la dialettica schiavo-padrone: perennemente in lotta per la sopravvivenza. La grande città è la miniatura del modello occidentale. Per anni abbiamo creduto che il progresso, il benessere sarebbero stati per tutti e senza limiti. La realtà dice il contrario: è in atto un fenomeno centripeto irreversibile. La cerchia di coloro che usufruiscono dell’agiatezza si restringe e la periferia va alla deriva, senza freni. Lo stato sociale è in via di demolizione, gli ammortizzatori non mettono limite concreto al malessere: sono solo dei placebo. C’è una sola possibilità di salvezza. Siamo vissuti per oltre cinquant’anni al di sopra delle nostre possibilità, spendendo soldi che non abbiamo mai guadagnato presi in prestito dalle banche. Il collasso del credito era inevitabile. Bisognava cambiare rotta già un decennio fa. Fino a ora siamo vissuti su
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un unico gradino: credendo, utopicamente, che tutti fossimo uguali. Non possiamo più credere che basti eliminare i surplus consumistici, sui quali si regge il nostro modello di sviluppo, per risorgere. Dobbiamo avere il coraggio di dire chiaramente che questo modello, l’unico che ormai resta in piedi, va ristretto a un numero limitato di persone. Come? Creando due gradini, due differenti posizioni sociali. Prima che avvenga una guerra di tutti contro tutti per la redistribuzione delle risorse. Nel primo gradino ci saranno coloro che trovano spazio e lavoro nella città. Nell’altro coloro che non ne trovano. Per i primi varranno le leggi del mercato, di questo mercato. E per gli altri? Intanto occorrerà attivare veri sistemi di protezione. Che insegnino a reimparare - o imparare da zero - a essere felici stando nelle “piccole cose” di pascoliana memoria. Inutile continuare a coltivare la favola dell’unico gradino in nome della libertà – che di fatto non c’è. L’unica libertà possibile è oggi la speranza, la possibilità di migliorare, che potremo trovare solo con un passo indietro. Qualcuno – qualche uomo politico che ancora all’orizzonte non si vede - dovrà necessariamente guidare questo percorso. La grande domanda è capire chi sarà.
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OPINIONI
ZACCA
E PONI
Accordo bibartisan per superare le polemiche sulle nomine dei giorni scorsi: la Crivellenti va alla Carbosulcis e Lorefice sarà il nuovo sovrintendente del Teatro Lirico!
Il punto
LA VIGNETTA
di Pierluigi Leo*
“Città sporca, io pronto a dimettermi” “Occorre superare al più presto alcune criticità nell’attività di igiene del suolo per dare piena attuazione agli impegni assunti dalla maggioranza e dalla Giunta nei confronti dei cittadini. Sul miglioramento del decoro urbano, si gioca tutto, o quasi, il futuro della maggioranza. Ma taluni si comportano come fosse l’ultimo dei problemi. Ho preparato un dossier per il sindaco, bisogna capire se c’è la volontà di occuparsi di determinate faccende. In caso contrario sono pronto a dimettermi”
di Enrico Secci
mi faccia il vuoto al portafoglio grazie
* Assessore comunale alla Pianificazione
Il guastafeste di Simone Spiga
Rifiuti in città un problema che cresce “Il problema della gestione dei rifiuti è diventata una priorità per l’amministrazione comunale” con queste parole non più di un mese fa l’assessore ai Servizi Tecnologici del Comune di Cagliari, Pierluigi Leo annunciava, dopo una riunione di maggioranza, le priorità della Giunta Zedda. Oggi a distanza di pochissime settimane non è più così chiara la priorità della Giunta di centro sinistra. In due anni all’assessorato ai Servizi Tecnologici sono mancati 3,5 milioni di euro, manca un progetto sugli ecocentri, oltre 80 vie cittadine sono escluse dalla pulizia e ancora il bando di gara per il ‘porta a
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porta’ è in fase di stallo. Il tutto mentre entro quest’anno si dovrebbe arrivare a oltre il 60 per cento di raccolta differenziata, quando ad oggi siamo al massimo al 37 per cento, se si vogliono evitare le penalità della Regione. In parallelo, però, occorre affrontare le emergenze, soprattutto quelle dovute alle “incongruenze” dell’ultimo appalto, quello di due anni e che dovrebbe scadere ad aprile realizzato dalla precedente consiliatura in attesa della predisposizione del mega appalto che dovrebbe affrontare tutte le priorità della raccolta differenziata favorendo il riciclo e il riuso del materiale.
Una gara da oltre 300 milioni di euro, la più impegnativa gara mai attivata dal Comune nella sua storia. La vicenda rifiuti a Cagliari è esplosiva e che non sarà facile risolverla lo dimostra il fatto che l’Assessore Leo si è detto pronto a rassegnare le dimissioni se non sarà tratata in via prioritaria.
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L’a rorisma
Guelli ghe si mettono i vetri oscurescion per non far vedere ghe la morte è più bella di loro
di Enrico Secci
L’angolino del filosofo Di C.-H. de Saint-Simon*
La società è irrazionale e bisogna razionalizzarla L’organizzazione sociale è poco perfezionata, che gli uomini si lasciano ancora governare dalla violenza e dall’astuzia; è che la specie umana (politicamente parlando) è ancora immersa nell’immoralità: poiché gli scienziati, gli artisti, gli artigiani, che sono i soli uomini i cui lavori risultino d’una utilità positiva alla società, e che non le costano quasi nulla, son relegati a un ruolo subalterno dai principi e dagli altri governanti, che son soltanto degli abitudinari piú o meno incapaci; poiché i dispensatori della considerazione e delle altre ricompense nazionali devono in generale la preponderanza di cui godono unicamente al caso della nascita, all’adulazione, all’intrigo o ad altre azioni poco stimabili; poiché coloro che sono incaricati d’amministrare gli affari pubblici si spartiscono fra loro tutti gli anni la metà delle imposte, e non impiegano neppure un terzo dei contributi, di cui non s’impadroniscono personalmente, in un modo che sia utile agli amministrati. Queste supposizioni fanno vedere che la società attuale è davvero il mondo alla rovescia: poiché la nazione ha ammesso per principio fondamentale che i poveri debbano essere generosi verso i ricchi,
e che per conseguenza i meno agiati si privino giornalmente d’una parte del loro necessario per aumentare il superfluo dei grossi proprietari; poiché i piú grandi colpevoli, i ladri generali, coloro che spremono la totalità dei cittadini, e che sottraggono loro da tre a quattrocento milioni ogni anno, si trovano incaricati di punire i piccoli delitti contro la società; poiché l’ignoranza, la superstizione, la pigrizia e il gusto dei piaceri dispendiosi formano l’appannaggio dei capi supremi della società e le persone capaci, econome e laboriose sono impiegate soltanto in ruoli subalterni e come degli strumenti; poiché, in una parola, in tutti i generi d’occupazione, son gli uomini incapaci a trovarsi incaricati della cura di dirigere le persone capaci; poiché (sotto il rapporto della moralità) sono gli uomini piú immorali chiamati a formare i cittadini alla virtú e, sotto il rapporto della giustizia distributiva, sono i grandi colpevoli ad essere preposti alla punizione degli errori dei piccoli delinquenti. * Da “Parabola”. L. Ghiringhelli, Prima di Marx. Alle origini del socialismo, G. D’Anna, 1979.
GEMELLI DIVERSI Dallo slalom al Bob Alberto Tomba
Campione di sci
Bob Marongiu
Un asso col pennello
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PRIMO PIANO
Cagliari 2013: fuga dalla città
al ritmo di mille l’anno F
di Ennio Neri e.neri@cagliaripad.it
Il capoluogo si spopola, ad arginare la fuga gli extracomunitari. Sempre più numerosi gli anziani, spariscono i giovani. Il punto
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uga dalla città. Al ritmo di mille. anti sono i cagliaritani che ogni anno fanno i bagagli e si trasferiscono. A lasciare la città sono quasi tutti giovani tra i 25 e 35 anni, in cerca di un tetto a cifre accessibili. Un’emorragia che almeno dal 2001 non ha avuto sosta. È sufficiente leggere l’annuario statistico comunale per rendersene conto: dai dati emerge una tendenza chiarissima alla fuga dalla città. Nel 2001 il capoluogo contava 168.506 residenti, l’anno dopo 165.405, quello successivo 163 mila 160 e 161 mila 945 nel 2004. E la di-
scesa continua: 160 mila 686 nel 2005 e 159 mila 686 nel 2006 e si arriva ai 157 mila del 2009. E infine gli ultimi anni: 156 mila 863 nel 2012 e 156 mila 289 nel 2011. Le tendenze fotografate dai registri comunali non sono ceto sconosciute a chi vive il capoluogo: oltre allo spopolamento (in 9 anni è riuscita a perdere quasi 10 mila abitanti (dagli 165.405 del 2002 ai 156.289 del 2011), si pensi che la media dei componenti delle famiglie cagliaritane è di 2,2 (solo a Sant’Elia si toccano i 3) e che la fascia d’età più rappresentata è quella che va dai 45 ai 49
ai 18 mila 54 del 2011, mentre la fascia d’età dei 25-29 anni è stata dimezzata (dai 14 mila 192 del 2001 ai 7 mila 840 del 2011).
anni (era quella 30-34 anni nel 2002), mentre sono 18.744 gli ultra settantacinquenni. Non solo. Gli ultra 75enni sono passati dai 13 mila 289 del 2001
Ad abbandonare il capoluogo sono quasi tutte le giovani coppie. E questo causa la scomparsa dei bambini dalla città. Gli esperti che hanno analizzato i movimenti anagrafici, e cioè saldo naturale (nascite e morti) e saldo migratorio (iscritti e cancellati all’anagrafe), osservano come la prima componente sia costantemente negativa, mentre la seconda presenti un andamento altalenante. Questo dimostrerebbe che lo spopolamento interessi maggiormente le fasce d’età interessate dalla riproduzione. Infatti, nel 2008, rispetto ad un decremento di residenti complessivo pari a 744 unità, per la sola fascia d’età 25-49 anni si è registrata una diminuzione di 1.089 unità, contribuendo in tal
modo al calo delle nascite. Il risultato, dal punto di vista sociale, è un rapido invecchiamento della popolazione cagliaritana, con l’esigenza di disegnare la città a misura di anziano di tenere conto della maggiore concentrazione di attività commerciali e soprattutto di servizi alla persona e alle aziende, con il conseguente maggiore pendolarismo che ne consegue. E a contrastare invecchiamento e spopolamento ci sono gli extracomunitari, ben 5.929 contro i 1.981 del 2002. Vivono quasi tutti nel centro storico a Pirri, hanno un’ età media più giovane (35,7 anni) e vengono soprattutto da Filippine, Ucraina, Romania, Cina, Senegal, Bangladesh, Pakistan e India. Commenta l’articolo su www.cagliaripad.it
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NUMERI
Il lavoro che non c’è
un cagliaritano su tre è disoccupato Sono circa 18 mila le persone senza impiego. Il dramma soprattutto dei più giovani: in 11 mila 600 alla ricerca di un primo incarico
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Il 36 per cento dei cagliaritani in età lavorativa (età tra i 15 e i 54 anni) non ha un lavoro. Sono dati che fotografano una realtà drammatica quelli dell’Osservatorio delle Politiche sociali della provincia di Cagliari. Cifre che si riferiscono agli anni 2008, 2009 e 2010 e che denunciano come le prime vittime, delle difficoltà legate all’accesso del mercato del lavoro, siano i giovani, soprattutto le donne. E che attestano che nella
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provincia di Cagliari la percentuale di disoccupati sul totale delle forze di lavoro segue un trend di crescita molto sostenuto, allontanandosi sempre più dal valore medio nazionale.
e il 13%) e al mezzogiorno, ma che appaiono preoccupanti se confrontati con le medie nazionali dello stesso periodo (6,7% nel 2008, 7,8 nel 2009 e 8, 4 nel 2010).
Negli ultimi tre anni la disoccupazione è salita dall’11, 3% del 2008, all’11% del 2009 e al 12,4 del 2010. Dati leggermente inferiori rispetto alla media sarda (che nello stesso periodo ha registrato il 14,7%, il 13,5
Le donne. Dalle carte dell’Osservatorio provinciale emerge che l’accesso al mercato del lavoro è molto più difficile per le donne, per le quali, nella provincia di Cagliari, il tasso di disoccupazione è superiore di oltre
due punti percentuali a quello calcolato per i maschi. Questo dato va letto, peraltro, tenendo conto del fatto che la quota di donne inattive è molto più elevato di quella dei maschi. Le disoccupate nella provincia di Cagliari nel 2010 sono il 13,4%, contro una media del 14,1% di tutta la Sardegna e il 9,7% del paese. I giovani. Per i giovani della fascia d’età più direttamente interessata alla ricerca di un primo lavoro (24-35 anni) la situazione della provincia di Cagliari risulta drammaticamente più difficile di quella misurata anche per i contesti di riferimento più deboli. Nel 2008 i giovani disoccupati erano il 14,3%, l’anno successivo il 15,8% e nel 2010 il 23,4, contro l’8,8%, il 10, 5% e l’11,9% della media nazionale nello stesso periodo. Non solo. I dati vanno valutati tenendo conto del fat-
to che i giovani precari e i cassintegrati non sono considerati inoccupati. Pertanto, l’area del disagio rispetto al mercato del lavoro risulta, perciò, di gran lunga più ampia. Cagliari. Poco meno di 24 mila 500 cagliaritani sono iscritti al Sil (Sistema informativo lavoro) Sardegna. Di loro, 18 mila circa sono disoccupati e 11 mila 600 alla ricerca di un primo lavoro. I disoccupati cagliaritani sono quasi il 25 per cento del totale provinciale, valore nettamente superiore rispetto a quello calcolato con riferimento alla popolazione complessiva (i residenti nel capoluogo sono il 21,1% del totale della popolazione residente in provincia). Per poter avere una misura della criticità determinata dalla ricerca di occupazione i dati del Sil, sono stati
rapportati a fasce diverse di popolazione. Per gli “inoccupati”, ovvero i giovani alla ricerca di un primo lavoro, si è scelta la fascia d’età compresa fra i 15 ed i 34 anni, rispetto alla quale per il capoluogo si registra un valore del 35,3%, nettamente superiore a quello – pur molto elevato -calcolato per la media provinciale (30,8%). Meno elevata risulta per Cagliari, viceversa, l’incidenza dei disoccupati (persone che hanno perso il lavoro e ne cercano attivamente un altro), attestata al 35,9 per cento contro un valore del 42 per cento calcolato per la media provinciale. Complessivamente, il rapporto tra il numero di cagliaritani “senza lavoro” e la popolazione d’età compresa tra i 15 ed i 54 anni è di poco inferiore al 36 per cento.
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L’ I N C H I E S TA
Brucia la città:
tra paperoni in Ferrari e impiegati in fila alla mensa Caritas Si amplia sempre più la forbice tra chi ha tutto e chi non ha niente. Una realtà drammatica, nella sua attualità, e pericolosa, se inquadrata nei suoi possibili, futuri risvolti sociali
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un reddito di 35.750 euro per i amplia sempre più cittadino, solo dodici gradini la forbice tra chi più giù, tredicesimi, ci saremha tutto e chi non mo “noi” con i 27.992 euro ha niente. Una realtà di Carlo Poddighe drammatica, nella sua c.poddighe@cagliaripad.it dichiarati mediamente. attualità, e pericolosa, Ma questi freddi dati statistise inquadrata nei suoi possibili, futuri ci nascondono, si può dire annacquirisvolti sociali no con somme e divisioni matematiche, una verità drammatica, nella sua Cagliari città del nord Italia. attualità, e pericolosa, se inquadrata No, non è un contro-sfottò in risposta nei suoi possibili, futuri risvolti sociali. alle battutine dei sassaresi che ci conLa forbice tra ricchi e poveri che visiderano avamposto africano. È un vono nel capoluogo si sta sempre più dato, se non geograficamente, almeno ampliando. finanziariamente corretto.
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Il capoluogo - secondo una recente ricerca del quotidiano Il Sole 24 Ore, basata sulle dichiarazioni dei redditi 2011 – è all’undicesimo posto della classifica sui contribuenti che dichiarano al fisco oltre 100 mila euro. I paperoni cittadini sono costantemente in aumento negli ultimi anni: erano 1.592 nel 2006, sono saliti a 1.866 nel 2010, 274 in più in quattro anni.
A fare da contraltare a chi ha tutto c’è, infatti, l’assalto dei cagliaritani in difficoltà alla mensa Caritas: il 10 per cento in più in un anno. Il dato tragico è raccolto, attraverso una ricerca conclusasi nell’ottobre del 201, dall’Osservatorio sociale della provincia di Cagliari, dalla Caritas e dalle altre associazioni che operano in contatto con le famiglie indigenti.
Cagliari, con questi numeri, primeggia tra i capoluoghi del Meridione e non sfigura con le realtà più ricche del nord della Penisola. Cresce di conseguenza anche il reddito medio sotto la Torre dell’Elefante. Se Milano è capitale incontrastata dei benestanti, con
I dati sono allarmanti. La povertà assoluta (l’incapacità di acquisire i beni e i servizi minimi) è più presente tra le famiglie con il capo famiglia in cerca di lavoro (incidenza circa tre volte maggiore), quelle con tre o più figli minori (due volte più elevata), gli anziani soli
(1, 5 volte maggiore) e le persone con basso titolo di studio (incidenza circa due volte più elevata). Il dramma della povertà risulta, però, molto più esteso di quanto non appaia. Oltre a chi non ha niente e ricorre ai servizi sociali comunali, la miseria sta aggredendo strati sociali storicamente lontani dalla soglia dell’indigenza: impiegati, padri separati e piccoli professionisti. È il cosid-
detto fenomeno della “deprivazione” che colpisce il ceto medio. Si tratta della difficoltà a pagare debiti, cure mediche, sino ai beni di prima necessità. Questa disparità di risorse, dilagante e irrefrenabile, mette a rischio la tenuta sociale dell’intera comunità. Una realtà drammatica che brucia sotto la cenere di una crisi finora accettata con fatalismo e che spinge a una fuga dalla città verso una realtà più a misura d’uomo.
Foto centrale: via Sulis, il nuovo simbolo del lusso di Cagliari, da poco sede di raffinati negozi e ristoranti In alto a destra: Don Lai, direttore della Caritas diocesiana di Cagliari Sotto: il simbolo del futuro che fa paura, la disperazione di chi ha perso tutto
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L A S TO R I A
Ma c’è anche chi diventa
sardo per scelta Centinaia di stranieri, negli ultimi anni, si sono stabiliti nell’isola in cerca di una vita serena. Vediamo chi sono e cosa fanno. di Luisa Maccioni Commenta l’articolo su www.cagliaripad.it
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o sapevate? Negli ultimi anni in tutti i Paesi industriali occidentali si è verificato un arresto nella crescita delle grandi città e una ripresa di popolamento in aree periferiche. Fin a che punto la Sardegna segue questo andamento? Qual’è da noi la dimensione e l’articolazione
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territoriale del fenomeno? In questo numero di Cagliaripad abbiamo provato a dare una risposta a queste domande. Operando su dati a livello locale, la ricerca parte dal confronto delle variazioni della popolazione nell’aera metropolitana. Dal quadro d’insieme delle trasfor-
mazioni recenti dell’organizzazione dello spazio geografico emergono problemi e soluzioni. I sardi rispondono alla crisi spostandosi dalla città – Cagliari – alla periferia. E non solo i sardi. Centinaia di stranieri, negli ulti-
Nella pagina di sinistra il panorama della zona di Montiferru. In questa pagina, da sinistra un’immagine di Baunei e di Santu Lussurgiu
mi anni, si sono stabiliti nell’isola in cerca di una vita serena. Nel Montiferru, per esempio, o a Baunei. Paesini in gran parte in pietra i cui centri storici sono stati quasi completamente ristrutturati, con case colorate e alberghi ricavati nelle antiche abitazioni, ristorantini d’alto standard e una decisa vocazione alla sostenibilità. Niente di patinato, in realtà. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, hanno cominciato ad arrivare stranieri da tutto il mondo. Comprano casa e si stabiliscono qui, oppure restano per sei mesi l’anno. Influisce il fascino del passato e l’eco di una storia arcaica e misteriosa. Ma anche la qualità della vita semplice che col tempo si è perduta, e che qui sopravvive.
Nascono ovunque le idee di ripopolare le case abbandonate. In questo senso Santu Lussurgiu è il fiore all’occhiello dell’isola: anche qui vivono molti stranieri: artisti, scrittori, intellettuali. Ma tutta la Sardegna assiste al fenomeno di sbarco di famiglie francesi, e tedesche. Ci sono anche svedesi, perfino americani. Assieme ad alcuni sardi, hanno scelto di compiere un percorso controcorrente, dal caos calmo della modernità al silenzio delle nostre pietre antiche, uniti da un’aspirazione: l’autosufficienza. In tanti hanno comprato un pezzo di terra che lavorano da soli, e qualcuno ha realizzato orti sinergici. La vita, qui piuttosto che altrove, ha ritrovato in suo ritmo.
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R E P O R TA G E
Città che lasci paese che trovi Dicono addio al caos, alla snervante ricerca di un parcheggio e allo smog per trovare spazi aperti e aria pulita. Storia di chi ha lasciato (senza rimpianti) il capoluogo. di Lexa
C
aos, traffico e parcheggi introvabili, pulizia e sicurezza che lasciano a desiderare, assenza di spazi e luoghi adatti ai bambini, poca aria pulita e tanti piccioni. Al prezzo del mattone, al costo degli affitti e a una città cinta da transenne in palazzi decadenti si aggiungono quei piccoli grandi problemi che la stanno rendendo invivibile.
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Ormai solo chi ci abita da sempre, e ha comprato in tempi in cui ancora una casa in città si poteva acquistare senza un mutuo trentennale, rimane a Cagliari. Ma nemmeno tutti. Niente di buono nemmeno per gli affitti. Non esistono più quartieri in e quartieri di seconda classe. Che si cerchi a Is Mirrionis o che si opti per
il Quartiere del sole, a meno che non si accetti di vivere di un simil bunker, non si può trovare nulla per meno di 600 euro mensili. Gli studenti, costretti e spremuti fino all’osso, accettano prezzi che oscillano tra i 190 e i 250 euro per una stanza in appartamento condiviso che in tutti (o quasi) i casi ha più l’aspetto di un puzzle-patchwork riciclato che di una
casa vera. Giovani che si affacciano nel mondo del lavoro con l’incubo di quegli anni da universitari passati a tollerare infissi inchiudibili e battiscopa cadenti non ci pensano due volte a scappare da quel centro in cui si tappa il buco della doccia per non dover vedere croccanti e gigantesche blatte che girano per casa. Genitori che con la tripla e quadrupla fila prendono più multe che punti al supermercato perché devono accompagnare i figli a scuola in strade strette e senza l’ombra di un punto di sosta. E poi ci si domanda perché la città si stia spopolando. Così, un po’ per caso, un po’ per
scelta, ci si guarda intorno mentre ci si allontana verso un centro commerciale, uno di quelli di periferia, nei pressi del quale si vedono tranquille villette assalite dai raggi solari, lontane dai ritmi frenetici, vicine agli asili, alla strada statale 131 e alla 554. Corte del Sole e Conforama diventano di conseguenza i nuovi poli intorno ai quali ci si vuole stabilire perché, comunque, lì c’è tutto. E c’è tutto quello che si cerca anche nei paesi che li circondano: Elmas, Sestu, San Sperate fino a Monastir. Luoghi nei quali i bimbi si possono accompagnare all’asilo anche a piedi, in cui si va alle Poste in bicicletta senza
rischiare di essere travolti dal traffico selvaggio e senza attraversare piste ciclabili che sembrano il set di un candid camera, in cui si possono acquistare villette spendendo quello che in città si spenderebbe per un bivano. Poter fare una raccolta differenziata in un comune che la fa funzionare, avere un cortile, un barbecue, uno spazio in cui eventualmente votarsi al fotovoltaico, in cui stendersi il bucato all’aria, diventano tutte esigenze primarie per chi a lungo vi ha dovuto rinunciare. E la città, per i più, diventa solo un luogo in cui si lavora e ci si lamenta di tutto quello che non va. Commenta l’articolo su www.cagliaripad.it
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R E P O R TA G E
Dolianova, la piccola realtà che non rinnega il passato Mentre i piccoli comuni si spopolano, la cittadina del Basso campidano va in controtendenza. Puntando sulla lavorazione dei prodotti della terra è diventata un punto di riferimento per i centri circostanti
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ma nel Parteolla quindi, anzi tutti i dati sono in forte controtendenza.
Un esempio in tal senso è Dolianova. Il paese del basso Campidano, a pochi Kilometri da Cagliari, è cresciuto dal 2001 di oltre duemila abitanti. Il cronico spopolamento dei piccoli centri, sembra non essere un proble-
Un popolazione, tra l’altro, relativamente giovane poco meno della metà non ha ancora quarant’anni, ma Dolianova è anche ‘un paese per vecchi’: già nel 2008 erano due i centenari. Ma quali sono le ragioni del successo del piccolo centro. Storicamente Dolianova è un centro importante che ha sempre basato la sua economia sulla coltura della vite
entre il capoluogo lentamente si spopola, in Provincia ci sono delle realtà che crescono. Crescono come numero di abitanti, come qualità della vita, sino ad attirare proprio coloro che dalla città fuggono.
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e dell’ulivo. Le aziende di trasformazione dei detti prodotti della terra, in particolare quelle che fanno parte della locale Cantina Sociale e della Copar (Cooperativa olivicoltori del Parteolla), si sono ritagliate negli anni una loro fetta di mercato. Una buona parte di bottiglie di rosso e d’olio vanno infatti nel circuito delle esportazione nazionale e internazionale. È proprio il non aver rinunciato, in nome del progresso, alle tradizionali attività
Nella pagina di sinistra le cantine di Dolianova e la chiesa di San Pantaleo In questa pagina un panorama dalle montagne
economiche il segreto del successo di Dolianova e del suo territorio. A differenza di altre realtà la cittadina non si è trasformata in un paese dormitorio dove le case costano meno che nel capoluogo o nell’hinterland. Non si è slegato dalla sua terra e dai prodotti, anzi, ha fatto di questi la sua ricchezza, mantenendo sempre in zona anche la produzione a livello industriale. Un esempio la produzione dei formaggi
ovi-caprini. Dolianova è sede dell’Argiolas Formaggi, uno dei più grandi caseifici della Sardegna, che esporta i propri prodotti in gran parte dell’Italia e dà occupazione a quasi cento persone. Anche per questo il paese rappresenta un punto di riferimento per i centri circostanti anche per quanto riguarda il commercio e i servizi. Con una zona artigianale e industriale in forte espansione. (c.p.)
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IL CASO
L’esempio virtuoso di Sadali:
“Torniamo alla terra” Un gruppo di giovani lancia la proposta su Internet: andiamo a vivere un’esistenza ecosostenibile. Il sindaco li ascolta e rilancia: un sussidio per due anni a chi si trasferirà da noi
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egnatevi questo indirizzo internet: http://blog.libero.it/ripopolasadali/. Se siete giovani e avete intenzione di seguire un progetto di vita “alternativo” basato sulla sostenibilità ambientale, il contatto diretto con la terra e l’autosufficienza energetica Sadali -un centinaio di chilometri da Cagliari- è il paese che fa per voi. Il progetto si chiama “Ripopola Sadali”, è sostenuto dal comune e a proporlo sono due ragazzi, Elena e Andrea che, attraverso l’omonimo blog, lanciano il
loro tam-tam alla ricerca di altre persone disposte a condividere il progetto di un “eco-villaggio”. Ecco cosa scrivono nel loro blog: “Siamo una giovane coppia e ci rivolgiamo a chi ha intenzione di trasferirsi in Sardegna oltre che ai sardi decisi a vivere in campagna. Sadali è un paesino meraviglioso di montagna, una autentica oasi naturalistica, purtroppo in via di spopolamento. È importante farla rinascere. “Il comune incentiva chi sposta
residenza o mette famiglia offrendo in buoni 200 euro spendibili in cibo, legna e quant’altro occorra. L’idea è unire un gruppo, conoscerci nei primi 2 anni comodamente affittando una ampia e riscaldata casa in paese, che si aggira intorno ai 150, 200 euro al mese. In questi due anni chi si trasferisce farà anche uso dei buoni validi appunto per due anni. In questo tempo avremo modo di organizzare un ecovillaggio nella forma che più ci piace venendo incontro alle nostre esigenze. Potremo valutare se restare in quella zona oppure spostarci. “La terra può essere acquistata a prezzi molto bassi (per dire, ci avevano detto che vicino al lago, fra le valli, ovviamente dove non c’è corrente e non arriva l’acqua e in tal caso un pozzo risolve il problema, oltre che le piogge invernali non mancano, vendevano ettari a 2, 3000 euro l’uno.) Questi due anni in affitto sarebbero quindi utilissimi per confrontarci e far strada ad un progetto comune, all’acquisto di terra e alla costruzione di case in materiali naturali, energia solare ecc. “Attualmente vi sono due coppie di amici che già si sono trasferiti e noi due ci muoveremo entro questi
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Nella pagina di sinistra l’arrivo a Sadali. foto da internet, di Stefano Paolini. In questa pagina, in alto le cascate e sotto le grotte di Sadali, foto di Mario Biancu.
unica scuola. Molte attività sono le benvenute laddove mancano. Benvenute sono le terapie olistiche e alternative di vari generi.
mesi. Gli amici hanno già avviato orti in una ampia zona di terra generosamente prestata da contadini locali. “La Sardegna è un luogo vitale dove vivere se si ha il coraggio di aprirsi e condividere. Attualmente vi sono molte realtà simili ad ecovillaggi, ma pur conoscendosi tutti, pare carente lo spirito organizzativo, eppure tutto cambia e l’energia di questa terra può aiutarci.
“E noi restituire a questa terra la dignità che merita. Ecco ora un idea dei nostri presupposti: vorremmo ritrovare il contatto col mondo vivente, al di fuori di un contesto urbano, essere in gran parte autonomi per approvvigionamento acqua, cibo, oggetti utili, abitazionirifugi e impatto ecologico al minimo. Se ci fosse un bel gruppo di bambini si potrebbe gestire una scuola famigliare. Attualmente a Sadali c’è un
“Un potenziale di guadagno potrebbe attuarsi attraverso bed and breakfast, vendite di prodotti locali, teatro, arte e seminari. La terra ci donerà quanto necessario per il sostentamento fisico e spirituale. Per noi piante, animali e uomini sono considerati al pari valore, senza discriminazioni di nessun tipo. Rispettiamo la vita armonica circostante. Uno stile di vita semplice, libero dai molti stimoli sensoriali che ci disorientano nella realtà civilizzata, non può che far bene, senza dover rinunciare all’abbondanza e alla comodità.” Contatti: Andrea: coraggiodiessere@libero.it 3881647417 Elena: cannellaelena@yahoo.it
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SUL FILO DI UN’IDEA
Partire è un po’ morire C os ivo
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In anni recenti, dal 1987 al 1999, secondo le statistiche, sono emigrati 15.647 isolani (82% in Europa, 16% nelle Americhe), mentre ne sono rientrati 12.869, con una differenza di 2.598 unità. La maggior parte degli emigrati degli ultimi anni proviene dalla provincia di Cagliari ed hanno lasciato l’Isola diretti per il 70% verso i grandi paesi europei (Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera), mentre il 30% verso altre nazioni come Paesi Bassi, Belgio, Spagna, Argentina e Venezuela. Fra questi un numero cospicuo è costituito da giovani laureati.
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Alla famosa frase della “Chanson de l’Adieu” (di Edmond Haraucourt), “Partire è morire un poco”, Maurice Chevalier rispose: “Morire è partire un po’ troppo”.
Costantino Nivola, scultore di fama internazionale, nacque a Orani il 5 luglio 1911. Passò l’adolescenza facendo il manovale, poi Mario Delitalia, noto pittore oranese, lo introdusse al mondo dell’arte. Nel 1931 Nivola lasciò Orani per recarsi a Monza dove si scrive all’Istituto statale per le industrie artistiche, a Milano divenne art director della Olivetti. Con la moglie Ruth Guggenheim si trasferì in Francia a causa delle leggi razziali - lei era ebrea - poi negli Stati Uniti d’America. E qui che l’artista fece fortuna. Ma la passione per la Sardegna lo riportò spesso nella sua terra d’origine. Il 5 maggio 1988 Nivola morì a East Southhampton.
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“Chi ci ha rivoltati così in modo che qualsiasi cosa facciamo, siamo nell’atteggiamo di uno che va via? Come quello che sulla cima dell’ultima collina, che ancora una volta gli mostra tutta la valle, si volta, sosta, si trattiene-, così noi viviamo e sempre prendiamo congedo”. Rainer Maria Rilke, Elegie Duinesi
Nei percorsi dell’immigrazione verso l’Europa, la Sardegna è stata da sempre considerata solo una tappa. La presenza di immigrati nell’Isola è meno consistente rispetto alle altre regioni italiane; ciò è dovuto alla limitatezza del mercato sardo, alla condizione di arretratezza relativa del suo apparato produttivo e a un mercato del lavoro appesantito da un tasso elevato di disoccupazione. Oggi gli stranieri presenti nel territorio sardo provengono dal 70 per cento dei paesi del mondo.
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“E finire è cominciare. La fine è là donde partiamo”.
T.S. Eliot
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I N N O VA Z I O N E
Il modello virtuoso da imitare
Sophia Antipolis
Ripartire dalle nuove tecnologie puntando ai risultati ottenuti dal polo tecnologico d’oltralpe
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razie a Internet oggi si può lavorare ovunque. Il modello da imitare? Sophia Antipolis: un “parco tecnologico” situato tra le città francesi di Nizza e Cannes, nell’entroterra di Antibes; una zona che quarant’anni fa era inaccessibile e inospitale, e oggi è un gioiello di innovazione. Sophia Antipolis è nata nel 1970, su idea di Pierre Laffitte, uno scienziato francese, e ospita aziende soprattutto di informatica, elettronica, telecomunicazioni, biotecnologie e farmacologia; inoltre ospita le sedi di numerose istituzioni, come la sede europea di W3C. Un’università specifica per il territorio e, un ente attrezzato alla difesa del paesaggio. Perché non esportarlo in Sardegna? La centralità della città (e di Cagliari in particolare) sta finendo, e se è vero che ogni luogo può diventare il centro del mondo bisognerebbe provare a redistribuire lavoro, incarichi, ricchezza… (g.g.)
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LA POLITICA
Ecco chi sono i sardi per
Renzi
“Pd da rottamare nell’isola. Serve una nuova classe dirigente. Chiederemo al sindaco di Firenze cinque punti da portare avanti”
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ascono in Sardegna i comitati per il sostegno al primo cittadino di Firenze. Per ora sono poco più di 10 pronti a impegnarsi per sostenere il giovane sindaco di Firenze nella sfida al segretario Pd Pierluigi Bersani alle primarie di novembre. Il “renziano” ha un identikit preciso: giovane, interessato alla politica, l’occhio rivolto al centrosinistra (meglio se moderato) e tanto, tanto, desideroso di archiviare il ventennio berlusconiano, in tutte le sue declinazioni, al tramonto.
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Il coordinatore è Giuseppe Frau, giovane (anche se da anni politicamente impegnato), considerato vicino al deputato Pd Paolo Fadda, c’è Egildo Tagliareni, segretario dell’assessore all’Urbanistica del Comune di Cagliari e membro della segreteria cittadina Pd (vicino all’area Soru), Moreno Pisano (consigliere comunale a Suelli) e Emanuele Armeni (consigliere Pd alla Municipalità di Pirri) e il blogger Massimo Marini. “Persone con esperienze diverse e
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senza un capo”, assicura Giuseppe Frau, “tutti protagonisti allo stesso modo. E’ una campagna innovativa: non avendo struttura di partito o di base, i comitati per Renzi sorgono spontanei nel territorio. Costituire un comitato è facile, basta andare sul sito e scaricare la modulistica, sono sufficienti dieci persone”. L’obiettivo è quello di rottamare “un’intera classe dirigente colpevole di
Nella pagina di sinistra Matteo Renzi. In questa pagina: Firenze e Pierluigi Bersani, segretario Pd
aver salvaguardato l’esistente, senza uno sguardo di prospettiva. Perché nessuno si è preoccupato di costruire una classe dirigente all’altezza e il risultato è stato questa crisi drammatica che ha portato al governo tecnico: ma è arrivato il momento di trovare una classe dirigente nuova. E il ragionamento vale anche per loro”. Capitolo programmi. L’obiettivo è quello di dire addio all’industrializzazione assistita che si è rivelata fallimentare. Puntando a un modello di sviluppo nuovo,
senza però abbandonare i lavoratori. I “renziani” auspicano le dimissioni della Giunta Cappellacci ma chiedere quale alleanza preferiscano tra Grillo e Berlusconi è inutile: “Sono due facce della stessa medaglia: entrambi cavalcano il disagio e il malessere, ma senza uno straccio di proposta politica seria”. L’attività dei comitati. E’ tutto a carico dei partecipanti che aderiscono: non c’è un euro dal nazionale. Solo un contributo da parte di chi partecipa. (e.n.)
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IL RICORDO
Addio Emanuele Sanna politico gentiluomo Il medico pediatra di Samugheo, che ha seguito tutte le trasformazioni del Pci, è morto il primo ottobre nel “suo” Brotzu”, dopo un grave malore
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È
morto, lunedì primo ottobre, nel Reparto di Rianimazione dell’ospedale Brotzu di Cagliari, Emanuele Sanna, esponente di punta della politica isolana. Era stato ricoverato
nel “suo” ospedale dopo aver accusato, alcuni giorni prima, un grave malore. Sanna, 69 anni, medico pediatra, era di Samugheo e del paese dell’oristanese è stato sindaco dal 2005 al
2010. La sua lunga carriera era iniziata nel 1975 quando venne eletto nel Comitato della Federazione comunista italiana e nelle liste del Pci all’interno del Consiglio comunale di Cagliari. Nel 1979 entrò per la prima volta in Consiglio regionale sempre all’interno dell’ex Pci e l’anno successivo venne nominato assessore della Sanità nella prima Giunta di sinistra della storia dell’Autonomia sarda. Nel 1984 viene eletto presidente del Consiglio regionale. Rieletto consigliere nel 1989. Con la nascita del Pds è eletto nel Consiglio nazionale del partito, mentre nell’Assemblea sarda è presidente della Commissione bilancio. A seguito i diversi cambiamenti del Partito comunista, sino a essere componente della Direzione regionale del Partito democratico della Sardegna. È stato deputato in Parlamento dal 2006 al 2008. È ritenuto il “padre” dell’ospedale Brotzu di Cagliari, che riuscì a far aprire quando ricopriva il ruolo di assessore regionale alla Sanita. Proprio nella struttura di via Peretti, Sanna è deceduto e “come egli desiderava - precisa una nota del Brotzu -, con grande sensibilità i familiari hanno immediatamente deciso per la donazione degli organi”. (c.p.)
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L’ I N T E R V I S TA
Adesso basta
col centralismo di Cagliari L’ultima chiacchierata con l’esponente del Pd incontrato in primavera dal nostro giornale di Claudia Sarritzu
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S
econdo lei l’ospedale civile dovrebbe essere smantellato e trasformato in un museo? Credo che l’esodo delle cliniche universitarie verso il polo di Monserrato basti e avanzi. Sarebbe infatti inaccettabile a mio parere decretare il “fine vita” dello storico ospedale costruito da Gaetano Cima 170 anni fa. Ogni mattina a Cagliari sono 200 mila le persone in movimento che per motivi perlopiù lavorativi entrano in città. Spostare gli ospedali significherebbe privare un centro abitato di uno dei servizi primari necessari a qualsiasi comunità. Si verificherebbe un controesodo inutile e dannoso. Dopo il grande errore fatto a spese della clinica Aresu, prestigiosa scuola medica specialistica, non possiamo farne altri. Lei si riferisce anche alla seria difficoltà di traslocare personale e pazienti in un’altra struttura? Assolutamente sì, non è giustificabile una simile scelta, e ricordo che il mio è un parere da medico prima che da cittadino e da politico. È incomprensibile il motivo per cui, grazie alla costituzione di poli di eccellenza che hanno finalmente evitato ai malati con patologie gravi di intraprendere gli umilianti viaggi della speranza, oggi si debba tornare a privare Cagliari dei suoi presidi sanitari oramai dotati di tecnologie avanzate al
pari di altre regioni europee più ricche. Non possiamo tornare a trent’anni fa, a prima dell’avvento del sistema sanitario nazionale. Quindi quando parla di decentramento a cosa si riferisce? Di sicuro agli apparati burocratici e a tutti quei servizi che se trasferiti nella provincia salverebbero lo spopolamento di quelle zone. La Sardegna ha 377 comuni e solo quattordici superano i 20 mila abitanti. Cagliari non può perdere i servizi basilari che la caratterizzano come centro abitato, perché facendo così si incoraggia la tendenza ormai decennale di percepire la città esclusivamente come luogo dove ci si riversa per svolgere attività commerciali, lavorative e così via. La città ha già perso negli ultimi decenni molti residenti che per i costi elevati delle case si sono trasferiti nell’area vasta. I servizi che deve cedere sono per esempio alcuni poli universitari di ricerca. Anni fa mi sono battuto perché il parco scientifico tecnologico avesse la sua base nel Sulcis. In quel caso che senso aveva tenersi in città un polo che sarebbe risultato fuori luogo solo perché l’Ateneo è a Cagliari? In questo modo alcuni giovani potrebbero restare nel proprio territorio mentre studiano?
Esatto, ci sono delle facoltà scientifiche che potrebbero benissimo risiedere in zone dell’isola più appropriate. Dove il tessuto sociale e ambientale si cuce alla perfezione con l’oggetto di studio. Tenersi in città alcune strutture è una forzature a scapito di regioni molto più adatte che ne trarrebbero sicuramente vantaggi. Non lo considera uno spreco economico, il decentramento universitario, in un periodo storico come questo dove i tagli all’istruzione non permetterebbero la costruzione di nuove sedi e lo smantellamento di quelle già esistenti? No, ci sono sì dei servizi che i piccoli comuni dovrebbero condividere, ecco perché sono a favore dei consorzi fra piccole comunità. Ma se vogliamo migliorare la qualità della vita nelle città come nei paesi non possiamo prescindere da un decentramento burocratico o universitario che porti la popolazione adulta e giovane a restare nelle proprie comunità. Il Consiglio regionale dovrebbe aprire un serio dibattito prima di intraprendere scelte drastiche e inutili alla popolazione. Ribadisco che se smantelli l’ospedale Cima stai mettendo in auto i cagliaritani che devono correre al pronto soccorso. Non avrebbe senso, questo non è decentramento.
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I L R A C C O N TO
Il vincitore Con questo numero si chiude il concorso “CPadStory”. La vincitrice è una donna, autrice di questa novella
La fine è là donde partiamo di Gianna Mereu
Francesca Giuseppina, era questo il nome che la signora Olga aveva voluto dare all’ultimogenita della dinastia, dell’antica casata, del nobile sangue. Francesca Giuseppina Congiau. La famiglia Congiau viveva in una splendida casa, grande come un castello: era appartenuta al padre del signor Sebastiano, l’attuale capofamiglia, e a sua volta al padre del padre, in un percorso a ritroso nel quale la memoria si perdeva, ma si poteva ritrovare nelle carte. Abitavano a Falsamora, un paese antico, di vecchie tradizioni, seppur vicino e ben collegato alla Città Grande. Si dice che i falsamoresi fossero così attaccati alla propria cultura che chiamavano barbari i cittadini; e sì che venivano criticati la città, i nuovi costumi, la civiltà. Quasi mai un falsamorese metteva piede in città: e se ciò avveniva, l’atteggiamento era sempre di superiore distacco, di disgusto. Altresì si narra che pesanti insulti e sonori fischi accompagnassero il loro passaggio in quelle strade, per quei palazzi cittadini. Così Francesca crebbe all’ombra della grande casa, sotto le amorevoli cure della signora Clara, la balia, assieme alle sue due sorelle, l’austera Viola e la vivace Micaela, all’ombra dell’enorme albero secolare, piantato sotto casa dalla notte dei tempi. Quando Francesca compì tredici anni venne preparata, in casa, una festa. Il signor Sebastiano però chiamava la figlia: voleva richiamarla al dovere, e insegnarle a rispettare i propri impegni. “Vieni giù, Giuseppina. Mi senti? Le prugne, devi raccogliere le prugne. L’albero è ancora carico, avresti dovuto farlo ieri. Le prugne, Giuseppina”. Chissà quante volte aveva giocato, tra quei rami.
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Ma oggi non le andava di giocare. Guardava il mare che, nitidamente, si distingueva dal cielo. Lo osservava dalla finestra della sua camera. “Giuseppina, corri immediatamente qui” continuava a gridare il padre “e porta un cesto”. D’un tratto, assorta nei suoi pensieri, Francesca vide qualcosa muoversi nelle onde, all’orizzonte. “Non posso papà” disse la ragazza “non ora”. “Scendi immediatamente” fu la risposta. C’è qualcosa che si muove nel mare, se non mi inganno, pensò. Prese il binocolo. Allo strumento apparve una chiazza color avorio, molto sfuocata, che si muoveva. “Sarà il riverbero del sole” pensò Francesca. “Papà, scenderò tra un attimo”. Trascorse un’ora. Quell’oggetto era ancora lì. Francesca riprese il binocolo, ancora si distingueva bene, ormai era escluso potesse essere il sole. Era una palla bianco avorio, e si muoveva, come se seguisse un ritmo. La festa. Già, le amiche sarebbero arrivate per festeggiarla. Certo, loro erano ancora delle bimbe, mentre lei era una signorina. Aprì l’armadio. Prese un maglione, lo zaino, ci infilò dentro i binocoli. Rubò sette scudi dalla borsetta della madre. Scese le scale in legno, che scricchiolarono, la madre le chiede dove andava, lei non rispose. In un attimo fu in giardino, dove il padre raccoglieva la frutta. E lei, di corsa: “Vado e torno, una cosa veloce, vado e torno”. “Giuseppina, non ci sarà nessuna festa se prima non avrai raccolto le prugne”. Scese per strada: conduceva dal Colle, rione nel quale abitavano, al paese. La percorse tutta in un batter d’occhio. “Devo sapere cosa si muoveva lì, oltre il mare,
pensava. Faro prima di sera. Le mie amiche aspetteranno. Certo, dovrò prendere il bus, e raggiungere la città”. Francesca non aveva mai preso l’autobus da sola, questa volta salì. Arrivò in città che erano già le quattro del pomeriggio. Scese. Si trovava nella piazza centrale della Città Grande, tra automobili e palazzoni alti e moderni. La ragazza cominciò ad avere paura. Ma c’era tanta luce, e tantissima gente. Non si demoralizzò. Era tutto così diverso, dal paese. Solo una volta era stata lì, ma molto tempo prima, e con il padre. Era così diverso, il mondo. La colpirono alcuni ragazzi, appoggiati alla fontana. Pareva fossero vestiti di stracci. Bevevano dalle bottiglie. Si fece coraggio. Chiese a un giovanotto che le sembrava affidabile: “Qual è la strada che porta al lido?”. Il ragazzo la guardò negli occhi. “Ti hanno mai detto che sei bellissima?”, poi “Rimani con me, non andare al mare. Io sono Libero”. E lei si lasciò incantare, chissà come e perché. Il giovane viveva sotto un ponte, in riva al fiume. Le disse che di giorno vendeva sogni, ma lei non capì. Poi rimasero soli, e fecero l’amore. Per un attimo Francesca pensò al padre, e a sua madre, e alla festa. Poi non ci pensò più. Il giovane le disse: “Rimani con me per sempre”, ma lei scappò via. Incontrò un uomo, un signore distinto, che la fermò, con queste parole: “Ehi tu, bambina, ragazza. Non sembri di qui, non ti ho mai vista. Sei di Falsamora, per caso?”. Lei, timidamente: “Si”. “I falsamoresi sono tutti ladri. Vivono senza far niente, perché rubarono l’oro della città dei nostri padri. Così noi siamo rimasti poveri per sempre, e costretti a lavorare come schiavi. Quel signor Sebastiano, poi, quel brigante…Ma tu, ragazzina, non puoi sapere…” Le parole di quell’uomo sembravano vere. Francesca non ci credette, ma quel “brigante” le martellava il cervello, le metteva in testa tante domande. I dubbi si moltiplicarono, quando “Tu devi essere di Falsamora, le disse una donna, il paese di quello strozzino di Don Sebastiano”. Infine vide un giovane, trascinato in catene. “Aiuto, ragazza, porgimi un po’ d’acqua”, fece, rivolto a Francesca. Poi, però, osservandola bene: “Ma io ti conosco! Sei la figlia di Sebastiano Congiau, di quel delinquente che mi ha fatto mettere in catene! Sparisci, sparisci dal mio sguardo”. Francesca si rannicchiò, allora, in un angolo della stra-
da, e pianse. “Non tornerò mai più a casa”. Nelle strade che puzzavano di ogni genere di odore, vide un mendicante. “Dove posso trovare la strada per il mare?” chiese, ma ormai non le interessava più niente. “Andrò anche solo per bere, anche solo per morire” pensava. Il mendicante le indicò una strada buia: tirava una specie di sigaretta, e sigaretta non era. Accanto a sé, un cane. “Là dove ti porta il cuore, là, nella stanza dello Spirito, sta la Verità che cerchi”. E la ragazza si incamminò. Ma il sentiero si faceva sempre più impervio, sempre più buio. Si trovò in una specie di lazzaretto. C’erano persone che piangevano, sembrava l’Inferno. “Siamo gli esiliati, i deboli, i vinti. Aiutaci ragazza”. Francesca stava per toccarli, ma sapeva che la lebbra è contagiosa. Fece in tempo a fuggire. Infine un ragazzo distinto, forse là per puro caso, che sembrava che la conoscesse, le disse: “Francesca, il mare è lì, dall’altra parte, dietro di te, alle tue spalle. Vai”. Lei gli diede un bacio, ma senza appoggiare le labbra, e gli chiese il suo nome. “Mi chiamo Guido”. Poi partì. Era stanca, Francesca. Cominciava a essere davvero tardi. Era molto stanca, ma era arrivata. Chiuse gli occhi, poi li riaprì. Vide quella cosa, muoversi, in mezzo all’orizzonte, il sole basso, all’altezza degli occhi. Fece pochi passi e la terra finì. Si specchiò allora nelle acque, e, con stupore, si accorse di essere diventata vecchia. Mise un piede nell’acqua, e non sentì più dolore. Poi una bracciata dietro l’altra, quasi meccanicamente, verso la chiazza. Toccò qualcosa con le dita. Esausta, alzò lo sguardo dalla superficie del mare. Aprì gli occhi: e si trovò di fronte una pianta, un’enorme pianta. Era il prugno del suo giardino. Guardò indietro, c’era la casa, ai piedi, il paese. Chiamò; non c’era nessuno. Solo deserto e vuoto. Era sola. Le prugne a terra, pronte per essere raccolte. Pianse, Francesca, e allora si accorse che l’albero non faceva nessuna ombra. Anche lei non aveva alcuna ombra. Si addormentò mentre il sole calava, alle sue spalle.
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L A I F S TA I L
La famiglia Usai di Alessandra Ghiani a.ghiani@cagliaripad.it
La festa dei
nonni
Cesarino dà una lezione ai genitori sulla responsabilità di essere figli
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l 2 ottobre ricorre la festa dei nonni. Peppi Jr e Marietto hanno organizzato il pranzo in casa Usai e la sera sono a cena dai rispettivi suoceri.
mangiare” Ma non risponde e preso uno scannetto lo posiziona accanto alla poltrona del nonno prendendo posto vicino a lui.
Cesarino è particolarmente triste ma suo padre Peppi Jr non se ne rende conto perché è morto di fame: “Finalmente seus torrausu in Sardegna, non ne potevo più di mangiare cose continentali, è tutto pronto? Pancia mia fatti la canna!”
“Cesarì però mamma ti stava chiamando, perché fai orecchie d’ambulante? Non vieni a mangiare?”
“Peppi non vedi che tuo figlio ha il molare giù?” gli fa notare Lilli. “Hiii fillu miu, cosa leggia su dolor’e dentisi, domani papà ti porta dal dentista!” “Ma che cos’hai capito! Non ha mal di denti, è di brutto rumore!” cerca di spiegargli la moglie “O Lilli po carirari! Appessi ignoranti deu, ma anche tu stai parlando a valvola ora eh! Come deve fare uno a capirti!” Cesarino si alza da tavola e si dirige in salotto dove nonno Locci, il papà di Lilli, seduto su una poltrona, fissa in silenzio la tv accesa. Commenta l’articolo su www.cagliaripad.it
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“Cesarì” grida Lilli dalla cucina “vieni a
“Mammi, oggi è la festa dei nonni, e noi siamo venuti a mangiare a casa di nonno Locci. Che senso ha venire a mangiare DA lui se poi non mangiamo CON lui?” “Figlio mio, così ci metti con le palle al muro lo sai? Anche noi vogliamo mangiare con nonno ma sai bene che lui ha bisogno di attenzioni speciali. Più tardi viene l’infermiera e gliela da lei la cena...” “Non capisco mamma. Noi siamo qui. Io sono venuto per lui, non voglio che oggi, che è la sua festa, debba venire qualcuno ad accudirlo se ci siamo noi”. Cesarino tocca il cuore della madre e del padre che si impegnano con lui a preparare la cena a nonno Locci. Dedicano così la serata solo a lui dimenticandosi perfino di cenare. Quando è ora che il nonno vada a dormire Lilli e Peppi lo cambiano e dopo averlo messo a letto aspettano che arri-
vi l’infermiera per la notte. Cesarino si infila nella sua camera, lo vede addormentato e per qualche minuto si sdraia accanto a lui, abbracciandolo. Poi Lilli lo chiama e lui, prima di uscire, gli sussurra qualcosa all’orecchio e dopo avergli dato un bacio sulla guancia si ferma per un attimo a guardarlo. Dagli occhi del nonno scende una lacrima, un’altra, subito dopo, cade da quelli di Cesarino. “Sai mamma, il nonno capisce e ci sente…” “Sarebbe molto bello figlio mio…” “Ti dico che è così! A nonno è scesa una lacrima mentre andavo via… Non capite nulla!” “Cesarì di mamma, tu sei molto premurato ma quelli sono solo riflessioni involontari. Oggi sei un po’ triste ma non prendere me e tuo padre come capro epilatorio” “Dai retta a tua mamma, e non illusionar-
suo diario e comincia a scrivere. Peppi si affaccia e gli da la buonanotte: “Oggi ho passato una bella giornata con te, tua madre e tuo nonno. Ti volevo ringraziare e dire che mamma ha deciso che non farà più lo scarica barattolo con nonno e che se ne occuperà lei da domani” “O bah, ma nonno Locci di preciso che problemi ha?” “Mmmm, di preciso…. …. Mi hai dato del filo da torce, ashpe che chiediamo a tua mamma. Teresìiiii, vienine! (Teresina arriva) Teresì com’è che si chiama la malattia di tuo padre?” “Alzièm si chiama, è una brutta bestia figlio mio… Oggi ho riflesso grazie a te e ho deciso che da domani mi organizzo e lo guardo io a nonno, non voglio avere morsichi quando sarà troppo tardi” ti figlio mio, la matematica non è un’opzione...” aggiunge Peppi. Cesarino non insiste e tiene con sé il momento che ha vissuto poco prima. Arrivati in camera sua, a casa, come tutte le sere si siede alla sua scrivania, prende il
Pinuccia esce dalla stanza e Peppi guarda perplesso suo figlio: “Cesarì… ashcò, cos’hai il compiùte acceso? E mettimelo veloce veloce su Gùgo questo Alziém che non ho ancora capito cos’è e se lo scopre tua mamma me ne fa correre a gambe lavate!”.
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COLPI DI PENNA
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Nome: Lexa Professione: Scrittista (tra giornalista e scrittrice)
“
L’Alzheimer è l’ultimo miglio di un viaggio che ci porta in Sardegna, a casa nostra, dall’America. Fino a Cagliari ci sono gli aerei. Dall’aeroporto abbiamo l’ autobus che ci porta alla stazione. Ma dalla stazione in poi ci dobbiamo arrangiare, in auto, col taxi o col bus. Insomma, nell’ultimo miglio dobbiamo fare da soli. Così è l’Alzheimer: visite, diagnosi e medicinali da assumere, ma per tutto quello che comporta l’ultimo miglio, l’ultimo tratto di strada di questa malattia, siamo lasciati completamente soli”. Tanto di cappello al presidente della provincia di Cagliari che il 21 settembre alla casa di riposo del parco di Terramaini, in occasione della XIX giornata mondiale dell’Alzheimer, ha spiegato al suo pubblico la sua visione. Ero seduta in ultima fila. Davanti a me decine di altri partecipanti, alcuni dei quali accompagnati, anzi, accompagnatori di un parente affetto da questa bestia di morbo. Non so cosa debbano aver pensato loro ma il mio primo pensiero è andato proprio a quei malati: chissà, mi sono chiesta, se anche loro sono d’accordo con questa metafora, se l’unico momento in cui si sentono abbandonati sia l’ultimo miglio. Quando un essere umano inizia a rendersi conto che il suo cervello funziona come un interruttore col timer. Quando si esce di casa per andare a comprare una pasta dura e ci si ritrova tra i banchi di chiesa senza un motivo. Quando un compaesano ti riaccompagna a casa perché non trovi più la strada. Quando tuo figlio diventa un estra-
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Segni particolari: Sentimental-spaccona di un metro e una penna lexa@cagliaripad.it
L’ultimo miglio
(più o meno) neo e quando lo riconosci mentre ti mette un panno come ai bambini perché non sei più in grado di gestire nemmeno i tuoi bisogni primari. Quando inizi a non camminare più o quando diventi violento con le persone che ami. Quando smetti di parlare con tutti e inizi a recitare un santo rosario che non finisce mai. Quando smetti di mangiare da solo, e poi di deglutire, e le flebo diventano il tuo apparato digerente. Quando tutto, pian piano, viene corroso e mette tutti in ginocchio, malato e parenti. E tutto è lento e mai uguale. E lungo, molto lungo. Nell’ultimo pezzo di strada ci arrivi già stremato, e sen-
za tutte quelle persone che c’erano all’inizio. “Bisogna essere dei matti per capire questa vita svitata”. L’avrei spiegata così, io, questa malattia. Con le parole che diceva sempre mio nonno dopo aver visto sua moglie consumarsi dall’Alzheimer per quasi quindici anni. Altro che ultimo miglio.
“Essere molto malati ed essere morti sono condizioni molto simili agli occhi della società” Charles Bukowski
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