STORIE DI MONTAGNA
L’ultimo fabbro A Piè Lucese l’acqua fa ancora battere il maglio. Carlo Galgani è l’ultimo di una lunga discendenza di fabbri che ha origine nel Rinascimento. Qua, tra incudini e martelli, continuano a vivere mestieri scomparsi testo e foto di Gianluca Testa
N
ero. Nero ovunque. È nero il carbone come sono nere le incudini, le pareti, i pavimenti. Sono annerite le finestre, esposte per decenni agli effetti del fuoco e della fuliggine. Eppure in quell’oscurità spezzata solo dal rosso vivo della fiamma – sempre accesa – a volte si compiono miracoli. Non siamo certi della loro origine, ma sappiamo riconoscerli. Li vediamo nel ferro che prende forma quando il frammento di un binario si trasforma in vanga o in pennato, nei manici solo in apparenza rozzamente intagliati, in quei fasci di luce che in certe ore del giorno fendono lo spazio come riflettori su un palcoscenico. E pensare che poco distante dalla ferriera di Carlo Galgani, a Piè Lucese, c’è un palco vero, altrettanto straordinario. È quello del
Teatrino di Vetriano, che con i suoi settanta metri quadri di bellezza è annoverato nella lista dei guinness dei primati per essere il più piccolo del mondo. «Insieme al teatrino sono una delle principali attrazioni di Pescaglia», ci dice Carlo con un mezzo sorriso. Siamo in Valpedogna, più o meno a metà strada tra Lucca e Castelnuovo di Garfagnana. Ed è qua che senza luce e gas continua a lavorare l’ultimo dei tanti fabbri che popolavano la zona. COME IN UNA FAVOLA Se ci addentrassimo nel sentiero che porta alla scoperta degli antichi mestieri di montagna, be’, forse perderemmo le nostre stesse tracce. Quei lavori, così preziosi e utili, sono stati tramandati di generazione in generazione insieme a conoscenze
e abilità che solo l’esperienza secolare ha permesso di affinare e preservare. Eppure quei mestieri rischiano di scomparire. Colpa dello spopolamento dei borghi, della spasmodica ricerca di un apparente benessere, dell’avvento della tecnologia e dell’industrializzazione. Ma soprattutto, per i fabbri, è anche una conseguenza del progressivo abbandono dei campi e delle tecniche di coltura. Se prima forgiava attrezzi per l’agricoltura, ora forgia soprattutto coltelli. «Nella valle c’erano sette ferriere, ma ormai sono rimasto da solo» ci racconta Carlo con un po’ di rammarico. È lui il protagonista di questo racconto che, ora che lo si può leggere su carta, sembra assomigliare più a una favola che a un racconto di cronaca. La nostra fortuna, lo confessiamo, è di averlo potuto
A sinistra, Carlo Galgani nella sua ferriera di Piè Lucese (Pescaglia, Lucca) durante il trattamento di tempra. Delle due incudini utilizzate, una risale al 1910 mentre l'altra apparteneva alla sua famiglia già nel 1700 54 / Montagne360 / marzo 2021