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Lettere

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Tutti in montagna: assalto o opportunità?

di Luca Calzolari*

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Ecosì anche l’estate è trascorsa. Nessuno sapeva come sarebbe andata. Esistevano fin troppe variabili a condizionare una stagione che ha un peso importante per l’economia di montagna, e in particolare per molti rifugi. Il mese scorso abbiamo provato a fare una prima istantanea dei flussi turistici e delle attese raccogliendo testimonianze, numeri, opinioni. Dati utili a fotografare una situazione parziale, buoni per stime e proiezioni. Ci chiedevamo se la montagna sarebbe stata davvero la protagonista delle nostre vacanze. E la prima risposta, seppur parziale, era che sì, i flussi sembravano andare in quella direzione ma non forse con i numeri attesi. Ma poi cos’è successo? Mentre scrivo siamo all’inizio di settembre, l’agosto ce lo siamo appena lasciati alle spalle. Anche se il bilancio definitivo è ancora prematuro, ci sono alcuni chiari segnali che raccontano una storia bella solo a metà. Leggere il contesto e pensare alle vacanze in montagna come si pensa a un bicchiere mezzo pieno (o mezzo vuoto) sarebbe riduttivo, oltre che miope. La prima grande questione è quindi quella legata ai flussi. Al netto dei numeri, sono tre i segnali più chiari ed evidenti: primo, la montagna è stata scelta come meta di vacanza da un buon numero di persone (la maggioranza sono italiani); secondo, l’atteso boom c’è in qualche modo stato (ma solo nelle settimane a cavallo di Ferragosto); terzo, per quello che a oggi sappiamo i grandi flussi sono stati soprattutto nelle Dolomiti. Questi tre elementi, sommati assieme ci raccontano qualcosa in più dell’estate in montagna e confermano una tendenza generale. Ovvero che il mix di timore del contagio, le limitazioni delle opzioni di movimento hanno convinto la maggioranza di noi a rimanere nel nostro Paese e anche le Terre alte ne hanno beneficiato. Secondo Coldiretti, un italiano su quattro (25%) ha preferito una destinazione vicino casa, all’interno della propria regione di residenza. La maggioranza ha scelto di riaprire le seconde case o di alloggiare in quelle di parenti e amici o in affitto, mentre gli alberghi hanno sofferto un po’. I nostri connazionali che hanno optato per l’estero sono stati un milione e mezzo. Molti italiani, dicevamo, hanno scelto l’opzione “montagna”. Probabilmente sono andati alla ricerca di uno spazio salubre (nell’epoca dell’emergenza sanitaria prolungata non sarebbe una sorpresa), o di luoghi che, almeno nell’immaginario comune, avrebbero evitato loro il rischio di imbattersi in spazi affollati. E qui ci troviamo di fronte alla prima grande contraddizione: le code in montagna. Abbiamo visto circolare immagini di interminabili file per attendere una funivia o per percorrere ponti sospesi. L’impressione era di un assalto, come se fosse un luogo della movida. Nei mesi scorsi avevamo colto questo rischio. Non è un caso che il Club alpino italiano abbia lanciato fin da giugno una campagna che invitava a scoprire nuovi sentieri. L’intento, infatti, era proprio quello di evitare folle e assembramenti nei luoghi più frequentati. Mi chiedo quante di quelle persone in coda fossero turisti saltuari che a causa del Covid-19 hanno scelto la ‘montagna località’, e hanno approfittato degli impianti per ‘visitare’ la montagna (di roccia) e ammirare la bellezza di pareti e cime restando nei pressi dell’arrivo della funivia. E coloro che magari l’hanno scelta per la prima volta ritorneranno la prossima estate (che auspichiamo senza rischio pandemia)? Non so rispondere, il tempo ce lo dirà. Sia ben chiaro che qui non si scaglia alcun anatema, si vuole condividere una riflessione. Quello che è certo, però, è che questi flussi concentrati e anomali per la montagna estiva confermati anche dai rifugisti, con cui avevo parlato il mese scorso e con cui siamo tornati a parlare alla fine di agosto, qualche problema lo hanno evidenziato. Primo fra tutti è la sostenibilità di numeri troppo alti: la sostenibilità dei numeri (un tema non nuovo, che già affrontai in questa rubrica nel numero di Ottobre 2017). Qualche esempio? Ad agosto la Via degli Dei, che lungo l’Appennino collega Bologna a Firenze, è stata presa d’assalto costringendo uffici turistici e sistema dell’accoglienza a lanciare un appello perché non erano più in grado di sostenere l’ospitalità né di garantire le norme di sicurezza e prevenzione anti Covid-19. Da quanto ho letto c’è stato quasi un ingorgo di camminatori e il turismo diventava in-sostenibile. E i rifugisti che avevamo interpellato? Martina Bordignon, del Rifugio Oltradige al Roen, ci dice che nel mese di agosto ha lavorato bene, che ci sono stati molti turisti (quasi tutti italiani) e che il boom è durato solo per le prime due o tre settimane ma che dall’ultima «è scemato del 50%». Marina Morandin (Rifugio Crosta, in Val D’Ossola) ha registrato un calo dell’80% rispetto a un anno fa. «In agosto abbiamo avuto un aumento perfino eccessivo di turisti» aggiunge Luca Mazzoleni del Rifugio Franchetti (Gran Sasso). «Il boom ha creato una pressione sul rifugio, sui sentieri e sui costeggi di valle. Sono poche le persone di montagna. La “folla” si è concentrata nelle prime settimane di agosto, poi il 90% in meno di presenze». E mentre Marco Cornale (Rifugio Battisti sul Pianoro della Gazza) ha riscontrato più che altro un «turismo mordi e fuggi», Giovanni Faletra (Rifugio Marini, Parco delle Madonie) ha ammesso di essere stato uno dei pochi ad aver accettato il bonus vacanze (10% dei clienti), anche se dopo le settimane centrali d’agosto c’è stato un parziale collasso di presenze. Avremo tempo di capire meglio e riflettere su cosa fare e cosa evitare per trasformare questi numeri in opportunità stabile e sostenibile. Del tema, ve lo assicuro, torneremo a parlare. Ÿ * Direttore Montagne360

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