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INDICE Intro
Prefazione | F.M.Ricci 4 Annus Horribilis | D.Benzoni 5 Viaggio in Guinea Equatoriale | L.Guelpa 12 Le grandi assenti | G.Anello 13 La carica dei giovani africani | F.F.Pagani 15 La parola all’esperto | A.Bracco 18
Le squadre Gruppo A Guinea Equatoriale | S.Pierotti 22 Burkina Faso | G.Anello 24 Gabon | F.F.Pagani 27 Congo | A.Bracco 30 Gruppo B Zambia | F.F.Pagani 34 Tunisia | A.Mastroluca 37 Capo Verde | S.Pierotti 40 DR Congo | A.Bracco 43 Gruppo C Ghana | D.Benzoni 46 Algeria | M.Maggio 49 Sud Africa | A.Mastroluca 52 Senegal | G.Anello 55 Gruppo D Costa d’Avorio | G.Fasani 58 Mali | M.Maggio 61 Camerun | A.Bracco 64 Guinea | G.Fasani 66 Le storie
1974, l’anno dei Leopardi | A.Mastroluca 70 Le magie del Camerun di Milla | F.Greco 77 Il Sud Africa oltre l’apartheid | S.Pierotti 80 Drogba e la pace in Costa d’Avorio | D.Felicetti 83
I personaggi
Mohamed Aboutreika | D.Benzoni - A.Bracco 88 Lakhdar Belloumi | S.Grassi 90 Kalusha Bwalya | A.Mastroluca 91 Patrick Mboma | S.Grassi 92 Laurent Pokou | S.Grassi 93 Luciano Vassallo | D.Benzoni 94 Rashidi Yekini | G.Anello 95
Gli autori 98
INTRO
Prefazione
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di Filippo Maria Ricci
e non certo paragonabili agli standard a cui si sono abituate alcune delle stelle del continente, da anni impiantatesi in Europa. Africa vera.
e stai leggendo questa prefazione sei già dei nostri. Di quelli che se ne fregano se il calcio africano non è ancora esploso. Di quelli che sono stufi di sentirsi dire che la Coppa d’Africa tecnicamente non offre nulla. Di quelli che fanno spallucce di fronte allo snobismo calciofilo altrui. Se sei approdato su quest’isola sai già cosa ti aspetta: passione vera a volte un po’ naif, tanto colore, un calcio in bianco e nero, povera sincerità, arbitri approssimativi, storie che altrove sono dimenticate, o diluite, o senza sale. La Coppa d’Africa resta unica. E questa tribolata trentesima edizione è qui a confermarlo.
Ho vissuto dal vivo la mia prima Coppa d’Africa 21 anni fa. Tante cose sono cambiate: più squadre, più stelle ‘europee’, meno accessibilità a squadre e giocatori, le star che si comportano come tali. Un tempo le squadre alloggiavano nello stesso albergo, e l’atmosfera era più rilassata. Oggi in Coppa d’Africa non si viene più a cercare grandi talenti, perché nella maggior parte dei casi i ragazzi sono già sistemati. Vent’anni fa erano in pochi a giocare in Europa, oggi gli africani sono ovunque, anche nel Paese vicino perché ovunque si guadagna più che in patria. Perché il grande limite del calcio africano è sempre lo stesso: la cronica incapacità (salvo poche eccezioni) di organizzare un campionato serio, di redistribuire in maniera equa i grandi introiti garantiti da sponsor e Fifa, di far crescere a casa propria ragazzi che invece sono sempre costretti a emigrazioni precoci e a volte feroci. I soldi finiscono nelle tasche di pochi, e una squadra valida come il Ghana è costretta a minacciare lo sciopero per farsi consegnare i premi partita durante i Mondiali, col Presidente del Paese che fa partire il suo Air Force One per portare in Brasile 3 milioni di dollari in contanti e i giocatori che si fanno fotografare felici con la mazzetta in bocca. E poi perdono.
Il Marocco che ospita le partite casalinghe della Guinea, una delle tre nazioni costrette d’ufficio a giocare le qualificazioni in campo neutro per paura dell’ebola, ma poi rinuncia all’organizzazione del torneo per timore di un contagio che sinceramente sembra improbabile. La Caf che non molla l’osso, non accetta alcuna deroga e chiede aiuto a un Paese amico e gestito da una famiglia abituata a prendere scorciatoie quando si tratta d’imposizioni. La Guinea Equatoriale, squalificata nella prima fase per aver fatto giocare un camerunese che non era ancora stato del tutto naturalizzato, si ritrova così per la seconda volta nella fase finale. La prima era stata nel 2012, quando organizzò la Coppa insieme al Gabon. Il dittatore Obiang aiuta la Caf e la sua Guinea Equatoriale cambia allenatore a 11 giorni dalla competizione. Via il basco Goikotxea, dentro l’argentino Becker che allenava la Guinea Equatoriale femminile.
Si, il calcio africano fatica a crescere, però la Coppa d’Africa non perde il proprio fascino. Chi non ama il football moderno alla CAN respira. Qui capita ancora che il campione in carica non si qualifichi. Qui si gioca ogni due anni perché servono i soldi di sponsor e tv. Succede che ci si faccia la doccia in albergo perché allo stadio manca l’acqua. Anche quella fredda. Che un black out cambi i piani. Che l’erba non sia tale. Però qui non si pretende che sia tutto a posto anche quando non è così. Non si finge. Si trovano soluzioni e ci si adatta. E poi per i giocatori è una festa: l’occasione di ritrovare e stare con amici che si sono persi in tenera età perché si è dovuti andare a cercare fortuna presto e lontano. Difficilmente apparirà il nuovo Weah, sicuramente non si vedranno innovazioni tattiche sensazionali, i grandi esperti di calcio internazionale magari rideranno della vostra passione. Però si ci sarà spazio per altre storie. Alcune le trovate in queste pagine.
Perché così va in Africa, continente nel quale gli allenatori vanno e vengono senza certezze e spesso senza grandi curricula. Non si programma, non ci sono progetti. E allora si decide di giocare in un Paese che ha due stadi e due città relativamente comodi, a Malabo e Bata, e altri due in mezzo alla giungla. Ecco che la Coppa d’Africa passa dal Marocco ‘europeo’, vicino, tranquillo, turistico, a una connotazione decisamente più ‘jungle’. Guardiamo con una certa curiosità a trasporti ed alloggiamenti nelle due città di Mongomo e Ebebiyin. Salvo miracoli dell’ultima ora, le ricerche sul web al momento non producono aeroporti e gli alberghi sono pochi
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Annus Horribilis di Damiano Benzoni
ne alla federazione, in un lungo incendio divampato all’indomani della Coppa del Mondo: al ritorno dal Brasile il presidente della federcalcio nigeriana Aminu Maigari veniva arrestato dal Servizio Statale di Sicurezza su una denuncia del presidente della Nigeria Premier League, mentre il ministro dello Sport Tammy Danagogo scioglieva la federcalcio su ratifica del Congresso nigeriano, portando la FIFA a sospendere la federazione nigeriana dall’attività internazionale con l’accusa di interferenze governative sull’attività calcistica.
La Coppa d’Africa 2015, riassegnata d’urgenza alla Guinea Equatoriale dopo il ritiro del Marocco, sarà l’atto conclusivo di un anno nero per il calcio africano, tra tragedie, epidemie, squalifiche e tanto fango sulla reputazione continentale.
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a Coppa delle Nazioni Africane 2015 si aprirà il 17 gennaio all’Estadio de Bata con l’incontro tra Guinea Equatoriale e Congo Brazzaville, per chiudersi nello stesso impianto l’8 febbraio con la finale che incoronerà i campioni d’Africa. La trentesima edizione del torneo continentale africano sarà suo malgrado un assurdo storico, iniziando in uno stadio in cui non si sarebbe dovuta giocare e con in campo una squadra precedentemente squalificata. A determinare l’assurdo è stato il rocambolesco e controverso ritiro del Marocco a poco più di due mesi dal calcio d’inizio: una decisione che ha portato il torneo a trasferirsi d’urgenza in Guinea Equatoriale, squalificata durante il percorso di qualificazione ma ripescata all’occorrenza. Una vicenda che affossa ulteriormente la reputazione e la credibilità del calcio africano, già abbastanza vacillante dopo le traversie mondiali di Nigeria, Ghana e Camerun.
Il governo nigeriano è tornato sui propri passi per poi rifarsi sotto, arrestando di nuovo Maigari e instaurando un nuovo presidente, Christopher Giwa, dopo una votazione contestata e non riconosciuta dalla FIFA. Un nuovo ultimatum della FIFA ha poi costretto Giwa alle dimissioni. Nel mentre il CT Stephen Keshi, che aveva annunciato di non essere interessato a rinnovare il proprio contratto dopo che le discussioni si erano trascinate per troppo tempo, accettava l’incarico ad interim per le prime partite di qualificazione, prima di essere sostituito da Daniel Amokachi. L’altra grande assente della Coppa d’Africa 2015 sarà un Egitto in fase di declino, capace di ottenere punti solo contro il Botswana in un girone di qualificazione saldamente in mano a Tunisia e Senegal, nonostante le tre reti segnate da Mohamed Salah del Chelsea. L’epoca d’oro dei Faraoni si è chiusa, sembra, con la Rivoluzione e con gli avvenimenti successivi: sempre qualificato dal 1980 al 2010 (esclusa l’edizione 1982, in cui si ritirò), l’Egitto nel 2010 stabiliva il proprio dominio sul continente vincendo agli ordini di Hassan Shehata la terza Coppa d’Africa consecutiva, la settima totale. Dalla deposizione di Mubarak l’Egitto non è più riuscito a qualificarsi al massimo torneo continentale e il declino calcistico del paese si è riflesso anche sulle prestazioni continentali dei suoi club: l’al-Ahly ha sì vinto nel 2014 il suo terzo trofeo continentale consecutivo, ma a differenza degli anni precedenti si è
Egitto e Nigeria, le grandi assenti Proprio la Nigeria, campione uscente, sarà la grande assente della competizione: non è bastata una disperata rimonta, con sette punti nelle ultime tre partite, a raddrizzare la disastrosa situazione delle prime tre gare della fase a gironi, che avevano visto la Nigeria racimolare un solo punto e cadere contro Congo Brazzaville e Sudan (gli unici tre punti della nazionale nordafricana nel girone A). A passare il gruppo sono stati un sorprendente Sud Africa, imbattuto, e il Congo Brazzaville di Claude Le Roy, ripescato dopo la squalifica del Ruanda che li aveva battuti ai rigori. La nazionale nigeriana ha pagato anche per le grosse problematiche politiche inter-
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dovuto accontentare della CAF Confederation Cup dopo essere stato eliminato al secondo turno di CAF Champions League dagli omonimi libici dell’alAhly di Bengasi.
sicurezza nel proprio paese) si trasformasse in una fuga dei propri atleti. L’Eritrea, nazione guidata col pugno di ferro da Isaias Afewerki e sottoposta a un vessante servizio militare, è un paese da cui fuggono – secondo stime delle Nazioni Unite – dalle due alle tremila persone ogni mese. Non è un caso che ci sia una lunga storia di fughe di atleti, ovvero persone in età da servizio militare, in occasione di trasferte ed eventi internazionali: nel 2012 diciassette giocatori e il medico della squadra fuggirono in occasione della CECAFA Cup in Uganda, mentre l’anno prima – sempre in occasione della CECAFA Cup – tredici giocatori chiesero asilo in Tanzania. Lo stesso era avvenuto in Kenya nel 2009, con la fuga di dodici giocatori e persino alle Olimpiadi di Londra del 2012, quando quattro atleti chiesero asilo in Regno Unito.
Nata sotto una cattiva stella Il percorso di qualificazione, iniziato nell’aprile 2014, ha coinvolto 51 squadre, con l’esclusione del Marocco – che inizialmente si sarebbe dovuto qualificare automaticamente come squadra ospite – e delle nazionali di Gibuti e Somalia, non iscritte al torneo. Le qualificazioni prevedevano la divisione delle nazionali in tre fasce: le quattro squadre piazzate più in basso nel ranking continentale (Mauritius, Mauritania, Eritrea e Sud Sudan) hanno disputato un play-off preliminare, mentre 26 squadre si sono qualificate al primo turno insieme alle due vincenti del turno preliminare. Le ventotto squadre hanno affrontato due turni a eliminazione diretta con incontri di andata e ritorno: le sette vincenti del secondo turno si sono poi unite alle 21 meglio piazzate del ranking continentale – guidato da Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio – in una fase a gironi con sette gruppi di quattro squadre. A qualificarsi al torneo le prime due di ogni girone e la miglior terza, insieme al paese ospitante.
In assenza dell’Eritrea e con il passaggio del turno assicurato a tavolino al Sud Sudan, il calcio d’inizio delle qualificazioni è stato dato il giorno successivo, il 12 aprile 2014, a Nouakchott con la vittoria della Mauritania sulle Mauritius per 1-0. L’incontro tra Mauritania e Mauritius ha anche segnato la fine del record di Roger Milla come più vecchio giocatore internazionale africano. Il record di Milla, sceso in campo contro la Russia nella Coppa del Mondo 1994 all’età di 42 anni e 39 giorni (la Russia vinse 6-1, ma Milla segnò la rete che gli vale tutt’ora il titolo di più vecchio giocatore e più vecchio marcatore a una Coppa del Mondo), è stato infranto dall’attaccante delle Mauritius Kersley Appou, sceso in campo undici giorni prima di compiere 44 anni. Appou, che gioca tuttora nel campionato mauriziano con il Pamplemousses SC, ha dichiarato di essere intenzionato a continuare a giocare: gli serviranno ancora almeno due anni per raggiungere però il record mondiale, stabilito da MacDonald Taylor Senior delle Isole Vergini Americane, sceso in campo all’età di 46 anni e 217 giorni.
Il torneo di qualificazione ha anche rappresentato l’esordio competitivo della nazionale del Sud Sudan, stato nato il 9 luglio 2011 dopo aver guadagnato attraverso un referendum l’indipendenza dal Sudan. Un’indipendenza, quella del Sud Sudan, strettamente legata alla storia della sua nazionale, che avrebbe dovuto giocare il suo primo incontro internazionale contro il Kenya il giorno successivo alla proclamazione di indipendenza. Il Kenya si ritirò, ma la nazionale sud sudanese giocò ugualmente una partita contro un club kenyota, il Tusker FC. La federcalcio del paese sarebbe stata ammessa come membro CAF nel febbraio 2012, per poi divenire membro FIFA tre mesi e mezzo più tardi.
Il primo turno di qualificazione ha segnato l’eliminazione di Madagascar e Ciad (eliminati per la regola dei gol segnati fuori casa rispettivamente da Uganda e Malawi), Sud Sudan (travolto 5-0 a Maputo dai padroni di casa del Mozambico), Libia (eliminata a Kigali da una tripletta del ruandese Daddy Birori, poi protagonista suo malgrado dell’eliminazione della sua nazionale), Liberia, Comore, Madagascar, Namibia, Burundi, Repubblica Centrafricana, Swaziland, São Tomé e Príncipe e Zimbabwe. Anche qui non sono mancati i problemi: il 3 maggio, a due settimane dall’incontro di andata, la
Proprio il Sud Sudan avrebbe dovuto inaugurare le qualificazioni della Coppa d’Africa l’11 aprile 2014, in trasferta allo stadio Cicero di Asmara contro l’Eritrea. La trentesima Coppa d’Africa è però nata dal primo momento sotto una cattiva stella: una dozzina di giorni prima dell’incontro la federcalcio eritrea ha annunciato il proprio ritiro, con ogni probabilità per evitare che l’incontro di ritorno in Sudan (dove il Sud Sudan ha giocato i suoi incontri casalinghi per via delle problematiche legate alla
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FIFA squalifica il Gambia per due anni da ogni competizione internazionale e destituisce tutta l’amministrazione esecutiva della federcalcio gambiana con l’accusa di aver deliberatamente falsificato le età dei giocatori in un incontro del Campionato Africano under 20 disputato il mese prima contro la Liberia. Cinque giocatori nati nel 1994 erano stati impiegati a un torneo aperto ai giocatori nati dopo il primo gennaio 1995. Da una successiva investigazione della CAF risulta inoltre che uno dei cinque, Ali Sowe, registrato come nato il 14 giugno 1994 con passaporto numero 332465, sia già registrato in CAF Confederation Cup per il suo club, il Gamtel FC, con lo stesso numero di passaporto, ma con il 14 ottobre 1988 come data di nascita. A giovare della squalifica del Gambia sono le Seychelles, che passano il turno a tavolino.
tra i giocatori che non hanno preso parte alla fase a gironi), riesce a ribaltare il risultato nella gara di ritorno a Blantyre dominando l’incontro e impattando con una rovesciata spettacolare del centrocampista John Banda: sarà un errore di Sességnon ai rigori a determinare l’eliminazione del Benin e il passaggio del turno del Malawi. Oltre al Benin, cade anche il Kenya, sconfitto a sorpresa dal Lesotho e messo in difficoltà dalla squalifica di un anno comminata dalla CAF al CT, l’algerino Adel Amrouche, accusato di aver sputato a un ufficiale di gara nell’incontro del precedente turno contro le Comore a Mistamiouli. Senza Amrouche in panchina il Kenya perde l’andata a Maseru 1-0 con un gol di Tšepo Seturumane, mentre al ritorno a Nairobi l’incontro si chiude a reti bianche, sanzionando l’eliminazione del Kenya e l’esonero di Amrouche.
Il primo turno segna anche l’uscita di scena – solo momentanea – della Guinea Equatoriale, impegnata contro la Mauritania. Gli equatoguineani avevano rimontato l’1-0 patito all’andata a Nouakchott con una vittoria 3-0 a Malabo. Un mese più tardi il risultato sarebbe stato ribaltato dalla CAF dopo una protesta della federcalcio della Mauritania riguardo all’utilizzo da parte degli equatoguineani del giocatore camerunense naturalizzato Thierry Fidjeu. Il cambio di federcalcio dal Camerun alla Guinea Equatoriale, secondo il verdetto della CAF, non era stato regolare in quanto la federazione equatoguineana non aveva fornito prove dell’effettiva eleggibilità di Fidjeu per la sua nazionale né aveva presentato richiesta scritta e giustificata di cambio di associazione presso la FIFA, come stabilito dagli statuti della FIFA stessa.
Finisce male, invece, la favola del Ruanda guidato dal Stephen Constantine, CT giramondo di nazionalità anglo-cipriota. L’uomo dei miracoli aveva preso in mano gli Amavubi (Vespe) due settimane prima dell’incontro con la Libia nel primo turno di qualificazione, deciso dalla tripletta di Daddy Birori. L’incarico con il Ruanda entusiasma Constantine: è la possibilità di gestire un progetto a lunga scadenza per un allenatore che fino a quel momento era stato chiamato solo a “spegnere incendi”, in un paese che si sta mettendo alle spalle il terribile genocidio di venti anni fa. “Il Ruanda ha il futuro di fronte a sé, ed è concentrato su questo”, raccontava il CT britannico in un’intervista ad Africalcio. Il Ruanda aveva appena passato il secondo turno contro il Congo Brazzaville di Claude Le Roy, ribaltando a Kigali il 2-0 subito a Pointe-Noire e vincendo l’incontro ai rigori. Quindici giorni dopo, il Ruanda viene squalificato dalla competizione e il Congo Brazzaville si qualifica al suo posto.
Sputi e doppie identità Arriva il secondo turno, e il torneo di qualificazione entra nel vivo. Uganda e Botswana vincono 2-0 all’andata in casa, riuscendo poi a confermare il vantaggio anche nel ritorno ed eliminando rispettivamente Mauritania e Guinea Bissau. Mozambico e Tanzania pareggiano 2-2 a Dar es Salaam e il ritorno a Maputo si trasforma in una battaglia risolta a soli sette minuti dalla fine dal gol del 2-1 del mozambicano Elias Pelembe Dominguês, ala destra dei sudafricani Mamelodi Sundowns che il giorno precedente era sceso in campo per il suo club in una partita di coppa. Il Malawi, caduto 1-0 a Cotonou contro il Benin di Stéphane Sességnon del West Bromwich Albion (terzo nella classifica marcatori finale con quattro gol a segno, capocannoniere
A determinare la squalifica del Ruanda è, ironia della sorte, l’identità di Daddy Birori: la CAF stabilisce che il Ruanda ha infranto l’articolo 41 del regolamento della Coppa d’Africa, che stabilisce che “ogni squadra che abbia commesso frode sull’identità di un giocatore per le qualificazioni […] perderà la partita e sarà eliminata dalla competizione”. Emerge infatti che Daddy Birori, giocatore di origine congolese nato a Kinshasa il 12 dicembre 1986, giochi per la squadra congolese Vita Club con un altro passaporto sotto il nome di Etekiama Taddy, nato il 13 dicembre 1990. Nonostante la federcalcio
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ruandese sostenga di essere all’oscuro della doppia identità del giocatore, dall’investigazione della CAF emerge che il giocatore fosse stato convocato con il nome di Etekiama Taddy per rappresentare la nazionale. Nella bagarre entra anche la Libia, che fa ricorso chiedendo di disputare una gara con il Congo Brazzaville per decidere chi passerà alla fase a gironi: anche i nordafricani, in occasione del primo turno, avevano sollevato dubbi sull’identità dell’attaccante, senza però riuscire a produrre prove soddisfacenti per dimostrare la frode.
Camerun e Costa d’Avorio giocando in casa degli avversari a Lubumbashi, Yaoundé e Abidjan, mentre la Guinea Conakry giocherà i suoi incontri con Togo, Ghana e Uganda allo stade Mohamed V di Casablanca, in Marocco. Il cammino della Sierra Leone è stato accidentato: un articolo di Jeré Longman del New York Times ha evidenziato le difficoltà della squadra nel percorso di qualificazione. “I tifosi li perseguitano intonando in coro ‘Ebola!’. Alcuni avversari hanno esitato a stringere le loro mani o a fare il tradizionale scambio di magliette. Esami medici umilianti sono diventati la routine”, racconta l’articolo, che spiega come in Camerun la squadra sia stata isolata in un albergo vuoto e sia stata sottoposta a controlli eccessivi: “Mentre si trovavano ad affrontare il Camerun due volte in cinque giorni, le Stars si sono dovute sottoporre a colazione e cena a esami della temperatura per l’Ebola, nonostante nessuno di loro giochi professionalmente in Sierra Leone o persino abbia visitato il paese da luglio”. La Sierra Leone non è arrivata alla Coppa d’Africa: un solo punto nella fase a gironi è valso l’eliminazione e l’esonero di McKinstry.
Emergenza Ebola L’ultima squadra a passare il secondo turno è la Sierra Leone, impegnata contro le Seychelles. La Sierra Leone è una nazionale emergente, guidata dal un CT nordirlandese giovanissimo, il ventinovenne Johnny McKinstry, approdato alla panchina della nazionale dopo aver lavorato per un’accademia calcistica no-profit della Craig Bellamy Foundation. All’andata a Freetown la nazionale di McKinstry si impone per 2-0 grazie ai gol di Khalifa Jabbie e di Umaru Bangura, colpendo anche due volte i legni con Kei Kamara. Il ritorno non si giocherà: la delegazione sierraleonese viene fermata all’aeroporto di Nairobi dalle autorità dell’immigrazione delle Seychelles, che impediscono alla squadra l’accesso all’arcipelago come precauzione sanitaria per il paese. A spaventare le autorità delle Seychelles è l’epidemia del virus Ebola, che sta imperversando in quelle settimane in Sierra Leone, Liberia e Guinea Conakry e che da questo punto in avanti diverrà protagonista del calcio africano e della Coppa d’Africa 2015. Le Seychelles, pur di non ospitare la squadra di McKinstry, si ritirano dalla competizione, aprendo alla Sierra Leone l’accesso alla fase a gironi.
Andrà meglio alla Guinea Conakry, che oltre a qualificarsi otterrà a sorpresa l’organizzazione della Coppa d’Africa 2023: alla riunione del comitato esecutivo della CAF ad Addis Abeba, in Etiopia, si dovevano inizialmente assegnare solo le edizioni 2019 e 2021 (che si terranno rispettivamente in Camerun e Costa d’Avorio). Il comitato esecutivo è stato invece impressionato dalla presentazione e dall’impegno della Guinea Conakry, nonostante le difficoltà economiche e sanitarie in cui versa attualmente il paese, e ha deciso in via straordinaria di assegnare l’edizione successiva. La cerimonia di assegnazione si è tenuta un mese dopo il ritiro della Libia dall’organizzazione della Coppa d’Africa 2017. Il paese, inizialmente designato per ospitare l’edizione 2013, aveva operato uno scambio con il Sud Africa dopo lo scoppio della guerra civile che avrebbe portato alla deposizione di Muammar Gheddafi. Il paese aveva programmato di costruire undici nuovi stadi per un costo totale di 314 milioni di dollari, ma nel mese di agosto diversi scontri violenti avevano portato la federcalcio a chiedere un’ulteriore slittamento di quattro anni e infine a ritirarsi, spingendo la CAF a invitare nuovi candidati. Una decisione su chi ospiterà il torneo nel 2017 verrà presa nel 2015: le candidate ufficiali sono Gabon, Ghana, Egitto e Algeria.
Ebola, però, è l’argomento di attualità: la Liberia e la Sierra Leone sospendono tutta l’attività calcistica domestica per evitare che il contatto tra i calciatori e gli assembramenti di spettatori possano favorire la diffusione del virus. McKinstry dichiara che per gli incontri della fase a gironi la sua Sierra Leone farà ricorso ai soli giocatori impegnati nei campionati esteri. Diverse federazioni minacciano di ritirarsi se costrette a giocare contro le nazionali di Sierra Leone e Guinea Conakry e il CAF viene costretto a fissare gli incontri casalinghi delle due squadre in campo neutro e garantire che le delegazioni in partenza dai due stati vengano sottoposte a test medici prima della partenza. La Sierra Leone affronterà Repubblica Democratica del Congo,
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Un anno di lutti
degli Orlando Pirates, si era affermato come capitano della nazionale dopo aver esordito contro il Lesotho l’anno precedente. Meyiwa è stato ucciso il 26 ottobre, undici giorni dopo la sua ultima apparizione con la maglia dei Bafana Bafana e a meno di una settimana dal derby di Soweto tra i Pirates e i Kaizer Chiefs, durante un tentativo di rapina presso la casa della sua fidanzata Kelly Khumalo.
Proprio l’Algeria è risultata la grande sconfitta dall’assegnazione di Addis Abeba, dopo esser finita nell’occhio del ciclone per le problematiche relative alla sicurezza degli stadi e alla violenza dei supporter in occasione della morte di un giocatore camerunense in una gara del campionato domestico. Albert Ebossé è morto il 23 agosto a Tizi Ouzou alla fine di una partita terminata 2-1 tra USM Algeri e JS Kabylie in cui Ebossé aveva segnato su rigore l’unica rete del JSK. La sua morte venne inizialmente addebitata al lancio di oggetti e pietre da parte dei suoi stessi tifosi, furiosi per la sconfitta, portando a una pesante riflessione sulla violenza endemica del tifo algerino e a un giro di vite del governo sulle leggi relative alla sicurezza degli stadi. In dicembre ulteriori esami hanno invece fatto emergere la possibilità che la morte di Ebossé sia stata causata da un pestaggio e che le ferite letali al cranio siano incompatibili con l’eventualità di una tegola in ardesia lanciata dagli spalti: l’oggetto che sfondò il cranio a Ebossé sarebbe stato lanciato da una distanza ravvicinata.
Dal Marocco alla Guinea Equatoriale La minaccia – presente o percepita – del virus Ebola alla fine ha fatto la sua vittima più importante: a metà ottobre la federcalcio del Marocco annuncia di non essere intenzionata a ospitare la Coppa d’Africa nel 2015, chiedendo che il torneo venga posticipato di un anno o venga disputato nel 2017 approfittando del ritiro della Libia. La CAF prende tempo e decide di prendere una decisione in occasione della riunione del comitato esecutivo del 2 novembre. Un rinvio sembra imminente: la CAF chiede al Marocco di chiarire la sua posizione entro l’8 novembre, data in cui il governo marocchino conferma di non essere intenzionato a ospitare il torneo nel 2015. Tre giorni più tardi la CAF decreta che la trentesima edizione della Coppa d’Africa verrà riassegnata e verrà giocata nelle date stabilite, tra il 17 gennaio e l’8 febbraio 2015. La federcalcio marocchina viene multata pesantemente e squalificata dall’evento: altre sanzioni verranno disposte, con la minaccia di escludere il Marocco dalle competizioni continentali per quattro anni e di far escludere la squadra anche dalle qualificazioni per la Coppa del Mondo 2018.
Quella di Ebossé non è stata l’unica tragedia legata al calcio africano: l’attaccante ugandese Frank “Majja” Lutalo, 23 anni, ha perso la vita per un aneurisma dopo un colpo alla testa subito in allenamento con la propria squadra, il Lweza FC, mentre il diciannovenne Oumar Tourade Bangoura, centrocampista dell’AS Kaloum in Guinea Conakry, è morto in seguito a un attacco di cuore all’aeroporto di Tunisi al termine di un campo di allenamento della squadra campione di Guinea in Tunisia. Un altro giocatore è invece caduto vittima di una guerra civile: Lopez Rosseau del Diplomates FC du 8ème Arrondissement, squadra di vertice del campionato centrafricano, è morto a fine settembre negli scontri in corso nella capitale Bangui. La Repubblica Centrafricana sta vivendo dal 2012 un conflitto tra il governo destituito, le milizie insurrezionaliste musulmane Séléka e le milizie cristiane Antibalaka che è costato la vita a migliaia di persone, causando oltre ventimila rifugiati e duecentomila sfollati interni.
Perché il Marocco si è ritirato? La questione è controversa: dopotutto, dei paesi interessati dall’epidemia, soltanto la Guinea Conakry si era qualificata al torneo, peraltro giocando a Casablanca i propri incontri casalinghi. Ironia della sorte, perfino dopo la squalifica del Marocco la squadra guineana ha giocato i propri incontri a Casablanca, città che ha designato anche come proprio ritiro di allenamento in vista del torneo in Guinea Equatoriale. Inoltre, nonostante in passato la CAF abbia più volte gonfiato i numeri del coinvolgimento di pubblico alla Coppa d’Africa, recentemente ha ammesso che il torneo del 2015 avrebbe potuto far muovere verso il paese ospitante non più di mille tifosi: in un continente come l’Africa i costi e l’organizzazione logistica sono una barriera di accesso quasi insormontabile ed è stato stimato che quattro tifosi su cinque alle Coppe d’Africa siano supporter dome-
Alle morti di Ebossé, Lutalo, Bangoura e Rosseau si è aggiunta quella, ugualmente tragica, di Senzo Meyiwa, portiere della nazionale sudafricana capace di rimanere imbattuto nelle quattro partite della fase a gironi disputate e decisivo per la qualificazione del suo paese. Meyiwa, ventisettenne bandiera
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stici. Tanto che, se si vuole credere alle dichiarazioni della Confederazione africana, la CAF avrebbe addirittura offerto al Marocco la possibilità di vietare l’accesso di tifosi stranieri tout court. Ad ogni modo, difficilmente si sarebbe trattato di una massa non controllabile dalle autorità sanitarie marocchine, in particolare tenendo conto dell’ambizione del paese di ospitare grandi eventi (nel 2010 arrivò a un soffio dall’organizzare la Coppa del Mondo poi assegnata al Sud Africa) e del fatto che le compagnie aeree marocchine, al momento della squalifica, operavano voli quotidiani verso i paesi colpiti dall’epidemia. A lasciare perplessi è anche il fatto che il Marocco, dopo aver dichiarato che “è più facile controllare voli che stadi pieni di tifosi”, abbia ospitato il mese successivo la Coppa del Mondo per Club, competizione che attira un volume di viaggiatori molto maggiore rispetto a una Coppa d’Africa. Secondo Sean Jacobs del Guardian, la ragione è più puramente politica ed economica. Da una parte, la parola Ebola porta l’opinione pubblica marocchina e del mondo arabo in genere alla problematica dei migranti sub-sahariani: tutti i media arabi hanno coperto la notizia di Ebola creando un allarmismo sproporzionato. Dall’altra parte, Ebola è anche una parola che può danneggiare pesantemente l’industria del turismo, che da sola provvede per quasi un decimo del PIL marocchino. Il flusso di visitatori portato da una Coppa d’Africa è marginale rispetto a quella cifra, ma il rischio che un allarme Ebola, per quanto improbabile, possa portare a un’emorragia di turismo nel paese è inaccettabile per il Marocco. Ed è anche possibile, come ha suggerito Luigi Guelpa dalle colonne del Giornale, che a motivare il Marocco al ritiro sia stata proprio la prospettiva di un flop sotto il punto di vista turistico. Ugualmente controversa è stata la reazione della CAF. Controversa, ma comprensibile: messa di fronte a un fait accompli da parte del Marocco, la Confederazione ha deciso per la strada più drastica. Issa Hayatou, discusso presidente della CAF, ha fatto tutto ciò che era in suo potere per impedire che la Coppa d’Africa venisse procrastinata, adducendo ragioni finanziarie e logistiche: rinviare la competizione avrebbe fornito un precedente pericoloso, avrebbe danneggiato sponsor e partner e avrebbe creato problemi nel rilascio dei giocatori da parte dei club. Come sottolinea però Jonathan Wilson del Guardian, la ragione principale della decisione del CAF è forse l’orgoglio, sia personale di Hayatou, sia in qualche modo “continentale”:
“La Coppa delle Nazioni è stata fondata nel 1957 come risposta diretta a quella che la CAF vedeva come una sotto-rappresentazione dell’Africa alla Coppa del Mondo. In quel senso, il torneo è un’espressione della fiducia dell’Africa in se stessa, una delle ragioni per cui la CAF ha resistito a numerose richieste di rendere il torneo quadriennale (come i Campionati Europei, la Copa America e la Coppa d’Asia). Negli scorsi giorni, Hayatou ha ripetuto allo sfinimento che la CAF non ha mai, in 57 anni, rinviato una Coppa delle Nazioni. Non per epidemie. Non per guerre o rivolte politiche. A ragione o a torto, per lui è una questione di principio che il torneo vada avanti”. A soli 64 giorni dal calcio d’inizio, la CAF ha annunciato che la Guinea Equatoriale avrebbe ospitato la Coppa d’Africa al posto del Marocco, ripescando una nazione precedentemente squalificata dalla competizione. A giocare a vantaggio della Guinea è stato il fatto di avere alcune infrastrutture relativamente nuove, risalenti alla Coppa d’Africa del 2012, co-ospitata dal paese insieme al confinante Gabon. Fattore decisivo per convincere la CAF che la Guinea Equatoriale fosse in grado di organizzare un tale evento con un preavviso di soli due mesi è però stata la ricchezza petrolifera del paese, controllata principalmente dal governo di Obiang Nguema, presidente in carica dal 1979, quando depose lo zio Francisco Macías Nguema in un colpo di stato militare. Nel 2012 le due città che ospitarono il torneo furono la capitale Malabo, posizionata sull’isola di Bioko, e Bata, la città più grande del paese, in cui sorge un impianto da oltre 35 mila posti che ospiterà la finale della Coppa d’Africa 2015. Oltre alle due città che hanno già ospitato il torneo tre anni fa, saranno due stadi nell’estremo est del paese, costruiti dopo la Coppa d’Africa 2012, a fare da sfondo al torneo di quest’anno. La città di Ebebiyín sorge sul triplo confine tra Guinea Equatoriale, Camerun e Gabon e il suo stadio, che ha ospitato la finale della Copa de la Primera Dama (la coppa equatoguineana), ha una capienza di soli cinquemila spettatori. Le infrastrutture turistiche della città sono molto scarse. Mongomo, città natale del presidente Nguema, si trova a ridosso del confine con il Gabon e può essere raggiunta solo via terra da Bata, con un viaggio nella giungla di cinque ore. Lo stadio, in compenso, ha una capacità di quindicimila spettatori e la città sta costruendo molto, con l’inaugurazione di una gigantesca basilica e di un moderno hotel a cinque
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stelle che presumibilmente ospiterà tutte e quattro le squadre del difficilissimo gruppo C.
ha però testimoniato un anno in cui il calcio africano ha dato il peggio di sé: benché l’ostinazione di Hayatou nel prevenire una cancellazione o un rinvio del torneo sia motivata dalla volontà di dimostrare che il calcio africano è maturo e può organizzare grandi eventi al pari del resto del mondo calcistico, le vicende della Coppa d’Africa 2015 rimarranno tra le peggiori pubblicità per il continente africano sotto questo punto di vista.
Se anche l’organizzazione equatoguineana dovesse rivelarsi un buco nell’acqua, difficilmente ci saranno molti testimoni: raggiungere la Guinea Equatoriale e ottenere il visto di ingresso è estremamente difficile, e questo potrebbe limitare la presenza di fan dall’estero e giornalisti. Il mondo
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Viaggio in Guinea Equatoriale
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di Luigi Guelpa
lo spettacolo trasmesso in chiaro da “Asonga Tv”. I biglietti disponibili sono stati tutti venduti. Anzi, più della metà sono stati regalati dal regime ad amici e parenti. All’epoca dell’amichevole di lusso (vinse la formazione di Del Bosque 2 a 1), si rischiò addirittura la caduta dal governo iberico. E mentre il ministro degli affari esteri García Margallo preferì non commentare, lo PSOE parlò di “bizzarre connivenze tra l’esecutivo di Rajoy e il governo di una nazione che l’Onu inizia a considerare fuorilegge”. La stampa iberica accostò Obiang a Videla e la sfida amichevole al mondiale del 1978 in Argentina.
l “Nuevo Estadio” sembra un salotto tirato a lucido in attesa della Coppa d’Africa. Nulla è stato lasciato al caso: le baraccopoli che sorgevano attorno all’impianto sportivo sono state rase al suolo dai militari e i diecimila senzatetto costretti a bussare alle porte del Camerun. Normale amministrazione per il 72enne Teodoro Obiang, padre padrone della Guinea Equatoriale (colonia spagnola fino al 1968) da 36 anni. Il suo è il regime più longevo d’Africa assieme a quello dell’angolano Dos Santos. In realtà Obiang inizia a perdere qualche colpo, travolto dagli scandali, dalla sfacciata cleptocrazia e dai crimini perpetrati dal figlio Teodorin, ricercato dalla polizia di mezzo mondo. Obiang come Pedro, centrocampista della Sampdoria, nipote del dittatore, che però da tempo ha preso le distanze dal parentado scegliendo di difendere i colori delle nazionali giovanili di Spagna.
Resta il fatto che il presidente a vita della Guinea è un grande appassionato di calcio. Ha ospitato nel 2012 la 28esima edizione della kermesse continentale e pur di trasformare l’armata brancaleone in una squadra dignitosa non ha esitato a regalare passaporti a figli e nipoti di immigrati. Calciatori che, per loro stessa ammissione, neppure sapevano collocare la Guinea su una cartina geografica. È il caso di Javier Balboa, cresciuto nelle giovanili del Real Madrid, premiato da Obiang con un assegno da un milione di dollari per il gol realizzato alla Libia nel torneo continentale. Follie da terzo mondo che rischiano di gettare qualche ombra persino oggi che Obiang si è offerto di rimpiazzare il Marocco terrorizzato da Ebola, virus che, secondo World Health Organization, approderà nei prossimi mesi dalle parti di Malabo e Bata. Così va il mondo nel regno infinito di “papà Obiang”, ed è già un miracolo che in tutti questi anni non si sia fatto nominare 14esimo apostolo di Cristo. Il 13esimo era già il suo vecchio amico Jean Bedel Bokassa, cannibale imperatore d’Africa e della Repubblica Centrafricana. Deliri di un continente dal fascino irresistibile.
In questo clima Obiang attende come una vitale boccata d’ossigeno la Coppa d’Africa bis, dopo quella organizzata a casa sua nel 2012. Non ha badato a spese (75 milioni di dollari investiti per il “disturbo”) pur di farsi immortalare a fianco di Yaya Tourè o Papiss Cissé e regalare nuova linfa vitale al regime traballante. “A chi dice che siamo terzo mondo rispondo che da queste parti abbiamo ospitato la grande Spagna quando erano i Campioni del Mondo. Eravamo una colonia degli spagnoli, poi però sono venuti a renderci omaggio”, aveva sottolineato dalla lussuosa residenza di Malabo nel novembre di due anni fa. La popolazione, sottomessa e terrorizzata, applaude alla politica del “panem et circenses” (anche se il pane scarseggia) e si godrà
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Le grandi assenti
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di Gabriele Anello
ono partite in 51 (mancavano solo Somalia e Gibuti), ne sono rimaste 16: le qualificazioni della Coppa d’Africa si sono rivelate – come al solito – lunghe e piene di sorprese. Sarà una delle prime volte nelle quali non ci saranno esordienti alla fase finale della competizione continentale: il massimo della sorpresa è il ritorno del Congo dopo 15 anni al grande palcoscenico. Tuttavia le grandi assenti sono un elemento che non manca mai durante le fasi di qualificazione. La caduta più grande è senza dubbio quella della Nigeria. Le Green Eagles sono reduci da un discreto Mondiale, conclusosi dopo 80’ di sana resistenza negli ottavi di finale contro la Francia. Sotto Stephen Keshi, la squadra ha fatto enormi passi in avanti: ha vinto la Coppa d’Africa 2013, ha partecipato alla Confederations Cup e ha disputato una buona Coppa del Mondo. Ma ciò non è servito a salvare il ct, messo in difficoltà dalla federazione e incappato in una serie di sconfitte che non hanno lasciato scampo alla Nigeria. Nelle prime tre gare è arrivato un solo punto: la frittata era già fatta e il recupero finale non è servito a entrare nella fase finale, neanche come miglior terza. Per certi versi, la mancanza dell’Egitto fa ancora più rumore. Non è un episodio, come probabilmente lo sarà per la Nigeria o lo è stato per il Camerun. Quella dei Faraoni è una crisi strutturale1. Appena quattro anni fa, l’Egitto ha vinto la sua terza Coppa d’Africa di seguito, una cosa raramente immaginabile in un torneo dai mille ribaltamenti di forza. Eppure il ct Hassan Shehata aveva creato un gruppo straordinario, capace di battere persino l’Italia campione mondiale uscente nella Confederations Cup del 2009. Poi la crisi tecnica ha gettato l’Egitto in un baratro profondo, dal quale non si riesce più a uscire: questa è la terza qualificazione mancata 1 Gabriele Anello No more glory, Golden goal: the blog, 20 novembre 2014
di fila alla fase finale della competizione. Evidentemente l’addio dei grandi – come Mohamed Aboutrika, Essam El-Hadary e tanti altri – ha pesato più del previsto. A questi due casi vanno clamorosi, ne vanno aggiunti altrettanti per lo meno curiosi. Per altro, le due nazionali giocavano persino nello stesso girone. L’Uganda non partecipa alla fase finale da 37 anni, ma stavolta ci è andata veramente vicino. Le Gru hanno avuto la loro fase d’oro negli anni ’60 e soprattutto ’70, quando la nazionale centrò il secondo posto nella Coppa d’Africa del 1978. Da allora in poi, tante squalifiche e molte delusioni. Con l’arrivo del nuovo ct, Milutin Sredojević, la squadra ha fatto passi da gigante. A Kampala si erano illusi di potercela fare, nonostante fossero inseriti nel gruppo con Ghana, Guinea e Togo. Pareggio in casa delle Black Stars, vittoria contro la Guinea, poi la doppia sconfitta contro i togolesi. Quando l’Uganda batte il Ghana nel novembre scorso, ci sono tutte le chance per farcela. La sconfitta in casa della Guinea (che poi ha giocato la propria gara casalinga in Marocco) ha eliminato la squadra, ma l’Uganda sarà una squadra da osservare nei prossimi anni. E che dire del Togo? Nell’ultima edizione, la squadra guidata dal ct Didier Six era stata una delle nazionali che aveva giocato meglio e aveva raggiunto i quarti di finale. Ora Les Eperviers piangono un’eliminazione senza troppe speranze: l’ultimo posto nel girone E, con soli sei punti all’attivo, è stato un duro colpo. Eppure hanno dalla loro Emmanuel Adebayor, uno dei migliori giocatori africani dell’ultimo decennio (più per fama che per risultati). Ciò nonostante, il Togo non ce l’ha fatta. Un peccato per una nazionale molto sfortunata negli ultimi anni: tra il disastro aereo della Paramount Airlines nel 2007, l’attacco armato al pullman della squadra nel 2010 e il Fake Togo Team (che giocò un’amichevole in Bahrain spacciandosi per la nazionale), forse questa nazione meriterebbe altra fortuna.
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Il finale lo riserviamo a un’assente che in realtà ci sarà: la Guinea Equatoriale. I National Thunder sono alla seconda partecipazione alla fase finale della Coppa d’Africa: in entrambi i casi, ci sono arrivati perché paese ospitante. Tuttavia, la squadra guidata da Andoni Goikoetxea avrebbe anche
superato il primo turno preliminare. Purtroppo, come spesso accade in Africa, arriva la squalifica: la Guinea Equatoriale ha messo in campo tale Thierry Fidjeu, che però non poteva esser schierato. Arriva così il paradosso finale: chi non doveva esserci in realtà ci sarà lo stesso.
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La carica dei giovani africani
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di Francesco F. Pagani
a sempre la Coppa d’Africa è anche una vetrina per i giovani del continente nero. Che proprio grazie alle prestazioni registrate nella massima competizione per nazionali riescono spesso a lanciarsi nel calcio che conta (fondamentalmente, tutti puntano ad un contratto in Europa). Doveroso, quindi, fare un piccolo excursus su quelli che saranno i talenti che potremmo trovarci ad ammirare in Guinea Equatoriale. Partiamo proprio dai padroni di casa, dove in avanti potrebbe trovare spazio il giovane Iban Salvador. Classe 1995, natali e passaporto entrambi spagnoli, è una delle punte attualmente in forza al Mestalla, ovvero il “Valencia B”. Cresciuto nell’Hospitalet, club in cui è rimasto fino alla scorsa estate, ha giocato l’ultima stagione in prima squadra: per lui 13 titolarità e 5 reti in Segunda B. Attaccante capace di ricoprire un po’ tutti i ruoli del fronte offensivo, è ritenuto giocatore già molto maturo nonostante l’età ed in quel di Valencia in molti sono pronti a scommettere su di un suo esordio tra i pro già entro la fine di quest’anno. Parte integrante della rosa dei Nzalang Nacional sarà anche il classe 1994 Pablo Ganet, centrocampista dalle spiccate doti offensive nativo di Malaga. Cresciuto nelle giovanili del Betis, il trequartista di passaporto spagnolo oggi in forza al San Sebastian de los Reyes mostra buone doti di inserimento e potrà essere un valore aggiunto importante per la fase offensiva dei suoi.
Scorrendo la lista delle nazionali non ci si può non soffermare sulla stellina burkinabè Bertrand Traorè, di cui ho parlato anche nel mio ultimo libro La carica dei 301: “Giocatore smaccatamente offensivo, fa dell’atletismo uno dei suoi punti di forza. Normolineo, mostra buona velocità di base ed uno scatto bruciante. Tecnicamente dotato, è un mancino naturale che preferisce giocare a destra. Discreto portatore di palla, non è affatto egoista ed alle continue incursioni personali preferisce di
solito il dialogo coi compagni. Giocatore ancora da formare sotto molti aspetti, mostra comunque un’inclinazione interessante su cui nell’Academy Blues dovrebbero lavorare per poter esaltare questa caratteristica: ha buoni tempi di inserimento e si muove spesso anche senza palla”1. Di proprietà del Chelsea, oggi gioca in prestito al Vitesse. Nel Gabon proverà invece a fare buona mostra di sé Didier N’Dong, centrocampista ex CS Sfaxien che passerà al Lorient proprio a partire da gennaio. Classe 1994, è un centrale che si disimpegna anche a ridosso delle punte, come trequartista. Fisicamente ben formato, resistente agli scontri, è altresì dotato di un buon passo. Giocatore che ama portare palla, è sicuramente in possesso di un bagaglio tecnico interessante. Facendo invece una piccola capatina tra i classe ‘93 ecco che troviamo il André Biyogo Poko, centrocampista del Bordeaux con già 26 caps internazionali nonché tra i protagonisti del mio primo libro, La carica dei 201: “Fisico compatto ma comunque esplosivo e potente. Passo rapido, attitudine tignosa. André Biyogo Poko è un mediano che nonostante paghi qualcosa in altezza, e quindi non sia molto funzionale da un punto di vista del gioco aereo, sopperisce bene con un grande dinamismo e con la voglia di tappare un po’ tutte le falle della propria fase difensiva. Bravo nei tackle e nelle entrate, si lascia forse andare un po’ troppo in scivolata, cosa però abbastanza normale per giocatori con le sue caratteristiche. Dotato di un tiro dalla media-lunga distanza assolutamente non trascurabile, è un discreto passatore. Certo non un metronomo, ma comunque un minimo a suo agio anche in fase di costruzione e di supporto ai compagni”2. A chiudere il primo girone il Congo, che di under 20 potrebbe portarne tre o quattro in Guinea Equatoriale. Tra questi il classe ‘96 Hardy Binguila, tre1 2 2013
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F.F. Pagani Bertrand Traorè, La carica dei 301, 2014 F.F. Pagani André Biyogo Poko, La carica dei 201,
quartista dei Diavoli Neri di Brazzaville dotato di un buon bagaglio tecnico. Con lui, molto probabilmente, anche il portierino classe 1994 Christoffer Mafoumbi, già passato per Lille e Lens ed oggi all’US Le Pontet. Facendo una capatina in Zambia troviamo invece Lubambo Musonda, ala sinistra dell’Ulisses FC di Yerevan. Classica “reverse winger”, avrà la strada chiusa dal capitano dei Chipolopolo. Giocatore veloce, con una buona conclusione dalla distanza ed una qualità tecnica di buon livello sarà sicuramente un’alternativa valida a partita in corso. Se non mi aspetto giocatori particolarmente giovani nella rosa della Tunisia, discorso diverso si può fare in relazione a Capo Verde. Con Vozinha teorico titolare, Rui Aguas probabilmente si affiderà al classe 1994 Ken del Nacional de Madeira ed al classe 1996 Ivan Cruz dello Gil Vicente come alternative al portiere attualmente in forza agli angolani del Progresso. Gruppo B che si chiude con la Repubblica Democratica del Congo, in cui mi aspetto di veder giocare il ventenne Firmin Ndombe Mubele, ala destra in forza al Vita Club di Kinshasa. Giocatore di gamba, Mubele ama scorazzare lungo il suo out di competenza, prediligendo compiti più prettamente offensivi che non difensivi. Il Ghana è poi da sempre una delle squadre più talentuose dell’intero continente africano (non a caso si sono imposte in questa competizione ben quattro volte). In questo senso mi aspetto senz’altro di vedere il carica 301 Baba Rahman, passato in estate dal Greuther Furth all’Augsburg e – pare – sui taccuini di Sandro Sabatini per quanto riguarda il mercato della Roma: “Bagaglio tecnico superiore alla media (dei terzini africani, almeno), Baba è un terzino sinistro tutto mancino che usa il piede destro giusto per correre, come si suol dire. Buon controllo – sia da fermo che in velocità – ha un fisico slanciato e leggero, che gli permette di buttarsi a capofitto negli spazi quando la partita lo permette. Stantuffo instancabile non è dotato di un dribbling particolarmente efficace ma il buon passo gli permette di avere la meglio sugli avversari quantomeno sfruttando questo fondamentale. Terzino che predilige la fase di spinta, deve sicuramente crescere per quanto riguarda la pulizia difensiva”3. 3 2014
F.F. Pagani Abdul Baba Rahman, La carica dei 301,
Probabile poi che Grant, sempre per quanto concerne la difesa, convochi Daniel Amartey del Copenhaghen. Temo invece non ci sarà l’altro carica 301 ghanese, il classe 95 Clifford Aboagye. Per quanto riguarda l’Algeria, Christian Gourcuff farà sicuramente affidamento su Nabil Bentaleb, classe 1994 in forza agli Spurs: “Centrocampista centrale che può fungere sia da interno che da mezz’ala, Nabil Bentaleb è dotato di forza fisica mista a capacità tecniche importanti. Resistente ai contrasti, ha un ottimo controllo di palla ed una buona conduzione. Tiro dalla media distanza tutt’altro che disprezzabile, ama liberarsi in dribbling dei propri diretti avversari. Centrocampista di personalità, è discretamente elegante”4. Se il Sudafrica dovrebbe convocare il giovane difensore (1996) Rivaldo Coetzee (più giovane esordiente nella storia dei Bafana Bafana), è probabile che Alain Giresse faccia affidamento sull’interista Ibrahima M’Baye per il suo Senegal. Classe 1994, l’esterno – prevalentemente basso – prelevato nel 2010 dall’Etoile Lusitana è infatti entrato nel giro della nazionale maggiore proprio nel corso delle qualificazioni a questa Coppa d’Africa. Un under 20 dovrebbe fare capolino anche nella rosa della Costa d’Avorio: sto parlando di Eric Bailly, difensore centrale in forza all’Espanyol. Classe 1994, è ben piantato sulle gambe ed in possesso di mezzi atletici poderosi. Difetta però ancora un po’ per quanto concerne la tecnica di base e la sagacia tattica, aspetti su cui dovrà lavorare ancora molto per poter diventare giocatore completo. Se il Mali non credo porterà giocatori con meno di vent’anni in Guinea Equatoriale, diverso il discorso per quanto concerne la Guinea: Dussuyer potrà infatti probabilmente contare sui “francesi” Issiaga Sylla e François Kamano, rispettivamente in forza a Tolosa e Bastia (che lo ha strappato alla concorrenza di club come Villareal, Rennes ed AIK). Il primo – classe 1994 – è un terzino sinistro che negli ultimi mesi ha visto crescere molto le sue quotazioni; buon passo, sa disimpegnarsi anche come esterno di centrocampo. Il secondo – classe 1996 – è invece una prima punta di gamba che può disimpegnarsi anche come esterno d’attacco. A chiudere questa rassegna sui giovani della prossima Coppa d’Africa ci pensa quindi il Camerun. Il 4
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F.F. Pagani Nabil Bentaleb, La carica dei 301, 2014
tedesco Volker Finke potrà attingere dal sempre florido vivaio dei Leoni Indomabili. In Guinea Equatoriale dovrebbe quindi volare il portierino classe 1995 Fabrice Ondoa, di proprietà del Barcellona.
Un estremo difensore di talento che sembra destinato a ripercorrere le orme dei grandi estremi difensori che lo hanno preceduto: Bell, N’Kono, Songo’o e Kameni.
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La parola all’esperto Intervista a Carlo Pizzigoni
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di Andrea Bracco
i parte il 17 gennaio, ma contrariamente a ciò che doveva essere, non sarà il Marocco ad ospitare la manifestazione. Che idea ti sei fatto della vicenda che ha costretto la CAF a cambiare sede?
Mi spiace molto. È evidente che il Marocco, un Paese che vive di turismo, non poteva permettersi nemmeno il rischio di una voce su un possibile caso di ebola. Avranno soppesato rischio, investimento e possibile ricaduta, e il fatto che abbiano rinunciato ci dice di come siano preziose, oggi e soprattutto in prospettiva, le entrate legate al turismo. La scelta della CAF di spostare tutto in Guinea Equatoriale non mi entusiasma, la cricca del Presidente Obiang non si meritava questo regalo. Non mi piace soprattutto la squalifica della squadra Marocco. Si torna in Guinea Equatoriale, dove si era giocato già nel 2012. Allora il paese del presidente Obiang mise due città a disposizione, oggi invece la Coppa d’Africa si giocherà in quattro diversi impianti. Cosa dobbiamo aspettarci a livello organizzativo? Sarà un test anche per loro. Parliamo di piccolo Paese, ricco, molto ricco grazie al petrolio. Non mi pare una scelta di prospettiva, non c’è un movimento locale da far emergere. È una scelta esclusivamente economica, però è vero anche che è stata una scelta dell’ultima ora, di emergenza. Quando l’ho frequentata io la Coppa d’Africa, aveva un’atmosfera unica, in parte credo si conservi ancora questo spirito, quindi non ci sarebbero problemi ad alloggiare più squadre in uno stesso hotel. Sulla disponibilità dei campi di allenamento, non ti saprei dire, non sono andato a vedere sul posto la CAN del 2012, non conosco il Paese. Prima di parlare delle presenti, parliamo delle grandi assenti dalla fase finale: spiccano infatti le assenze di Nigeria, Egitto e Togo. Le Green Eagles in particolare perdono il diritto a difendere il titolo conquistato
nella precedente edizione. Che succede in casa nigeriana? Di tutto. Purtroppo non solo nei campi di calcio. La situazione è davvero tragica, ingarbugliata, troppi fattori in gioco, difficilmente si può venirne a capo nel giro di poco tempo. Parlando di calcio, la mancata qualificazione è qualcosa di incredibile. La Nigeria potrebbe portare in ogni edizione almeno un paio di nazionali competitive. Parliamo di un continente e poi ha giocatori un po’ ovunque, nel Mondo: in Brasile ricordo spuntare dal nulla un ragazzo come Babatunde, un ‘92 perso nei bassifondi del campionato ucraino. Il problema non è quindi, come nella maggior parte delle squadra, di reclutare giocatori di qualità, ma di gestirli. E francamente se non ci riesce Keshi, un simbolo delle Super Aquile, direi che c’è poca speranza. La gestione della federazione è certamente discutibile e poco professionale, ma mi pareva che appunto con la vittoria in Coppa d’Africa nel 2013 il gruppo attorno a Keshi, che ha fatto scelte nette, fosse solido, e in fondo anche al Mondiale brasiliano han fatto il loro. Invece, bucando totalmente la prima parte della qualificazione non sono più riusciti a rientrare: l’ultima, agonica, gara l’han dominata, ma han trovato sulla loro strada la giornata della vita di Tokelo Rantie, peraltro un bel giocatore. Adesso vediamo quale sarà il dopo Keshi, certo, con tutto quello che succede nel Paese, non è facile e bello lavorare. Domanda secca: quali sono le tue favorite per la vittoria finale? Ho da sempre la malattia del calcio africano. La mia prima Coppa d’Africa vissuta sul posto è quella del 2004, in Tunisia. Un’esperienza fantastica, andavo di ritiro in ritiro, parlavo in assoluta libertà con giocatori e allenatori. In pochi davano la squadra di casa come favorita, e invece fecero fuori il grande Senegal, reduce dal Mondiale nippocoreano, la Nigeria di J.J. Okocha e un ottimo Marocco, in finale ( mai scorderò il pianto di Nourredine Naybet,
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inginocchiato in mezzo al campo, al fischio finale). Esiste solo il gusto della scoperta in questa magica manifestazione, non esiste mai un favorito nella Coppa d’Africa. O forse, in realtà, dal 2006 in avanti, i favoriti sono sempre gli stessi, gli Elefanti della Costa d’Avorio, e infatti, incredibilmente, sono riusciti a non vincerne manco una. Se leggo i nomi della rosa, pure stavolta la Selephanto proprio scarsa non mi sembra: vedremo come riuscirà stavolta a farsi del male da sola. I Gruppi A e B sembrano decisamente equilibrati. Vedi qualche squadra più attrezzata o partono tutte alla pari? Equilibrio, e tanta curiosità. Nel gruppo A c’è la storia più bella di queste qualificazioni, il Congo Brazzaville di Claude LeRoy: il vecchio Claude ha fatto un capolavoro, nella costruzione e nella gestione dei Diavoli Rossi. Dal Gabon mi aspetto tanto, peccato per Lemina, ma la squadra c’è, Aubameyang potrebbe essere una delle stelle della competizione. Il Burkina Faso ha forse già giocato il jolly, nella passata edizione, quando è arrivata fino in finale, però rimane un buon gruppo ( vediamo se cresce il ruolo di Bertrand Traorè, alle spalle dei Pitroipa e dei Bancè). Nel B, la Tunisia è sempre solida, la RDC ha dimostrato di essere competitiva, anzi, come potenziale mi sembra una squadra pronta ad esplodere. Capo Verde negli ultimi anni è sempre stata competitiva, sfiorando addirittura la qualificazione al Mondiale brasiliano: sono curioso di vedere l’impatto di Rui Aguas, un giocatore che mi piaceva parecchio e che ora dopo essere stato alla corte di Antonio Salvador al Braga prova un po’ a sorpresa questa esperienza. Lo Zambia, dopo l’incredibile vittoria sotto Renard, è impegnata in una intelligente ricostruzione con tanti giovani, un dramma l’incidente della stellina Changwe Kalale Il girone C, al termine del quale verranno eliminati giocoforza due pezzi da novanta, è senza dubbio il più affascinante. Il Ghana parte in pole position nonostante le ultime - non brillantissime – prove? La scuola di calcio del Ghana non tradisce. È un gruppo che si rinnova nella maniera giusta: ha fatto crescere i ragazzi dietro agli esperti Essien, Muntari e compagnia, ora è arrivato il turno perché questi giovani, alcuni anche protagonisti della vittoria al Mondiale under 20 in Egitto, si prendano il proscenio. Da vedere come si inserirà in questo gruppo il neo tecnico Avram Grant, un tipo a cui le idee di
calcio non mancano. Occhio al Senegal, tra l’altro il Senegal con Demba Ba, sarebbe stato davvero da corsa per la finale, ma anche così, mi pare finalmente tornato ai livelli che gli competono. Nell’ultimo raggruppamento troviamo il Camerun, probabilmente una delle compagini più attese. C’è stato un massiccio ricambio generazionale tra i Leoni Indomabili: potrebbe essere l’anno della riscossa? Sì, sono davvero impressionato da questo Camerun. Eliminata la controproducente dialettica interna tra Eto’o e il gruppo capeggiato da Alex Song, sembra si sia trovato finalmente il modo di convivere serenamente all’interno dello spogliatoio, almeno. La qualità, indubitabilmente c’è. Poi, questo N’Koulou che è diventato il leader difensivo dell’OM di Bielsa... Tra le squadre che sembrano aver ritrovato una precisa identità c’è il Sudafrica. Come vedi la nazionale guidata da Mashaba? Finalmente competitivo. Il percorso mi sembra quello giusto, questa Coppa ci dirà dove sono. Il girone di qualificazione è stato buono, ma c’è da considerare il suicidio nigeriano. Interessante e in controtendenza le convocazioni, con la quasi totalità dei ragazzi che attuano nel campionato locale. L’Algeria, all’inizio del nuovo corso Gourcouff, possiede una rosa di altissima qualità. Confermeranno le ottime sensazioni mostrate al Mondiale? Molto, molto interessante. L’ideale proseguimento del buon lavoro di Vahid al Mondiale. Gourcuff senior può trovare qui una visibilità maggiore, che è quella che merita. Se dovessi puntare qualche euro, andrei su di loro. Congo, Gabon, Zambia e Mali. Uscirà da qui l’immancabile sorpresa del torneo? Una sorpresa certamente ci sarà, la Coppa d’Africa ce l’ha sostanzialmente nello statuto: ogni edizione ha avuto la sua cenerentola. Negli ultimi anni c’è stato un livellamento tecnico delle squadre, io credo verso l’alto, quindi la potenzialità per fare bene, durante quel mese di competizione, ce l’hanno un po’ tutte. Da sempre la Coppa d’Africa mette in mostra molti giovani talenti. Chi ci consigli di seguire?
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Ho proprio voglia di rimanere stupito da qualche giocatore, e questa è la manifestazione giusta per sorprendersi, specie da ragazzi che magari militano in un torneo africano e qui li vediamo raramente. Nomi ce ne sono tanti. Pesco nel mazzo: mi stuzzica la convocazione di Eric dell’Espanyol nella Costa d’Avorio. Hervé Renard è certamente un ottimo tecnico, il migliore, secondo me, che la Selephanto ha avuto negli ultimi anni. Uno che lavora bene, in maniera meticolosa e seria. L’idea di costruire una squadra differente, lasciandosi alla spalle la prima generazioni degli academiciens e Drogba, era parti-
ta promuovendo un ragazzo del ‘96, Franck Kessie, già stella della nazionale under 17, al centro della difesa, e sperimentando parecchio ( si è visto pure un Aurier centrale). Le cose non sono esattamente andate come preventivato, invece dei risultati sono arrivate le critiche, e Renard è stato costretto ad una almeno parziale marcia indietro, richiamando parte della vecchia guardia: Kolo Touré ha accettato ed è diventato il leader, dietro. Però convocando Eric (un ‘94), continua in un certo senso il lavoro di rinnovamento, specie in un reparto che non ha mai trovato un assetto adeguato.
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LE SQUADRE GRUPPO A
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GUINEA EQUATORIALE
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di Simone Pierotti
rima squalificati dalle qualificazioni alla Coppa d’Africa e poi riammessi, addirittura in qualità di nazione ospitante. Con un nuovo presidente federale e, soprattutto, con un commissario tecnico entrato in carica a meno di tre settimane dal calcio d’inizio della manifestazione. I giornalisti sportivi non hanno di che annoiarsi quando si tratta di scrivere della Guinea Equatoriale: l’ex colonia spagnola è stata designata dalla CAF quale sostituta del Marocco dopo aver organizzato l’edizione di tre anni fa assieme al Gabon sebbene fosse stata estromessa già dal primo turno di qualificazione alla fase finale. Il vizietto, peraltro, è sempre lo stesso: elargire con smodata generosità il passaporto equatoguineano - e pure qualche prebenda - a stranieri senza patria che vantano legami pressoché inesistenti con il piccolo Paese governato da Obiang Nguema. LE QUALIFICAZIONI E pensare che la Nzalang Nacional (“Tuono nazionale”) non era andata, ben appunto, oltre il primo turno eliminatorio. Sul campo, in verità, aveva ottenuto il diritto a proseguire la propria avventura: il ko di misura in Mauritania era stato ampiamente ribaltato con un perentorio 3-0 allo stadio di Malabo. Ma gli avversari hanno subito esposto reclamo presso la CAF, accusando la Guinea Equatoriale di aver schierato otto calciatori che non erano legittimati a scendere in campo con quella maglia. La controparte, a sua volta, ha fatto ricorso contro la presenza nella nazionale mauritana di Demba Sow, precedentemente convocato nell’Under 17 francese. Il massimo organo calcistico dell’Africa ha ravvisato la mancata osservazione dello statuto della FIFA in materia e, in particolare, l’irregolarità della posizione dell’attaccante Thierry Fidjeu Tazameta: questi, dopo aver rappresentato il Camerun nel-
le selezioni giovanili, aveva già partecipato con la sua nuova nazionale alla Coppa d’Africa del 2012 e alle qualificazioni ai Mondiali in Brasile. La decisione è stata inevitabilmente contestata dal governo equatoguineano, che sul proprio sito ufficiale (sic!) ha sparato a zero contro alcuni dirigenti della CAF che avrebbero ordito “oscure manovre” contro il centravanti nativo di Douala. La stessa confederazione calcistica ha poi individuato, a metà novembre, nella Guinea Equatoriale il perfetto sostituto per accogliere la Coppa d’Africa dopo la discussa rinuncia del Marocco. “La CAF intende esprimere i suoi sinceri ringraziamenti al popolo della Guinea Equatoriale, al suo governo e in particolare al presidente Obiang”, ha dichiarato il numero uno Issa Hayatou. Della serie: c’eravamo tanto odiati. IL MISTER Fino allo scorso 2 gennaio sulla panchina della nazionale sedeva Andoni Goikoextea, il “macellaio di Bilbao” incoronato dal Times come il calciatore più cattivo della storia dopo il famigerato fallo che spezzò la caviglia a Diego Armando Maradona quando il Pibe giocava ancora nel Barcellona. Poi la federcalcio, nella persona del presidente Andres Jorge Mbomio appena eletto, lo ha cacciato. Sull’ormai celebre sito ufficiale del governo equatoguineano - ah, le commistioni tra calcio e politica! - la motivazione dell’esonero risiederebbe dietro il diniego del tecnico basco di raggiungere la squadra in Portogallo per un’amichevole di preparazione alla Coppa d’Africa. I giocatori sono passati sotto la guida dell’argentino Esteban Becker, che dal 2013 ricopriva il ruolo di direttore tecnico di tutte le nazionali calcistiche equatoguineane. L’ex centrocampista di Independiente e Quilmes si è fatto le ossa come allenatore, prima in patria al Club Deportivo Español e poi nelle serie minori spagnole. L’apice, però, lo ha toccato da ct della nazionale femminile della Guinea Equatoriale con la vittoria alla Coppa d’Africa del 2012, ottenuta vincendo tutti gli incontri disputati ma con l’ombra delle natura-
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lizzazioni di numerose giocatrici brasiliane. LA SQUADRA Qualcuno, più o meno polemicamente, l’ha definita “le Nazioni Unite del calcio”. Difficile negarlo: nella rosa dei selezionati da Becker figurano brasiliani, camerunensi, colombiani, ivoriani e spagnoli. Mancano soltanto un asiatico e un oceanico per vedere rappresentati tutti i continenti terrestri, insomma. Nel probabile 4-4-2 iniziale di Becker i principali punti di riferimento dovrebbero essere il giovane (21 anni) portiere Felipe Ovono che ha già alle spalle una partecipazione in Coppa d’Africa, il centrocampista Juvenal, mediano tutto corsa e visione di gioco originario della Catalogna, e l’attaccante Javier Balboa. Grandi aspettative vengono riposte anche nel regista difensivo Iván Zarandona e negli spagnoli Carlos Akapo e Ruben Belima, recentemente naturalizzati. Non ci sarà, invece, Pedro Obiang, nipote del presidente della Repubblica: il talento sampdoriano rifiuta da tempo la chiamata della Nzalang Nacional a testimonianza della volontà di prendere le distanze dalla scomoda parentela. Non è stato poi convocato Valeriano Nchama, emigrato a soli due anni con la famiglia in Italia: dopo la parentesi nelle giovanili dell’Inter adesso gioca all’Altovicentino, in Serie D. LE STELLE Esterno di centrocampo con licenza di attaccare, Emilio Nsue è forse il calciatore equatoguineano più conosciuto: ha vinto gli Europei Under 19 e Under 21 con la Spagna, suo Paese natale, e ha indossato le maglie di Mallorca e Real Sociedad. Oggi milita nel Middlesbrough, nella Serie B inglese. Curiosamente, per anni ha rifiutato la maglia della sua attuale nazionale: il connubio è stato sancito nel 2013 dietro la disponibilità della federcalcio a farsi carico di spese e premi. Il suo esordio con la Gui-
nea Equatoriale è stato, a suo modo, memorabile: la tripletta contro Capo Verde, con tanto di fascia di capitano al braccio, è stata immediatamente cancellata dalla sconfitta a tavolino comminata dalla Caf. Come nel caso di Fidjeu, il giocatore non aveva diritto a scendere in campo. Sulla zona destra dell’attacco agirà Javier Balboa, prodotto delle giovanili del Real Madrid che non è mai riuscito ad affacciarsi in prima squadra: segna col contagocce, ma è uno degli elementi di maggior talento a disposizione di Becker. Come lo sono i giovanissimi Pablo Ganet e Ibán Salvador. LE PROSPETTIVE La Guinea Equatoriale si presenta come una delle grandi incognite della Coppa d’Africa che si disputerà sul patrio suolo. Ha raggiunto la fase finale solo perché il Marocco ha rinunciato ad ospitare il torneo, è vero. E poi era stata esclusa dalle qualificazioni già al primo turno. Però giocherà davanti ai propri sportivi, tre anni dopo la co-organizzazione con il Gabon, e ci terrà ad evitare figuracce. E Becker guiderà la squadra con l’entusiasmo di chi non ha nulla da perdere, tanto più che nessuno gli chiederà di alzare la Coppa avendo pochi giorni per amalgamare il gruppo. Certo, il girone non sarà una passeggiata: il Burkina Faso vorrà confermare la crescita dell’ultimo biennio, il Congo è una splendida realtà e il Gabon farà leva sulla vicinanza geografica per godere del sostegno dei propri tifosi. E anche in caso di qualificazione alla fase successiva l’avventura terminerebbe ai quarti. Ma la federcalcio sa essere generosa verso i calciatori disposti a cambiar bandiera dietro lauto compenso e, come scrive l’esperto di calcio africano Mark Gleeson sula rivista «World Soccer», potrebbe essere talmente sfacciata da includere nella rosa i forti colombiani Jimmy Bermúdez e Carlos Bejarano. Basta che la Fifa continui a fare orecchie da mercante…
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BURKINA FASO
C
di Gabriele Anello
i eravamo lasciati con il volto triste di Charles Kaboré sul campo del FNB Stadium di Johannesburg. Con il destro di Wilfried Sanou, attaccante che in carriera non ha lasciato grandi segni sulle pagine della storia, ma ne avrebbe potuta scrivere una significativa per il suo paese. Se non fosse che sul destro dell’esterno, il pallone ha trovato Vincent Enyeama, portiere e capitano della Nigeria: una parata che ha significato il titolo per le Super Aquile. E la disperazione per il Burkina Faso, che però ha voglia di riprovarci nel 2015. LE QUALIFICAZIONI Il Burkina Faso non ha dovuto fare molta fatica per staccare il biglietto per Malabo. Inseriti nel gruppo C con Gabon, Angola e Lesotho, gli Stalloni hanno semplicemente fatto il loro. L’Angola non è più quello che si è qualificato ai Mondiali tedeschi del 2006, così come il Lesotho non è mai stato una reale minaccia per le altre squadre nel gruppo (anche se ha strappato un paio di pareggi). Il vero avversario è stato il Gabon di Aubemeyang, che infatti ha concluso il girone al primo posto. Dopo un agevole 2-0 al Lesotho e un 3-0 in trasferta a Luanda, è arrivata l’ora del doppio confronto ravvicinato contro le Pantere. Il Gabon in casa ha regolato la contesa grazie a una doppietta dell’attaccante del Borussia Dortmund, mentre al ritorno ha agguantato il pari dopo il vantaggio del Burkina Faso. A quel punto, gli Stalloni hanno vinto in Lesotho e chiuso anticipatamente il discorso qualificazione: l’ultima gara casalinga contro l’Angola è servita solo per le statistiche. IL MISTER Faccia da attore americano consumato, occhi azzurri e fronda da classico nordico: questo è Paul Put, classe ’56 e vero costruttore del miracolo Bur-
kina Faso di due anni fa. Il tecnico di Merksem ha allenato anche in patria: due anni con il Lokeren, altrettanti con il Lierse, più qualche mese con il Mouscron. Ma come molti francofoni, l’Africa lo attira. In più c’è un motivo molto forte per lasciare casa: la Royal Belgian Football Association lo ha sospeso per tre anni dopo l’ammissione del tecnico di esser stato coinvolto nello scandalo riguardante Ye Zheyun. Una vicenda che riguardava l’aggiustamento dei risultati di alcune partite: il milionario business man avrebbe avvicinato soprattutto club in difficoltà finanziaria. Quando il caso viene fuori, nonostante le tante persone menzionate, solo un club (il Lierse), un giocatore (Hasan Kacić, due anni di sospensione) e un allenatore (Put appunto, tre anni di sospensione) vengono puniti. Eppure il Lierse e Kacić fanno ricorso: addirittura lo vincono. Così, l’unico grande colpevole della vicenda mediatica rimane Put, che decide di lasciare il Belgio. Deluso, parte per il Gambia, dove è rimasto addirittura per un quadriennio alla guida della nazionale. Da lì, il Burkina Faso l’ha assunto nel 2012. In un anno, ha fatto una sorta di mezzo miracolo e ha condotto la nazionale alla finale di Johannesburg: il secondo posto del 2013 è il miglior risultato degli Stalloni in tutta la loro storia. La sua storia di redenzione sembra ancora incompleta. LA SQUADRA Qualche volto nuovo c’è, ma sostanzialmente il ct Put ha deciso di contare sugli stessi uomini che l’hanno portato in finale due anni fa. Durante le qualificazioni, il tecnico belga ha impostato la sua squadra su una difesa a quattro: da lì, 4-3-3 o 4-2-3-1 sono le possibili combinazioni. In porta ha sempre giocato durante le qualificazioni Germain Sanou, classe ’92 dell’AS Beauvais (quarta divisione francese). Nonostante la sua giovane età, l’estremo difensore è alla sua quarta partecipazione alla Coppa d’Africa: dev’essere qualche sorta di record. Davanti a lui un trio difensivo confermatissimo.
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Paul Koulibaly è andato a giocare in Mali, ma rimane elemento d’esperienza per Put con i suoi 28 anni. Dall’altra parte, c’è Narcisse Bambara, quest’anno trasferitosi in Europa (precisamente in Romania all’Universitatea Cluj). Al centro, un mediano adattato come Mohamed Koffi e il valido Bakary Koné. Il primo è un classe ’86 che è alla prima stagione con lo Zamalek, ma da tempo gioca in Egitto; il secondo è forse uno dei migliori elementi della squadra. Centrale dell’Olympique Lione, Koné è stato anche inserito nella top 11 dell’ultimo torneo. In panchina c’è anche Steeve Yago, classe ’92 del Tolosa che forse meriterebbe un po’ di spazio in più. La diga di centrocampo è formata da due giocatori entrambi protagonisti nel panorama francese. Florent Rouamba si sta imponendo in Ligue 2 con la maglia del CA Bastia e a 27 anni pare aver raggiunto una sua stabilità, dopo sei anni in Moldavia e un breve passaggio con il Charlton Athletic. Diversa è la storia del capitano della squadra, quel Charles Kaboré che avevamo lasciato deluso alla fine della finale contro la Nigeria. Dopo cinque stagioni a Marsiglia con l’Olympique, lo ritroviamo al Kuban Krasnodar, dove ha fatto molto bene nel 2013-14 e ha trovato una sua dimensione. Questo duo è quello che permette al Burkina Faso di schierare un discreto arsenale di trequartisti. I tre dietro la punta possono variare, ma alla fine il tridente dovrebbe essere quello schierato durante le qualificazioni. Sicuramente sarà titolare Jonathan Pitroipa, seguito a lungo dalla Lazio nell’ultimo calciomercato estivo. L’ala dell’Al-Jazira Club ha di che vendicarsi rispetto all’edizione di due anni fa. In Sudafrica Pitroipa fu eletto MVP della manifestazione, ma non poté giocare la finale a causa di un’espulsione nella semifinale contro il Ghana. Un provvedimento molto discusso, perché il secondo giallo per simulazione fu in realtà un marchiano errore dell’arbitro (con rigore negato annesso). Accanto a lui, i fratelli Traoré sembrano candidati a un posto da titolare. Prodotto dello straordinario vivaio dell’Auxerre, Alain (classe ’88) c’era anche due anni fa, ma per arrivare a questa Coppa d’Africa ha dovuto fare i salti mortali. Put non è ancora convinto dalla sua attuale forma, ma non se la sente di rinunciare a quel tipo di talento. Gli infortuni lo hanno tartassato, tanto che Alain ha giocato appena poche gare da subentrante con il Lorient. Tuttavia, lui si è detto pronto per la competizione e Put gli ha dato fiducia. Anche lui fu un’assenza cru-
ciale per il Burkina Faso nella fase finale del torneo: dopo un inizio da favola, non disputò le gare a eliminazione diretta. Un altro alla caccia di vendette. L’altro Traoré rischia di diventare anche quello più forte. Bertrand (classe ’95) è di proprietà del Chelsea ed è stato a lungo al centro di un caso di mercato: i Blues lo comprarono alla tenera età di 15 anni, ma in realtà la sua acquisizione è stato oggetto di contendere per due anni. Poi nell’ottobre 2013 è arrivata la firma su un contratto di quattro anni e mezzo insieme al prestito in Olanda, precisamente al Vitesse. In giallonero, Bertrand sta crescendo molto e ha già migliorato le cifre dell’anno scorso. Per il Burkina Faso, poi, il ragazzo è importante: il suo esordio in nazionale maggiore avvenne a soli 16 anni nel settembre 2011. Per il centravanti, invece, ci vuole un paragrafo a parte. LA STELLA Aristide Bancé non è semplicemente un giocatore di calcio, ma è un personaggio bizzarro che si incontrano poche volte nella storia di questo sport. Per l’Africa è normale, ma per chi l’ha visto in giro per l’Europa in questi anni è stato un fulmine a ciel sereno. Oggi Bancé gioca per l’HJK di Helsinki dopo un lungo girovagare negli ultimi tempi. Nonostante i trent’anni compiuti, lui di stabilirsi da qualche parte non ci pensa proprio: in carriera finora ha cambiato 15 squadre! Nato a Abidjan, capitale della Costa d’Avorio, Bancé ha fatto bene in Belgio e in Germania. Pochi a Magonza si saranno dimenticati di lui e dei suoi capelli biondi e ossigenati. Negli ultimi quattro anni ha segnato poco, ma per la nazionale si è sempre dimostrato in forma. Basti ricordare la sua performance nella semifinale contro il Ghana: gol dell’1-1 e scavetto nella lotteria dei rigori per portare la sua nazionale in finale per la prima volta. Se non è questa pazzia… LE PROSPETTIVE Les Étalons non possono lamentarsi: il sorteggio di Malabo è stato estremamente benevolo nei loro confronti. Il gruppo A è forse il più facile di tutta la competizione. Il Burkina Faso, infatti, dovrà affrontare i padroni di casa della Guinea Equatoriale e il Congo, al ritorno dopo 15 anni d’assenza. Può
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apparire strano, ma uno scherzo del destino ha voluto che gli Stalloni incrociassero nuovamente il Gabon, che però non sa se avrà in squadra PierreEmerick Aubemeyang. Con questi presupposti, sembra chiaro come l’organizzazione dei vice-campioni uscenti potrebbe
rappresentare un punto di forza in un girone dal livello medio così basso. Anzi, il primo posto è alla portata con un po’ d’attenzione. Anche perché quasi nessuno dei titolari è all’esordio assoluto nella competizione e quindi c’è un gruppo cementato a cercare di migliorare il risultato dell’ultima volta.
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GABON di Francesco F. Pagani
IL MISTER
LE QUALIFICAZIONI
I
l Gabon ha strappato il biglietto per la Coppa d’Africa 2015 vincendo il Gruppo C, quello comprendente anche Burkina Faso, Angola e Lesotho. Un girone certo non impossibile ma che comunque nascondeva qualche possibile insidia, affrontato dalle Pantere con il giusto piglio sin da subito. Il percorso qualificatorio si è infatti aperto con la vittoria rimediata allo Stade d’Angondjé di Libreville: un 1 a 0 secco firmato da Samson Mbingui in chiusura di prima tempo che ha ben delineato gli intenti bellicosi dell’Azingo Nationale. Un po’ a sorpresa quattro giorni più tardi è invece arrivato l’1 a 1 in rimonta rimediato in Lesotho grazie alla retesalvezza di Lévy Madinda. La gara dell’11 ottobre è quindi già fondamentale per stabilire le gerarchie del girone: il Gabon ospita i burkinabè, reduci da due vittorie convincenti nei primi due match. Le Pantere hanno però la possibilità di schierare uno dei giocatori africani più forti del momento: quel Pierre-Emerick Aubameyang che deciderà il match con una doppietta realizzata nell’arco di sei minuti. Il ritorno a campi invertiti, giocato solo quattro giorni dopo, termina invece in parità. Così con la trasferta in angola ed il match casalingo col Lesotho il Gabon sembra avere la strada spianata non solo per la qualificazione, ormai quasi certa, ma anche per il primo posto. A complicare un minimo le cose ci si mette lo 0 a 0 di Luanda. Angola però che giocherà un brutto scherzetto anche ai burkinabè nel corso dell’ultima giornata di qualificazione. Che, complice il contestuale 4 a 2 gabonese sul Lesotho firmato dalla doppietta di Evouna e dai goal di Madinda ed Obiang sancirà la qualificazione come prima della classe proprio per il Gabon.
Chi ha una trentina d’anni sicuramente lo ricorderà da giocatore. Jorge Costa, nato ad Oporto il 14 ottobre del 1971, è stato una delle bandiere del Porto tra l’inizio degli anni ‘90 ed il 2005. Con più di 300 presenze all’attivo, ha saputo essere parte integrante di quella squadra capace di dominare a lungo il calcio lusitano, oltre che di compiere il miracolo europeo sotto la guida di Mourinho (con la Champions vinta nel 2004, fiore all’occhiello della sua bacheca). Vincente fin da giovane (nel 1991 vinse il Mondiale under 20, era il Portogallo di Figo, Rui Costa, Joao Pinto ed altri), ha già dimostrato di non aver perso il vizio nemmeno da allenatore. Perché sei suoi otto anni da manager ha già vinto due campionati: una Liga de Honra (la Serie B lusitana) con l’Olhanense nel 2009 ed una Liga I (Serie A rumena) nel 2012 con il Cluj. Proprio in virtù di esperienza, competenza e carisma la Federazione del Gabon ha deciso di puntare su di lui lo scorso luglio per cercare di cominciare un percorso che potesse dapprima portare alla qualificazione alla Coppa d’Africa e poi, perché no, a ben figurare all’interno della stessa. Jorge Costa che succede a Claude-Albert Mbouronot, a sua volta sostituto ad interim di Paulo Duarte. LA SQUADRA Nessun dubbio per quello che riguarda l’estremo difensore delle Pantere, che non potrà che essere Didier Ovono, ovvero il giocatore con più presenze internazionali della rosa scelta da Jorge Costa (73). Primo backup sarà invece l’altro trentunenne del gruppo, il portiere del Bitam Yves Bitséki. Terza
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scelta il giovane Anthony Mezui, in forza al Metz. La fascia di destra dovrebbe essere presidiata dal francogabonese Lloyd Palun, nato ad Arles (in Camargue) 26 anni fa, cresciuto nel Martigue ed oggi a Nizza. Sulla fascia opposta dovrebbe invece agire un nuovo arrivato nel giro delle Pantere, Johann Obiang. Anche lui nativo di Francia (Le Blanc), ha messo assieme le prime quattro convocazioni della sua pur non lunghissima carriera (ha 23 anni) proprio nel corso delle qualificazioni a Guinea Equatoriale 2015; protagonista nella vittoria decisiva per il primo posto sul Lesotho, con un goal all’attivo, il fluidificante mancino dello Chateauroux si presenterà ai nastri di partenza con tutte le carte in regola per tenersi la titolarità nel ruolo. Difesa che dovrebbe essere guidata dal secondo uomo d’esperienza a disposizione di Jorge Costa, Bruno Ecuele Manga. Nativo di Libreville, il 26enne centrale oggi in forza al Cardiff City vanta esperienze importanti in Ligue 1, in particolar modo al Lorient. Già 44 volte protagonista di un match con la maglia delle Pantere, Ecuele Manga dovrà dirigere il reparto. Suo scudiero dovrebbe quindi essere il 22enne centrale del Caen Yrondu Musavu-King, sbarcato al Michel d’Ornano nell’ormai lontano 2007 e reduce dal prestito all’Uzès Pont du Gard. Musavu-King che potrebbe comunque tornare utile anche sulla sinistra, adattandosi bene anche come terzino. Primo backup dei centrali ma in primis del terzino destro sarà invece uno dei più giovani del gruppo, il classe 1994 Randal Oto’o, oggi in forza alla squadra B dello Sporting Braga. Completano la rosa, per quel che riguarda il reparto arretrato, Aaron Appindangoyé, Henri Junior Ndong e Benjamin Zé Ondo. La rosa dei centrocampisti sarà poi composta da ragazzi tutti piuttosto giovani: il più agée sarà infatti Guélor Kanga del Rostov, 24 anni. I tre titolari, comunque, dovrebbero essere André Biyogo Poko (21enne mediano del Bordeaux con già 26 presenze in nazionale alle spalle), Lévy Madinda (22enne mezz’ala del Celta Vigo) e Didier Ibrahim N’Dong (classe 1994, oggi in forza al Lorient). Completano la rosa dei centrocampisti il 22enne Samson Mbingui dell’MC El Eulma, Bonaventure Sokambi dell’ASO Chlef ed Alexander N’Doumbou dell’Olympique Marsiglia. Il pezzo forte resta comunque l’attacco, dove im-
pera l’ala del Borussia Dortmund Pierre-Emerick Aubameyang. A completare il reparto ci penseranno quindi due relative new entry del gruppo: Frédéric Bulot, ala del Charlton, e Malick Evouna, centravanti in forza al Wydad Casablanca (per entrambi meno di 10 presenze all’attivo in Nazionale). Con loro saranno parte del gruppo anche Romaric Rogombé dei Léopards e Johann Lengoualama del Difaâ El Jadidi. LE STELLE La cometa del Gabon è sicuramente Pierre-Emerick Aubameyang, giocatore più rappresentativo – e, ad oggi, forte – dell’intera rosa a disposizione di coach Jorge Costa. Inutile descriverlo: veloce, discretamente potente a livello muscolare, abile ad inserirsi anche senza palla, è sicuramente un lusso a livello continentale. Capace di giocare anche in posizione più centrale, sarà sicuramente uno dei termometri delle Pantere: dal suo stato di forma e dalla sua capacità di impattare i match dipenderanno indubbiamente buona parte delle sorti della nazionale gabonese. Impossibile poi non nominare anche la roccia difensiva del Gabon, quel Bruno Ecuele Manga che si è fatto conoscere e rispettare moltissimo ai tempi del Lorient e che oggi sta provando a guadagnarsi un posto al sole anche nel Regno Unito, grazie alla sua esperienza gallese di Cardiff. Anche in questo caso pur non potendo parlare di un giocatore capace di impattare a livello mondiale come un top player va come riconosciuto come si tratti di un giocatore più che dignitoso se parametrato agli standard africani. Terza stella, ovviamente, il più esperto di tutti: Didier Ovono. Giramondo del calcio, il portiere nativo di Port-Gentil (seconda più grande città del Gabon) ha collezionato molte esperienze interessanti, tra cui quella in Georgia alla Dinamo Tbilisi. Attualmente gioca in Belgio, nell’Oostende. Portiere dai mezzi atletici importanti, è reattivo e coraggioso nelle uscite. Piuttosto affidabile, è giocatore dotato di carisma e leadership. In ultimo, André Biyogo Poko, di cui si è già parlato nel capitolo introduttivo sui giovani che ci si aspetta di vedere nel corso di questa competizione. Poko che forse non è considerabile una stella a tutto tondo ora, ma certo ha tutto per esserlo, almeno a questo livello. Non ci sarà da stupirsi, co-
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munque, qualora impattasse in maniera significativa già in Guinea Equatoriale. LE PROSPETTIVE Inserito nel Gruppo A con i padroni di casa, il Congo ed il Burkina Faso già affrontato in fase di qualificazione, il Gabon ha sicuramente le carte in regola per giocarsi il passaggio del turno. Traguardo comunque certo non facile. Se sulla carta la squadra che dovrebbe avere più problemi è proprio quella deputata ad ospitare il torneo (quindi occhio al fattore campo), gli scontri con burkinabè (come dimostrato proprio in fase
qualificatoria) e Congo (reo di aver sancito l’eliminazione della Nigeria) risultano tutt’altro che scontati. Un girone abbastanza equilibrato, insomma, incrociato con un altro girone altrettanto equilibrato. Che significa possibilità di uscire subito come di arrivare comodi in semifinale, a seconda di quello che sarà l’impatto delle Pantere sulla competizione. Vincere? Difficile, se pensiamo al fatto che ci sono squadre sulla carta molto più attrezzate. Ma il bello del calcio africano è sempre stata quella componente di imprevedibilità che lo ha contraddistinto dal giorno zero...
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CONGO di Andrea Bracco LE QUALIFICAZIONI
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on capita tutti i giorni di mietere una vittima eccellente come il campione d’Africa in carica. Invece il Congo Brazzaville centra l’impresa, costringendo la Nigeria a rinunciare al diritto di difendere il titolo conquistato nell’edizione precedente di Coppa d’Africa. Seconda nel Gruppo A, la compagine allenata da Claude Le Roy strappa una forse impronosticabile qualificazione giocandosi la vetta fino al rush finale, vinto poi dal Sudafrica. Il cammino verso la Guinea Equatoriale non è stato regolare, ed anzi è curioso notare come il fattore campo si sia rivelato più un ostacolo piuttosto che una risorsa; sette dei dieci punti conquistati arrivano infatti in trasferta, dove il Congo ha espugnato prima Calabar (battendo 3-2 la Nigeria con un Thievy Bifouma in giornata di grazia) e poi Karthoum, Sudan, rispettivamente all’esordio e nel match di congedo. In mezzo un buon pari a reti bianche in Sudafrica ed il successo casalingo sul Sudan, dove Onianguè e compagni si sono imposti per 2-0 davanti al tutto esaurito di Pointe-Noire. Il finale della fase a gruppi di qualificazione ha comunque rappresentato un grande passo avanti rispetto agli stentati esordi, quando il Congo prima ha dovuto ribaltare l’1-0 subito in Namibia nella gara di andata del primo turno, vincendo 3-0 il ritorno, e poi si è dovuto addirittura affidare alla lotteria dei calci di rigore per avere la meglio su Ruanda. IL MISTER Su Claude Le Roy ci sarebbe abbastanza materiale per scriverci un libro, esclusivamente dedicato alla figura di questo “santone” che l’Africa ha ormai adottato. Lo “Stregone Bianco” siede sulla panchina dei “Diables Rouges” dal dicembre del 2013, ma il suo rapporto col Continente Nero è ormai trentennale; è infatti il 1985 quando Le Roy firma con la federazione del Camerun con il compito di
portare la squadra in cima all’Africa nella Coppa continentale che nell’88 si svolse in Marocco. Missione compiuta, per una generazione d’oro che tra le proprie fila vantava un certo Roger Milla. Dall’89 al ’92 allena il Senegal, poi torna in Camerun giusto per prendere in mano le redini dei Leoni Indomabili in vista di Francia ’98, dove però non ottiene grandi risultati. Dal 2004 al 2008 si divide tra CT della Repubblica Democratica del Congo, prima, e del Ghana poi, per tornare nuovamente a Kinshasa dopo brevi esperienze in Oman e Siria. La nuova avventura si chiama Congo, selezione che non partecipava alla Coppa d’Africa dal 2000 e che solo una volta nella propria storia – correva l’anno 1972 – è riuscita ad alzare il trofeo. Uomo di poche parole e molti fatti, Le Roy è un vero personaggio dal carattere schivo ma giusto, convinto sostenitore della meritocrazia che gli permette di non guardare in faccia a nessuno. Chiede abnegazione e sacrifici a tutti, in cambio insegna calcio. La squadra lo segue in tutto e per tutto, esaltata dallo spirito di gruppo che si è rinsaldato dal suo arrivo, appena un anno fa. Dopo aver centrato la qualificazione alla prossima competizione continentale, è arrivato anche il rinnovo. Obbiettivo? Russia 2018. Difficile, ma non impossibile. Non con Le Roy in panchina. LA SQUADRA Atteggiamento offensivo e 4-3-3, sempre e comunque. Il Congo gioca e prova a vincere sempre, facendo di queste due prerogative due interpretazioni filosofiche contro qualsiasi avversario. In porta si disimpegna Chance Massa, tra i leader della squadra, uno dei tanti giocatori che milita in patria nei campioni in carica Leopards de Dolisiè. Davanti a lui agiscono due centrali molto fisici ma poco atletici; il primo è Dimitri Bissiki, anche lui in forza ai Leopards, classe 1991 e ampi margini di miglioramento. Il secondo si chiama Arnold Moutou, in forza ai francesi dell’Angers (Ligue 2). Sulla destra agisce Boris Moubhibo, 26 anni, brevilino molto bravo in fase di spinta ma con qualche lacuna in copertura.
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Sull’out opposto spazio invece a Francis Nganga, mancino il cui cartellino appartiene al club belga dello Sport Charleroi.
la trasferta in Guinea Equatoriale.
Globalmente non si può certo dire che il pacchetto arretrato offra molte garanzie, ma salendo verso la mediana la squadra migliora nettamente sia dal punto di vista tecnico che da quello fisico. Il 25enne Cesaire Gandzè è colui che si occupa di smistare ogni pallone che passa lì in mezzo, avvalendosi della collaborazione di Delvin Ndinga (Olimpiakos) e soprattutto di Fabrice Onianguè. La mezzala del Reims è uno dei veterani della squadra, nonché il capitano. Il reparto d’attacco è quello dove c’è più rotazione di uomini.
Sono tre i principali uomini copertina di questo Congo voglioso di stupire. Il primo è Fabrice Onianguè, mezzala sinistra del Reims che in Francia sta facendo molto sul piano del rendimento, tanto da attirare sirene estive importanti su di lui. Fisicamente ben sviluppato, Onianguè possiede anche un’ottima intelligenza tattica. Delvin Ndinga fa lo stesso “lavoro” di Oniangue, ma nell’altra porzione di campo; dopo una lunga carriera spesa in Francia tra Auxerre e Monaco, ha scelto l’Olimpiakos dove però oggi fa fatica ad imporsi. Infine Thievy Bifouma, attaccante rapido e tagliente che in Liga sta facendo vedere buone cose, nonostante il livello della squadra in cui gioca non lo valorizzi abbastanza.
Nelle ultime uscite ha trovato sempre più spazio Bifouma Thievy, punta esterna che quest’anno gioca in Spagna, e che pur essendo un classe ’95 si èritagliato uno spazio importante sia nell’Almeria, sia nello scacchiere tattico di Le Roy. Sull’out opposto troviamo Ferebory Dorè, altro guizzante esterno abile nel saltare l’uomo e nel rifornire l’attaccante centrale in maniera costante. Infine, in mezzo, Le Roy potrà contare sui centimetri (e – si spera – sui gol) di Ladislas Douniama, un altro ragazzo nel pieno della maturazione calcistica, intento a rilanciarsi con la maglia del Guingamp. Occhio al giovanissimo Kader Bidimbou, 18 anni compiuti da poco: non ha ma esordito con la maglia del Congo, ma lo staff tecnico lo tiene in grande considerazione tanto da avergli anticipato una probabile convocazione per
LE STELLE
LE PROSPETTIVE Dire dove può arrivare il Congo è difficile. Molto dipenderà dall’esordio contro i padroni di casa della Guinea Equatoriale, nel match inaugurale. Se dovessero passare indenni l’esame iniziale, la strada potrebbe farsi interessante. Di certo c’è che – almeno sulla carta – questa squadra può giocarsela con tutte, ovviamente con gli accorgimenti del caso. Burkina Faso e Gabon non sembrano avversari insormontabili, e una volta passato il turno – come la tradizione insegna – può succedere davvero di tutto.
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LE SQUADRE GRUPPO B
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ZAMBIA di Francesco F. Pagani
IL MISTER
LE QUALIFICAZIONI
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nserito nel Gruppo F con Capo Verde, Mozambico e Niger, lo Zambia – campione continentale nel 2012 – ha faticato più del previsto per ottenere il pass per la Coppa d’Africa 2015. Il girone d’andata è stato infatti molto complicato per gli uomini di Honour Janza. L’esordio – casalingo, contro Mozambico – è stato bagnato dallo scialbo 0 a 0 del Levy Mwanawasa Stadium di Ndola. Ancora peggio il match disputato quattro giorni più tardi a Maputo, dove il Capo Verde ha saputo imporsi per 2 a 1 grazie alle reti di Zé Luis e Mendes, con goal della bandiera zambiana realizzato da Mulenga. Le cose si sono poi ulteriormente complicate al giro di boa, quando ospite del Niger lo Zambia non è riuscito ad andare oltre il secondo pareggio a reti inviolate della propria fase qualificatoria. Ultimi a pari punti con i nigerini i Chipolopolo hanno dovuto cambiare decisamente marcia nel girone di ritorno, aperto col secco 3 a 0 casalingo rifilato allo stesso Niger (di Kalaba, Mayuka e Mweene su rigore i goal che hanno permesso allo Zambia di riportare la prima vittoria). A quel punto il match seguente, giocato lo scorso 15 novembre, diventava quasi decisivo ai fini della qualificazione, mettendo di fronte le due seconde del girone. La trasferta mozambicana venne comunque risolta bene dai figli dello Zambia, capaci di imporsi di misura grazie alla rete siglata al 67esimo da Given Singuluma, 28enne attaccante in forza al TP Mazembe. Per staccare il pass per la fase finale, comunque, i Chipolopolo hanno dovuto aspettare l’ultima giornata. L’1 a 0 (Kampamba) su Capo Verde ha quindi permesso allo Zambia di volare in Guinea Equatoriale, chiudendo una rimonta storica e probabilmente insperata solo un mese prima.
Dallo scorso agosto i Chipolopolo hanno un commissario tecnico zambiano: Honour Janza. Subentrato al dimissionario Patrice Beaumelle, il quale ha deciso di andare a fare il vice di Renard in Costa d’Avorio, Janza è stato scelto rapidamente dal presidente della Federazione dello Zambia, l’ex star del PSV Kalusha Bwalya. Janza che conosceva già molto bene squadra ed ambiente, avendo ricoperto il ruolo di Direttore Tecnico sino al momento del suo insediamento a C.T. Il suo impatto col nuovo ruolo è stato duro, ma sul medio raggio ha pagato. Ad oggi il suo score sulla panchina dello Zambia recita 3 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte. Dallo scorso ottobre Janza è assistito dall’olandese Nico Labohm. LA SQUADRA Il portiere titolare dei Chipolopolo, pochi dubbi, sarà ancora una volta Kennedy Mweene, oggi in forza ai Mamelodi Sundowns (Sudafrica). Già protagonista assoluto nella vittoria continentale di tre anni fa, quando fu anche nominato miglior estremo difensore del torneo, Mweene è il giocatore con più esperienza internazionale a disposizione di coach Janza (88 caps per lui). La sua prima riserva sarà invece quasi certamente il 27enne Danny Munyao dei Red Arrows F.C. (Zambia). La difesa dovrebbe essere guidata da Stoppila Sunzu. 25 anni e già 46 presenze in nazionale alle spalle, ha un palmares piuttosto ricco: campione di Zambia nel 2009 con lo Zanaco, si laureò vicecampione del mondo solo un anno più tardi col TP Mazembe. Figlio d’arte (suo padre Felix era portiere), dovrebbe giocare la prossima stagione in Cina, in forza allo Shanghai Shenuha. L’altro veterano della difesa dei Chipolopolo ha solo 21 anni. Qualcuno di voi lo conoscerà già, ma-
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gari per averne letto sul mio blog1: sto parlando di Emmanuel Mbola, terzino sinistro classe 1993 con già ben 42 presenze in nazionale. La fascia opposta dovrebbe invece essere presidiata da Davies Nkausu: nato l’1 gennaio 1986 a Lusaka, è nel giro delle nazionali zambiane già dall’under 17. Del resto in gioventù prometteva molto: non a caso nel 2002 passò due settimane in prova al Manchester United, che comunque decise di non tesserarlo. La difesa, infine, dovrebbe essere puntellata anche dal 23enne Christopher Munthali del Nkana (17 presenze e 1 goal per lui da quando gioca in Nazionale). Il centrocampo – anzi, la squadra – sarà certamente guidato dal veterano Rainford Kalaba. 29 anni il prossimo agosto, già 76 presenze in nazionale, Kalaba – passato dalla SuperLiga portoghese alla fine dello scorso decennio – è stato recentemente nominato capitano dello Zambia. Ala sinistra velocissima e ficcante, avrebbe probabilmente meritato più considerazione da parte del calcio europeo. Giocatore capace di bruciare buona parte degli avversari in accelerazione – e pur con la palla al piede – sa rendersi pericoloso sia in fase di rifinitura che di conclusioni (10 le sue reti con la maglia dei Chipolopolo). L’out opposto sarà invece presidiato da Nathan Sinkala, 24enne esterno (anche basso) di proprietà del TP Mazembe (ma in prestito agli svizzeri del Grassoppher). Sinkala – fratello dell’ex Bayern Monaco Andrew – è dotato di un buon tiro dalla media ed è deputato a dare più equilibrio alla squadra rispetto a quanto non faccia Kalaba. Al centro dovrebbero invece agire il giovane Bruce Musankaya dei Red Arrows e Chisamba Lungu, già campione d’Africa tre anni fa ed oggi in forza ai russi dell’FC Ural Sverdlovsk. Infine i due attaccanti titolari. Uno è praticamente scontato: sto parlando di Emmanuel Mayuka, 24 anni, di proprietà del Southampton (ma lo scorso anno in prestito a Sochaux). Sbarcato in Europa nel 2008 – Maccabi Tel Aviv – ha all’attivo anche una fruttuosa esperienza in quel di Berna, dove per due anni vestì la maglia degli Young Boys. Capocannoniere della Coppa d’Africa 2012 – in coabitazione con altri sei giocatori, tra i quali Drogba, Kharja ed 1 F.F. Pagani Stars of the Future – Emmanuel Mbola: along the way to the Guinness, Sciabolata Morbida, 19 gennaio 2010
Aubameyang – Mayuka sarà uno dei punti di riferimento della propria nazionale. L’altro, là davanti, dovrebbe essere il 28enne Given Singuluma, attaccante in forza ai congolesi del Mazembe. LE STELLE Come avrete capito dal paragrafo precedente sono tre i leader tecnici di questa nazionale: Kennedy Mweene, Rainford Kalaba ed Emmanuel Mayuka. Il quarto, Christopher Katongo, sembra ormai essere fuori dal giro della nazionale. Mweene, come detto, è uno degli estremi difensori più affidabili del Continente Nero (che solitamente non brilla, al riguardo). Una sua particolarità, un po’ sulle eccentriche tracce dei vari Chilavert e Rogerio Ceni, sta nel fatto che questo estremo difensore suole, di tanto in tanto, presentarsi sul dischetto. Se tornate al paragrafo iniziale, quello in cui si è parlato del percorso di qualificazione affrontato dai Chipolopolo, noterete infatti che proprio Kennedy ha messo lo zampino in una delle vittorie della sua squadra, il 3 a 0 sul Niger. Rainford Kalaba è probabilmente, in assoluto, il giocatore più talentuoso della squadra. Su di lui ricadrà quindi buona parte del compito di non far rimpiangere un grande giocatore come Katongo. Le sue accelerate possono imprimere cambi di ritmo sostanziali alla partita, andando a far saltare anche le difese più ermetiche. Un suo limite sta sicuramente nell’incisività, oltre che nella continuità. Tutte cose che se trovate nel momento giusto, però, potrebbero aiutarlo a trascinare il suo Zambia verso traguardi insperati. Di certo c’è che tra tutti i giocatori in forza alla nazionale allenata da Honour Janza Kalaba è sicuramente quello da tenere più in considerazione tra tutti. Infine, Mayuka. Uno dei pochi Chipolopolo a vantare un’esperienza in Europa. Giocatore abbastanza dotato da un punto di vista tecnico, è in possesso di una grande rapidità di gambe ed ama duellare uno contro uno col proprio diretto marcatore. Buon fisico, non disdegna impegnarsi nei duelli aerei e si disimpegna nelle conclusioni con entrambi i piedi. Capace di agire sia come prima punta che di allargarsi sull’esterno, è sicuramente la speranza offensiva dello Zambia, che poggia buona parte delle speranze su quella che sarà la sua vena realizzativa.
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LE PROSPETTIVE Credo che quando lo Zambia riportò la vittoria della sua prima Coppa d’Africa tre anni fa in pochi poterono non ritenersi stupiti. Lo stesso vale oggi, con i Chipolopolo che approdano alla massima rassegna continentale per nazionali senza vere speranze di vittoria, ma con la consapevolezza che se gli astri si allineassero ancora una volta nel giusto modo un nuovo miracolo potrebbe essere compiuto. Il girone è tosto, ma non impossibile. Favorita sicuramente la Tunisia, già capace di vincere il proprio raggruppamento in fase di qualificazione davanti al Senegal, andando ad eliminare così l’Egitto (ovvero la nazionale con più vittorie nella storia della Coppa d’Africa, 7). Il secondo posto valevole per l’approdo ai quarti,
quindi, se lo dovranno probabilmente giocare con la Repubblica Democratica del Congo – qualificatasi come miglior terza tra tutti i gironi – e Capo Verde, già affrontato nel corso delle qualificazioni. Un’impresa dura ma comunque non impossibile per lo Zambia, in un girone in cui tutto sommato nessuna squadra sembra partire battuta. Chipolopolo che disputeranno tutte e tre le proprie partite ad Ebebiyín, nel nord est della Guinea Equatoriale. Attenzione, comunque: il gruppo dello Zambia si incrocia con l’A, quello dei padroni di casa, del Burkina Faso, del Gabon e del Congo. Posto che le nazionali sulla carta più competitive si trovano negli altri due raggruppamenti, la semifinale è un obiettivo sicuramente difficile ma comunque certo non impossibile, per Honour Janza ed i suoi ragazzi.
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TUNISIA
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di Alessandro Mastroluca
diale di fila.
e Aquile di Cartagine vogliono tornare a volare. Presenza fissa in Coppa d’Africa dal 1994, alla diciassettesima partecipazione nella manifestazione continentale, la Tunisia è ferma all’unico trionfo del 2004, il successo casalingo in finale sul Marocco. LE QUALIFICAZIONI Per la certezza di esserci anche nel 2015 non ha dovuto aspettare l’ultima partita, è bastato lo 0-0 con il Botswana alla penultima giornata. Ma ha comunque chiuso in bellezza, con il 2-1 all’Egitto allo stadio Mustapha Ben Jannet, un successo che ha sancito l’eliminazione dei Faraoni. Un percorso netto, quello della Tunisia, che ha vinto il gruppo G con 14 punti e solo 7 gol all’attivo. Una squadra che ha sempre vinto in casa, e fuori casa, dopo il successo in Egitto, si è accontentata di pareggiare in Botswana e Senegal. IL MISTER “Affronteremo la Coppa d’Africa concentrandoci su una partita alla volta, come abbiamo fatto durante le qualificazioni”, ha commentato il ct, il belga George Leekens, in passato già due volte alla guida dei Diavoli Rossi (che ha condotto a Francia ‘98 - dopo aver eliminato la Repubblica Ceca agli spareggi - e nell’infruttuoso percorso di qualificazione a Euro 2012). Soprannominato “Lungo coltello” da giocatore, per lo stile di gioco deciso e aggressivo, ha vissuto la migliore stagione agonistica del Bruges, con cui ha disputato 351 partite e vinto cinque scudetti oltre a una coppa del Belgio. C’era anche lui in campo a Wembley per la finale di Coppa dei Campioni il 10 maggio 1978: i belgi, che avevano eliminato la Juventus in semifinale, si inchinarono però al gol di Kenny Dalglish. È l’ultimo successo in “Red” di Ernst Happel che di lì a qualche mese avrebbe portato l’Olanda alla seconda finale mon-
Leekens sarà affiancato da un assistente esperto come Maher Kanzari, già alla guida dell’Esperance Tunisi, del Club Athlétique Bizertin, dell’Al Nasr, del Dubai Cultural Sports Club e recentemente dei qatarioti dell’Al-Wakrah. LA SQUADRA La Tunisia gioca col 4-2-3-1. Nelle due sfide contro il Senegal così come nell’amichevole pre-mondiale contro il Belgio, però, ha provato il 3-5-2, che spesso diventava 5-3-2 in fase difensiva, e che potrebbe tornare utile anche in Guinea. La squadra rispetto al passato recente ha meno muscoli e più palleggiatori in grado di garantire qualità, imprevedibilità e cambio di passo. Il gioco gira intorno a Yassine Chikhaoui, che alla responsabilità è abituato fin da piccolo. “Tutti si aspettano miracoli da me da quando ho 14 anni” ha detto in una recente intervista, “ma non sono un mago”. Più giovane capitano nella storia dell’Etoile du Sahel, ha mantenuto lo status anche allo Zurigo e in nazionale. Votato miglior centrocampista dell’ultimo campionato elvetico, Chikhaoui è uno di quei giocatori che preferisce far parlare il campo. Sposato, con due figli, protegge gelosamente la sua vita privata e parla pochissimo con i giornalisti. Con una certa pomposità, la sua pagina Facebook (che conta oltre 100 mila fan) lo definisce “la perla tunisina”, “un po’ Cristiano Ronaldo, un po’ Ibra”. Paragonato anche a Zidane a inizio carriera, vicino al Bayern Monaco nel 2007, a 28 anni si è messo alle spalle una serie di infortuni che ne hanno rallentato l’ascesa e adesso, dice, “non ho obiettivi a lungo termine”. Intanto, con 11 gol e 5 assist in 24 partite da luglio in poi, ha già attirato l’attenzione del Siviglia. Dal punto di vista delle gerarchie difensive, appare improbabile che la maglia numero 1 non vada a
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Aymen Mathlouthi, uno dei migliori portieri tunisini di sempre, rivelatosi al mondo nella Champions League africana del 2006, anche se l’unico gol subito in quattro partite costò all’Etoile du Sahel l’eliminazione al secondo turno. A destra, ha sempre giocato il ventiduenne Hamza Mathlouthi del Club Athlétique Bizertin, che in estate sembrava vicino al trasferimento in Ligue 1, al Rennes. Anche a sinistra Leekens ha mostrato di avere le idee chiare: quando ha scelto la difesa a quattro, infatti, ha schierato sempre Ali Maaloul, laterale dal 2009 del Club Sportif Sfaxien, che ha portato in semifinale di Champions League africana. Ha anche segnato nella gara d’andata in casa contro il Vita Club, ma non è bastato per evitare il doppio 1-2 che ha riportato i congolesi in finale dopo 33 anni. Maggiori le alternative in difesa. Aymen Abdennour, passato in estate dal Tolosa al Monaco, per rinforzare la sua candidatura si è preso un posto nella storia calcistica nazionale: aprendo le marcature nel 2-0 allo Zenit San Pietroburgo, infatti, è diventato il primo giocatore nato in Tunisia a segnare in Champions League (il centrocampista Tijani Belaid, primo tunisino in gol nella massima competizione europea nel 2007 con la maglia dello Slavia Praga, era infatti nato a Parigi). Bilel Mohsni, centrale dei Rangers, devoto musulmano nella squadra protestante di Glasgow, porta una notevole completezza di gioco, ha segnato 18 gol al Southend United compresa la tripletta che ha portato gli Shrimpers ai playoff promozione in League Two nel 2012, e una personalità altrettanto strabordante. Nato nella banlieu parigina di Les Ulis come Thierry Henry e Patrice Evra, con un padre molto severo che l’ha mantenuto sulla retta via, a Glasgow si è fatto espellere per una testata a Chris Martin in un’amichevole contro il Derby County e ha reagito non troppo bene lo scorso ottobre ai fischi dei tifosi nella partita persa all’Ibrox Park contro l’Hibernian. È francese di nascita e formazione anche il venticinquenne Syab Ben Youssef, possente difensore nativo di Marsiglia formatosi al Bastia e dal 2012 riferimento arretrato dei rumeni dell’Astra Giurgiu, capaci di eliminare il Lione ai preliminari di Europa League grazie all’inatteso 2-1 al Gerland. Leekens ha mostrato grande fiducia anche in Mohamed Ali Yaâkoubi, che però in autunno si è ritrovato superato nelle gerarchie difensive dell’Esperance di Tunisi dal duo Chamseddine DhaouadiLarbi Jabeur. Discorso simile vale per Ferjani Sassi del CS Sfaxien,
tra i candidati al titolo di miglior calciatore d’Africa 2014, ai ferri corti con l’allenatore Ghazi Ghrairi e con un contratto in scadenza al 30 giugno 2015. Osservato dall’Anderlecht, Sassi ha regalato alle Aquile di Cartagine tre punti decisivi in casa contro il Senegal risolvendo una mischia al 95’. Hocine Ragued, che si è formato al Paris Saint-Germain e ora è tornato in patria all’Esperance Tunisi dopo le esperienze al Mons, allo Slavia Praga e al Karabükspor, dovrebbe essere l’uomo d’ordine, il collante in grado di recuperare palla e trasformare rapidamente l’azione da difensiva in offensiva. Un anno fa è stato naturalizzato anche Stéphane Houcine Nater, centrocampista difensivo che legge bene il gioco e chiude le linee di passaggio. Padre francese e madre tunisina, nato a Troyes, è cresciuto in Svizzera, al Servette di Ginevra prima e al San Gallo poi. Pur non parlando tunisino al momento di debuttare in nazionale, convocato la prima volta da Ruud Krol, ha deciso di giocare nella sua patria d’adozione firmando un contratto biennale con il Club Africain. In attacco, difficilmente Leekens si priverà di Youssef Msakni, passato dall’Esperance Tunisi ai qatarioti del Lekhwiya per 11,5 milioni di euro, la cifra più alta mai pagata per un giocatore tunisino. Due anni fa, dopo la Coppa d’Africa 2012, Msakni pareva destinato al grande salto nel calcio europeo, all’Arsenal o al PSG. Ha scelto invece i soldi degli emiri, ma la pista che porta in Francia non si è raffreddata del tutto per il 24enne che ha vinto la Champions League africana nel 2011. Il Lekhwiya, infatti, è di proprietà dello stesso Tamim ben Hamad al-Thani che ha comprato il Paris Saint-Germain. Le occasioni per farsi notare non mancheranno di certo nemmeno a Wahbi Khazri, fantasista del Bordeaux. Ajaccino di nascita, è andato però a giocare dall’altra parte della Corsica, a Bastia. La punizione alla Pirlo con cui ha steso l’Egitto nell’ultima partita del girone di qualificazione è un biglietto da visita più che sufficiente. Per il ruolo di punta, il favorito d’obbligo è Issam Jemâa, il miglior cannoniere di tutti i tempi nella nazionale tunisina. Le Aquile di Cartagine, però, possono facilmente cambiare modulo e pelle, grazie a jolly come Fakhreddine Ben Youssef - su cui c’è l’interesse del Metz - o Hamza Younés del Ludogoretz. Possibile anche che il ct decida di affidarsi a un uomo di esperienza internazionale come Mohamed Amine Chermiti, in Europa dal 2008 tra Hertha
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Berlino e Zurigo. LE PROSPETTIVE Indubbiamente, la Tunisia è la candidata numero 1 al passaggio del turno come prima del girone B con Zambia, Capo Verde e Repubblica Democratica del Congo. “Non esistono più le piccole squadre”
ha ammesso però Wahbi Khazri, “è sempre difficile confermare lo status di favoriti per le ragioni o le condizioni che sappiamo”. Tuttavia, considerato che in caso di qualificazione se la vedrà con una tra Guinea Equatoriale, Burkina Faso, Congo e Gabon, la semifinale non sembra proprio un obiettivo fuori portata.
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CAPO VERDE
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di Simone Pierotti
ome un uragano. Capo Verde ha fatto la sua comparsa sull’atlante del calcio africano con la stessa potenza delle tempeste che hanno origine in questo arcipelago di dieci isole vulcaniche situato al largo delle coste senegalesi e colonizzato dal Portogallo nel quindicesimo secolo. Due anni fa, all’esordio assoluto nella Coppa d’Africa come nazione più piccola di sempre a partecipare a una fase finale, i Tubarões Azuis («Squali azzurri») si sono spinti sino ai quarti, dopo aver sì perso contro il Ghana, ma anche dopo i pareggi conquistati contro Sudafrica e Marocco. Soprattutto, dopo lo schiaffo al Camerun, mica un manipolo di sprovveduti, negli spareggi per la qualificazione alla fase a gironi. LE QUALIFICAZIONI Il cammino verso la seconda partecipazione consecutiva è stato talmente spedito che il 15 ottobre scorso, con due giornate di anticipo, Capo Verde era già matematicamente alla fase finale della Coppa d’Africa. Invidiabile il ruolino di marcia: quattro successi in sei incontri e due sole sconfitte, entrambe sulla terraferma - con il Mozambico nella curiosa sfida tra ex possedimenti portoghesi e contro la Zambia nell’ultimo turno di qualificazione. E pensare che il nuovo commissario tecnico Rui Águas si è insediato soltanto ad agosto. Il debutto, datato 6 settembre 2014, è stato subito scintillante: dopo nemmeno mezz’ora di gioco Capo Verde aveva già infilato tre palloni nella porta del malcapitato Niger, capace di controbattere segnando solamente un gol. Passati quattro giorni è caduto anche lo Zambia, arresosi nei minuti conclusivi sul risultato di 2-1. A ottobre, poi, Capo Verde ha conosciuto prima battuta d’arresto concedendo due reti al Mozambico. Ma la vendetta è stata servita prontamente: nel nuovissimo Estádio Nacional sull’isola di Praia è bastato gonfiare la
rete a un quarto d’ora dal termine per conquistare la vittoria e, soprattutto, l’aritmetica qualificazione alla fase finale. I capoverdiani si sono poi goduti il 3-1 contro il Niger, pure questo materializzatosi quando la partita era oramai agli sgoccioli, prima dello sgambetto rifilato dallo Zambia nella giornata conclusiva a giochi ormai fatti. IL MISTER Un percorso lineare, dicevamo. Merito certamente dell’ex attaccante di Benfica e Porto - ma in Italia lo ricordiamo per la fugace quanto pessima esperienza con la maglia della Reggiana - che ha preso il posto di Lúcio Antunes, indiscusso artefice dell’ascesa del calcio capoverdiano, per portare avanti il lavoro avviato dal predecessore. Che, a sua volta, non aveva fatto altro che proseguire nel solco tracciato dal vecchio ct João de Deus. Águas ha iniziato sul finire degli anni Novanta come assistente di Artur Jorge nella nazionale portoghese per poi divenire, seppur per un breve periodo, allenatore di Estoril e Vitória Setúbal: è andato a sedersi sulla panchina dei Tubarões Azuis dopo le esperienze come vice di Jesualdo Ferreira al Braga e come direttore tecnico delle giovanili dell’al Nasr di Dubai. LA SQUADRA Prima dell’avvento di Águas, l’ex commissario tecnico Antunes ha saputo svezzare in nazionale maggiore una nidiata di giovanotti che aveva già regalato a Capo Verde la medaglia d’oro nei Jogos da Lusofonia, corrispondente dei Giochi del Commonwealth per i paesi di lingua portoghese, nel 2009. Soprattutto, è riuscito a convincere alcuni calciatori di origine capoverdiana nati all’estero - è il frutto della diaspora antecedente all’indipendenza ottenuta nel 1975: l’ex stella del Manchester United Nani è il nome più altisonante - a non rinnegare le loro radici e ad accettare la sfida più romantica della loro carriera. Del resto, come recita la canzone popolare «Biografia di un creolo», nell’evoluzione
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della vita c’è chi cerca di trovare il progresso, chi il proprio destino e c’è chi è felice di esser nato a Capo Verde. È il caso dei portoghesi Carlitos, esterno di fascia destra in forza ai ciprioti dell’Ael Limassol, e Fernando Varela, centrale difensivo dello Steaua Bucarest. E poi c’è Garry Rodrigues, talentuosa ala nata addirittura in Olanda. Proprio i Paesi Bassi rappresentano, assieme a Francia e Portogallo, uno dei campionati che fornisce il maggior numero di giocatori alla nazionale capoverdiana: pochissimi tra i convocati da Águas sono tuttora impegnati in patria. Il modulo di partenza dovrebbe essere il 4-3-3. LE STELLE Accanto a nomi di chiara matrice lusitana e omaggi a vecchie glorie del calcio europeo (vedi Stopira e Platini) ci sono anche alcuni elementi interessanti. Impensabile non menzionare il trequartista Héldon Ramos che detiene il record di marcature con la maglia della nazionale (10) ed è stato capocannoniere della recente campagna di qualificazione alla Coppa d’Africa: in campionato fatica a ritagliarsi un ruolo di prim’ordine nello Sporting Lisbona, ma il suo bagaglio tecnico e la sua fertilità in fase realizzativa non si discutono. Da appuntare anche i nomi dell’esterno offensivo Ryan Mendes e del portiere Vozinha, tra i pochi titolari a non aver ancora trovato fortuna in Europa. Accanto a Ramos l’altra grande stella è Babanco, perno del centrocampo. LE PROSPETTIVE La coesione di un gruppo che gioca assieme da parecchi anni, l’indolore (almeno per il momento) addio di Antunes, l’abilità di segnare spesso negli ultimi minuti e la vittoriosa campagna di qualificazione danno adito a giustificate ambizioni per la Coppa d’Africa che verrà. Capo Verde, che era inserita in terza fascia, al sorteggio ha pescato la peggiore - si fa per dire - delle teste di serie, quello Zambia già battuto pochi mesi fa, la sorprendente Repubblica Democratica del Congo e una Tunisia che parte da favorita ma che si presenta meno irresistibile rispetto agli anni addietro. Quello contro la nazionale maghrebina sarà indubbiamente lo scontro più acceso: durante le qualificazioni ai Mondiali in Brasile i Tubarões Azuis avevano vinto per 2-0 in terra tunisina la sfida decisiva per il primo posto nel girone, salvo vedersi appioppare la sconfitta a tavolino per aver schierato lo squalificato Fernando Varela. Un pasticcio che non ha risparmiato neppure la
Fifa, sul cui sito ufficiale non vi era traccia dell’espulsione rimediata dall’esperto difensore contro la Guinea Equatoriale. E allora: Capo Verde può ripetere a due anni di distanza il miracolo dell’approdo ai quarti di finale? A soli due anni di distanza, il passaggio della fase a gironi appare come il minimo sindacale: il ranking della Fifa non sarà certo il vangelo del calcio mondiale, eppure colloca la nazionale dell’arcipelago al 33° posto, dietro Algeria, Costa d’Avorio e Tunisia. Incagliarsi al primo turno, insomma, sarebbe come retrocedere di un decennio, quando Ghana e Guinea impartivano le sconfitte più fragorose nella storia del calcio capoverdiano e la Coppa d’Africa era pura utopia. In fondo, sembra esserci una correlazione tra calcio e società a queste latitudini: proprio negli anni in cui Antunes ha iniziato a raccogliere i primi risultati (leggendario lo 0-0 strappato al Portogallo in prossimità dei Mondiali di Sudafrica) il turismo ha conosciuto una forte impennata (+27,4%) in questo scorcio di Africa dove la corruzione è ai minimi. Tony Araujo, agente Fifa originario di Capo Verde, ha assicurato in un’intervista di quattro anni fa che il suo Paese «sebbene sia piccolo economicamente e geograficamente ha una nazionale che sta venendo su con un altissimo potenziale». Di più: se amministrata e finanziata adeguatamente, magari attraverso grandi investitori privati o colossi dell’abbigliamento sportivo, «Capo Verde può diventare nel calcio quello che la Repubblica Dominicana rappresenta nel baseball», con i settori giovanili come priorità assoluta. Le autorità locali hanno effettivamente potuto beneficiare del sostegno e della collaborazione della Fifa - ma secondo Araujo pure Caf e Uefa hanno sganciato qualche migliaio di euro -, e così nella capitale Praia sono sorti nuovi impianti sportivi e scuole calcistiche come l’Epif portano avanti il progetto di ricerca e scoperta dei prospetti più interessanti. Un alacre lavoro collettivo che ha avuto pieno riscontro sul rettangolo verde, con due qualificazioni consecutive alla Coppa d’Africa e una ai Mondiali sfumata tra dabbenaggine e polemiche. Ecco perché è lecito immaginare di rivedere i Tubarões Azuis tra le prime otto potenze calcistiche dell’Africa. Certo, rispetto a un paio di anni fa sono venuti meno l’effetto sorpresa e l’imprevedibilità. E mancherà un pizzico del carisma del vecchio capitano Fernando Neves, ritiratosi dalla nazionale dopo l’eliminazione ai quarti, e dell’ex ct Antunes, l’uomo che aveva lasciato dopo 20 anni di onorato
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servizio l’impiego di addetto alla torre di controllo dell’aeroporto di Sal per lavorare a tempo pieno come commissario tecnico seguendo i dettami dell’amico José Mourinho. Però il gruppo storico
non è stato smembrato. E Águas è tutto fuorché un novellino. È ancora presto per far placare l’uragano capoverdiano.
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RD CONGO di Andrea Bracco LE QUALIFICAZIONI
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ontrariamente ad una grossa fetta di nazionali, la Repubblica Democratica del Congo (o – per i nostalgici – lo Zaire) è entrata in gioco direttamente alla fase a gironi per giocarsi la qualificazione alla Coppa d’Africa. Una fortuna, penseranno in molti. E invece no. Perché la squadra allenata da Florent Ibengé si è trovata catapultata in un girone di ferro, completato dalle presenze di Camerun, Costa d’Avorio e Sierra Leone. Così la strada è subito apparsa in salita, mentre l’obbiettivo dichiarato non poteva che essere uno: centrare il terzo posto con il maggior punteggio possibile, di modo da staccare il pass per la Guinea Equatoriale a discapito delle altre terze classificate. Missione compiuta: 9 punti fatti, sei dei quali in trasferta, a fronte di altrettante sconfitte e nessun pareggio. Dopo lo sfortunato esordio casalingo (0-2 dal Camerun), i “Leopardi” sono andati a vincere 2-0 a Freetown, in Sierra Leone. Il mese dopo però è stata la Costa d’Avorio a violare Kinshasa, costringendo il Congo ad un’impresa esterna firmata un mese dopo ad Abidjan in un 4-3 maturato nel finale grazie ad un gol di Bokila. Dopo un’altra sconfitta, in Camerun, è arrivato il 3-1 sull’ormai eliminata Sierra Leone nella passerella finale davanti ai propri tifosi. Poche ore dopo l’ufficialità: la RD del Congo è la miglior terza e torna a giocarsi da protagonista una Coppa d’Africa dopo l’edizione del 2006, ultima apparizione prima di due qualificazioni sfumate ai playoff (2008 e 2010). IL MISTER Dal 2008 in poi la federazione congolese ha cercato di imprimere un’identità francese sulla rappresentativa nazionale, passando da Patrice Neveu a Robert Nouzaret, fino ad ingaggiare il “santone” Claude Le Roy (oggi trasferitosi nell’altro Congo, a Brazzaville). Nessuno di loro ha però centrato gli
obbiettivi minimi, tanto che anche un mostro sacro come Le Roy è durato poco meno di due anni alla guida dei “Leopardi”. Dopo un breve interregno è stato scelto Florent Ibengé, CT che in patria ha maturato esperienza in vari settori giovanili prima di entrare a lavorare per la federazione e imparato alcune tecniche di lavoro proprio da Le Roy. Classe 1958, da calciatore ha militato in vari club locali prima di lasciare relativamente presto a causa di un infortunio. Come il suo mentore francese, Ibengé gioca prevalentemente con il 4-3-3, modulo utilizzato per le sei gare di qualificazione a Guinea Equatoriale 2015. LA SQUADRA Spirito offensivo, in perfetto stile africano. La formula è semplice: unire lo scheletro del Mazembe, miglior club locale, all’esperienza di alcuni interpreti che militano in Europa. Tra i pali troviamo l’estroso numero uno proprio del TP, Robert Muteba Kidiaba, un felino con due treccine che spiccano sulla testa rasata, famoso per le sue particolari esultanze. Affidabile la coppia di centrali difensivi, dove spicca la personalità di Cedric Mongongu, in forza al Reims, accompagnata dalla velocità di Joel Kimwaki (Mazembe). Sulla destra spazio a Mpeko Issama, mentre il versante mancino ospita le scorribande di Kilitcho Kasusula; il primo, tesserato per il Vita, con propensione prettamente difensiva, al contrario di Kasusula, più portato ad offendere. A dirigere le operazioni in mezzo al campo troviamo Cedric Makiadi, 30 anni mediano del Werder Brema, affiancato dai due “scudieri” Youssuf Mulumbu (WBA) e Cedric Mabwati. L’esterno del Crystal Palace, Yannick Bolasie, opera invece da punta centrale svariando molto senza dare punti di riferimento e invertendosi spesso con le due ali, Jeremy Bokila e Junior Kabananga. Interessanti anche alcune alternative a disposizio-
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ne di Ibengé, che per la difesa può contare sull’esperienza del centrale Miala Nkulukutu e sulla freschezza di Chacel Mbemba, talento classe 1994 dell’Anderlecht. In mezzo potrebbe trovare spazio un altro giocatore di grandi trascorsi, Zola Matumona, mezz’ala che sa disimpegnarsi su entrambi i versanti del campo, mentre in avanti la prima alternativa sarà Tresor Mputu, ex ragazzo prodigio del calcio congolese, mai veramente sbocciato. Occhio a Glenn Litte, altra punta dall’avvenire interessante: non ha mai esordito, ma nonostante i 19 anni potrebbe far parte attiva della spedizione in Guinea Equatoriale. LE STELLE Una per reparto. Cedric Mongongu avrà il compito di guidare la difesa in un girone dove fronteggerà attacchi pericolosi. In tal senso sarà importante mettere in campo tutte le malizie imparate nella lunga militanza in Europa, dove era stato scoperto dal Monaco prima di essere (frettolosamente?) scaricato. Mulumbu è invece il profilo di spicco in mediana. Questo centrocampista ha tutto: dal tiro all’intelligenza tattica, abbinati ad un fisico da corazziere che comunque non basta mai. Nel West Brom è uno dei titolari inamovibili e non solo, visto che è anche uno degli idolo del “The Hawthorns”.
Davanti trova grande spazio Yannick Bolasie, uno che in Premier League ha tenuto spesso a galla da solo il Crystal Palace con i suoi gol, ma che è anche diventato famoso per alcune “skills” (tradotto: abilità nel dribbling e con il pallone tra i piedi) mostrate in campionato. Ibengé lo utilizza come centravanti di movimento, e non potrebbe essere altrimenti dato il fisico leggero e brevilineo. LE PROSPETTIVE Obbiettivo: passare il turno. Per farlo bisognerà mettersi dietro due squadre tra Tunisia, Zambia e Capo Verde. Missione più facile a dirsi che a farsi per una compagine che non ha mai festeggiato una vittoria in questa competizione, non andando oltre ad un terzo posto conquistato nel 1998 in Burkina Faso. Ibengé però è stato chiaro, dichiarando – subito dopo l’ufficialità della qualificazione – che “arrivare alla Coppa d’Africa dopo aver superato un girone così difficile dev’essere per noi uno stimolo per provare a vincere”. Se sia oggettivamente possibile un successo è troppo presto per dirlo. Che però la Repubblica Democratica del Congo possa essere annoverata tra le “mine vaganti” è automatico. E se la condizione fisica regge, allora sì, che le soddisfazioni potrebbero arrivare.
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LE SQUADRE GRUPPO C
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GHANA di Damiano Benzoni LE QUALIFICAZIONI
T
elenovela Black Stars: dopo la semifinale mondiale negata dalla mano di Suárez nel 2010 la nazionale ghanese si è imposta alle cronache più per le proprie beghe interne che per i risultati sportivi ottenuti. Cambi di allenatore, sospensioni per indisciplina, proteste per il mancato pagamento dei bonus e perfino un caso di omicidio hanno messo in ombra due terzi posti in Coppa d’Africa, sintomo comunque di una squadra scostante, poco coesa e troppo ostaggio dei capricci individuali delle sue star per arrivare fino in fondo. Dopo Milovan Rajevac, artefice dell’ottima campagna di Coppa del Mondo del 2010, si sono succeduti sulla panchina delle Black Stars Goran Stevanović e James Kwesi Appiah, il primo ghanese a guidare la sua nazionale a una Coppa del Mondo. Un torneo iniziato male, con un gol subito dallo statunitense Dempsey dopo appena trenta secondi, e proseguito – nonostante un appassionante pareggio con la Germania – decisamente peggio: prima dell’incontro con il Portogallo (perso 2-1 e decisivo per l’eliminazione) i giocatori minacciano di boicottare la partita, costringendo il governo a inviare un charter con tre milioni di dollari di bonus in contanti. Prima dell’incontro con i lusitani si consuma anche l’allontanamento di due delle stelle Sulley Muntari e Kevin-Prince Boateng, colpevoli rispettivamente di aver insultato il CT e aver attaccato fisicamente un membro del comitato esecutivo della federcalcio. Abbastanza per spingere il presidente della Repubblica John Mahama a ordinare un’inchiesta sulla performance della squadra e a far traballare la posizione di Kwesi Appiah.
A settembre 2014 il terremoto: la federcalcio ghanese decide di affiancare a Kwesi Appiah un consulente tecnico, richiamando l’ex CT Milovan Rajevac. Nel frattempo il Ghana inizia la sua campagna di
qualificazione con passo zoppicante, concedendo un pareggio in casa propria alla cenerentola Uganda e vincendo a fatica contro il Togo di Adebayor. Appiah e la federcalcio ghanese decidono di troncare consensualmente il proprio rapporto e la nazionale viene affidata ad interim al quarantunenne Maxwell Konadu, già bronzo olimpico a Barcellona 1992, il tutto mentre sul capitano Asamoah Gyan scoppia la tempesta: “Baby Jet” viene accusato di aver ucciso in un omicidio rituale il suo amico e rapper Castro The Destroyer. Sotto la guida di Konadu il Ghana si risolleva, portando a casa quattro punti nei due scontri contro i rivali diretti della Guinea Conakry (battuta in casa 3-1) e superando il Togo 3-1 nella gara decisiva: il Ghana passa come prima del girone, con un punto in più rispetto alla Guinea, nonostante una precedente sconfitta fuori casa contro l’Uganda avesse tenuto aperta la pratica qualificazione fino all’ultima giornata. IL MISTER A guidare un Ghana in cerca di redenzione alla Coppa d’Africa non sarà però Konadu: una settimana dopo la qualificazione la federcalcio ghanese ha infatti nominato l’israeliano Avram Grant come CT della squadra con un contratto di 27 mesi, fino alla Coppa d’Africa 2017, che il Ghana è candidato a ospitare. “Avi” Grant, classe 1955, si è imposto all’attenzione del mondo guidando per quattro anni la nazionale israeliana, portata a un passo dalla qualificazione alla Coppa del Mondo del 2006. Approdato a Stamford Bridge come Director of Football, prende il posto di José Mourinho alla guida del Chelsea dopo l’esonero del portoghese nel 2007, portando i Blues per la prima volta a una finale di Champions League, persa ai rigori contro il Manchester United. Con il contratto terminato tre giorni dopo la finale, Grant si siede sulle panchine di Portsmouth e West Ham prima di portare il Partizan Belgrado alla vittoria del campionato serbo. L’ultima posizione lavorativa di Grant è stata però in Tailandia, come direttore tecnico del BEC Tero Sasana.
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“Crediamo che la sua qualità saprà cambiare le cose per noi – ha dichiarato il presidente della federcalcio ghanese Kwesi Nyantekyie a BBC Sport – è un motivatore e un organizzatore, e abbiamo bisogno di qualcuno con una certa statura ed esperienza che possa gestire gli ego dei nostri giocatori e le loro aspettative, oltre a quelle dei ghanesi in generale”. Nyantekyie ha detto di non aspettarsi che Grant, con un solo mese di preparativi, possa vincere la Coppa, ma ha sottolineato che si aspetta buone prestazioni, sulla base delle quali verrà giudicato. LA SQUADRA Grant ha promesso un gioco offensivo e, pur dichiarandosi intenzionato a reintegrare in squadra i “figlioli prodighi” Muntari, Boateng ed Essien, nessuno dei tre è stato inserito nella lista di pre-convocati al torneo. Non sarà della partita nemmeno il portiere Adam Larsen Kwarasey, appena approdato in Major League Soccer ai Portland Timbers e che poteva sperare in una convocazione in quanto i suoi principali concorrenti, Fatau Dauda (ex Orlando Pirates) e Stephen Adams, giocano entrambi nel poco quotato campionato domestico e non hanno convinto pienamente durante il percorso di qualificazione. Non è chiaro quale sarà il titolare di Grant alla Coppa d’Africa, o se Brimah Razak del Mirandés (in Segunda División spagnola) riuscirà a strappare il posto a uno dei due dopo aver vestito la numero uno ghanese durante le qualificazioni. Come l’assegnazione della maglia numero 1, il Ghana di Avram Grant resta una grande incognita: l’israeliano, che ha già chiamato tra i suoi collaboratori Marcel Desailly e Stephen Appiah, potrebbe recuperare il 4-2-3-1 sfruttato dal Ghana durante le partite di qualificazione e imperniato sulla punta centrale Asamoah Gyan, punta centrale della squadra e miglior realizzatore ghanese durante le qualificazioni con tre centri. L’ex Udinese e Sunderland, ora in forza all’al-Ain negli Emirati Arabi Uniti, venne letteralmente resuscitato dall’ex CT Kwesi Appiah: nel 2012 Gyan si era ritirato dopo aver fallito due rigori decisivi (nel quarto di finale di Coppa del Mondo 2010 contro l’Uruguay e nella semifinale di Coppa d’Africa 2012 contro lo Zambia). Al suo ritorno in squadra Kwesi Appiah ridiede fiducia al giocatore, affidandogli la fascia di capitano e rendendolo un tassello fondamentale della squadra. La fascia dei trequartisti dovrebbe essere domi-
nio familiare degli Ayew: Jordan (Lorient) e André (Olympique Marsiglia) sono figli del leggendario Abédi Pelé, che tra gli anni ’80 e ’90 vestì le maglie di Olympique Marsiglia, Lille, Lione, Torino e Monaco 1860. Una famiglia, quella degli Ayew, che annovera anche altri sportivi: gli zii Kwame e Sola rappresentarono entrambi il Ghana a livello internazionale (Kwame Ayew vincendo il bronzo olimpico a Barcellona e vestendo anche la maglia del Lecce), mentre il fratello Ibrahim, in forza all’Asante Kotoko, ha già esordito in nazionale maggiore. A completare la linea potrebbe essere, sulla destra, Christian Atsu (Everton), con i possibili inserimenti di Solomon Asante (TP Mazembe) e Majeed Waris (Trabzonspor). In mediana si contano le assenze più pesanti: KevinPrince Boateng e Kwadwo Asamoah (recentemente inserito nell’undici ideale della serie A per il 2014) sono fuori gioco per infortuni, Michael Essien e Sulley Muntari non sono stati per il momento reintegrati in squadra. Sembra più probabile che Avram Grant debba fare affidamento su un incontrista come Emmanuel Agyemang-Badu dell’Udinese e su Mohammed Rabiu del Kuban Krasnodar, giocatore formato nelle giovanili di Sampdoria e Udinese. Tra le riserve è possibile che siano presenti due giocatori impegnati nel campionato italiano: Alfred Duncan (Sampdoria) e Afriye Acquah (Parma). La difesa a quattro del Ghana ha la sua coppia fissa in Jonathan Mensah (Evian) e John Boye (Kayserispor): se quest’ultimo però non dovesse recuperare pienamente il suo infortunio, il back-up potrebbe essere fornito da Mohammed Awal del Maritzburg United, in assenza di Jerry Akaminko. Incognita per i terzini: con Asamoah, spesso utilizzato a sinistra, fuori per infortunio è probabile l’utilizzo sulla sua fascia di Abdul Rahman Baba dell’Augsburg o di Jeff Schlupp del Leicester City, mentre Harrison Afful dell’Espérance di Tunisi e Samuel Inkoom degli Houston Dynamo dovrebbero giocarsi la fascia destra. LE PROSPETTIVE Difficile pronosticare il percorso di questo Ghana in Coppa d’Africa: da una parte l’arrivo di aria nuova e di un motivatore come Avram Grant potrebbe dare un po’ di benzina alla squadra per tentare di passare il primo turno, dall’altra si presenta una squadra più debole rispetto al Ghana che aveva provato a imporsi sullo scenario internazionale negli scorsi
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anni, con diversi problemi da risolvere (portiere, mediana) e diverse assenze pesanti (Asamoah, Essien, Muntari e Boateng). Il tutto in un girone durissimo, in cui il Ghana dovrà affrontare un’Algeria che, nonostante il cambio di panchina, ha man-
tenuto la buona forma dimostrata in Coppa del Mondo, e un Sud Africa capace di qualificarsi senza perdere nemmeno un incontro. Insomma, il rischio di non passare nemmeno il primo turno non è mai stato così alto.
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ALGERIA di Matteo Maggio
con una nazionale inserita inevitabilmente tra le protagoniste.
LE QUALIFICAZIONI
S
ulla scia dell’ottimo mondiale brasiliano appena disputato, l’Algeria era chiamata ad ottenere la qualificazione alla Coppa d’Africa. Un risultato praticamente obbligato visto anche il girone non impossibile che la vedeva opposta a Mali, Etiopia e Malawi. Nessun problema per le Volpi del deserto che già dopo quattro partite avevano staccato il biglietto per la Guinea Equatoriale via Marocco. Nella prima partita disputata lo scorso 6 settembre ad Addis Abeba, Brahimi e compagni hanno avuto la meglio di un’Etiopia (2-1) certamente più debole ma che ben si è difesa subendo il secondo gol solamente nei minuti finali. Per battere il Mali nella successiva partita è servita una delle scorribande offensive di Medjani che al minuto 83 ha regalato la testa del girone ai suoi. Il doppio impegno col Malawi è una semplice formalità, di fatti l’Algeria vince prima 2-0 a Blantyre e successivamente 3-0 all’Estade Tchaker di Blida, sede delle tre partite interne e vero e proprio talismano della nazionale maghrebina. Un altro 2-1 all’Etiopia e l’inutile sconfitta contro il Mali (0-2) completano un girone stradominato, dove sono andati a segno ben 8 giocatori diversi. IL MISTER Via Halilodzic che ha preferito la panchina del Trabzonspor dopo il mondiale, la federazione ha voluto puntare su un allenatore che mai aveva fatto il Commissario Tecnico. L’ingaggio di Christian Gourcuff è stato accolto con interesse dal popolo calcistico algerino, curioso di vedere come uno del suo calibro possa far bene
Gourcuff è reduce da 12 anni passati alla guida del Lorient, di cui è diventato vero e proprio simbolo prima da giocatore (centrocampista) e poi da allenatore con cui ha scalato le varie gerarchie del calcio francese portando la squadra fino all’attuale massima divisione. Il sodalizio tra Gourcuff ed il Lorient è iniziato nel lontano 1982 quando all’età di 27 anni è diventato allenatore-giocatore rimanendo in nero-arancio per 5 stagioni. Prima della Bretagna e dell’Algeria, le esperienze da allenatore lo avevano portato al Rennes e per altre due volte al Lorient con una parentesi all’Al Gharrafa in Qatar. LA SQUADRA Non è nient’altro che il naturale proseguio del gruppo visto al mondiale. Difesa rigorosamente a 4 con predilezione per il 4-2-3-1 che in fase difensiva diventa 4-5-1 o 4-4-2. In porta Rais M’Bolhi che dopo l’esperienza bulgara è sbarcato nella MLS per difendere i pali del Philadelphia Union; sempre molto sicuro tra i pali è lui il titolare anche per Gourcouff che ha impiegato anche Mohamed Lamine Zemmamouche nella vittoriosa partita contro l’Etiopia. Nell’ultima gara contro il Mali ha addirittura trovato spazio il terzo portiere Azzedine Doukha. Zemmamouche e Doukha sono gli unici elementi della rosa che militano in patria. La coppia centrale vede titolare fisso Carl Medjani che arretra la propria posizione rispetto alla spedizione brasiliana; passato in estate al Trabzonspor sta facendo vedere ottime cose nella Superlig turca. Al suo fianco ci sarà Rafik Halliche che garantirà presenza e forza fisica; non sarà nel gruppo Essaid Belkalem causa infortunio dell’ultimo momento. Gourcuff dovrà quindi rinunciare alla coppia della squadra di Trebisonda Belkalem-Medjani.
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Sulle corsie pochi dubbi sulla destra dove Aissa Mandi è instancabile polmone che fornisce spinta e copertura. In forza al Reims da diverse stagioni, si sta ritagliando da un paio d’anni a questa parte un ruolo importante nello scacchiere della formazione transalpina; ed in caso di esperienza positiva in Coppa d’Africa non è esclusa la chiamata di qualche grande club. Sulla sinistra il ballottaggio è il solito: Mesbah o Ghoulam, con il difensore attualmente in forza alla Sampdoria in lieve vantaggio visto l’impiego più frequente nella squadra di club. Le alternative saranno l’esperto Madjid Bougherra, sempre utile alla causa algerina ed il giovane classe 1992 Mehdi Zeffane, terzino destro del Lione su cui Gourcuff punta in caso sia indisponibile Mandi. In mezzo al campo sempre presente Mehdi Lacen, vero faro davanti alla difesa ed in grado, per primo, di impostare l’azione, cosa che gli riesce egregiamente nel Getafe. Al suo fianco Saphir Taider o Nabil Bentaleb, entrambi giovani e con grande voglia di dimostrare hanno saputo dare la giusta copertura ogni volta che sono stati chiamati in causa. Qualche dubbio in più qua c’è: Taider è più esperto ma Bentaleb gioca nel Tottenham, squadra abituata ai palcoscenici internazionali. Figura tra i convocati Adlene Liassine Cadamuro (una sola presenza nella sconfitta contro il Mali). La sorpresa doveva essere il classe 1992 Mehdi Abeid approdato quest’estate al Newcastle (7 presenze in tutte le competizioni) che l’ha prelevato dopo l’ottima stagione al Panathinaikos dove era considerato titolare inamovibile e vero filtro del centrocampo bianco-verde; purtroppo anche lui è stato colpito da infortunio poco prima di partire per la Guinea Equatoriale. Gourcouff ha optato per Ahmed Kashi, attualmente in forza ai francesi del Metz; cosa assai curiosa visto che il 26enne non ha mai vestito la maglia delle Volpi. I trequartisti sono pressoché sempre i soliti tre: sulla destra agisce Soufiane Feghouli, punto fermo del Valencia ed ormai anche della nazionale alla quale regala qualità e quantità. In mezzo non può che esserci Yacine Brahimi, fresco vincitore del premio come miglior africano dell’anno secondo la BBC e vero fulcro del gioco del Porto con cui ha fatto un enorme salto di qualità dopo l’esperienza col Granada. A sinistra (dove alla bisogna può agire anche Brahimi) troviamo Riyad Mahrez, già protagonista al mondiale approdato in Premier League nel gennaio scorso e dove sta ottenendo meno di quello che sta seminando con la maglia del Leice-
ster. Naturale riserva è Abdelmoumene Djabou, autore del gol alla Germania, abile a disimpegnarsi sulle corsie esterne; mentre al centro Foued Kadir, con le dovute proporzioni, può essere considerato la riserva di Brahimi. E forse la vera carenza dell’Algeria sta proprio nel non avere un degno sostituto di quest’ultimo, ma mai dire mai visto che Kadir, nel Betis Siviglia, sta trovando la giusta continuità dopo aver fatto la riserva al Marsiglia. Islam Slimani è colui che avrà il compito di finalizzare le azioni. Scoperto dallo Sporting Lisbona nello sconosciuto CR Belouizdad, è uomo che garantisce grinta e potenza nonché sponde per i compagni. El Arbi Soudani in prima battuta (o compagno d’attacco in caso di utilizzo delle due punte) e l’oggetto misterioso Ishak Belfodil saranno chiamati in causa nel caso di indisponibilità di Slimani. Soudani sta attraversando un buon momento nella Dinamo Zagabria, dove per merito suo ed assenza di difese all’altezza ha già messo a segno una decina di gol. Continua invece il momento di poca brillantezza di Belfodil che ha sì raccolto 11 presenze nel Parma, ma quasi tutte da subentrato, per di più senza aver realizzato ancora alcun gol. In tal senso suona abbastanza strana l’esclusione di Baghdad Bounedjah che milita in Tunisia (campionato di minor impatto rispetto a quello italiano) ed autore di 7 gol in 9 partite nel campionato in corso. LE STELLE Pochi dubbi su chi avrà il compito di trascinare avanti le Volpi verso l’atto finale. Ci si aspetta ovviamente molto da Yacine Brahimi, impiegato quasi per caso al mondiale e diventato il riferimento di tutta la squadra. Dotato di una grande corsa è abile in fase di proposizione quanto in copertura essendo in grado di ricoprire anche il ruolo di centrocampista centrale. In estate è arrivata la chiamata del Porto che ha versato nelle casse del Granada 6,5 milioni di euro finora ottimamente spesi; Lopetegui ne ha fatto l’uomo di punta della trequarti dei Dragoni biancoblu e lui ha ripagato con prestazioni di alta qualità ed assist degni del miglior rifinitore. Gourcuff lo responsabilizzerà molto e sembra che la cosa non gli pesi. Anzi, per avere 24 anni, ha già
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messo in mostra caratteristiche da vero trascinatore. Islam Slimani è per forza di cose la “stella numero 2”, suo il gol che ha portato alla storica qualificazione agli ottavi di finale brasiliani. Dotato di grande fisico (188 cm) ha tutte le potenzialità per spaccare le difese avversarie; velocità e stacco aereo sono le specialità della casa a cui abbina un notevole sacrificio in fase di copertura e proprio per questo è molto apprezzato da tutti i tecnici che ha avuto finora in carriera. Menzione speciale anche per l’estremo difensore Rais M’Bolhi sbocciato come nota lieta al mondiale brasiliano e capace di dare sicurezza ad un solido reparto arretrato. Dotato di gran coraggio ha nelle uscite basse la sua qualità migliore e risulta strano come nessun club europeo abbia deciso di puntare sulle sue prestazioni. LE PROSPETTIVE Inserita nel classico girone di ferro, la nazionale di Gourcuff non ha scusanti: deve accedere ai quarti di finale ed arrivare a conquistare il titolo. Impresa
non semplice vista la presenza di Ghana, Sudafrica e Senegal, tre nazionali anch’esse chiamate a superare il girone. Il mondiale brasiliano ha sicuramente dato maturità e certezze ad un gruppo che ormai è insieme da tempo e che trova, in qualche elemento, la necessaria esperienza internazionale. Certamente sarà un cammino tortuoso quello delle Volpi che nelle prime due gare dovranno affrontare Sudafrica e Ghana in una sorta di doppio spareggio per la qualificazione (il Senegal forse parte un po’ dietro a tutte). Per momento storico l’Algeria è sicuramente la favorita di questo gruppo dove il Sudafrica sta andando incontro ad un naturale cambio generazionale ed il Ghana è chiamato alla prova del nove dopo il deludente mondiale. Unico punto a sfavore de les Verts sembra essere la pressione di dover far bene a tutti i costi, ma la crescita esponenziale del sistema e l’attaccamento alle proprie origini è sicuramente un valore aggiunto per poter riconquistare un titolo che manca dal 1990.
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SUD AFRICA di Alessandro Mastroluca LE QUALIFICAZIONI
I
l Sudafrica non superava un torneo di qualificazione per un torneo internazionale dalla Coppa d’Africa 2008. Inserita nel girone A insieme a Congo, Sudan e Nigeria, ha di fatto eliminato le Aquile con il 2-2 all’ultima giornata. Un percorso segnato dai quattro gol di Tokelo Rantie, autore della doppietta in Nigeria e capocannoniere dei Bafana Bafana, e da Andile Jali, leader del centrocampo che nella sfida d’andata ha messo in ombra perfino Obi Mikel. Un percorso segnato soprattutto dalla tragica morte del portiere Senzo Meyiwa, capitano della nazionale e degli Orlando Pirates, che non ha concesso gol nelle prime quattro partite del girone. È morto in casa di un amico a Vosloorus, vicino Johannesburg, a 27 anni, ucciso per proteggere la sua ragazza, la cantante Kelly Khumalo, da due rapinatori armati. IL MISTER Per l’obiettivo qualificazione la Federazione ha richiamato in panchina il sessantatreenne Ephraim Mashaba, uno dei diciassette commissari tecnici della nazionale dal 1992, uno dei cinque tornati più di una volta. “Shakes”, questo il suo soprannome, ha guidato i Bafana già dall’agosto 2002 al novembre 2003. La prima esperienza è finita per la decisione di non chiamare le stelle che giocavano in Europa, come Benni McCarthy o Quinton Fortune, per la Coppa d’Africa 2004. Preferito stavolta a Carlos Queiroz, CT dell’Iran ai Mondiali, al nigeriano Stephen Keshi e al tandem olandese Frank Rijkaard-Dick Advocaat, ha la miglior percentuale di vittorie tra tutti gli allenatori nella storia dei Bafana: 16 vittorie in 26 partite e sole due sconfitte, contro Egitto e Tunisia nel 2004. Mashaba ha iniziato con l’under 20 nel 1997 portandola alle finali dei campionati africani giovanili, ai Mondiali di categoria e alle Olimpiadi di Sydney. La prima parentesi
in nazionale maggiore si apre con il primo trionfo sudafricano in COSAFA Cup, una competizione annuale fra le nazionali dell’Africa meridionale. Allena la nazionale delle Swaziland tra il maggio 2008 e il giugno 2010, e due anni dopo torna al calcio giovanile. Prima di tornare alla nazionale maggiore, guida l’under 20 sudafricana alla vittoria nella COSAFA Youth Championship in Kenya. LA SQUADRA Nel suo 4-4-2 di partenza, in porta il titolare dovrebbe essere Darren Keet, partito dal primo minuto nelle ultime due partite di qualificazione dopo la morte di Meyiwa. Keet è uno dei punti di forza del KV Kortrijk, che anche grazie alla sua serie di quattro partite consecutive senza subire gol rimane in zona Europa League. Non a caso Filip De Wilde, portiere della nazionale belga per 11 anni, lo considera insieme a Silvio Proto e Matthew Ryan uno dei tre migliori numeri 1 attualmente nella Jupiler League. La difesa, è il caso di dirlo, poggia sulla “Torre”: Eric Mathoho, pilastro dei Kaizer Chiefs, sempre presente nel percorso di qualificazione in Coppa d’Africa. “È forte nel gioco aereo, ha senso dell’anticipo e della posizione, e poi è incredibilmente veloce per un giocatore della sua altezza” ha detto Clinton Larsen, assistente al Bloemfontein Celtic dove ha iniziato la carriera da professionista. A destra, nelle qualificazioni ha stabilmente giocato Anele Ngcongca, che ha iniziato la carriera da centrocampista offensivo. È Wenger che gli cambia posizione nell’estate del 2007 durante un periodo di prova all’Arsenal, spiegando: “È un giocatore aggressivo, con buone qualità, e giocando da terzino può vedere tutto lo sviluppo del gioco”. Possono trovare spazio anche Bongani Khumalo, tornato al Tottenham dopo i prestiti al PAOK e al Doncaster Rovers, l’omonimo Sibusiso Khumalo e Thulani Hlatshwayo: con lui in campo, nelle qualificazioni il Sudafrica non ha mai perso gol. Soprannominato “Tyson”,
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ha forgiato sul campo quel carattere e quella determinazione che ne fanno in prospettiva uno dei pezzi pregiati della nazionale. Pilastro per cinque anni dell’Ajax Cape Town, nato e cresciuto a Soweto, ha lasciato casa e famiglia a 16 anni. Nel 2012 ha perso tre denti in uno scontro con Aidan Jenniker, che era stato suo compagno di squadra all’Ajax di Città del Capo. “Ha messo alla prova il mio carattere, ho imparato chi sono. Non sai quanto forte sei finché essere forte non diventa la tua sola opzione. Il giorno dopo quando mi sono svegliato e ho visto la mia faccia non credevo di essere io”. Nelle qualificazioni, Mashaba ha schierato contro il Congo anche Rivaldo Coetzee, diventato a 17 anni e 362 giorni il più giovane di sempre a debuttare con la maglia dei Bafana Bafana. “Nonostante fosse la sua prima volta, ha difeso in maniera eccellente, ci siamo trovati molto bene” ha commentato Mathoho. Il centrocampo, il miglior reparto della squadra, gira intorno a Dean Furman, scelto come nuovo capitano dopo l’uccisione di Meyiwa. Cresciuto nelle giovanili del Chelsea, passato ai Rangers che ha guidato alla conquista della Youth Scottish Cup in finale contro il Celtic Glasgow, ora si ritrova nella League One inglese, al Doncaster. E molti in Sudafrica si chiedono perché non sia arrivato più in alto. “Perché in Inghilterra ce ne sono parecchi di giocatori come lui” ha spiegato il suo agente Matt Kleinman, “la concorrenza è più forte. Dean è uno di quei centrocampisti combattivi che recuperano palla in modo semplice e efficace. È sempre molto critico verso se stesso, ma la continuità è per me il suo tratto migliore. Ho sempre detto, da quando ha 15 anni, che ha una capacità incredibile di adattarsi al livello di gioco che la partita richiede. È un camaleonte, e lo si è visto l’anno scorso: è stato straordinario nell’amichevole vinta contro la Spagna”. Mashaba può contare anche su uno dei migliori centrocampisti offensivi dell’Eredivisie, Thulani Serero, il sudafricano con la più lunga permanenza all’Ajax dopo una leggenda come Steven Pienaar. In Olanda ha passato una più che dimenticabile prima stagione, frenato dagli infortuni e chiuso da Christian Eriksen, ceduto a fine anno al Tottenham. Ma nel 2012-2013 gioca 40 partite e segna un gol memorabile in Champions League, la rete che apre le marcature nel 2-1 al Barcellona. A settembre 2013, litiga con l’allora CT della nazionale, Gordon
Igesund, che lo accusa di aver abbandonato il ritiro prima di un match col Botswana per le qualificazioni della Coppa d’Africa per non rischiare di farsi male in vista di un incontro di Champions League. Lui ha negato, sostenendo di essersi davvero infortunato, ma solo con Mashaba ha avuto una seconda chance in nazionale. E ha ripagato la fiducia al meglio. Il 15 novembre ha segnato il suo primo gol in nazionale: ha aperto le marcature nel 2-1 al Sudan, la vittoria che ha dato al Sudafrica la certezza della qualificazione per la Coppa d’Africa con una giornata d’anticipo. E chissà se Mashaba cambierà idea su un altro sudafricano che sta emergendo ad altissimi livelli in Olanda, Kamohelo Mokotjo. Il CT l’ha definito “pigro e pesante” prima di un incontro di qualificazione, ma l’intelligenza calcistica, che già mostrava nel 2003 quando ha portato la nazionale a battere la Francia nella finale di Danone Nations Cup under 12, non gli mancano. Nell’estate del 2014 ha trascinato lo Zwolle alla prima qualificazione in Europa della sua storia e si è preso la soddisfazione di battere due volte l’Ajax di Serero, con un sonante 5-1 in finale di Coppa d’Olanda, e poi in Supercoppa, prima di passare al Twente. Il cammino di qualificazione ha messo in mostra anche le qualità di Andile Jali, da gennaio in forza all’Oostende, fulcro degli Orlando Pirates del “triplete” con Ruud Krol in panchina. In mezzo, Mashaba ha fatto spesso ricorso anche a Oupa “Ace” Manyisa degli Orlando Pirates e a Mandla Masango, che ha un diploma in General Management e ha attratto l’interesse del Rennes (ci sarà un osservatore dei bretoni in Guinea Equatoriale). L’abbondanza a centrocampo, però, fa da contraltare a scelte un po’ più ristrette in attacco. La prima scelta non può che essere Tokelo Rantie, che ha segnato 4 dei 9 gol dei Bafana Bafana nelle qualificazioni, e sta lottando per inseguire la promozione in Premier League con il Bournemouth dopo aver contribuito con sette gol allo scudetto del Malmö nel 2013. Ha avuto la fortuna di giocare negli Orlando Pirates con il suo idolo, Benni McCarthy, e ha dichiarato di voler far coppia un giorno con Mario Balotelli. Altre due reti in qualificazione, le sue prime con la maglia della nazionale, sono arrivate da Bongani Ndulula, che potrebbe essere la seconda punta titolare nel 4-4-2 di Mashaba, con Kermit Erasmus, tornato agli Orlando Pirates dopo una parentesi in Olanda, e l’esperto Benedict Vilakazi come possibili alternative.
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LE PROSPETTIVE Al di là delle parole di incoraggiamento e fiducia di Mashaba, la qualificazione sarà obiettivo arduo da raggiungere per i Bafana Bafana. Il girone C, infatti, con Algeria, Ghana e Senegal, è il più duro della manifestazione. Molto dipenderà dall’esito della prima partita, contro le Volpi del Deserto, “la squadra più problematica del gruppo” per Mashaba. Se-
negal e Ghana, poi, possono contare su giocatori che portano un bagaglio di esperienza internazionale decisamente più elevato. “Shakes” è un grande motivatore, è in grado di tirar fuori il meglio dai suoi giocatori, di farli sentire parte di un progetto importante. Ma lo spirito, con un potenziale tecnico, e soprattutto offensivo, inferiore alle rivali, potrebbe non bastare.
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SENEGAL
B
di Gabriele Anello
entornati, Leoni del Teranga. Questo è l’augurio migliore che si può fare al Senegal, che riabbraccia la fase finale della Coppa d’Africa dopo tre anni. Ne è passato di tempo dal 2002, quando gli africani sorpresero tutti al Mondiale nippo-coreano, battendo la Francia nella gara di apertura. Quella squadra arrivò a un passo dalle semifinali: nei quarti di finale contro la Turchia, solo un gol di Ilhan Mansiz nei supplementari la eliminò. Di quella generazione d’oro non è rimasto più nessuno in squadra. Anzi, a 12 anni di distanza, non è più arrivata un’altra partecipazione al Mondiale. Si sperava che Brasile 2014 fosse la volta buona, ma la Costa d’Avorio si è messa di traverso e il Senegal ha mancato di nuovo la vetrina più importante. Tuttavia la squadra allenata oggi da Alain Giresse può guardare a questa competizione con rinnovato vigore (nonostante un sorteggio infelice). LE QUALIFICAZIONI Il Senegal non è fortunato nei sorteggi. Come se non bastasse quello per la fase finale, anche l’urna delle qualificazioni non è stata benevola verso Dakar: Tunisia, Egitto e Botswana. Se quest’ultima era destinata a essere la squadra-materasso (un solo punto e un solo gol segnato), le altre due erano squadre che sarebbero potute tranquillamente essere da fase finale. Il Senegal se l’è giocata bene per il secondo posto: contro la Tunisia i Leoni del Teranga hanno pareggiato in casa e perso fuori con un gol al 90’, sancendo una sostanziale parità fra le due squadre. Contro il Botswana sono arrivato le due vittorie necessarie. La vera differenza si è vista contro l’Egitto, in piena crisi tecnica. A Dakar, nel settembre scorso, c’è stato un 2-0 secco, senza repliche e meritato. Al ritorno – gara molto più importante per le sorti del girone, perché i Faraoni avevano ancora qualche
speranza di passare – il Senegal ha sbancato il Cairo International Stadium già all’8’. La rete di Mame Biram Diouf è stata anche l’unica della contesta: quella gara ha chiuso qualunque discorso di qualificazione e il Senegal si è goduto il suo secondo posto nel gruppo G. IL MISTER Se questa è una squadra piena di talento offensivo, chi la allena non può che esser stato un grande giocatore d’attacco. Alain Giresse, classe ’52, è stato tre volte giocatore francese dell’anno e ha fatto parte di quella splendida Francia che vinse l’Europeo casalingo del 1984. Da allenatore ha avuto meno fortuna: colonna del Tolosa di fine anni ’90, ha deciso poi di girare l’Africa (con un intervallo in Georgia). Quattro anni in Gabon, due in Mali e infine l’arrivo in Senegal nel maggio 2013. Giresse ha già affrontato due ottime Coppe d’Africa da ct: con il Gabon è arrivato alla fase finale del 2010, con il Mali fino al terzo posto del 2012. Visti i fallimenti precedenti, sembra l’uomo giusto per rilanciare una squadra dall’immenso talento, ma che ha faticato molto a ottenere risultati durante questi ultimi anni. LA SQUADRA Bisogna partire da due presupposti fondamentali. Il primo: questa squadra è parzialmente figlia di quella che fece così bene alle Olimpiadi di Londra del 2012. Alcuni di quei giocatori sono nell’orbita della nazionale maggiore in questo momento (come Ciss, Touré, Kara, Kouyaté, Mané, Gueye e Badji). In quell’occasione, il Senegal U-23 eliminò l’Uruguay nel gruppo e giunse ai quarti di finale, dove il Messico ebbe la meglio sugli africani solo dopo i supplementari. Anzi, si può dire che quello fu l’ostacolo più difficile per El Tri nella conquista dell’oro olimpico. Il secondo: come già accennato, credo che poche squadre (se non nessuna) si pos-
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sono permettere un arsenale offensivo come quello dei Leoni del Teranga. Se volessimo fare un paragone, il Portogallo di inizio anni 2000 sembra abbastanza calzante: solo che il Senegal di centravanti non ne ha uno, ma tanti. La squadra dietro potrebbe ballare. In porta si sono alternati in tanti, ma è probabile che ci si affidi all’esperienza di Bouna Coundoul, 32enne con un passato in MLS, un presente in Cipro e già due Coppe d’Africa alle spalle. Il modulo durante le qualificazioni era un 4-4-2 classico. Dietro la linea dovrebbe esser composta dalla coppia di centrali con Serigne Kara (Genk) e Cheickh Kouyaté (West Ham). Entrambi sono piuttosto solidi, anche se il secondo gioca più a centrocampo al Boleyn Ground che non in difesa. Loro sembrano esser destinati a essere i due titolari, sempre che Lamina Sané (Hannover 96) non sia della partita. Accanto a loro sulle fasce dovrebbero esserci Pape Souaré (Lille) da una parte e uno tra Chiekh M’Bengue (Rennes) e l’atalantino Boukary Dramé dall’altra. A centrocampo, molto dipenderà dalla presenza o meno di Mohamed Diamé (West Ham), capitano della squadra. Stephane Badji, mediano poco noto del Brann, è invece presenza fissa nei titolari di Giresse: dà equilibrio alla squadra. Sulle fasce, ci si può sbizzarrire: è proprio da lì che comincia la miniera di talento offensivo che il Senegal si porta dietro. La preferenza dovrebbe essere per Sadio Mané (Southampton), che sta facendo bene al suo primo anno di Premier League, e il neo-conosciuto Diafra Sakho (ancora West Ham!), che è esploso negli ultimi tempi. Basta chiedere a diverse difese inglesi per capire come sta andando il suo campionato. Ma l’artiglieria pesante si trova davanti, dove il Senegal ha quattro centravanti tutti di ottimo livello. Nelle qualificazioni Giresse ha deciso di affidarsi alla coppia composta dal rinato Papiss Cissé (Newcastle) e Mame Biram Diouf (Stoke City). Un duo che può sembrare troppo scomposto, magari anche pesante: invece i due si son trovati bene durante le fasi di qualificazione. In panchina ci sarebbero anche Dame N’Doye (Lokomotiv Mosca) e Moussa Sow (Fenerbahce). Tuttavia il grande dubbio è: ci sarà Demba Ba? Tra-
sferitosi al Besiktas dal Chelsea di Mourinho per i troppi attaccanti comprati dai Blues, il numero 9 dei turchi sta facendo quello che vuole. In Champions quest’estate ha tentato di trascinare il club alla fase a gironi, ma era obiettivamente difficile. In Europa League si è fatto ricordare anche a Londra con un gol al Tottenham. Con una squadra più forte attorno, sarebbe iper-decisivo. Però ha saltato le ultime due gare di qualificazione. Viene da chiedersi se giocherà titolare o meno. LA STELLA Se cercate una stella, dovremmo puntare davanti, dove c’è un ben di Dio clamoroso. Ma la verità è che il ct Giresse è in ansia per un altro giocatore, il motore della mediana senegalese. Mohamed Diamé ha lasciato il West Ham quest’estate per andare all’Hull City: costo dell’operazione quattro milioni di euro. Al KC Stadium ha iniziato in maniera straordinaria la stagione: quattro gol, ma soprattutto una capacità di dominare la partita entusiasmante. Poi l’infortunio reiterato al ginocchio e il timore di non recuperarlo. Proprio questo è ciò che teme Giresse: non avere il suo capitano per la competizione continentale più importante. Senza Diamé, la rinascita del Senegal potrebbe non esser completa. LE PROSPETTIVE L’impressione è che il ritorno del Senegal alla Coppa d’Africa sia giunto nel momento sbagliato. Soprattutto col sorteggio sbagliato. I Lioni del Teranga sono stati inseriti in un gruppo che definire “di ferro” è probabilmente un complimento: Ghana, Sudafrica, Algeria. Quindi la squadra attualmente più forte a livello continentale, quella più in forma e quella che è uscita meglio dal Mondiale brasiliano di sei mesi fa. Onestamente, un sorteggio più duro non poteva capitare. Difficile che il Senegal possa passare un gruppo del genere. Negli ultimi anni, la squadra ha mancato la fase finale della Coppa d’Africa perché non riuscì a battere in uno spareggio andata-ritorno la Costa d’Avorio. Riuscire ad avere la meglio su almeno due squadre che sono a un buon livello, simile a quello degli Elefanti visto negli ultimi anni, sarà veramente dura. Tutto passa dalle prestazioni offensive della squadra: se non saranno all’altezza, la qualificazione sarà impossibile.
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LE SQUADRE GRUPPO D
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COSTA D’AVORIO di Giovanni Fasani LE QUALIFICAZIONI
I
l percorso che ha portato la Costa d’Avorio alla fase finale della Coppa d’Africa è stato a dir poco tormentato, con un esito finale che ha scatenato più di una polemica. Inserita nel girone D comprendente Camerun, Sierra Leone e Repubblica Democratica del Congo, la squadra ivoriana ha ingaggiato con quest’ultima un’acerrima lotta per il passaggio del turno, mentre il Camerun dominava il girone. Dopo la vittoria iniziale con la Sierra Leone arrivava una pesante sconfitta per 4-1 a Yaoundè, prontamente riscattata con la vittoria a Kinshasa che la metteva, teoricamente, al sicuro nell’economia degli scontri diretti. Ma fedeli allo loro sindrome di Penelope, solo 4 giorni dopo perdevano in casa proprio contro il Congo, in una pirotecnica partita terminata 3-4, con gol finale congolese arrivato all’88’. Nella penultima giornata arrivava la vittoria casalinga contro la Sierra Leone, contemporaneamente alla sconfitta del Congo in Camerun. Tale successo risultava fondamentale, in quanto permetteva a Tourè e compagni di poter pareggiare con la capolista camerunense. Si arriva quindi all’ultima giornata dove la vittoria della compagine congolese veniva vanificata dal pareggio a reti bianche tra Costa d’Avorio e Camerun, una sorta di “biscotto” per dirla all’italiana che qualifica come seconda proprio “gli elefanti”, dopo 90 minuti abulici e soprattutto dopo 3 minuti finali di passaggi corti nella propria metà campo. IL MISTER Hervè Renard non ha sicuramente bisogno di presentazioni nel continente africano, avendo guidato lo Zambia nella leggendaria vittoria della Coppa
d’Africa del 2012. In precedenza ha avuto anche un’esperienza sulla panchina dell’Angola, prima di tentare l’esperienza in club, allenando lo Sochaux nel 2013 a stagione in corso, dopo le dimissioni di Eric Hely. L’avventura termina con la retrocessione in seconda divisione della squadra francese e Renard decide di accettare l’offerta della Costa d’Avorio, arrivata dopo le dimissioni di Lamouchi al termine del Mondiale. LA SQUADRA Il sistema di gioco voluto dal commissario tecnico è un 4-2-1-3, che in base alle esigenza si può trasformare in un più canonico 4-4-2. In porta troviamo come titolare l’esperto Copa, portiere trentacinquenne del Lokeren con più di 80 presenze con la nazionale. Tuttavia nelle ultime due gare di qualificazione gli è stato preferito Sylavain Gbohouo, unico giocatore tra i convocati a giocare ne campionato ivoriano (Séwé Sports de San Pedro FC). Il reparto difensivo prevede quattro difensori in linea, con due centrali forti fisicamente e due esterni abili ad accompagnare la manovra. L’unico punto fermo ed inamovibile è Serge Aurier, uno dei migliori elementi della rosa ed in assoluto uno dei più positivi esterni destri del recente Mondiale. Proprio l’ottima impressione destata in Brasile gli è valsa l’opportunità di approdare al Paris Saint Germain. Come sua riserva può essere utilizzato Jean Daniel Akpa Akpro del Tolosa, più volte inserito a partita in corso nel corso delle ultime uscite ufficiali, anche in ruoli differenti da quello di laterale destro. Sulla fascia sinistra è in atto un ballottaggio tra Arthur Boka (Malaga) e Siaka Tiènè (Montpellier), con leggera preferenza per il secondo. Entrambi hanno una lunga esperienza in Europa ed assicura-
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no un’interpretazione solida del ruolo. Più difficile stabilire quale possa essere la coppia di centrali difensivi nello schema ideala, dal momento che nelle qualificazioni sono stati schierati ben 7 giocatori. L’unico elemento sicuro sembra essere Ousmane Viera del Caykur Rizespor, giocatore di buon livello e soprattutto di comprovata esperienza. Accanto a lui nelle ultime decisive partite del girone è stato rispolverato l’eterno Kolo Tourè, che ha dato maggiore sicurezza al reparto, nonostante nel Liverpool sia impiegato pochissimo. Il tecnico francese aveva riposto grande fiducia nel diciassettenne Frank Kessie dello Stella Club, il quale dopo due convincenti partite è naufragato nella sfida in Congo, finendo espulso ed in coda alle scelte di Renard. Altre possibili scelte sono Brice Dja Djedjè (Marsiglia), utilizzabile anche come esterno destro, Lamine Konè (Lorient) ed il palermitano Bamba, il quale fatica a trovare spazio nei rosanero. L’organizzazione del centrocampo verte sulla posizione ricoperta da Yaya Tourè, solitamente libero di svariare al pari delle mezzepunte a sostegno del terminale offensivo. Il campione del Manchester City può occasionalmente abbassare la sua posizione e giocare come mediano davanti alla difesa, soprattutto quando la sua fisicità può essere utile in un 4-4-2. Nel 4-2-1-3 il compito dei due centrocampisti arretrati è quello di garantire grande quantità e sostenere fisicamente un reparto offensivo sicuramente gravoso da quel punto di vista. Cheik Tiotè del Newcastle sembra essere l’elemento perfetto per tale compito, essendo dotato di grande foga agonistica e da doti podistiche di grande livello. Il tecnico Renard ripone tanta fiducia in Koffi Kouamè del Mazembe, anche se al momento opportuno potrebbe preferirgli l’esperienza di Serey Die del Basilea, giocatore solido e forgiato perfettamente dal campionato svizzero. Possibile anche l’impiego di Ismael Diomandè del Saint Etienne, mediano che si sta facendo apprezzare proprio in League 1. Accanto alla punta centrale troviamo giocatori che per esperienza o per caratteristiche possono svariare su tutto il fronte offensivo, scambiandosi le fascia di competenza e cambiando la loro impostazione tattica a seconda delle richieste dell’allenatore o della situazione in campo. Su tutti indubbiamente Gervinho, capace come pochi di spaccare le difese avversarie con la sua inarrestabile velocità. Salomon Kalou è invece il classico giocatore che
tutti gli allenatori vorrebbero: in pratica può giocare in tutti i ruoli del reparto avanzato, potendo defilare il suo raggio di azione su entrambe le fasce, così come esprimersi al meglio anche nel ruolo di punta. Anche nell’Herta Berlino si disimpegna con facilità in più schemi tattici, facendo tesoro degli insegnamenti avuti da grandi maestri all’epoca del Chelsea. Durante le qualificazioni ha giocato meno del previsto, nonostante sia stato il miglior realizzatore con 4 reti. Nella rassegna continentale la sua esperienza sembra fondamentale per gli “elefanti”. La concorrenza nel ruolo di esterno è rappresentata da Max Gradel, classica ala in grande ascesa del Saint Etienne. Renard punta molto sulle sue qualità e negli ultimi impegni l’ha schierato con continuità, ottenendone buone prestazioni e soprattutto il gol che è valso il successo per 1-2 in Congo, rivelatosi alla fine decisivo per la qualificazione. Sul versante sinistro offensivo potrebbe essere trovare spazio Roger Assalè del Mazembe, anche se finora è stato impiegato con il contagocce, a causa di una notevole concorrenza e della inesperienza del talentuoso ventunenne. Il compito di rappresentare il terminale offensivo della Costa d’Avorio sembra ricadere su WIlfired Bony, completo e potente attaccante in forza allo Swansea. Dotato di un gran tiro e di un bagaglio tecnico notevole, sembra mancare della giusta indole per imporsi come uomo gol. Il tecnico francese concede poco spazio a Seydou Doumbia, nonostante l’attaccante stia facendo benissimo in Russia, con la maglia del CSKA. Capocannoniere dell’ultima Russian Premier League, è una punta dinamica e tecnica, in grado di farsi valere anche come unico attaccante. Il commissario tecnico preferisce proporlo a partita in corso ed in tal senso la mossa è stata vincente contro la Sierra Leone nella partita d’esordio, dove Doumbia ha segnato il suo unico gol nel girone di qualificazione. Altra alternativa può essere Lacina Traorè, attaccante del quale si diceva un gran bene, ma che sembra non rispettare le rosee aspettative, anche a cause di alcuni problemi fisici. Molto limitato lo spazio finora concesso a Gadji Tallo, al momento in forza al Bastia e con un recente passato alla Roma ed al Bari. Non appare improbabile vedere Kalou nel ruolo di vera e propria prima
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punta, oppure come seconda punta in un 4-4-2 come avvenuto nella partita di ritorno con la Sierra Leone. LE STELLE Yaya Tourè è indubbiamente il leader carismatico e tecnico della Costa d’Avorio, ancor di più a seguito dell’abbandono di Didier Drogba. Il centrocampista del Manchester City è uno dei giocatori più completi del panorama mondiale, in grado di risolvere qualsiasi partita con una giocata. Il suo strapotere fisico è accompagnato da un tecnica affinata anno dopo anno, che gli permette di essere irresistibile con la palla al piede ed assolutamente temibile nelle conclusioni e negli inserimenti offensivi. Ultimamente ha sviluppato una particolare abilità per i calci piazzati, a completamento di un profilo già altamente specializzato. Se la forma fisica lo assisterà Tourè sarà in grado di caricarsi moralmente e fisicamente la squadra sulle spalle ed esprimersi da autentico fuoriclasse quale è. Come anticipato può essere impiegato come centrocampista avanzato o mediano ed in entrambi i casi sembra essere il punto di riferimento primario per lo sviluppo della manovra ivoriana. Altro punto di forza della selezione è Gervinho, attaccante esterno che sembra davvero imprendibile quando riesce ad esprimere al meglio la sua velocità. Garcia alla Roma l’ha sicuramente completato, limitandone le pause in campo e migliorandone il suo apporto in partite con spazi chiusi. Quando è in giornata di grazia è in grado di mettere in difficoltà qualsiasi difesa e se limerà una certa imprecisione al tiro può davvero essere il giocatore che permetterà alla squadra di Renard di compiere un salto di qualità. Nell’ultimo Mondiale, nonostante la bruciante eliminazione al primo turno, è stato l’elemento migliore della Costa d’Avorio, anche alla luce delle due reti messe a segno.
LE PROSPETTIVE Il livello qualitativo della rosa è potenzialmente altissimo e solo per quest’aspetto la Costa d’Avorio può essere ritenuta una delle favorite. Il compito di rispettare tale impegnativo pronostico sarà duro sin dall’inizio, tenuto conto che il gruppo D si prospetta altamente competitivo. Sulla carta la squadra di Renard dovrebbe giocarsi il primo posto con il Camerun , ma guai a sottovalutare l’entusiasmo e la crescita esponenziale di Mali a Guinea. Come sempre quando si parla di Costa d’Avorio i “se” ed i “ma” sono significativi quanto l’indubbio valore dei giocatori convocati. Il primo dubbio riguarda l’assetto difensivo, apparso il reparto più debole della squadra e costantemente in difficoltà nelle partite di qualificazione. Solo con una coppia di centrali affidabile sarà possibile garantire quella stabilità che è mancata nei precedenti impegni per l’accesso alla fase finale. Inoltre la rinuncia alla nazionale da parte di Drogba priva gli “elefanti” del loro “totem”, in termini di leadership e capacità realizzativa. In tal senso si aspetta con ansia la consacrazione di almeno una delle punte disponibili, per garantire un valido finalizzatore della mole di gioco prodotta. A livello assoluto l’equilibrio interno della squadra è molto instabile e storicamente è sempre difficile prevedere cosa possa succedere al tale rappresentativa durante impegni ufficiali. La sensazione è simile a quella di tirare una moneta, ma se “testa” significa vittoria, nelle ultime apparizioni è sempre uscita “croce”. Se i giocatori eviteranno controproducenti suddivisioni in clan interni e se i più importanti tra loro sapranno fare la differenza, allora la Costa d’Avorio potrà ambire a bissare lo storico e sinora unico successo del 1992.
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MALI di Matteo Maggio
pensare che negli ultimi 15 anni ne sono stati cambiati 15, con la poco invidiabile media di uno all’anno.
LE QUALIFICAZIONI
S
e c’è una squadra che la qualificazione se l’è voluta complicare, questa è proprio il Mali che stacca il pass per la fase finale grazie all’ultima partita dove Seydou Keita e Moussa Yatabaré siglano i gol utili a battere l’Algeria già qualificata, approfittando del pareggio a reti bianche tra Malawi ed Etiopia. La corsa delle Aquile inizia comunque nel migliore dei modi battendo proprio il Malawi 2-0 per merito di Bakary Sako e di Cheikh Diabaté, attaccante classe 1988 che bene sta facendo alla sua quinta stagione al Bordeaux. Quasi inevitabilmente arriva, nella seconda partita, la sconfitta in Algeria dopo una partita tenuta in piedi fino al minuto 83 quando un gol di Medjani condanna alla sconfitta la nazionale maliana. A metà percorso il Mali decide di rendere il girone più combattuto; ed infatti, dopo la bella vittoria in Etiopia, cade tra le mura amiche proprio contro la nazionale allenata dal portoghese Mariano Barreto. E, come se non bastasse, il 15 novembre arriva anche la sconfitta in Malawi, permettendo proprio a questi ultimi di raggiungere a quota 6 le Aquile maliane che hanno dalla loro una miglior differenza reti. L’ultimo impegno, davanti ai 27.000 dello stadio 26 Mars di Bamako, è contro l’Algeria, ormai già qualificata e scesa in campo con una formazione sperimentale. Tocca proprio ai due trascinatori menzionati all’inizio far esultare il popolo giallorossoverde (complice anche lo 0-0 del Malawi in Etiopia). Il Mali potrà partecipare alla sua quinta edizione consecutiva.
All’inizio del 2014 è stato richiamato sulla panchina delle Aquile il polacco Henryk Kasperczak dopo la non brillante esperienza del 2002. Kasperczak ha risposto bene qualificando la squadra alla fase finale. Nato a Zabrze alla fine della seconda guerra mondiale, spende quasi tutta la carriera da calciatore nello Stal Mielec con cui vince due campionati avendo anche la possibilità di partecipare ai mondiali tedeschi del 1974. Appese le scarpe al chiodo nel 1978, inizia ad allenare in Francia dove conquista un campionato di seconda divisione con lo Strasburgo nel 1988 dopo aver guidato Metz (conquistando una coppa di Francia) e Saint Etienne. A livello di nazionale vanta un terzo ed un secondo posto proprio nella Coppa d’Africa; nel 1994 alla guida della Costa d’Avorio vince il bronzo, mentre nel 1996 con la Tunisia perde la finale al cospetto del Sudafrica. Le maggiori soddisfazioni da allenatore le ottiene all’inizio del secolo quando, alla guida del Wisla Cracovia, conquista di tre campionati ed una coppa di Polonia, divenendo il più titolato allenatore dei rossoblu. Ha nel 4-2-1-3 il suo modulo preferito che richiede un gran lavoro agli esterni d’attacco che in fase difensiva arretrano per formare un più difensivo 4-5-1. LA SQUADRA
IL MISTER
Un bel rebus, ma in senso positivo. Kasperczak può contare su una rosa di giocatori che nei vari reparti può ricoprire più di un ruolo, tra le squadre qualificate è forse la più eclettica avendo proprio nell’intercambiabilità dei ruoli l’arma principale.
La tradizione dei Commissari Tecnici del Mali è ormai diventata un vero e proprio terno al lotto, basti
A partire dalla porta dove Mamadou Samassa aveva iniziato le qualificazioni rimediando un cartellino
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rosso, lasciando spazio ad Oumar Sissoko; entrambi giocano in Francia, il primo nel Guingamp dove gli viene preferito spesso Lossl, mentre il secondo milita in cadetteria nell’Ajaccio dove è titolare o comunque prima scelta. Alla fine hanno racimolato 3 presenze a testa, segno che il tecnico polacco avrà un bel dilemma su chi scegliere.
Erciyesspor in Turchia.
In difesa l’unica certezza è sulla sinistra, dove Adama Tamboura, esperto 29enne in forza ai danesi del Randers garantisce la giusta copertura ergendosi a vero leader della retroguardia. I restanti tre posti sono stati occupati un po’ da tutti, segno tangibile dell’intercambiabilità dei ruoli e della grande partecipazione alla causa maliana. A destra il titolare dovrebbe essere Ousmane Coulibaly, altro elemento di grande copertura e curiosità, autore dell’unico gol della difesa del Platanias, la sua squadra di club.
Due presenze anche per Sambou Yatabaré, 25 enne centrocampista centrale in forza al Guingamp con cui si sta togliendo qualche soddisfazione; di proprietà dell’Olympiakos (con cui non ha quasi mai giocato) è rimasto in Francia, prima nel Bastia e poi appunto nel Guingamp con cui sta trovando lo spazio necessario per essere considerato anche in nazionale. Può tornare utile anche nel tridente d’attacco dove in più di un’occasione è stato impiegato sulla destra. Meno credito per Bakaye Traoré, ex centrocampista del Milan ora in forza al Bursaspor chiuso dalla maggior vena del portoghese Josué e dal turco Sen.
Il vero jolly della difesa è Fousseni Diawara che nelle 6 partite di qualificazione ha cambiato ben tre ruoli; quello suo naturale è di difensore centrale (destro o sinistro non fa differenza), ma ha saputo ricoprire anche il ruolo di Ousmane Coulibaly quando questo era indisponibile nel doppio match contro l’Algeria. Salif Coulibaly è colui che dovrà guidare il reparto arretrato fungendo da primo marcatore, cosa che gli riesce a meraviglia nel Mazembe; al suo fianco, detto di Diawara con cui dovrebbe formare la coppia titolare, è pronto Idrissa Coulibaly prima scelta in caso di indisponibilità dei primi due. L’anno scorso ha partecipato al mondiale per club con la maglia del Raja Casablanca. Partono un gradino più indietro Mahamadou N’Diaye del Troyes e Mohamed Konate che dall’alto dei suoi 191 cm potrebbe tornare utile nei minuti finali in caso ci sia da difendere anche sui lanci disperati degli avversari. A centrocampo sicuramente meno dubbi, dove la presenza del capitano e leader Seydou Keita la fa da padrone. Keita è libero di svariare in mezzo al campo e Kasperczak gli chiede un notevole lavoro di raccordo che talvolta sfocia in deliziosi assist per le punte. Appena dietro di lui a dare quindi copertura alla difesa troviamo Yacouba Sylla e Tongo Doumbia. Il primo è sceso in campo in tutte le partite di qualificazione; impiegato solitamente davanti alla difesa ha saputo anche ritagliarsi un ruolo come centrale in un centrocampo a 5, fornendo una bella alternativa a Kasperczak che punta molto su di lui e che ben sta facendo tra le file del Kayseri
Doumbia invece, milita nel Tolosa con cui ha messo assieme 13 presenze ed un gol. Arrivato “tardi” nelle qualificazioni ha saputo dare il giusto contributo fornendo equilibrio e senso della posizione uniti ad un’instancabile corsa.
Nel reparto avanzato l’incognita è Bakary Sako che può agire sia a destra che a sinistra. Molto discontinuo nelle sue prestazioni è chiamato ad un’inversione di tendenza e visto il modulo di Kasperczak, dovrà anche garantire copertura in fase difensiva. Stessa situazione per Abdoulaye Diaby, anche se, a parziale scusante, l’attaccante classe 1991 nasce come punta centrale; la presenza di Yatabaré e Diabaté lo relega ad uomo di fascia, lavoro che piano piano sta assimilando nonostante nel suo club, il Mouscron, sia praticamente impiegato sempre da prima punta. E non a caso è il capocannoniere della massima divisione belga con 12 gol in 19 partite. Infine il ruolo di prima punta sarà occupato da Mustapha Yatabaré anche se piano piano sta perdendo terreno nelle gerarchie di Yanal al Trabzonspor con cui ha realizzato solamente un gol in questa stagione. Doveva esserci Cheick Diabaté, protagonista fino ad ora di un’ottima stagione, ma l’attaccante del Bordeaux non partirà per la Guinea Equatoriale causa infortunio al ginocchio che lo terrà lontano dai campi per almeno 4 mesi. Al suo posto Mohamed Traoré, attaccante in forza ai sudanesi dell’Al-Merreikh. LE STELLE Più che stella Seydou Keita si può definire vero e proprio leader di questa nazionale con cui ha già messo insieme 94 presenze e quindi con la possibi-
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lità di arrivare a 100 proprio in questa edizione della Coppa d’Africa. Di gran lunga è l’uomo più titolato e di maggiore esperienza delle Aquile, avendo vinto praticamente tutto con il Barcellona, club che ha lasciato nell’estate del 2012 per accettare il mega contratto dei cinesi del Dalian Aerbin. Ma a chi pensava ad una chiusura di carriera tra soldi e lusso si sbagliava, ed infatti Seydou approda nel gennaio 2014 al Valencia e successivamente alla Roma con cui sta trovando più spazio di quello che si pensava, dando, come in nazionale, quell’ordine tattico che tanto piace ai tecnici più votati al gioco offensivo. Chi avrà il compito di finalizzare le azioni e possibilmente tramutarle in gol, sarà Mustapha Yatabaré. Il suo impiego sarà quasi obbligato visto l’infortunio di Diabaté, ma l’attaccante in forza al Trabzonspor dovrà rispondere coi fatti altrimenti Kasperczak potrà virare verso altre soluzioni. Yatabaré dovrà dimostrare una volta per tutte di aver raggiunto una maturità che a 28 anni rischia per sempre di sfuggirgli di mano. È lui il terminale offensivo a cui ci si affiderà, il
punto di riferimento della manovra offensiva. LE PROSPETTIVE Dire che il Mali abbia pescato male è quanto meno riduttivo; nel girone che la vede unita a Costa d’Avorio, Camerun e Guinea è considerata la terza forza del girone dove tutti i favori del pronostico propendono per forza di cose per le nazionali di Renard e Finke. Ma non ci si deve fermare di fronte a questi avversari anche se considerati più forti. Ci sono da migliorare i due terzi posti delle ultime due edizioni dove è mancata la zampata finale per accedere ad un traguardo storico. Anche il calendario non è a favore del Mali che nelle prime due gare se la vedrà proprio contro Camerun e Costa d’Avorio, rimandando eventuali discorsi di qualificazione nell’ultima gara contro la Guinea che per risvolto della medaglia potrebbe rivelarsi inutile. Tuttavia il tasso tecnico inferiore non gioca a favore delle Aquile che dovranno sfruttare in tutti i modi le lacune lasciate dalle più quotate nazionali avversarie.
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CAMERUN di Andrea Bracco LE QUALIFICAZIONI
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settembre 2014. A Lubumbashi il Camerun allenato da Volker Finke torna in campo dopo un mondiale brasiliano da dimenticare. Gli animi sono a terra, i conflitti interni non si placano, ma il CT tedesco stavolta ha deciso che nessun massimo esponente dei vari clan (Eto’o, Song e Makoun) è desiderato. Contro la Repubblica Democratica del Congo scende in campo una squadra rinnovata, nei nomi e nella voglia. Ne esce uno 0-2 che sorprende tutti, soprattutto perché a risolvere la contesa ci pensano due giovanissimi come Clinton N’Jie e Vincent Aboubakar. Segno che qualcosa, forse, finalmente inizia a cambiare. Con queste premesse i Leoni Indomabili affrontano in maniera più morbida il gruppo di qualificazione ad un Coppa d’Africa che sembra stregata, data l’assenza nelle ultime due edizioni ma non solo, visto che il trofeo manca in bacheca dall’accoppiata 2000-2002. Ovvero, un’eternità per il gotha del calcio africano. Invece negli ultimi mesi ha funzionato tutto; primo posto nel Gruppo D con quattro vittorie e due pareggi, lo “zero” nella casellina delle sconfitte che male non fa mai, un solo gol subito al fronte dei nove segnati. Quattro dei quali nel secondo match, contro un Costa d’Avorio letteralmente ridicolizzata all’“Omnisport” di Yaoundè, dove ancora N’Jie ed Aboubakar fanno il bello ed il cattivo tempo (doppietta per entrambi) affiancati dalla prova superba di Fabrice Ondoa, portierino che il Barcellona ha blindato da tempo, ormai vero numero uno di questo Camerun. La doppia sfida contro la Sierra Leone ha poi dato l’ufficialità della qualificazione (0-0 prima, 2-0 poi grazie ai gol di Kweuke e M’Bia), con il Camerun avvantaggiato dal fatto dal non doversi mai spostare da Yaoundè, visto che a Freetown la minaccia Ebola era concreta e la CAF fu costretta a sospen-
dere ogni attività calcistica nei paesi interessati. Il gol di Aboubakar alla Repubblica Democratica del Congo ha fatto infine da preludio allo 0-0 finale ad Abidjan, dove contro la Costa d’Avorio si è deciso di non farsi male. I ragazzi di Finke chiudono così a 14 punti, al pari della Tunisia e con la sola Algeria ad aver fatto meglio. IL MISTER Classe 1948, Volker Finke è l’uomo giusto al momento giusto. In molti hanno provato a “domare” i Leoni nelle passate annate, ma mai nessuno era andato così vicino dal riuscirci. Personaggio tranquillo, mai fuori dalle righe, per certe sfumature di carattere controverso, Finke ha portato in Camerun ciò di cui il Camerun aveva più bisogno: organizzazione e semplicità. Il suo 4-4-2 adatta le esigenze che legano prestazione singola e risultati, un binomio che sta cercando di costruire mattone per mattone. Di questo se n’è accorta anche la federazione, mai generosa con i propri tecnici, che lo ha confermato anche dopo la pessima campagna brasiliana. Legato alla storia del Friburgo, Finke ha passato ben sedici anni da allenatore alle porte della Foresta Nera, lasciando la città nel 2007 per tentare l’avventura in Giappone con gli Urawa Red Diamonds. Nel 2011 è rientrato in Germania per assumere il ruolo di direttore sportivo al Colonia, ma l’avventura si è conclusa dopo pochi mesi. Quando la carriera sembrava inevitabilmente in picchiata, ecco arrivare la chiamata da Yaoundè; è il maggio del 2013, e Finke non ci pensa due volte ad assumere la guida di una nazionale alla ricerca del pass mondiale. Missione compiuta, nonostante diverse controversie (una su tutte, l’impiego “forzato” di Samuel Eto’o). Finke è anche, tra i commissari tecnici passati sulla panchina del Camerun, quello che vanta la percentuale maggiore di vittorie, avendone collezionate
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ben nove su venticinque, al fronte di altrettanti pareggi e di sole sette sconfitte (statistica evidentemente viziata da Brasile 2014)
collezionato un solo ‘cap’ con i Leoni Indomabili.
LA SQUADRA
L’elenco è lungo, perché come sempre il Camerun è una delle nazionali più forti tecnicamente e, di conseguenza, annovera molte stelle tra le proprie fila. Il capitano Stephan M’Bia abbiamo imparato a conoscerlo con la maglia del Siviglia; guerriero della mediana, per la nazionale si sacrifica e mette il suo fisico a servizio del gruppo, spostandosi a macinare chilometri sulla fascia destra. Nicolas Nkoulou sarà probabilmente uno dei prossimi uomini mercato: alto, possente, difficilmente arginabile nel gioco aereo, è molto considerato da Finke che lo ha recentemente definito un “leader”.
Come anticipato, da quasi due anni in Camerun le parole d’ordine sono diventate semplicità ed abnegazione. Via i luoghi comuni e le giocate di classe: con Finke si lavora per cercare il calcio migliore senza rischiare troppo. La prima mossa è stata cambiare il portiere: via Itandje, dentro Fabrice Ondoa, 19 anni, direttamente dalla Masia. Il secondo passo è stato costruire una difesa rocciosa ma allo stesso tempo performante, che vede in Nicolas Nkoulou il perno centrale di un reparto in cui il solo Henri Bedimo tocca quota trent’anni. Il terzino sinistro del Lione sarà lo specchio di Stephan M’Bia, centrocampista che Finke ha ormai adattato a laterale di destra. Assieme a Nkoulou (stella dell’OM targato Bielsa) giocherà il giovane 20enne Jerome Guiohata (Valenciennes). L’apporto della mediana sarà fondamentale, soprattutto nella parte centrale, dove in fase di qualificazione il CT tedesco ha puntato forte sulla coppia composta da Eyong Enoh e Georges Mandjeck, con Edgar Salli pronto ad entrare in seconda battuta. Mancherà Alex Song, che proprio nelle ultime settimane ha annunciato l’addio alla nazionale dopo che si era iniziato a parlare di un suo possibile ritorno. Sulla fascia destra ci sarà spazio per l’esterno del Reims, Benjamin Moukandjo, mentre a sinistra agirà Maxime Choupo-Moting, entrambi chiamati ad assistere nel migliore dei modi il duo (43 anni totali) N’Jie – Aboubakar, due profili annoverabili tra le ‘scoperte’ targate Finke. Interessante la presenza di Frank Etoundi, stella dello Zurigo, che ad oggi ha
LE STELLE
Un elemento molto sottovalutato è senza dubbio Benjamin Moukandjo, che oggi incanta le platee nella regione dello Champagne, ma ben presto sarà obbligato al salto di qualità. Una qualità che lui offre come esterno alto, al pari di Maxime Choupo-Moting, uno che lo scorso anno – a parametro – sarebbe un bell’affare per molti. Infine Vincent Aboubakar, giovane punta con il vizietto del gol sin da ragazzino, oggi al Porto e sicura plusvalenza dei Dragoni. LE PROSPETTIVE L’obbiettivo, nemmeno tanto celato, è vincere. Ma il sorteggio di Malabo non è stato generoso con il Camerun, che dovrà affrontare – in sequenza – Mali, Guinea e nuovamente la Costa d’Avorio in un Gruppo, il D, che si potrebbe tranquillamente definire di ferro. Il rovescio della medaglia potrebbe però arrivare dopo; superare questo gruppo significherebbe dare una grande prova di forza e mettere pressione alle avversarie, che a quel punto dovrebbero considerare i Leoni Indomabili per quello che sono. Una squadra da primo posto.
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GUINEA di Giovanni Fasani LE QUALIFICAZIONI
L
a Guinea si guadagna la partecipazione alla fase finale della Coppa d’Africa a distanza di tre anni dall’ultima volta e lo fa arrivando seconda in un girone equilibrato ed incerto fino alla fine. Per meglio capire l’incertezza che ha regnato nel gruppo E basta considerare la situazione alla vigilia dell’ultima giornata, dove il Ghana comandava con 8 punti, seguito da Guinea ed Uganda con 7 ed il Togo a seguire con 6. Proprio nel conclusivo turno finale la nazionale guineana batteva l’Uganda in casa per 2-0, regalandosi il sofferto accesso al torneo da disputarsi in Guinea Equatoriale. Tale sudato passaggio di turno è scaturito da un andamento incostante durante la fase di qualificazione, dove a sconfitte pesanti subite in Uganda ed in Ghana hanno fatto seguito convincenti affermazioni come contro il Togo, in una pirotecnica vittoria per 1-4 in quel di Lomè o come contro il Ghana in casa, dove un gol di Ibrahima Traorè all’81°minuto garantiva un fondamentale pareggio per 1-1. La squadra ha costruito la sua qualificazione in casa, ottenendovi 7 dei 10 punti conquistati, mentre ha faticato fuori dalle mura amiche, dove ha ottenuto un risultato positivo solo nella vittoriosa trasferta in Togo. IL MISTER Michel Dussuyer è una vecchia conoscenza in quel di Conakry, avendo già allenato la nazionale nel periodo 2002-2004, dove ha anche avuto anche la possibilità di disputare nel 2004 la Coppa d’Africa, avventura che si era arrestata ai quarti di finale per mano del Mali. La carriera di Dussuyer è proseguita sempre nel continente, sedendosi sulla panchina
del Benin per la coppa africana del 2010, conclusasi con l’eliminazione al primo turno. Al termine di questa sfortunata partecipazione la federazione prese la clamorosa decisione di licenziare tutto lo staff tecnico e tutta la rosa a disposizione. Sempre nel contesto africano è stato vice di Henry Michel sulla panchina della Costa d’Avorio nel 2006. Il suo rapporto con la Guinea è tormentato, dal momento che dopo il suo ritorno nel 2010, decise di andarsene nel 2013, salvo ritornare nel febbraio del 2014 per preparare le fasi di qualificazione alla Coppa. Come calciatore è stato discreto portiere di Nizza, Olympique Ales e Cannes; di quest’ultima compagine è stato in tempi diversi vice allenatore e responsabile tecnico. LA SQUADRA In porta il titolare inamovibile è Naby Moussa Yattara portiere dell’Arles Avignon. Difficilmente il più giovane Abdul Aziz Keita potrà rubargli il posto durante la manifestazione. Yattara con i suoi 30 anni è uno dei più anziani della squadra ed uno dei leader dello spogliatoio. La squadra viene schierata con 4-2-3-1 che può mutare a seconda delle esigenze e delle disponibilità in un 4-1-4-1, solo in apparenza maggiormente votato all’offensiva. La difesa viene schierata rigorosamente a 4 ed a destra viene schierato con continuità Baissama Sankoh, giovane laterale in forza al Guingamp. Sulla corsia opposta di disimpegna Isiaga Sylla del Tolosa che nonostante i 20 anni sta sorprendendo per personalità e crescente qualità. Come sua alternativa troviamo Djibril Paye dello Zulte Waregem, anche se contro l’Uganda è stato proposto Ibrahima Bangoura, più propriamente un esterno destro. Più difficile determinare una preferenza per quanto riguarda i due centrali difensivi:nelle qualifica-
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zioni l’unico sempre presente è stato Fode Camara dell’Horoya Ac ai quali sono stati affiancati Abdoulaye Cissè (Sco Angers), Kamil Zayatte (Sheffiled Wednesday) o Florentin Pogba del Saint Etienne. Quest’ultimo, fratello dello juventino Paul, dopo aver definitivamente scelto la Guinea come nazionale, sembra essere il più in crescita tra i centrali a disposizione. A centrocampo Boubacar Fofana del Nacional funge da vertice basso, affiancato nel caso da un altro punto fisso della zona mediana, il giovanissimo Naby Keita del Salisburgo. Quest’ultimo può avanzare nel caso di sistema tattico con 4 centrocampisti dietro la punta. Ad entrambi viene richiesto di fornire il giusto equilibrio alla squadra, qualunque sia l’atteggiamento tattico adottato. Loro eventuale alternativa può essere Mohammed Diarra dell’Odense, anche se le scelte di Dussuyer vertono prevalentemente sui primi due. Il tecnico francese ha una vasta scelta in termine di mezzali, puntando fortemente sulla qualità di Seydouba Soumah dello Slovan Bratislava e su Ibrahima Conte dell’Anderlecht, due dei più talentuosi giocatori della rosa. Completa il particolare schema tattico Lass Bangoura del Rayo Valecano, al quale possono essere preferiti Ibrahima Traorè del Borussia Monchengladbach o Adbul Camara dello Sco Angers. Traorè in particolare è un’arma tattica importante che il tecnico francese cerca di sfruttare in più zone del campo, sfruttandone la versatilità e il notevole tempismo in zona gol. Invece Guy Michel Landel risulta scarsamente impiegato, potendo comunque disimpegnarsi come trequartista puro o esterno destro offensivo. Il ruolo di unica punta viene solitamente ricoperto da Idrissa Sylla dello Zulta Waregem, al quale può essere preferito il giovane Moahamed Yattara del Lione, oppure il più esperto Ismael Bangoura. I primi due si fanno maggiormente preferire per la possente struttura fisica, che ben si addice al compito di boa di riferimento per i compagni. Tendenzialmente nessuno degli attaccanti citati è propriamente un bomber, considerato che nelle qualificazioni i gol arrivati dalle punte sono stati 3 su un totale di 11 messi a segno. In sporadici casi si è assistito ad un sistema a due punte, avanzando Ibrahima Traorè o inserendo a partita in corso Ismael Bangoura, in modo da creare una eterogenea copia di attaccan-
ti. Nelle partite di qualificazione ha giocato qualche minuto anche Sadio Diallo, discreto attaccante in forza al Lorient. LE STELLE Seydouba Soumah è sicuramente il giocatore che meglio interpreta il ruolo nello scacchiere tattico di Dussuyer. Dotato di buona tecnica e grande rapidità è in grado di saltare l’uomo con facilità e non di rado si rende protagonista di spunti personali di grande livello, soprattutto nel campionato slovacco. Ha una grande capacità di inserimento, qualità che sembra essere perfetta per lo schema della Guinea, dove i centrocampisti a ridosso dell’unica punta devono sfruttare i movimenti di quest’ultima, provando a non dare loro stessi riferimenti agli avversari. Dispone di un sinistro preciso e potente, che sfrutta sia dal limite che da calcio piazzato. Risulta essere anche il rigorista della squadra, della quale è stato capocannoniere delle qualificazione con 5 reti, 3 della quali segnate nel 1-4 inflitto al Togo. L’unico suo punto debole è il fisico minuto: i suoi 161 centimetri possono essere un limite, qualora si trovi a duellare spalla a spalla con i possenti difensori di scuola africana. Anche Ibrahima Conte è un giocatore che fa della velocità e del dribbling le sua qualità migliori ed in tal senso i suoi progressi nel campionato belga sono evidenti. Più strutturato rispetto a Soumah, paga meno il gap fisico e regge sicuramente meglio una marcatura arcigna e fisica. Agisce prevalentemente sulla fascia destra, dove può anche accentrarsi per tentare positive sortite personali. Se riuscirà a limitare un esagerato gusto per la soluzione individuale può essere un elemento cardine per la selezione guineana. Entrambi del 1991 avranno gli occhi di molti osservatori su di loro, così come avviene nelle rispettive squadra di club. Con i suoi 19 anni Naby Keita è il più giovane della rappresentativa e questa Coppa d’Africa può essere la definitiva consacrazione per il talento il forza al Salisburgo. Della squadra austriaca è ormai una colonna del centrocampo, facendosi apprezzare per una duttilità tattica notevole. Dotato di spiccata personalità, sarà la sua capacità di interpretare in modo flessibile il ruolo a garantire un salto di qualità alla costruzione della manovra della Guinea. Ovviamente l’interesse dei grandi club europei sui suoi progressi è sempre molto alto. Discorso che può essere fatto anche per il terzino sinistro Isia-
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ga Sylla, che nonostante i soli 20 anni dimostra una personalità da veterano. Se ridurrà qualche svarione tattico si potrà affermare come uno dei esterni sinistri più interessanti del contesto europeo, riuscendo a disimpegnarsi sia come laterale basso che alto. A tal proposito garantisce ottima copertura e buona spinta, impreziosita anche da una buona confidenza con il gol. LE PROSPETTIVE Inserita nel girone D con Camerun, Costa d’Avorio e Mali, alla Guinea servirà una sorta di impresa per garantirsi il passaggio del turno, in un girone che si annuncia davvero complicato per la squadra di Dussuyer. I dubbi sono legati a come la squadra possa comportarsi fuori dai confini nazionali, viste le difficoltà incontrate in trasferta durante le qualificazioni. A tal proposito manca l’esperienza in contesti importanti e la capacità di gestire al meglio complicate situazioni all’interno dello spogliatoio. La maggior parte dei giocatori è impegnata in cam-
pionati europei di buon livello, ma l’età media è bassa ed in tali contesti il rischio di “perdersi per strada” è comunque alto. Tuttavia la squadra ha saputo sempre reagire alle sconfitte ed indubbiamente il gruppo è unito e le qualità non mancano. Camerun e Costa d’Avorio per qualità e blasone sembrano farsi preferire a livello di pronostico, ma non va sottovalutata la grande voglia di emergere che i giovani talenti guineani metteranno senza dubbio in campo. Se il sistema di gioco proposto reggerà in pieno l’urto e se le indubbie qualità tecniche saranno messe al 100% al servizio della squadra, la Guinea potrà ritagliarsi un ruolo importante nella Coppa d’Africa 2015, magari proponendosi come possibile sorpresa. In conclusione tutto dovrà filare liscio nel minimo dettaglio, perchè, come sempre, nel calcio africano il confine tra un grande impresa ed una pessima prestazione è sempre molto sottile.
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LE STORIE
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1974, l’anno dei Leopardi
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di Alessandro Mastroluca
a Cuore di Tenebra al Soul Power. Scarti semantici, passaggi di tempo nello Zaire di Mobutu. Ci sono più di 20 mila persone a Kinshasa ad ascoltare James Brown, che suona gratis per celebrare il Potere dell’Anima e chiudere così il 1974. Un anno unico, irripetibile, che ha portato l’ex Repubblica Democratica del Congo, sfondo del classico romanzo di Conrad, nella geografia del mondo. Un anno in cui lo sport si è fatto cassa di risonanza, veicolo di consenso per i valori e lo spirito della cleptocrazia del maresciallo-dittatore. Possedimento personale del re del Belgio fino al 1960, lo Zaire ha una tradizione calcistica antica, che si è sviluppata soprattutto grazie ai missionari cattolici e protestanti. Sembra che una delle prime partite si sia giocata nel 1911 a Elizabethville, ora Lubumbashi. È proprio un sacerdote, il fiammingo Raphaël de la Kéthulle de Ryhove, a fondare nel 1919 l’Association Sportive Congolaise, che diventerà Association Royale Sportive Congolaise dopo la visita del sovrano nel 1939. Il calcio era profondamente segregato allora, e i missionari cattolici usavano il calcio per incrementare la salute, fisica e morale, e la disciplina dei lavoratori africani: uno strumento in più per testimoniare “il fardello dell’uomo bianco” in Africa. Padre de la Kéthulle non si occupa solo della pratica calcistica. Fa costruire lo Stade de la Reine Astrid, un impianto da 25 mila posti a Cite Indigene (Città Indigena) e avvia i lavori per il monumentale Stade Roi Baudouin (Stadio Re Baldovino) completato nel 19521.
Negli anni ‘30 e ‘40 i missionari lavorano intensamente con le autorità coloniali per mantenere il controllo sociale anche attraverso lo sport. È in 1 L.Van Rompaey Missions et Education physique dans le Congo Belge (1908-1960), in Institut d’Estudis Catalans, “Education, physical activities and sport in a historical perspective”, XIV ISCHE Conference, Working Papers, 1992, Barcellona
quel periodo che nascono molte delle squadre popolari ancora oggi come l’Association Sportive Vita Club (AS Vita Club) a Leopoldville, l’attuale Kinshasa, e il Tout Puissant Englebert (oggi TP Mazembe) a Elisabethville. Alla vigilia della seconda guerra mondiale, l’ARSC conta oltre 853 giocatori registrati in 53 squadre giovanili. Nonostante la creazione dell’Union des Federations et des Associations Sportives Indigenes (UFASI) non c’è grande attenzione intorno al calcio congolese, trattato con grande paternalismo dalle rare pubblicazioni dell’epoca che se ne sono occupate (come il libro ufficiale della lega belga). Almeno fino al 1952, quando lo Sporting Lisbona acquista una delle prime star congolesi, Leon Mokuna, che ha iniziato a giocare nell’AS Vita Club proprio grazie a padre de la Kéthulle, “Tata Raphaël” e si è guadagnato un soprannome che non lo abbandonerà più, Trouet. Si racconta che una volta abbia segnato un rigore sfondando la rete e i tifosi hanno iniziato a gridare “Troué ! Troué !” (“L’ha rotta! L’ha rotta!”). Mokuna giocherà due stagioni in Portogallo, poi tornerà al Vita e ripartirà per il Belgio. Apre così la strada alla partenza di Julien Kialunda, “il Puskas di Leopoldville”, e soprattutto Paul Bonga Bonga, che si trasferisce allo Standard Liegi, per una cifra che ancora adesso non conosce, e diventa il primo congolese a giocare in Coppa dei Campioni. Segna anche al debutto assoluto nel 5-1 dei belgi all’Hearts of Midlothian il 3 settembre 1958. Lo Standard batterà lo Sporting Lisbona e si fermerà solo nei quarti contro i francesi del Reims, che perderanno a Stoccarda la finale contro il Real Madrid. E proprio alle Merengues è legato il ricordo più bello e il momento più alto della carriera di Bonga Bonga, che gioca da titolare tutte le partite della Coppa Campioni 1961-62. Prima della pausa invernale, i belgi strapazzano i norvegesi del Fredrikstad FK of Norway (4-1 complessivo) e i finlandesi del Valkeakosken Haka (7-1 nel computo della doppia sfida). Il 7 febbraio 1962, battono in casa i Glasgow Rangers per 4-1, difendono il vantaggio
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in Scozia e si qualificano per la semifinale di fronte al Real cinque volte campione in carica. L’atmosfera al Bernabeu è magica e opprimente insieme. Ci sono 100 mila spettatori a sostenere Di Stefano, Kubala, Puskas, Gento e le stelle dei Galacticos ante-litteram. Finisce 4-0 per il Real, ma Bonga Bonga conserva ancora le foto e i ritagli di giornale di quella indimenticabile giornata. È un momento di svolta anche per il calcio congolese2. Dopo l’indipendenza dal Belgio, infatti, il maresciallo Mobutu si convince di avere una sola strada per migliorare la nazionale e portare un po’ di unità nella sua nazione: richiamare i giocatori che erano andati a giocare in Belgio, i “Belgicains”. L’ispirazione gli arriva dal Ghana. Il presidente Kwame Nkrumah ha guadagnato molto in popolarità grazie al doppio trionfo della nazionale in Coppa d’Africa nel 1963 e 1965. Poi, quando vede i suoi Leopardi perdere in casa 3-0 contro i ghanesi nel 1966, Mobutu capisce che non ha tempo da perdere. Chiama allora un tecnico straniero, l’ungherese Ferenc Csanadi, che va a scoprire talenti anche negli angoli più remoti del Congo. Trova Kidumu a Thysville e Tshimanga a Kipushi, trasforma Mungamuni, un destro naturale, nell’ala sinistra della squadra e riesce a creare una perfetta alchimia tra i talenti locali e i professionisti passati nel campionato belga. “Vi ho chiamati” spiega ai giocatori richiamati dal Belgio, “con il solo obiettivo di formare una nazionale all’altezza di questo Paese. Dobbiamo tutti, ognuno nel suo campo, fare il massimo per difendere il prestigio della nazione. E per me lo sport è importante tanto quanto l’economia”. È il primo passo della “zairinizzazione”, che procederà nel ‘73 con la nazionalizzazione delle industrie straniere. Un processo che prevede anche l’eliminazione di tutti i nomi francofoni, a cominciare dal suo: via il nome di battesimo Joseph-Désiré, da quel momento si farà chiamare Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga, letteralmente “Mobutu il guerriero che va di vittoria in vittoria senza che nessuno possa fermarlo”. Nel 1967 i Leopardi affrontano in amichevole la Romania e Mobutu chiama per un tour nel Paese il grande Santos di Pelè. Un anno dopo, si qualificano per la Coppa d’Africa in Etiopia. Batteranno i padroni di casa in semifinale e il Ghana in finale. Il gran gol di Kalala allo stadio Haile-Selassie di Addis Abbeba consegna ai Leopar2 Per la storia di Bonga Bonga cfr. C.Onwumechili, G.Akindes Identity and Nation in African Football: Fans, Community and Clubs, Palgrave Macmillan, 2014, pp.255-260
di la prima Coppa d’Africa della sua storia in una stagione trionfale per il calcio congolese con l’Englebert Mazembe campione continentale per club. Alla fine del suo contratto, nel 1970, Csanadi torna in patria e porterà il Ferencvaros alla semifinale di Coppa Uefa nel 1972. Ma la passione per i commissari tecnici stranieri in Congo, che ha cambiato denominazione in Zaire e ha tentato invano di iscriversi alle qualificazioni per i Mondiali di Messico ‘70. Dopo Csanadi, i Leopardi si affidano al macedone Blagoje Vidinic. È stato uno dei migliori portieri della sua gemerazione, con la Jugoslavia ha vinto l’argento olimpico a Melbourne ‘56, l’oro a Roma quattro anni dopo e ha giocato la prima finale nella storia dei campionati europei contro l’Unione Sovietica di Jascin. Ma respinge male il tiro di Valentin Bubikin e permette ai sovietici di pareggiare con Slava Metreveli, prima del 2-1 ai supplementari. Nel 1967 parte con almeno altri 25 jugoslavi alla conquista dell’America, dove è appena nata la North American Soccer League. Gioca con la franchigia dei Toros, prima a Los Angeles, poi a San Diego, e finisce la carriera con i St Louis Stars dove tutti lo chiamano Barney, ma subisce 35 gol in 23 partite. Niente di memorabile, dunque. Terminata la carriera nordamericana, si ritrova ad allenare la nazionale del Marocco. Come ci arriva non è chiarissimo, ma è probabile che abbia fatto da intermediario Bob Kap (Božidar Kapušto), che in America ricordano soprattutto per aver cambiato il modo di calciare nel football americano. Andato anche lui ad allenare in America, nel 1968 Kap ha portato i suoi Dallas Tornado in giro per un improbabile tour mondiale che ha toccato anche il Marocco. È una scelta che cambia per sempre la vita di Vidinic. Porta il Marocco a Messico ‘70, prima nazionale africana ai Mondiali dopo l’Egitto nel ‘34. E nella prima partita arriva all’intervallo in vantaggio 1-0 contro la Germania Ovest grazie al gol di Houmane Jarir: nella ripresa i tedeschi rimontano con Uwe Seeler e il solito Gerd Muller, ma il dado è tratto. Si capisce subito che quello non è un caso. Nella seconda giornata il Marocco tiene in scacco per oltre un’ora il Peru di Teofilo Cubillas e torna a casa con il primo punto mondiale della sua storia, grazie all’1-1 finale con la Bulgaria. Un risultato storico, reso possibile anche grazie all’Adidas, che ha spedito scatoloni di maglie e di scarpe come parte di una strategia di globalizzazione del brand, da allora sponsor ufficiale di tutte le edizioni della Coppa del mondo. Prima di partire per Città del
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Messico. Vidinic incontra il fondatore Horst Dassler che gli dice: “Da adesso le nostre famiglie dovranno essere amiche”3. Vidinic accetta poi una seconda scommessa, lo Zaire. Mobutu ha instaurato il suo regime dittatoriale e la nazionale partecipa del suo culto della personalità. Il presidente è famoso per il copricapo di pelle di leopardo, da cui il soprannome di Leopardi per la nazionale. Vidinic non riesce a difendere il titolo in Coppa d’Africa nel 1972, raggiunge solo il quarto posto dopo un’epica semifinale persa 4-3 contro il Mali. Il meglio, però, deve ancora venire. Il 9 dicembre 1973 a Kinshasa si gioca la qualificazione ai Mondiali di Germania. Il destino vuole che di fronte ci sia proprio il Marocco, con cui avevano pareggiato 1-1 due anni prima in Coppa d’Africa. Il Marocco ha due punti dopo due partite, ha perso 4-0 in Zambia ma due settimane prima ha vinto 2-0 la gara di ritorno a Tetouan. Lo Zaire ha battuto lo Zambia, a quel punto eliminato, in casa e fuori. Con una vittoria a Kinshasa, i Leopardi sarebbero certi di andare ai Mondiali. Il quotidiano di Kinshasa Salongo esce quella mattina con cinque foto dei Leopardi in prima pagina e un titolo forte, è quello lo stile del giornale: “L’escadrille della morte”, “La squadra della morte”4. A Kinshasa lo stadio non è pieno, di più. I dati ufficiali parlano di 8 mila spettatori, ma è probabile che ce ne fossero più di 20 mila. I nordafricani hanno una strategia chiara: chiudere gli spazi, aspettare nella propria metà campo e provare a ripartire appena possibile. Col passare dei minuti, però, i Leopardi si fanno decisamente più aggressivi. Ne fa le spese Ahmed Faras, fondamentale centrocampista della nazionale marocchina, costretto a uscire per infortunio. Nella ripresa, lo Zaire attacca a testa bassa e va in vantaggio dopo una mischia davanti alla porta conclusa con il tocco vincente di Kembo Uba Kembo: l’arbitro ghanese (CHI) convalida nonostante le proteste dei marocchini convinti che l’azione sia viziata da un fallo sul portiere Ahmed Belkouchi. 3 T.Dunmore The Curious Career of Blagoje Vidinić: Bribes, Bank Notes and Balls, Pitch Invasion, 2011 [URL: http://pitchinvasion.net/blog/2011/10/26/the-curious-careerof-blagoje-vidinic-bribes-bank-notes-and-balls/] 4 P.Dietschy Football Imagery and colonial legacy: Zaire’s disastrous campaign during the 1974 World Cup in S.Baller, G.Miescher, C.Rassool, “Global Perspectives on Football in Africa: Visualising the Game”, Routledge, 2013, p.89
Tre minuti dopo Kembo raddoppia, e fa onore al soprannome con cui è noto al V Club, la squadra più celebre di Kinshasa: “Monsieur But”, “Signor gol”. Kembo è una star non solo sportiva all’epoca in Congo. È uno dei primi in tutta la nazione a far uso di prodotti cosmetici per il viso, e radio e giornali si appassionano per la sua presunta rivalità amorosa con Siongo Bavon Marie-Marie, chitarrista dell’orchestra Négro-Succès5. In un curioso incrocio di destini suo figlio, Jirès Kembo Ekoko, andrà a giocare in Francia, al Rennes, e in Ligue 1 incrocerà Rio Mavuba, il cui padre, Ricky, era stato compagno di squadra di “Monsieur But” a Kinshasa. Anche Kembo deve uscire per infortunio contro il Marocco, ed è proprio il suo sostituto Ekofa Mbungu a firmare il 3-0 che vale un posto nella storia per i Leopardi, la prima nazionale dell’Africa subsahariana in Coppa del Mondo. Il giorno dopo il quotidiano Salongo in prima pagina celebra Mobutu, che era in viaggio privato a Parigi, per quel risultato. Il presidente promette a tutti i giocatori una casa e 15 giorni di vacanza6. Non c’è modo migliore per prepararsi alla Coppa d’Africa. LA COPPA D’AFRICA 1974 L’edizione 1974 si gioca in Egitto, che ha perso pochi mesi prima la guerra del Kippur, anche se ha evitato la disfatta soprattutto grazie all’intervento di Henry Kissinger. Francesco De Gregori, nell’album omonimo uscito proprio a febbraio del 1974 (l’album “della pecora”, chiamato così per la copertina disegnata da Gordon Fagetter) ne cerca un altro di Egitto, in un sogno onirico in cui si mescolano violenze del passato e del presente, incubi di morte tra il terzo reparto celere e grandi gelaterie di lampone che fumano lente. Una violenza che segna la vigilia della manifestazione, e non è certo di buon auspicio. Il 17 febbraio lo Zamalek, la squadra più titolata d’Egitto, ha organizzato nel suo stadio un’amichevole con i vicecampioni di Cecoslovacchia, il Dukla Praga, squadra dal passato illustre che ha vinto 7 scudetti tra il 1956 e il 1966. L’impianto può contenere al massimo 40 mila spettatori ma ce ne sono non meno di 80 mila che pressano finché i cancelli finiscono per crollare sotto il peso dei tifosi che si ac5 B.Kalome Jean Pépé Kembo « Monsieur But »: Dernier coup de sifflet, Afriquechos.ch, 3 aprile 2007 [URL: http://www.afriquechos.ch/spip.php?article2089] 6 Dietschy, op.cit.
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calcano. In 48 moriranno schiacciati dalla folla. I Faraoni hanno grandi aspettative: sono arrivati terzi nel 1970, non hanno disputato l’edizione del 1972, vinta dal Congo, e per tentare di vincere in casa si sono affidati a Dettmar Cramer, detto “il Professore” o anche “Napoleone”, l’uomo che ha fatto nascere il calcio in Giappone. Modesto centrocampista al Germania Wiesbaden e al Viktoria Dortmund, luogotenente di una divisione paracadutisti durante la Seconda guerra mondiale, ha lavorato come coach e talent scout per la federazione tedesca dal 1948. Dopo aver lavorato sotto Sepp Herberger, l’architetto del Miracolo di Berna, viene chiamato in Giappone all’inizio degli anni ‘60, in preparazione delle Olimpiadi di Tokyo. I nipponici, che mai si erano qualificati né per i Mondiali né per i campionati asiatici, battono l’Argentina 3-2, con doppietta del futuro presidente federale Saburo Kawabuchi, e riescono a passare ai quarti di finale, fermati però 4-0 dalla Cecoslovacchia, che aveva già eliminato il Brasile. “Il calcio è questione di tempo e di spazio” diceva Cramer, che dopo il sesto posto di Tokyo spinge per creare un campionato, la Japan Soccer League, che nasce nel 1965. E tre anni dopo, a Cità del Messico, arriva il capolavoro, il bronzo olimpico: il Giappone batte Francia, Nigeria e Messico e riesce a pareggiare con Spagna e Brasile. È un trionfo, che prosegue nel ‘69, quando va a insegnare nella prima scuola per allenatori della FIFA nella prefettura di Chiba. “Ho un pessimo carattere” ha ammesso Cramer, che prima di diventare allenatore è stato per sei mesi responsabile dei programmi sportivi della tv pubblica tedesca ZDF. “Dai giapponesi ho imparato la pazienza”7. Pazienza che mette a frutto in quel 1974. Dopo la Coppa d’Africa, infatti, sarà l’assistente di Helmut Schon sulla panchina della Germania al Mondiale. E Beckenbauer lo vorrà, di fatto, come allenatore del Bayern Monaco che ha appena licenziato a sorpresa Udo Lattek dopo il successo in Coppa Campioni. I due si conoscono dal ‘63, quando Cramer ha praticamente salvato la carriera internazionale del Kaiser, escluso dalla nazionale giovanile perché aveva messo incinta la fidanzata e non voleva sposarla. Al Bayern vincerà due coppe dei campioni di fila, compresa la contestata finale di Parigi contro il Leeds, con i tifosi infuriati per i due rigori negati e il gol annullato a Peter Lorimer per un fuorigioco di Bil7 M.Hudson Dettmar Cramer: the football professor, In bed with Maradona, 17 ottobre 2011 [URL: http://inbedwithmaradona.com/journal/2011/10/17/dettmarcramer-the-football-professor.html]
ly Bremner. Ma nonostante una clamorosa rimonta da 0-4 a 6-5 contro il Bochum, verrà esonerato nel ‘77 dopo cinque sconfitte di fila. Cramer, che ha ricevuto due cattedre onorarie, la medaglia al merito della Germania, e il titolo di capo tribù Mohawk e Sioux, allenerà l’Al-Ittihad, la Corea del Sud under 23, l’Aris Salonicco, le nazionali di Malaysia e Thailandia e il Bayer Leverkusen, che porterà per la prima volta nella sua storia in top-9 in Bundesliga. “Sono multimilionario” ha scherzato qualche tempo fa, “ma in miglia aeree, non in euro”. Il suo Egitto è qualificato di diritto alla Coppa d’Africa del 1974, che vede il debutto delle Mauritius. Sono entrate a sorpresa anche Zambia e Uganda, che hanno eliminato Nigeria e Algeria, e sono rimaste fuori Etiopia, Sudan e Ghana. Il primo marzo, l’Egitto apre la manifestazione: batte 2-1 l’Uganda al Cairo, segnano Khalil e l’attaccante simbolo dei Faraoni, Ali Abougreisha, esponente di una delle più potenti famiglie sportive d’Egitto. Negli anni ‘30 e ‘40 c’erano sei fratelli Abougreisha nell’Ismaili e uno di loro, Said, ha guidato da allenatore la squadra al primo scudetto, nel 1967. Sarà proprio Ali Abougreisha, secondo nella prima edizione del Pallone d’oro africano (1970), e inserito a fine torneo nella top-11 della manifestazione, a segnare il gol che porta l’Egitto in semifinale, nel 3-1 allo Zambia, che passa come secondo dopo aver battuto 1-0 la Costa d’Avorio e 2-0 l’Uganda. Nel gruppo B, Congo e Zaire si ritrovano di fronte per la terza volta in quattro edizioni. Lo Zaire ha vinto due volte, e conquistato il titolo sei anni prima. Il Congo, però, è la nazionale campione in carica, e si può fregiare di uno dei migliori calciatori del continente, il difensore Gabriel Dengaki, che ancora lamenta la differenza di trattamento e di premi rispetto ai giocatori dello Zaire per il successo in Coppa d’Africa. Longilineo e abilissimo nei colpi di testa, Dengaki vincerà quell’estate la Coppa Campioni d’Africa con una squadra egiziana, il CARA, nel derby di finale contro il Melhalla, dopo aver segnato due gol in semifinale ai senegalesi del Jeanne d’Arc di Dakar. I Diavoli Rossi vinceranno 2-1 il derby, a Alessandria, ma i Leopardi, che hanno in squadra anche il fenomenale Tshimen Bwanga, votato giocatore del secolo della Repubblica Democratica del Congo dalla federazione di storia e statistiche del calcio, passeranno comunque come secondi grazie al 2-1 sulla Guinea e al 4-1 alle Mauritius. Nelle prime tre partite, segna 3 volte Mulamba, il bomber della nazionale, che ha ottenuto un posto nel servizio informatico del palazzo presidenziale, un lavoro che
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gli consente di avere una certa sicurezza economica e il tempo di allenarsi8. Lo chiamano Mutumbula, un malvivente che terrorizzava la città in quel periodo, o Mustang, o Volvo. Di nome fa Pierre, ma tutti lo conoscono, per effetto della nazionalizzazione dell’onomastica, come Ndaye. Nel 1973 ha trascinato l’AS Vita al titolo in coppa di Zaire, segnando gli ultimi 7 gol in finale nell’8-1 al Lupopo di Lubumbashi, e in Coppa d’Africa per club, dopo la vittoria thrilling sui Leopards di Douala, campioni del Camerun (dopo il 3-0 in casa, il Vita era sotto 0-3 fuori ma si qualifica grazie al gol di Kibonge a sette secondi dalla fine), e la rimonta in finale sui ghanesi dell’Asante Kotoko, una delle squadre migliori del continente. L’Egitto, guidato in campo da Hassan Shehata, che di coppe d’Africa ne vincerà tre poi da allenatore ed è una delle principali figure nella storia calcistica dei Faraoni, inizia come meglio non potrebbe la semifinale. L’autorete di Mwepu apre le marcature prima dell’intervallo e al 54’ Abougreisha raddoppia. Ma la partita non è affatto finita. Anzi. Passa un minuto e lo Zaire accorcia. Un cross dalla destra trova Ndaye al limite dell’area piccola, spalle alla porta: Mutumbula controlla col destro in torsione e anticipa l’uscita del portiere, che si prende anche qualche urlaccio di Mohammed Gaafar, peraltro un po’ in ritardo nella marcatura. I Leopardi sono ancora in partita, e dopo 6’ pareggiano, con la gentile collaborazione della difesa dei Faraoni che si fanno sorprendere da un lancio di oltre 40 metri, partito dal cerchio di centrocampo, che rimbalza a centro area dove Kigumu di testa anticipa il suo marcatore e il portiere Hassan Orabi. Passano altri 10 minuti e la rimonta è completa. Stavolta l’azione è più manovrata, c’è un tocco filtrante per Ndaye che lascia scorrere e dal vertice destro dell’area piccola incrocia nell’angolo alto più lontano: 3-2. Lo Zaire è in finale. Affronterà lo Zambia, che evita il ripetersi del derby contro il Congo Brazzaville, piegato 4-2 ai supplementari dalla tripletta di Bernard Chanda, quarto marcatore di tutti i tempi in nazionale dietro Godfrey Chitalu, capace di 107 gol nella stagione 1972 ma non sempre titolare con il ct Ante Buselic, Alex Chola e Kalusha Bwalya, l’uomo-simbolo della disfatta azzurra a Seoul 1988. Il capitano di quella nazionale, all’esordio in coppa d’Africa, è uno dei migliori difensori della nazione, Dickson Makwaza, votato Sportivo dell’Anno in Zambia nel 1973. 8 C.Raynaud La mort m’attendra, Calmann-Levy, 2010
Lo chiamano “Filo spinato” per la solidità difensiva, eppure ha iniziato a giocare a calcio da ala destra quando frequentava la Namwianga Secondary School. Ci sono 50 mila spettatori allo stadio Nasser del Cairo per la finale. Al 40’ l’equilibrio si rompe: segna Simon Kaushi, uno dei migliori calciatori dello Zambia della sua generazione, stella Mufulira Blackpool che era stato espulso nella partita contro la Costa d’Avorio. Al 65’ Ndaye pareggia e porta la partita ai supplementari. È sempre lui che a 3’ dalla fine, firma il 2-1. Sembra fatta per i Leopardi, ma all’ultimo respiro l’urlo di Brighton Sinyangwe riecheggia in tutta la nazione. È 2-2, è un pezzo di storia: perché i rigori non sono ancora stati introdotti, e quella rimane la prima e unica finale ripetuta nella storia della manifestazione. Si torna in campo dopo due giorni, all’International Stadium del Cairo. Stavolta i tifosi sugli spalti non arrivano al migliaio, ma chi c’è quel giorno assiste al formarsi di una leggenda. Minuto 36: un centrocampista intercetta il rinvio del portiere dello Zambia, Mwape, e fa filtrare per Ndaye che controlla in velocità col destro al limite dell’area, supera un difensore e di sinistro anticipa l’uscita di Mwape. 1-0. Minuto 72: Mayanga appoggia ancora per Ndaye, che se la porta avanti col destro e anche se la palla gli resta un po’ sotto nel primo controllo si coordina per la conclusione vincente sul primo palo. Ha segnato 9 gol in una sola edizione della Coppa d’Africa: nessuno aveva mai fatto meglio. E nessuno riuscirà a far meglio nemmeno dopo. IL MONDIALE Una foto di quella partita campeggia sulla prima pagina dell’edizione africana di France Football qualche mese dopo. Si vede Mwepu che affronta con un tackle deciso Chanda, con Mavuba “senior” poco distante. È il numero che presenta gli imminenti Mondiali di Germania. I Leopardi sono inseriti nel girone con Jugoslavia, Scozia e Brasile. Il titolo non lascia molto spazio all’ottimismo: “Zaire, dalla fiducia alla disperazione”. Per il giornalista JeanPaul Odot lo Zaire, “benché allenato da un ct europeo non cerca di imitare le nazionali del Vecchio Continente. Ricerca una qualità specifica, tipica della politica della nazione. L’era dell’autenticità zairiana richiede questo processo. Ma se le cose sembrano funzionare dal punto di vista ideologico, lo stesso non può dirsi per l’aspetto calcistico. Que-
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sto sport, che rimane un dominio sostanzialmente europeo, richiede condizione atletica, spirito di squadra e combattività, doti che sono mancate allo Zaire nelle partite di preparazione”9. La nazionale di Vidinic si presenta in Germania con una nuova maglia firmata dall’Adidas: sul petto, in un cerchio, compare un leopardo che tiene un pallone tra le zampe. L’accordo è figlio dell’antico rapporto fra Vidinic e Horst Dassler, che nel giugno 1974 si fa molto più profondo. Due giorni prima dell’inizio del Mondiale, il ct dei Leopardi è a Francoforte per incontrare il fondatore dell’Adidas. In Germania, infatti, si vota anche per la presidenza della FIFA e Dassler sostiene la rielezione del britannico Sir Stanley Rous, al vertice della federazione internazionale dal 1971. Si conoscono da almeno 10 anni, da quando l’ex maestro era segretario della Football Association inglese. Ma la candidatura di Joao Havelange, convocato nella nazionale di pallanuoto a Berlino 1936, nel CIO dal 1963, è forte: ha visitato 82 nazioni nei mesi precedenti, ha tutto il Sudamerica dalla sua parte e ha promesso di allargare la Coppa del Mondo a 24 squadre. Una proposta allettante, alla vigilia del primo Mondiale davvero globale, con tutti i continenti rappresentati vista la qualificazione dell’Australia. Dassler non lo sostiene anche perché anni prima ha rifiutato la sua proposta di sponsorizzare tutte le nazionali brasiliane. Ma le federazioni africane sono dalla parte di Havelange, e secondo quanto ha scritto Andrew Jennings, Vidinic avrebbe oliato la corsa del brasiliano con fascette di soldi. “Qui c’è il numero della stanza di Havelange” dice a Dassler il giorno prima delle elezioni. “Digli che eri dalla parte di Rous ma sei stato sconfitto e che da questo momento sei a sua disposizione”. Havelange vince le elezioni e il giorno dopo incontra Dassler e il guru del marketing Patrick McNally. Inizia la rivoluzione multinazionale del calcio: da allora è fornitore ufficiale della Coppa del Mondo10. All’esordio assoluto in un Mondiale, i Leopardi giocano una partita tutt’altro che disprezzabile contro la Scozia del ct Willie Ormond. Nel match, si legge nello studio tecnico della FIFA sul torneo, i giocatori dello Zaire hanno mostrato buone qualità nel dribbling e capacità di chiudere gli spazi a centrocampo. Hanno anche creato qualche chance da rete, soprattutto con capitan Kidumu e il centro9 Dietschy, op.cit. 10 B.Smit Pitch Invasion: Adidas, Puma and the Making of Modern Sport, Penguin UK, 2007.
campista Mayanga Maku. Alla fine il bilancio sarà di 24 tiri a 7 per gli scozzesi, che vincono 2-0. Apre Peter Lorimer, la bandiera del Leeds di Don Revie, che ha giocato 14 stagioni con la maglia numero 7 dei Liliwhites, freschi del primo scudetto nella loro storia dopo una serie di 29 partite consecutive senza sconfitte in Premier Division. Chiude Jordan, e le parate di Kazadi fanno il resto. Ma con la Jugoslavia, è tutta un’altra musica. “Eravamo esausti, non eravamo calciatori a tempo pieno, dovevamo anche lavorare per vivere” ha detto Etepe, che tre anni dopo andrà a Stoccarda con un impiego in Mercedes e un posto nella squadra riserve, in un’intervista pubblicata sul sito ufficiale della FIFA11. In quel Mondiale di prime volte, che ha visto anche il primo cartellino rosso al cileno Carlos Caszely, accusato in patria di averlo preso apposta perché di dichiarate simpatie comuniste e oppositore di Pinochet (sarà tra i principali volti della campagna per il no al referendum del 1989 che decreterà la fine della dittatura), quella partita passa alla storia. Per il 9-0 finale, che è il punteggio più largo in Coppa del Mondo insieme al 10-1 in Ungheria-El Salvador di otto anni dopo. E per la scelta di Vidinic, accusato anche di “vendere” segreti nazionali ai suoi connazionali, di sostituire Kazadi con il portiere di riserva Tubilandu Ndimbi, con la squadra sotto di 3 gol, prima della punizione che darà il 4-0 agli slavi. Solo il giorno dopo, Vidinic spiegherà ai giocatori che glielo aveva chiesto Lockwa, il rappresentante del ministero dello sport. Subito dopo la punizione, l’arbitro sente un calcio al polpaccio da parte di un calciatore dello Zaire. I Leopardi stanno protestando per un fuorigioco non segnalato nell’azione precedente. L’arbitro si volta ed espelle Ndaye, che però non ha fatto assolutamente nulla. A colpire l’arbitro è stato Ilunga Mwepu, che lo dice anche al direttore di gara: “Sono stato io, non lui”. Ma non cambia idea. “Dal comportamento dell’arbitro” dirà Ndaye anni dopo, “lo capivi subito che non riusciva a distinguerci. Per lui, e non solo, noi neri eravamo tutti uguali”. L’errore dell’arbitro consente a Mwepu di essere in campo anche contro quello che per molti è il Brasile più forte di tutti i tempi. Ai verdeoro, la squadra dei numeri 10, servono tre gol per eliminare la Scozia. E tre gol arrivano, ma non è il 3-0 finale che trasforma quella partita in un classico, è 11 Etepe reflects on Zaire’s 1974 adventure, FIFA.com, 22 giugno 2014
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una punizione per i verdeoro, una delle più viste e conosciute come la palombella di Maradona a Tacconi il mancino di Roberto Carlos alla Francia. Eppure qui nessuno segna. Nell’attesa della battuta, Mwepu all’improvviso esce dalla barriera e calcia la palla lontanissimo nell’altra metà campo. In quel momento nessuno capisce esattamente perché. Per qualcuno, gli avevano insegnato agli africani che se una punizione non viene battuta nel giro di tre secondi, la palla torna a disposizione di tutti. Ma non basta come spiegazione. Quel gesto non è la furbizia di un conoscitore delle sottigliezze del gioco. È un gesto disperato. Perché Mobutu, che ha tassato i cittadini per mandare la squadra in Germania, ha minacciato tutti i giocatori: se ne prendete più di tre dal Brasile, è meglio che non tornate in patria. Il ct jugoslavo è sempre più odiato dal maresciallo anche perché con la sua gestione autoritaria non avrebbe lasciato via libera agli stregoni che Mobutu aveva spedito insieme alla squadra12. In più, i premi promessi per la partecipazione (una casa a Salongo, una Volkswagen Passat e 100 mila dollari da dividere) sono misteriosamente spariti. E a quanto pare usati per pagare Mohammad Ali e George Foreman, protagonisti della nuova attrazione pensata e voluta da Mobutu per migliorare l’immagine del Paese nel mondo. Un Paese che dimentica gli eroi della Coppa d’Africa e si ubriaca delle luci effimere di Rumble in the Jungle, come racconta Giovanni Arpino sulla Stampa13. Tappezzata di manifesti in cui Mobutu alza le mani dei due avversari, sdraiata per cinquanta chilometri di casupole e grattacieli, officine e tetti di lamiera, la metropoli zairese cova il suo gioiello. E Ali la eccita con rappresentazioni incredibili: per esigenze televisive, ieri sera è stata organizzata una finta operazione del “peso”, e diecimila persone, tra suoni di tamburi e chitarre elettriche, hanno potuto rendere omaggio a Muhamad ilare e arrogante come
nei giorni migliori. (…) Può darsi che il presidente Mobutu, in uno dei suoi improvvisi annunci, decida mercoledì, dopo l’incontro, che la giornata sia di festa nazionale. Lo Zaire è abituato a queste mosse, soprattutto da quando l’uomo politico ha abolito il Natale con un tratto di penna per riservare le celebrazioni necessarie solo a date che si legano alla sua vita e allo sviluppo della Repubblica. Nella sua ricerca di una “autenticità” che sia capace di collegare gli antichi costumi carichi, l’immenso territorio della Repubblica. Kinshasa, secondo i piani, dovrebbe diventare nel giro di pochi anni una città modello, e le imprese industriali dovranno mutare il volto d’un Paese spesso contraddittorio, per distribuzione delle ricchezze e per risorse naturali non ancora sfruttate (dal petrolio all’energia elettrica, ai diamanti). Il Presidente ha subito intuito come l’incontro tra Ali e Foreman potesse fornirgli un palcoscenico di straordinaria luminosità. (…) Il “prima” di Ali e il “dopo” Ali si incontrano, nel Paese dei leopardi. Il dopo, però, è tristemente identico al prima. Le luci si spengono, il palcoscenico si sposta, se ne va anche James Brown che ha cantato gratis come evento collaterale all’incontro per il mondiale dei massimi, e non cambia niente. Gli eroi della Coppa d’Africa, i primi subsahariani in Coppa del Mondo finiscono presto dimenticati. Vent’anni dopo, nel 1994, la CAF si ricorda di Ndaye e lo omaggia con una medaglia in una cerimonia a Tunisi. Ma al ritorno in patria, Mutumbula trova ad accoglierlo un gruppo di soldati che gli spara, convinto che portasse con sé una grossa somma di denaro. Quattro anni dopo, la radio Voix du Congo annuncia la sua morte. In realtà Ndaye è ancora vivo, ma sopravvive senza casa e senza un soldo in Sudafrica. “Durante i giorni di gloria” ha ammesso amaramente, “sono tutti pronti ad esaltarti. Poi, quando le luci si spengono, ti dimenticano subito. In questi termini si potrebbe scrivere la storia di tutta l’Africa”.
12 Dietschy, op.cit. 13 G.Arpino A Kinshasa il re si chiama Ali, La Stampa, 29 ottobre 1974, p.3
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Le magie del Camerun di Milla
L
di Federico Greco
a sorte ha voluto che il 15 giugno 1982, giorno del debutto nel calcio che conta davvero, il Camerun debba affrontare il Perù. Un assist per la redazione de La Stampa che con sapiente ironia coloniale individua i veri primattori del match: gli “stregoni, che [da ambo le parti] stanno combattendo una battaglia a colpi di spilloni e filtri magici contro il malocchio e i rispettivi nemici”. Il 18 giugno 1990 su L’Unità si parla ancora di Gris-Gris, stregoni e marabuti, a margine delle incredibili imprese che la nazionale camerunense sta compiendo nel Mondiale italiano, ma sembra solo folklore giornalistico teso ad alimentare la sottocultura da rotocalco. I veri maghi sono i giocatori, che dopo otto anni di successi in Africa sono pronti a regalarsi un sogno grande quanto il mondo. Tutto ha inizio un po’ prima dell’incontro di La Coruña con il Perù. Solo un’altra squadra dell’Africa subsahariana si è qualificata per la fase finale di una Coppa del Mondo prima del 1982: lo Zaire nel 1974 ed è finita malissimo. Dal Mondiale spagnolo la Confederazione Africana ha due posti a disposizione, ma la nazionale del Camerun non è certo tra le favorite. In venti anni di attività è arrivato solo un terzo posto nella Coppa d’Africa del 1972, in cui faceva gli onori di casa (e questo si sa che aiuta). Il fatto è che la rosa dei verdi ha qualcosa che permette loro di battere nettamente le avversarie nelle qualificazioni e di ben sperare per il futuro. Qualcosa che gli zairesi, nel 1974, non avevano: giocatori che militano in Europa, più precisamente in Francia. Tra loro spicca Roger Milla, trentenne attaccante del Bastia, forte fisicamente e dotato di buona tecnica individuale, trascinatore dei suoi nello spareggio col Marocco. Al Riazor, contro il Perù della perla nera Cubillas, Milla si presenta subito con un sinistro da fuori (deviato in angolo dal discusso Quiroga), con un colpo di testa che finisce sul palo e con un gol in-
giustamente annullato per fuorigioco. Il Perù esce alla distanza, ma lo 0-0 non si schioda perché il Camerun è stato ben disposto in campo dal francese Jean Vincent1 e perché in porta c’è un altro giocatore destinato a rimanere nella memoria di tutti: il venticinquenne Thomas N’Kono. A guardarlo, con la sua lunga tuta nera da dopolavoro, sembra uno messo a fare il portiere per caso. Invece, è agilissimo e bravo nelle uscite, anche se a volte esagera. Il Camerun ha già fatto meglio dello Zaire, ma tutti sono pronti a scommettere che contro la Polonia per i simpatici africani ci sarà poco da fare. Invece, Boniek e compagni si devono accontentare di uno 0-0: Lato coglie la traversa, c’è un salvataggio di N’Djeya sulla linea, ma nel finale è Młynarczyk a fare gli straordinari sui tiri di Kunde (centrocampista di quantità che ci accompagnerà a lungo in questa storia), di M’Bida e di Milla. L’1-1 con l’Italia futura campione del mondo vale poi come una vittoria, anche se fa passare il turno solo agli azzurri, per via del gol segnato in più a parità di differenza reti. Il pareggio di M’Bida a un minuto di distanza dalla rete di Graziani e la poca propensione all’attacco dei leoni indomabili nella parte finale del match (nonostante il risultato li svantaggi) sono stati motivi di spunto alcuni anni dopo per un’indagine giornalistica condotta da Oliviero Beha e Roberto Chiodi, che ha suffragato l’ipotesi di un accordo sotto banco in cui era certamente coinvolto Vincent. Ad ogni modo da quel pareggio escono tutti contenti e, mentre l’Italia in silenzio stampa volerà verso una inattesa vittoria, il Camerun torna in patria 1 Nella fase di qualificazione l’allenatore è lo jugoslavo Žutić. La federazione del Camerun lo sostituisce prima dell’inizio del Mondiale con Jean Vincent, ex attaccante della nazionale francese e allenatore del Nantes, alla cui guida ha vinto due scudetti e una Coppa di Francia. Jean Vincent rimarrà in carica solo per il Mondiale e lascerà la panchina da imbattuto (1 vittoria, 4 pareggi)!
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e si gode il bagno di folla per le sue non sconfitte. Adesso c’è un continente su cui far valere personalità ed esperienza maturata nell’avventura spagnola. Nelle tre edizioni della Coppa d’Africa successive a Spagna ‘82 il Camerun ottiene due vittorie e un secondo posto, anche se una inattesa débacle patita a Lusaka contro lo Zambia il 7 aprile 1985, lo costringe a vedere i Mondiali messicani in TV. Il primo trionfo continentale arriva nel 1984. La fase finale è in Costa d’Avorio e sono proprio i camerunensi a far fuori, con un secco 2-0, i padroni di casa nell’ultimo turno del girone eliminatorio. Milla, autore del gol del vantaggio contro gli ivoriani sigla poi uno dei rigori che decidono la semifinale senza reti con l’Algeria di Madjer ed entra nell’azione decisiva della finale. Con la Nigeria la partita è sull’1-1, per i gol di Lawal (solo omonimo dell’ala che propizierà l’autorete di Zubizarreta ai Mondiali del 1998) e di N’Djeya su punizione. Siamo all’79’ quando Théophile Abega parte in azione personale sulla parte destra del campo, chiede e ottiene triangolo con Milla a limite dell’area e batte il portiere Okala. Poi Ebongué sigla il definitivo 3-1 con un gran tiro che s’infila sotto la traversa. Abega, il “dottore”, pallone d’oro africano nel 1984, uno dei più amati in patria e uno dei più rappresentativi tra i leoni indomabili, è anche tra i selezionati per la Coppa d’Africa 1986, ma gioca solo uno spezzone della prima partita, vinta 3-2 con fatica contro il solito ostico Zambia. L’allenatore francese Claude Le Roy, in carica dal 1984, ha iniziato il necessario cambio generazionale dopo l’imprevista eliminazione nella corsa a Messico ‘86. Milla, Kunde e N’Kono sono, però, ancora lì. Roger, in particolare segna quattro gol, che, insieme ai due gol di M’Fede allo Zambia e ai due di Kana Biyik all’Algeria, permettono al Camerun di raggiungere la finale, dove lo attende l’Egitto padrone di casa. Questa volta non porta fortuna né incontrare il paese ospitante, né arrivare ai rigori: l’errore di Kana Biyik al sesto tiro e la realizzazione di Kasem regalano per la terza volta la Coppa d’Africa agli egiziani. I leoni indomabili si rifanno, alla grande, nel 1988. 1-0 all’esordio nel girone, proprio contro l’Egitto e (ovviamente) grazie a un gol di Milla. Seguono due pareggi e l’approdo in semifinale, dove ancora una volta lo aspetta il paese ospitante, che stavolta è il Marocco. A risolvere è il talentuoso Makanaky, an-
cora in versione capello corto, con un “destraccio al volo forse deviato”, come lo si definisce in modo poco lusinghiero nella telecronaca di Telecapodistria. In finale la Nigeria è favorita, ma ci pensa Milla con una sua accelerazione a rompere l’equilibrio. Eboigbe lo falcia appena arrivato in area e Kunde trasforma il rigore, nonostante l’opposizione di Rufai. La formazione che farà miracoli a Italia 90 è quasi pronta: oltre Makanaky anche i difensori Massing e Tataw si sono ritagliati un posto da titolari, mentre i centrocampisti M’Fede, M’Bouh e Kana Biyik lo sono ormai da due anni. Omam Biyik è invece in panchina, a far compagnia a Le Roy. In quel 1988 manca solo N’Kono, che è all’Espanyol da tempo e quell’anno arriverà a un attimo dal conquistare la Coppa UEFA. Chi è, invece, ormai ritenuto superfluo è Le Roy, inaspettatamente allontanato dalla Federazione prima dell’inizio delle Qualificazioni Mondiali. Al suo posto arriva lo sconosciuto sovietico Nepomnyashchy, che, pur rinunciando a un ormai attempato Milla, non fallisce l’obiettivo. Il “vecchio” leone ha, infatti, deciso di lasciare il campionato francese dopo dodici anni e di prendersi una vacanza nell’isola di Réunion, dove gioca con la Jeunesse Sportif Saint-Pierruase. Poco prima dei Mondiali, però, una telefonata del presidente Biya obbliga praticamente Nepomnyashchy ad aggregarlo alla rosa dei partenti. Sembra un’operazione nostalgia. Non lo sarà2. Anche Thomas N’Kono è dato per panchinaro, a vantaggio di Bell, titolare nelle ultime due Coppe d’Africa. E, invece, l’altro “ambasciatore del Camerun”, a dispetto anche del suo numero 16 sulla maglia, lo ritroviamo titolare contro l’Argentina campione del mondo il giorno in cui a San Siro inizia il Mondiale italiano. Milla entra in campo solo all’82’, perché Vautrot, il principe dei fischietti servili, si adegua subito alle nuove direttive diramate da Blatter ed espelle Kana Biyik a inizio ripresa per un fallo da dietro, ma non da ultimo uomo, su Caniggia. Prima della fine i leoni indomabili rimangono addirittura in nove per un altro abbattimento di Caniggia ad opera stavolta di Massing, ma -quel che più conta- vanno in gol grazie a Omam Biyik, che sale in cielo e schiaccia di testa, e grazie a Neri Alberto Pumpido, che vede sbattere la palla sul suo ginocchio e finire in rete. 2 Cfr. Nicola Sbetti Roger Milla e il presidente, Pianeta Sport, n° 0, Giugno 2010, pag. 110-111
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Con la Romania, al caldo del pomeriggio barese, il mondo rivede lo N’Kono di un tempo, bravo sulle punizioni di Hagi, ma sempre approssimativo nelle uscite. Per il resto sembra una partita incanalata verso lo 0-0, quando entra Roger Milla. Il trentottenne attaccante rincorre un pallone al limite dell’area di rigore, lo sottrae ad Andone e batte Lung in uscita. Non contento, dieci minuti dopo, fa fuori di nuovo Andone con una finta e manda la palla sotto la traversa. Due prodezze che lo fanno diventare il più anziano marcatore in un Mondiale, due festeggiamenti vicino alla bandierina del corner degni del miglior Juary. Il gol finale di Balint non cambia nulla, il Camerun è già agli ottavi e Nepomnyashchy può permettersi l’omaggio alla sua URSS che sta morendo come nazione e che è già fuori dal Mondiale come squadra. Agli ottavi è Napoli a portare fortuna. La Colombia di Higuita, Valderrama e di Francisco Maturana gioca meglio nel primo tempo, colpisce una traversa con Rincon, ma poi sembra non voler far molto per evitare i rigori, aiutata in questo dall’afa. Così tocca nuovamente a nonno Roger cambiare il verso del match, questa volta nel secondo tempo supplementare. Una scatto breve a limite dell’area di rigore, difensori colombiani pizzulianamente “per le terre”, gran sinistro e palla sotto la traversa. Due minuti dopo arriva il raddoppio, paragonabile come impatto ad una schiacciata in faccia all’uomo simbolo della squadra avversaria. Milla, infatti, va a rubare palla a Higuita, salito a ridosso del centro-
campo come sua abitudine, e la deposita nella rete sguarnita. Il gol di Redin serve solo per le statistiche, ai quarti contro l’Inghilterra ci va il Camerun Il sogno sta diventando sempre più grande e al tempo stesso sembra sempre più realizzabile. Il colpo di testa di Platt su cross di Pearce non basta a fermarlo. Il buon primo tempo giocato dai vari Makanaky, M’Fede e Omam Biyick fa da premessa all’entrata del solito immenso Milla, che fa ancora valere la sua classe. Stavolta si procura un rigore che Kunde trasforma (un’accoppiata che era bastata nella finale di Coppa d’Africa due anni prima), poi lancia il subentrato Ekeke, che con un diagonale trafigge Shilton. Il problema è che il calcio voluto da Blatter tende a penalizzare qualsiasi contatto e l’arbitro messicano Codesal è un blatteriano di ferro. Il Camerun ha già beneficiato di questo metro di giudizio, visto che il fallo di Gascoigne su Milla non era poi così netto. Gary Lineker e l’Inghilterra ne beneficiano, invece, due volte: a pochi minuti dal termine per un contatto con Massing e alla fine del primo tempo supplementare per un scontro con N’Kono in uscita. Il buon Gary segna entrambe le volte dal dischetto e porta il risultato sul 3-2 finale. Gli inglesi guadagnano la semifinale di un Mondiale per la prima volta (1966 escluso), l’arbitro messicano si guadagna il diritto di rovinare la finalissima con cognizione di causa, i camerunensi tornano a casa comunque felici, si godono bagni di folla, encomi ufficiali e a Milla viene persino eretta una statua. Le notti magiche sono, però, finite.
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Il Sud Africa oltre l’apartheid
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di Simone Pierotti
elson Mandela scende gli scalini della tribuna d’onore dello stadio di Johannesburg e raggiunge celermente il terreno di gioco. Madiba si avvicina al capitano della nazionale sudafricana, un atleta dalla carnagione chiara e dai capelli biondi, e gli fa scivolare tra le mani il trofeo appena conquistato. No, non sono fotogrammi tratti da «Invictus», la pellicola di Clint Eastwood dedicata al successo del Sudafrica ai Mondiali di rugby del 1995. E nemmeno passaggi del libro di John Carlin, fonte di ispirazione per lo stesso regista americano. Il bianco che afferra la coppa è Neil Tovey, capitano dei Bafana Bafana, la nazionale di calcio. Quella che nel febbraio 1996, pochi mesi dopo il trionfo nella palla ovale, levò verso il cielo di Johannesburg la Coppa d’Africa. Una vittoria (colpevolmente) assai meno reclamizzata di quella degli Springboks eppure altrettanto meritevole di essere narrata. Vale la pena spendere qualche riga sulle vicissitudini del calcio sudafricano prima dell’appuntamento con la storia. La segregazione razziale era talmente radicata che negli anni Trenta del Novecento operavano addirittura quattro federazione diverse in rappresentanza di altrettanti gruppi etnici. In precedenza la South African Football Association era già stata affiliata alla Fifa nel 1910, salvo poi uscirne quattordici anni dopo. Ma è successivamente alla Seconda guerra mondiale che il Sudafrica sconta pesantemente il regime dell’apartheid. Nel 1951 le tre federazioni escluse dall’èlite dei bianchi si uniscono nella South African Soccer Association. Il fatto scredita agli occhi delle autorità calcistiche internazionali la Safa: la neonata Sasf vanta un numero assai maggiore di tesserati rispetto alla Fasa, la federazione dei bianchi. In Sudafrica, in fin dei conti, non esisteva niente di più popolare del pallone e, come racconta Simon Kuper in «Calcio e potere», gli afrikaner e gli inglesi hanno prediletto rispettivamente il rugby e il cricket. Inoltre, pur essendo rappresentato da un proprio delegato al
congresso della Fifa - la Safa era stata riammessa nel 1952 - e pur avendo partecipato alla fondazione della Caf, la confederazione calcistica del Continente Nero, il Paese viene presto escluso dalle principali competizioni. In quegli anni la costituzione sudafricana proibisce che neri e bianchi possano giocare nella stessa nazionale: per gli altri Stati membri è semplicemente inaccettabile. E se sulla mancata partecipazione alla prima Coppa d’Africa nel 1957 permane ancora un alone di mistero - la tesi più probabile parla di squalifica, ma secondo alcune fonti si trattò di una rinuncia volontaria -, non ci sono dubbi su quanto avviene l’anno seguente: il Sudafrica è formalmente sbattuto fuori dalla Caf. La Safa cambia denominazione in Fasa, come la vecchia federazione che si occupava esclusivamente dei sudafricani bianchi, la quale viene tuttavia sospesa dalla Fifa nel 1961. Quindici anni dopo, mentre la polizia soffoca con la violenza le manifestazioni degli studenti neri a Soweto, il principale organo calcistico approva addirittura l’espulsione. Niente Coppa d’Africa, niente qualificazioni ai Mondiali, niente Giochi olimpici: il Sudafrica è cancellato dalla geografia sportiva. Poi, negli anni Novanta, l’impalcatura dell’apartheid principia a sgretolarsi. E da quei calcinacci prende forma una nuova South African Football Association, non più refrattaria al calcio multirazziale e per questo riammessa all’interno della Fifa nel 1991. Dopo una lunga inattività in ambito internazionale, la nazionale dei Bafana Bafana torna così a giocare una partita e il 7 luglio 1992 sconfigge di misura il Camerun in un’amichevole a Durban. Dopo il fiasco delle qualificazioni ai Mondiali americani e alla Coppa d’Africa nello stesso anno, per la Rainbow nation si materializza un’occasione insperata: il Kenya, deputata a organizzare la più importante competizione continentale per squadre nazionali nel 1996, compie un passo indietro per motivi finanziari. In quel periodo prende corpo l’idea che l’Africa sia all’altezza di ospitare in un futuro non troppo remoto i Mondiali: come spiega
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Filippo Maria Ricci nel suo «Elephants, lions and eagles», il Sudafrica appare il candidato più credibile agli occhi di europei e americani, quello più vicino al mondo occidentale. Si tratta di una scommessa, indubbiamente: in pochi mesi le città di Johannesburg, Durban e Port Elizabeth saranno teatro di appassionanti sfide del Mondiale di rugby e della Coppa d’Africa di calcio. Quest’ultima, per giunta, è stata estesa per la prima volta a sedici partecipanti, suddivise in gironi all’italiana da quattro. Al torneo rinuncerà la Nigeria, in passato tra i più fieri oppositori dell’apartheid in Sudafrica, a seguito dello scontro diplomatico tra Mandela e il dittatore militare Sani Abacha. Un’assenza che fa discutere, sia per la caratura della nazionale centrafricana (pochi mesi dopo metterà al collo la storica medaglia d’oro) sia per i disagi arrecati agli organizzatori, impossibilitati a trovare un sostituto e costretti dunque a presentarsi con un raggruppamento - il Girone C - monco con appena tre squadre. Basta leggere i nomi dei convocati dei Bafana Bafana per avere un affresco dei gruppi etnici che popolano il Sudafrica. A difendere i pali c’è Andre Arendse, tra i più noti rappresentanti dei cosiddetti «meticci del Capo», discendenti degli schiavi importati dagli olandesi a cavallo tra 1500 e 1600: una delle sue riserve è Roger De Sá, nato in Mozambico da un’ex portiere dello Sporting Lisbona, che rappresenterà il Sudafrica pure nella pallacanestro e nel calcio indoor. La retroguardia è inizialmente affidata ai neri Sizwe Motaung, che morirà di Aids nel 2001, e David Nyathi, futuro oggetto misterioso del Cagliari che gioca come terzino sinistro, e ai bianchi Mark Fish (per lui una stagione anonima alla Lazio nel 1996-97) e Neil Tovey, il capitano. Nel corso del torneo troverà posto anche Lucas Radebe, bandiera del Leeds, uno che non si fermò nemmeno dopo una (lieve) ferita provocata da un’arma da fuoco nel 1991 nella natia Soweto. A centrocampo giostrano il biondo Eric Tinkler - pure lui atteso da una deludente esperienza italiana a Cagliari -, il ruvido Linda Buthelezi, il fantasioso John «Shoes» Moshoeu e il leggendario Theophilus «Doctor» Khumalo, il più popolare calciatore sudafricano. In attacco si alternano altri due meticci di Città del Capo, ovvero Shaun Bartlett e Mark Williams, e il gracile Philemon Masinga, che in Italia vestirà le maglie di Salernitana e Bari. Il perfetto commissario tecnico per una nazionale così eterogenea è Clive Barker, nativo di Durban, costretto a ritirarsi non ancora trentenne dopo un grave inforunio al ginocchio: è stato tra i primi sudafricani bianchi ad allenare squadre
composte interamente da bantù e durante una trasferta a Kimberley fu costretto a corrompere un portiere di notte per poter alloggiare in un albergo dove erano ammessi solo neri. Nel destino dei Bafana Bafana c’è ancora il Camerun, già avversario nella prima uscita dopo un prolungato isolamento: il 18 gennaio 1996 allo stadio di Johannesburg - o meglio, del sobborgo di Nasrec - accorrono in 80mila per lo storico esordio in Coppa d’Africa. Dopo un quarto d’ora i gradoni traboccano già di festosità: Khumalo fa filtrare il pallone in diagonale, Fish lo sfiora più o meno volontariamente e l’accorrente Masinga lo scarica in porta spiazzando il portiere camerunense. Altro sussulto dopo la prima mezz’ora: Khumalo si incarica di un calcio d’angolo, Tinkler rimette al centro dell’area piccola dove Williams sigla il raddoppio con una girata di sinistro. Ma è il terzo gol che manda in visibilio i sudafricani: Moshoeu porta a spasso il pallone e lo cede a Masinga, un geniale colpo di tacco del centravanti smarca il brevilineo trequartista che deposita tranquillamente in rete. Un debutto da favola. Il 3-0 che addomestica i Leoni Indomabili segna il riscatto di un’intera nazione ma anche dei gruppi etnici neri: Moshoeu, tra i migliori in campo, è nato e cresciuto nella vicinissima Soweto, la township simbolo della lotta alla discriminazione razziale. Il Sudafrica non si sente appagato dalla marcia trionfale contro il Camerun: seppur a fatica batte anche l’Angola, sospinto da un gol di Williams, e s’invola verso i quarti di finale. La sconfitta di misura in cui incappa con l’Egitto nell’ultimo impegno della fase a gironi non scalfisce minimamente l’entusiasmo verso la nazionale di Barker. Che ora affronta l’Algeria, seconda nel Girone B dietro lo Zambia del capocannoniere Kalusha Bwalya - sì, lui, il famigerato giustiziere dell’Italia ai Giochi di Seul del 1988. Nella tempesta di Johannsburg c’è da attendere oltre il settantesimo minuto per la prima rete: la segna Fish, che si avventura in attacco e in spaccata castiga la sbadata difesa algerina. Poi a sei minuti dalla fine Lazizi sale in cielo su un corner e fulmina Arendse di testa. Lo spavento dura poco. Pochissimo. Giusto il tempo di battere il pallone a centrocampo e di farlo rotolare sul piede di Moshoeu. Sì, pensaci tu John. Regala un’altra delle tue magie. L’idolo di Soweto calcia dal vertice destro dell’area grande: la sua conclusione muore sul palo opposto, a un soffio dal guantone di Haniched. Il Sudafrica stupisce ancora: è semifinale.
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Il tabellone della fase a eliminazione diretta non sembra essere benevolo: sulla strada dei Bafana Bafana c’è il Ghana, corazzata che finora ha vinto tutte le partite disputate. Certo, per fortuna manca il torinista Abedì Pelè causa squalifica. Ma la squadra incute timore con il filibustiere Anthony Yeboah, centravanti del Leeds che agita sempre l’indice della mano destra dopo ogni gol, e una difesa pressoché ermetica. L’abilità del Sudafrica sta nel tentativo di esorcizzare subito l’avversario e offuscare le Stelle Nere. Il primo passo è il vantaggio a opera di Moshoeu che arriva a metà primo tempo. Poi arriva il raddoppio di Bartlett subito al rientro dagli spogliatoi. E ancora Moshoeu mette a tacere qualsiasi velleità ghanese con il terzo gol nelle battute conclusive. Il Sudafrica non è più una sorpresa: adesso tutti pretendono l’ultima vittoria, quella più importante. Anche i bianchi si fanno contagiare: le biglietterie sono prese d’assalto, i tagliandi per la finalissima con la Tunisia vengono polverizzati in poche ore. E Beeld, il principale quotidiano in lingua afrikaans, sfodera un titolo in zulu - «Yabo Bafana Bafana» («Sì ragazzi») - nell’edizione del 3 febbraio che presenta l’agognato scontro. Il destino è già segnato: dopo un primo tempo ad alta tensione il risultato si sblocca al 73’ con l’incornata ravvicinata di Williams. Due giri di lancette e il
Sudafrica emette un urlo di liberazione: Khumalo sradica il pallone a un avversario e innesca il travolgente Williams. Mark, sai di non poter fallire? Lo sa, lo sa. E così è: sinistro a incrociare sul palo lontano, El Ouaer - uno della colonia tunisina che il compianto Franco Scoglio porterà al Genoa - è battuto. Clive Barker invita tutti alla calma, ma è il primo a contravvenire il suo stesso appello: si volta verso la tribuna dove siede un giubilante Mandela e agita entrambe le braccia. Sul campo, nell’abbraccio collettivo, si mescolano i riccioli neri di Fish, il look da marine di Tinkler, i capelli crespi di meticci e bantù. Vince la Rainbow nation. Che finalmente scopre il calcio, non più derubricato a passatempo praticato prevalentemente dai neri. Eppure è un trionfo senza grandi lasciti per il Sudafrica. Che parteciperà sì a tre dei cinque Mondiali successivi - due da qualificata, uno da paese ospitante -, ma non vincerà più la Coppa d’Africa, perdendo la finalissima nel 1998 e finendo tra le prime quattro due anni dopo. Rimane quell’unico momento di gloria, addirittura ancor più iconico rispetto al tanto decantato successo ai Mondiali di rugby secondo il sociologo statunitense Andrew Guest. Che parla, a ragion veduta, di «Invictus» e «Post-Invictus»: scegliete voi la storia che più vi aggrada.
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Drogba e la pace in Costa d’Avorio Una favola senza lieto fine
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di Daniele Felicetti
l momento in cui Didier Drogba, festeggiando la prima storica qualificazione della Costa d’Avorio a un Mondiale, ha supplicato il popolo ivoriano di stringersi attorno alla propria nazionale, di abbandonare le divisioni, di “deporre le armi e organizzare libere elezioni”, è stato meraviglioso. A maggior ragione perché il suo appello, pronunciato in ginocchio insieme ai compagni di squadra, è sembrato davvero rappresentare, in quel momento, una concreta svolta nella delicatissima situazione e ha infuso un sentimento di speranza legittimo e diffuso. Era l’8 ottobre 2005, e il clamore mediatico suscitato, unito all’amore del popolo ivoriano verso Les Éléphants e verso il giocatore più rappresentativo, è stato in effetti un importante passo verso il tentativo di trattare una pace tra 2006 e 2007. Poi, come spesso accade quando le cose sembrano troppo belle per essere vere, purtroppo è sopraggiunta la realtà. La Nazionale di calcio al Mondiale tedesco è finita in un insormontabile girone eliminatorio, ha lottato contro Argentina e Olanda, ma ha rimediato due sconfitte di misura per 2-1 che hanno reso inutile la vittoria in rimonta contro la Serbia e Montenegro.
d’Avorio da Burkina Faso, Liberia e altri Stati confinanti e avevano occupato brutalmente Bouaké, la città più grande del nord del Paese, sfruttando le divisioni sociali tra le varie etnie e quelle religiose tra cristiani e musulmani. Erano male attrezzati e avevano poche munizioni, ma del resto erano convinti che il conflitto non sarebbe durato più di cinque giorni; previsione sbagliata, perché l’esercito regolare e la gendarmerie, pur colti di sorpresa, non solo avevano retto l’impatto, ma stavano anche per avere la meglio. Improvvisamente, però, interveniva la Francia, chiedendo e ottenendo quarantotto ore di tregua per permettere l’evacuazione dei cittadini francesi e statunitensi. Più che legittimo, ci mancherebbe, ma la cosa strana è che in quei due giorni nei cieli ivoriani non si vedevano solo aerei che riportavano a casa i cittadini stranieri, ma se ne vedevano anche altri - sempre francesi - che, come si sarebbe scoperto in seguito, erano carichi di armi e di attrezzature militari sofisticate destinate ai “ribelli”. Ma perché? Perché questa soldataglia era entrata in Costa d’Avorio e soprattutto perché era stata aiutata dalla Francia?
La guerra civile temporaneamente fermata dopo l’appello di Drogba e compagni, era iniziata nella notte tra il 18 e il 19 settembre del 2002, quando dei misteriosi aggressori1 erano penetrati in Costa
Bisogna andare ancora più indietro, al 1999, quando dopo decenni di dittatura “illuminata” di Félix Houphouët-Boigny2 e dei suoi successori Bédié e Guéï, nella ex perla delle colonie francesi si verificò un colpo di Stato - peraltro approvato dalla comunità internazionale - all’insegna di una nuova Costituzione, non certo paragonabile a quelle in vigore nelle democrazie occidentali, ma che comunque apriva le porte al multipartitismo e istituiva libere elezioni per il 2000. Dalle urne usciva il nome di Laurent Gbagbo, premiato dall’elettorato grazie a un programma politico ed economico ispirato ai crismi del partito socialista francese, con cui era entrato in contatto durante il suo esilio negli anni ‘80. Il fatto è che il neopresidente, pur con metodi anch’essi autoritari, aveva, tra le altre cose, inten-
1 Si sono poi rivelati due gruppi armati di etnie Krahn e Gio, tribù reduci dalle guerre civili in Liberia e Sierra Leone, famosi per le mutilazioni subìte dalle proprie vittime.
2 In carica dal 1960 al 1993, fautore della cosiddetta Françafrique post-coloniale e terzo presidente più longevo di sempre dopo Fidel Castro e Kim Il-Sung.
All’interno del Paese, invece, le complicazioni sono state ben più gravi: dall’impossibilità immediata di organizzare le elezioni a causa delle distruzioni e dei massacri avvenuti durante gli anni precedenti (si è persino reso necessario un altro censimento per individuare il potenziale elettorato), fino ad arrivare alla ripresa del conflitto, destinato a diventare ancora più cruento.
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zione di tagliare il filo che legava la Costa d’Avorio alla Francia, o meglio di porre fine al monopolio in mano agli ex coloni e dare la possibilità anche ad altri Paesi di investire sulle enormi risorse naturali ivoriane. Da qui una campagna contro le ingerenze di Parigi e in nome della “ivorianità”, che aveva fatto colpo sull’elettorato e ora rischiava di intaccare affari da cifre a nove zeri. Giusto per fare un esempio, dalla Costa d’Avorio proviene il 42% del cacao del mondo, e questo cacao è controllato per gran parte da aziende francesi. Sta di fatto che dopo aver armato i ribelli del nord nel 2002, i soldati francesi ottenevano, il 4 febbraio del 2003, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che affidava loro l’incarico per il mantenimento della pace. Questo “ironico” mandato, scaduto nel luglio dello stesso anno, sarebbe stato sempre regolarmente rinnovato, permettendo alla Francia una presenza costante nel territorio ivoriano non solo con le sue aziende, ma anche con l’esercito. D’altronde Jacques Chirac ha sempre sostenuto che “l’Africa non è ancora matura per la democrazia”. Dopo lo stop delle ostilità arrivato, come detto, nel 2007, gli ivoriani riescono a recarsi di nuovo alle urne per eleggere il nuovo presidente solo il 31 ottobre del 2010. Nel frattempo la Nazionale, pur avendo un potenziale enorme a livello di nomi, è riuscita solo a ottenere piazzamenti, ma mai a vincere la Coppa d’Africa (secondo posto nel 2006 e semifinalista nel 2008, sempre sconfitta dall’Egitto) e al Mondiale 2010, il primo in Africa, è incappata nuovamente in un girone di ferro con Brasile e Portogallo e, ovviamente, non è andata oltre nonostante la vittoria contro la Corea del Nord. Un senso di incompletezza e di impotenza che si riflette anche in quello che succede in campo politico. Uno dei due candidati forti è il presidente eletto nel 2000. Gbagbo, che durante l’attacco del settembre del 2002 si trovava a Roma, aveva infatti accettato nel settembre 2003 un accordo siglato a Linas-Marcoussis, vicino Parigi, e aveva affidato ai rappresentati dei ribelli importanti ruoli nel governo. In cambio l’ONU nel 2005 gli aveva consentito di restare in carica per gestire gli affari di Stato finché non fosse stato possibile organizzare nuove libere elezioni. L’avversario di Gbagbo è Alassane Ouattara, già vice direttore del Fondo Monetario Internazionale e Primo Ministro ivoriano negli anni ’90, strenuo difensore degli interessi economici francesi in Co-
sta d’Avorio3. Svoltesi sotto l’egida di una commissione ONU, le elezioni premiano proprio Ouattara, anche se di misura, al ballottaggio del 28 novembre. Gbagbo, però, non accetta il risultato e accusa l’avversario di brogli e di intimidazioni, divulgando anche delle prove tramite la televisione pubblica, ancora sotto il suo controllo. A legittimare le posizioni sostenute da Gbagbo, “presidente abusivo” autoproclamatosi il 4 dicembre 2010, interviene la Corte Costituzionale, annullando i risultati in tre regioni del nord. Certo, i membri di quell’organo sono fedelissimi di Gbagbo, e la loro decisione va, quindi, presa con le pinze, ma i brogli sono documentati e consultabili (molte, ad esempio, le schede già votate che hanno fatto figurare, in alcuni seggi, più voti per Ouattara che elettori aventi diritto). Questa situazione a dir poco caotica, intanto, fa ricominciare le ostilità tra i due schieramenti, con massacri perpetrati da entrambe le parti, tra cui fanno particolarmente scalpore quelli messi in atto dalla polizia contro i manifestanti pro-Ouattara. Le vittime sono centinaia, e decine di migliaia sono gli ivoriani che si vanno a rifugiare negli Stati confinanti creando un’ulteriore emergenza umanitaria. A questo punto, indovinate un po’ chi interviene a difendere la legittimità dell’elezione di Ouattara? La Francia, bien sûr. Già, perché se per Chirac l’Africa non è ancora matura per la democrazia, è all’insegna della difesa della democrazia che il suo successore all’Eliseo, Nicolas Sarkozy, si schiera pubblicamente contro le rivendicazioni di Gbagbo, e ottiene di nuovo l’autorizzazione dell’ONU a usare la forza in territorio ivoriano, con il sostegno anche mediatico di Obama, di Ban Ki-Moon e dell’Unione Europea. L’esercito francese si fa largo con le bombe, incaricato di distruggere le armi pesanti, colpendo di fatto solo le forze di Gbabo per permettere che la situazione si stabilizzi e che il presidente “legittimo” possa governare in pace. Questa ennesima impennata delle violenze, che si inserisce in una guerra civile che dal 2002 non si era mai del tutto fermata, culmina con l’arresto di Gbagbo datato 10 aprile 2011, quando le forze speciali francesi “La Licorne” lo trasferiscono insieme alla famiglia nel quartier generale di Ouattara, per poi essere 3 Ouattara ha concesso tra le altre cose a FranceTelecom il monopolio delle telecomunicazioni, alla Bouygues il monopolio delle risorse idriche e dell’energia idroelettrica, e soprattutto alla Barry-Collebaut la gestione di gran parte del cacao.
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spostato a L’Aja, dove è in attesa di essere giudicato per crimini contro l’umanità dal Tribunale Penale Internazionale. Non di certo un santo, l’ex presidente Gbagbo, ma stiamo parlando della defenestrazione avallata e addirittura messa in pratica da un Paese straniero, per giunta ex colonizzatore, di un politico che probabilmente le elezioni le aveva vinte. Come quella di Drogba, che all’età di cinque anni è salito su un aereo verso Bordeaux con la sua famiglia, la storia della Costa d’Avorio è, quindi, legata a doppio filo con la Francia. Una cosa che avviene, del resto, in un’ampia parte dell’Africa. I vari inquilini dell’Eliseo, da De Gaulle in poi, sono rimasti ag-
grappati alle ricchezze naturali delle ex colonie, tramite accordi economici unilaterali privilegiati che spesso hanno rischiato di saltare, ma che l’esercito è sempre accorso a difendere; basti pensare che gli interventi militari francesi in Africa, dal 1960 in poi, ammontano a circa cinquanta, operazioni neocolonialiste a orologeria servite ad appoggiare ribellioni, evitare colpi di Stato e quant’altro, sempre autorizzati dalla comunità internazionale, anche se forse mai, come in Costa d’Avorio, esplicitamente incaricati dall’ONU. Come ha scritto Libération il 5 aprile del 2011, anche se le ragioni umanitarie erano gravi e reali, «gli oppositori saranno sempre colpevoli agli occhi della popolazione di essere arrivati al potere sulle camionette di un esercito straniero».
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I PERSONAGGI
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Mohamed Aboutreika
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di Damiano Benzoni e Andrea Bracco
ort Said, primo febbraio 2012: al fischio finale dell’incontro tra al-Ahly e al-Masry si scatena l’inferno. I tifosi dell’al-Masry padrone di casa assaltano a mano armata la curva dei tifosi dell’alAhly con la connivenza della polizia, chi può si rifugia negli spogliatoi insieme alla squadra. Saranno 74 le vittime della carica. Uno di loro, quattordici anni, muore tra le braccia del trequartista Mohamed Aboutreika. “Capitano, ho sempre desiderato incontrarti” sono le sue ultime parole. Dopo la strage di Port Said Aboutreika annuncerà il proprio ritiro, poi tornerà sui suoi passi, giocando per le vittime della carica e battendosi a fianco dei tifosi in cerca di giustizia. Laureato in Filosofia all’Università del Cairo, Aboutreika si fece notare e rispettare per la sua coscienza politica fin dagli esordi nel Tersana dove, per protestare contro il basso salario di un compagno di squadra, rifiutò un lauto rinnovo di contratto, insistendo per firmare alla cifra del proprio compagno. Ambasciatore del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite con campioni del calibro di Ronaldo e Zidane e musulmano devoto, ha partecipato come testimonial di diverse campagne di donazione del sangue e di raccolta fondi per combattere la fame nel mondo e il cancro infantile, oltre a sponsorizzare la costruzione di una moschea nella regione Ashanti in Ghana. Ritiratosi nel dicembre 2013, farà di nuovo scalpore per la decisione di non scendere in campo per la “Partita della Pace” voluta da Papa Francesco e Javier Zanetti per il coinvolgimento di alcuni giocatori israeliani, in particolare Yossi Benayoun, dichiarando di aver rifiutato perché non intenzionato a “collaborare con i Sionisti” e per dare un esempio alle nuove generazioni. Così come la sua vita fuori dal campo, Aboutreika è stato un personaggio controverso anche sul terreno di gioco, già solo per il fatto che – pur non avendo mai calcato scenari prestigiosi - è diventato
uno dei calciatori africani più famosi e conosciuti di sempre. Nato nella periferia di Giza, è cresciuto calcisticamente nel Tersana, club che gli ha permesso anche di esordire in prima squadra. Ma nel 2004 inizia la sua avventura con le Aquile del Cairo. Mohamed Aboutreika è più di una leggenda per l’al-Ahly e per la nazionale egiziana. Con il club del Cairo vince cinque Champions League africane e altrettante Supercoppe continentali, sbanca il campionato del Nilo otto volte e arriva al bronzo nella Coppa del Mondo per Club del 2006, oltre a risultare il miglior realizzatore nella storia del pentitissimo derby con lo Zamalek. Con i Faraoni conquista due Coppe d’Africa: nel 2006 è suo il rigore decisivo nella finale con la Costa d’Avorio dopo 120 minuti a reti bianche, mentre nel 2008 Aboutreika è nuovamente decisivo, con quattro reti nel carniere, tra cui l’unica segnatura nella finale vinta ad Accra contro il Camerun. Tuttavia, Aboutreika, tre volte Miglior Giocatore Africano dell’Anno, viene ricordato più per il suo impegno politico che per i suoi gol: la Coppa d’Africa del 2008 lascia nella memoria l’immagine della maglietta recante la scritta “Un pensiero per Gaza”. Un combattente, sempre pronto a battersi per i diritti, che siano umani e lavorativi. Qui da noi non potrebbe vivere, e nemmeno fare il sindacalista dai modi – spesso bruschi – che lo contraddistinguono. Durante l’ultimo anno al Tersana rifiutò un super ingaggio (salutando, di fatto, il club biancoblu) per protestare contro il trattamento riservato ad alcuni compagni e allo stipendio – a suo dire – troppo basso. “Quello che io faccio in campo lo devo anche a loro – ammise candidamente Aboutreika – non è possibile che io possa mettere da parte dei soldi e loro no”. Religioso all’eccesso (“Mi definirei integralista ma so che qualcuno potrebbe male interpretare”), è diventato celebre anche per la sua esultanza composta come la sua persona richiede: corsa verso la bandierina e giù, in ginocchio verso la Mecca, come se un muezzin in quel momento stesse chiamando tutti i fedeli a raccolta.
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Nonostante le sue posizioni, spesso scomode ai più, Aboutreika ha destato scalpore e commozione al momento del ritiro. In carriera infatti ha dispensato anche numeri di qualità, tanto da essere paragonati a campioni mondiali del calibro di Totti, Kaka e Ronaldinho. Il suo saper essere (anche) un leader silenzioso non ha che rinsaldato la sua figura, ammirata in tutto il globo, facendolo riconoscere come una delle personalità africane di spicco dai tempi di Roger Milla. Un connazionale del grande Roger, Patrick Mboma, commentò così il suo ritiro: “Qualora se ne andasse solo un giocatore potrei essere dispiaciuto, ma qui parliamo di una leggenda. Il calcio africano avrebbe bisogno di personaggi come lui. A migliaia”. Il grande rispetto della maglia indossata per nove stagioni portò Aboutreika ad
andare, durante l’ultimo anno di attività agonistica, a giocare negli Emirati. Nonostante lui non abbia mai commentato il trasferimento, molte persone vicino a lui parlano di una persona che – vista l’età e l’incognita sulle prestazioni che avrebbe ancora potuto fornire – decise per rispetto dell’al-Ahly di andarsene. Eppure quando l’al-Ahly conquistò la Champions League nel 2013 lui annunciò che sarebbe stato l’ultimo scalino della sua carriera, ma i compagni – fino all’ultimo – provarono a convincerlo che al Mondiale per Club ci sarebbe dovuto essere. “Avevo deciso di smettere – disse dopo l’esperienza marocchina – perché non ero più in grado di dare ciò che avrei voluto. Ma i ragazzi mi pregarono di rimanere con loro per l’ultima battaglia”. E lui, il guerriero di Giza, non potè tirarsi indietro.
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Lakhdar Belloumi
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di Simone Grassi
i scrive Belloumi, si legge Mito. Almeno in Algeria, patria del leggendario numero 10 della nazionale delle Volpi del deserto. Recordman di presenze con la maglia del proprio Paese, Belloumi partecipa nel 1980 alla sua prima Coppa d’Africa, competizione nella quale la nazionale nordafricana non ha mai brillato sin dal 1968, data di esordio. Lakhdar ha da pochi anni portato nella massima divisione algerina il Ghali Chebab Ray Mascara, piccolo club che lo ha lanciato tra i professionisti, ed è una speranza per tutto il movimento calcistico della nazione. Il girone iniziale dell’edizione nigeriana viene vinto dagli algerini, anche grazie ad un gol e alle superbe prestazioni del numero 10; la semifinale è una battaglia durissima contro l’ottimo Egitto, ma a Ibadan i calci di rigore promuovono le Volpi del deserto. La finale, davanti ad 80mila nigeriani pazzi per la propria nazionale, è senza storia: Belloumi e compagni vengono sconfitti per 3 a 0 e assistono ai festeggiamenti per il primo titolo continentale della storia della Nigeria. Il secondo posto finale è comunque un successo insperato e il fantasista
viene votato come il miglior attaccante del torneo: è il preludio al Pallone d’Oro Africano conquistato l’anno successivo. In quegli anni il genio nordafricano non cedette alle lusinghe di Juventus, Real Madrid e Barcelona e decise di rimanere fedele al campionato algerino, “tradito” solo per una breve parentesi qatariota. Le successive apparizioni con l’Algeria alla Coppa delle nazioni africane portano in dote due terzi e un quarto posto. La mano – o meglio, il piede – di Belloumi è sempre presente in questi traguardi importanti, ai quali associa sovente riconoscimenti individuali. La beffa più grande è la vittoria della Coppa d’Africa da parte dell’Algeria nel 1990, edizione nella quale il giocatore algerino è assente. Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, verrà premiato come Miglior Giocatore Algerino del XX Secolo, a pari merito con un certo Madjer e quarto Miglior Giocatore Africano del Secolo. Nel 2008, sarà insignito dalla Confederazione africana di calcio del Merit Award per la sua scintillante carriera. Il record che lo rende più orgoglioso e ad oggi irraggiungibile rimane quello di presenze con la maglia algerina: 147 caps tra il 1978 e il 1989.
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Kalusha Bwalya di Alessandro Mastroluca
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uanto durano novanta minuti? Anche tutta una vita. Novanta minuti bastano per scrivere una storia, per entrare nella storia. Era già un attaccante noto in Belgio, Kalusha Bwalya, il simbolo nazionale dello Zambia, il 19 settembre 1988 quando a Gwanju risuonano gli inni nazionali per la sfida olimpica dei Chipolopolo (i proiettili di rame) all’Italia. Ma niente di quanto aveva ottenuto al Cercle Bruges, e niente di quanto otterrà dopo al PSV Eindhoven, i 25 gol in 106 partite e i due scudetti, sarà mai paragonabile a quei 90’. Niente conterà nella sua carriera di calciatore quanto quei novanta minuti. Lavorava in una miniera di rame, Kalusha, che ha cinque fratelli e tre sorelle, prima di passare professionista in Belgio dove guadagna un milione di lire al mese (al cambio del 1986). Per un giorno diventa eroe, rifila tre gol a Tacconi, che ne prende un quarto da un altro Bwalya, Johnson (solo omonimo), ed è comunque il migliore in campo degli azzurri. Quello Zambia, scriveva Gianni Brera su Repubblica, “non è la buccia di banana, è la bellezza dell’ imprevisto nello sport, è la lezione impartita da chi doveva imparare, è la risata che per una volta ha seppellito tutti, è la speranza di tutti quelli che vanno alle Olimpiadi col vento contro, è la consolazione dei senzabandiera”.
Nel 4-0 finale c’è la bellezza del calcio nelle occasioni in cui, per dirla con Eduardo Galeano, il pesce piccolo mangia il pesce grosso con spine e tutto. Per chi crede alle coincidenze, quella squadra era allenata da un certo Samuel Ndhlovu che negli anni Sessanta giocava da centrocampista a Durham, la città scelta dagli azzurri di Fabbri per il ritiro prima della fatal Corea. Bwalya continuerà ad allenare e a giocare in nazionale fino al 2006, segnerà il suo 100mo gol a 41 anni, è la rete della vittoria contro la Liberia nelle qualificazioni ai Mondiali. Non vedrà mai i Chipolopolo in Coppa del Mondo, ma festeggerà da presidente della federazione il trionfo in Coppa d’Africa del 2012, alla terza finale nella manifestazione. Ma in quei 90 minuti c’è molto più di una tripletta in un giorno perfetto. “Non voglio esagerare, ma quella partita in pratica mi fece vincere il Pallone d’Oro africano di France Footall. Da quell’anno non ho mai più giocato contro l’ Italia, e infatti non ho più vinto il Pallone d’Oro”. L’Italia poi l’ha sfiorata, nell’estate del 1989 era dato per certo il suo passaggio al Bari per un miliardo, poi smentito. Non si concretizzerà nemmeno la trattativa con l’Udinese, così per qualche anno ancora Zahoui resterà l’unico africano nel calcio italiano, all’Ascoli di Rozzi. Bwalya troverà la sua strada in Olanda e l’Italia spalancherà le porte ad africani di ogni latitudine. Novanta minuti per cambiare la storia posson bastare.
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Patrick Mboma
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di Simone Grassi
campionato asiatico.
n amore sbocciato tardi, quello tra Mboma, bomber camerunense classe 1970 e la sua nazionale. Il centravanti cresce infatti al fianco di George Weah nel Paris Saint-Germain e dimostra tutto il proprio talento anche nelle esperienze in prestito con le maglie di Chateauroux (22 gol in 48 presenze) e Metz, nel 1996. Anno della Coppa d’Africa in Sudafrica, alla fine vinta proprio dai Bafana Bafana. Patrick aveva già esordito l’anno precedente con i Leoni Indomabili e la CAN era senza dubbio un traguardo personale molto ambito. Alla vigilia della partenza, però, alcuni problemi di tipo economico – riscontrabili ancora adesso, purtroppo – con il governo camerunense, spingono molti giocatori ad abbandonare il ritiro della nazionale e a fare ritorno nei propri club di appartenenza. Tra questi, anche il promettente Mboma, costretto ad osservare la disfatta dei compagni di squadra dalla Francia. Il riscatto è servito nel 1998: il teatro è la Burkina Faso, sede dell’edizione continentale poi portata a casa dall’Egitto, per la terza volta. Il cambio inaspettato in panchina – Henri Depireux allontanato per fare spazio a Jean Manga Onguene – non giova a Patrick, relegato spesso in panchina. Dopo un agevole passaggio del girone iniziale, i Leoni Indomabili si arrendono incredibilmente alla Repubblica Democratica del Congo, che vince per 1 a 0 e accede alle semifinali. Squadra, allenatore e vertici federali sono contestati duramente: tra le accuse, anche quella di non aver concesso spazio a Mboma, nel frattempo emigrato in Giappone e diventato capocannoniere e miglior giocatore del
Il 2000 è però l’anno della realizzazione di tutti i sogni incompiuti. Il Mondiale del 1998 ha ridato nuovo coraggio ai Leoni e a Mboma, autore di un gol nel torneo iridato; neanche un girone durissimo – con Ghana, Costa d’Avorio e Togo – riesce a fermare la caparbietà del Camerun. I quarti di finale sono una passeggiata: Algeria regolata 3 a 0 grazie a Eto’o e al compianto Foè. In semifinale, Mboma realizza una doppietta che consente di superare, ancora per 3 a 0, la Tunisia. L’atto finale regala una sfida improba: a Lagos, davanti al pubblico di casa, la Nigeria gioca bene e in due minuti recupera il doppio svantaggio firmato da Eto’o e Mboma; sono solo i calci di rigori ad assegnare il terzo titolo continentale al Camerun, il primo per Patrick. Primo, ma non ultimo. Per replicare il successo, infatti, il neo-giocatore del Cagliari deve attendere un altro biennio solamente. In Mali, nel 2002, il Camerun vince la Coppa senza subire nemmeno una rete e incoronando Mboma miglior marcatore del torneo. Stesso riconoscimento gli viene tributato nel 2004, in Tunisia, quando la sua nazionale si arrende ai quarti contro una fortissima Nigeria. In mezzo ai due successi più importanti della sua carriera, un oro alle Olimpiadi di Sidney e il Pallone d’Oro Africano del 2000: il suo amico Samuel Eto’o lo ha superato nella graduatoria dei migliori marcatori con la casacca della nazionale, ma l’affetto e la gratitudine che il centravanti ha ricevuto in Francia, Camerun, Giappone, Italia, Inghilterra e Libia, non potranno mai essere superate.
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Laurent Pokou
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di Simone Grassi
a storia tra Pokou e la Coppa d’Africa inizia nel 1968, quando la competizione continentale viene organizzata dall’Etiopia. Paul Gévaudan, primo allenatore – ovviamente francese - della Costa d’Avorio indipendente è alla guida degli Elefanti ormai da 8 anni e si prepara alla seconda Coppa delle Nazioni Africane della storia ivoriana: tra i convocati in attacco, spiccano i nomi di Eustache Manglé e Maurice Déhi. Accanto a loro, un ventunenne di belle speranze, centravanti goleador dell’Asec Abidjan, squadra con cui ha già vinto due coppe nazionali. L’intuizione è decisiva e i risultati ancor di più: nel match d’esordio – contro l’Algeria – Laurent realizza una doppietta, andando in gol anche nella sfida decisiva con l’Uganda, guadagnando il pass per la fase ad eliminazione diretta. In semifinale il bomber africano è il migliore in campo, ma gli ivoriani cedono per 4 a 3 al Ghana. Pokou, da quel momento, diventa “l’homme d’Asmara”, soprannome coniato dal cronista della gara, disputatasi proprio nella Piccola Roma eritrea. La finalina sorride agli Elefanti di Gévaudan, che battono i padroni di casa sotto gli occhi dell’imperatore Hailé Sélassié. L’unica rete dell’incontro porta la firma, ancora una volta, di Laurent, che si laurea capocannoniere della competizione, con 6 reti. È però la Coppa d’Africa 1970 a consegnarlo per sempre alla storia del Continente nero calcistico. La fase a gironi si mette in salita a causa della
sconfitta inaugurale contro l’esordiente Camerun - nonostante la doppietta di Pokou - e la gara con l’Etiopia, che tanto bene porta al bomber ivoriano, risulta decisiva. Davanti ai quasi 10mila spettatori di Karthoum (Sudan), il 10 febbraio, Laurent realizza cinque reti nel 6 a 1 finale, scrivendo un record ad oggi imbattuto. La Costa d’Avorio si arrenderà poi al Ghana e alla Repubblica Araba Unita (l’attuale Egitto), concludendo quarta; ancora una volta, il capocannoniere del torneo è Pokou. Le sue 14 reti complessive in quattro edizioni della Coppa delle Nazioni Africane faranno di lui il miglior marcatore di sempre della competizione; almeno fino al 2008, quando Samuel Eto’o gli sottrarrà lo scettro di bomber assoluto. Nel 1970 la rivista France Football inventa il Pallone d’oro africano, che Pokou sfiorerà in due occasioni: la prima volta nell’edizione inaugurale vinta dal maliano Salif Keita, successivamente nel 1973, quando il premio fu assegnato al congolese Bwanga e lui giunse terzo. Didier Drogba ammette di essere cresciuto col mito di Pokou, tramandatogli dallo zio; nel 2000 è stato nominato “calciatore del secolo” in Costa d’Avorio e il giornale ivoriano Fanion nel 2010 lo ha inserito tra i migliori cinque attaccanti africani di sempre, al fianco proprio di Drogba, Weah, Eto’o e Milla. Pelè disse di lui, nel 1972: “Ho trovato il mio successore. Si chiama Laurent Pokou. Ha un difetto...non è brasiliano”.
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Luciano Vassallo
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di Damiano Benzoni
on tutti hanno l’opportunità di ricevere una Coppa direttamente dalle mani di un imperatore. Tra i pochi a poter vantare questo privilegio c’è Luciano Vassallo, capitano dell’Etiopia campione d’Africa nel 1962. Vassallo ricevette il trofeo di Coppa d’Africa direttamente dalle mani del negus Hailé Selassié, imperatore di Etiopia, dopo aver segnato a sei minuti dalla fine il gol decisivo per mandare la finale di Addis Abeba contro la Repubblica Araba Unita ai supplementari. Durante i tempi supplementari sarebbero stati il fratello Italo Vassallo e il leggendario Menghistu Worku a fissare il risultato sul 4-2 per segnare l’unico trionfo, e l’ultimo podio, dell’Etiopia a livello continentale. Luciano Vassallo, recordman di presenze e capocannoniere di tutti i tempi della nazionale etiope, è nato ad Asmara, capitale dell’Eritrea Italiana, nel 1935, dall’incontro tra una donna eritrea e un militare italiano. La famiglia venne abbandonata dal padre in seguito all’emanazione delle leggi razziali, che impedivano il riconoscimento dei figli meticci. La carriera calcistica di Vassallo inizia a quindici anni nelle file dello Stella Asmarina, squadra della popolazione meticcia di Asmara, per poi proseguire
con la maglia dei Ferrovieri Asmara, dove Vassallo inizia anche a lavorare come meccanico. Prima terzino, poi centrocampista, noto per le sue punizioni e i suoi tiri al volo, a diciotto anni fa il suo esordio nella nazionale etiope e a inizio anni ’60 si trasferisce da Asmara in Etiopia, giocando per il Cotton Factory Club di Dire Dawa e poi per il Saint-George di Addis Abeba, dove apre un’officina Volkswagen autorizzata. L’anno del trionfo è il 1962: oltre alla rete in finale, Vassallo segna due gol anche nella semifinale contro la Tunisia. È il termine di una rincorsa di cinque anni da parte della nazionale etiope, promotrice e fondatrice del torneo continentale africano. Mai la squadra arriverà così in alto: due quarti posti nel 1963 e nel 1968 saranno il canto del cigno del calcio abissino. Per Vassallo i problemi arriveranno con il colpo di stato comunista di Menghistu Hailé Mariàm ai danni di Hailé Selassié: accusato di connivenza con il precedente regime, Vassallo viene arrestato. Sarà uno dei suoi secondini, suo tifoso, a farlo evadere e a permettergli di espatriare in Gibuti: la rocambolesca fuga di Vassallo passa per Il Cairo e si conclude in Italia, a Ostia, dove il giocatore si ricongiungerà con la famiglia e avvierà un’officina e una scuola calcio.
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Rashidi Yekini
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di Gabriele Anello
guantare l’ennesima chiamata per il Mondiale.
a Nigeria non ci sarà a questa Coppa d’Africa: un’assenza incredibile se si pensa che le Super Aquile sono campioni uscenti. E il pensiero corre subito a chi ha fatto la storia del calcio dalle parti di Lagos: Rashidi Yekini. Negli anni Jay-Jay Okocha, Nwanwko Kanu o Vincent Enyeama hanno sembrato rappresentare meglio la nazionale, ma il numero 9 nigeriano rimane un pezzo di storia fondamentale per il calcio. Classe ’63, Yekini ha lasciato questo mondo nel maggio 2012. Molti l’hanno descritto sin dall’anno precedente come molto malato, colpito da disturbi bipolari, depressione e altri disturbi neurologici. Nonostante diverse mogli e alcuni bambini, Yekini ha finito la sua vita da solo, dopo averne speso buona parte in giro per il mondo. La sua carriera è iniziata a Kaduna, la sua città natale. In seguito arrivò un passaggio in Costa d’Avorio, prima del grande salto portoghese: il Vitória de Setúbal lo ingaggiò nel 1990. Il Deus Negro ripagò la scommessa del club lusitano: 90 gol in 108 partite in quattro anni. Nel 1994 – ultimo anno in Portogallo – fu anche capocannoniere. In seguito, l’avventura greca con l’Olympiacos non andò bene. L’unico altro highlight della sua carriera fu la stagione allo Zurigo: 14 reti che gli consentirono di ag-
Rashidi ha vissuto i momenti migliori però con la maglia della nazionale. Una storia lunga 14 anni, costellata da 57 presenze e 38 reti. Ancora oggi, Yekini è il top-scorer della Nigeria con un discreto vantaggio sul secondo in graduatoria (+15). L’attaccante è stato anche giocatore africano dell’anno nel 1993. Senza dubbio, il 1994 fu il suo anno. Alla Coppa d’Africa di quell’anno, Yekini trascinò – da MVP e capocannoniere – la sua nazionale alla vittoria continentale: un successo che mancava dal 1980. Al Mondiale americano del giugno dello stesso anno, Yekini segnò anche il primo gol della Nigeria a un Mondiale nel 3-0 contro la Bulgaria. E la sua squadra arrivò persino a spaventare l’Italia di Sacchi, prima che Roberto Baggio regolasse la contesa in favore degli azzurri. La sua esultanza in quel pomeriggio di giugno al Cotton Bowl di Dallas era un urlo di gioia, ma anche di liberazione. Lui, che aveva lavorato così tanto per emergere, poteva rilasciare tutto l’orgoglio per il suo paese. In un momento calcistico così difficile per la Nigeria, la sua figura non può che tornare in mente in maniera prepotente. E i nigeriani non potranno che esserne orgogliosi. Per sempre.
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GLI AUTORI
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Gabriele Anello 25 anni e una vita a guardar correre il pallone. Fin da piccolo ama il calcio, quello vero. Se c'è Tahiti-Nuova Caledonia, lui vorrebbe stare lì. Nato italiano, ma calcisticamente trapiantato in Giappone. “Se il calcio fosse meno su Twitter e più sul campo, staremmo tutti meglio”. Amante dei Mondiali e delle piccole storie, i suoi miti calcistici sono Steven Gerrard e Yasuhito Endo. “A noi i racconti, voi le conclusioni”. Damiano Benzoni Nato a Cantù nel 1985, Damiano Benzoni ha studiato Comunicazione e Società e Relazioni Internazionali tra Milano, Bucarest e Roma. Giornalista e blogger sportivo basato a Como, gestisce i blog Dinamo Babel e Africalcio e ha collaborato con Il Giorno, Avvenire, East Journal, Kosovo 2.0 e When Saturday Comes. Nutre particolare interesse per i rapporti tra sport e politica e le vicende di est Europa, ex Unione Sovietica e Africa. Andrea Bracco Cuneese classe 1984, segue il calcio mondiale con un occhio di riguardo al Sudamerica e ai giovani talenti. Dirige la redazione di Calcio Sudamericano dal dicembre 2010 e cura il blog Falso Nueve. Torino e West Ham le fedi incrollabili, Nueva Chicago la simpatia argentina. Parlare di calcio è il suo passatempo preferito. Calcio Romantico Daniele Felicetti e Federico Greco gestiscono Calcio Romantico, un luogo che vuole stuzzicare gli appetiti dei calciomani ma che è , allo stesso tempo, un blog in cui le storie raccontate, attuali o passate che siano, travalicano il campo di gioco, vengono contestualizzate geograficamente, storicamente ed economicamente e provano a ridare al calcio la sua reale dimensione biopolitica. Giovanni Fasani Grandissimo appassionato di calcio, tifoso juventino, attratto dal calcio anni ’80 e da tutti quegli aspetti meno conosciuti dello sport più bello del mondo. A tal proposito con amici cura il blog Alla faccia del calcio, che si propone di approfondire tali contenuti. Simone Grassi Milanese, classe 1989, appassionato di sport a 360° e di calcio in particolare. Ho collaborato con Calcio2000 e Goal.com; mi occupo di calciomercato su CalcioSudamericano.it e scrivo per la versione lombarda di Sprint&sport. Il sogno nel cassetto? Lavorare grazie alla passione per il calcio e a quella per la scrittura.
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Luigi Guelpa Di origini lucane, è nato nel 1971. Giornalista professionista, segue eventi sportivi, di cronaca, costume e società in Africa e Medioriente per il Secolo XIX. Matteo Maggio Nato a Milano ne 1983, appassionato di calcio in tutte le sue sfumature sin da piccolo. Tifoso milanista, ha un debole per le vecchie edizioni dei mondiali e per le tante storie poco conosciute. Da qualche tempo scrive sul blog Alla faccia del calcio, creato con un paio di amici. Alessandro Mastroluca Nato nel 1983, è co-direttore del sito Spazio Tennis, telecronista per Supertennis e scrive di calcio e Formula 1 per la testata online Fanpage. È stato vicedirettore di Ubitennis.com, il primo sito all-tennis news in Italia. È autore di tre libri: “La valigia dello sport” (Effepi Libri), “Il successo è un viaggio” (CastelvecchiUltra), la prima biografia completa in italiano di Arthur Ashe, e “Denis Bergamini. Una storia sbagliata” (Castelvecchi-Ultra), inchiesta sulla morte del centrocampista del Cosenza nel 1989. Francesco Federico Pagani Cresce con un pallone tra i piedi ed una penna (presto diventata tastiera) tra le mani. Blogger da sei anni e giornalista da tre, nel 2013 pubblica “La carica dei 201” e nel 2014 “La carica dei 301”, libri dedicati al mondo del calcio giovanile: la sua ossessione. Su Twitter come @FraFPagani (profilo generico) e @sciabolatablog (profilo calcistico, anche su Facebook come Sciabolata Morbida). Simone Pierotti Nato a Pietrasanta nel 1985, ha vissuto ad Atene e Sheffield, dove ha conseguito una laurea in giornalismo sportivo. Vignettista, fumettista, (ex) pallanotista, scrive di sport e Carnevale su Il Tirreno e Versiliatoday e cura il blog Storie (stra)ordinarie di sport. Ha recentemente pubblicato l'ebook "Torneo di Viareggio 2004-2014: storia di una nuova era". Carlo Pizzigoni Nato a Pero, periferia milanese. Di solito è in giro a vedere cose, specie di calcio. Coppa d'Africa e Mondiali giovanili, visitati in serie e vissuti sul posto, sono le esperienze professionali che più lo hanno soddisfatto, al netto di #BuffaRacconta e fino al Mondiale 2014 in Brasile. Collabora con Sky, ha scritto per La Gazzetta dello Sport, Guerin Sportivo e per il quotidiano svizzero Giornale del Popolo. Filippo Maria Ricci Già esperto di calcio africano, oggi corrispondente della Gazzetta dello Sport da Madrid.
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