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Alpinismo | Everest, cento anni fa
Everest, cento anni fa
Era il 1921 quando, per la prima volta, fu tentata la conquista dell’Everest. George Mallory e la sua squadra riuscirono a raggiungere il Colle Nord, a 7021 metri
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di Stefano Ardito *
Un secolo fa, tra il marzo e l’aprile del 1921, una dozzina di uomini d’avventura britannici converge verso le colline di Darjeeling, in India, dove si coltiva il tè più famoso del mondo. George Mallory, l’alpinista più forte del gruppo, s’imbarca l’8 aprile a Tilbury, alla foce del Tamigi, sul piroscafo Sardinia. Alla fine del mese, dopo una traversata scomoda, arriva a Calcutta e prosegue verso le colline. Altri, come il capospedizione Charles Howard-Bury, sono arrivati qualche giorno prima di lui. Il 15 maggio, a un banchetto offerto dal governatore del Bengala, si brinda a re Giorgio V e all’Everest, che per la prima volta sta per essere esplorato e tentato. La storia della cima più alta del mondo, com’è noto, è strettamente legata a quella dell’Impero britannico in India. La sua quota, 29.002 piedi, cioè 8.839,80 metri, viene osservata nel 1846 con i teodoliti (da lontano, i confini del Nepal sono chiusi) e confermata con dieci anni di laboriosi calcoli. Poco dopo viene dedicata a Sir George Everest, primo direttore del Survey of India. Nel 1904, una piccola invasione di soldati britannici e indiani, ipocritamente battezzata a Londra “spedizione militare”, fa a pezzi le truppe tibetane, raggiunge Lhasa e impone un accordo al Dalai Lama. Sedici anni più tardi, dopo i massacri della Grande Guerra, il Political officer Charles Bell chiede il permesso per una spedizione esplorativa all’Everest. Thubten Gyatso, il tredicesimo Dalai Lama, acconsente. Il telegramma che Bell invia a Londra il 20 dicembre dà il via ai preparativi. All’inizio dell’anno Francis Younghusband, presidente della Royal Geographical Society, aveva promesso di “tentare l’avventura all’Everest”, e di fare di tutto perché il primo a toccare la cima fosse “un inglese, o almeno uno scozzese”.
L’IMPERIALISMO BRITANNICO
Fino alla Seconda guerra mondiale, mentre le vette del Garwhal e del Karakorum vengono tentate da tedeschi, italiani e tanti altri, il Tibet e l’Everest restano un terreno di caccia privato degli inglesi. Il legame con l’imperialismo britannico, com’è ovvio, nulla toglie al valore alpinistico e umano alle spedizioni del 1921 e degli anni successivi. Oltre a Howard-Bury la squadra scelta dalla RGS e dall’Alpine Club comprende quattro alpinisti (Mallory, Harold Raeburn, Alexander Kellas e Guy Bullock), il medico Alexander Wollaston, il geologo Alexander Heron e i topografi Oliver Wheeler e Henry Morshead. Il gruppo include inglesi e scozzesi, reduci delle stragi nelle trincee della Somme e uomini che hanno attraversato tranquillamente il conflitto in India. La vetta dell’Everest non è considerata un obiettivo realistico, disegnare delle buone mappe è fondamentale. Il 18 maggio, sotto alla pioggia battente del monsone, la comitiva lascia Darjeeling in direzione del Sikkim e del Tibet. Dopo due settimane tranquille arrivano dei guai seri. Sull’altopiano, flagellato dal vento gelido, mal di montagna e stanchezza uccidono Kellas. Poi sta male Raeburn, che viene mandato indietro su un mulo. A Tingri, mentre Howard-Bury, gli scienziati e i topografi continuano lentamente, Mallory e Bullock si lanciano in un’avventura straordinaria che merita un film o un libro. Per tre mesi, con pochi portatori d’alta quota, esplorano le valli e i ghiacciai dell’Everest. Percorrono la colata di Rongbuk, dal valico del Lho La si affacciano sul ghiacciaio del Khumbu, poi raggiungono la remota valle di Kharta per studiare la parete Est del gigante. Il 23 settembre, con una temperatura polare, arrivano sui 7000 metri del Colle Nord, e scoprono sopra di loro dei pendii che non sembrano proibitivi. Un anno dopo, risalendo quei pendii, un altro team arrivato da Londra tenterà di salire la cima, raggiungendo gli 8320 metri. Nel 1924, due o trecento metri più in alto, Mallory scomparirà per sempre insieme ad Andrew Irvine.
GLI SHERPA, SIGNORI DELL’ALTA QUOTA
C’è un’altra cosa da ricordare. Nella spedizione del 1921, la storia dell’Everest si lega a quella di un’etnia di montanari che nell’Ottocento sono arrivati a Darjeeling per lavorare nelle piantagioni di tè. Alexander Kellas li chiama “Bhotia nepalesi”, il Political officer Charles Bell ha consigliato alla spedizione di assumerli come portatori d’alta quota perché “meno indisciplinati dei Tibetani”. Sono gli sherpa, i futuri signori degli “ottomila”.
* Giornalista, alpinista e scrittore
PER APPROFONDIRE
Stefano Adito è anche autore del libro Everest. Una storia lunga 100 anni che, come spiega il sottotitolo, è uscito un secolo dopo la prima spedizione all’Everest. Ma racconta l’intera storia della cima più alta della Terra, dalla sua misurazione a distanza nell’Ottocento fino ai tentativi degli anni Venti e Trenta e alla conquista (1953) da parte di Hillary e Tenzing. Vengono raccontate tutte le imprese più importanti, dalla salita senza ossigeno di Messner e Habeler (1978) alla prima invernale dei polacchi (1980), alle numerose vie nuove. Negli ultimi capitoli si parla dell’Everest di oggi, quello delle spedizioni commerciali, delle tragedie dovute all’affollamento e alle valanghe, delle grandi guide occidentali e sherpa. La storia termina con il blocco causato nel 2020 dal Covid-19, che è stato un dramma economico per il Nepal. Stefano Ardito – Everest. Una storia lunga 100 anni (Laterza)