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Seminatori di nuvole

Il piano varato dal governo cinese per il controllo delle precipitazioni suscita timori per le sue possibili ricadute su scala internazionale

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Il mondo intero sta assistendo con meraviglia e preoccupazione alla straordinaria crescita cinese che, in un paio di decenni, ha sovvertito l’equilibrio geopolitico, economico ed energetico dell’intero pianeta. E la Cina sembra intenzionata a cambiare anche l’andamento meteorologico, fra la crescente inquietudine degli stati confinati. Sul finire dell’anno scorso l’onnipotente Consiglio di Stato ha annunciato di volere espandere il suo programma di modifiche climatiche fino a interessare, entro il 2005, un’area di 5,5 milioni di chilometri quadrati: quasi tutta la parte settentrionale e occidentale, compreso il Tibet, dell’immenso Paese. Nell’ultimo decennio la Cina ha investito ingenti risorse per la creazione e il controllo delle precipitazioni, settore di ricerca che impiega oltre 35.000 tecnici e che vede impegnati appositi dipartimenti, come il Beijing Weather Modification Office. L’ingegneria climatica cinese giunse alla ribalta in occasione delle Olimpiadi di Pechino del 2008, quando l’aria fu “ripulita” per abbassare l’impressionante livello di inquinamento grazie all’inseminazione delle nuvole con particelle di ioduro d’argento, la sostanza più largamente usata per questa pratica, già sperimentata da decenni; in quel caso furono lanciati un migliaio di razzi, ma vengono normalmente impiegati anche aeroplani, droni e appositi cannoni. In Tibet è invece stata allestita una rete di decine di migliaia di camere di combustione, che utilizzano una tecnologia differente ma volta allo stesso scopo, fornire cioé dei nuclei che inducano la condensazione dell’umidità atmosferica. Attualmente sono impiegati nell’ingegneria climatica circa 35.000 tecnici cinesi, ma il loro numero dovrebbe quintuplicarsi quando l’imponente progetto diventerà operativo. Suoi scopi principali saranno la limitazione dei danni causati dalla siccità e dal maltempo e il controllo delle portate fluviali, ma anche il riequilibrio ecologico di zone affette da desertificazione o percorse da incendi. Intenzioni virtuose e legittime che, però, non attenuano le preoccupazioni suscitate dal “gigantismo” che caratterizza questa come altre iniziative cinesi, né le perplessità del mondo scientifico di fronte al primo esperimento di ingegneria climatica su scala continentale. Perché appunto di un esperimento si tratta, e nessuno può ragionevolmente prevedere quali conseguenze avrà sul territorio cinese e su quello dei paesi circostanti, vicini o meno. Le maggiori preoccupazioni vengono dall’India, che teme lo stravolgimento nel ciclo dei monsoni, vitali per tutta l’Asia meridionale e già difficilmente prevedibili per l’alterazione del bilancio energetico dovuta al riscaldamento in atto. Inoltre il nord del subcontinente indiano (come la Birmania e parte dell’Indocina) dipende dai fiumi che scendono dal Tibet per una quota importante dell’approvvigionamento idrico, e l’India condivide con la Cina un lungo confine contestato in numerosi punti e dove, anche recentemente, si sono verificati scontri sanguinosi. Le possibili implicazioni militari sono un’ulteriore fonte di allarme di questa escalation climatica, per quanto le modifiche ambientali a scopo bellico siano espressamente vietate dalla convenzione ENMOD del 1978, varata dopo le devastazioni della guerra del Vietnam.

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