Corso aspiranti Guide Alpine 2009-2010
Creazione di un progetto scolastico riguardante l’area delle scienze naturali e dell’educazione fisica
Candidato: Camangi Federico Collegio Emilia Romagna -1-
Sommario: Lo scopo della tesi è quello di stilare un programma scolastico per promuovere l’attività all’interno del parco naturale cento laghi gestita da un gruppo di guide alpine.
La struttura per la presentazione del progetto scolastico che contiene proposte per l’educazione ambientale e l’attività fisica all’aria aperta è così strutturato:
1. Prefazione 2. Denominazione Progetto 3. Ente promotore 4. Referente 5. Descrizione 6. Linee guida 7. Obiettivi generali 8. Obiettivi specifici 9. Contenuti previsti 10. Luoghi 11. Visite guidate 12. Metodologie(Programma) 13. Costi, Tariffe e informazioni utili 14. IL Parco in breve Schede di lavoro :
15. Un accenno alla tradizione (CASTAGNADOR) 16. La torbiera di Lagdei 17. I tipi di lago: morfologia ed origine dei laghi 18. Aspetti geomorfologici 19. Che albero è questo? 20. La Bussola
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Prefazione : A volte capita, come è successo a me, di avere la fortuna di vivere in zone bellissime di cui però non si percepisce la rarità e l’unicità. Abito in provincia di Parma, poco lontano dalle montagne e molto lontano dalle alte montagne. Ho capito solo crescendo e viaggiando quale ricchezza di bellezza avevo attorno e ho imparato ad apprezzare anche le mie “basse montagne”. Ho sempre frequentato il Parco dei cento laghi più in inverno che in estate, preferendo lo sci alpinismo al trekking, osservando però il trasformarsi dell’ambiente con il mutare delle stagioni e ciò non mancava MAI di stupirmi. Lo stupore è un sentimento in via di estinzione, grazie alla frequentazione della montagna io l’ho mantenuto e vorrei farlo scoprire ai più giovani e riscoprire ai più grandi. Immaginatevi soltanto il miracolo del cielo stellato in una notte limpida e senza inquinamento luminoso, il fiorire delle piante, l’affascinante storia millenaria della nascita di un lago…si potrebbe andare avanti ad oltranza! Il Parco dei cento laghi oggi è un parco Nazionale ma io lo frequentavo anche quando non lo era e ciò mi rende in un qualche modo privilegiato perché conoscevo questa parte d’Italia prima ancora che diventasse “famosa”! L’ho conosciuta sugli sci, ne ho percorso i sentieri, i pendii e ogni volta non manco di attraversare il Lago Santo con gli sci che in inverno è ghiacciato e mi affascina pensare che sotto la spessa lastra di ghiaccio ci sono forme di vita che trascorrono le loro giornate… Il Parco mi ha coinvolto talmente che ho imparato a conoscerne la storia e anche quelli che io chiamo i suoi “umori”, si perché il Parco è vivo e ce lo dice a ogni momento: con la caduta delle foglie in autunno (è stanco e va a riposarsi), la fioritura delle piante in primavera (si risveglia ed esplode di vita)… Il parco sa essere anche generoso (ci offre mirtilli buonissimi in agosto e panorami indimenticabili tutto l’anno) e a volte inviolabile (si manifestano bufere, fitte nebbie e temperature proibitive), l’importante è capire quando lo si può avvicinare ed è mia passione poterlo insegnare a chi questo Parco e la montagna in generale la vorrebbe vivere.
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Collegio Guide Alpine Emilia-Romagna P.za Lunardi, 2
Tel: 051-6142105 Fax: 051-6142105
40100 Bologna P. Iva 01623600341
info@guidealpine-er.it http://www.guidealpine-er.it
Proposte attività all’aria aperta educazione ambientale
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Referente Camangi Federico P.za C. Tocchi,2 43042 Berceto (Pr) Tel:347/2282850
Descrizione Questo progetto didattico a sfondo naturalistico è indirizzato alle scuole, in particolare alle classi di scuola elementare e medie, gruppi Scout, centri sportivi, gruppi parrocchiali, gruppi sportivi, gruppi precostituiti di famiglie con ragazzi (minimo 10 px) ed è finalizzato alla
valorizzazione e integrazione dei territori, mirando a uno sviluppo di qualità che sia contemporaneamente rispettoso dell’ambiente. Il progetti si svolgerà interamente all’interno del Parco Regionale di Crinale Alta Val Parma e Cedra.
Linee guida Attività stimolanti e coinvolgenti atte all’acquisizione di competenze specifiche; Attività svolte in sicurezza; Sensibilizzazione all’attività motoria all’aperto; Coinvolgimento alla cultura ambientale.
attività a carattere: > Didattico - accompagnamento naturalistico, ambientale, conoscenza del territorio, orientamento. > Motorio - "saper camminare" nella natura, escursionismo estivo e invernale. > Ludico e ricreativo - giochi a squadre in ambiente naturale, orienteering.
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Rivolte a: - Classi di scuola elementare, e medie; - Gruppi scout; - Centri estivi; - Gruppi parrocchiali e sportivi; - Gruppi precostituiti di famiglie con ragazzi (min 10 px).
Obiettivi generali
Sensibilizzare i ragazzi sul tema del Parco;
Trasmettere una cultura ambientale attraverso la lettura del territorio e del paesaggio;
Compiere osservazioni naturalistiche, geologiche e botaniche;
Sviluppare le capacità di orientamento;
Incrementare la consapevolezza e la sostenibilità nei confronti dell’ambiente e della biodiversità;
Sviluppare un legame con l’ambiente tramite l’attività motoria;
Instaurare un legame con il proprio territorio.
Obiettivi specifici
Riconoscimento dell’origine dei laghi (vulcanici o glaciali);
Approccio al riconoscimento delle specie vegetali e animali presenti;
Imparare le basi della cartografia attraverso l’uso della bussola e della cartina;
Sviluppare le capacità di osservazione;
Miglioramento della condizione fisica;
Conoscere il significato ecologico della torbiera e del biotipo;
Controllo e gestione della paura (buio)
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Contenuti previsti
Sviluppo percettivo: attraverso l’utilizzo di tutti i sensi
Sviluppo emotivo: attraverso la sensibilizzazione alla cultura ambientale e alle esperienze di gruppo vissute nel parco;
Viluppo cognitivo: comprensione dei principali aspetti del parco attraverso l’esplorazione delle forme di vita che lo abitano e la comprensione dell’utilizzo degli strumenti per l’orientamento quali la bussola e le cartine;
Sviluppo sociale: socializzazione attraverso la cooperazione e stabilendo relazioni tramite il confronto di esperienze;
Sviluppo motorio: svolgendo attività motoria all’aria aperta instaurando un legame tra ambiente e attività fisica.
Luoghi Il Parco dei Cento Laghi: Situato nella fascia orientale dell’Appennino parmense, il Parco tutela un’area di spettacolare interesse paesaggistico e di incredibile fascino naturale.
Ufficialmente, l’Area Protetta si chiama Parco regionale delle Valli del Cedra e del Parma, ma il nome con cui è più nota, Parco dei Cento Laghi, rimanda ad una delle caratteristiche più interessanti della zona: i segni dell’ultima glaciazione, che si manifestano nelle varie pozze temporanee, nelle diverse torbiere e nei numerosi laghi che punteggiano il comprensorio, facendo di queste vallate suggestivi luoghi da scoprire.
1) Percorso alla scoperta del lago (da località. Lagdei al Lago Santo – Comune di Corniglio, Parma) 2) Percorso nella torbiera di 400 metri circa adatto anche a diversamente abili, in località Lagdei; 3) Percorso notturno nella torbiera; 3) Aule didattiche presso il rifugio in località Lagdei.
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Cartina del Parco
Nella foto la passeggiate della torbiera di Lagdei
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Visite guidate Le visite guidate nel parco saranno effettuate su 2 percorsi prestabiliti e le tematiche affrontate saranno le seguenti: la torbiera: un biotipo da difendere, la flora e la fauna; il lago: geologia, flora e fauna, cartografia.
Metodologie conversazioni quotidiane, utilizzo video, diapositive, utilizzo della macchina fotografica per evocare le sequenze delle esperienze vissute, sviluppo di elaborati su cartelloni per il lavoro di gruppo, raccolta di materiale durante le escursioni, esercitazioni di orientamento.
Programma 9.00 accoglienza: vengono assegnate le stanze e viene lasciato tempo ai ragazzi per familiarizzare con l’ambiente 9.45 presentazione del parco con visione di video e diapositive e spiegazione sull’utilizzo delle cartine e bussola 11.00 pausa 11.15 gioco: orientiamoci nel parco (caccia al tesoro) 12.30 pranzo presso il rifugio Lagdei 14.00 escursione alla torbiera con esplicazione di questo biotipo 16.00 merenda 16.30/18.00 Introduzione al riconoscimento delle piante 19.00 cena 20.30 escursione notturna 21.30 fine giornata, rientro al rifugio
2° giorno 8.00 colazione 9.00 partenza per escursione al lago Santo ( m. 1580 - sentiero n. 27) con esplicazione del riconoscimento delle piante durante il percorso 11.00 arrivo al Lago Santo: spiegazione delle origini del lago 13.00 pranzo presso il rifugio Mariotti (situato in prossimità della riva del Lago Santo) 14.00 Salita al monte Marmagna ( m 1852 – sentiero n. 27 – 00) e rientro a Loc Lagdei 17.00 partenza per il rientro a casa
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Costi, Tariffe e informazioni utili
Il Rifugio Ăˆ situato all’interno del Parco Nazionale dei cento laghi a 1250 metri di altitudine, incorniciata da un bosco di faggi e conifere, si apre la splendida Piana di Lagdei. Il Rifugio Lagdei ha come valore il rispetto per l'ambiente per i luoghi che lo circondano e lo dimostra con la raccolta differenziata, evitando la mentalitĂ "usa e getta": in concreto usa solo bicchieri di vetro e tazze di ceramica, niente lattine, piatti o bicchieri di plastica per il sostegno di un turismo sostenibile.
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Le camere Il rifugio dispone di 9 camere, da due, tre, quattro, sei e otto posti letto. Le camere, molto accoglienti, sono arredate in stile rustico da montagna con letti a castello in legno, armadio e comodino. Sono dotate di riscaldamento e bagno privato o al piano, con acqua calda e doccia, i letti sono forniti di coperte di lana.
Il ristorante
Ai pasti viene offerta l' acqua di fonte dei loro monti, una cucina con gli ingredienti della tradizione, semplici e genuini: cappelletti e tortelli fatti in casa, funghi porcini, selvaggina cucinata come vuole la tradizione, nessun dado o sapore "aggiunto". Latte, parmigiano e tante altre cose vengono dall'agricoltura biologica. Il prosciutto è quello dolce delle loro valli, i formaggi tipici, torte e spongate sono fatte in casa cosÏ come il miele e la farina di castagne.
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Tariffe in camerata
prezzi al giorno per persona con saccopelo/lenzuola proprie in camerata Adulti
€ 50,00 per la pensione completa (*) (**) (***) € 34,00 per la mezza pensione (**) (***) € 21,00 per pernottamento e prima colazione (***) € 17,00 per il solo pernottamento Bambini da 4 a 10 anni
€ 35,00 per la mezza pensione € 25,00 per la mezza pensione € 19,00 per pernottamento e prima colazione € 17,00 per il solo pernottamento Tariffe in camera privata Sono disponibili camere ad uso privato con sovrapprezzo di: € 4,00 a testa con bagno al piano; € 7,00 a testa con bagno in camera. (*) il pranzo comprende: primo, secondo, contorno, pane e acqua naturale (**) la cena comprende: primo, secondo, contorno, pane e acqua naturale (***) la colazione comprende: caffetteria, pane, miele, burro e marmellata Costo Guida Alpina per le due giornate: € 500,00 per gruppi fino a 25 partecipanti.
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Informazioni utili al 100% Prenotazioni e gestione La prenotazione del rifugio e delle attività didattiche, come la richiesta di qualsiasi informazione, avviene contattando direttamente la guida o il soggetto gestore, ai recapiti indicati su ciascuna delle schede descrittive. Ad uscita effettuata la scuola riconoscerà il compenso direttamente alla Guida. La scuola, inoltre, riceverà dalla Guida, in una busta già affrancata e indirizzata, un'apposita Scheda Qualità che il Parco ha predisposto per un costante monitoraggio del servizio che si chiede di rispedire, compilata in ogni sua parte, al Parco. Abbigliamento Consigliato Scarponcini, giacca impermeabile, cappellino e maglione sono consigliati in qualsiasi stagione. Per le escursioni invernali è necessario idoneo abbigliamento e attrezzatura: scarponi pesanti e impermeabili, giacca a vento, pantaloni impermeabili, guanti e cuffia, ghette. Per eventuali dubbi è possibile chiedere informazioni direttamente alla Guida. Come arrivare Casello autostradale A1 Parma e SS 665 Massese oppure A15 della Cisa uscita a Berceto. Per raggiungere il rifugio seguire le indicazioni per passo Sillara poi Bosco di Corniglio.
IL Parco in breve Il Parco Regionale di Crinale Alta Val Parma e Val Cedra o Parco dei Cento Laghi Il Parco Regionale di Crinale Alta Val Parma e Val Cedra, conosciuto anche come il Parco dei Cento Laghi, è stato costituito nel 1995 e si estende per circa 12.600 ettari e comprende la fascia alto appenninica orientale del parmense. Il Parco dei Cento Laghi si trova in un'area costellata da un numero particolarmente elevato di belle conche lacustri di origine glaciale di grande interesse paesaggistico che ricorda gli spettacolari ambienti alpini. Questo splendido paesaggio è stato sapientemente modellato dall’incessante opera dell’uomo che qui ha imparato a vivere e lavorare in perfetta armonia con le abbondanti risorse offerte dalla natura: il bosco, le rocce, l’acqua e i pascoli. La fitta rete di strade locali, antichissime mulattiere e sentieri (recentemente ripristinati) e la moderna rete di servizi e strutture per il turismo facilitano il visitatore nelle sue escursioni negli interessanti ambienti forestali, con conifere e latifoglie, e negli
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ambienti montani (rupi, brughiere d'altitudine, torbiere e pozze d'alpeggio). Ampio è anche il quadro floristico dell’Area Protetta che comprende centinaia di specie, tra cui molti endemismi appenninici ed apuani come la Primula Appennina e la Vedovella delle Appuane, proveniente dalle vicine Apuane. Il patrimonio faunistico si caratterizza invece per la presenza di animali dal rilevante interesse naturalistico come il Tritone alpestre apuano, l’Arvicola delle nevi, il Lupo appenninico, il Cervo europeo, l’Aquila reale, il Falco pellegrino e l’Astore.
FLORA Il
territorio,
dai
tratti
tipicamente
montani,
presenta
interessanti
testimonianze
geomorfologiche ed è ricoperto di boschi e costellato da incantevoli specchi d'acqua. Il parco ricade nell'ambito territoriale dei comuni di Monchio delle Corti e Corniglio, e si caratterizza per alcune preziose specie botaniche di origine alpina. Il paesaggio delle basse quote è connotato da boschi misti di latifoglie, con prevalenza di cerro e carpino nero, mentre castagneti ben curati si trovano in prossimità di Rimagna, Trefiumi, Bosco e tra Riana e Corniglio. Superati i 1.000 m fino ai 1.700, la zona montana è rivestita di faggi che incorniciano le conche lacustri. Abeti bianchi, abeti rossi e tassi sono le preziose testimonianze dell'antico paesaggio forestale attualmente scomparso. Per tale ragione le stazioni autoctone presenti nell’area protetta sono state inserite in un progetto dell’Unione Europea (Life Natura '95), esteso a tutto l'Appennino emiliano. Numerose le felci che crescono nella penombra del sottobosco, rigogliosa anche la vegetazione tipica degli anfratti rocciosi. Le zone sommitali fino al crinale sono ricoperte da basse brughiere e praterie, con estese formazioni di mirtillo nero, falso mirtillo (vaccinieti) e la flora caratteristica degli ambienti rocciosi.
Mirtillo
Cerro
Castagno
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FAUNA All'interno del parco vengono ospitate le specie animali tipiche di questo versante dell'Appennino, quali il lupo, la lontra, il capriolo, il cervo, il cinghiale, il toporagno, il moscardino, il ghiro, la volpe, il tasso, la donnola, la faina e la puzzola. Fra gli uccelli che vivono nel parco, l'aquila reale è la più significativa presenza, altri rapaci avvistabili sono il falco pecchiaiolo, l'astore, la poiana, il gheppio e lo sparviero. Nell'area boschiva si segnala l'assiolo, l'upupa, la cincia e il gufo reale. I torrenti sono l'habitat del raro merlo acquaiolo.
Il cervo
il gufo reale
Il lupo
Il falco pecchiaiolo PERCORSI E SENTIERI L'Ente di Gestione del Parco sta organizzando una serie di percorsi tematici segnalati, per approfondire alcune tipologie naturalistiche della zona, quali l'abete bianco, l'abete rosso e il tasso. All'interno del parco è inoltre presente la sentieristica CAI. Per le scuole sono stati preparati dei sentieri didattici, anch'essi a tema, riguardanti il bosco in Val Parma, i laghi e le torbiere in Val Cedra, e le fattorie. Un Punto Informazione del Parco è stato istituito presso l'Albergo Ghirardini a Bosco di Corniglio. Consigliamo inoltre una visita alla Riserva Naturale Orientata Guadine-Pradaccio, istituita nel 1970, e i bacini lacustri tra i più interessanti dell’intera catena appenninica - di Guadine e Pradaccio. La conca di Laghi, per la sua estensione, rappresenta indubbiamente una delle maggiori torbiere dell'Appennino parmense. Da Lagdei è possibile salire al lago Santo, il più ampio lago naturale dell'Appennino emiliano romagnolo, prendendo la seggiovia o utilizzando i sentieri. Dalla località Cancelli, percorrendo circa 6 Km di strada forestale non asfaltata, si arriva a Lagoni. Da qui può iniziare un'escursione seguendo il tracciato del sentiero 711, fino al lago Scuro dominato dalla mole del monte Scala.
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Materiale didattico e schede di lavoro Un accenno alla tradizione
“EL CASTAGNADOR” La raccolta delle castagne era un lavoro prevalentemente femminile: el castagnador, così erano definite le donne che durante tutto il periodo autunnale dovevano provvedere alla raccolta del prezioso frutto del bosco, spesso erano costrette a recarsi anche lontano da casa, per svolgere il loro lavoro.
L'attività di raccolta si effettuava in occasione della groda, cioè della caduta delle castagne, che inizia solitamente intorno alla metà del mese di Ottobre. Man mano che si raccoglievano, le castagne venivano poste in appositi contenitori, i cavagn; le donne erano solite metterle nello scozal, il grembiule che portavano allacciato in vita. Le castagne venivano poi insaccate e portate a spalla, o con il mulo, nelle cantine, oppure negli scador (essiccatoi).
Gli scador sono piccole capanne in mezzo al bosco, costruite in pietra arenaria con lo spazio interno diviso in due piani da una fitta griglia di travi, el grad. Molti di questi scador, a causa della trascuratezza, sono crollati e sono veramente pochi quelli ancora utilizzabili. Gli essiccatoi presentano un ingresso al piano inferiore, mentre per accedere a quello superiore, l’unica apertura è costituita da un finestrone raggiungibile dall’esterno con una scala a pioli. Le castagne raccolte venivano misurate con un bigoncio, con la mina e la quareta (unità di misura locali) e poi collocate sul grad del scador (graticola in legno dell’essiccatoio), mentre al piano inferiore veniva acceso un fuoco lento e costante che era tenuto vivo per una quarantina di giorni e interrotto soltanto per qualche ora a metà stagionatura, per
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gira el castagn, al fine di ottenere un’essiccatura uniforme di tutte le castagne. Sin tanto che le castagne non erano veramente secche, a turno qualcuno doveva rimanere ad assistere il fuoco anche di notte, dormendo su di un pagliericcio sistemato all’interno dell’essiccatoio.
Teminati i quaranta giorni, le castagne secche venivano fatte cadere nel sottostante locale in attesa della pistadura (battitura). Per eseguire la battitura, esistevano diversi metodi: quello più frequente e maggiormente in uso nelle Corti di Monchio, era di mettere una certa quantità di castagne in un sacco di tela precedentemente intinto in una poltiglia a base di farina ed acqua, chiamata la bozma, che serviva per rendere più elastica e robusta la tela; infatti il sacco con dentro le castagna secche, veniva battuto ripetutamente sopra un tronco d’albero per favorirne il distacco della buccia dal frutto. Un altro modo di procedere alla battitura delle castagne era l’uso del bgons e del fér, un contenitore in legno a forma di lunga anfora (bgons), nel quale si versava una certa quantità di castagne secche, che successivamente venivano pestate con un ferro a corona, dal manico di legno (fér), che si utilizzava nel modo in cui si usa la vanga.
Eliminata la parte più grossa della pula, si procedeva alla fase di pulitura finale con la vasora (recipiente ampio, simile ad una grossa pala di legno, delimitata su tre lati da sponde appena accennate). Le castagne secche spellate, i guson, a piccole quantità, erano vagliate nella vasora con movimenti bruschi e rotatori per eliminare così gli ultimi residui delle bucce, che comunque non venivano buttate via, ma ammucchiate nello scador e quindi bruciate l’autunno successivo. Terminate tutte queste operazioni di pulitura, si poteva pesare il prodotto finito; se ne calcolava la resa considerando che di tre parti di fresche normalmente ne restava una di secche.Le castagne erano così pronte per essere usate come guson per farne minestre e dolci, oppure per essere portate al mulino e ridotte in dolcissima farina per saporitissima polenta, frugadej e fritell…
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La torbiera di Lagdei Ai piedi del Monte Orsaro e del Monte Braiola sorge la torbiera di Lagdei, ultima vestigia di un antico lago glaciale. Nell'umida prateria fioriscono orchidee selvatiche come la Dactylorhiza fuchsii e il Coeloglossum viride. Alla fine di giugno appaiono i candidi pennacchi dell'Erioforo, mentre in Agosto si ammanta di fiori blu la Genziana di Esculapio. Numerose farfalle, colorate cavallette, iridescenti coleotteri eleggono la torbiera a loro residenza. Intorno alla torbiera di Lagdei un nuovo percorso, lungo circa 400 m, attraversa gli ambienti più interessanti e ricchi di specie animali e vegetali. Perfettamente pianeggiante, per lunghi tratti realizzato in legno su palafitta, il sentiero è accessibile a tutti; cinque pannelli interattivi e dodici cartelli illustrati raccontano l'evoluzione della torbiera e le specie principali che la abitano. Una mostra sulla torbiera è allestita nel punto informativo del Parco annesso al rifugio vicino al punto di partenza del percorso. Nelle gelide acque dei torrenti che solcano la piana guizzano le trote fario e non è difficile sorprendere il rapido volo del merlo acquaiolo. Colorate libellule dardeggiano nell'aria in cerca di prede, mentre i gerridi pattinatori solcano la superficie dello stagno. Nei boschi circostanti si nascondono caprioli, volpi e scoiattoli; fringuelli e ciuffolotti vi costruiscono il nido. Infine, con un po' di fortuna, è possibile scorgere il maestoso volo dell'aquila reale.
Erioforo Coeloglossum viride
Gerridi
Genziana di Esculapio
Dactylorhiza fuchsii
Cincia Mora
Scoiattolo
Volpe
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Laghi e Torbiere
Distribuiti tra il territorio dei Cento Laghi e quello del Parco Appennino tosco-emiliano, si possono contare 19 laghi, situati in ampie conche modellate dagli antichi ghiacciai; si trovano ad un’altitudine che varia dai 1200m ai 1700 m slm. In genere alle quote piÚ elevate si possono trovare specchi d’acqua privi di vegetazione come i laghi del Bicchiere, del Sillara, Compione, Frasconi e Martini situati trai 1600 e i 1750 m slm; mentre al di sotto di tale quota si possono trovare laghi circondati da maestose faggete (L. Santo, L. Gemio inferiore, L. Ballano, L. Verde, L. Palo, L. Scuro Parmense, L. Scuro) oppure da una fascia di piante palustri o da praterie solo periodicamente inondate (L. Verdarolo, L. Squincio, L. Gemio superiore, L. Pradaccio).
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Per l’isolamento e la scarsa presenza di sostanze nutritive i laghi d’alta quota erano originariamente privi di pesci, ma le immissioni anche non recenti, legate alla pesca sportiva, li hanno via via popolati di salmonidi. Quest’ultimi rappresentano una forte minaccia per le popolazioni di anfibi che nei laghi trovano l’habitat ideale per la riproduzione, come il Tritone alpestre. In molti casi le depressioni lacustri sono state colmate da torbe, originate dalla parziale decomposizione dei muschi e sfagni. Le piante tipiche di questi ambienti umidi sono carici, equiseti, giunchi e pennacchi (Eriophorum spp., Tricophorum spp.); sui tappeti di muschi fioriscono il raro Trifoglio fibrino e la Parnassia. Le torbiere inoltre consentono la riproduzione dello Spioncello e, in particolare nella Val Parma, dello Stiaccino.
lo stiaccino
lo spioncello
Il trifoglio fibrino
la parnassia
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Il Lago Santo
Il Lago è di origine glaciale, ha 1000 metri di circonferenza per 22 di profondità, ed è il maggiore dei laghi naturali dell'alta Val Parma. L'origine del nome, pare abbia a che fare con una leggenda che parla di pastori miscredenti che rifiutandosi di seguire gli insegnamenti di un Sant'Uomo furono travolti da un subitaneo nubifragio che trasformò in un lago, il prato dove essi stavano pascolandole greggi. Le sponde che contornano il lago sono coperte quasi interamente da faggi anche di discrete dimensioni, l'immagine è rotta soltanto dalle pietraie che coprono le pendici del monte Sterpara e che arrivano a lambire le fresche acque del lago. Se immaginiamo di immergerci nelle acque cristalline, scopriremmo che i primitivi abitanti del lago sono le Salamandre e i Tritoni di un bel colore nero a striscie gialle. In epoche successive sono poi state immesse specie ittiche a scopo di pesca, come Trote Fario e Salmerini. A proposito del Salmerino, va ricordato che il Lago Santo rappresenta l' areale di distribuzione più meridionale d'Europa.
Il Salmerino
La salamandra
La trota fario
Il tritone
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La Torbiera Le torbiere sono costituite da acquitrini e paludi nei quali la materia organica si riproduce più velocemente di quanto non si decomponga: questo fenomeno dà origine alla torba. In alcune torbiere può svilupparsi la vegetazione, infatti la torba è densa ma non impedisce alle radici delle piante di attraversarla e di raggiungere l’acqua e i terreni ricchi di sostanze minerali che si trovano in profondità. La vegetazione tipica è costituita da alcune specie di cipero. Dove la torba è troppo fitta la vegetazione prevalente si chiama sfagno, e si sviluppa sui terreni acidi. Le torbiere sono frequenti dove il clima è freddo e umido, dove il drenaggio dell’acqua piovana è scarso e il processo di decomposizione della sostanza organica è rallentato. Esempi di questo fenomeno ci sono offerti dalle piane del Lagdei mentre in Alta Val Parma o alta Val Cedra si trovano antichi bacini lacustri di origine glaciale in fase avanzata di interramento. La torbiera costituisce infatti una fase della successione che porta da un lago ad un prato (lago – stagno – torbiera – prato). La successione è determinata dall’accumulo di materiale solido e di materiale organico. Gli organismi vegetali contribuiscono al riempimento del bacino attraverso la formazione della torba, sostanza organica morta a diversi stadi di decomposizione, impregnata di acqua e parzialmente fossilizzata. Il ristagno di acqua, infatti, determina l’instaurarsi di anossia che rallenta l’attività degli organismi. Pertanto, i resti dei vegetali morti tendono ad accumularsi al suolo, dando vita a depositi organici noti appunto con il nome di torbe.
Alcune torbiere costituiscono una testimonianza della vita passata: i granelli di polline in esse preservati forniscono indizi sulla vegetazione e sul clima di tempi assai lontani. La torba è stata usata come combustibile per molto tempo e l’escavazione a fini commerciali ha ridotto le torbiere a ecosistemi in pericolo. Lo spessore, le caratteristiche fisiche e la composizione chimica delle torbe variano considerevolmente in rapporto alle condizioni ambientali in cui si sono formate e alla natura dei vegetali da cui sono derivate. Per facilitare gli studi vegetazionali le torbiere vengono distinte in ricche, povere ed intermedie. Le torbiere povere sono caratterizzate da sfagni, tipici di questi ambienti; l’accumulo di queste piante, che disseccano nei periodi estivi, determinano un innalzamento del piano di campagna tale da favorire ericacee e Nardus stricta, rispetto alle piante igrofile. La
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torba che deriva dagli sfagni è particolarmente acida e povera di sali nutritivi per cui si forma un ambiente fortemente ostile alla vita delle altre piante. Le torbe ricche, invece, sono caratterizzate da un ambiente meno acido e con maggiori nutrienti che consente l’insediarsi di una molteplicità di specie; in questi ambienti mancano gli sfagni ma si trovano altri tipi di muschi e residui di piante vascolari.
Alcuni interventi realizzati in passato hanno alterato gli equilibri delle torbiere, in particolare quelli idrologici, e hanno determinato modificazioni nella vegetazione e la scomparsa di specie rare; pertanto è necessario preservare l’efficienza di questo ecosistema per la sua importanza dal punto di vista naturalistico, fitogeografico ed ecologico.
Nella foto: esempio di Sfagni
Nella foto: nardus stricta
La Torba La torba è un carbonio
materiale organico compatto, di colore scuro, ad alto contenuto di
formatosi,
nelle
torbiere
dalla
decomposizione
di
vegetali,
e
dalla
carbonizzazione. -
I muschi concorrono alla formazione della torba. La spartina è un tipo di pianta che cresce nelle paludi salmastre, la decomposizione di queste piante origina la torba "salata".
Le nazioni in cui sono distribuite le torbiere sono: Canada, Stati Uniti, Russia, nei paesi scandinavi, in Gran Bretagna e in Irlanda. In alcuni paesi si utilizza la torba secca compressa in piccoli mattoni, come combustibile, anche se non è efficace come il carbone per l’alto contenuto di acqua e cenere. Avendo ottime capacità assorbenti la torba viene utilizzata nella coltivazione di numerose
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specie di piante. Utilizzando la torba in modo intensivo viene sottratto a piante e specie animali il loro habitat naturale.
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Torbiere quali archivi naturali
La torba acida e inzuppata d’acqua conserva i pollini che vi si sono depositati. Anche dopo millenni è così possibile determinare famiglia, genere o perfino la specie cui erano appartenuti. La composizione dei pollini racchiusi in ogni strato di torba rispecchia la vegetazione dei dintorni della torbiera al momento in cui essi vi furono depositati. Il metodo del carbonio radioattivo ne può fornire una datazione attendibile. In tal modo possiamo rispondere a interrogativi del tipo: quando la foresta ricolonizzò questo ambiente dopo l’ultima glaciazione? Quali specie arboree prevalsero sulle altre e quando? A quando risalgono i più antichi coltivi? L’analisi dei pollini effettuata sui carotaggi di torna contribuisce in modo determinante alle nostre conoscenze sulla storia della vegetazione e del clima.
L’utilizzazione odierna Come trattiamo oggi le nostre torbiere? Nelle torbiere campionate nell’ambito della verifica della protezione delle paludi viene rilevata anche l’utilizzazione agricola.
Il responso secondo cui tutt’ora quasi un terzo della superficie delle torbiere alte viene falciato se non addirittura pascolato evidenzia delle lacune in merito alla loro protezione: dovrebbero infatti essere esenti da ogni sfruttamento.
Rigenerazione
La modifica del regime idrico rappresenta una delle manomissioni più frequenti e gravi nelle torbiere e paludi indigene poiché provoca la sostituzione della loro vegetazione caratteristica con quella di ambienti più secchi. Spesso sussiste però la possibilità di una rigenerazione. Si tratta di ricreare le premesse per la crescita degli stagni garantendo l’inzuppamento della torbiera fino in superficie, in sostanza quindi di sbarrare o colmare i canali di drenaggio. Un centinaio di progetti di questo tipo sono attualmente in esecuzione in Svizzera. La rigenerazione delle torbiere e quindi l’accrescimento della loro capacità di trattenere l’acqua, rappresentano non da ultimo un investimento a lunga scadenza contro le inondazioni. Se si riesce a rigenerare un’estensione considerevole di paludi e torbiere
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indigene ci si può pertanto attendere un contributo positivo al bilancio idrico del paesaggio.
Glossario Biotopo: designazione del diritto elvetico per l’ambiente vitale di una determinata comunità di organismi (habitat) Torba: resti vegetali organici, decomposti solo parzialmente in seguito alla carenza di ossigeno, che costituiscono il suolo di torbiere e paludi Torbiera: palude su suolo ricco di torba. Spesso impiegato nel senso di palude alta e/o intermedia, il termine di torbiera è più limitativo di quello di palude. Torbiera alta: chiamata anche palude alta o torbiera ombrogena o semplicemente torbiera, è alimentata, in superficie, esclusivamente da acqua piovana. La vegetazione non può pertanto attingere all’acqua freatica, più ricca di sostanze nutrienti. Dominato dagli sfagni, quest’ambiente estremo è caratterizzato da forte acidità e scarsità di sostanze nutrienti e ossigeno. Zona umida: ambiente caratterizzato dall’affioramento di acque, da periodiche inondazioni o dall’inzuppamento duraturo del suolo (Es.: rive poco profonde dei laghi, di stagni e fiumi, aree costiere, zone golenali, paludi, torbiere). Sfagni: muschi tipici delle torbiere alte che ne generano gran parte del suolo. Specie caratteristica: specie caratteristica di un’associazione vegetale, legata cioè principalmente o esclusivamente a essa. Rigenerazione: ristabilimento spontaneo o artificiale di biotopi manomessi; nel caso delle paludi richiede generalmente l’elevazione del livello dell’acqua. Analisi dei pollini: metodo che consente di individuare la composizione della vegetazione d’un tempo sulla base dei granelli di pollini depositati nelle paludi.
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I tipi di lago: morfologia ed origine dei laghi
I laghi sono cavitĂ del suolo all'interno delle quali si accumula l'acqua raccolta, tali cavitĂ si possono essere prodotte nella crosta terrestre per svariati motivi. I laghi vengono classificati a seconda della loro origine in:
laghi tettonici: sono quelli formatisi in seguito a movimenti degli strati piĂš profondi della crosta terrestre che fratturandosi e spostandosi, hanno determinato l'aprirsi di bacini ove si sono raccolte le acque. Di questa origine sono i grandi laghi africani (Tanganika, Niassa, Rodolfo) ed asiatici (Baikal), tra i piĂš estesi e profondi della terra. laghi vulcanici: sono quelli ospitati nei crateri, singoli o diversi compenetrati, di vulcani spenti (laghi craterici : es. laghi di Monterosi, Albano, Nemi, Vico, Bracciano) o nelle depressioni formatesi per lo sprofondamento delle parti centrali dei vulcani a seguito della fuoruscita dei magmi (laghi di caldera : es. lago di Bolsena). Di questa origine sono anche i laghi di sbarramento di vallate formatisi per il consolidamento di colate laviche trasversali alla valle.
laghi di frana si formano in seguito ad eventi catastrofici per la deposizione sul fondo di una vallata dei detriti franati da una parete della valle stessa
laghi glaciali: i ghiacciai possono originare conche lacustri in due modi: 1) scavando conche direttamente nella roccia o 2) sbarrando valli con materiale morenico (laghi morenici) o con la loro stessa massa. Si ritiene che i ghiacciai non abbiano scavato le grandi valli alpine ma, piuttosto, che abbiano rimodellato valli preesistenti
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laghi di pianura: in una pianura molto livellata percorsa da molti fiumi bastano cause modeste per provocare tra due bacini idrografici zone di spartiacque incerto, che facilmente si impaludano. Le cause più frequenti sono: il costipamento dei sedimenti, lo sbarramento ad opera di alluvioni, le irregolarità nella deposizione originaria del materiale alluvionale che ha costituito la pianura e, infine, l'opera dell'uomo di estrazione dal sottosuolo. Ancora: se un meandro del fiume viene segregato dal corso principale, per esempio per la deposizione di materiali alluvionali, vi si può trattenere una raccolta d'acqua denominata lanca. laghi costieri: i laghi costieri si formano per deposizione, parallelamente alla linea di costa, del materiale sospeso nelle acque marine. Il protrarsi di tale deposizione può far sì che l'accumulo arrivi a sporgere sopra il livello medio del mare formando una lingua sabbiosa allungata: il cordone litoraneo. Se questo si origina all'imboccatura di un seno della costa, può giungere a saldarsi con la terraferma ad entrambe le estremità isolando dal mare aperto uno specchio d'acqua che diventa un lago costiero.
Aspetti geomorfologici Le arenarie del crinale Il crinale che segna il lato meridionale dell'area protetta ha un profilo decisamente asimmetrico, in gran parte dovuto alla diversa giacitura degli strati rocciosi nei due versanti. Il versante toscano é scosceso e a tratti impressionante per le pareti che paiono come tagliate negli strati arenacei, mentre quello emiliano é decisamente meno acclive e sui pendii che tendono a disporsi lungo le superfici di strato si sono prodotte, e poi conservate, le piú belle morfologie glaciali di tutto l'Appennino settentrionale. I rilievi del crinale sono interamente modellati nelle arenarie appartenenti alla Formazione del Macigno: rocce formate da sabbia cementata e caratterizzate da una granulometria piuttosto grossolana, una regolare stratificazione e una colorazione grigia (che puó diventare bruna per alterazione e apparire bianca o giallastra per la presenza di licheni crostosi). L'origine di queste arenarie é legata alla sedimentazione in ambienti marini abissali dove le sabbie giungevano trasportate dalle correnti di torbida: colossali masse di sedimenti mista ad acqua, che si innescavano nei pressi delle coste a causa di terremoti,
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frane sottomarine o ingenti piene fluviali. Una volta formata, la corrente di torbida si muoveva lungo i pendii sottomarini verso le zone abissali e durante il percorso poteva incidere il fondale sino a scavare veri e propri canyon, aumentando cosí il suo carico di sedimenti. Come accade per le valanghe di neve e le "nubi ardenti" di ceneri vulcaniche, l'energia della corrente si produceva anche per il contrasto di densità tra la sua massa e quella dell'acqua marina circostante. Raggiunti i fondali abissali, la corrente subiva una progressiva decelerazione e depositava i suoi sedimenti a partire dai piú pesanti, le sabbie, e solo dopo il completo arresto lasciava decantare le leggerissime particelle argillose. Dalla sedimentazione di una corrente di torbida, quindi, ha il piú delle volte origine uno strato litologicamente doppio, con una base arenacea che sfuma verso l'alto in un tetto argilloso, e le torbiditi, cioé le rocce di queste successioni sedimentarie, sono caratterizzate da una monotona alternanza di strati arenacei e marnosi (questi ultimi possono anche essere il risultato della lentissima sedimentazione dei finissimi fanghi abissali che riprendeva al cessare della corrente). Nel caso del Macigno la netta prevalenza della porzione arenacea degli strati, che a volte hanno alla base granuli molto grossolani e sottili livelli ciottolosi, é una testimonianza dell'elevata energia della corrente che li ha depositati. La sedimentazione del Macigno é avvenuta, tra la fine dell'Oligocene e l'inizio del Miocene (30-25 milioni di anni fa), sui profondi fondali della cosiddetta avanfossa, il bacino che si era creato davanti al corrugamento appenninico embrionale, dove il ripetersi di innumerevoli episodi torbiditici portó all'accumulo di circa 1000 m di strati arenacei. Le glaciazioni del quaternario Oggi i ghiacciai occupano 1\10 di tutte le terre emerse,ma durante la storia della Terra hanno avuto superfici più grandi.In particolare nell’ultimo milione di anni per almeno 11 volte si sono estesi per poi contrarsi di nuovo,arrivando ad occupare nel massimo della loro espansione 1\3 della superficie emersa. Durante l'ultima glaciazione, detta del Wurm, che iniziò 75 000 anni fa e conobbe il suo acme intorno a 20 000 anni fa, l'Europa era ricoperta da una coltre di ghiacci spessa 2000-3000 metri che dal polo Nord scendeva fino alla latitudine di Londra. L'inversione climatica che dette l'avvio all'attuale periodo postglaciale, chiamato Olocene, iniziò secondo la maggior parte degli scienziati circa 15 000 anni fa. L'anno 8300 a. C. segna convenzionalmente per i climatologi la fine dell'ultima glaciazione.
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Gli antichi ghiacciai dell'Appennino parmense
Nelle montagne appenniniche hanno lasciato tracce notevoli i processi di modellamento avvenuti durante le glaciazioni che si sono avvicendate nel Pleistocene (800.000-10.000 anni fa), quando estese porzioni dell'emisfero settentrionale vennero rivestite dai ghiacci. Delle quattro glaciazioni che interessarono la catena, le ultime due, denominate Riss e Würm dalle vallate alpine che ne conservano le forme piú significative, hanno lasciato memoria nelle montagne parmensi. Del Riss, che ebbe luogo intorno a 200.000 anni fa, il parco custodisce la sola testimonianza certa dell'Appennino settentrionale: la coltre di depositi morenici, i sedimenti eterogenei e disorganizzati trasportati dalle masse glaciali e poi abbandonati al loro ritiro, che ricopre il piano sommitale del Monte Navert verso Pian del Freddo e sino a Groppo Fosco. Una straordinaria evidenza in tutto il parco hanno invece le forme scavate dai ghiacci e i depositi morenici del Würm. Tutti gli specchi d'acqua che punteggiano queste montagne occupano il fondo di depressioni (circhi glaciali) scavate dai ghiacci di questo periodo, spesso sbarrate dai tipici cordoni morenici. Durante il Würm, infatti, a partire dal crinale una gigantesca massa di ghiaccio seppellí la maggior parte dei rilievi e si estese nelle vallate sottostanti. Il piú imponente era il ghiacciaio che scendeva lungo la valle del Parma, alimentato dalle lingue dei tre rami che oggi ne formano la testata. Nei pressi del crinale, tra Monte Paitino e Rocca Pumacciolo, il ghiacciaio riceveva il contributo della testata della valle del Cedra, raggiungendo un'ampiezza complessiva di quasi 25 km2 (il piú grande apparato glaciale di tutto l'Appennino settentrionale). Come testimoniato dai depositi morenici prossimi al borgo di Staiola, la lingua del grandioso ghiacciaio raggiunse una lunghezza massima di circa 8 km e una larghezza, all'altezza di Bosco, di quasi 1,5 km. Nella estesissima morena di Bosco, tra castagneti talvolta secolari, si incontrano begli esempi di massi erratici: voluminosi frammenti di arenaria staccatisi dai versanti che fiancheggiavano la lingua glaciale e da essa trasportati piú in basso. Anche il ghiacciaio della valle del Cedra raggiunse uno sviluppo notevole: dalle zone di alimentazione tra i monti Sillara e
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Malpasso, la lingua principale scendeva spingendosi sino all'altezza di Monchio, dove sono localizzati i depositi morenici piú bassi lasciati dalla glaciazione würmiana. Le marmitte glaciali Se in una roccia si intravedono specie di "buchi", sono le marmitte glaciali. Le marmitte glaciali si formano così: nei ghiacciai ci sono serie di crepacci di varie dimensioni e sparsi in tutta la superficie; quando questi crepacci si intersecano si formano dei blocchi isolati detti seracchi. La superficie del ghiaccio è modellata dalla sua fusione e così si formano piccole valli dove scorrono piccoli corsi d’acqua che penetrano in profondità grazie ai crepacci.
Raggiungono il fondo roccioso erodendo in modo caratteristico e così si formano le marmitte glaciali. Le acque danno origine ad un torrente che sfocia in superficie in prossimità del fronte del ghiacciaio.Possiamo dire che la superficie dei ghiacciai si presenta convessa e staccata dalle pareti rocciose.Le ogive sono dovute all’affiorare di strati di ghiaccio sovrapposti oppure messi obliquamente rispetto alla pendenza del letto. Le colate del ghiacciaio conservano sempre la stessa individualità perché non si uniscono mai.
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Che albero è questo?? Abete Bianco (Abies alba)
L'Abete Bianco è una conifera diffusa allo stato spontaneo in tutta l'Europa centromeridionale. In italia si distribuisce in modo abbastanza continuo sulle Alpi; sull'Appennino si trova in nuclei piuttosto frammentati, nell'Emilia occidentale sono presenti alcuni nuclei isolati di individui autoctoni, dove il numero di piante per nucleo varia da 2-3 a qualche centinaio. Secondo una stima sintetica il numero di piante nelle province di Parma, Piacenza e Reggio Emilia ammonta a circa 3000. In queste aree, i luoghi di vegetazione sono difficilmente raggiungibili, su pendii ripidi e dirupati, ma particolarmente interessanti per l’elevato tasso di naturalità conservato. L’inaccessibilità è uno dei fattori che ha preservato i nuclei dallo sfruttamento dell'uomo. Tutti i luoghi di vegetazione rientrano tra i siti proposti dallo Stato italiano quali siti di importanza comunitaria.
E' un grande albero dritto e slanciato, alto fino a 50 metri. La chioma è di forma piramidale.
Le
foglie
Sono
persistenti,
lunghe
2-3
cm,
piatte,
lucide,
verdi
scuro
superiormente e percorse da due linee argentate nella pagina inferiore; si inseriscono sui rametti in due serie opposte, come i denti di un doppio pettine.
I fiori: è una pianta monoica; i fiori maschili, rudimentali e poco appariscenti come in tutte le conifere, sono raccolti in piccole infiorescenze ovoidali, gialle e pendule; quelli femminili formano infiorescenze più grandi, rosso-violacee.
Strutture riproduttive: E' una pianta gimnosperma.
Habitat: vive in zone montane, tra i 500 e 1800 m. E' una specie moderatamente termofila; preferisce climi ad alta piovosità, limitata escursione termica e terreni freschi e profondi.
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Curiosità: fornisce un legname di minore qualità rispetto all'abete rosso, ma molto impiegato in falegnameria e nell'industria cartaria.
Nel Parco dei 100 laghi è una delle specie tutelate dal progetto Life-Natura’95.
Il castagneto I Castagni, che sono presenti in fitti boschi alle quote intorno ai 900-1000 metri, hanno costituito fino a qualche decennio fa con i loro preziosi frutti, le castagne, l’alimento base delle popolazioni montanare. Pertanto si può ben capire per quale motivo il castagno fosse definito “l’albero del pane”.
Il Castagno (Castanea sativa)
Appartenente alla famiglia delle Fagaceae, il Castagno cresce bene su suoli acidi di montagna e può raggiungere, negli esemplari più vecchi, altezze di 30-35 metri; ha una chioma ampia con molti rami; la sua corteccia, di colore bruno scuro, si divide in lunghe nervature a spirale. Le foglie sono coriacee, oblunghe e appuntite con nervature parallele ed inserzione alterna su rami. I fiori maschili sono ubicati su amenti lunghi 10-30 cm e sono simili a fiocchi gialli; le infiorescenze femminili si trovano alla base degli amenti. La fioritura, tardiva, avviene verso la fine di maggio. Il frutto è un riccio verde spinoso che, in autunno, si apre per liberare da uno a tre frutti commestibili: le castagne.
Le castagne Le castagne, in quanto ricche di amido e zuccheri, nutrienti e digeribili, hanno costituito l’alimento base delle popolazioni montanare.
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Venivano consumate fresche in autunno, venivano essiccate e ridotte in farina e a volte venivano anche vendute.
Cerro - Quercus cerris L. Famiglia: Fagaceae Strutture riproduttive: è un angiosperma. Originario dell'Europa sud-orientale e dell'Asia Minore. Bellissimi boschi di Cerro si trovano lungo tutto l'Appennino.
Foglia e frutti di Cerro
La quercia vive generalmente 400 0 500 anni, ma i suoi primi semi e frutti compaiono dopo ben 60 anni dalla sua nascita. In Italia ci sono centinaia di specie di querce, le più comuni sono tre ma al Parco cento laghi troviamo la - Roverella: è più piccola delle altre querce, e spesso ritorta. Cresce su suoli secchi e poveri, la si riconosce dalla “peluria” (lanugine) biancastra che ha sotto le foglie. Caratteristiche generali Dimensione e portamento: Alto fino a 35 metri, con chioma ovale, allungata, mediamente compatta. Tronco e corteccia:
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Tronco diritto con corteccia dura, spugnosa, grigio cenere e fessurata nelle piante adulte. Foglie: Foglie caduche, di forma variabile, prima tomentose, poi opache e scabre nella parte superiore, pubescenti in quella inferiore, quasi coriacee. Strutture riproduttive: Pianta monoica con fiori unisessuali. Le ghiande (2,5 cm) sono poste sui rami dell'anno precedente, di colore bruno rossatro, con striature longitudinali, ricoperte per metà da una cupola legnosa provvista di caratteristiche squame arricciate. Usi: Il legno, meno pregiato di quello di altre querce, è usato soprattutto come combustibile. Duro ma poco resistente, viene impiegato per le traverse ferroviarie, dopo essere stato impregnato. Si distingue facilmente dalle altre querce per le caratteristiche ghiande.
Abete rosso (Picea excelsea)
Appartiene alla famiglia famiglia Pinaceae. Il nome di "Abete rosso" fa riferimento al colore della corteccia, infatti essa a maturità è di colore rossastro e rugosa, e si stacca a scaglie. L'abete rosso è una conifera sempreverde. Gli aghi verde chiaro sono corti e pungenti e sono inseriti a spirale tutt'intorno al germoglio. Le pigne sono lunghe e appuntite, pendono dall'albero ed hanno squame arrotondante. I rami superiori tendono ad incurvarsi verso l'alto mentre quelli inferiori si avvicinano al terreno. Il legname, leggero ed elastico, si utilizza per imballaggi, costruzioni leggere, per
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preparare la pasta della carta e pere la fabbricazione di strumenti musicali, in particolare per la cassa di risonanza del violino.
Il Faggio (Fagus selvatica) Insieme alla quercia è l’albero più comune nei nostri boschi, è un grande albero che può superare i 40 metri di altezza e il metro di diametro! La corteccia è liscia e di colore grigio chiaro, i fiori crescono a grappoli pendenti, le foglie sono ovali e dentellate, con un po’ di peluria nella pagina inferiore.
Famiglia: Fagacee Habitat: Ambiente submontano e montano (Alpi, Appennini). Fusto: Può raggiungere i 30-40 metri di altezza. Corteccia liscia di un caratteristico color grigio chiaro, può rompersi in squame. Foglie: Alterne, lucide su entrambe le pagine, hanno margini ondulati. Gialle, successivamen- te arancione o rosso brune in autunno. Fiori: Unisessuali, quelli maschili in amenti con peduncolo di 5 cm e penduli, quelli femminili solitari o a due chiusi in una capsula spinosa non pungente , fioritura aprilemaggio. Frutti: Le "faggiole" sono formate da due noci racchiuse in una cupola a quattro valve.
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La Bussola
La bussola è uno strumento per l'individuazione dei punti cardinali. È provvista di un ago calamitato che, libero di girare su di un perno, ha la proprietà di allinearsi lungo le linee magnetiche del campo terrestre indicando così la direzione nord-sud (entro i limiti d'errore dovuti alla declinazione magnetica). L'uso della bussola è fondamentale in mare aperto, in vasti spazi, dove non ci siano punti di riferimento, così come in presenza di riferimenti per localizzarsi goniometricamente rispetto ad Questo strumento ha migliorato la navigazione facilitando i commerci marittimi e i viaggi per mare rendendoli più sicuri ed efficienti. Alla bussola può essere associata una meridiana che permette di conoscere l'ora solare durante il giorno, semplicemente osservando l'ombra prodotta dalla barra, perpendicolare all'ago, dopo che quest'ultimo si è posizionato verso Nord. La bussola deve il suo nome alla scatola in legno di bosso che originariamente conteneva tale strumento. Storia della bussola L'invenzione della bussola si attribuisce ai cinesi e ai vichinghi. Essi scoprirono il campo magnetico terrestre che veniva usato come forma di spettacolo: Es. venivano lanciate casualmente delle frecce magnetizzate, come si fa con i dadi, e "magicamente" queste si allineavano verso il nord, impressionando gli spettatori. Nelle bussole venne fissato un ago libero di ruotare che si disponeva sempre nella direzione del nord. Una volta conosciuta la posizione del nord era poi possibile identificare il sud come la direzione opposta, mentre l'est e l'ovest erano rispettivamente alla destra ed alla sinistra dell'osservatore rivolto verso il nord. È certo che l'uso della bussola come strumento di
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navigazione risale all'anno 1100 presso gli stessi cinesi. Fu introdotta in Europa nel XII secolo probabilmente attraverso gli Arabi: il primo riferimento all'uso della bussola nella navigazione nell'Europa occidentale è il De nominibus ustensilium di Alexander Neckam (1180-1187). Utilizzo di una bussola
Uno Scout usa la bussola
Oltre che per indicare il nord la bussola è dotata della linea dell'azimut. Mettendo la bussola all'occhio si guarda attraverso il mirino ed inclinando "il supporto del mirino" si fa in modo che guardando attraverso la linea dell'azimut si possa vedere anche contemporaneamente con la lente quanti gradi sono. Accanto alla bussola si trova anche la riga con scala 1:50'000 metri per rilevazioni sulla cartina. In mancanza della bussola... Fin dall'antichità l'uomo ha dovuto risolvere il problema dell'orientamento. Durante le giornate di sole basta osservare quest'ultimo. Infatti notarono che il sole sorgeva verso Est e tramontava verso Ovest. Il Sud corrispondeva alla posizione del sole a mezzogiorno e il Nord alla posizione opposta. Considerando questo fatto e con l'utilizzo di un orologio analogico, a lancette, sincronizzato sull'ora solare, si può ugualmente trovare il nord proiettando l'ombra di una pagliuzza posta al centro del quadrante mantenuto orizzontale sulla lancetta delle ore. La direzione nord/sud sarà data dalla bisettrice dell'angolo tra l'ombra e la linea che passa dal centro dell'orologio per le ore dodici.
Utilizzarono, di notte, anche le stelle. La Stella Polare si trova per esempio sempre al di sopra del Nord geografico: guardandola avremo il braccio destro a est, quello sinistro a ovest e dietro avremo il sud.
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