Camminodirittozero

Page 1

Cammino Diritto rivista di aggiornamenti e approfondimenti con articoli giuridici. Anno 2015 ­ Dicembre n° 0 Distribuzione gratuita Tribunale di Salerno N°12/2015 Direttore Responsabile R a f f a e le G ia q u in t o ISSN 2421­7123


Il Diritto come cultura delle nuove generazioni. Nato a Civitavecchia (RM) il 24.06.1989 ne è fondatore e Direttore, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza discutendo una tesi sulla riforma della conciliazione giudiziale nel processo tributario. Autore di vari articoli giuridici, nel 2015 è stato inserito nel gruppo di ricerca in Procedura Penale diretto dal Prof. Luigi Kalb (docente della materia presso l'Università degli Studi di Salerno). Il percorso di ogni giovane giurista è diverso, profondamente diverso. C’è chi termina il proprio percorso di studi con l’obiettivo di svolgere una delle tre professioni classiche del diritto, chi sceglie di volare all’estero, chi invece prosegue con gli studi specializzando le proprie competenze in vista di concorsi di varia natura. Cammino Diritto ha aperto una nuova strada. Non una alternativa a quelle citate, ma una parallela e complementare, che fortifichi il ruolo dell’operatore del diritto a qualsiasi livello, al quale si offrono gli strumenti per informare gli altri e, dagli altri, veder riconosciuto il proprio sapere. A Febbraio 2015 abbiamo avuto l’ardire e la forza di inaugurare un portale di divulgazione giuridica indipendente, curato da studenti, ricercatori e professionisti, che ha puntato sulla qualità dei nostri contenuti. Valorizzando ogni singolo autore, Cammino Diritto apre spazi di opportunità che prima non potevano essere immaginati: il laureando può farsi conoscere, il ricercatore può affinare le sue competenze, il professionista può aggiornarsi e aggiornare. Ma tutto questo è ancora solo l’inizio. Ci auguriamo che i lettori di questo numero zero della rivista possano, anche per un solo momento, lasciarsi trasportare dall’amore e dalla dedizione che noi di Cammino Diritto infondiamo nel nostro lavoro, che è quello di portare alla conoscenza di tutti le regole che disciplinano il nostro modo di vivere e la nostra società. Cammino Diritto, affettuosamente abbreviato CD, ad oggi ha ricevuto i contributi intellettuali di tantissime persone, dal Nord al Sud Italia, ambendo ad affrontare le più prestigiose riviste internazionali. Alcuni più di altri hanno però dato energia al nostro progetto, come mio padre, Raffaele, guida sicura in ogni avversità e impareggiabile informatico, senza il quale oggi non saremmo dove siamo arrivati, il Dott. Giuseppe Ferlisi, Praticante Avvocato del Foro di Salerno, compagno di un’avventura ancora tutta da scoprire, Ambra Di Muro, meticolosa e attenta giurista, la Dott.ssa Angela Cuofano, preziosa amica e caporedattore. Tanti altri sarebbero da citare, Valeria, Flavia, Valentina, Gemma, Alessandra, Salvatore… Ma avrete modo di leggerli di qui a poco, scoprendo il valore di ognuno di loro nelle pagine che seguiranno. Benvenuti su Cammino Diritto

Alessio Giaquinto

Anno I numero Zero ­ Dicembre 2015

dott. Alessio Giaquinto Direttore di CamminoDiritto.it

La redazione P.za De Vita 7/B ­ 84091 Battipaglia (SA) Tel. 0828 307881 ­ Fax 0766 030264 redazione@camminodiritto.it camminodiritto@pec.it Portale WEB http://www.camminodiritto.it Comitato Scientifico dott. Andrea Senatore (dottore di ricercaore) dott.ssa Rosa Mugavero (ricercatrice) dott. Saverio Setti (Uff.E.I.) Capo Redattore dott.ssa Angela Cuofano Supervisori di redazione dott. Giuseppe Ferlisi Ambra Di Muro Redattori dott.ssa Lucia Valeria Valentina Cardarella Flavia Piccione Responsabile dell'informatizzazione ArtGraphics e realizzazione rivista PDF Ferdinando Giovanni Giaquinto

Legenda suddivisione articoli

Articoli Divulgativi

Articoli Scientifici Articoli in lingua


ZER0

DICEMBRE 2015 IN QUESTO NUMERO

4

La riforma Madia e la figura del silenzio assenso.

11

Esecuzione forzata senza revocatoria

13

Versare in ritardo l'assegno di mantenimento è reato

57

L´astreinte (art. 614 bis cpc)

In questo numero - La riforma Madia e la figura del silenzio assenso nell´attività delle pubb - Non punibile il convivente che ha commesso il reato - Danno da vacanza rovinata: quando la vacanza si trasforma in inferno - Suicidio e dominio - Esecuzione forzata senza revocatoria: fondo patrimoniale, trust e don... - Versare in ritardo l´assegno di mantenimento è reato: analisi della... - La donazione e le azioni per impugnarla. L'azione di revoca, le azioni... - Il diritto di abitazione della casa familiare in caso di separazione... - Il diritto all'informazione nei procedimenti penali: la direttiva 2012/13/UE - La confisca urbanistica e il braccio di ferro tra Corte Edu e Corte Costituzi... - PRADA: stesso abito in copertina per giornali diversi. È guerra? - La nuova tenuità del fatto affrontata dalla giurisprudenza: il 131 bis - Convivenza more uxorio: opponibilità del provvedimento di assegn ... - Sull'operatività del principio della "compensatio lucri cum damno" - Una nuova figura si affaccia nel mondo forense: l'avvocato specializzato - Lo sviluppo dell'anatocismo nell'ordinamento italiano - Effetti della sentenza in materia di stupefacenti Cass. Pen. 29316/2015. - Proprietà collettiva e beni comuni: alla ricerca di un modello propriet... - Sentenza 8097 del 21 Aprile 2015: la Cassazione legittima la prosecu... - Responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche - Strage di Tunisi: responsabilità per Costa Crociere? - Polimorfismo del fenomeno dell´imprenditore occulto: analisi della figura ... - L´astreinte (art. 614 bis cpc) applicato ad un caso di ingiurie su Facebook... - La costituzione del trust a favore dei disabili e degli altri soggetti deboli - La riforma della responsabilità civile dei magistrati all'esame della Consulta - Processo penale: verità, giustizia e giudicato - Facebook: ”post” e ”like”, quando sono offensivi e punibili?

(4) (6) (8) (9) (11) (13) (14) (17) (19) (20) (24) (26) (27) (28) (30) (31) (34) (37) (44) (46) (52) (54) (57) (59) (63) (67) (69)

Sezione INTERNAZIONALE (articoli in lingua)

- Facebook: ”post” and ”like”, when are they offensive and punishable? - LGBT civil rights in Italy: 20 yeardelay with respect to Europe. - International terrorism and “foreign fighters”: what are the prevention... - Italian regulations and handy instructions on how to handle dogs in public... - Vivre d´amour et d´eau fraîche: le certificat de concubinage - Derechos civiles LGBT: Italia el Tercer Mundo de Europa

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

3

(72) (73) (75) (77) (78) (79)


La riforma Madia e la figura del silenzio assenso nell´attività delle pubbliche amministrazioni La trattazione analitica del meccanismo di funzionamento dell´istituto alla luce delle novità introdotte dalla l. 124/2015. La l. 124/2015, la c.d. riforma Madia, introduce nelle maglie della l. 241/90 la figura del silenzio assenso tra pubbliche amministrazioni, inserendo specificamente l´art.17 bis. Tale previsione riguardante il silenzio si affianca alle disposizioni già da tempo presenti e che regolano il rapporto tra esercizio del potere da parte dell´amministrazione pubblica ed il privato. In omaggio ad un intento ricostruttivo, si rileva come, di fronte all´inerzia dell´amministrazione pubblica in merito a procedimenti attivabili ad istanza di parte, le strade proposte dal legislatore siano sostanzialmente due: 1) del silenzio inadempimento; 2) del silenzio significativo. Nel primo caso, di portata generale, in seguito ad un atto di apertura del procedimento da parte del privato, l´amministrazione non si attiva oppure non conclude lo stesso entro il termine con un provvedimento espresso, di accoglimento o di diniego. Di fronte a tale evenienza è possibile attivarsi per la tutela giurisdizionale ex art. 31 e 117 c.p.a.. Tuttavia i vantaggi di tale strumento di tutela non sono realmente satisfattivi rispetto al concreto interesse dell´ipotetico istante. È difatti pacifico come tale azione di condanna sia esperibile fintanto che perduri l´inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento. In più l´azione esaminata può portare ad una pronuncia di condanna generica dell´amministrazione a provvedere all´emanazione di un provvedimento, non di quel provvedimento, ovvero di quello richiesto dall´istante (1) . In aggiunta all´azione avverso il silenzio è comunque possibile chiedere al giudice amministrativo una tutela di tipo risarcitorio (2). Nel secondo caso, invece, l´ordinamento giuridico, in specifiche occasioni previamente determinate, può disporre che al silenzio della pubblica amministrazione consegua un assenso o un diniego

4

dell´istanza del privato. In altri termini, dall´inerzia dell´amministrazione si fanno discendere effetti giuridici di accoglimento o diniego dell´istanza. La giurisprudenza, a riguardo, ha col tempo posto dei principi fondamentali. In primo luogo la disciplina del silenzio significativo, in quanto derogatoria rispetto al regime generale, deve essere sottoposta a stretta e rigorosa interpretazione (3). Discende da ciò che il silenzio significativo si produce solo in presenza di tutti quanti i presupposti stabiliti dalla legge (4), compreso il decorso dell´intero termine legale per l´adozione del provvedimento (3). Rebus sic stantibus, possiamo ora cogliere come si inscrive la riforma c.d. Madia nel regime vigente. In primis va considerato che il legislatore del 2015 ha introdotto la nuova disciplina all´art. 17 bis della l. 241/90 immediatamente dopo l´art. 17 che, insieme ai precedenti, regola i rapporti tra amministrazioni pubbliche prevedendo strumenti per la loro semplificazione. Il testo, entrato in vigore il 28/08/2015, riguarda infatti, come ricordato dalla rubrica, il silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici. L´estensione dei soggetti sottoposti alla nuova disciplina è stata operata, in sede di revisione, dalla Camera dei Deputati che ha aggiunto anche i poch´anzi accennati soggetti gestori di beni e servizi pubblici. L´art. 17 bis prevede che le amministrazioni o i gestori a cui è richiesto un parere, un nulla osta o un concerto “comunque denominato” adempiano alla sollecitazione posta da un´altra amministrazione pubblica nel termine di trenta giorni. Tale termine può essere interrotto solo una volta per comprovate esigenze istruttorie ed il consenso o parere è da produrre inderogabilmente entro i trenta giorni successivi alla ricezione dei nuovi elementi istruttori. Il comma 2 dell´art. 17 bis prevede che, una volta decorsi inutilmente i termini appena menzionati, l´assenso o il nulla osta o il parere si intende acquisito: è proprio questo il nocciolo duro della nuova disciplina dei rapporti tra amministrazioni pubbliche. La rivoluzione si completa con il comma 3 che prevede l´estensione della disciplina appena illustrata anche in caso di pareri, assensi o nulla osta che devono essere forniti da amministrazioni

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


preposte alla tutela dell´ambiente, del territorio, dei beni culturali e della salute dei cittadini. L´unica differenza sta nel termine a disposizione delle stesse per adottare l´atto richiesto da altra amministrazione pubblica: il comma 3 dell´art. 17 bis lo fissa in novanta giorni. È interessante notare come nel testo licenziato dal Senato della Repubblica tale termine fosse stato inizialmente fissato in sessanta giorni. Il comma 3 appena esaminato ha portata epocale in quanto, finora, in materia di silenzio assenso, le amministrazioni preposte alla tutela di interessi c.d. sensibili erano sempre state escluse (vd. art. 20, c.4, l. 241/90). In ultimo, il comma conclusivo, esclude l´operatività della disciplina di cui all´art. 17 bis in caso ci siano disposizioni dell´Unione europea che richiedono l´adozione di un provvedimento espresso. Autore Marco Maria Cellini

Note e Riferimenti bibliografici: (1) Follieri E., La tipologia delle azioni proponibili in (a cura di) Scoca F. G., Giustizia Amministrativa, Torino, Giappichelli, 2013, pp.197 e ss. (2) cfr. Cons. Stato, Sez. V, n.1739/2011 (3) cfr. tra le altre: Cons. Stato, Sez. IV, n.264/1992, in Giur. it., 1993, III, q, c.756; Cons. Stato, Sez. V. n. 679/1996, in Riv. giur. edilizia, 1996, I, p.274 (4) cfr. Cons. Stato, Sez. V, n. 1133/1993, in Cons. Stato, 1993, I, p. 1434; Cons. Stato, Sez. IV, n. 2759/2011 (5) cfr. Cons. Stato, Sez. V, n.486/1990, in Foro Amm., p. 1463; Cons. Stato, Sez. V, n. 2261/2006, in Boll. legisl. tecnica, 2006, p. 575

La IPWeb realizzatrice del portale CamminoDiritto.it

Sviluppa e gestisce siti Web

Chiama lo 06 211 2 61 23 per un preventivo

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

5


Non punibile il convivente che ha commesso il reato per salvare il prossimo congiunto. (Sent. Cass. 34147/2015) Un altro passo verso il riconoscimento giuridico delle convivenze. Lo scorso 4 Agosto sono state depositate le motivazioni della pronuncia della Corte di Cassazione numero 34147 del 2015. Tra le tante questioni di diritto affrontate dai giudici di legittimità, è emersa un´inversione di rotta in merito all´applicabilità dell´art. 384 comma 1 c.p. al convivente more uxorio. La ricorrente, in effetti, aveva consentito al convivente -coimputato nel medesimo procedimento- di intestarle fittiziamente un immobile, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzioni patrimoniali; la stessa lamentava, tuttavia, la violazione dell´art. 384, asserendo che la sua condotta di favoreggiamento ex art. 378 c.p. non avrebbe dovuto essere considerata punibile dai giudici di secondo grado. Nella sua analisi, la Suprema Corte ripercorre le diverse posizioni assunte nel tempo, evidenziando una progressiva apertura verso una regolamentazione giuridica delle convivenze. Come è noto, la Corte Costituzionale aveva, negli anni ´80, reiteratamente negato l´illegittimità costituzionale della mancata equiparazione del convivente more uxorio al coniuge, fondando le sue decisioni sulla insopprimibile diversità ontologica tra le condizioni di coniuge e convivente. Diversamente opinando, infatti, si sarebbe corso il rischio di violare non solo l´art. 29 Cost. - che fa chiaramente riferimento alla famiglia come ´società naturale fondata sul matrimonio´ - ma anche l´art. 3 laddove effettivamente imponga, in una prospettiva di uguaglianza sostanziale, di trattare situazioni diverse in maniera differente. Deve comunque riconoscersi che lo stesso Giudice delle Leggi aveva, sin da allora, manifestato la consapevolezza della necessità di predisporre un´autonoma regolamentazione del fenomeno delle unioni di fatto, ad opera del legislatore ordinario; tale regolazione non poteva ovviamente avvenire mediante una pronuncia additiva della Corte stessa, che, diversamente, si sarebbe arrogata il diritto di decidere su questioni di sensibilità sociale (oltre che giuridica), indiscutibilmente affidate alle scelte del legislatore. Si sono quindi registrati, progressivamente, parecchi interventi sia normativi che giurisprudenziali -

6

puntualmente richiamati nella sentenza in esame - in cui si è scelto di attribuire rilevanza al fenomeno delle convivenze. Terreno fertile di discussione, si era rivelata la questione circa l´applicabilità, al convivente more uxorio, della causa soggettiva di esclusione della punibilità prevista dall´ art. 649 c.p. Si ricordi, al riguardo, la sentenza della Cassazione penale n. 32190 del 2009. Siffatte conclusioni, sono state estese anche a fattispecie criminose diverse dai delitti contro il patrimonio: nella sentenza in commento, ad esempio, è stata analizzata la posizione dei conviventi nell´ambito dei delitti contro l´amministrazione della giustizia. In particolare, la Corte si è concentrata sull´ambito applicativo dell´art. 384 c.p. giacché, al comma 1, questi prevede una causa di non punibilità a favore del prossimo congiunto. ´Nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371bis, 371ter, 372, 373, 374 e 378 non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell´onore´. A questo punto è bene precisare come, le cause di esclusione della punibilità, in effetti contemplino delle situazioni in cui, pur essendo stato integrato il reato in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi, sia stata effettuata dal legislatore la ben precisa scelta di non punire l´autore del fatto criminoso. La ratio di tale scelta risiede in ragioni sia di opportunità sostanziale che di bilanciamento degli interessi in gioco. Nel caso di specie, a fronte di un comportamento lesivo del bene giuridico tutelato -

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


quale il corretto funzionamento del sistema giudiziario - risulta più opportuno salvaguardare il vincolo familiare, che sarebbe inevitabilmente compromesso con una pronuncia di condanna del prossimo congiunto. Le cause di non punibilità non possono quindi essere confuse con le scriminanti o con le scusanti, il cui ricorrere impedisce la formazione stessa di una fattispecie criminosa completa. Dalla diversità concettuale ne deriva una diversità di disciplina, atteso che le cause di non punibilità si applicano esclusivamente alla persona alla quale si riferiscono e non sono estendibili analogicamente. Il problema sottoposto all´attenzione della Corte è il seguente: può sostenersi che la necessità di tutelare il vincolo familiare mediante l´esclusione della punibilità del congiunto, sussista anche in caso di famiglia fondata su un una convivenza more uxorio? Le argomentazioni a sostegno della risposta positiva, fornita dai giudici, sono così riassumibili:

In primo luogo,

la Corte ha preso atto dell´evoluzione del concetto di famiglia concetto attualmente molto più ampio rispetto a quello fatto proprio dai Costituenti del 1948 - e v´è di più: come riconosciuto dai giudici di legittimità, il fenomeno delle famiglie di fatto è inversamente proporzionale a quello delle famiglie legittime. Quest´ultime sono sempre meno frequenti e sempre più soggette a crisi coniugali che spesso sfociano in separazioni e divorzi. Si tratta, insomma, di una realtà che il legislatore non può ignorare ma che, anzi, deve tenere ben presente in tutti i settori dell´ordinamento, compreso quello penale.

potrà essere riconosciuta la medesima rilevanza dei Trattati, ma solo il rango di Convenzione internazionale. In effetti, il giudizio di incostituzionalità, potrebbe essere evitato qualora fosse possibile fornire un´interpretazione delle norme interne che le renda compatibili con la CEDU salvandone, così, l´operatività. Nel caso sottoposto alla nostra attenzione, alla luce dell´ancoraggio costituzionale nell´art. 2 del fenomeno delle convivenze, ben può concludersi nel senso dell´ammissibilità di una tutela (seppur ancora abbastanza generica) delle stesse, così da allineare le disposizioni costituzionali con quelle della Convenzione europea (come interpretate proprio dalla Corte Europea). L´esistenza di una "regolamentazione a singhiozzo" delle coppie di fatto, soprattutto a livello di legislazione ordinaria, è dovuta alla reticenza che la nostra cultura ancora dimostra nei riguardi di un fenomeno che, lungi dall´essere equiparato a quello della famiglia legittima, meriterebbe di trovare una tutela più ampia. Per siffatte, motivazioni, la Corte di Cassazione accoglie il ricorso presentato dall´istante, annullando in parte qua e senza rinvio la sentenza, dichiarando non punibile la ricorrente per il reato di cui all´art. 378 c.p. ed enunciando il seguente principio di diritto: la causa di non punibilità, prevista dall´art. 384 co.1 c.p. in favore del coniuge, opera anche in favore del convivente more uxorio.

In secondo luogo,

Autore Gemma Occhipinti

per le convivenze more uxorio, è stato individuato un fondamento costituzionale diverso da quello della famiglia legittima: il fondamento della tutela delle unioni di fatto è da rinvenire, infatti, nell´art. 2 della Carta fondamentale. La norma de qua, promuovendo la tutela dell´individuo nelle diverse formazioni sociali, include tra le stesse anche le convivenze (frutto di una scelta, effettuata dalle parti, libera e comunque degna di considerazione).

In terzo luogo,

la Corte di Cassazione ha correttamente richiamato l´art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali. La noma stabilisce come ogni persona abbia diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza; in mancanza di specificazione alcuna, la giurisprudenza della Corte EDU ha accolto una nozione estensiva di famiglia, senza ancorarla al vincolo matrimoniale ma ricomprendendovi anche i rapporti di fatto, privi di formalizzazione legale. E´ cosa nota, in effetti, come la CEDU abbia una portata estremamente garantista; essa, spesso e volentieri, tutela situazioni e diritti in misura maggiore rispetto a quanto accade nel nostro ordinamento. L´importanza della Convenzione è dimostrata dal fatto che, qualora emergesse un contrasto insanabile con norme dell´ordinamento interno, quest´ultime dovrebbero di certo essere sottoposte al vaglio di legittimità per verificare un´eventuale violazione dell´art. 117 Cost. (parametro interposto che impone il rispetto degli obblighi assunti dall´Italia in sede internazionale). Va infatti rimarcato che, fino a quando l´Unione Europea non terminerà il processo di adesione alla CEDU, a quest´ultima non

Per la pubblicità sul periodico di CamminoDiritto acquista un banner sul portale alla sezione Pubblicità. Il tuo banner sarà inserito nella pubblicazione del mese successivo.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

7


Danno da vacanza rovinata: quando la vacanza si trasforma in inferno. La legge tutela il diritto di godere di un periodo di rigenerazione psico-fisica. Il "Codice del Turismo" viene in soccorso al turista-consumatore. Ma in che modo? Il diritto di godere di un periodo di riposo e svago è un bene della vita ritenutomeritevole di tutela. Ma si sa, la vacanza può anche non essere vacanza e trasformarsi in un vero e proprio inferno.

contesta la propria responsabilità. L´organizzatore, se lo ritiene, può coinvolgere nello stesso giudizio la Compagnia Assicurativa per essere da questa manlevato dell´eventuale onere risarcitorio, che venisse giudizialmente accertato, in virtù della copertura assicurativa da responsabilità civile.

Il ´danno da vacanza rovinata´, appunto, consiste neldisagio psico-fisicopatito dal turista-consumatore conseguente alla mancata realizzazione, in tutto o in parte, della vacanza programmata. Infatti, se la vacanza non si svolge come ci si aspettava in opposizione alle previsioni contrattuali, è possibile pretendere ilrisarcimento del danno per i malesseri che si è stati costretti a subire.

In buona sostanza si attiva, nella stessa causa (talvolta in via autonoma), un contenzioso ´contestuale e parallelo´ al tempo stesso che riguarda la Compagnia ed il proprio assicurato, che nella specie è iltour operator.Ciò a prescindere dall´eventuale risarcimento riconosciuto al consumatore turista in base alla polizza infortuni, di cui comunque si tiene conto se già riconosciuto e liquidato in via stragiudiziale.

Si pensi ad alcune fattispecie concrete, quali la mancata partenza dell´aereo o l´eccessivo ritardo nelle partenze stesse; lo smarrimento, la ritardata consegna o il danneggiamento dei bagagli; la mancanza dei servizi essenziali negli alloggi (acqua, corrente elettrica, e così via) e la mancanza degli altri servizi previsti in contratto; le caratteristiche dei luoghi e degli alberghi diverse rispetto a quelle prospettate al cliente; in generale, i disservizi imputabili a negligenza dell´organizzatore del viaggio e, quindi, da questi evitabili. A tutela del consumatore/turista c´è ilCodice del Turismo (D. Lgs. n. 79/2011, entrato in vigore il 21 giugno 2011), che prevede espressamente il cd. ´danno davacanza rovinata´. In particolare, l´art. 47 stabilisce che il turista, qualora l´inadempimento o l´inesatta esecuzione delle prestazioni oggetto del pacchetto turistico non sia di scarsa importanza, può ´chiedere, oltre ed indipendentemente dalla risoluzione del contratto, un risarcimento del danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all´irripetibilità dell´occasione perduta´. Le prestazioni oggetto del contratto devono essere conformi alla proposta contrattuale visionata dal consumatore (opuscolo informativo) ed in base alla quale ha effettuato la scelta (artt. 36-38 Cod. Tur.). Laddove il turista, ritenendo l´inadempimento dell´organizzatore non di lieve entità, intenda avanzare una richiesta risarcitoria anche per danno da vacanza rovinata devepromuovere un giudizio civile nei confronti dell´organizzatore, se quest´ultimo

8

Diversamente,il turista può agire per tutti i danni che ritiene di avere subito in conseguenza dell´inadempimento dell´organizzatore del viaggio, avviando una causa sia nei confronti deltour operator, sia nei confronti della Compagnia assicurativa limitatamente alla copertura da polizza infortuni. In tal caso, se l´organizzatore contesta l´inadempimento lamentato dal cliente, è suo onere attivarsi per resistere in giudizio nei confronti del consumatore turista, svolgendo domanda autonoma di manleva nei confronti della Compagnia (in tal caso già coinvolta nel giudizio) in virtù della polizza di responsabilità civile per ogni danno, di natura patrimoniale e non patrimoniale, dunque anche per essere manlevato in caso di condanna al risarcimento del danno da vacanza rovinata. Il legittimato passivo, di una possibileactio, è da rintracciare neltour operatoril quale è responsabile di ogni problema relativo alla qualità dei servizi e degli inadempimenti causati dai fornitori da lui scelti (compagnia aerea, albergatori, guide turistiche), con diritto di rivalsa nei loro confronti, per quest´ultimo. In ogni caso, infatti,iltour operatorè responsabile dei terzi prestatori dei servizi compresi nel programma di viaggio(art. 43 Cod. Tur.). Il medesimo principio vale nel caso in cui, in conseguenza dell´inadempimento, si verificano danni alla persona, come nel caso non infrequente di sinistro stradale durante uno spostamento in loco previsto nel programma di viaggio (art. 44 Cod. Tur). In tal modo il consumatore turista è agevolato per avereun unico referente contrattuale. Ma attenzione: solo se l´inadempimento non è di scarsa importanza l´organizzatore del viaggio risponde del c.d.emotional distresssubito dal viaggiatore in conseguenza dell´inadempimento stesso; in sostanza, un disagio tale che la vacanza, in luogo di un momento di rigenerazione psicofisica, si riveli fonte di stress e stanchezza. Oltretutto,occorre che il danneggiato fornisca la provadel nesso causale tra il fatto e l´evento lesivo, cioè la dimostra-

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


zione di un vero e proprio nesso di causalità. Il reclamo deve essere presentato dal turistatempestivamente, anche in corso di viaggio, affinché l´organizzatore o il suo rappresentante sul posto oppure l´accompagnatore del gruppo possano porvi rimedio (art. 49 Cod. Tur.) o, in alternativa, può essere presentato, a mezzo raccomandata o altro mezzo idoneo a fornire la prova dell´avvenuto ricevimento, nel termine di 10 giorni dal rientro dal viaggio. Sulla qualificazione di tale termine, si è espressa laSuprema Corte(cfr. Cass. 297/2011): in virtù di una interpretazione orientata verso il contraente più debole,aliasconsumatore, non rappresenta un termine di decadenza dal diritto ad essere risarciti. Di conseguenza, la contestazione può essere successiva a condizione che avvenga entro iltermine prescrizionale di un anno dal rientro dal viaggio(per danni diversi a quelli alla persona) e di tre anni per danni alla persona. Veniamo infine alla allaquantizzazione del danno: per un inadempimento di scarsa importanza (disservizio) si tiene conto del valore della prestazione mancata in tutto o in parte, valutando il corrispettivo pagato dal consumatore per usufruire dei servizi compresi nel contratto di viaggio nonché l´eventuale servizio sostitutivo prestato dall´organizzatore in luogo di quello mancato in tutto o in parte; per idanni patrimonialilamentati, che si prova essere stati la conseguenza dell´inadempimento, il turista ha diritto alrimborso integraledi tutte le spese sostenute di cui riesce a fornire il relativo riscontro (es. acquisti fatti per perdita del bagaglio necessari per la prosecuzione del viaggio; spese di vitto e alloggio non preventivate; biglietti aerei e/o di altri mezzi di trasporto per spostamenti in loco, perimenti non preventivati per servizi che avrebbe dovuto prestare l´organizzatore o il terzo di cui questo si è avvalso e rientranti nel contratto di viaggio, ecc.);quanto ai solidanni fisici, questi possono essere risarciti sulla base della polizza infortuni anche in via stragiudizialeed a prescindere dal coinvolgimento deltour operator; per la liquidazione si tiene conto della tabella unica per la determinazione del risarcimento del danno biologico (tabella unica nazionale). Tale via si persegue, in genere, nelle ipotesi diinfortunio accidentale di lieve entità(c.d. microlesioni) non correlato ad un´ipotesi di inadempimento deltour operator;per la determinazione del danno da vacanza rovinata, danno non patrimoniale di non agevole quantificazione, si tiene conto, in linea generale, del pregiudizio ´correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all´irripetibilità dell´occasione perduta´. Per esempio, se l´inadempimento ha impedito la

partenza e/o si è verificato all´inizio del viaggio compromettendone lo svolgimento, il giudice può valutare equo commisurare il danno da vacanza rovinata tenuto conto del corrispettivo pagato per acquistare il pacchetto turistico, ovvero del possibile valore del servizio che è mancato. Si tiene conto altresì del motivo del viaggioperché talvolta si svolge in una particolare occasione senz´altro irripetibile (es. viaggio di nozze; evento naturale raro cui si voleva assistere e che ha determinato la scelta per un dato viaggio). Nel caso in cui, però, l´inadempimento ha prodotto un danno alla persona, non può prescindersi dalle sofferenze psicofisiche subite dal consumatore turista. In tal caso, si fa ricorso alle tabella unica per la determinazione del risarcimento del danno biologico (tabella unica nazionale) che, all´esito di una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione (sez. 3^ civile n. 531/2014 che riprende il principio affermato dalle SS.UU. nella sentenza n. 26972/2008), ricomprende ogni danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica (danno biologico). Autore Marco Perasole

Suicidio e dominio

Il suicidio secondo varie prospettive e funzioni: le ragioni della libertà. Vi è solamente un problema filosofico veramente serio: quello del suicidio. Giudicare se la vita valga o non valga la pena di essere vissuta, è rispondere al quesito fondamentale della filosofia´. A. Camus, Il mito di Sisifo Sono passati anni, ben più di un secolo, da quando l´esistenzialismo nelle sue variopinte peculiarità suscitava, con quel roboante clamore e quella novità, tipiche di un cambiamento radicale di pensiero, notevole stupore nonché una sfida aperta ad i concetti fino ad allora ´acquisiti come riferimento´, all´interno dell´idealismo, al positivismo e al razionalismo ottocentesco. Questa multiforme ventata di idee nuove si concentrava, in differenti modi, su un punto fino allora limitato e ostracizzato: la libertà dell´individuo e delle sue scelte rispetto a tutto il resto. Non ci deve sorprendere, dunque, che uno degli alfieri di questa concezione, che difficilmente può essere considerato solo come un romanziere, puntasse il dito su un problema irrisolto e tutt´ora, dopo questo mezzo secolo, un tabù su cui si fa fatica a parlare: il suicidio. Proprio Albert Camus, come fatto tempo prima da Hume e da Schopenhauer, ´accettava´ come razionale e lecito il suicidio come scelta personale, slegata da motivi ideologici, e per questo doppiamente valida all´interno di una esistenza così insensata come quella umana, di cui Sisifo ne è infatti la metafora più efficace: ´Il suicido è

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

9


accettazione del proprio limite´, asseriva il pensatore algerino rispetto a questa scelta, che comunque riteneva non risolutiva per i problemi dell´esistenza. Quindi, scremando questo discorso che in realtà ha solo l´apparenza di una deriva pessimistica, otteniamo una ´morale´: l´individuo deve essere al centro del proprio mondo, sia nelle scelte della vita che in quelle della morte, che nei confronti della prima, quest´ultima, è solo una delle numerose fasi. Camus, infatti, non parla del suicidio della letteratura romantica o nella traduzione giudaico-cristiana, e cioè il suicidio in nome di un ideale o di una religione, (come il caso di Apollonia, santificata anche se suicida visto il suo suo suicidio ´per Dio´) ma come assoluta scelta individuale. La libertà delle scelte individuali e, di conseguenza, dell´individuo, è dunque messa al primo posto. Mi interessa qui, all´interno di questa rivista online, che si concentra sul diritto, osservare e definire brevissimamente qualche piccolo esempio nella storia giuridica (e non solo) del suicidio;o meglio, tentare di stabilire come il diritto e altre concezioni osservano e valutano il suicidio, compartecipando a rendere oscura e intricata la sua visione e dimensione. Quello su cui volevo riflettere è proprio questa distanza che il diritto settecentesco/ottocentesco presentava rispetto ai concetti che dopo pochi anni inizieranno a germogliare nell´esistenzialismo, cercando così di tratteggiarne i motivi. Se prendiamo il caso del diritto inglese settecentesco il suicida era reo verso Il Re e verso Dio per il suo comportamento. La punizione che gli veniva attribuita era quella di perdere ogni bene posseduto e la possibilità di sepoltura cristiana. Nell´ottocento la progressiva tendenza delle corti inglesi a negare la perdita dei beni causata dal suicidio portò a far predisporre agli avvocati un sistema che evitava questa punizione: la malattia mentale. Quella che era una tattica legale, una scappatoia, cercava di eludere la pena prevista. Proprio in relazione a questa scappatoia W. Blackstone, giurista inglese del lsquo;700, invita a prestare attenzione e a scoraggiante l´uso. Questa pena commisurata secondo la giurisprudenza inglese durerà fino agli ultimi decenni dell´ottocento. Fino al XIX secolo chi aveva tentato il suicidio che non andato a buon esito, era equiparato al tentato omicidio e quindi punito per impiccagione e, fino al 1961, il suicidio è stato considerato un delitto grave dalla giurisprudenza inglese. Proprio questa dimensione, ´il suicidio come malattia´, sarà riproposta dall´ottocento in poi in varie salse soprattutto dalla psicologia e dalla psicoanalisi, ma anche dalla sociologia (spesso indicandone motivi ´esterni´ al soggetto) fino ai giorni nostri. Ancora oggi la società e i media individuano il soggetto suicida come malato secondo varie ´circostanze´ scatenanti l´atto (depressione, alcol, psicofarmaci, etc.) definendo un rapporto quasi assoluto di causa-effetto con i suddetti ´sintomi´ di questa malattia. Facendo un analisi sommaria degli ordinamenti mondiali in relazione col suicidio emerge che esso è ancora vietato in molti paesi tra cui l´India e i paesi islamici, ma anche che in alcuni paesi degli U.S.A e nell´Irlanda è stato depenalizzato relativamente di recente. Abbastanza sorprendentemente in alcuni paesi come il Giappone, il suicidio era visto positivamente e accettato ma solo in difesa dell´impero giapponese, in particolare è facile ricordare i Kamikaze e il seppuku (harakiri) fatto anche per sfuggire ai nemici e una morte ´disonorevole´. Cosa ho tentato di proporre con questa caleidoscopica (e senz´altro

10

lacunosa) analisi del suicidio, delle sue pene e visioni? A mio parere quella che ne esce è una relatività piuttosto marcata ma, in un certo senso, di parte della visione del suicidio. Mi spiego meglio. Osservando tutti questi esempi quello che colpisce è una certa volontà di dominio dell´uomo sull´uomo, al di là della valutazioni morali del fatto. Infatti, se per motivazioni religiose e statali l´uomo inglese dell lsquo;800 veniva vietato o penalizzato nel compiere il suicidio, lo stesso atto è valido, ma anzi viene considerato eroico quando viene portato a termine in nome dell´impero giapponese (kamikaze) oper la religione (caso di Apollonia). Quello che voglio dire è che oggi siamo vittime di una visione assolutamente condizionata rispetto a questa scelta, dato che come possiamo vedere è storicamente dimensionata da un fine scelto ´dall´alto´ e per questo definito e moralizzato secondo il risultato. Per quanto riguarda poi i sociologi e gli analisti, la loro repulsione verso questo atto è per di più dovuta alla propria attività. Un analista vede fallire il proprio lavoro quando il paziente si suicida, così come il sociologo deve difendere dalla comunità dalle azioni che la minano; Durkheim, nella sua classificazione delle tipologie di suicidi, non da l´idea di osservare una malattia ´ambientale´, da suddividere e riassumere in categorie di sintomi e probabilità di cause? In conclusione mi pare che sia impossibile poter dare un giudizio morale in modo assoluto del suicidio: come si può notare i numerosi punti di vista su questo atto nascondono delle funzioni secondarie. Questo perché spesso siamo portati a dare un giudizio morale in relazione alla nostra attività o ai nostri scopi o visioni del mondo, infischiandosene della libertà individuale e delle ragioni che ognuno ha; questo è una sorta di dominio con cui vediamo le cose e che ci domina a sua volta: non siamo liberi nel giudicare. L´unica visione che ritengo possibile e auspicabile, nonché logicamente e razionalmente valida, è quella di capire le ragioni individuali e le libertà dei soggetti, anche quando esse siano contrarie con quello che facciamo e pensiamo, proprio perché altrui, in ossequio alla ´morale esistenzialista´. Bisogna tentare nelle nostre possibilità di limitare e di smascherare questo dominio, soprattutto quando esso diviene norma (e quindi coercitiva). Questo a mio avviso è a ancora oggi il peso e la sfida più difficile della libertà: capire, anche quando Sisifo non voglia più spingere il masso verso la vetta. Autore Gian Marco Lenzi

Bibliografia

David Hume, sul suicidio e altri saggi morali, Laterza, 2008. Albert Camus, Il mito di Sisifo, Bompiani, 2013 James Hillman, Il suicidio e l´anima, Adelphi, 2010 Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena, Adelphi, 1998 Eacute;mile Durkheim, Il suicidio. Studio di sociologia, Rizzoli, 2007Eacute;mile Durkheim, Il suicidio. Studio di sociologia, Rizzoli, 2007

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Esecuzione forzata senza revocatoria: fondo patrimoniale, trust e donazione dopo il DL n. 83 del 27 giugno 2015 Con il recentissimo decreto legge n. 83 del 2015, approvato il 27 giugno scorso, per aggredire i beni del fondo patrimoniale il creditore non deve più proporre l’azione revocatoria per ottenere l’ inefficacia dell’atto. La stessa sorte è prevista per i beni oggetto di donazione, trust e vincoli di genere, per i quali risultano sospesi ex lege gli effetti segregativi fino al termine dell’anno dalla loro trascrizione. L´art. 12 del decreto legge n. 83 del 2015 ha previsto una modifica al codice civile, per cui dopo l´art, 2929 c.c. è inserita la sezione Ibis, rubricata "Dell´espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito": «Art. 2929-bis- Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilita´ o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, puo´ procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorche´ non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l´atto e´ stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell´atto pregiudizievole, interviene nell´esecuzione da altri promossa. Quando il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, il creditore promuove l´azione esecutiva nelle forme dell´espropriazione contro il terzo proprietario. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all´esecuzione di cui al titolo V del libro III del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonche´ la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l´atto arrecava alle ragioni del creditore.». La richiamata modifica impone alcune riflessioni preliminari sugli istituti sostanziali e processuali coinvolti, con particolare riferimento ai vincoli di indisponibilità ed ai presupposti dell´azione revocatoria. Relativamente ai vincoli di indisponibilità, nel nostro ordinamento ha assunto grandissima rilevanza tra le convenzioni matrimoniali l´istituto del fondo patrimoniale, di cui agli artt. 167 e ss. c.c. Il fondo patrimoniale consiste in un complesso di beni immobili, mobili registrati o titoli di credito, destinato a far fronte ai bisogni della famiglia, attraverso i frutti provenienti dall´impiego dei beni costituiti in esso. Inoltre, ai sensi dell´art. 2647 c.c., quando il fondo patrimoniale ha ad oggetto beni immobili, l´atto costitutivo necessita di trascrizione.

I beni che costituiscono il fondo patrimoniale sono assoggettati ad un regime speciale, poiché non possono essere gravati da alcun vincolo senza il consenso di entrambi i coniugi, e, nel caso di figli minori, è necessaria anche l´autorizzazione del giudice. Ulteriore peculiarità, che realizza l´effetto segregativo proprio dell´istituto, è che, sia i beni sia i frutti del fondo patrimoniale non possono essere aggrediti dai creditori dei coniugi se il debito era stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. L´effetto quindi è quello di creare un vincolo di inespropriabilità, a condizione della consapevolezza da parte del creditore che il debito era stato contratto per scopi estranei alla famiglia. E´ evidente il favor debitoris che emerge dalla disciplina dell´istituto, lo stesso, però, ad una lettura costituzionalmente orientata in funzione della tutela della famiglia e delle esigenze di sviluppo e mantenimento dei figli minori, appare socialmente accettabile e giustificata entro i limiti e le modalità descritte dal Legislatore. E´ infatti evidente che, con la costituzione del fondo patrimoniale, i coniugi adempiono all´obbligo giuridico di far fronte ai bisogni della famiglia, in funzione di tutela della solidarietà familiare. In ogni caso, resta il fatto che l´effetto segregativo prodotto dalla costituzione di un fondo patrimoniale rappresenta una importante deroga al principio generale di cui all´art. 2740 c.c., per cui ´il debitore risponde dell´adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.´ In un´ottica di bilanciamento dei contrapposti interessi è ormai pacifica l´esperibilità da parte del creditore dell´azione revocatoria, avverso l´atto di costituzione del fondo patrimoniale. In esso, infatti, possono riscontrarsi i presupposti tipici dell´azione revocatoria, in quanto la costituzione del fondo è atto dispositivo che riduce la garanzia generale dei

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

11


creditori, da cui rileva l´eventus damni, elemento oggettivo alla base della revocatoria di cui all´art. 2901 c.c. Ulteriore presupposto richiesto ai fini della esperibilità dell´azione è la cd.scientia damni, elemento soggettivo per cui il debitore e il terzo, quest´ultimo limitatamente agli atti a titolo oneroso, costituiscano il vincolo con la consapevolezza che, con l´atto di disposizione, il debitore diminuisca la consistenza della garanzia patrimoniale o, relativamente a un atto anteriore al sorgere del credito, lo stesso fosse dolosamente preordinato al fine di pregiudicare il soddisfacimento del creditore.

Non da ultimo, si evidenzia l´ulteriore rischio che, qualora oggetto dell´atto dispositivo sia un immobile, nelle more del giudizio di opposizione il Giudice può autorizzarne la vendita all´asta o imporre al debitore di liberarlo. L´unica condizione, affinché tale potere del creditore possa manifestarsi, è che quest´ultimo trascriva il pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione dell´atto di donazione, vendita, fondo patrimoniale o trust.

Autore Valeria Lucia

La modifica introdotta dal decreto legge n. 83 del 2015 ha inciso proprio sull´elemento soggettivo dell´azione revocatoria. Prima della modifica, alla luce di quanto detto, il creditore che riteneva di essere leso da un atto dispositivo del debitore, poichè preordinato a diminuire la garanzia patrimoniale nei suoi confronti, poteva instaurare un procedimento giudiziario proponendo un´azione revocatoria e, in caso di prova della tesi del creditore danneggiato, il Giudice dichiarava l´inefficacia dell´ atto nei suoi confronti. Una volta terminato il giudizio ed ottenuta la pronuncia dichiarativa di inefficacia, il creditore danneggiato poteva soddisfarsi sul bene del debitore.

LIBRERIA GIURIDICA CamminoDiritto.it

Con la modifica in commento, invece, il creditore che ritiene di essere danneggiato da un atto dispositivo del debitore, è abilitato ad iniziare l´esecuzione forzata senza l´intervento della sentenza dichiarativa di inefficacia a seguito di proposizione dell´azione revocatoria. Ciò che emerge è una sorta di presunzione iuris tantum per cui gli atti dispositivi del debitore sarebberoin frode al creditore, con conseguente lesione del diritto di difesa del debitore e del terzo che ha ricevuto i beni. La lesione del diritto di difesa del debitore e del terzo appare in tutta la sua evidenza dalla circostanza per cui saranno costretti a far valere le proprie ragioni non più in un procedimento di cognizione ordinaria, a seguito della proposizione dell´azione revocatoria, bensì esclusivamente in sede di opposizione all´esecuzione, il che comporta una ingiustificata inversione dell´onere della prova. Se, infatti, con la revocatoria, era il creditore a dover dimostrare l´intento fraudolento del debitore, oggi è quest´ultimo a doversi difendere e a dimostrare che il fondo patrimoniale, il trust o la donazione non sono stati posti in essere al solo scopo di frodare il creditore. Peraltro gli stessi motivi di opposizione appaiono limitati, potendo consistere solo nell´esistenza del pregiudizio e nella conoscenza da parte del debitore del pregiudizio medesimo. Per entrambi appare evidente la intrinseca difficoltà in termini probatori.

12

Sconti del 15% + 5% su tutti i titoli di NELDIRITTO

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Versare in ritardo l´assegno di mantenimento è reato: analisi della sentenza della Corte di Cassazione n. 20133 del 31 marzo 2015 Con sentenza n. 20133/2015 la Corte di Cassazione si pronuncia sull´assegno di mantenimento versato a "singhiozzo, stabilendo integri il reato di "violazione degli obblighi di assistenza familiare". La centralità che la famiglia assume nel nostro ordinamento, quale formazione sociale nella quale sisvolge la personalità di ciascuno(art. 2, Cost.), rende necessariepronunce - sempre più severe da parte dei giudicidella Corte di Cassazione -tese a garantire l´adempimento degli obblighi di assistenza familiare e, nel caso di specie,il versamentodell´assegno di mantenimento in favore dell´ex coniuge e dei figli, minorenni e non. Come ben noto, gli obblighi di assistenza familiare non vengono meno con lo scioglimento del matrimonio, né con la "disgregazione", in senso fisico, del nucleo familiare. Gli obblighi di natura economica devono essere adempiuti in maniera puntuale, rispettando sia le prescrizioni temporali che quelle attinenti il "quantum".Non scrimina, infatti,la circostanza per la quale le inadempienze siano state soltanto sporadiche,estemporanee e legate alle possibilitàeconomiche del momento, proprie del soggetto obbligato. Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. VI Penale, con sentenza n. 20133/2015, depositata lo scorso 14 maggio. In particolare, è stato precisato che il versamento saltuario e sporadico dell´assegno di mantenimento fa scattare il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all´art 570 c.p., a tenor del quale "Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all´ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighidi assistenza inerenti la potestà dei genitori, o alla qualità diconiuge, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa da euro 103 a euro 1.032". Ed ancora "le medesime pene si applicano congiuntemente a chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa" (art. 570, comma 2, n. 2). L´impossibilità economica, nella quale può versare il soggetto obbligato, esclude la configurabilità del reato soltanto se la stessasi protrae per tutto il periodo in cui le inadempienze si protraggono, nel senso che a queste non devono corrispondere introiti, percepiti o meno in maniera regolare,e a condizione che non vi sia colpa

dell´obbligato: in particolare, nel caso di specie, la conferma della condannaper il reato di cui all´articolo 570 del c.p. ha visto decisive le circostanze per le quali il soggetto obbligato percepiva la pensione di invalidità, sia pure nella misuraesigua di euro 250 mensili, lavorava con il fratello e risultava, quindi, solo formalmente disoccupato,avendo oltretutto dato un aiutoeconomico al padre. In tal senso si era già pronunciata la stessa sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 35612/2012, affermando che "in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la condizione di impossibilità economica dell´obbligato deve consistere in una situazione del tutto incolpevole di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto, la cui prova, incombente sull´obbligato medesimo, non può ritenersi soddisfatta con la mera documentazione dello stato formale di disoccupato". Lo stato formaledi disoccupazione, quindi, non fa venire meno gli obblighi di assistenza familiare. Infatti "è necessario che, oltre a ciò, il soggetto obbligato al versamento dimostri che le sue difficoltà economiche si siano tradotte in uno stato di vera e propria indigenza economica e nell´impossibilità di adempiere, sia pure in parte, alla suddetta prestazione" (Cass. 35612/2011). Tuttavia, per citare sempre la Suprema Corte, questa ha avuto modo di precisare in una sentenza del 2014, la n. 15898 che "in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, non vi è equiparazione tra il fatto penalmente sanzionato e l´inadempimento civilistico, poiché la previsione normativa di cuiall´art. 570 c.p.non fa riferimento a singoli o ritardati pagamenti, ma ad una condotta di volontaria inottemperanza con la quale l´agente intende specificamente sottrarsi all´assolvimento

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

1133


degli obblighi imposti con la separazione. Sul piano oggettivo, in particolare, deve trattarsi di un inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che l´obbligato è tenuto a fornire. Ne consegue che il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l´inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il Giudice penale deve valutarne in concreto la gravità, ossia l´attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende ad evitare". In particolare la Corte, con questa decisione, accoglieva un ricorso che metteva in luce come la Corte d´Appello avesse confuso il concetto penalistico di "mezzi di sussistenza" - cui fa riferimento la norma incriminatrice (570 c.p.) - con quello civilistico di "mantenimento" e come, invece, i giudici avessero prima dovuto definire e quantificare i suddetti mezzi di sussistenza e successivamente verificare se la condotte di inadempimento ascritte all´imputato avessero privatoeffettivamente di detti mezzi i soggetti indicati dalla norma, in quanto l´ipotesi di reato non

può assumere carattere sanzionatorio del mero inadempimento del provvedimento del giudice civile. E´, invece, necessario che sia accertata una condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all´assolvimento degli obblighi imposti con la separazione (v. Cass. Pen., Sez. VI, 4 ottobre 2012 - 9 novembre 2012, n. 43527). Se da un lato quindi non può ritenersi che la condotta delittuosa sia integrata da qualsiasi forma di inadempimento, dall´altro lato, trattandosi di reato doloso, la stessa deve essere accompagnata dal necessario elemento psicologico. In particolare, sul piano oggettivo, deve trattarsi di un inadempimento serio e sufficientemente protratto (o destinato a protrarsi) per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire. Da ciò deriva cheil reato non può ritenersi automaticamente integrato con l´inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorchè la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale deve valutarne in concreto la ´gravità´, ossia l´attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende, invece, ad evitare.

Autore Eva Aurilia

La donazione e le azioni per impugnarla. L'azione di revoca, le azioni a difesa della legittima, la revocatoria ordinaria e fallimentare. Una selezione delle sentenze di merito più innovative. PREMESSA: LA DONAZIONE IN GENERALE Il codice civile all´art. 769 definisce la donazione come ´il contratto col quale, per spirito di liberalità, una parte arricchisce l´altra, disponendo a favore di questa di un suo diritto o assumendo verso la stessa un´obbligazione´. La donazione è quindi un contratto e pertanto, una volta conclusa, essa è di norma irrevocabile ad opera di una delle parti. Gli elementi essenziali della donazione sono due, ossia lo spirito di liberalità (animus donandi) e l´arricchimento del donatario. La donazione ha necessariamente la forma dell´atto pubblico alla presenza di due testimoni. La necessità dell´atto pubblico si giustifica con l´importanza dell´atto di donazione e per gli effetti sul patrimonio del donante che deve essere, oltre che capace d´intendere e di volere, pienamente consapevole dell´atto che sta facendo e di tutte le conseguenze che ne derivano. La donazione è uno strumento idoneo per il raggiungimento di diversi

14

scopi e per soddisfare varie tipologie di interessi. Infatti, è possibile inserire apposite clausole, c.d. ´condizioni´ o ´oneri´. Tipico è il caso di un immobile donato con riserva di usufrutto a vantaggio del donante, che si spoglia anticipatamente della nuda proprietà del bene, limitandosi a rimanere titolare dell´usufrutto, che al momento della morte o al termine stabilito, si estinguerà automaticamente, rendendo piena la proprietà in capo al donatario.

1) LE AZIONI DIRETTE ALL´IMPUGNAZIONE La donazione, come detto, essendo un contratto è di norma irrevocabile ad opera di una delle parti. Il legislatore però prevede, in base a motivazioni la cui natura varia di volta in volta, tutta una serie di ri-

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


medi di ordine giudiziario atti a rendere inefficace la donazione. Il primo di questi rimedi, la revocazione o revoca, può essere esperito direttamente dal donante o dai suoi aventi causa. In particolare, può essere revocata per ingratitudine del donatario, ossia qualora il donatario abbia commesso atti particolarmente gravi nei confronti del donante o del suo patrimonio oppure per sopravvenienza di figli, qualora il donante abbia figli o discendenti ovvero scopra di averne successivamente alla donazione.

zione dell´acquisto da parte del terzo ove si tratti di beni immobili o di mobili registrati.

3) LE AZIONI A TUTELA DELL´EREDITA'

L´ultimo rimedio, volto all´impugnazione delle donazioni, è invece previsto in un momento che il diritto definisce patologico per definizione, ossia nel fallimento e nelle procedure concorsuali. La legge, infatti, prevede dei mezzi per la curatela affinché si possano rendere inefficaci tramite revocatoria fallimentare le donazioni effettuate a danno dei creditori.

I legittimari - per i quali la legge riserva una quota dell´eredità del donante se le donazioni, valide ed efficaci, dovessero risultare, al momento della morte del donante, lesive dei diritti di un legittimario e della sua quota - potranno agire in giudizio per renderle inefficaci con la cosiddetta azione di riduzione, prevista dagli artt. 553 e ss. c.c., volta a far dichiarare invalidi (integralmente o parzialmente) gli atti, inter vivos o mortis causa, che hanno prodotto la lesione stessa. La tutela del legittimario, inoltre, può coinvolgere anche terzi che abbiano acquistato diritti dal donatario. Infatti, qualora il donatario non abbia beni sufficienti per soddisfare le eventuali pretese del legittimario, si potrà chiedere la restituzione del bene all´acquirente stesso, con l´azione di restituzione. L´acquirente avrà la facoltà di liberarsi con il versamento di una somma corrispondente. I legittimari non possono rinunciare al loro diritto di agire in giudizio, finché colui della cui eredità si tratta è ancora in vita, neanche prestando il loro assenso alla donazione; solo quando il donante sarà morto, potranno prestare acquiescenza alla donazione compiuta.

2) LA REVOCA DELLA DONAZIONE PER INGRATITUDINE E

4) LA REVOCATORIA ORDINARIA DELLE DO-

PER SOPRAVVENIENZA DI FIGLI

NAZIONI E DEGLI ATTI DI LIBERALITA'

La seconda tipologia di rimedi è collegata al rapporto tra la donazione e la futura successione del donante. La legge, infatti, tutela alcune categorie di familiari - i legittimari -, riservando loro una quota di eredità definita legittima, anche contro una volontà del defunto espressa in una donazione, collegando a questo diritto dei rimedi giudiziari. La terza tipologia di rimedio è invece collegata alla difesa delle pretese creditorie, essendo diretta al ripristino della consistenza della garanzia patrimoniale del donante, rappresentata dal suo patrimonio personale. Tale rimedio è rappresentato dall´azione revocatoria prevista dall´art. 2901 c.c..

Anche dopo che la donazione è perfezionata e ha iniziato a dispiegare i suoi effetti, la legge prevede due ipotesi in cui può divenire inefficace, a seguito della pronuncia giudiziale di revocazione o ´revoca´, con sentenza di tipo costitutivo, qualora il donante oppure i suoi aventi causa decidano di esercitare l´azione prevista dal codice civile. Le due ipotesi in cui è possibile esperire tale rimedio giudiziario sono del tutto eterogenee, infatti la prima è volta a sanzionare, sia pure indirettamente, il comportamento ´irriconoscente´ del donatario, l´´ingratitudine´ del donatario come previsto dall´art. 801 c.c.. La seconda ipotesi, prevista dall´ art. 803 c.c., invece, tende a tutelare anche a posteriori la piena libertà di scelta del donante, nel senso che il legislatore presume che se il disponente, al tempo della donazione, avesse saputo che sarebbero sopravvenuti dei figli, non avrebbe deciso di compiere il negozio di cui trattasi. Il contenuto della sentenza è la condanna del donatario alla restituzione dei beni. Sono escluse dall´ambito di applicazione di tale rimedio le donazioni obnuziali o remuneratorie ovvero liberalità d´uso o quelle contemplate dall´art. 742 del codice civile. Nel caso in cui il donante abbia alienato la res donata è tenuto a versare una somma equivalente al valore che questo aveva al tempo della domanda e a restituire i frutti maturati dal tempo della domanda. Quindi, sono tutelati gli interessi di chi ha acquistato diritti sui beni oggetto della donazione, a meno che il donante non abbia trascritto la propria domanda di revoca anteriormente alla trascri-

Le donazioni e gli atti di liberalità possono essere resi inefficaci anche tramite l´azione revocatoria tesa a ripristinare la garanzia patrimoniale, qualora l´atto di liberalità sia stata disposta in pregiudizio dei creditori. L´azione revocatoria è la domanda giudiziale con la quale il creditore intende far dichiarare inefficaci nei suoi confronti atti di disposizione del patrimonio da parte del suo debitore che abbiano l´effetto di diminuirne la garanzia patrimoniale, pregiudicandone le ragioni.Il pregiudizio alle ragioni del creditore, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, sussiste anche allorchè l´atto dispositivo renda più difficile il soddisfacimento delle ragioni del creditore. Le condizioni dell´azione revocatoria, ai sensi dell´art. 2901 c.c., sono, in caso di atto dispositivo a titolo gratuito anteriore al credito dell´attore in revocatoria, che il debitore abbia posto in essere l´atto di donazione preordinatamente al fine di pregiudicare le ragioni del suo futuro creditore. Invece, in caso di atto dispositivo a titolo gratuito posteriore al credito dell´attore in revocatoria, la condizione è che il debitore fosse consapevole del pregiudizio che l´atto dispositivo recava alle ragioni del suo creditore. L´onere della prova con riferimento agli stati psico-

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

15


logici del debitore e del terzo è a carico dell´attore (tale prova viene spesso definita ´probatio diabolica´) e sono, in ogni caso, fatti salvi gli effetti degli acquisti fatti da terzi in buona fede prima della trascrizione della domanda di revocatoria. Non è soggetto all´azione revocatoria l´adempimento di un debito scaduto. L´azione revocatoria è, inoltre, soggetta al vincolo del termine di prescrizione di cinque anni dal momento in cui è stato posto in essere l´atto dispositivo. L´effetto dell´azione revocatoria non è quello di rendere invalido l´atto dispositivo ma quello di rendere inefficace nei confronti dell´attore in revocatoria l´atto stesso, con la conseguenza che lo stesso, in caso di esito positivo della sua iniziativa giudiziale, potrà promuovere l´esecuzione forzata sul bene immobile oggetto dell´atto dispositivo anche se lo stesso fa parte non già del patrimonio del debitore ma di quello del suo avente causa. In tal senso l´azione revocatoria può essere promossa anche se il credito è sottoposto a termine o a condizione ed anche se vi sia contestazione giudiziale sull´an e sul quantum.

5) LA REVOCATORIA FALLIMENTARE DEGLI ATTI A TITOLO GRATUITO Un´altra azione che di certo non può essere esclusa dall´ambito delle azioni che possono essere esperite nei confronti delle donazioni è la revocatoria fallimentare. Parlando di azione revocatoria fallimentare sarebbe opportuno parlare al plurale in quanto la legge fallimentare, R.D. 267/1942, contempla una prima tipologia di revocatorie automatiche, per le quali non si pone neppure la necessità di pronuncia giudiziale di revoca ed una seconda tipologia, che invece prevede come passaggio obbligato la sentenza di revoca, la quale avendo, secondo la prevalente giurisprudenza, natura costitutiva, non costituisce accertamento di un´efficacia originaria. Le revocatorie in precedenza definite come automatiche si riferiscono ad una serie di atti ritenuti privi di efficacia per presunzione assoluta di frode, in quanto di evidente antieconomicità per il fallito. Le norme di riferimento sono costituite dagli artt. 64, 65 e 69, R.D. 267/1942 e riguardano atti a titolo gratuito, pagamenti di crediti non scaduti e atti compiuti fra coniugi. Gli atti a titolo gratuito sono privi di effetto rispetto ai creditori se compiuti dal fallito nei due anni anteriori alla dichiarazione di fallimento, a prescindere da qualsiasi altra condizione, ivi compresa la sussistenza della condizione di insolvenza e la sua conoscenza da parte del terzo beneficiario. Unica condizione è quella temporale, relativa alla data di perfezionamento dell´atto e ciò a prescindere dalla data di formalità accessorie. Rimangono esclusi dalla revocabilità solo i regali d´uso, gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità purché la liberalità sia proporzionata al patrimonio del donante.

16

6) LE SENTENZE DI MERITO PIU´ INNOVATIVE Cassazione Civile, sez. VI, 18 luglio 2014, n. 16498. Per la revocatoria del fondo patrimoniale ad integrare l´animus nocendi previsto dalla norma è sufficiente che il debitore compia l´atto dispositivo nella previsione dell´insorgenza del debito e del pregiudizio (da intendersi anche quale mero pericolo dell´insufficienza del patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza nell´esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore. E´ pur vero che l´elemento psicologico va provato dal soggetto che lo allega, ma può essere accertato anche mediante il ricorso a presunzioni, il cui apprezzamento è devoluto al giudice di merito, ed è incensurabile in sede di legittimità in presenza di congrua motivazione. Cassazione Civile, sez. III, 07 maggio 2014, n. 9855. Ai fini dell´accoglimento dell´azione revocatoria ordinaria, è sufficiente la titolarità di un credito eventuale, quale quello oggetto di un giudizio ancora in corso, fermo restando che l´eventuale sentenza dichiarativa dell´atto revocato non può essere portata ad esecuzione finché l´esistenza di quel credito non sia accertata con efficacia di giudicato. Cassazione Civile, sez. I, 10 aprile 2013, n. 8678. Le attribuzioni di beni mobili o immobili disposte, nell´ambito degli accordi di separazione personale, da un coniuge in favore dell´altro rispondono, di norma, ad un intento di sistemazione dei rapporti economici della coppia che sfugge, da un lato, alle connotazioni di una vera e propria donazione e, dall´altro, a quelle di un atto di vendita e svela, dunque, una sua tipicità, che può colorarsi dei tratti propri dell´onerosità o della gratuità a seconda che l´attribuzione trovi o meno giustificazione nel dovere di compensare e/o ripagare l´altro coniuge del compimento di una serie di atti. Spetta dunque al giudice del merito, investito della domanda di inefficacia dell´atto dispositivo svolta da un terzo creditore ai sensi dell´art. 2901 c.c. (o, come nella specie, dal fallimento del coniuge disponente, ai sensi dell´art. 64 l. fall.), di accertare, in concreto, se l´attribuzione del cespite debba ritenersi compiuta a titolo oneroso od a titolo gratuito. Cassazione Civile, sez. II, sentenza 31 marzo 2011 n. 7487. Va confermata la pronuncia di merito con cui è stato escluso che possa essere oggetto di revocazione per ingratitudine la donazione di una somma di denaro da parte dei genitori alla figlia per l´acquisto di un immobile destinato a casa familiare, laddove la donataria abbia intimato formalmente al padre di allontanarsi dai suddetto immobile a causa della sopravvenuta conflittualità tra i genitori che, in pendenza di un giudizio di separazione personale tra i medesimi, rendeva insostenibile la prosecuzione della convivenza nella stessa abitazione. Cassazione Civile, sez. II, 17 maggio 2010, n. 12045. In tema di azione revocatoria ordinaria, una volta che in sede di separazione personale sia stato attribuito ad uno dei coniugi, tenendo conto dell´interesse dei figli, il diritto personale di godimento sulla casa familiare, la successiva costituzione per donazione, in favore dello stesso coniuge affidatario, del diritto di usufrutto vita natural durante sul medesimo immobile, compiuta dall´altro coniuge, costituisce atto avente funzione dispositiva e contenuto patrimoniale, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell´art. 2901 c.c. L´azione revocatoria ordinaria di atti a titolo gratuito non postula che il pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore sia conosciuto, oltre

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


che dal debitore, anche dal terzo beneficiario, il quale ha comunque acquisito un vantaggio senza un corrispondente sacrificio e, quindi, ben può vedere il proprio interesse posposto a quello del creditore.

zione da parte di quest´ultimo della pericolosità dell´atto impugnato, in termini di una possibile, quanto eventuale, infruttuosità della futura esecuzione sui beni del debitore.

Cassazione Civile, sezione II, sentenza 7 novembre 2008 n. 26827. In tema di revocazione della donazione per ingratitudine, il termine di un anno previsto dall´articolo 802 cod. civ. per la proposizione della domanda - decorrente dal momento in cui il donante è venuto a conoscenza del fatto che consente la revocazione - è fissato a pena di decadenza e presuppone che la domanda stessa, per dispiegare i propri effetti, sia completa in tutti i suoi elementi costitutivi e sia portata ritualmente a conoscenza del destinatario nelle forme di legge attraverso una valida notifica. Ne consegue che la perenzione del termine di decadenza non è impedito né dalla notifica nulla di un atto di citazione (perchè effettuata dall´altro coniuge presso il domicilio coniugale da cui la convenuta si era allontanata per andare a vivere altrove) né dalla notifica di un atto di citazione nullo (perchè contenente un termine a comparire inferiore a quello di cui all´articolo 163 bis cod. proc. civ.) non essendo sufficiente che gli atti siano venuti di fatto a conoscenza del destinatario.

Cassazione Civile, sez. III, 26 luglio 2005, n. 15603. L´art. 2740 c.c., dispone che il debitore risponde con tutti i suoi beni dell´adempimento delle proprie obbligazioni, a prescindere dalla loro fonte, e quindi anche se le stesse derivino dalla legge, come l´obbligo di mantenimento del coniuge e dei figli minori; contemporaneamente, l´art. 2901 c.c. tutela il creditore, rispetto agli atti di disposizione del proprio patrimonio posti in essere dal debitore, senza alcun discrimine circa lo scopo ulteriore avuto di mira dal debitore nel compimento dell´atto dispositivo; sono pertanto soggetti all´azione revocatoria anche gli atti aventi un profondo valore etico e morale, come quello con cui il debitore, per adempiere il proprio obbligo di mantenimento nei confronti dei figli e del coniuge, abbia trasferito a quest´ultimo, a seguito della separazione, la proprietà di un bene.

Cassazione Civile, sez. 09 marzo 2006, n. 5105. Poiché l´azione revocatoria ordinaria tutela non solo l´interesse del creditore alla conservazione della garanzia patrimoniale costituita dai beni del debitore, ma anche all´assicurazione di uno stato di maggiore fruttuosità e speditezza dell´azione esecutiva diretta a far valere la detta garanzia, il riconoscimento dell´esistenza dell´ "eventus damni" non presuppone una valutazione sul pregiudizio arrecato alle ragioni del creditore istante, ma richiede soltanto la dimostra-

Autore Lucio Orlando

Il diritto di abitazione della casa familiare in caso di separazione Art. 337 sexies c.c.: fondamento, natura giuridica del diritto e criteri di assegnazione. Tra le conseguenze principali derivanti dalla crisi coniugale e, in particolare, dalla separazione dei coniugi rientra certamente la questione dell´assegnazione della casa familiare. La fine della convivenza comporta necessariamente che uno dei due coniugi si allontani dal luogo che ha rappresentato il fulcro della comunione di vita familiare, con tutte le conseguenze patrimoniali e psicologiche che ne derivano. La questione relativa alla scelta del coniuge a cui deve essere attribuito il diritto di abitazione è stata oggetto di numerosi interventi normativi, sino a confluire nell´attuale art. 337 sexies c.c., modificato in ultimo dal decreto legislativo 154/2013. La norma

in questione prevede che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell´interesse dei figli. Dell´assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l´eventuale titolo di proprietà. E' evidente come l´obiettivo primario perseguito dal legislatore e intorno al quale si snoda l´assegnazione sia rappresentato dall´interesse della prole, la quale deve continuare a vivere nel nucleo abitativo precedente la separazione, mantenendo il medesimo stile di vita. La norma stessa precisa che il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso in cui l´assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. La presenza di figli minorenni oppure maggiorenni non

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

17


autosufficienti conviventi con i genitori è l´unico elemento che giustifica una limitazione del diritto di proprietà, come ha precisato la giurisprudenza della Corte di Cassazione[1], a detta della quale in caso di assenza degli stessi il giudice non può adottare un provvedimento di assegnazione della casa familiare; in questo caso prevalgono le norme in tema di comunione. E' possibile affermare, dunque, che l´assegnazione viene disposta a favore del coniuge con il quale convivono i figli, degradando dunque ad elemento secondario la situazione di debolezza economica di uno dei due. Quando si discorre di ´casa familiare´ si fa riferimento all´immobile che ha costituito la dimora stabile e duratura dei coniugi e dei figli, per cui non vi rientrano eventuali ulteriori immobili utilizzati anche solo temporaneamente ( ad esempio la casa per le vacanze). Tale esclusione deriva dalla ratio stessa della norma, finalizzata a tutelare il luogo che ha rappresentato il centro di aggregazione della famiglia. Si fa riferimento ad un immobile, sebbene la nozione comprenda un concetto più ampio, riguardante tutti quei beni, anche mobili, finalizzati a soddisfare le esigenze del nucleo familiare: ebbene, il diritto di godimento si esercita anche nei confronti degli stessi, ovvero delle pertinenze, dei mobili e degli arredi. Di regola, l´assegnazione concerne l´intera abitazione, sebbene la giurisprudenza abbia avuto modo di precisare come sia possibile un´assegnazione parziale, sempre che la condizione giuridica dell´immobile consenta il godimento suddiviso e congiunto tra i coniugi. A tal fine, è necessario che l´immobile sia facilmente divisibile, soprattutto qualora tra i coniugi vi sia una certa conflittualità[2]. E' necessario in questa sede soffermarsi, altresì, sulla questione inerente la natura giuridica del diritto attribuito. Il legislatore spesso utilizza il termine abitazione, sebbene non vi sia concordia di opinioni in ordine alla possibilità di definire il diritto in questione come un vero e proprio diritto di abitazione, tecnicamente inteso[3]. Il diritto di abitazione è disciplinato dall´art. 1022 c.c., il quale lo configura come ´il diritto reale su cosa altrui che conferisce al titolare la facoltà di abitare una casa nei limiti dei bisogni suoi e della sua famiglia´. Una parte della dottrina ritiene che sia possibile configurare il diritto del coniuge assegnatario alla stregua di un diritto di abitazione, tuttavia la dottrina prevalente configura lo stesso come un diritto personale di godimento, assimilabile alla locazione o al comodato. Quest´opinione è stata confermata più volte nel corso degli anni dalla giurisprudenza di legittimità, la quale ha precisato che il diritto de quo ha natura di diritto personale di godimento e non di diritto reale, essendo i modi di costituzione degli stessi tassativamente previsti dalla legge secondo il principio del numerus clausus, non rientrando tra questi il provvedimento di cui si tratta.[4] Da ciò deriva che la facoltà di godimento concessa costituisce un diritto personale di godimento atipico, che il titolare può esercitare

18

in maniera esclusiva ai fini abitativi, senza la possibilità di disporne attraverso la costituzione di diritti a favore di terzi[5]. La giurisprudenza ha osservato, altresì, che, così configurato, il diritto in questione potrebbe corrispondere al diritto di abitazione in senso tecnico, ma ciò deve escludersi per la considerazione che nella famiglia del titolare del diritto reale di abitazione devono comprendersi anche i figli nati successivamente al sorgere del diritto stesso, nonché i figli adottivi riconosciuti e affiliati. Inoltre, un´inquadratura di questo tipo finirebbe per attribuire al coniuge affidatario un diritto di contenuto più ampio rispetto a quanto emerge dalla ratio della norma, che ruota intorno alla tutela della prole[6]. La giurisprudenza è univoca nell´escludere la realità del diritto in questione, la cui assegnazione non comporta un esproprio, bensì la costituzione di un godimento che non priva il proprietario del proprio diritto dominicale e che può coincidere con la vita del destinatario[7]. Il presupposto per l´emanazione del provvedimento di assegnazione della casa familiare è la disponibilità, di fatto o giuridica, della casa in capo al coniuge non assegnatario. La giurisprudenza di legittimità ha precisato che tale disponibilità sussiste anche nel caso in cui il coniuge onerato sia comproprietario dell´alloggio e ne abbia il godimento esclusivo in virtù di un accordo con gli altri comunisti, e permane fino a quando non intervenga la modifica degli accordi sull´uso dell´immobile[8]. L´assegnatario subentra, inoltre, in tutti i diritti e doveri ricollegati all´uso dell´immobile, tra cui ad esempio il pagamento degli oneri condominiali. Qualora il giudice attribuisca il diritto al coniuge non titolare della proprietà, la gratuità di tale assegnazione si riferisce solo al godimento e all´abitazione, non alle spese necessarie all´uso. Al contrario, le spese straordinarie non ricadono automaticamente sul coniuge assegnatario, bensì sono a carico di ciascun coniuge, in caso di comproprietà del bene, oppure in capo al coniuge unico proprietario. Autore Pasqualina Mandia

Riferimenti legislativi e bibliografie [1] Cass. 28 gennaio 2009, n.2184 [2] Cass. 11 novembre 2011 n.23631 [3] M. LUPOI, Trattato della separazione e del divorzio, Milano, 2015, 189 [4] Cass. 5082/1985 [5] Cass. 3 dicembre 2012, n. 21593 [6] Cass. 5 luglio 1988, n.4420 [7] P. CENDON, Separazione e divorzio in Trattario di diritto civile, Milano, 2015, 650 [8] Cass. 3 dicembre 2012, n.21593

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Il diritto all'informazione nei procedimenti penali: la direttiva 2012/13/UE Di recente, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno adottato la direttiva 2012/13/UE, relativa al diritto all’informazione nei procedimenti penali. Attraverso questo testo, l’Unione europea ha previsto norme minime comuni da applicare in materia di informazione relativa ai diritti e all’accusa, da fornire alle persone indagate o imputate per un reato, fermo restando la possibilità, concessa agli Stati, di offrire una tutela maggiore, ampliando i diritti ivi contenuti.

L’obiettivo è chiaro e ribadito con forza: rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri nei sistemi di giustizia penale. Di recente, il Parlamento e il Consiglio europeo hanno adottato la direttiva 2012/13/UE, relativa al diritto all´informazione nei procedimenti penali. Attraverso questo testo, l´Unione europea ha previsto norme minime comuni da applicare in materia di informazione relativa ai diritti e all´accusa, da fornire alle persone indagate o imputate per un reato, fermo restando la possibilità, concessa agli Stati, di offrire una tutela maggiore, ampliando i diritti ivi contenuti. L´obiettivo è chiaro e ribadito con forza: rafforzare la fiducia reciproca tra gli Stati membri nei sistemi di giustizia penale. Per quanto concerne il campo di applicazione della direttiva in esame, l´art. 2 prevede che destinatari specifici del diritto all´informazione sono le persone indagate e imputate, indipendentemente dal loro status giuridico edalla loro nazionalità o cittadinanza, ´fino alla conclusione del procedimento´. Le informazioni, che devono essere fornite tempestivamente, riguardano una serie di diritti processuali, vale a dire il diritto ad un avvocato, condizioni per beneficiare del gratuito patrocinio, il diritto di essere informato dell´accusa, il diritto all´interprete e alla traduzione e il diritto al silenzio. Secondo la direttiva, queste informazioni devono essere fornite oralmente o per iscritto, in un linguaggio semplice ed accessibile e considerando la situazione di particolare ´vulnerabilità´ delle persone indagate od imputate. L´attitudine fortemente garantistica dello strumento si irrobustisce in relazione al caso di arresto, caratterizzato da uno stato di restrizione della libertà del soggetto. In questa ipotesi, infatti, l´art. 4 della direttiva concepisce una ´Comunicazione dei diritti´ (´Letter of rights´) da consegnare, in forma scritta, alle persone che, nel corso del procedimento, si trovino in stato di arresto o detenzione (´arrested or detained´), le quali potranno conservare tale documento per tutto il periodo di privazione della libertà. La Comunicazione, che deve avvenire in una lingua comprensibile, dovrebbe includere informazioni di base circa la possibilità di contestare la legittimità dell´arresto, di ottenere un riesame della

detenzione o dichiedere la libertà provvisoria se tale diritto esiste nel diritto nazionale. L´art. 6, inoltre, riserva attenzione anche al diritto all´informazione sull´accusa cioè all´informazione dell´addebito elevato a carico dei soggetti sospettati o accusati di aver commesso un reato. Le informazioni al riguardo, secondo la direttiva, devono essere dettagliate, in modo tale da assicurare l´´equità´ del procedimento e l´´esercizio effettivo dei diritti della difesa´. E' di pochi mesi fa il d.lgs. 1deg; luglio 2014 n.101 che dà attuazione alla direttiva 2012/13/UE sul diritto all´informazione nei procedimenti penali. Con questo testo normativo, il Governo italiano è intervenuto sul sistema processuale nazionale su due specifici fronti. In primis, sono state oggetto di modifica alcune norme del codice di procedura penale e cioè gli artt. 293, 294, 369, 369 bis, 386, 391 c.p.p. In secondo luogo, sono stati apportati dei cambiamenti alla legge 22 aprile 2005 n.69 , attuativa della Decisione quadro sul mandato d´arresto europeo e sulle procedure di consegna tra Stati membri. Lo scopo è quello di porre l´indagato o l´imputato nelle condizioni di venire a conoscenza di tutti i diritti di cui egli può avvalersi nei diversi stadi e gradi del procedimento di cognizione a suo carico, nonché nel procedimento di esecuzione di un mandato d´arresto europeo. Le informazioni rilevanti dovranno essere fornite sempre in un linguaggio chiaro e preciso e, se l´indagato o l´imputato non conosce la lingua italiana, in una lingua a lui comprensibile. Egrave; evidente, dunque, la correlazione con le previsioni di cui alla direttiva 2010/64/UE sul diritto all´interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, recentemente trasposta con d. lgs. 4 marzo 2014, n. 32.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

Autore Eleonora De Angelis

19


La confisca urbanistica e il braccio di ferro tra Corte Edu e Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 49/2015 riscrive le coordinate classiche in tema di rapporti diritto interno/Cedu, circoscrivendo gli obblighi tradizionalmente gravanti sul giudice interno (di procedere ad un´interpretazione conforme e, se del caso, a sollevare la questione di legittimità costituzionale) solo per l’ipotesi in cui il diritto nazionale contrasti con il diritto consolidato della Cedu, allo scopo di perseguire un assetto interpretativo stabile in tema di diritti fondamentali. L´occasione propizia è offerta dalla confisca urbanistica ex art, 44 co. 2 d.p.r. 380/2001.

1) I contrastati rapporti della CEDU col diritto nazionale. Corte Costituzionale n. 49/2015. Il tema delle interazioni tra diritto penale e fonti sovranazionali ha assunto un´importanza fondamentale nell´ottica del sistema italo-comunitario-internazionale delle fonti. A differenza del diritto civile (governato da altri principi e volto a regolare diritti di natura essenzialmente patrimoniale), la rilevanza della questione nel diritto penale riveste connotati peculiari e si apprezza con maggiore serietà poichè vengono in rilievo limitazioni alle libertà della persona, prima fra tutte la libertà personale. Rispetto a tale libertà un posto di assoluto rilievo è occupato dal principio di legalità ex art. 25 co. 2 Cost., che nella classica formula del "nullum crimen sine lege"si pone a presidio del favor libertatis, in funzione di garanzia del cittadino, esprimendo un alto principio di civiltà giuridica[1]. Gli "ordinamenti" con i quali il diritto penale italiano si interfaccia, e dai quali conseguentemente riceve un´influenza, sono in buona sostanza l´Unione Europea e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell´uomo e delle liberta fondamentali (CEDU)[2]. Mentre l´interferenza del diritto dell´Unione Europea non pone più ormai particolari problemi interpretativi[3] (salvo a verificare la compatibilità della riserva di legge in materia penale con competenza penale indiretta in capo agli organi dell´Unione)[4], decisamente più travagliati appaiono i rapporti del diritto penale con la Cedu, sempre al centro di continue spinte centrifughe e fughe

20

all´indietro, che da ultimo hanno ricevuto nuova linfa vitale da un recente e innovativo arresto della Corte Costituzionale del 2015. E´ noto infatti che il rango della Cedu all´interno della gerarchia delle fonti e l´influenza che essa esercita nel diritto italiano sono stati oggetto storicamente di due diverse interpretazioni. Per il tradizionale orientamento della Corte Costituzionale (consolidatosi con le "sentenze gemelle" n. 348 e 349 del 2007) le norme della Cedu trovano ingresso nel nostro ordinamento non attraverso il viatico dell´art.10 Cost., nè a mezzo dell´art. 11 Cost., ma attraverso il ponte eretto dall´art. 117 Cost. che nel fare espresso riferimento agli "obblighi internazionali" si riferisce anche (e soprattutto) alla Cedu, che assurge a rango di fonte interposta integrando il parametro di costituzionalità. La conseguenza di una tale impostazione è che il giudice interno, allorquando ravvisi un contrasto della norma interna con la Cedu, è obbligato a procedere prima ad un´interpretazione costituzionalmente (rectius convenzionalmente) orientata, e se il conflitto permane dovrà sollevare una questione di legittimità costituzionale. Di contrario avviso si è mostrata invece la giurisprudenza amministrativa[5], che ha assegnato al Trattato di Lisbona del 2009 l´effetto di aver provocato quella che è stata definita la ´comunitarizzazione della Cedu´, inferendo dalla modifica dell´art. 6 TUE (segnatamente il riferimento è ai commi 2 e 3) una equiparazione della Cedu al diritto unionale, e per questa via l´ingresso delle norme Cedu nel nostro ordinamento attraverso il parametro costituito dall´art. 11 Cost., con tutto quello che ne deriva in termini di potere di disapplicazione e legittimazione a proporre la questione di legittimità costituzionale. A dirimere il contrasto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 80 del 2011 che, rimanendo fedele al precedente filone interpretativo, ha sposato la tesi della non equiparabilità della Ce-

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


du al diritto dell´Unione Europea, sulla scorta della duplice considerazione secondo la quale, da un lato, l´art. 6 TUE postula una mera adesione dell´Unione Europea alla Cedu (che tra l´altro ancora non è avvenuta), dall´altro se il legislatore avesse voluto operare una simile equiparazione lo avrebbe fatto espressamente, come del resto è accaduto per la Carta di Nizza al co. 1 della medesima norma. Su questo scenario, quando sembrava definitivamente chiusa la questione dell´influenza della Cedu sul nostro ordinamento, interviene rimeditando parzialmente i termini del dibattito, la sopracitata pronuncia della Corte Costituzionale n. 49 del 26 marzo 2015. Per quanto il Giudice delle Leggi formalmente non deragli dai binari della tesi storicamente seguita, è innegabile un sensibile cambio di prospettiva che sembra ictu oculi ispirato dalla (non troppo) latente volontà di cercare di porre un argine alle spesso troppo frettolose questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di merito, poco accorti nel valutare gli arresti della Corte Edu all´interno del più ampio contesto dei precedenti giurisprudenziali. Con maggiore impegno esplicativo, la pronuncia della Corte si contraddistingue per l´originale ´vademecum´ che offre ai giudici a quibus per vagliare la reale portata della giurisprudenza della Corte di Strasburgo rispetto alla natura del contrasto che consente di portare al vaglio della Consulta una determinata questione che rischia di soverchiare la gerarchia dei valori della Carta Fondamentale. In particolare, il principio di diritto espresso dalla Consulta postula l´ammissibilità della questione di legittimità costituzionale (previo ricorso allo strumento dell´interpretazione convenzionalmente conforme per dissipare l´assunta antinomia) soltanto a fronte di un insanabile contrasto che si rinvenga tra l´ordinamento nazionale e il ´diritto consolidato´[6] della CEDU, così come interpretato dalla Corte Edu. Nella diversa ipotesi in cui, invece, il giudice riscontri che la pronuncia della Corte Edu rappresenti diritto non consolidato, oltre al fatto che esso non sarà vincolante in sede di interpretazione, non potrà sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna contrastante in forza dell´art. 117, 1 co. Cost., poiché la norma interposta (ovvero, il diritto della Convenzione per come interpretato dalla giurisprudenza europea) non si è ancora consolidata. Così stando le cose, la sensazione che emerge dalle coordinate tracciate dalla Corte Costituzionale è tutt´altro che rassicurante, poiché, pur a fronte del nobile intento che l´ha animata di gettare le basi per mantenere una maggiore certezza al cospetto dei diritti fondamentali, il rischio è che la pronuncia si ritorca contro sé stessa: oltre all´ovvia considerazione della poco opportuna scelta di onerare di un compito così gravoso il giudice comune (che spesso non è in possesso dello strumentario idoneo ad una valutazione di questo tipo), è verosimile che in futuro la giurisprudenza propenderà più facilmente per il disconoscimento di un ´diritto consolidato´, anche al fine di sciogliersi dai lacciuoli della Cedu, con buona pace della tanto agognata certezza del diritto.

2) Il principio di legalità alla luce dell´art. 7 Cedu. La sede elettiva che rappresenta una sorta di "palestra"per il vaglio dei rapporti intercorrenti tra il diritto penale domestico e la Cedu è rappresentata senz´altro dalla questione relativa all´influenza del principio di legalità scolpito dall´art. 7 Cedu[7], rectius dell´interpretazione che della stessa norma fornisce la Corte Edu. Problema peraltro sul quale sono destinate ad incidere, seppur indirettamente, le coordinate ermeneutiche tracciate dalla Corte Costituzionale n. 49 del 2015. La rilevanza applicativa della questione involge e si basa su una molteplicità di aspetti di diritto penale sostanziale. Preliminarmente, va dato atto dell´orientamento consolidato della Corte Costituzionale in punto di efficacia delle pronunce della Corte Edu, in base al quale queste ultime sono senz´altro vincolanti ma lo Stato conserva pur sempre un certo margine di discrezionalità circa le modalità e le forme dell´adeguamento. In secondo luogo, la questione concerne il principio (se non più importante, quantomeno) primario e fondante del moderno sistema penale, che oltre a recare con sé l´applicazione di un regime giuridico peculiare (la qualificazione come ´penale´ di un determinato fatto illecito o di una sanzione comporta l´applicazione di un diverso regime intertemporale, dei principi di colpevolezza, proporzionalità, offensività ecc.), induce ad una riflessione circa il moderno significato di legalità, da alcuni eloquentemente definita ´legalità multilivello´. Ma il dato più significativo, che conferisce alla questione un interesse di primario rilievo per gli interpreti, è costituito dalla portata dirompente che l´art. 7 Cedu ha sul sistema penale interno, in quanto il contenuto della ´legalità europea´ non combacia perfettamente con il principio di legalità di fonte domestica. Difatti, sebbene alcuni propendono per un´interpretazione minimalista dell´art. 7 Cedu non in grado di apportare alcuna incidenza in positivo per il diritto interno, la costante giurisprudenza della Corte di Strasburgo va invece nel senso opposto e assegna una valenza tutta particolare all´art. 7 Cedu, che travalica il tradizionale raggio di applicazione di cui dispone l´art. 25 co. 2 Cost[8]. La prima tendenza che dà conto di questa impostazione consiste nella ´interpretazione autonomistica´ di illecito e sanzione penale di cui si fa portatrice la

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

21


Corte Edu: per i giudici europei, cioè, le denominazioni formali rivenienti dai singoli ordinamenti nazionali non costituiscono un ostacolo per l´attività interpretativa che loro compete. Il nomen juris può al massimo costituire un indice rivelatore (tra gli altri) della natura giuridica di un illecito o di una sanzione. Tanto sulla base dell´opzione in favore di un´interpretazione che perviene a considerare penali tutti gli illeciti e le sanzioni sostanzialmente ed implicitamente penali, alla stregua di criteri che variano a seconda che si tratti di un illecito (tipo di comportamento sanzionato, struttura della norma, gravità della sanzione dedotta dal quantum o dalle modalità dell´esecuzione) o di una sanzione (collegamento con una condanna per un illecito penale, procedimento seguito, autorità che la irroga, scopo, gravità, finalità, qualificazione nel diritto interno). Alla luce di tali considerazioni, l´art. 7 Cedu, pur enunciando lo stesso principio dell´art. 25 co.2 Cost., si applica a fattispecie diverse da quelle che rientrano nella norma costituzionale in quanto ´misure di tipo diverso´ da quelle considerate penali nell´ordinamento interno. La seconda tendenza riscontrabile nella giurisprudenza Cedu relativa all´art. 7 è rappresentata dalla ´valorizzazione degli aspetti qualitativi della legalità´: essi si compendiano nella accessibilità della fonte (intesa come possibilità di conoscere la norma) e nella prevedibilità della stessa (intesa sia come determinatezza che come interpretazione ragionevole), e si riferiscono tanto alla fonte legale che alla giurisprudenza, in virtù della ´relazione concorrenziale´ della seconda con la prima[9]. Tanto conduce alla conseguenza, più volte ribadita dalla Corte Edu, della desumibilità dall´art. 7 Cedu, oltre che dei principi di legalità ed irretroattività sfavorevole, anche del principio di colpevolezza: quest´ultimo infatti non può che essere legato a filo doppio col principio di legalità, che assolvendo alla funzione di calcolabilità delle conseguenze dannose connesse ad un determinato comportamento, sarebbe irrimediabilmente vanificato se la legge penale che tali conseguenze dannose prevede fosse inaccessibile o imprevedibile.

3) La confisca urbanistica ex art. 44 d.p.r. 380/2001 Il caso applicativo più importante che costituisce ancora oggi il banco di prova per la tenuta del principio di legalità in questi termini inteso è rappresentato dalla confisca urbanistica disciplinata dall´art. 44 d.p.r. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), disposta all´esito dell´accertamento della lottizzazione abusiva: i problemi che si pongono sono sostanzialmente due, e cioè i) da un lato, la qualificazione della natura giuridica di tale tipologia

22

di confisca (istituto che in generale viene considerato anche dalla giurisprudenza interna come ´ibrido e proteiforme´); ii) dall´altro, il connesso problema dell´applicabilità di questa confisca anche in caso di omessa condanna dell´imputato, che risente (almeno in astratto) della soluzione adottata in merito alla natura giuridica. In concreto, le ipotesi analizzate dalla giurisprudenza di applicabilità della confisca in caso di proscioglimento dell´imputato attengono alle ipotesi accertamento del difetto dell´elemento psicologico nonché di intervenuta prescrizione del reato. Il problema interpretativo, che soprattutto nel secondo dei due casi è emerso, consiste nella esatta perimetrazione dell´espressione utilizzata dal legislatore all´art. 44 co. 2 Testo Unico Edilizia ´accerta che vi è stata lottizzazione abusiva´: ci si chiede cioè se si tratti di una formale condanna da parte del giudice penale ovvero se comunque possa considerarsi sufficiente un accertamento incidentale della responsabilità. La questione non è di poco momento, in quanto vengono in rilievo opposte esigenze che devono essere adeguatamente bilanciate dal giudice: da un lato, l´interesse statuale a punire e sanzionare una condotta riprovevole o comunque ad evitare che il reo benefici del prodotto della sua condotta illecita, dall´altro, la tutela del diritto di proprietà che trova fondamento senz´altro nella Costituzione, ma che assurge addirittura a diritto fondamentale nella Cedu, ai sensi dell´art.1 del Protocollo addizionale alla Convenzione. L´orientamento tradizionale della giurisprudenza italiana ha sempre considerato la confisca ex art. 44 co. 2 T.U.E. una sanzione amministrativa che trova applicazione a condizione che venga accertata la ´materialità´ del fatto della lottizzazione abusiva[10], con la duplice conseguenza che tale sanzione non si applica in caso di proscioglimento perché ´il fatto non sussiste´, potendo invece trovare applicazione nell´ipotesi di proscioglimento perché ´il fatto non costituisce reato´ per difetto dell´elemento psicologico. Sul punto è tuttavia intervenuta con delle sentenze che costituiscono una pietra miliare in parte qua, la Corte Edu nel 2007 e nel 2009 in relazione al c.d. Caso Punta Perotti: si trattava in particolare di una vicenda di lottizzazione abusiva nella quale la Corte mandò esenti tutti gli imputati per mancanza dell´elemento soggettivo della lottizzazione (in virtù di un errore scusabile) ma che comportò comunque da parte del giudice l´applicazione della confisca dei terreni lottizzati e degli immobili ivi edificati. La Corte Edu ha risolto la questione passando per due snodi interpretativi essenziali: in primo luogo, l´affermazione della natura di sanzione penale della confisca urbanistica di cui all´art. 44 del T.U Edilizia, ricavata attraverso una lettura combinata di una pluralità di indici rivelatori (quali la finalità punitiva ed afflittiva, la particolare gravità della misura, la qualificazione giuridica dell´art. 44[11], il collegamento con un reato)e dalla quale si arriva alla conseguenza che tale tipo di confisca rientra nell´ambito applicativo dell´art. 7 Cedu. In secondo luogo, la Corte afferma la desumibilità dal´art. 7 anche del principio di colpevolezza, il solo autenticamente violato dalla disciplina italiana all´art. 44 co. 2, allorchè consente l´applicazione della confisca urbanistica anche in danno di soggetti prosciolti per difetto di elemento soggettivo, in quanto incorsi in un errore

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


insormontabile ed inevitabile, e quindi scusabile ex art. 5 c.p. Le pronunce della giurisprudenza italiana immediatamente successive si adeguano sostanzialmente al dictat della Corte Edu in quanto, pur se formalmente continuano a qualificare la confisca alla stregua di una sanzione amministrativa, la trattano in concreto come una pena, poiché ne escludono l´applicazione in tutti i casi di proscioglimento per assenza di colpa in favore dell´imputato nonché dei soggetti acquirenti dell´immobile abusivamente lottizzato dei quali si dimostri la loro posizione di terzi estranei[12]. Quanto invece all´altra delle due ipotesi di proscioglimento, e cioè al caso di omessa condanna per intervenuta prescrizione del reato, la giurisprudenza italiana ha continuato ad opporre vecchie resistenze, in quanto con una artificiosa interpretazione che formalmente era rispettosa dell´ormai imperante orientamento della Corte di Strasburgo, nella sostanza la evade facendo prevalere preoccupazioni di tipo special-preventivo. Infatti la Cassazione, nel pronunciarsi sulla questione[13] da un lato ribadiva il carattere sanzionatorio della confisca ex art. 44 T.U. Edilizia, ma ciononostante la riteneva applicabile in caso di proscioglimento per intervenuta prescrizione sull´assunto che in questo caso (a differenza del proscioglimento per difetto dell´elemento psicologico) un sostanziale riconoscimento della responsabilità penale dell´imputato c´è stato, anche se esso viene meno per effetto dell´intervenuta prescrizione, ed in considerazione del fatto che la pronuncia di condanna non è stata elevata della Corte Edu al rango di presupposto necessario per disporre la confisca, all´uopo potendosi ritenere sufficiente l´accertamento di una sostanziale responsabilità. Sul punto interviene a fare la necessaria chiarezza la Corte Edu il 29 ottobre 2013 (caso Varvara c. Italia) che, come prevedibile, afferma (ancora una volta) la non applicabilità della confisca in caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione, adducendo una duplice argomentazione: partendo dalla premessa della natura penale della confisca, chiarisce da un lato che la condanna formale è presupposto di applicabilità della stessa, dall´altro che in casi del genere prevale la tutela del diritto di proprietà che non può essere compromesso da un mero accertamento incidentale della responsabilità. A distanza di un anno, la Corte di Cassazione[14] rimette alla Corte Costituzionale la legittimità dell´indirizzo da ultimo esposto dal giudice europeo, che viene censurato per il fatto di tutelare in maniera incondizionata la proprietà a scapito di altri beni costituzionalmente rilevanti (come il patrimonio storico, artistico, l´ambiente, ecc.). La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 49/2015, più volte citata, facendo applicazione dei principi sopraesposti, dichiara inammissibile la questione in quanto afferma che la questione di legittimità costituzionale è suscettibile di essere sollevata soltanto quando il diritto interno contrasti con un ´diritto consolidato´ della Corte Edu, e tale non può dirsi il principio di diritto espresso dalla stessa nel Caso Varvara. Da tali premesse, consegue che il giudice interno non è tenuto né all´interpretazione convenzionalmente conforme della norma interna contrastante, né a sollevare la questione di legittimità costituzionale, in quanto può legittimamente

discostarsi da tale orientamento: il che, in altri termini, significa che il giudice potrà, laddove lo ritenga opportuno e motivandolo adeguatamente, applicare la confisca in danno del soggetto prosciolto per intervenuta prescrizione del reato, a differenza di quanto non possa fare invece nel (diverso?) caso di proscioglimento per difetto dell´elemento psicologico del reato. Autore Rosa Mugavero

Note e riferimenti bibliografici [1] Sul principio di legalità, senza pretesa di esaustività, cfr. MARINI, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Enc. Dir., Milano, 1978, 950 ss.; PALAZZO, Legge penale, in DIg., disc. Pen, Torino, 1993, 278 ss; VASSALLI, Nullum crimen, nulla poena sine lege, in Ibidem, 1994 [2] Firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed entrata in vigore il 4 novembre 1953, costituisce una norma vincolante la cui violazione può essere invocata sia dagli Stati membri che dai singoli cittadini attraverso il ricorso alla Corte di Strasburgo. [3] A partire dalla nota sentenza della Corte di Giustizia del 9 marzo 1978, causa Simmenthal, consultabile in Racc., 1978, 629, è acquisito il principio di diritto per cui, in caso di contrasto del diritto nazionale col diritto dell´Unione Europea, il giudice interno debba procedere dapprima ad un´interpretazione conforme della norma nazionale, e in caso di contrasto insanabile debba provvedere direttamente a disapplicare (rectius non applicare)quest´ultima e ad applicare quella comunitaria. [4] Per un´analisi dettagliata dei rapporti diritto interno e Unione Europea, G. TESAURO, Diritto dell´Unione Europea, Cedam, Padova, 2012. [5]Ex multis, C.D.S. Sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220; Tar Lazio, Roma, Sez. II, 18 maggio 2010, n. 11984. [6] La Corte individua in negativo i casi in cui il giudice può discostarsi dal principio espresso dalla Corte Edu, poichènon si tratta di diritto consolidato: la creatività del principio affermato, rispetto al solco tradizionale della giurisprudenza europea; gli eventuali punti di distinguo, o persino di contrasto, nei confronti di altre pronunce della Corte di Strasburgo; la ricorrenza di opinioni dissenzienti, specie se alimentate da robuste deduzioni; la circostanza che quanto deciso promana da una sezione semplice, e non ha ricevuto l´avallo della Grande Camera; il dubbio che, nel caso di specie, il giudice europeo non sia stato posto in condizione di apprezzare i tratti peculiari dell´ordinamento giuridico nazionale, estendendovi criteri di giudizio elaborati nei confronti di altri Stati aderenti che, alla luce di quei tratti, si mostrano invece poco confacenti al caso italiano. [7] Testualmente ´Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.´ [8] Cfr. BERNARDI, Il principio di legalità dei reati e delle pene nella Crta europea dei diritti: problemi e prospettive, in Riv. It. Dir. Comunit., 2002, 04, 673; CONFORTI-RAIMONDI, Commentario alla Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell´uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001. [9] Cfr. Sezioni Unite 21 gennaio n.18288. [10] ANGELILLIS, Lottizzazione abusiva: la natura giuridica della confisca all´esame dI Cedu e Corte Costituzionale, in Cass. Pen., 2008, 11, 4333. [11] Rubricato ´sanzioni penali´. [12] Il terzo acquirente dell´immobile lottizzato può subire la confisca solo quando sia ravvisabile quantomeno la sua condotta colposa in ordine al carattere abusivo della confisca. Il che è escluso allorchè dimostri di avere agito in buona fede, senza cioè rendersi conto di partecipare ad un´operazione di lottizzazione illecita. [13] Ex multis, Cass. Pen. Sez.III, 14 maggio 2009, n. 20243. [14] Cass. Pen., sez. III, 20 maggio 2014, n. 20636.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

23


PRADA: stesso abito in copertina per giornali diversi. È guerra? Un PR della casa di moda milanese PRADA invia a famose testate giornalistiche uno stesso vestito, in diversi colori, della collezione autunno inverno 2015-2016 da utilizzare per i redazionali del numero di settembre. È caos. Il caso Il mondo dei magazine di moda è assai complesso quanto affascinante, soprattutto in vista dell´uscita del numero più importante dell´anno, il numero di settembre.

locale (questi arrivano dopo!). Qui, nella moda, si parla di soldi, tantissimi soldi.

1. Chi è il PR?

Il September issue (numero di settembre) è un po´ come la Bibbia della moda, perchè all´interno sono disponibili già numerosi trend per l´autunnoinverno, la stagione più produttiva e redditizia dell´anno.

Esistono moltissimi tipi di PR e ruoli fra i medesimi, ma principalmente il PR è colui che si occupa di gestire e coordinare l´immagine e tutti i rapporti con l´esterno del proprio cliente,che può essere un marchio come Dior fino ad arrivare alla Simmenthal. Il PR cura tutto ciò che arriva di un prodotto al grande pubblico.

E' quindi ovvio che ogni editor in chief (caporedattore, n. d. r.) di una testata di moda voglia dare, col proprio numero, il massimo. Infatti, ogni anno, fra i fashionisti è grande l´attesa per scoprire, soprattutto, chi c´è sulla copertina di settembre.

Nel mondo della moda, però, le cose si fanno un po´ più complesse (ma anche più glamour), perchè il PR è colui che, oltre a curare l´immagine del marchio, organizza eventi, sfilate, ha contatti coi fotografi, con le celebrità di tutto il mondo ed i giornalisti nonchè, nell´ordinario, stila la rassegna stampa e scrive i comunicati stampa.

Per un magazine di moda la copertina è il 90% del lavoro. Se è brutta nessuno compra il giornale e, di conseguenza, sono stati buttati centinaia di migliaia di euro senza nessun riscontro. Da Beyoncé per Vogue US a Emma Watson per Vogue Uk per giungere a Rosie Huntington-Whitley per Harper´s Bazaar e Katy Perry su Vogue Giappone, i numeri di quest´anno sono particolarmente ricchi di celebs e modelle bellissime. Due però sono state le copertine che hanno fatto scalpore e cioè quella di Vogue Giappone e quella di Harper´s Bazaar. Se notate infatti nella immagine di copertina, le due celebrities hanno in comune una cosa molto importante: lo stesso abito (!!!) di Prada ma di colore diverso. Per Vogue in rosa, per Bazaar in blu. Ora, da giuristi quali siamo, dobbiamo domandarci la seguente cosa: di chi è la colpa? Cioè, chi è responsabile del fatto che uno stesso vestito, di uno stesso marchio, appaia su due copertine differenti? Entra qui in gioco la figura del PR, Public Relation, in questo caso, il PR di Prada, da non confondere assolutamente col PR delle discoteche o coloro che danno volantini per strada per i buoni sconto ad un

24

Di conseguenza, per un marchio come Prada, è vitale che una determinata celeb indossi un proprio abito e che un magazine la fotografi e la metta in copertina. Egrave; pura immagine.

2. Il PR a livello normativo - legale Più intricata ed interessante è però l´analisi a livello giuridico di tale professione.

2.1 I tipi di PR Esistono fondamentalmente due modi di fare public relation per un marchio: ossia o arruolare, e quindi avere internamente un ufficio stampa (tanti PR formano un ufficio stampa), oppure rivolgersi ad una agenzia di comunicazione che gestisce dall´esterno le PR. A livello privatistico i contratti base che si instaurano fra questi due tipi di realtà sono, nel primo caso, un contratto di lavoro subordinato misto a quello di agenzia, nel secondo caso invece è un puro contratto di agenzia. Infatti il PR, sia che lavori internamente che per un´agenzia, deve produrre risultati e cioè fare in modo che il proprio cliente appaia in più magazines possibili, venga indossato (il marchio, n. d. r.) ed

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


esternato a più persone "comuni" possibili: più gente parla del marchio meglio è. Interessanti, a livello giuridico, sono però le agenzie di comunicazione, perchè svolgono le attività di cui sopra per un numero (anche notevole) di clienti. Un esempio è lo studio Karla Otto (www.karlaotto.com), grandissima agenzia di comunicazione, fondata negli anni ´90 dalla tedesca Karla Otto. Attualmente la Karla Otto SRL (così per l´Italia) conta oltre 200 dipendenti fra le sette sedi in giro per il mondo: Milano (dove tutto è incominciato), New York, Londra, Parigi, Los Angeles, Hong Kong e Pechino, con un fatturato, secondo quanto riporta nel 2011 informazioniaziende.it , che si aggira fra i 6 e i 30 milioni di euro. Il portfolio di clienti poi, è davvero notevole con super marchi che vanno da Marni a Berluti per toccare Diane Von Fuerstenberg e giungere a Londra con la giovanissima designer Mary Katrantzou. Quindi, nel mondo della comunicazione di moda e non, ciò che regola i rapporti fra cliente e dipendente è il contratto di agenzia ex art. 1742 c.c. Ma, nel nostro caso, cio che ci interessa è la disciplina del PR in persona e cioè se vi è un codice deontologico o un qualche appiglio normativo per il lavoro del PR.

2.2 Il PR a livello normativo La cosa soprendente, in questo mondo gigantesco e misterioso è che i fautori dell´immagine del ventunesimo secolo non hanno alcuna regolamentazione interna.

Mi spiego. Non esiste, nè in Italia, nè all´estero un Ordine professionale dei PR nè alcun testo normativo che regoli e disciplini il lavoro di questi comunicatori. "Il lavoro del PR non è come un altro, noi - dice in esclusiva per Cammino Diritto.it il PR di orologeria Giancarlo Parolini - abbiamo un rapporto ´fiduciario´ col nostro cliente: ci basiamo sulla consuetudine, sul rapporto non scritto ed agiamo di conseguenza". - Quindi, caro Giancarlo, in questo caso, a chi viene attribuita la colpa per la stessa copertina? - A nessuno, poiché a meno che non vi fosse per qualche magazine un diritto di esclusiva o per il marchio o per quel determinato vestito, cosa che ovviamente il PR in questione avrebbe dovuto rispettare, la colpa non è attribuibile a nessuno. Non solo, a livello redaziononale, la miglior fotografia, quella per esempio da pubblicare in copertina, la sceglie il direttore responsabile della testata insieme al fotografo ed il PR in questione, che ha semplicimente inviato alla redazione il vestito, a meno che non conosca bene il fotografo in questione, non può intervenire sulla scelta. - Concludendo quindi, che possiamo affermare? - Che questo vestito di Prada è stato un successo strabiliante! Autore Ivan Allegrati immagine: Fourpins.com

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

25


La nuova tenuità del fatto affrontata dalla giurisprudenza: il 131 bis al vaglio della magistratura Dopo l’approvazione del D. Lgs. 28/2015, che ha introdotto il nuovo articolo 131-bis c.p., andiamo ora ad analizzare in particolare l’impatto che la norma ha avuto in giurisprudenza. Il D. Lgs. n. 28 del 16 marzo 2015, entrato in vigore il 2 aprile 2015, ha introdotto nell´ordinamento penale nazionale il nuovo istituto giuridico della esclusione della punibilità dovuta alla particolare tenuità del fatto posto in essere (per approfondire, si veda questo articolo), inserendo all´interno del corpo normativo del Codice Penale il nuovo art. 131 bis. L´art. 131-bis nel dettaglio La norma si applica a quegli illeciti penali sanzionati dall´ordinamento con la pena pecuniaria e con la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, sia qualora le due tipologie di pena siano congiunte, sia quando siano previste distintamente. Il giudice, dunque, esclude la punibilità della condotta di reato quando l´offesa è di particolare tenuità, ma nella valutazione è necessario che tenga conto, con l´ausilio dei criteri di commisurazione della pena stabiliti nel comma 1 dell´art. 133 c.p., delle modalità della condotta, dell´esiguità del danno o del pericolo e della non abitualità del comportamento del soggetto agente. Lo stesso art. 131 bis c.p. stabilisce che l´offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, e dunque la punibilità non può ritenersi esclusa, quando l´autore abbia agito per motivi abietti o futili o con crudeltà, anche in danno di animali, oppure abbia adoperato sevizie o abbia approfittato di condizioni di minorata difesa della vittima, che possono derivare anche dall´età della stessa, o, ancora, qualora la condotta dell´agente abbia causato, o da questa siano derivate quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. Riguardo, invece, l´abitualità del comportamento dell´autore, questo non deve essere stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero non deve aver commesso più reati della stessa indole, anche se ogni fatto singolarmente considerato possa essere ritenuto di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate. In parole semplici, la non punibilità richiede che la condotta posta in essere dal soggetto agente sia tipica ed integrante tutti gli elementi costitutivi della fattispecie di reato, che realizzi un´offesa, ma che questa non sia punibile alla luce dei criteri ordinamentali.

26

Tuttavia, l´istituto risulta applicabile anche al delitto tentato, sebbene la norma non ne faccia espressamente riferimento, in ragione del fatto che è possibile ravvisare la particolare tenuità dell´offesa che la consumazione del reato avrebbe potuto determinare, valutando quali effetti si sarebbero realizzati a consumazione avvenuta, e soprattutto tenuto conto, per dottrina e giurisprudenza oramai consolidate, che il tentativo di delitto non è una degradazione della fattispecie di reato prevista dalla parte speciale, ma fattispecie autonoma di illecito penale delittuoso. La posizione della Corte di Cassazione Alla luce del dettato normativo, con sentenza n. 15449 del 2015, i giudici della III sezione penale della Corte di Cassazione non hanno tardato a stabilire le linee interpretative della novella legislativa, precisando che il nuovo istituto ha natura sostanziale ed è, quindi, applicabile nei procedimenti in corso alla data della sua entrata in vigore, a norma dell´art. 2, co. 4, c.p..; hanno ulteriormente osservato che nei giudizi di legittimità già pendenti in data 2 aprile 2015, la questione dell´applicabilità dell´art. 131 bis è rilevabile d´ufficio a norma dell´art. 609, co. 2 c.p.p.. Nel giudizio di legittimità la Corte di Cassazione deve valutare la sussistenza, in astratto, delle condizioni di applicabilità dell´istituto, sulla base dei dati emersi nel corso del giudizio di merito, in particolare tenendo conto di quanto emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, e, in caso di valutazione positiva, deve annullare con rinvio al giudice di merito. La nuova disciplina lambisce quella già esistente nel nostro ordinamento che dà rilievo alla particolare tenuità del fatto nel processo minorile e nel processo dinanzi al Giudice di Pace. Nel primo caso, infatti, se nel corso delle indagini preliminari risulta la particolare tenuità del fatto e la non abitualità del comportamento del minore, il Giudice può pronunciare, su richiesta del Pubblico Ministero, una sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto. Davanti al Giudice di Pace, invece, l´istituto opera quale causa di non procedibilità, rilevando la natura processuale, piuttosto che quella sostanziale del nuovo istituto; infatti l´art. 34 del D. Lgs. 274/2000 stabilisce che il giudice può dichiarare la non procedibilità dell´azione penale per particolare tenuità del fatto, durante le indagini preliminari, qualora la parte offesa non abbia interesse a proseguire il giudizio. Conclusioni

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


A fronte, dunque, delle numerose critiche mediatiche sorte all´indomani della legge delega che prevedeva l´introduzione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, bisogna evidenziare che la norma in esame non opera alcuna depenalizzazione, in quanto è pur sempre rimesso al magistrato, in sede di procedimento giurisdizionale, un apprezzamento, con valutazione caso per caso e in concreto, della non punibilità; infatti, come detto, il nuovo istituto si pone accanto ad altre ipotesi precedentemente previste dal codice penale e dalle leggi speciali, in cui un fatto costituente reato non risulta punibile. Autore Ilaria Ferrara

Convivenza more uxorio: opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare al terzo acquirente Il convivente more uxorio ha diritto all´assegnazione della casa coniugale, nella quale vive con i figli minori, ed il relativo provvedimento è opponibile ai terzi in buona fede che abbiano acquistato dal convivente proprietario alienante. Cresce sempre maggiormente il numero di coppie che decidono di instaurare una convivenza more uxorio in luogo del matrimonio. Proprio perchè tale fenomeno sta assumendo una portata sempre più ampia, non sono mancati interventi sia della Corte Costituzionale che della Corte di Cassazione. Il caso affrontato in questa sede riguarda l´opponibilità a terzi acquirenti del provvedimento di assegnazione della casa coniugale a favore del convivente in presenza di figli minori. Più nello specifico, dalla convivenza tra Tizio e Caia nascevano due figlie e successivamente alla crisi di coppia e, dunque, alla fine della relazione, Tizio decideva di alienare a terzi la casa di sua esclusiva proprietà che però era adibita a residenza familiare. La società acquirente agiva contro Caia non potendo godere dell´immobile in quanto abitato dalla stessa con le figlie minorenni. La controversia finisce per approdare dinanzi alla Suprema Corte la quale,con la sentenza n. 17971/2015, si pronuncia sulla situazione giuridica del convivente riconoscendo allo stesso un potere di fatto sulla casa basato su un interesse proprio ben lontano dalle ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, legittimante un´azione di spoglio nel caso di estromissione violenta o clandestina. La Corte di legittimità, nel pronunciarsi sul caso in questione, si riporta ad una pronuncia della Corte Costituzionale la quale, dichiarando non fondata l´incostituzionalità degli artt.155 c.c. 4deg;comma, e 151 c.c. 1deg;comma, in relazione agli artt. 2, 3, 24 e 30 Cost., ha stabilito che l´assegnazione in godimento della casa familiare al genitore naturale affidatario di un minore o convivente con prole maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, può essere stabilita dal giudice secondo una corretta interpretazione della normativa civilistica esistente, senza necessità di un

intervento caducatorio della Corte. Ciò in quanto, nel caso di specie, deve applicarsi il principio di responsabilità genitoriale, il quale è presente anche nell´ipotesi di cessazione di rapporto di convivenza more uxorio. L´importante riconoscimento effettuato dalla Corte Costituzionale è stato recepito dalla legge n. 54 del 2006 la quale prevede all´articolo 4, comma secondo che l´articolo 155-quater, primo comma, Codice civile ("Assegnazione della casa coniugale") si applichi anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati: ´Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell´interesse dei figli. Dell´assegnazione il Giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l´eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l´assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell´articolo 2643 c.c.. A tal proposito la Corte di Cassazione ricorda le sentenze in materia di comodato (se pur riferite ad un rapporto di coniugio) assimilando, dunque, la famiglia di fatto a quella di diritto, perlomeno in materia di tutela della prole.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

Autore Rosa Ressa

27


Sull'operatività del principio della "compensatio lucri cum damno" in riferimento alle erogazioni previdenziali la parola passa alle Sezioni Unite. Nota a Cass. Sez. III, ord. 05 marzo 2015, n. 4447 sul principio della "compensatio lucri cum damno" in riferimento alle erogazioni previdenziali. Si segnala un recente intervento della Terza Sezione della Corte di Cassazione che ha investito le Sezioni Unite della risoluzione del noto contrasto giurisprudenziale riguardante l´operatività delc.d. principio della ´compensatio lucri cum damno´ in materia di responsabilità da fatto illecito. L´ordinanza di rimessione pone all´evidenza la seguente questione: se dal risarcimento del danno patrimoniale (spettante alla vittima, agli eredi o aventi causa) possa essere detratto quanto già percepito dal danneggiato a vario a titolo (pensione di inabilità o di reversibilità, assegni, equo indennizzo o qualsiasi altra speciale erogazione) che tragga origine dalla morte o dall´invalidità. Muovendo da tale rilievo, si chiede inoltre di valutare se l´assicuratore sociale/ente previdenziale possa o meno esercitare l´azione di surrogazione nei confronti del responsabile civile per la condanna alla rifusione delle somme erogate o erogande a titolo di pensione di reversibilità e di rendita orfani a favore del coniuge e dei figli minori della vittima. A fondamento della prima questione, si sottolinea l´esistenza di due orientamenti contrapposti. Per il primo orientamento, non può essere detratto dal danno risarcibile quanto già percepito dal danneggiato a titolo di pensione di inabilità o di reversibilità, ovvero a titolo di assegni, di equo indennizzo o di qualsiasi altra speciale erogazione connessa alla morte o all´invalidità, trattandosi di attribuzioni che si fondano su un titolo diverso dall´atto illecito, che non hanno finalità risarcitorie (Cass, Sez. III, 30 settembre 2014, n. 20548). A sostegno di ciò, si evidenzia che, in un caso, il danno scaturisce dall´illecito, in altro il diritto all´emolumento previdenziale o assicurativo trova fondamento direttamente nella legge (Cass. Sez. III,10 marzo 2014, n. 5504). Sul piano causale, si aggiunge che il fatto illecito, rispetto a tale diritto, costituisce una mera occasione.

28

Per il secondo orientamento, non è invece possibile cumulare l´eventuale risarcimento del danno con le prestazioni assicurative o previdenziali percepite in conseguenza dell´illecito, in quanto il beneficio erogato dall´assicuratore sociale o dall´ente previdenziale ha proprio lo scopo di attenuare il danno patrimoniale subito dalla vittima (o dai suoi familiari), con ciò elidendosi in parte qua l´esistenza del danno risarcibile (Cass. Sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537). L´indirizzo in parola attribuisce rilievo al principio della ´compensatio lucri cum damno´, in virtù del quale la quantificazione del danno risarcibile deve tener conto degli eventuali vantaggi che il danneggiato ha conseguito e che traggono origine direttamente dal fatto illecito o ne rappresentano conseguenze normali alla luce della comune esperienza. Il principio in oggetto, pur non codificato, trova comunque riconoscimento in alcune fattispecie disciplinate dal legislatore. Si pensi all´art. 1149 c.c. (compensazione tra il diritto alla restituzione dei frutti e l´obbligo di rifondere al possessore le spese per produrli), all´art. 1479 c.c. (compensazione tra minor valore della cosa e rimborso del prezzo, nel caso di vendita di cosa altrui), all´art. 1592 c.c. (compensazione del credito del locatore per i danni alla cosa con il valore dei miglioramenti) e, infine, alla L. 14 gennaio 1994, n. 20, art. 1, comma 1 bis, (compensazione del danno causato dal pubblico impiegato con i vantaggi conseguiti dalla pubblica amministrazione). Da tali disposizioni - e da molte altre analoghe - si desume l´esistenza di un principio generale, secondo cui vantaggi e svantaggi derivati da una medesima condotta possono compensarsi anche se alla produzione di essi hanno concorso, insieme alla condotta umana, altri atti o fatti, ovvero direttamente una previsione di legge. L´orientamento in questione, infine, prendendo in parte le distanze dalla tesi tradizionale della ´compensatio lucri cum damno´, ha inoltre rilevato come il rischio di duplicazioni risarcitorie possa essere scongiurato da una corretta applicazione dell´art. 1223 c.c. che consente di quantificare con esattezza le conseguenze pregiudizievoli dell´illecito, tenendo conto quindi di eventuali emolumenti percepiti. Chiarita la posizione dei due orientamenti contrapposti, è possibile

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


concentrarsi sulla seconda questione sottoposta all´attenzione delle Sezioni Unite: se l´assicuratore sociale/ente previdenziale possa o meno esercitare l´azione di surrogazione nei confronti del responsabile civileper ottenere la condanna alla rifusione delle somme erogate o erogande a titolo di pensione di reversibilità e di rendita orfani in favore del coniuge e dei figli minori della vittima del sinistro.

L´applicazione rigida di tali criteri rende il principio in parola di difficile (se non impossibile) applicazione.

L´adesione al primo orientamento porta ad escludere la proponibilità dell´azione, in quanto il presupposto della pensione e dell´assegno non è il fatto illecito, bensì la previsione di legge secondo cui, in determinate circostanze, scaturisce il diritto a quel determinato tipo di pensione e di assegno di mantenimento.

Autore Alessandro Schillaci

Pertanto, non rientrando tali prestazioni nei danni patrimoniali conseguenti all´evento (illecito), la conseguenza non può che essere l´impossibilità per l´assicuratore sociale/ente previdenziale di surrogarsi nei diritti del danneggiato o degli aventi causa. La soluzione in questione è stata accolta dalla Corte d´appello di Trento la cui sentenza ha formato oggetto di ricorso per cassazione da parte dell´ente previdenziale tedesco che intendeva surrogarsi nei diritti del coniuge e dei figli della vittima del sinistro, avendo a questi accordato prestazioni di natura previdenziale e assistenziale.

Si attende dunque un intervento chiarificatore da parte dei giudici di legittimità nella loro più alta composizione.

Per approfondimenti, si suggerisce la lettura di: R. SAVOIA, Applicabilità del principio della compensatio lucri cum damno nell´ambito delle conseguenze risarcitorie da fatto illecito, spetterà alle Sezioni Unite decidere, in Dir. amp; Giust., 8, 2015, 39. D. CERINI, Danno e risarcimento: coerenze (e incoerenze) nell´applicazione del principio della compensatio lucri cum damno, in Danno e Resp., 2015, 1, 25. M. FERRARI, I nuovi confini della compensatio lucri cum damno, in Contratto e Impr., 2014, 6, 1188. M. FRANZONI, La compensatio lucri cum damno, in Resp. Civ., 2010, 1, 48.

In direzione opposta si pone l´adesione al secondo orientamento che conduce al riconoscimento del principio della ´compensatio lucri cum damno´ e, conseguentemente, consente all´ente previdenziale di esercitare efficacemente l´azione di surrogazione nei diritti risarcitori del danneggiato in riferimento alle somme erogate a titolo di prestazione previdenziale indennitaria. D´altronde, se si supera il rilievo secondo cui l´erogazione previdenziale di natura indennitaria e risarcimento del danno patrimoniale hanno titolo diverso e vanno trattati in modo distinto, si giunge alla conclusione che la prestazione previdenziale, erogata a seguito dell´evento dannoso, rientri comunque nel danno patrimoniale risarcibile e può formare oggetto di azione surrogatoria. La parola va, a questo punto, alle Sezioni Unite che sono chiamate a stabilire se l´ente previdenziale tedesco può surrogarsi nei diritti del coniuge e dei figli minori della vittima, ottenendo dal terzo responsabile del fatto illecito il recupero di tutte le somme erogate a titolo previdenziale. Per la risoluzione del caso, lo si deduce direttamente dall´ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite dovranno tornare ad occuparsi dell´operatività del principio della ´compensatio lucri cum damno´ e dell´affidabilità dei criteri di individuazione ad esso inerenti. Ci si limita, in proposito, a ricordare che secondo la tesi tradizionale, il principio in oggetto opera quando: a) il pregiudizio e l´incremento patrimoniale discendono dallo stesso evento; b) il danno e vantaggio conseguono con rapporto di causalità diretto ed immediato dall´evento; c) le poste compensative hanno la medesima natura giuridica, in relazione alla fonte.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

29


Una nuova figura si affaccia nel mondo forense: l'avvocato specializzato Un recente provvedimento del Governo ha istituito una nuova figura: l’avvocato specializzato. Il professionista potrà approfondire la propria formazione in ben 18 campi, adempiendo diversi obblighi e doveri che andiamo ora ad analizzare Una nuova figura si affaccia nel sempre più caotico mondo forense; l´avvocato specialista. Il professionista forense potrà quindi approfondire la propria formazione in ben 18 campi, elencati dal summenzionato regolamento in questo modo: diritto agrario; diritti reali, di proprietà, delle locazioni e del condominio; diritto dell´ambiente; diritto industriale e delle proprietà intellettuali; diritto commerciale, della concorrenza e societario; diritto successorio; diritto dell´esecuzione forzata; diritto fallimentare e delle procedure concorsuali; diritto bancario e finanziario; diritto tributario, fiscale e doganale; diritto della navigazione e dei trasporti; diritto del lavoro, sindacale, della previdenza e dell´assis/za sociale; diritto dell´Unione europea; diritto internazionale; diritto penale; diritto amministrativo; diritto dell´informatica diritto di famiglia e dei minori Si deve specificare che l´avvocato potrà fregiarsi del titolo di specialista esclusivamente di due delle materie summenzionate; la ratio alla base di tale disposizione è evidente. Si ritiene che il professionista non possa raggiungere un´approfondita formazione, esperienza e specializzazione in più di due di queste materie contemporaneamente; altrimenti non potrebbe dirsi "specializzato". L´avvocato potrà comunque mutare la sua scelta riguardo al campo in cui specializzarsi: potrà difatti richiedere il titolo in un´altra materia rinunciando a uno di quelli già acquisiti. Il regolamento summenzionato ha previsto anche gli adempimenti da rispettare per ottenere il titolo di specialista, che potrà essere rilasciato esclusivamente dal CNF dopo apposita richiesta compiuta dal professionista al proprio Ordine di appartenenza. Per ottenere tale titolo l´avvocato dovrà dimostrare una "comprovata esperienza", testimoniata da un esercizio della professione di almeno 8 anni. Il professionista, negli ultimi 5 anni prima della

30

domanda di specializzazione, deve inoltre dimostrare una rilevante esperienza nel campo in cui richiede il titolo di esperto, comprovata dall´aver lavorato su almeno 15 incarichi professionali annui in tale materia. Il CNF, per verificare i suddetti requisiti, chiamerà il professionista per sottoporlo a un colloquio relativo alle materie in cui vorrebbe specializzarsi, al fine di testarne le effettive competenze. Viene previsto un ulteriore metodo per arrivare all´ambito titolo di esperto, ossia la frequenza di appositi corsi di specializzazione, che dovranno avere almeno durata biennale, con una frequenza minima di 200 ore. Il professionista non potrà assentarsi per più del 20% dell´efettiva durata del corso. Tali corsi saranno tenuti in ambito universitario; sono ancora da stabilire le modalità di tale collaborazione tra mondo forense ed accademico. Per mantenere il titolo frutto di tali fatiche, il professionista dovrà testimoniare al proprio Ordine di appartenenza, a cadenza triennale, gli adempimenti degli obblighi di formazione previsti. Tali obblighi consisteranno anche nella frequenza e nell´effettiva partecipazione a corsi tenuti dal CNF nei vari settori di specializzazione. L´avvocato, al fine di mantenere il titolo in questione, potrà anche testimoniare di aver lavorato annualmente a 15 casi nei propri settori di specializzazione. Vi è anche la denegata possibilità di perdere il titolo di specializzato; ciò accadrà se non verranno correttamente adempiuti gli obblighi di formazione o se il professionista sarà oggetto di una sanzione deontologica diversa dall´avvertimento. Analizzando il regolamento in discussione, specialmente alla luce dell´attuale complicato momento della professione forense, numerosi dubbi possono essere sollevati. In primis, non è specificato se sarà obbligatorio per

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


un avvocato "specializzarsi", e quali siano le eventuali sanzioni in caso di mancata specializzazione. Si dovrà anche osservare se il mercato recepirà, e in quale modo, la figura dell´avvocato specializzato; verrà preferito all´avvocato "generico"? Potrà richiedere prezzi superiori per le proprie competenze? E' anche inevitabile che alcune delle aree di specializzazione siano meno "appetibili" di altre; aluni settori richiedono competenze elevate, ma che potrebbero non essere assai richieste dal mercato, scoraggiando quindi la formazione. E' probabile che i costi per la frequentazione dei corsi previsti saranno difficilmente sostenibili per i giovanni avvocati, alle prese con un mercato competitivo e con i numerosi balzelli e tasse che vengono loro imposte; saranno previste borse di studio? Si dovrà anche osservare come si relazioneranno i due mondi, accademico e forense, per istituire i corsi di specializzazione previsti. Tenendo presente le perplessità testè esaminate, vedremo quali effetive conseguenze avrà questo provvedimento. Autore Mirko Forti

Lo sviluppo dell'anatocismo nell'ordinamento italiano Introdotta nell’ordinamento italiano con l’entrata in vigore del Codice Civile, modificata con favore verso le banche con le Norme Bancarie Unitarie predisposte dalla Associazione Bancaria Italiana (ABI) nel 1952, dapprima vista con favore dalla giurisprudenza di le gittimità per poi essere vittima di interventi atti a censurarne la pratica, protagonista di un giudizio di illegittimità costituzionale riguardante il dies a quo fissato per la ripetizione dell’indebito scaturente dagli interessi applicati nella prassi bancaria, la pratica anatocistica costituisce un classico esempio di vexata quaestio alla quale ancora oggi si stenta dare una risposta definitiva. Il presente articolo vuole rappresentare in modo approfondito, e al contempo schematico, lo sviluppo di uno degli istituti del diritto civile italiano di maggior complessità, ambendo inoltre a fornire un quadro di riferimento per coloro che intendono acquisire una conoscenza tecnica di esso all´interno di un modello che impone un inquadramento temporale dei vari cambiamenti che lo hanno interessato.

del 1804, dell´anatocismo in seguito alla maturazione di un´annualità di interessi, ma subordinandone l´esercizio alla proposizione di domanda giudiziale al riguardo ovvero di pattuizione a posteriori. L´osmosi verso il nostro ordinamento avviene tramite il recepimento di tale regola nel codice civile del 1865, passando prima attraverso una legge del 1857.

Il termine "anatocismo" deriva dal greco, e si compone delle espressioni «anà» (= di nuovo) e «tokòs» (= interessi).

Il codice civile del 1942 introduce la disciplina tuttora di riferimento in materia, all´art. 1283.

Esso sta ad indicare la trasformazione degli interessi in capitale, il quale produce, in quanto tale, a sua volta, interessi ulteriori.

Il summenzionato articolo dispone che "in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi."

Gli interessi in tal modo calcolati, c.d. "composti", si contrappongono agli interessi c.d. "semplici", intesi quale corrispettivo del godimento che il debitore abbia del capitale messo a sua disposizione dal creditore per un determinato periodo di tempo (ad esempio: art. 1815 c.c., applicabile alla disciplina del mutuo). La nostra legislazione perviene all´introduzione della pratica anatocistica attraverso un lungo sviluppo storico, che trova il proprio fulcro nell´introduzione, all´interno del Codice Napoleonico

Tuttavia, dieci anni dopo l´entrata in vigore di tale disposizione, l´Associazione Bancaria Italiana (ABI), prevede in capo agli istituti di credito, all´interno delle Norme Bancaria Unitarie, la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

31


(interessi passivi) con effetto dal 1deg; gennaio 1952. Per gli interessi dovuti al cliente (interessi attivi) la capitalizzazione viene prevista a cadenza annuale. La giurisprudenza cassazionale degli anni ´80 riconosce e ribadisce con più sentenze la legittimità dell´anatocismo nei contratti bancari, stabilendo che "nel campo delle relazioni tra istituti di credito e clienti, in tutte le operazioni di dare ed avere l´anatocismo trova generale applicazione; si è, pertanto, in presenza di un uso normativo, richiamato dall´art. 1283 C.c. e come tale legittimo" (Cass. civ., 15.12.1981, n.6631). All´inizio degli anni ´90 si registra un´inversione di tendenza sul tema della legittimità dell´uso negoziale, dapprima con l´art. 4 della la legge n. 154/1992, poi sostituito dall´art. 117 del Testo Unico Bancario (d.lgs. 1.9.1993, n.385), che al comma sesto dispone: "sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonchè quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati." Il saggio degli interessi legali è oggi infatti determinato dal Ministro del Tesoro, con proprio decreto pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 15 dicembre dell´anno precedente a quello cui il saggio si riferisce, e può modificarne annualmente la misura, sulla base del rendimento medio annuo lordo dei titoli di Stato di durata non superiore a dodici mesi e tenuto conto del tasso d´inflazione registrato nell´anno. Inoltre, qualora entro il 15 dicembre non sia fissata una nuova misura del saggio, questo rimane invariato per l´anno successivo (vedi art. 1284 c.c., comma secondo). Sempre nella cornice degli anni ´90, la Suprema Corte muta radicalmente il suo orientamento, affermando che "la clausola di un contratto bancario che, in difformità dalla disciplina legale di cui all´art. 1283 C.c., prevede la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente è nulla, anche se fa riferimento alle c.d. norme bancarie uniformi predisposte dall´ABI, dal momento che queste costituiscono usi negoziali e non normativi" (Cass, civ., Sez. I, 11.11.1999, n. 12507). L´orientameno così assunto rimarrà costante negli anni a venire (citando solo alcune pronuncie: Cass. civ., Sez. I, 28/03/2002, n. 4498; Cass. civ. Sez. Unite, 04/11/2004, n.21095; Cass. civ., Sez. Unite, 02/12/2010, n. 24418). Il legislatore, con il decreto legislativo n. 341, del 04.08.1999 (c.d. Decreto Salvabanche), modificava l´art. 120 del Testo Unico Bancario, disponendo, al comma secondo dell´articolo in questione, una delega al Comitato Interministeriale per il Credito e il

32

Risparmio (CICR) al fine di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell´esercizio dell´attività bancaria. In capo al CICR era posto l´obbligo di prevedere in ogni caso che nelle operazioni di conto corrente fosse assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori. In tal modo veniva reintrodotta nell´ordinamento la legittimità delle clausole anatocistiche a cadenza trimestrale anzichè semestrale, a patto che vigessero tra l´istituto di credito ed il cliente, delle condizioni di parità per quanto attiene alla periodicità del conteggio. Il CICR emana, dando corso alla delega, la deliberazione del 9 febbraio 2000. Al primo comma dell´art. 2 della delibera viene stabilito che "nel conto corrente l´accredito e l´addebito degli interessi avviene sulla base dei tassi e con le periodicità contrattualmente stabiliti" e che "il saldo periodico produce interessi secondo le stesse modalità." Al comma secondo del medesimo articolo viene reiterato il principio secondo cui "nell´ambito di ogni singolo conto corrente deve essere stabilita la stessaperiodiciti nel conteggio degli interessi creditori e debitori." Più rilevante ai fini della presente trattazione è la previsione, contenuta all´art. 4, che si occupa delle operazioni di raccolta, che dispone quanto segue: "nelle operazioni di raccolta gli interessi maturati alle scadenze periodiche possono produrre interessi secondo le modalità e i criteri contrattualmente stabiliti." All´art. 6 la delibera sancisce un princio di trasparenza nei rapporti contrattuali secondo cui "le clausole relative alla capitalizzazione periodica degli interessi non hanno effetto se non sono specificamente approvate per iscritto." Nelle disposizioni transitorie contenute all´art. 7, viene disposto anzitutto che le condizioni applicate sulla base di contratti antecedenti alla delibera in questione vengano adeguate entro il 30 giugno del 2000 e che i relativi effetti si producano a decorrere dal successivo 1deg;luglio. Dopodichè viene prevista una possibilità di adeguamento in via generale in capo alle banche e agli intermediari finanziari qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, mediante pubblicazione nella G.U; delle nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000. Infine, si dispone al terzo comma, che nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni antecedenti, esse devono essere approvate per iscritto dalla clientela. "L´art.25 del decreto legislativo n.342, stabiliva, inoltre, che le clausole relative alla produzione d´interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera emanata dal CIRC, erano valide ed efficaci fino a tale data e che, successivamente, avrebbero dovuto essere adeguate al disposto della menzionata delibera.

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Tale disposizione legislativa, tuttavia, sarà dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Costituzionale, dopo poco più di un anno dalla sua entrata in vigore, per contrasto con gli art. 3, 24, 76, 77, 101, 102, 104 Cost. (Corte Cost., Ord. n.425 del 17.10.2000)." [1] "Con la sentenza della Corte Costituzionale, è stata dichiarata l´illegittimità del 3 comma dell´art. 25 D. Lgs. 342/99 e conseguentemente è venuto meno il presupposto legittimante l´art. 7 della Delibera CICR 9/2/00, finalizzato a disciplinare i rapporti in essere al momento dell´entrata in vigore della delibera stessa. Né il 2 comma dell´art. 25 conferisce al CICR il potere di prevedere disposizioni di adeguamento, con effetti validanti la sorte delle condizioni contrattuali stipulate anteriormente. Di riflesso, per i rapporti precedenti, si rende necessario che le nuove clausole di capitalizzazione siano oggetto di approvazione scritta del cliente, risultando illegittimo l´adeguamento in via generale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e comunicato per iscritto alla clientela. Per effetto della menzionata pronuncia della Corte Costituzionale, le clausole anatocistiche restano disciplinate, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, dalla normativa anteriormente in vigore. Al riguardo la Cassazione a Sezioni Unite (n. 21095/04) ha avuto modo di precisare: ´in tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della corte costituzionale n. 425/00, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell´art. 76, Cost., l´art. 25, comma terzo, D. Lgs. n. 342/99, il quale aveva fatto salva la validità e l´efficacia - fino all´entrata in vigore della dilibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anotocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successioni delle leggi neltempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell´art. 1283, cod. civ.""[2] Sancita in via definitiva l´illegittimità della prassi che sottoponeva la produzione degli interessi sugli interessi allo scadere del trimestre, la problematica si sposta sulla decorrenza del termine di prescrizione per la ripetizione dell´indebito riguardante le somme adebitate in maniera illegittima dalla banca ovvero versate dal cliente in base alla capitalizzazione trimestrale degli interessi (passivi). In materia interviene, nel 2010, il d.l., n. 225, in cui si stabilisce che "in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l´art. 2359 C.c. ("la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere") si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall´annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell´annotazione stessa" ed "in ogni caso non si fa luogo alla restituzione d´importi già versati alla data d´entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto." La legge di conversione del decreto in questione, n. 10 del 26 febbraio 2011, è stata, nel 2012, oggetto di un giudizio di illegittimità costituzionale, per violazione dei principi di ragionevolezza ed eguaglianza contenuti all´art. 3 Cost. La previsione del decreto-legge successivamente convertito in legge lede, secondo la Corte, il canone generale di ragionevolezza della norme, in quanto interviene sull´art. 2935 c.c. in assenza di una situazione di incertezza oggettiva del dato normativo. Si era infatti

formato in giurisprudenza un orientamento presto consolidatosi e ritenuto legittimo, che aveva individuato nella chiusura del rapporto contrattuale o nel pagamento solutorio il dies a quo per il decorso del termine di prescrizione. La Corte motiva ulteriormente la sua posizione affermando che la ripetizione dell´indebito ex art. 2033 c.c., quindi dell´indebito oggettivo, postula un pagamento che all´interno della logica di funzionamento del rapporto di conto corrente, è ripetibile soltanto dalla chiusura del rapporto, e non dal momento dell´annotazione. Tale interpretazione della norma pone inoltre una situazione di asimmetria contrattuale sul rapporto di conto corrente tra banca e cliente, dal momento che riduce il tempo a disposizione del correntista per fare valere il proprio diritto alla ripetizione della somma. "La legge n. 147 del 27 dicembre 2013 ("Legge di Stabilità 2014") ha modificato il secondo comma dell´art. 120 del TUB conferendo al CICR il compito di stabilire le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni bancarie. In particolare, il testo dell´art. 120, comma 2 del TUB, come modificato, ha conferito al CICR il compito di stabilire le modalità e i criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell´esercizio dell´attività bancaria, prevedendo in ogni caso che "gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale". L´intervento del legislatore era quindi espressamente finalizzato a introdurre il divieto della capitalizzazione degli interessi nell´ambito delle operazioni bancarie."3 Tuttavia, il legislatore ha tentato, con il d.l. n.91, del 24 giugno 2014, di salvare la pratica anatocistica, riaffermandone la legittimità, intervenendo nuovamente sull´art. 120 del Testo Unico Bancario. Tale intervento, immediatamente efficace, non ha però visto la propria conversione in legge, ed è rimasto quindi privo di effetto. La materia pare dunque essere regolata dalla Legge di Stabilità, la quale demanda al CICR il compito di stabilire modalità e criteri per la produzione di interessi. A tale delega non è ancora stata data attuazione, quindi la materia rimane regolata dalla delibera del CICR del 2000, la quale però ammette la pratica anatocistica entro determinati limiti. In questo clima di assoluta incertezza intervengono due ordinanze collegiali del Tribunale di Milano del 25 marzo e del 3 aprile 2015, che accoglie il ricorso di un´associazione dei consumatori che ha agito ai sensi dell´art. 140 del codice del consumo. Il giudice ha ritenuto pienamente operativo il divie-

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

33


to di interessi anatocistici a partire dal 1deg; gennaio 2014 contenuto nella Legge di Stabilità, nonostante non sia ancora intervenuta la delibera del CICR ad esso demandata dalla legge stessa. La stessa inerzia del Comitato interministeriale è il motivo per il quale le banche hanno continuato ad applicare gli interessi anatocistici. Si è dunque in presenza di un´ordinanza inibitoria che vieta alle banche convenute di continuare nel comportamento considerato illegittimo dal giudice. In attesa di ulteriori risvolti della questione analizzata, si può affermare, adottando tutta la cautela necessaria nell´esprimersi su di un caso di tale complessità ed imprevedibilità, che l´orientameno giurisprudenziale attuale sembra voler far proprio un indirizzo di repressione del fenomeno, già osservato in anni passati, come si può chiaramente evincere dalle vicende che hanno dato luogo alla stesura di questo articolo. Se pure è incontrovertibile la perenne tendenza, manifestatasi dagli anni ´90 anni poi, tendente all´applicazione della norma codicistica, anzichè a normative che fanno prevalere in primo luogo l´interesse della banca al lucro, è altrettanto inoppugnabile il dato secondo cui tale pratica viene costantemente fatta salva da interventi di natura legislativa atti a preservarne l´esistenza e a disciplinarne gli effetti. Autore: Francesco Rizzello Note e riferimenti bibliografici [1] Avv. Paolo Frascella, "Anatocismo: Intervento della Corte Costituzionale", da ProfessioneGiustizia.it del 24/04/2012 [2] Dott. Roberto Marcelli, "L´anatocismo dopo la delibera del CICR del 9/2/2000", da LegaleRoma.com del [3] Paolo Bonolis, Partner, Maria Giovanna Pisani, Senior Associate, CMS Adonnino Ascoli amp; Cavasola Scamoni, "L´anatocismo nelle operazioni bancarie: dubbi interpretativi", da Diritto24.IlSole24Ore.com del 06/10/2014

Effetti della sentenza in materia di stupefacenti Cass. Pen. 29316/2015. Il plenum della Corte di Cassazione ridefinisce la nozione di sostanza stupefacente, coerentemente al percorso indicato dalla Corte costituzionale con la sentenza n.32/2014. Droghe leggere vs. Droghe pesanti, il punto della situazione alla luce del nuovo sistema tabellare. "L´approccio al problema delle droghe non deve essere centrato sul prodotto, ma sulle persone e sulle loro relazioni sociali. Duole constatare che la nostra società preferisce emarginare chi diventa vittima delle sue contraddizioni, piuttosto che tentare di rimuoverle" (Henri Margaron, Le stagioni degli dei.) Le Sezioni Unite con la sentenza n. 29316/2015 del 9 luglio (ricorrente Costanzo, relatore Blaiotta) intervengono nel campo della normativa in materia di stupefacenti, recentemente riformata a seguito della presa di posizione della Corte costituzionale che con lasentenza n.32/2014ha messo in cantina l´intero impianto della c.d.Fini-Giovanardiin tema di distinzione (o meglio, mancata distinzione) tra droghe leggere e droghe pesanti. Pronuncia seguita dall´intervento del Governo che ha cercato di fare chiarezza con ild.l. 20 marzo 2014 n.36, convertito con modificazioni nellal. 16 marzo 2014 n.79. Preliminarmente alle considerazioni circa la sentenza della Corte di Cassazione, non può non tracciarsi un seppur sintetico quadro di fatto e di diritto atto ad inquadrare i tratti salienti dell´attuale disciplina in tema di stupefacenti. 1. Corte Costituzionale n.32/2014 Tale pronuncia costituisce la base di partenza per procedere ad un corretto inquadramento dell´intero apparato normativo vigente concernente la disciplina dei reati connessi alle sostanze stupefacenti e psicotrope. Dichiarandol´illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del d.lgs. n. 272/2005, convertito con modificazioni nella legge n. 49/2006, la Corte prende posizione sulla legittimità dell´intervento normativo del Legislatore del tempo, che con lac.d. Fini-Giovanardiequiparava droghe leggere e pesanti prevedendo i medesimi regimi sanzionatori. Il decisum della Corte viene motivato dall´avvenutaviolazione dell´art. 76 Cost.(´L´esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti

34

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


definiti´), tali norme vengono infatti inserite con modificazioni nel corso dell´iter di conversione del decreto 272/2005 in legge n. 49/2006, risultando estranee alla finalità e all´oggetto del decreto legge originario (il cui oggetto era limitato alle disposizioni relative al regolare svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino del 2006). La Corte ha difatti ritenuto chele norme impugnate, introdotte in sede di conversione del decreto-legge,difettino manifestamente di connessione logico-funzionale con le originarie disposizioni del decreto-legge, e debbano per tale assorbente ragione ritenersi adottate in carenza dei presupposti per il legittimo esercizio del potere legislativo di conversione ai sensi dell´art.77, secondo comma Cost.Alla illegittimità costituzionale della novella del 2006 conseguirebbe lacaducazione del sistema tabellare previsto dalla Fini-Giovanardiche classificava le sostanze stupefacenti e psicotrope in due sole tabelle, di cui una era rivolta specificatamente ai medicinali con effetto drogante, lasciando ad un´unica tabella l´elenco delle sostanze stupefacenti.

prevede un regime sanzionatorio di favore nell´ambito di una valutazione giudiziale concreta circa il fatto:che, per i mezzi, la modalità, o le circostanze dell´azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, prevedendole pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 3.000 a 26.000",riprendendo le considerazioni di una schiera della giurisprudenza che già considerava la lieve entità come una circostanza attenuante (Cass. pen., Sez. Un., 31 maggio 1991, n. 9148; Cass.pen., Sez. Un., 24 giugno 2010, n.35737).

La caducazione ha comportato il ritorno alla normativa antecedente la Fini-Giovanardi, quella contenuta neld.P.R. n. 309/1990, la c.d. Legge Jervolino-Vassalli,che per quanto riguarda i reati aventi ad oggetto droghe leggere è più mite sui profili sanzionatori e prescrizionali (per tali illeciti la pena è della reclusione da due a sei anni e della multa, in sostituzione della pena da sei a venti anni, e multa, come previsto dalla novella del 2006) rispetto a quello relativo alle droghe pesanti che è invece sorretto da sanzioni più severe (la pena della reclusione da otto a venti anni, anziché con quella da sei a venti anni).

Laquaestiogiuridica poggia sullasorte dei provvedimenti amministrativi adottati in applicazione della disciplina incostituzionale, che in teoria avrebbero dovuto seguire la caducazione della disciplina del 2006.L´ambito è quello della successione di leggi integratici di elementi normativi della fattispecie criminosa. Testualmente la pronunzia ha evocatoi conseguenti problemi di diritto intertemporale afferenti alla necessità di applicare il trattamento sanzionatorio più favorevole, in aderenza ai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo.

La Corte costituzionale ha poi rimarcato lareviviscenzaex tuncdella Jervolino-Vassalli, mai realmente abrogata dal Legislatore del 2006, passando la palla al giudice ordinario nell´individuazione in concreto del trattamento sanzionatorio più favorevole, in ossequio al principio delfavor libertatise del principio di successione di leggi penali nel tempo contenuto nell´art.2 del c.p. 2. D.l. 20 marzo 2014 n.36, (convertito con modificazioni nellal. 16 marzo 2014 n.79) L´intervento del Legislatore del 2014 ha avuto come fine quello di restituire una certa coerenza al sistema, non potendo limitarsi ad un recupero unitario della Jervolino-Vassalli a seguito della perentoria pronuncia costituzionale, in quanto occorreva ripristinare l´efficacia dei diversi provvedimenti amministrativi emanati ad integrazione dei precetti penali caducati. Viene riordinato il sistema tabellare, attualmentecomposto da 5 tabelle, di cui una riservata esclusivamente ai medicinali, inserendo le sostanze classificate nell´elenco dei principi attivi e dei preparati illeciti per effetto di decreti adottati in pendenza della disciplina caducata. Rispettivamente: la prima e la terza tabella raggruppano le droghe pesanti, la seconda e la quarta quelle leggere.Si afferma così unanozione legale di stupefacente, che impone un´elencazione tassativa delle sostanze in appositi elenchi che ne vietano la circolazione. Viene inoltre introdotto l´istituto del c.d.spaccio di lieve entitàche

Alla luce di queste considerazioni la sentenza n.29316 della Suprema Corte interviene per comporre un contrasto giurisprudenziale che già da tempo si registrava nelle aule di tribunale.

La definizione legislativa di stupefacente checonfigura una qualificazione proveniente da fonte subprimaria integratrice del disposto penale,ha portato la Cassazione a stabilire che:l´utilizzazione di una sostanza contenente principi stupefacenti, ma non non iserita nella tabella,non costituisce reato prima del suo formale inserimento nel catalogo, riprendendo la Sentenza della Sez.IV, n. 27771 del 14/04/2011.La continuità della rilvanza penale in relazione a quelle sostanze introdotte successivamente al d.l. 272/2005 costituisce l´oggetto della pronuncia della Cassazione. I due indirizzi, mediati dalla Suprema Corte, sono: a)Indirizzo sostanzialistico: doveriscontriamo una posizione giurisprudenziale restrittiva, che, relativamente all´ultrattività degli atti amministrativi integratori del precetto penale, ne stabilisce la loro sopravvivenza anche dinnanzi alla caduta delle norme di precetto penale che le sorreggevano. Si poggia l´ultrattività dei decreti ministeriali sulla coerenza con le linee essenziali della legge. La tesi fa leva sull´art. 2 del d.l. n.36/2014 che avrebbe introdotto una deroga al principio della retroattività delle modifichein meliusin ossequio al principio generale delfavor rei, prevedendo di fatto,

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

35


l´efficacia ultrattiva intregratori.

degli

atti

ministeriali

b)Indirizzo dell´abolitio criminis:secondo cui l´intervento demolitorio della Corte Costituzionale avrebbe comportato l´automatica caduta anche degli atti ministeriali integrativi del precetto penale valutato incostituzionale. La disciplina applicabile è quella dell´art.2, comma 2 del codice penale, che impone la distinzione a seconda chel´elemento normativo in questione sia o non sia in grado di incidere sulla portata e sul disvalore astratto della fattispecie incriminatrice, condizionandone l´ampiezza con riferimento sia alla descrizione del tipo di reato, sia ai soggetti attivi(FIANDACAMUSCO, Diritto Penale parte generale sesta edizione, 2009, Zanichelli editore, Bologna). In presenza di una norma parzialmente in bianco, come quella che definisce la nozione legale di stupefacente, l´integrazione del precetto penale non può non operare nel rispetto del principio di riserva di legge ex art. 25 Cost. La seconda tesi è quella seguita dalla Cassazione che, rigettando la soluzione d´impronta sostanzialistica in quanto contrastante con il principio di legalità, ha stabilito l´avvenutaabolitio criminisdel reato di cui all´art. 73 commi 1 e 1bislett. b) d.P.R. n. 309/1990 in riferimento alla commercializzazione e alla detenzione illecita di medicinali contenenti, nella causa in esame il nandrolone, inserito nel 2010 nella tabella II dei medicinali allegati al TU. Il principio di diritto consegnatoci dal Plenum è: "A seguito della dichiarazione d´incostituzionalità degli artt. 4-bis e 4-vicies-ter del decreto legge n.272 del 2005, come modificato dalla legge n.49 del 2006, pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza n.32 del 2014,deve escludersi la rilevanza penale delle condotte, che poste in essere a partire dall´entrata in vigore di detta legge e fino all´entrata in vigore del decreto.legge n.36 del 2014, abbiano avuto ad oggetto sostanze stupefacenti incluse nelle tabelle solo successivamente all´entrata in vigore del d.P.R. n. 309 del 1990 nel testo novellato dalla richiamata legge n.49 del 2006."

reati riguardanti le droghe leggere, stabilendo che:successivamente a una sentenza irrevocabile di condanna, la dichiarazione d´illegittimità costituzionale di una norma penale diversa dalla norma incriminatrice, idonea a mitigare il trattamento sanzionatorio, comporta la rideterminazione della pena, che non sia stata interamente espiata, da parte del giudice dell´esecuzione. In ultimo, si scorge nell´intero testo della sentenza della Suprema Corte, un esplicito invito al Legislatore ad esprimersi con un intervento chiarificatore sull´intero impianto dell´attuale TU degli stupefacenti. Le parole degli ermellini, risultano a ben vedere più esplicite di ogni possibile commento: "Tentare di comprendere il senso della nuova normazione è impresa difficile. Si tenta il limite della vocazione all´interpretazione delle Sezioni Unite. L´intricato sovrapporsi di norme, di cui non si è conseguito il completo coordinamento, determina una situazione lontana dall´ideale di chiarezza del precetto penale e del suo corredo sanzionatorio, attorno al quale si intrecciano i principi fondanti dell´ordinamento penale su base costituzionale e convenzionale: legalità, determinatezza, tassatività, prevedibilità, accessibilità, colpevolezza. In tale situazione occorre addentrarsi nei testi normativi per cercare di cogliervi un´univoca indicazione di senso". "Univoca indicazione di senso"che sembra ancora lontana, basti pensare per esempio all´art.14, n. 7) del TU in materia di stupefacenti che determina i criteri per la formazione delle tabelle. Testualmente si tiene conto per i criteri relativi alla tabella I di:7)ogni altra pianta o sostanza naturale o sintetica che possa provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensorialie tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale; L´elevato tasso di generalità del criterio, potrebbe portare paradossalmente alla messa al bando di erbe come la salvia, la valeriana, che da sempre fanno bella vista sui nostri balconi, in quanto sono scientificamente noti gli effetti di abusi di dette sostanze sul sistema nervoso centrale e periferico. Poi ci sarebbe una proposta di legge calendarizzata in Parlamento sulla legalizzazione e commercializzazione della marujiana, ma questo è un altro discorso...

Connesso è il profilo di esecuzione penale, in relazione allalegalità della pena in sede esecutivain ordine alle condotte poste in essere nel periodo di vigenza della Fini-Giovanardi e delle relative tabelle fondate sulla non-distinzione tra droghe pesanti e droghe leggere. La Cassazione optando per la tesi dell´abolitio criminisrafforza la precedente pronuncia della sez. I, 22 dicembre 2014 n. 53793, che già aveva stabilito la rideterminazione in sede esecutiva delle pene per

36

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015

Autore Mario Panzarella


Proprietà collettiva e beni comuni: alla ricerca di un modello proprietario “personalista” Il sistema proprietario che il codice civile ci offre è davvero conforme ai principi fondamentali della nostra Costituzione? Può esistere un terzo modello proprietario oltre al tradizionale binomio pubblico - privato? Riattribuendo alla proprietà collettiva il giusto valore che ha da sempre assunto nella storia del diritto sembra che un altro modo di possedere può esistere: la teoria dei beni comuni collega la proprietà all´esercizio dei diritti fondamentali e riporta al centro del diritto l´essenzialità dell´essere rispetto all´avere, la persona ed il costituzionalismo dei bisogni. Il progetto di riforma della Commissione Rodotà ne è l´esempio principale che, per tramutarsi in realtà, attende un legislatore coraggioso ed innovatore. A quando questa rivoluzione giuridica? Indice: 1. Considerazioni introduttive. 2. Proprietà collettiva e beni comuni. 3. Percorsi storici della proprietà collettiva. 4. Il comune che resiste: gli ´usi civici´. 5. La dicotomia pubblico/comune nella società globalizzata. 6. La riforma proprietaria nel cassetto: la proposta della Commissione Rodotà. 7. Conclusioni.

1. CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE ´Bisogna sporgersi dall´altra parte ogni volta che ci si accorge che il suono della moneta che si sta usando è divenuto falso´[1]. L´attuale sistema proprietario, basato sul binomio pubblico e privato, sembra essere divenuto incapace di assicurare il benessere dei cittadini, di garantire l´attuazione piena del principio di solidarietà. Sembra non riuscire ad attuare quei principi costituzionali che ancora oggi rappresentano probabilmente la massima espressione legislativa dell´esperienza repubblicana. Il faro del diritto. Questo sistema proprietario che, scindendo la condizione dell´avere da quella dell´essere, divide e non unisce, crea disuguaglianza. E' risaputo, inoltre, che l´attuale tassonomia proprietaria pubblica - quella che distingue i beni in demanio (necessario e accidentale) e patrimonio (disponibile e indisponibile) - ha creato non pochi problemi anche alla giurisprudenza, stante la sua configurazione confusionaria e poco chiara, incapace di delineare una funzione economico-sociale del bene preso in considerazione, disancorandosi fortemente dalla dimensione personalista che la Costituzione invece prevede e valorizza. Nel binomio pubblico/privato, la privatizzazione segna oggi il contesto in cui viviamo, rompendo il filo di continuità con quella speranza affidata da tempo alla nozione di Stato sociale. La politi-

ca del ´capitale´ prevale rispetto alla filosofia keynesiana dell´intervento pubblico. ´La privatizzazione ha distrutto Keynes e cambiato il mondo´[2]. Di contro, col declino del modello keynesiano, si instaura comunque tra le pieghe di un capitalismo sfrenato, il dirompente pensiero ecologista che si concretizza, nella scienza economica, nel concetto di ´sostenibilità´. Un sistema economico è sostenibile se non consuma più risorse di quante ne possa rigenerare, improntato alla ricerca della sufficienza e non del massimo profitto. A ben guardare, però, anche il concetto di sostenibilità è stato fagocitato dall´ ´estetica dell´etica´ che contraddistingue la politica economica e finanziaria mondiale, svilendolo e mortificandolo al punto da risultare una semplice formula di circostanza, capace di far tutti felici e contenti. ´Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l´assillo dei riequilibri contabili´ per dirla con le parole di Federico Caffè. Da qui nasce l´esigenza di contribuire a ´personalizzare´ (nel senso di rendere conforme ai diritti della persona) il modello proprietario, relegato nella classica suddivisione codicistica improntata al binomio

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

37


pubblico - privato. Si può, o forse si deve, considerare, invece, un modello proprietario evoluto, ecologico, ecosostenibile, solidale, partecipativo, democratico, personalistico e culturale, incrocio tra pubblico e privato, attuativo del nuovo principio di sussidiarietà orizzontale: questo modello proprietario è ipotizzabile in relazione a una rivitalizzazione della proprietà collettiva, madre di quelli che la dottrina più recente e capeggiata da illustri giuristi (su tutti Rodotà) chiama ´beni comuni´. A scanso di equivoci bisogna altresì operare una doverosa premessa: i ´beni comuni´ non sono il bene comune, inteso quest´ultimo come una concezione armonica e unitaria della società, dei suoi fini ultimi, dei suoi interessi, della convivenza. I beni comuni, rappresentano, invece, quei beni (materiali e immateriali) attraverso i quali - mediante il raccordo e l´attuazione dei principi costituzionali - si soddisfano i bisogni della persona costituzionalizzata, si garantisce l´esercizio dei suoi diritti fondamentali.

2. PROPRIETA´ COLLETTIVA E BENI COMUNI Il sistema proprietario, nella visione codicistica tradizionale, tende a svilupparsi in un´accezione binaria: da un lato la proprietà pubblica, dall´altro la proprietà privata. Ciò che invece la dottrina più attenta vuol mettere in evidenza è la possibilità di far ri-emergere tra gli ingombranti monoliti proprietari pubblici e privati, una terza via, quella che Carlo Cattaneo definisce ´un nuovo modo di possedere´[3] ossia la proprietà collettiva. ´La proprietà collettiva non è mai solo uno strumento giuridico, né mai solo uno strumento economico; è qualcosa di più, ha bisogno di attingere a un mondo di valori, di radicarsi in un modo di sentire, concepire, attuare la vita associata e il rapporto tra uomo e natura cosmica´[4]. E' proprio il giurista Paolo Grossi ad aver posto sapientemente l´attenzione sul tentativo del legislatore statale di rimuovere gli assetti comunitari tradizionali tra cui soprattutto ogni forma collettiva di uso della terra, per renderla appropriabile privatamente o porla sotto il controllo dello Stato. Solo negli ultimi anni, con l´emergenza territoriale di alcune aree boschive e montane, si è riscoperto il ruolo fondamentale che la gestione comunitaria ricopriva per l´equilibrio ambientale. Nell´Italia Meridionale, ad esempio, i commons si traducevano nel ´demanio comunale´ (simile agli ´usi civici´), che assicurava una eccellente gestione ecologica delle risorse naturali. Di conseguenza, la successiva abolizione ha contribuito a determinare un grave dissesto idrogeologico dell´area.

38

´La riduzione delle terre comuni attivava, dunque, un processo di forte dissipazione e distruzione delle risorse naturali´[5]. E', però, dal 1995 che lo IASCP inizia a rivolgere l´attenzione ai ´new commons´: essi fanno riferimento ai commons non facilmente inquadrabili in categorie predefinite. La nozione di bene comune perciò si amplia e diviene generica. In un bene comune, la risorsa può essere piccola e servire a un gruppo ristretto (il frigorifero di famiglia), può prestarsi all´utilizzo di una comunità (i marciapiedi, i parchi giochi, le biblioteche, ecc) oppure può estendersi a livello internazionale o globale ( i fondali marini, l´atmosfera, Internet e la conoscenza scientifica). I beni comuni possono essere ben delimitati ( un parco pubblico o una scuola), possono attraversare confini e frontiere (il Danubio, gli animali che migrano, Internet) oppure possono essere privi di confini delimitati (la conoscenza, lo strato di ozono)[6]. Il nuovo paradigma di bene comune può far proprie alcune caratteristiche: - scetticismo rispetto all´idea che una qualsiasi risorsa sia meglio gestita con rigidi diritti di proprietà e scambi commerciali (basti pensare alla condivisione peer to peer, l´open source ecc.); - preoccupazione rispetto alla possibilità di essere ´mangiati dal mercato´. In altri termini, i beni comuni ci parlano oggi dell´inalienabilità di alcune risorse e della necessità di ascoltare e proteggere gli interessi e la volontà delle comunità di riferimento. Essi sono in grado di esprimere sia la volontà di battersi contro le nuove ´recinzioni´, sia la necessità di una partecipazione informata ai processi decisionali da parte delle comunità. I nuovi beni comuni sono l´emblema anche delle nuove battaglie di libertà e di eguaglianza. I beni comuni sono invocati anche per sostenere alcune tesi politiche. Parlare delle frequenze radiotelevisive, di Internet, delle riserve naturali, della letteratura scientifica come di beni comuni significa di fatto sostenere che queste risorse appartengono al popolo di una nazione ( o a distinte comunità d´interesse), e che quindi il popolo dovrebbe avere l´autorità legale per controllare quelle risorse. Parlare dei beni comuni significa dire che i cittadini ( o le comunità di utenti) sono i soggetti primari, al di sopra e prima degli investitori, e che questi interessi di comunità non sono necessariamente in vendita[7]. Ma essi sono una novità giuridica oppure una rievocazione del passato? A ben vedere i beni comuni non sono una mera scoperta giuridica: rappresentano invece una ri-scoperta. La discussione giuridica e civile è divenuta particolarmente effervescente soprattutto dal referendum sull´acqua pubblica del giugno 2011, tuttavia, come sostiene Rodotà, l´accento sui beni comuni sembra essere più un cambio di paradigma che una scoperta giuridica[8]. La specialità della relazione istituita dai beni comuni risiede, perciò, nell´idoneità dei beni comuni, storicamente accertata attraverso il raccordo con i diritto fondamentali, a soddisfare i bisogni della persona costituzionalizzata. La modernità del concetto di «beni comuni» sta proprio in questo intreccio tra beni comuni e diritti fondamentali, capace di produrre poteri personali e determinare precondizioni necessarie per l´effettiva partecipazione al

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


processo democratico. Il comune riflette la via di mezzo tra Stato ed individuo, tra proprietà pubblica e privata, necessariamente collegabile alla dimensione storica della proprietà collettiva. 3. PERCORSI STORICI DELLA PROPRIETA´ COLLETTIVA Il discorso sui beni comuni non può prescindere dalla scoperta delle sue radici storiche. E, sintetizzando il problema, non si può parlare di diritti di ogni uomo se non si tiene presente il necessario «vivere in comunità» dell´uomo stesso. Il concetto di res communes omniun (beni comuni a tutti) era già caro ai giuristi romani. Per Elio Marciano, il fondamento di questa categoria giuridica è dato da una qualificazione negativa e cioè dal non poter impedire ad alcuno l´uso di tali beni (acqua, aria, mare) a differenza, invece, dei beni pubblici (res publicae) che, pur non appartenendo al patrimonio di qualcuno, sono imputabili all´universalità dei cittadini. Diverse ancora erano poi le res nullius, ossia le cose che sebbene non appartenevano a nessuno, potevano ricadere potenzialmente (mediante occupazione ad esempio) nella proprietà di qualcuno. Fu però con lo sviluppo di Roma che si cominciò ad instaurare il rapporto di appartenenza del territorio al popolo, e cioè di una «proprietà collettiva», che è insita nella «somma dei poteri sovrani» spettanti al popolo[9]. In tale contesto sorge quindi la «comunità politica» nella quale il territorio appartiene al popolo. Non c´è dubbio quindi, che la prima forma di appartenenza fu la «proprietà collettiva», mentre è sbagliato parlare di «proprietà privata» come proprietà romana. Inoltre, la «proprietà collettiva» implica non il potere di disporre del bene, ma solo la facoltà di un suo «uso» corretto e condiviso in modo pari con tutti gli altri consociati, al fine di «conservare» il bene stesso per la presente e le future generazioni. Al contrario, la «proprietà privata» comporta la sottrazione a tutti di una parte del territorio per cederlo a un singolo con la facoltà di «alienarlo» ad altri o di «goderne» in modo «pieno» (fino alla distruzione della cosa) ed «esclusivo», cioè escludendo da questo godimento tutti gli altri consociati[10]. In questo senso può essere inteso come un diritto lesivo dei diritti collettivi di tutti i consociati alla conservazione del «territorio». Dal precedente storico poco considerato della «proprietà collettiva romana» si può poi passare a quella che è la forma di proprietà collettiva medievale, molto significativa in Europa. La frammentarietà statualistica medievale, unita al particolarismo giuridico delle fonti e all´assenza del principio della territorialità a tutto vantaggio di quello della personalità,

creava un diritto prodotto ed applicato per così dire ´dal sotto in su´. Fu proprio contro questo pluralismo che si scontrò per secoli la pretesa assolutistica dei nuovi sovrani statuali, interessati a far rivivere un concetto di sovranità politica coincidente con il monopolio dall´alto sulla produzione del diritto. L´asserzione della sovranità politica ´dall´alto in basso´, con il relativo monopolio del diritto, fu un processo politico di importanza epocale, caratterizzato sempre - indipendentemente dai suoi esiti - da un´impressionante dose di violenza nei confronti di quanti resistevano per difendere l´ordine antico[11] . Occorre altresì riconoscere, tuttavia, che la resistenza maggiore alla modernizzazione e all´assolutismo statuale fu condotta ( ed ancora oggi si conduce in alcune parti del globo) proprio in difesa di quei beni comuni che nell´ordinamento giuridico medievale costituivano oltre che una base di forte sostentamento di contadini ed artigiani, anche un sistema politico partecipato e legittimo di autogoverno. Il territorio medievale nel quale si realizzava il sistema proprietario era costituito da un insieme di beni comuni funzionali tanto all´esistenza umana quanto alla sua riproduzione: il bosco, i fiumi, i torrenti, la città che offriva protezione con le cinte murarie, le chiese. Engels descrive, a tal proposito, l´efficiente struttura agricola comunitaria delle tribù germaniche (la Marca tedesca) in cui il contadino coltiva la terra assegnatagli insieme agli altri assegnatari e ha esclusivo diritto al primo raccolto per la stagione in cui la terra spetta al suo gruppo. Ma chiunque, sempre, dopo la trebbiatura può entrare nel campo a spigolare, proprio come chiunque può accedere al bosco per trarne sostentamento. L´«avere» in comune non era distinguibile dall´«essere» in comune[12]. Il contadino in questo modo instaura un rapporto ecologico con la comunità in cui vive. ´Far rivivere il comune significa quindi rivalutare l´intelletto generale, ucciso dalla modernità e dalla logica dell´accumulo. Una necessità oggi drammatica per la stessa esistenza del nostro pianeta´ afferma il giurista Ugo Mattei. Tuttavia, il benevolo modello di proprietà collettiva è ben presto destinato ad essere fagocitato dal nuovo sistema proprietario che assume come meta moderna il paradigma della proprietà individuale: le esperienze storiche che confermano ciò sono le «enclosures» inglesi e la «conquista» del nuovo mondo.

La più grande opera di recinzione dei beni comuni, in Europa, si svolge in Inghilterra, ossia nel Paese che agli albori della modernità aveva raggiunto il più alto tasso di centralizzazione statuale in Europa[13]. E, proprio le enclosures inglesi costituiscono l´effetto più forte del binomio anticommons Stato-proprietà privata. E´ risaputo che la Magna Charta del 1215 costituisce, secondo l´opinione degli studiosi, il primo documento costituzionale dell´Occidente perché di fatto poneva dei limiti al governo del re e alle prerogative assolutistiche della Corona, positivizzando un primo nucleo di diritti e di garanzie a tutela della libertà dei sudditi. Molto meno famoso è, invece, il documento che la integrò a partire dal 1255, noto come Charter of the forest, che garantiva i beni comuni di quella parte dei sudditi[14] di sua maestà (la stragrande

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

39


maggioranza) che non godeva di ricchezza e di proprietà privata. La Charter garantiva al popolo l´accesso libero alle foreste e all´uso dei beni comuni in esse contenuti (legname, frutta, selvaggina, acqua ecc.) contro le pretese di chiunque, sovrano incluso, di riservarle a se stesso per la cacciagione e lo svago. Questa precoce testimonianza dell´importanza dei beni comuni, che li collocava sullo stesso piano costituzionale della proprietà privata in uno dei più antichi e prestigiosi documenti fondativi della tradizione giuridica occidentale, non solo è oggi dimenticata, ma la garanzia costituzionale dei commons è stata probabilmente la disposizione di un testo costituzionale più disattesa della storia[15]. Eppure il diritto al godimento in comune da parte degli uomini liberi dei territori rurali, dimostra come già nel Duecento in Inghilterra fosse assolutamente radicata l´idea di una «terza dimensione» proprietaria. Del resto, attribuire valore normativo alla sola Magna Charta, trascurando invece quello della Charter of Forest significa rifiutare la categoria del «comune» all´interno del dibattito costituzionalistico Dalla disamina storica in questione si può comprendere come i protagonisti della realtà politica pre - recinzioni fossero tre : il sovrano, considerato il proprietario «eminente» di tutto il territorio nazionale; i signori, a tutti gli effetti grandi proprietari privati; i commoners, ossia gli utilizzatori di quelli che erano beni comuni. Tre modelli di proprietà perfettamente in sintonia: proprietà pubblica, proprietà privata, beni comuni. Dopo la violenta introduzione delle enclosures, invece, i modelli proprietari rimasero per sempre due, ossia quello dello Stato sovrano e quello della proprietà privata. Per il liberalismo costituzionale lo Stato rappresenta il pubblico, mentre la proprietà, paradigma del privato, è fondativi del ´mercato´. Probabilmente, riconoscere il valore costituzionale al diritto dei beni comuni, così come delineato dalla Charter of Forest, risultava difficilmente accettabile dalla dottrina liberale che vedeva nella libertà e nella proprietà privata individuale le basi della società civile borghese. ´Proprietà privata e sovranità statuale sono cioè figlie di una logica economica che emarginando il comune cancella la logica ecologica e umilia l´intelligenza generale, producendo soltanto pensiero unico: la logica implacabile dell´accumulo del capitale´[16]. Le enclosures diventano l´archeotipo delle privatizzazioni: i contadini venivano cacciati dai campi, le foreste furono chiuse, la spigolatura vietata. La raccolta di legna e di frutti furono punite come furto. La fine del mondo contadino contribuisce così a formare una vasta riserva di manodopera a basso costo, che favorirà la rivoluzione industriale. La politica coloniale nel Nuovo mondo, la conquista

40

ed il saccheggio delle Americhe, garantirà poi il carburante necessario a tale rivoluzione ed il decollo del capitalismo occidentale, totalmente fondato sulla privatizzazione. Per Locke e molti altri, gli indiani, non conoscendo la proprietà privata, dimostrano di essere selvaggi ed è perciò nel loro stesso interesse che si compie la conquista. La metafora del comune come luogo del disordine per eccellenza, sottoposto alla brutalità e all´egoismo dell´uomo, diventa la narrativa dominante da Hobbes fino ad Hardin. Il territorio indiano, bene comune degli indigeni, viene così qualificato giuridicamente terra nullius e, in quanto tale, liberamente occupabile secondo il diritto di natura. Lo sterminio ed il saccheggio che seguirono alla mercificazione di beni comuni altrui trovarono nei padri fondatori del liberalismo non solo gli apologeti ma anche gli istigatori, in nome di quella ossessiva produttività economica che ancora oggi assilla il nostro diritto.

4. IL COMUNE CHE RESISTE: ´GLI USI CIVICI´ In Italia, quelle che il giurista Giacomo Venezian chiamò le ´reliquie della proprietà collettiva´ (1887) sono ancora ben presenti, nonostante i ripetuti tentativi di cancellarle. Questi residui storici di proprietà collettiva sono gli usi civici. Da un censimento Istat dell´agricoltura (2010) le sole terre di uso civico date in gestione a enti ad hoc sono oltre un milione di ettari. Gli usi civici sono diritti perpetui spettanti ai singoli membri di una collettività (comune, associazione) come tali, su beni appartenenti al demanio, o a un comune, o a un privato. Si parla di uso perché il diritto in esame si manifesta in attività relative al godimento del bene, mentre l´aggettivo civico indica che tale godimento spetta ai componenti della collettività di riferimento, in quanto cittadini. La materia è oggi regolata dalla legge n.1766 del 16.6.1927 che indica due tipologie di diritti di uso civico: i diritti di uso e di godimento su terre di proprietà privata e quelli su terre di proprietà collettiva (demanio civico). Mentre i primi sono soggetti a liquidazioni mediante risarcimento in denaro o in terra a favore della comunità, i secondo sono stati fortemente valorizzati e sottoposti alla normativa di tutela dell´ambiente e del paesaggio, prevedendosi oltre all´eventuale diritti di enfiteusi anche la possibilità per i singoli membri della comunità di riscattarle. Il contenuto di questi diritti è assai vario (di qui anche la varietà delle denominazioni): facoltà di pascolo, di alpeggio, di far legna, di raccoglier fronde o erba, di spigolare, perfino di seminare. L´attualità di essi è evidenziata dalle tante tipologie esistenti risultanti dall´indagine empirica: le partecipanze in Emilia, le comunanze agrarie nelle Marche e in Umbria, le consorterie valdostane, le magnifiche comunità quella di Fiemme, le interessanze del Trentino. Proprietà comune, uso condiviso e auto-organizzazione sono caratteristiche abituali di queste comunità, dove la costanza delle consuetudini, spesso tramandatesi oralmente, è più forte di ogni norma scritta[17]. Si tratta di una gestione partecipata da parte di tutti coloro che usufruiscono del bene, che si pone l´esigenza di garantirlo anche alle future generazioni, attivando una capacità di salvaguardia ed estendibilità del bene stesso, senza che sulle terre sottoposte ai vincoli degli usi civici vi sia un controllo pubblico o privato che sia, in definitiva un diverso concetto di proprietà[18].

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


La forma di proprietà collettiva degli usi civici è fondamentale per comprendere il concetto di beni comuni. Ci permette di mettere in luce come un´altra forma di proprietà possa coesistere e convivere con quelle già esistenti: la proprietà pubblica e la proprietà privata. In un contesto di globalizzazione economica dominata da un liberismo esasperato, parlare di usi civici significa parlare di un nuovo e moderno modello di sviluppo sociale in perfetta coerenza con la tutela dell´ambiente (e non solo) delineata dalla nostra Costituzione. Non si può infatti non ritenere tali usi civici, sia per la particolare capacità di attuare una gestione ecologica ed ecostostenibile della proprietà in piena attuazione dell´articolo 9 della Costituzione (nella misura in cui tutela il paesaggio), sia per il bagaglio di conoscenze culturali in dotazione delle comunità che le mette in pratica, sia per lo spirito comunitario che innescano in piena attuazione dei principi personalistici e solidaristici della nostra Carta costituzionale, dei veri diritti fondamentali, ´vecchi e nuovi, di prima, seconda e terza generazione, a seconda delle prospettive che si adottano e si adattano alla evoluzione degli ordinamenti giuridici, complessivamente intesi´[19]. Come ha scritto Paolo Grossi, se molti usi civici sono ancora ´restati intatti fino a noi malgrado l´accanita persecuzione subita dal Settecento in poi, è perché, con altrettanto accanimento, sono stati sempre difesi dalle popolazioni come parte integrante e profonda del loro costume di vita, strettamente legata alla fisionomia della stessa comunità´[20]. La categoria degli usi civici, infatti, così come quella dei beni comuni, non è mai stata di semplice schematizzazione giuridica. Le difficoltà di far rientrare tale categoria giuridica nel codice civile sono evidenti: in prima approssimazione, infatti, si potrebbe affermare che l´uso civico sia un diritto d´uso su un bene altrui, se non fosse che l´uso è per definizione un diritto temporaneo e quindi non trasferibile, mentre gli usi civici sono perpetui e si trasferiscono di generazione in generazione. Inoltre, mentre il diritto di uso è a contenuto generale, potendo il suo titolare svolgere in ordine alla cosa tutte le attività che reputi più opportune, l´uso civico è a contenuto particolare, in quanto deve risultare sempre compatibile con la destinazione del bene e non ne può snaturare le caratteristiche intrinseche. Infine, è evidente che l´usurario può escludere i soggetti terzi dal godimento del bene, mentre il titolare di un uso civico gode del bene insieme al titolare della proprietà e ad altri soggetti che vantano un medesimo diritto di godimento rispetto al medesimo bene[21]. Insomma, gli usi civici hanno un effetto «perturbante» nell´ordinamento civilistico perché scardinano il principio di tipicità dei diritti reali e perché, soprattutto, mettono in crisi il giurista positivo, affezionato ad una visione binaria del sistema proprietario, incapace di cogliere una terza dimensione collettivistica e comunitaria. Tuttavia gli usi civici, come apripista per la tutela dei beni comuni, hanno una inevitabile rilevanza costituzionale (sent. Corte Costituzionale n. 67 del 1957). Dalle sentenze della Consulta (circa un´ottantina sul tema) ´emerge, in pieno, il legame fondamentale tra storia, Costituzione, usi civici e proprietà collettive nonché le loro peculiarità come diritti puri da custodire-preservare-promuovere e come diritti originari/pre-esistenze, testimoni dell´umanità del diritto e dei diritti. L´uso civico è l´occupatio primaeva di Carl

Schmitt, la terra, il suolo, lo spazio, il diritto e i diritti´[22]. Gli usi civici e le proprietà collettive, discostandosi da una loro relazione oggettiva, possono essere annoverati proprio nel quadro delle situazioni giuridiche soggettive ovvero dei diritti (misti) di libertà, individuali e collettivi, ovvero ancora, mutuando l´espressione da autorevole dottrina, nel diritto degli individui. Gli usi civici sono presenti nel connubio inestricabile tra valori e principi costituzionali, già a partire dalla vecchia logica dei diritti pubblici soggettivi e dei diritti civici, ora diritti democratici e lavoristi ex art. 1 Cost., forme di esercizio della sovranità popolare (diritti di sovranità), diritti fondamentali (personali, pluralistici e solidaristici) ex art. 2 Cost., diritti di eguaglianza, formale e sostanziale, ex art. 3 Cost., diritti di autonomia (e sovranità) ex art. 5 Cost., diritti delle minoranze ex art. 6 Cost., diritti laici ma anche ecclesiastici (con il relativo demanio esterno) ex artt. 7 e 8 Cost., diritti ambientali e culturali ex art. 9 Cost., in uno Stato di (multi)cultura, diritti comuni(tari) e diritti umani ex artt. 10 e 11 Cost. Hanno, dunque, una molteplice dimensione, a un tempo, personalista, pluralista, comune, solidarista, collettiva, civica, cooperativa, territoriale, frazionale, sussidiaria, storica, giuridica, politica, sociale, comparata, urbanistica, turistica, forestale, archeologica, etnologica, antropologica, culturale (e via dicendo)[23]. La Corte Costituzionale ha stabilito poi con la sentenza n. 156 del 1995, che gli usi civici sono strumenti di conservazione della forma originaria del territorio e, quindi, strumenti di tutela dell´ambiente. Ancora, con la sentenza n. 310 del 2006, i giudici costituzionali hanno previsto che la disciplina statale di riferimento tende a garantire l´interesse della collettività generale alla conservazione degli usi civici contribuendo ad una vera tutela ambientale partecipata. Considerando anche l´ampio risalto dato dalle nuove costituzioni sudamericane (Bolivia ed Ecuador) ai valori posti a fondamento della disciplina degli usi civici, lo sviluppo straordinario dell´eco-diritto, della rilevanza costituzionale attribuita alle consuetudini delle realtà geografiche locali, dei gruppi etnici e delle comunità in genere, il paradigma evolutivo proprietà collettive- usi civici - beni comuni rappresenta un asse fondamentale nella riconsiderazione della proprietà in un´interpretazione costituzionalmente orientata. Per questo essi si pongono come diritti fondamentali funzionali alla realizzazione della persona sia come singolo sia nelle formazioni sociali «ove si svolge la sua personalità» ex art.2 Cost. Da questo si deduce, quindi, che ´un altro modo di possedere´ non solo è possibile, ma è necessario per realizzare i principi fondamentali della nostra Costituzione.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

41


5. LA DICOTOMIA PUBBLICO/COMUNE NELLA SOCIETA' GLOBALIZZATA Quello che per Ugo Mattei può far intendere un nuovo Medioevo, altro non è che un processo di depotenziamento del diritto a tutto vantaggio del potere tecnocratico. L´effervescenza di multinazionali e potenti gruppi finanziari a livello internazionale e nazionale fa si che nuovi soggetti sovrani globali si rendano produttori diretti ed indiretti del diritto. Il loro atteggiarsi influenza le politiche nazionali saccheggiando e depredando beni comuni e proprietà collettiva. La commistione pubblico/privato è palesemente visibile in alcune politiche di spossessamento del comune a livello globale, incoraggiate dalla Banca mondiale e condotte in cooperazione con Stati e multinazionali: esemplare è il caso della celebre ´guerra dell´acqua´ di Cochabamba, in Bolivia, nonché la lotta per la difesa della terra dei campesinos in Chiapas, costituente la prima lotta politica per i beni comuni con l´insurrezione zapatista. Tuttavia è proprio a causa di questa politica ´imprenditoriale´ che fa dello spossessamento e della privatizzazione le due armi principali, che riemerge in tutta la sua dirompenza la necessità del comune e, quindi, di un diritto dei beni comuni. E' proprio questa aggressione a far sviluppare una coscienza globale capace di ridurre ad unità luoghi all´apparenza quanto mai distanti, come le lotte contadine per la terra, quelle metropolitane per l´acqua, per l´ambiente e per la mobilità sostenibile; e ancora quelle per l´università o per la sanità pubblica, quelle contro le grandi infrastrutture ed il nucleare, o quelle sempre più importanti e violente per il libero accesso alla Rete e all´informazione. Questi luoghi distanti divengono così luoghi comuni. L´attacco e la distruzione dei beni e dei luoghi comuni provocano la consapevolezza della loro esistenza, troppo spesso data per scontata e mai apprezzata finché essi non vengono distrutti[24].

6. LA RIFORMA PROPRIETARIA NEL CASSETTO: LA PROPOSTA DELLA COMMISSIONE RODOTA´ Tra i massimi promotori del comune in Italia vi è sicuramente Stefano Rodotà, illustre giurista e anche Presidente della Commissione sui beni pubblici istituita con decreto del ministro della Giustizia del 21.6.2007 avente l´obiettivo di elaborare uno schema di legge di delegazione[25] al Governo per la modifica delle disposizioni del codice civile in materia proprietaria. Lo schema aveva tre obiettivi precisi: a) ripensare la disciplina di riferimento in materia di beni pubblici; b) ripensare la classificazione dei beni pubblici in ragione della loro natura economico-sociale, a differenza di quella tradizio-

42

nalmente collegata all´idea di demanio e del patrimonio indisponibile; c) ricondurre quella parte del codice civile che riguarda i beni pubblici ai principi fondamentali della Costituzione, collegando le utilità dei beni alla soddisfazione dei diritti della persona. Inoltre, il disegno di legge delega doveva riformare l´art. 810 c.c. distinguendo i beni in tre categorie distinte, ossia i beni comuni, i beni pubblici e i beni privati. Per la Commissione i beni comuni sono quei beni che esprimono utilità funzionali all´esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona. I beni comuni devono essere tutelati e salvaguardati dall´ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future. Titolari di beni comuni possono essere persone giuridiche pubbliche o privati. In ogni caso deve essere garantita loro la fruizione collettiva, nei limiti e secondo le modalità fissati dalla legge. Quando i titolari sono persone giuridiche pubbliche i beni comuni sono gestiti da soggetti pubblici e sono collocati fuori commercio; ne è consentita la concessione nei soli casi previsti dalla legge e per una durata limitata, senza possibilità di proroghe (art.1, comma terzo, lettera c, del disegno di legge). Rientrano in tale categoria, sempre secondo la Commissione Rodotà, i torrenti, i fiumi e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque, l´aria, i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati di riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali e ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate. Tale disciplina avrebbe dovuto essere oggetto di una specifica armonizzazione normativa con quella già vigente e riguardante gli usi civici, mentre per quanto concerneva la tutela giurisdizionale dei suddetti beni la legittimazione ad agire sarebbe sorta in capo a chiunque ne avesse avuto interesse e cioè in capo a tutti i cittadini che, astrattamente, avrebbero potuto godere direttamente dei beni in questione[26]. In sintesi, sono considerati, nel disegno in esame, tutti quei beni funzionali all´esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della personalità dei cittadini. Essi sarebbero dovuti essere a titolarità diffusa, gestiti ed amministrati in maniera partecipata e secondo il principio di solidarietà; ma, soprattutto, non avrebbero potuto essere sottoposti a nessun tipo di gestione privata. Un riferimento costituzionale importante per tale riforma sarebbe stato l´art. 43 Cost. il quale ribadisce che ´a fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Come sottolinea A. Ciervo, l´art. 43 Cost. è stato poco considerato, sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza; esso, infatti, avrebbe dovuto svolgere, secondo i Costituenti, una duplice funzione, garantista e interventista per quanto concerne il ruolo dello Stato nell´economia. In particolar modo, i monopoli privati o, comunque, la gestione privata delle fonti di energia e dei servizi pubblici essenziali, ostacolerebbero la realizzazione di quei ´fini di utilità generale´ che devono essere letti in combinato disposto con l´art. 3 Cost., secondo comma[27]. La stessa Corte Costituzionale ha avuto occasione di confermare questa interpretazione quando, nella sentenza n. 58/1965, al punto 4 del ´Considerato in diritto´, riconosce che la funzione del

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


suddetto articolo consista nella ´eliminazione della eventualità che il privato, col peso della propria impresa (hellip;) possa direttamente e profondamente influire su interi settori economici con le conseguenze di ordine politico e sociale che a tale influenza sono connesse´. Ma al di là della funzione interventista e garantista svolta dall´art.43 Cost. per realizzare un´eguaglianza sostanziale, la disposizione sembra rivalutare quella funzione di gestione dei beni pubblici di tipo cooperativo e non necessariamente statale. Difatti, esso aprirebbe alla deprivatizzazione di determinate imprese, in particolari settori in cui sarebbe comunque necessaria una qualche forma di controllo democratico. Il connubio de-privatizzazione/socializzazione verrebbe a delinearsi nella parte in cui l´art. 43 della Costituzione prevede, oltre allo Stato e agli enti pubblici, anche ´le comunità di lavoratori o di utenti´ tra quei soggetti, melius formazioni sociali, incaricati dallo Stato di gestire in modo cooperativo detti beni. Come rendere però applicabile l´art.43 della Costituzione in una realtà quale quella odierna caratterizzata da particolari logiche privatistiche dominanti del mercato e della concorrenza? Lo stesso processo di integrazione europea, infatti, ha reso più complesso applicare l´art.43 della Costituzione perché ´in un progressivo quadro di erosione della sovranità statuale, a vantaggio dell´ordinamento comunitario (hellip;) è ormai il diritto europeo a stabilire in quali casi è eccezionalmente ammesso il conferimento di diritti speciali ed esclusivi a uno o più operatori´[28]. Probabilmente è stato però proprio l´esito del referendum del giugno 2011 contro la privatizzazione dell´acqua, ad attribuire all´art.43 della Costituzione un nuovo significato, una nuova possibile interpretazione. In ogni caso, concludendo la disamina sul disegno di legge delega promosso dalla Commissione Rodotà, oltre ai beni comuni ed ai beni privati, veniva in quella sede riformulata anche la concezione tradizionale dei beni pubblici (demanio, patrimonio disponibile ed indisponibile) secondo tre fattispecie: beni ad appartenenza pubblica necessaria, perché ´a titolo di sovranità´. Sono essenziali per l´adempimento di finalità costituzionali di interesse primario come i ´servizi pubblici essenziali´ (art. 43 Cost.), e pertanto inalienabili (piazze, strade, autostrade e ferrovie, porti e aeroporti, spiagge, acquedotti, opere di difesa nazionale; beni pubblici sociali, vincolati alla soddisfazione di diritti civili e sociali della persona. Vi rientrano ospedali e scuole pubbliche, musei, abitazioni sociali, tribunali, reti di servizi pubblici, e pertanto sono vincolati a specifiche destinazioni d´uso; beni pubblici fruttiferi, che appartengono a soggetti pubblici, ma in regime di ´proprietà privata´ in quanto destinati a produrre introiti, e devono perciò essere opportunamente gestiti o dati in gestione, ma possono anche essere alienati. In ogni caso, il corrispettivo ricevuto dovrà essere necessariamente investito nel c.d. Welfare State.[29].

modo di rileggere il sistema proprietario rintracciando il fondamento giuridico dei beni comuni nella loro capacità di esprimere utilità funzionali all´esercizio dei diritti fondamentali che la stessa Costituzione riconosce e garantisce. Essi costituiscono una forma moderna di proprietà collettiva, poiché di essi la collettività ha l´effettivo godimento, mentre l´appartenenza al potere pubblico è finalizzata alla costituzione, conservazione, disposizione delle utilità collettive e collaterali e della gestione del bene. Diversamente dai beni pubblici, per i beni comuni si prescinde dalla titolarità, essendo decisivo l´ordine di fruizione del bene. ´E tutto questo viene proiettato nella dimensione della cittadinanza, per il rapporto che si istituisce tra le persone, i loro bisogni, i beni che possono soddisfarli´[31]. Il comune rifiuta la concentrazione del potere a favore della sua diffusione. Il comune ha come modello un ecosistema, ossia una comunità di individui o di gruppi sociali legati fra loro da una struttura a rete; esso rifiuta più in generale l´idea gerarchica, a favore di un modello collaborativo e partecipativo che non conferisce mai potere ad una parte rispetto ad altri elementi del medesimo tutto. In questo senso il comune rifiuta la logica del potere tout court a favore di quella ben diversa della partecipazione. Orbene, queste modalità di gestione e di proprietà sono fondamentali perché riguardano le modalità di costruzione della società, dove i diritti fondamentali e i mezzi per realizzarli assumono responsabilmente una ´nuova´ ma forse vecchia (se si considera che tutto questo rientra negli obiettivi del Costituente del ´48) centralità, come elementi costitutivi della persona e della sua cittadinanza. Attraverso questo legame tra diritti fondamentali e beni comuni, si sfugge altresì dalla dicotomia diritti e doveri, sostituita dal più umano e civile binomio costituito da pienezza della vita individuale e responsabilità sociali condivise. La solidarietà ritrova così la sua funzione di principio costitutivo della convivenza. Una rivoluzione giuridica del sistema proprietario che riporta al centro del diritto l´essenzialità dell´essere rispetto all´avere, la persona ed il costituzionalismo dei bisogni. Autore Gerardo Scotti [1] F. CASSANO, Homo civicus. La ragionevole follia dei beni comuni, Bari, 2004. [2] U. MATTEI.,I beni comuni fra economia, diritto e filosofia, in Spazio filosofico, 2013, p. 112. [3] La frase costituirà poi il titolo del fortunato libro di Paolo Grossi, ´Un altro modo di possedere´ - L´emersione di forme alternative di proprietà alla coscienza giuridica postunitaria, Milano, 1977.

7. CONCLUSIONI La quanto si è sinora esposto, sia recependo gli orientamenti giurisprudenziali[30], sia volgendo lo sguardo alla dottrina, si è avuto

[4] P.GROSSI, Il problema storico-giuridico della proprietà collettiva in Italia, in F.Carletti (a cura di), Demani civici e risorse ambientali, Napoli, Novene, 1993, p.7. [5] G.CORONA. Declino dei commons ed equilibri ambientali. Il caso italiano tra Otto e Novecento, in ´Società e Storia´, Franco Angeli, 2004, p.380.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

43


[6] C.HESS, E.OSTROM (a cura di), La conoscenza come bene comune, Milano, Mondatori, 2009, pp. 5-6. [7] D.BOLLIER, Lo sviluppo del paradigma dei beni comuni, in C.Hess, E.Ostrom, La conoscenza come bene comune, cit., pp.32-33. [8] S.RODOTAacute;, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 477. [9] P.MADDALENA, Per una teoria dei beni comuni, da MicroMega del 9/2013. [10] Ibidem. [11]U. MATTEI. Beni comuni. Un manifesto, Bari, Editori Laterza, 2012, pag.11. [12] Ivi, p.28. [13] Ivi, p.32. [14] Letteralmente l´art.17 della Carta si riferiva a tutti gli uomini liberi (every free man). [15] Ivi, p.33. [16] Ivi, p.34. [17] S. SETTIS, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi 2012, p.70. [18] http://accessoallaterra.blogspot.it/p/gli-usi-civici-una-diversa-forma-di.html, ultima consultazione 22 febbraio 2015. [19] G. DI GENIO, Tutela e rilevanza costituzionale dei diritti di uso civico, Giappichelli, Torino, 2012. [20] In ´Annali di studi sulla proprietà collettiva´, n.1, 2008. [21] A. CIERVO, I beni comuni, Roma, Ediesse, 2012, pp 60-61. [22] G. DI GENIO, Tutela e rilevanza costituzionale dei diritti di uso civico, cit. [23] G. DI GENIO, Tutela e rilevanza costituzionale dei diritti di uso civico, cit. [24] Ivi, p.24. [25] Il disegno di legge delega realizzato dalla Commissione Rodotà non è, comunque, mai giunto alla discussione parlamentare. [26] A.CIERVO, I beni comuni, Roma, Ediesse, 2012, p.154. [27] Ivi, p.155. [28] A. LUCARELLI, Articolo 43, in Commentario alla Costituzione, I, a cura di R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti, Utet, Torino, 2006. [29] S. SETTIS, Azione popolare. Cittadini per il bene comune, Torino, Einaudi 2012, p. 105. [30] Su tutte, fondamentale è la sentenza numero 3665 del 15 febbraio 2011della Corte di Cassazione italiana, a Sezioni unite, nella quale è stato utilizzato utilizzato per la prima volta il concetto giuridico di «beni comuni» per risolvere una complessa questione avente ad oggetto l´accertamento del diritto di proprietà della Valle Averto in Veneto, una delle numerose valli da pesca che costituiscono la parte meridionale della Laguna di Venezia e che, formalmente, non era mai stata riconosciuta dallo Stato come bene demaniale. La sentenza impugnata aveva affermato la demanialità dell´intera laguna. La Corte di Cassazione ha risolto questa annosa questione, enunciando una importantissima massima giuridica:Dalla applicazione diretta (drittwirkung) degli artt. 2, 9 e 42 della Costituzione si ricava il principio della tutela della umana personalità e del suo corretto svolgimento nell´ambito dello Stato sociale, anche nell´ambito del «paesaggio», con specifico riferimento non solo ai beni costituenti, per classificazione legislativa codicistica, il demanio e il patrimonio oggetto della «proprietà» dello Stato, ma anche riguardo a quei beni che, indipendentemente da una preventiva individuazione da parte del legislatore, per loro intrinseca natura o finalizzazione, risultino, sulla base di una compiuta interpretazione dell´intero sistema normativo, funzionali al perseguimento e al soddisfacimento degli interessi della collettività e che - per tale loro destinazione, appunto, alla realizzazione dello Stato sociale - devono ritenersi «comuni», prescindendo dal titolo di proprietà, risultando così recessivo l´aspetto demaniale a fronte di quello della funzionalità del bene rispetto ad interessi della collettività.(...) Le valli da pesca configurano uno dei casi in cui i principi combinati dello sviluppo della persona (art.2 Cost.), della tutela del paesaggio (art.9 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) trovano specifica attuazione, dando origine ad una concezione di bene pubblico, inteso in senso non solo di oggetto di diritto reale spettante allo Stato, ma quale strumento finalizzato alla realizzazione di valori costituzionali. Detta natura di tali beni (hellip; ) ha la sua origine costitutiva nella legge quale ordinamento composto da una pluralità di fonti (in particolar modo la Costituzione), sulla base della sussistenza «all´attualità» di determinate caratteristiche (fisiche-geografiche) in concreto previste dal legislatore [31] S.RODOTA', Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata e i beni comuni, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 461.

Sentenza 8097 del 21 Aprile 2015: la Cassazione legittima la prosecuzione del matrimonio tra soggetti dello stesso sesso In tema di unioni tra omosessuali, la Corte di Cassazione con la sentenza 21 aprile 2015, n. 8097, qui in commento, sembra operare una prima apertura confermando gli effetti di un matrimonio nato tra eterosessuali e continuato, a seguito di operazione chirurgo-plastica, tra omosessuali. (Sentenza completa allegata all´articolo) Particolarmente dibattuto in Italia, come nel resto del mondo, è il tema delle unioni matrimoniali omosessuali, in relazione al quale si riscontranoforti contrapposizioni tra posizioni rigide e tradizionaliste ed altre caratterizzate da una maggiore apertura. Si rileva immediatamente che questo tipo di unioni non trova all´interno del nostro ordinamento una copertura legislativa. Interessante, in tal senso, è una recentissima sentenza della Corte di Cassazione, depositata il 21 aprile, la quale, in buona sostanza, lascia intatti gli effetti civili del matrimonio tra due soggetti dello stesso sesso che al momento della loro unione erano

44

di sesso differente. La storia riguarda una coppia, marito e moglie, che sono diventati - in un momento successivo alla loro unione coniugale - dello stesso sesso a seguito di un intervento di chirurgia plastica (c.d. vaginoplastica) cui l´uomo, che aveva deciso di mutare il proprio sesso in quello di donna, si è sottoposto. A seguito dell´operazione la - divenuta - donna ha propostodomanda di rettificazione ed attribuzione di sesso femminile al Tribunale di Bologna. La rettificazione è stata disposta, ex art. 2 della l. 164/1982(1), con modifica del prenome, dell´atto di nascita e dell´atto di matrimonio, con la relativa cessazione degli effetti civili del matrimonio ai sensi dell´art. 4 della l. 164/1982(2). In ragione di ciò, i coniugi, temporaneamente ex, hanno proposto ricorso al Tribunale di Modena ai sensi dell´art. 95 del d.p.r. 396/2000(3).

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Il Tribunale di Modena ha accolto la domanda ed, a seguito del ricorso del Ministero dell´Interno, la Corte d´Appello ha rigettato la domanda confermando così la decisione del Giudice di primo grado. A questo punto, è stata adita la Corte di Cassazione la quale ha investito la Corte Costituzionale dellaquestione di legittimità costituzionale in relazione agli artt. 2 e 4 della l. 164/1982 i quali erano stati assunti, il primo alla base della domanda di rettificazione ed attribuzione del sesso diverso, ed il secondo alla base della cancellazione degli effetti civili del matrimonio della coppia, in violazione di una serie di norme della Carta del ´48. Tra tutte le norme costituzionali ritenute violate, quella in forza della quale si è basata la sentenza della Corte Costituzionale, e di conseguenza quella del giudice di legittimità, è relativa all´art. 2. La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 170/2014 ha sancito l´illegittimità costituzionale degli articoli di cui sopra, in quanto in contrasto con l´art. 2 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che la sentenza di rettificazione dell´attribuzione di sesso -la quale comporta il conseguente scioglimento del vincolo matrimonialenon consente ´ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che tuteli adeguatamente i diritti e gli obblighi della coppia medesima´. In buona sostanza, la pronuncia della Corte Costituzionale è tesa ad affermare il principio secondo il quale la relazione tra due soggetti è tutelabile come formazione sociale, ex art. 2 Cost., seppur sovvenga un mutamento di sesso di uno dei componenti della coppia, salvo che sussista il consenso di entrambi al mantenimento degli effetti civili del matrimonio. Successivamente alla sentenza - manipolativa additiva - di accoglimento della Corte Costituzionale, la causa è stata riassunta dinanzi al Giudice di legittimità. In ragione della sentenza costituzionale, i coniugi hanno chiesto la cancellazione dell´annotazione sul registro degli atti di matrimonio, mentre, il Procuratore Generale ha risposto chiedendo il rigetto del ricorso ed argomentando che la Corte Costituzionale si sia adoperata a dichiarare incostituzionale una norma non esistente, e non il c.d. divorzio imposto ex art. 2 e 4 l. 164/1982. Il Procuratore della Repubblica, nella memoria, pur concordando con l´affermazione di principio della Corte Costituzionale, in ordine all´art. 2 Cost., allo stesso tempo ha sostenuto che ´la conservazione di un´unione coniugale tra persone dello stesso sesso´ non può essere accettata in quanto, nell´ordinamento italiano, non esisterebbe una disciplina normativa al riguardo e,

tutt´al più, sarebbe stato possibile configurare una responsabilità statuale per la mancata o tardiva attuazione delle direttive dell´Unione europea. La Corte di Cassazione ha deciso che, in coerenza con l´affermazione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 e 4 l. 164/1984, la Corte Costituzionale non ha deciso su di un ´principio estraneo alle due norme ma ad una delle conseguenze del c.d. divorzio automatico che la Corte mira ad eliminare, ovvero quella che determina il passaggio da una condizione di massima protezione giuridica ad una condizione di massima indeterminatezza nella coppia che anche dopo la rettificazione di sesso voglia conservare la propria unione. Tali norme producono effetti incompatibili con il grado di protezione costituzionale riconosciuto alle unioni omoaffettive, nel senso che determina una soluzione di continuità costituzionalmente non tollerabile tra la condizione preesistente e quella successiva alla rettificazione di sesso´. In buona sostanza la Corte ritiene che un sistema, quale quello italiano, che permette ad oggi le unioni matrimoniali a soli soggetti eterosessuali,non esclude il mantenimento degli effetti civili del matrimonio di due soggetti dello stesso sesso. Ciò che la Corte Costituzionale e, di conseguenza, la Corte di Cassazione ritengono intollerabile è che una situazione di tal fatta comporti un totale venir meno delle tutele, dei diritti fondamentali e doveri solidali che comportano le unioni affettive ´sulle quali si fondano le principali scelte di vita e si forma la personalità sul piano soggettivo e relazionale´. La Corte ha anche delineato i limiti entro i quali dovrà operare l´intervento del Legislatore al fine di ´riempire il vuoto normativo´ con il monito di non dover legiferare necessariamente nel senso di legittimare le unioni omosessuali ma di evitare che possa crearsi una ´condizione di massima indeterminatezza´, sul nucleo affettivo e familiare, ritenuta costituzionalmente intollerabile. In definitiva, la Corte di Cassazione, conclude affermando che a seguito dell´illegittimità costituzionale, degli artt. 2 e 4 l. 164/1984 disposta con Sentenza Costituzionale 170/2014, si accoglie il ricorso delle parti e si conservano e riconoscono i diritti e i doveri conseguenti al vincolo matrimoniale che è stato legittimamente contratto. Allo stesso tempo, la Corte sollecita il Legislatorenel senso di colmare un tal vuoto normativo, individuando una forma di convivenza registrata che possa tutelare i diritti e gli obblighi delle parti in una situazione come quella esposta. La Corte di Cassazione con tale sentenza, non ha inteso introdurre un nuovo principio all´interno dell´ordinamento ed, in virtù di ciò, passa la palla al Legislatore, il quale avrà il compito di formulare una serie di norme tali da evitare le situazioni di assoluta indeterminatezza in ordine ai diritti ed obblighi spettanti ai coniugi dello stesso sesso a seguito di matrimonio legittimamente contratto. In buona sostanza, la questione è da analizzare alla luce delle tutele da concedere e non nel senso di ampliare la disciplina del matrimonio alle unioni omoaffettive. (1) La domanda di rettificazione di attribuzione di sesso di cui all´articolo 1è proposta con ricorso al tribunale del luogo dove ha residenza l´attore. Il prisente del tribunale designa il giudice istruttore e fissa con decreto la data per la trattazione del ricorso e il termine per la notifi-

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

45


cazione al coniuge e al figli. Al giudizio partecipa il pubblico ministero ai sensi dell´articolo 70 del codice di procedura civile. Quando è necessario, il giudice istruttore dispone con ordinanza l´acquisizione di consulenza intesa ad accertare le condizioni psico-sessuali dell´interessato. Con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso il tribunale ordina all´ufficiale di stato civile del comune dove fu compilato l´atto di nascita di effettuare la rettificazione nel relativo registro. (2) La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo. Essa provoca lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso. Si applicano le disposizioni del codice civile e della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni. (3) 1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o laricostituzione di un atto distrutto o smarrito o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende opporsi a un rifiuto dell´ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale nel cui circondario si trova l´ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l´atto di cui si tratta o presso il quale si chiede che sia eseguito l´adempimento. 2. Il procuratore della Repubblica può in ogni tempo promuovere ilprocedimento di cui al comma 1. 3. L´interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale. Autore Matteo Consiglio

Responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche Natura giuridica, costituzione di parte civile, confisca e nozione di profitto 1) Evoluzione storica Nel diritto romano il principio ´societas delinquere et puniri potest´ escludeva, in modo incontrovertibile, una ´responsabilità penale´ in capo alle persone giuridiche. Infatti, nonostante vi fosse la presenza di soggetti ai quali era riconosciuta una capacità di diritto privato (come, ad esempio i c.d. municipia), al contempo agli stessi non si riconosceva una responsabilità di tipo penale[1], secondo l´antico brocardo: ´quid enim municipes dolo facere possunt?´ (Digesto - De dolo malo) Una prima evoluzione è riscontrabile nel diritto comune, laddove gli statuti comunali dei secoli XIV e XV individuavano e reprimevano condotte penalmente rilevanti in capo ai comuni[2], ad esempio nel caso in cui questi non impiegavano la moneta comunale, oppure facevano uso di ´misure´ non approvate, oppure impedivano ai cittadini la coltivazione delle terre e il vettovagliamento della citta, ecc. Dunque, è possibile affermare che vigeva il principio opposto secondo cui universitas delinquere et puniri potest. Le pene previste erano di natura pecuniaria e sottrazione di privilegi e confische[3]. ´poiché senza dolo né colpa (...) non possono esservi delitti, ne discende necessariamente che possono commettere delitti coloro che sono capaci di entrambi. Il che si deve affermare anche delle universitas, dei collegi e di qualunque corporazione. Poiché infatti codeste entità costituiscono una persona morale, si ritiene che delinquono per dolo o colpa i membri dei quali essi constano. Secondo la dottrina ciò non accade in un solo modo. Infatti talvolta qualche ordo civitatis, che ne costituisce una parte illustre e precipua, viene meno ai suoi doveri; talvolta i cittadini in universum vengono coinvolti nel crimine. Nel primo caso il crimine coinvolge solo quelli che sono di tale ordine, ceto, collegio, per esempio i decurioni; nell´altro caso l´intera città è ritenuta responsabile del crimine´ (Elementa juris criminalis 1837). La legislazione moderna, come è noto, ha subito la forte influenza dell´impianto ideologico derivante dall´illuminismo che poneva al centro della sua attenzione le azioni umani e la volontà degli individui. Dunque, ritornava con un´accezione ancor più amplificata una visione antropomorfica ed antropocentrica del diritto penale[4]. Secondo tale prospettiva solo l´uomo viene considerato possibile destinatario di un precetto o di un divieto, pertanto, solo rispetto alla persona fisica si è reputato prospettabile una responsabilità penale.

46

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Da un punto di vista comparatistico, ed in particolare gli ordinamenti common law e quello americano, raccontano una storia diversa. Essi infatti, volti ad una visione pragmatica del diritto, non hanno avuto particolari difficoltà nell´inquadrare una responsabilità di tipo penale in capo alle persone giuridiche e alla c.d. corporations e alle grandi imprese[5].

persona giuridica, ecc.) che, pur non avendo realizzato il fatto di reato, tuttavia ne subirebbero le conseguenze negative derivanti dall´applicazione delle sanzioni in capo alla persona giuridica[8].

Ciò è stato reso possibile attraverso la costruzione di un concetto di autonoma colpa delle persone giuridiche che si fondava su un difetto di organizzazione in capo ai medesimi; ovvero, sul fatto che gli stessi non hanno saputo o voluto porre delle regole in grado di dare un´adeguata prevenzione degli illeciti.

La norma in questione prevede un´obbligazione di garanzia di tipo sussidiaria in capo alla persona giuridica, rispetto alla persona che ha commesso il fatto di reato. Da ciò ne discenderebbe che il Legislatore avrebbe, implicitamente, espresso la propria preferenza per l´irresponsabilità penale dell´ente e, comunque, l´ordinamento prevede in tal modo una chiamata in responsabilità della persona giuridica[9].

Tale impostazione ha avuto una rilevante applicazione soprattutto in tema di reati ambientali e in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. L´evento illecito veniva attribuito all´ente attraverso una struttura imputativa che ricorda, molto da vicino, quella delle condotte omissive e della colpa di non aver impedito l´evento non voluto dalla norma. La Suprema Corte già nelle sue prime pronunce affermava: ´Se la legge deve avere riguardo per i diritti di tutti, e per quelli delle corporations non meno per quelli dei singoli, non può chiudere gli occhi sul fatto che la grande maggioranza delle transazioni economiche nei tempi moderni sono compiute a mezzo di queste entità (...). Accordare loro l´immunità da ogni pena, nelle attuali condizioni, a causa della vecchia e superata dottrina secondo cui una corporation non può commettere un reato, comporterebbe virtualmente l´eliminazione dei soli mezzi per un controllo effettivo di questo tipo di criminalità e per la correzione degli abusi accertati´.

Applicazione dell´art. 197 c.p.

In passato, tuttavia, non è mancato chi ha criticato l´indirizzo prevalente, obiettando in tal modo: Non contrarietà dell´art. 27 Cost. Rifacendosi all´esperienza anglosassone, è possibile imputare una responsabilità penale alle persone giuridiche quale summa delle colpevolezze delle persone fisiche che rappresentano ed operano per l´ente (c.d. colpa collettiva)[10]. Rischio di configurare una responsabilità per fatto del terzo.

Nell´ordinamento anglosassone si è parlato di ´colpevolezza aggregata´, con la quale di imputava il reato alla persona giuridica attraverso somma delle colpevolezze dei singoli soggetti che concorrono all´organizzazione, e di ´colpevolezza d´impresa´, quale autonoma fonte di responsabilità per la corporations rinvenibile nel difetto di controllo e nella mancata organizzazione preventiva[6].

E´ possibile evitare le conseguenze negative per soggetti estranei al fatto di reato, attraverso l´introduzione di specifici strumenti. Ad esempio, come nell´ordinamento francese che ha approntato una disciplina di rimborsi delle quote per i soci e la corresponsione del salario dei dipendenti per un certo periodo di tempo nell´ipotesi in cui l´impresa venisse condannata e non fosse in grado di svolgere la propria attività[11].

2) Il dibattito anteriore al d.lgs. n. 231/2001 e il rapporto tra l´art. 27 Cost. e il principio societas delinquere non potest.

Inadeguatezza dell´art. 197 c.p.

Anteriormente al d.lgs. n. 231/2001, si riteneva che non potesse sussistere una responsabilità di tipo penale in capo a soggetti diversi dalle persone fisiche, per tali motivi:

L´obiezione deriva dal fatto che una sanzione derivante da una responsabilità eventuale e sussidiaria non è certamente idonea a sortire un reale effetto afflittivo e dissuasivo.

Art. 27 Cost. e consacrazione della natura personale della responsabilità penale. In base a tale principio è necessario che sussista un coefficiente di partecipazione psichica in capo al soggetto autore del reato, che non sarebbe ipotizzabile in capo alla persona giuridica[7]. Rischio di configurare una responsabilità per fatto del terzo. Si afferma che, nell´ipotesi in cui si giungesse a punire l´ente per un reato commesso dalla persona fisica, anche se aveva come fine l´ottenimento di un vantaggio per l´ente medesimo, in tal modo si punirebbero anche tutte quelle persone fisiche (lavoratori presso la

**** Dunque, negli anni si è cercato di qualificare il tipo di responsabilità configurabile in capo alle persone giuridiche. In particolare, se con il Progetto Mirone si è cercato di inquadrare siffatte responsabilità nell´ambito delle sanzioni ´amministrativi´ e, quindi, con sanzioni di natura esclusivamente pecuniaria. Con il Progetto Grosso per la prima volta si è cercato di distaccarsi da una responsabilità di tipo amministrativa in capo alle persone giuridiche e

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

47


giungere ad tertium genus, rispetto agli schemi del diritto penale classico.

Tale tesi[13] poggia sui seguenti punti:

Per le persone giuridiche è stato, infatti, proposta una responsabilità aggiuntiva e non più sostitutiva e sussidiaria rispetto a quella della persona fisica.

Il d.lgs. qualifica la responsabilità come amministrativa. Tale motivazione si basa sull´interpretazione letterale della legge e sulle locuzioni utilizzate dal Legislatore all´interno del testo, come ´illeciti amministrativi, sanzioni amministrative´.

In particolare, la maggiore difficoltà - rappresentata dall´individuare un´imputazione soggettiva in capo all´ente senza incorrere nelle obiezioni dette prima - è stata tentata di risolvere prevedendo l´obbligo in capo alle persone giuridiche uno specifico dovere: adottare e attuare un modello organizzativo idoneo ad evitare la commissione di reati.

L´art. 34 del decreto individua una sorta di gerarchia delle fonti legislative in cui al primo posto vengono posto quelle relative all´accertamento e all´applicazioni delle sanzioni amministrative e solo in via sussidiaria si fa riferimento alle norme penali.

La mancata attuazione di tale adempimento fonderebbe, dunque, il rimprovero di colpevolezza per il reato che ne sia derivato.

Il regime prescrizionale è modulato secondo parametri differenti da quelli previsti in materia penale.

E´ evidente il riferimento al modello di origine anglosassone della c.d. colpevolezza organizzata[12].

Se si abbraccia la diversa tesi della responsabilità penale si rischia di entrare in contrasto con diverse diposizioni costituzionali: a) il meccanismo dell´inversione dell´onere della prova ex art. 6 d.lgs. 231/2001 è incompatibile con il principio di non colpevolezza ex art. 27 Cost. b) Il procedimento di archiviazione ex art. 58 del decreto è incompatibile con il principio dell´obbligatorietà dell´azione penale ex art. 112 Cost. c)La previsione della permanenza della responsabilità in capo ad altri enti in occasione delle vicende modificative (trasformazione, fusione, scissione) di cui agli artt. 28-33 d.lgs. 231/2001, contrasterebbe con il principio di responsabilità penale personale ex art. 27 Cost.

3) Il d.lgs. n. 231/2001: problema della natura della responsabilità. La convenzione elaborata in seno all´OCSE per la repressione della corruzione nell´ambito delle transazioni economiche internazionali, ha previsto espressamente l´obbligo per gli Stati membri di ´adottare le misure necessarie, secondo i propri principi giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone giuridiche per la corruzione di pubblico ufficiale straniero´. Una responsabilità diretta delle persone giuridiche, anche se non necessariamente di tipo penale, è espressamente contemplata anche dal secondo Protocollo addizionale alla Convenzione sulla protezione degli interessi finanziari delle Comunità europee, che impone a ciascuno Stato membro di ´adottare le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere dichiarate responsabili della frode, della corruzione attiva e del riciclaggio di denaro commessi a loro beneficio da qualsiasi persona che agisca individualmente o in quanto parte di un organo della persona giuridica, che detenga un posto dominante in seno alla persona giuridica´. E´ chiaro che ciò ha reso ancor più necessario l´intervento del legislatore italiano. Innanzitutto, doveva affrontarsi il nodo gordiano derivante dalla scelta se inquadrare siffatte responsabilità come amministrative o di natura penale. Sul punto gli accordi internazionali non danno alcuna indicazione, lasciando margine di operatività alle legislazioni dei singoli Stati membri. 4) La scelta operata dal Legislatore italiano: il d.lgs. 231/2001 e il problema della natura della responsabilità in capo alle persone giuridiche. Orbene, Il d. lgs. 231/2001 nel disciplinare la responsabilità dell´ente ha optato di qualificarla come ´amministrativa dipendente da reato´.

4.2 La tesi della responsabilità penale. I sostenitori di tale tesi ritengono che ci sia stata una ´frode di etichette´ e pertanto si è mascherata per responsabilità amministrativa una responsabilità che, invece, è di tipo penale[14]. Si tratta, dunque, di una responsabilità che, al di là della qualificazione formale, presenta profili di disciplina marcatamente di tipo penalistico. Queste sono le argomentazioni a supporto di chi sostiene la tesi della responsabilità penale: La responsabilità si basa sulla commissione di reati specificatamente richiamati dal decreto, il giudizio si svolge innanzi ad un giudice penale e con tutte le garanzie tipiche del processo penale. La commisurazione delle pene è modellata secondo la struttura penale. è ammesso il tentativo, mentre il tentativo di illecito amministrativo non è ammissibile.

Ciò ha dato vita ad un dibattitto circa la natura della responsabilità che il legislatore avrebbe configurato in capo agli enti.

E´ prevista l´applicazione delle misure cautelari.

La tesi della responsabilità amministrativa.

L´art. 8 del decreto prevede l´amnistia, tipica causa di estinzione del reato.

48

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


4.3 Critica alla tesi della responsabilità penale.

organizzative sane e non viziate da ipotesi di reato[15].

Tuttavia, la tesi della responsabilità penale è stata fortemente criticata da diversa parte della dottrina con le seguenti argomentazioni:

La trasformazione

Inversione dell´onus probandi ex art. 6 d. lgs. n. 231/2001. L´art. 6 pone a carico dell´ente l´onere di provare di aver addotto ed efficacemente attuato i modelli di organizzazione e vigilanza. Nel caso in cui non dovesse fornire siffatta si ha una presunzione di responsabilità sotto il profilo soggettivo. Tale disposizione, se si accettasse la tesi della responsabilità penale, sarebbe in contrasto con il principio di non colpevolezza di cui all´art. 27 Cost., posto che nel procedimento penale spetta all´accusa provare i fatti addebitati al soggetto. Incompatibilità con l´art. 27 Cost. che vieta la responsabilità penale per fatto altrui. Ovvero, si ribadisce che per un fatto di reato commesso dalla persona fisica, accettando la tesi della responsabilità penale, si punirebbe un soggetto diverso (l´ente), in evidente contrasto con l´art. 27 Cost. Tuttavia, chi sostiene la teoria della responsabilità penale, supera tale critica facendo leva sulla teoria organicistica, ovvero secondo le nozioni di rapporto e di immedesimazione organica, il reato commesso dal singolo, operante all´interno dell´ente, verrebbe imputato al soggetto collettivo. La previsione della permanenza della responsabilità in capo ad altri enti in occasione delle vicende modificative. Gli artt. 28-33 del decreto, disciplinando le vicende modificative (trasformazione, fusione, scissione e della cessazione d´azienda), dispongono il trasferimento della responsabilità dall´ente originario a quello risultante in seguito alle vicende modificative.

Non pone alcun problema, considerando che l´ente trasformato non è qualcosa di diverso da quello originario. Fusione e scissione. Pongono, invece, i maggiori problemi di compatibilità con l´art. 27 Cost. di rischio di punizione ad un soggetto differente dall´autore del reato. Invero, a sostegno della tesi penalistica, nel diritto civile si è fatta strada una diversa corrente interpretativa, in base alla quale la scissione e la fusione non sono compatibili con la successione mortis causa che porterebbe all´estinzione della persona giuridica originaria. In particolare, quanto alla fusione alcuni sostengono che con la stessa "non vi è la formazione di un nuovo contratto di società, ma l´unificazione di due o più contrati; non vi è trasferimento della qualità di socio, ma ciascun socio conserva la qualità di parte del contratto e dell´organizzazione così unificata; non vi è trasferimento di beni dalle società partecipanti a quelle risultanti dalla fusione, ma conservazione della proprietà di essi in capo al soggetto unificato[16]. Tale posizione dottrinale trova conferma e fa riferimento all´art. 2054 bis, co. 1, in cui si afferma che la società risultante dalla fusione assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendo in tutti i loro rapporti, anche processuali, anteriori alla fusione. E dunque, anche eventuali responsabilità di tipo penali. In tale ottica, la prevista trasmissibilità della responsabilità penale può essere letta come ulteriore conferma legislativa di tale lettura. Ovvero, si trasferisce la responsabilità perché la fusione non è morte di una società e nascita di un´altra, ma è semplicemente un´operazione di opportunità economica e organizzativa[17]. Tali considerazioni, sono state svolte anche per la scissione. 4.4 La tesi del tertium genus di responsabilità.

Da un lato, ha voluto evitare l´intrasmissibilità della responsabilità in caso di vicende modificative, che avrebbe potuto facilmente portare a ipotesi di elusione della responsabilità da parte delle persone giuridiche.

Alcuni autori ritengono che trattasi di un tertiun genus di responsabilità, distinta da quella amministrativa e penale[18]. Essi prendono in considerazione la relazione di accompagnamento al d. lgs. 231, nella quale - dopo aver definito come meramente cautelativa la scelta di qualificare come amministrativa la responsabilità - si afferma: ´Tale responsabilità, poiché conseguente da reato e legata alle garanzie del processo penale, diverge in non pochi punti dal paradigma dell´illecito amministrativo, con la conseguenza di dar luogo alla nascita di un tertium genus che coniuga i tratti essenziali del sistema penale e di quello amminitrativo´.

Dall´altro lato, ha cercato di non cadere nell´eccessivo rigorismo dell´opposta regola della trasmissibilità, che avrebbe potuto inficiare strutture

Pertanto, i sostenitori di tale tesi affermano che la formula ´responsabilità amministrativa´ si rileva nulla più che ´un´etichetta carica di significati simboli, del tutto neutra rispetto alla disciplina

La ratio di tale disciplina si rintraccia nel fatto che il legislatore ha cercato di contemperare due contrapposte esigenze:

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

49


degli istituti´.[19]

5) La posizione della giurisprudenza.

4.5 Tesi isolata del concorso di persone: S.C. Sez. VI, n. 19764 del 2009.

Ad eccezione di tale posizione rimasta isolata, occorre prendere atto che la prevalente giurisprudenza sembra propendere per la tesi di una responsabilità di tipo amministrativa in capo agli enti., anche se spesso non sono confermate in modo chiaro e preciso.

La Corte afferma che, ´nell´ambito della criminalità d´impresa, v´è responsabilità cumulativa dell´individuo e dell´ente collettivo, trovando ciò riscontro, sul piano dogmatico, nello schema concorsuale: il nesso tra le due responsabilità, quella della persona fisica e quella dell´ente, pur non identificandosi con la figura tecnica del concorso, ad essa è equiparabile, in quanto da un´unica azione criminosa scaturiscono una pluralità di responsabilità. Il sistema tratteggiato dal legislatore con il D.Lgs. n. 231 del 2001, presuppone la responsabilità penale individuale, che non rimane assorbita dalla persecuzione diretta della corporate criminality. In sostanza, l´appartenenza dell´autore individuale all´ente è imprescindibile punto di partenza della complessiva vicenda criminosa, nel senso che è proprio la condotta della persona fisica, posta in essere nell´interesse o a vantaggio dell´ente, a determinare l´estensione a questo della responsabilità per il reato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio. Ciò posto, nella fattispecie concreta, per quello che emerge dal provvedimento impugnato, sono ravvisabili tutti gli elementi costitutivi della responsabilità individuale e di quella dell´ente, con l´effetto che la valutazione in ordine alla legittimità della cautela reale adottata non può essere fatta nell´ottica di una sorta di "deresponsabilizzazione" delle persone fisiche, soltanto perché il profitto del reato sarebbe andato a vantaggio dell´ente societario. Il sequestro preventivo funzionale alla confisca di valore, pertanto, ben può incidere contemporaneamente sia sulle persone fisiche indagate per il reato di corruzione attiva sia sull´ente societario che ha tratto profitto dal reato, e ciò in base rispettivamente alle disposizioni di cui all´art. 321 c.p.p., comma 2 in relazione all´art. 322 ter c.p. e all´art. 53 in relazione al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 19. Data la convergenza di responsabilità della persona fisica e di quella giuridica e avuto riguardo all´unicità del reato come "fatto" riferibile a entrambe, deve trovare applicazione il principio solidaristico che informa lo schema concorsuale, con la conseguenza che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei soggetti indagati anche per l´intera entità del profitto accertato, con il limite, però, che il vincolo cautelare d´indisponibilità non deve essere esorbitante, nel senso che non deve eccedere, nel complesso, il valore del detto profitto e non deve determinare ingiustificate duplicazioni, posto che dalla unicità del reato non può che derivare l´unicità del profitto´.

50

Da ultimo, la sentenza a Sezioni Unite n. 10561/2014 conferma la non applicabilità dei principi della responsabilità concorsuale ex art. 110 ss. c.p. alla persona giuridica e ai suoi amministratori. Infatti, le Sezioni Unite rilevano come l´ente non possa essere concorrente nel reato e che nel vigente ordinamento è prevista solo una responsabilità amministrativa, non penale delle persone giuridiche. Probabilmente la questione circa la natura della responsabilità delle persone giuridiche non è ancora terminata, soprattutto considerando le rilevanti applicazioni pratiche che derivano se si accoglie una soluzione piuttosto che l´altra. Nondimeno, non è possibile trascurare l´orientamento della Corte Europea dei diritti dell´Uomo che, in applicazione delle garanzie statuite dagli artt. 6 e 7 della Convenzione Edu, qualifica una responsabilità come penale su come sono caratterizzate le sanzioni. In particolare, i criteri di riferimento sono dati dal quantum della pena, dalla modalità di attuazione della stessa e dalle finalità preventiva oppure repressiva. 6) Costituzione di parte civile: possibilità o meno per il soggetto danneggiato di costituirsi parte civile nell´ambito del giudizio innanzi al giudice penale nei confronti dell´impresa per illecito amministrativo. Una ricaduta applicativa della questione circa la natura giuridica della responsabilità delle persone giuridiche riguarda la possibilità per il soggetto danneggiato di costituirsi parte civile nel processo penale. Il quadro normativo di riferimento è dato dagli: artt. 34 e 35 d. lgs. 231/2001 che richiamano le norme del codice penale e di procedura penale in quanto compatibili. Il che, in astratto, sembrerebbe rendere possibile l´estensione della disciplina codicistica prevista per la costituzione di parte civile. Art. 185 c.p. che obbliga al risarcimento del danno provocato dall´illecito direttamente il colpevole, mentre indirettamente l´obbligo sussiste in capo alle persone che, a norma del codice civile, sono tenute a rispondere del fatto di quest´ultimo. A tal riguardo si sono sviluppate tre orientamenti: A) Tesi che esclude la costituzione di parte civile ritenendo di natura amministrativa la responsabilità dell´ente. I sostenitori di tale tesi, che qualificano la responsabilità dell´ente come amministrativa, affermano che la pretesa risarcitoria va esercitata, ai sensi dell´art. 2043 c.c., esclusivamente in sede civile[20].

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


B) Tesi che ammette la costituzione di parte civile pur non riconoscendo la natura di responsabilità penale dell´ente. Secondo tali autori, pur non abbandonando l´idea che la natura della responsabilità sia di tipo amministrativa, ritengono che in ossequio del principio di concentrazione, è possibile la costituzione di parte civile ai sensi dell´art. 185 c.p. che trasferirebbe in sede penale l´accertamento di una pretesa civilistica di tipo aquiliano[21]. C) Tesi che ammette la costituzione di parte civile riconoscendo la natura di responsabilità penale dell´ente. Tale orientamento ritiene che sussistendo una responsabilità penale in capo all´ente, questo può essere considerato un ulteriore centro di imputazione insieme alla persona fisica che ha commesso materialmente il reato, di tal ché nulla osta alla rispettiva costituzione di parte civile secondo le ordinarie regole del codice di rito[22]. La Cassazione ha affermato l´inammissibilità della costituzione di parte civile, senza tuttavia aver voluto affrontare la problematica circa la natura giuridica della responsabilità della persona giuridica, ma esclusivamente analizzando la disciplina posta dal decreto legislativo 231/2001 In particolare, la Corte ha rilevato che l´eventualità di una costituzione di parte civile nei confronti dell´ente non è in alcun modo contemplato dal decreto, e ciò non può imputarsi ad una mera dimenticanza da parte del Legislatore, ma piuttosto ad una sua precisa scelta. Nello stesso decreto vi sarebbero dei dati specifici che confermerebbero tale assunto: Art. 27 che nel disciplinare la responsabilità patrimoniale dell´ente fa riferimento solo alle obbligazioni civili. Art. 54 che regolamenta il sequestro conservativo. L´omologo istituto codicistico di cui all´art. 316 c.p.p. pone questa misura cautelare reale sia a tutela del pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all´erario, sia delle obbligazioni civili derivanti dal reato, attribuendo in quest´ultimo caso alla parte civile la possibilità di richiedere il sequestro. Invece, l´art. 54 del decreto limita il sequestro al solo scopo di assicurare il pagamento della sanzione pecuniaria (oltre che delle spese del procedimento e delle somme dovute all´erario) e può essere richiesto unicamente dal pubblico ministero[23]. 7) Corte di Giustizia 12 luglio 2012 c-79/11. La Corte di Giustizia conferma quanto statuito dalla Cassazione. Essa infatti afferma che il decreto legislativo 231/2001 indica la responsabilità degli enti come ´amministrativa´, ´indiretta´ e ´sussidiaria´, distinguendosi in tal modo dalla responsabilità penale della persona fisica, autrice del reato che ha causato direttamente i danni e a cui può essere chiesto il risarcimento nell´ambito del processo penale. Pertanto, le persone offese in conseguenza di un illecito amministrativo da reato commesso da una persona giuridica non possono

essere considerate come le vittime di un reato e, conseguentemente, non hanno il diritto di ottenere che si decida, nell´ambito del processo penale, sul risarcimento da parte della persona giuridica[24]. 8) La confisca Tra le sanzioni amministrative l´art. 9 del decreto prevede espressamente la confisca. Il successivo art. 19, co. 1 dispone che: ´nei confronti dell´ente è sempre disposta, con sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiatohellip;´. Al secondo comma è prevista la c.d. confisca per equivalente. Uno dei maggiori problemi è quello di definire e qualificare il significato di ´profitto del reato´. A tal proposito le SS. UU. n. 26654/2008 hanno affermato che ´Il profitto del reato nel sequestro preventivo funzionale alla confisca nei confronti dell´ente è costituito dal vantaggio economico di diretta ed immediata derivazione causale dal reato ed è concretamente determinato al netto dell´effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato nell´ambito del rapporto sinallagmatico con l´ente´. Trattasi di un´interpretazione in linea con quanto affermato dalla giurisprudenza in merito alla c.d. tradizionale confisca di cui all´art. 240 c.p.[25] Nondimeno, i giudici della Suprema Corte distinguono il vantaggio interamente derivante dall´attività illecita, da quello che invece non ha alcuna correlazione con il reato. Si legge infatti, nella sentenza delle Sezioni Unite che sussiste ´l´esigenza di differenziare, sulla base di specifici e puntuali accertamenti, il vantaggio economico derivante direttamente dal reato (profitto confiscabile) e il corrispettivo incamerato per una prestazione lecita eseguita in favore della controparte, pur nell´ambito di un affare che trova la sua genesi nell´illecito (profitto non confiscabile)´. Dunque, nella fattispecie concreta trattata dalla Suprema Corte, ovvero l´esecuzione di un appalto pubblico di opere e servizi, seppur la sua aggiudicazione si è avuta attraverso una truffa; i giudici affermano che ´l´appaltatore che, nel dare esecuzione agli obblighi contrattuali comunque assunti, adempie in parte, ha diritto al relativo corrispettivo, che non può considerarsi profitto del reato, in quanto l´iniziativa lecitamente assunta interrompe qualsiasi collegamento causale con la condotta illecita. Il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall´obbligato ed accettata dalla

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

51


controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perché trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure´[26]. Autore Simone Luca Note e riferimenti bibliografici [1] A. COSSEDDU, Responsabilità da reato degli enti collettivi: criteri di imputazione e tipologia delle sanzioni, in Riv. trim. dir. pen. ec., 2005 [2] A. COSSEDDU, Responsabilità da reato degli enti collettivi, cit. [3] G. MARINUCCI, La responsabilità penale delle persone giuridiche. Uno schizzo storico- dogmatico, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007. [4] DE SIMONE, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la ´parte generale´ e la ´parte speciale´ del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in AA.VV.; MUSCO, Diritto penale societario, Milano, 1999. [5] C. DE MAGLIE, Sanzioni pecuniarie e tecniche di controllo dell´impresa. Crisi e innovazioni nel diritto penale statunitense, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995; E. GILIOLI, La responsabilità penale delle persone giuridiche negli Stati Uniti: pene pecuniarie e modelli di organizzazione e di gestione (´Compliance programs´), in Cass. pen., 2003. [6] R. LOTTINI, La responsabilità penale delle persone giuridiche nel diritto inglese, Milano, 2005; D. PELLOSO, La responsabilità penale degli enti in Gran Bretagna. Alla ricerca di nuovi modelli di colpa. [7] G. ALPA e R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale parte generale, 2012 [8] FIORELLA, Responsabilità penale, Milano. [9] ANTOLISEI, Manuale di diritto penale parte generale, 2000. [10] BRICOLA, Il costo del principio ´societas delinquere non potest´ nell´attuale dimensione del fenomeno societario, in Riv. It. Dir. e proc. pen. [11] BRICOLA, Il costo del principio, cit. [12] G. ALPA e R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale, cit. [13] Sostenuta da MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale parte generale, Milano. [14] DE VERO, Struttura e natura giuridica dell´illecito di ente collettivo dipendente da reato. Luci ed ombre nell´attuazione della delega legislativa, in Riv. It. Dir. proc. pen., 2001. [15] G. ALPA e R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale, cit. [16] FRANCO DI SABATO, Manuale della società, 1999. [17] G. ALPA e R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale, cit. [18] DE VERO, Struttura e natura giuridica dell´illecito di ente collettivo dipendente da reato, cit.; [19] PULITANOgrave;, La responsabilità da reato degli enti i criteri d´imputazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002 [20] Cfr. G.I.P. Milano, 18 gennaio 2008, cit. in G. ALPA e R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale. [21] GROSSO, Sulla costituzione di parte civile nei confronti degli enti collettivi chiamati a rispondere ai sensi del d.lgs. 231 del 2001 davanti al giudice penale, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2004, pp. 1342-1345. [22] Cfr. Trib. Torino, 24 luglio 2008, cit. in G. ALPA e R.GAROFOLI, Manuale di diritto penale. [23] Cfr. Cass. pen., Sez. VI, 22 gennaio 2011, n. 2251. [24] A. Valsecchi, F. Viganò, Secondo la Corte di Giustizia UE, l´inammissibilità della costituzione di parte civile contro l´ente imputato ex d.lgs. 231/01 non è in contrasto col diritto dell´Unione, in diritto penale contemporaneo, 6 settembre 2012. [25] Cass. Pen., S.U., 24.5.2004, n. 29951: ´Nella formulazione dell´art. 240, 1 comma, cod. pen. per "profitto del reato" si deve intendere il vantaggio di natura economica che deriva dall´illecito, quale beneficio aggiunto di tipo patrimoniale .... Deve essere tenuta ferma, però, in ogni caso - per evitare un´estensione indiscriminata ed una dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, indiretto o mediato, che possa scaturire da un reato - l´esigenza di una diretta derivazione causale dall´attività del reo, intesa quale stretta relazione con la condotta illecita´. Confermata successivamente anche da Cass. Pen., S.U., 25.10.2005 n. 41936. [26] Orientamento confermato successivamente da Cass. Pen., S.U., 25.6.2009, n. 38691, che ha affermato che il ´profitto del reato deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata dal reato´, specificando che nel concetto di vantaggio non si deve ricomprendere ´l´utile netto o di reddito, bensì di beneficio aggiunto di tipo patrimoniale´; in aggiunta ´occorre ...una correlazione diretta del profitto con il reato ed una stretta affinità con l´oggetto di questo, escludendosi qualsiasi estensione indiscriminata o dilatazione indefinita ad ogni e qualsiasi vantaggio patrimoniale, che possa comunque scaturire, pur in difetto di un nesso diretto di causalità, dall´illecito´

Strage di Tunisi: responsabilità per Costa Crociere? Le dichiarazioni dei parenti delle vittime dell´attentato al Museo del Bardo riaccendono la polemica nei confronti del tour operator, ritenuto da molti responsabile dell´accaduto. L´ipotesi è giuridicamente ammissibile? Il terribile attentato al Museo del Bardo (Tunisi) e la conseguente morte di nostri connazionali ha parzialmente riaperto il dibattito su una possibile responsabilità di Costa Crociere per quanto avvenuto. Pur mancando, per le ovvie differenze, un movimento d´opinione simile al caso della Costa Concordia (per il quale la compagnia, oltre ad aver risarcito 84 milioni di euro, è stata condannata in solido col comandante Schettino per oltre 3 milioni di euro), nondimeno le famiglie delle vittime hanno paventato la possibilità di citare in giudizio il tour operator1, "colpevole" di non aver previsto il rischio dato che, nello stesso giorno, il Parlamento tunisino aveva in calendario l´approvazione di una normativa anti terrorismo. La pretesa, finora solo verbale, è, a nostro giudizio, priva di qualunque fondamento giuridico. Non esiste, infatti nel nostro ordinamento alcun appiglio che permetta di eccepire, nel caso concreto, una responsabilità di Costa Crociere e, per dimostrare tale assunto, è sufficiente dare uno sguardo alle principali fonti normative in materia di turismo, iniziando da quelle internazionali. Era il 1970, infatti, quando fu firmata a Bruxelles la Convenzione internazionale sul Contratto di Viaggio (CCV), poi ratificata con la legge n. 1084 del 27 settembre 1977, la quale recita all´art. 13 "l´organizzatore di viaggi risponde di qualunque pregiudizio causato al viaggiatore a motivo dell´inadempimento parziale o totale dei suoi obblighi di organizzazione[...]salvo che egli non provi di essersi comportato da organizzatore di viaggi diligente", per poi ribadire all´art. 27 che "l´organizzatore di viaggi o l´intermediario non possono avvalersi delle disposizioni[...]che escludono la responsabilità o limitano le indennità da loro dovute, quando il viaggiatore prova che un´inosservanza[...]è avvenuta con l´intenzione di provocare il danno o in modo implicante una mancanza deliberata di considerazione delle conseguenze pregiudizievoli che possono derivare da tale comportamento oppure un´ignoranza inescusabile di tali conseguenze".2 La Convenzione fissa dunque dei principi chiari ed evidenti: L´inadempimento parziale o totale degli obblighi di organizzazione

52

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


espone l´organizzatore all´onere di dover provare la propria diligenza per sottrarsi alla responsabilità;

L´esenzione da responsabilità è esclusa laddove il viaggiatore dimostri che il comportamento dell´organizzatore (o di soggetti a lui riconducibili ai sensi degli artt. 12 e 21) è stato, intenzionalmente o meno, causa diretta del danno in oggetto. La questione è dunque più lineare: si può ritenere Costa Crociere giuridicamente responsabile per inosservanza (essendo esclusa in partenza qualunque intenzionalità) di quanto avvenuto nel museo? E a quali condizioni? Si può ritenere "non diligente" il comportamento dell´organizzatore di viaggi o l´accaduto esula dal campo delle sue responsabilità? Per rispondere a queste domande è utile valutare un´altra, fondamentale fonte normativa, la direttiva 90/314/CEE3 del Consiglio che, ad oggi, costituisce insieme al Codice del Turismo (del quale parleremo più avanti) la più aggiornata disciplina in materia. Dopo aver sancito l´importanza di un´unificazione tendenziale delle normative dei singoli Stati in materia di turismo la direttiva recita all´art. 5 comma 2: " Per quanto riguarda i danni arrecati al consumatore dall´inadempimento o dalla cattiva esecuzione del contratto, gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché l´organizzatore e/o il venditore siano considerati responsabili, a meno che l´inadempimento o la cattiva esecuzione non siano imputabili né a colpa loro né a colpa di un altro prestatore di servizi in quanto: - le mancanze constatate nell´esecuzione del contratto sono imputabili al consumatore; - tali mancanze sono imputabili a un terzo estraneo alla fornitura delle prestazioni previste dal contratto e presentano un carattere imprevedibile o insormontabile;

Nel caso di specie appare evidente che non vi può essere a carico di Costa Crociere una qualunque forma di responsabilità in quanto l´avvenimento assume i connotati dell´imprevedibilità e dell´irrisolvibilità con l´impiego di tutta la necessaria diligenza, rilevando altresì che lo stesso Ministero degli Esteri, per il tramite del suo portale ufficiale viaggiaresicuri.it, non dettava raccomandazioni particolari per la visita di Tunisi se non l´uso di "rafforzata prudenza in alcuni quartieri periferici", diversamente da quanto fatto per le zone di confine con Libia e Algeria, alle quali era "fortemente sconsigliato" avvicinarsi. Per di più, anche ai sensi del Codice del Turismo (d.lgs n.79/2011), non si trovano valide giustificazioni che permettano di attribuire responsabilità all´organizzatore: il Codice, all´art. 44, stabilisce che, in materia di danno alla persona, "Ildanno derivante alla persona dall´inadempimento o dall´inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico e´ risarcibile secondo le norme stabilite dalle convenzioni internazionali, di cui sono parte l´Italia o l´Unione europea, che disciplinano le singole prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico, cosi´ come recepite nell´ordinamento italiano.", conformandosi dunque a quanto già espresso, per poi sancire all´art. 46 l´esonero di responsabilità "quando la mancata o inesatta esecuzione del contratto e´ imputabile al turista o e´ dipesa dal fatto di un terzo a carattere imprevedibile o inevitabile, ovvero da un caso fortuito o di forza maggiore." Alla luce delle considerazioni sopra esposte, non sarà possibile invocare il c.d. "danno da vacanza rovinata" ex art. 47, non sussistendone i presupposti formali e sostanziali.

- tali mancanze sono dovute a un caso di forza maggiore come definito all´articolo 4, paragrafo 6, secondo comma, punto ii), o ad un avvenimento che l´organizzatore e/o il venditore non potevano, con tutta la necessaria diligenza, prevedere o risolvere."

Autore Roberto Saglimbeni

Fonti e bibliografia Ribadendo ed ampliando i principi della CCV, l´art 5 stabilisce, col rimando all´art. 4 paragrafo 6, una soddisfacente definizione del "caso di forza maggiore", ovvero "circostanze esterne a chi le adduce, anormali e imprevedibili, le cui conseguenze non si sarebbero potute evitare nonostante ogni diligenza impiegata".

1 L’impiegata, l’informatico, l’ex autista e la pensionata: le quattro vittime italiane a Tunisi (la Stampa) 2 L’impiegata, l’informatico, l’ex autista e la pensionata: le quattro vittime italiane a Tunisi (Turismo Provincia di Trento) 3 Euro LEx

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

53


Polimorfismo del fenomeno dell´imprenditore occulto: analisi della figura e disciplina. L´imprenditore occulto e le più recenti teorie per l´imputazione dell´attività di impresa a tutela dei creditori. Interposizione fittizia, spendita del nome, actio mandati contraria, impresa fiancheggiatrice e altre. 1) Introduzione L´imputazione dell´attività di impresa è operazione di analisi giuridica che consiste nell´identificazione del soggetto centro di imputazione degli effetti giuridici, vale a dire delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive, che discendono dall´esercizio dell´impresa. Non si pongono problemi di riferibilità giuridica dell´impresa quando i relativi atti sono compiuti personalmente e direttamente dal reale interessato. Infatti, l´esercizio diretto dell´attività imprenditoriale determina una necessaria coincidenza tra l´autore materiale dei singoli atti di impresa e destinatario dei correlati effetti giuridici, nonché del soggetto il cui interesse è realmente perseguito nel traffico giuridico.

L´impresa indiretta od occulta è fattispecie che vede la partecipazione di due soggetti: Il prestanome od imprenditore formale: colui che all´esterno risulta essere l´intestatario dell´attività di impresa, in quanto compie gli atti di impresa spendendo il proprio nome. Il dominus o imprenditore occulto: colui che, per definizione, non esteriorizza la sua posizione, il quale, ufficiosamente, è il reale interessato all´attività di impresa. E' evidente la non coincidenza tra soggetto cui è formalmente imputabile l´attività di impresa e che, per tale ragione, assume la qualifica di imprenditore, e soggetto portatore dell´interesse effettivamente perseguito nell´esercizio dell´impresa. 3) La recente giurisprudenza in tema di imprenditore occulto

Risultato parallelamente opposto si realizza quando l´attività di impresa viene esercitata in via indiretta. In tale ipotesi si crea uno scollamento tra il piano fattuale e il piano, invece, effettuale, purché l´esercizio indiretto dell´impresa si esplichi entro i meccanismi legali di interposizione di persona. Si ripropone lo schema del mandato, al quale tipicamente si ricollega la dissociazione tra soggetto agente (mandatario) ed intestatario degli effetti giuridici degli atti posti in essere (mandante). Ovviamente, la trasposizione degli effetti dei singoli atti compiuti dal mandatario nella sfera giuridica del mandante è immediata nel caso in cui sia stato conferito anche il potere di rappresentanza, ai sensi dell´art. 1388 cod. civ., ovvero filtrato dall´obbligo di trasferimento degli effetti in capo al mandatario nel diverso caso di cui all´art. 1705 cod. civ.

Oltre alla criticità dei problemi che ruotano intorno alla figura dell´imprenditore occulto e che in primo luogo investono il ceto creditorio, più gravi dubbi affiorano quando si tratta di scovare, nella prassi, un simile espediente, considerata l´attitudine della figura ad annidarsi, sottilmente, in svariati fenomeni della realtà economica. E proprio in ragione di tali caratteri del fenomeno si spiegano le discordanti elaborazioni dottrinali e giurisprudenziali in materia, che hanno continuato a proliferare anche a distanza di anni della riforma del diritto fallimentare. Si tratta di una tendenza testimoniata dalla recentissima pronuncia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (15 gennaio 2015), ove si legge: ´Con l´espressione ´imprenditore occulto´ si fa riferimento all´orientamento teorico secondo cui, nell´ordinamento del diritto d´impresa, il criterio per l´acquisto della qualità di imprenditore e per la riferibilità dell´attività d´impresa non è il canone formale della spendita del nome ma quello sostanziale della titolarità effettiva dell´attività economica.´

2) L´interposizione fittizia

Nel ridefinire la figura dell´imprenditore occulto, il Tribunale prende le mosse da un assunto fondato sull´errato convincimento che principio che governa l´imputazione dell´attività di impresa nel nostro ordinamento sia, non già il principio formale della spendita del nome, quanto piuttosto il principio di effettività avente nell´art. 2082 cod. civ. base normativa. A sostegno della tesi vengono riportati una serie di indici normativi. Anzitutto viene citato l´art. 2267 cod. civ. che recita ´per leobbligazioni socialirispondono inoltre personalmente e solidalmentei soci che hanno

Tuttavia, l´esercizio mediato dell´attività di impresa, se svolto al di fuori degli strumenti civilistici della rappresentanza, può sfociare in una forma di interposizione fittizia (o anche detta reale), che nell´ambito del diritto commerciale viene convenzionalmente indicata come fenomeno dell´imprenditore occulto.

54

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci´. Il collegio, premettendo che la norma non distingue tra soci palesi e soci occulti, estende la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali anche ai soci occulti in quanto titolari dell´interesse imprenditoriale connesso all´esercizio dell´attività economica svolta. Il richiamo all´art. 2267 cod. civ. appare del tutto errato, in quanto travisa la ratio sottesa dalla norma. La responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali non dimostra l´esistenza di un criterio generale di imputazione legato alla titolarità dell´interesse economico, piuttosto si spiega considerando il principio di libertà delle forme che presidia alla costituzione delle società semplice. In particolare, tale principio, consentendo alla società semplice di costituirsi prescindendo da formalità - per facta concludentia, per verbis, per atto scritto non formalizzato - permette la nascita di enti societari deformalizzati, difficilmente rintracciabili in quanto sganciati da indici formali ed oggettivi. Unica forma di protezione che residua per i creditori, a fronte della libertà di forme, è l´estensione della responsabilità a tutti coloro che abbiano agito e comunque a coloro che partecipano all´attività di impresa. Inoltre, per non aggravare la posizione dei soci non amministratori, l´art. 2267 cod. civ. prevede la possibilità di derogare pattiziamente al regime di responsabilità illimitata, e assegna alla stessa carattere sussidiario, in quanto frappone lo schermo del beneficio di preventiva escussione (art. 2268 cod.civ.). Ancora la sentenza prosegue indicando, a riprova della preminenza del principio di titolarità dell´interesse imprenditoriale, l´art. 2208 cod. civ. che enuncia: ´L´institoreè personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per ilpreponente; tuttavia il terzo può agire anche contro il preponente per gli atti compiuti dall´institore, che siano pertinenti all´esercizio dell´impresa a cui è preposto´. Il Tribunale sostiene che la norma, prevedendo la responsabilità del preponente limitatamente ai debiti ´pertinenti´ all´esercizio dell´impresa, attribuisca rilevanza alla titolarità dell´interesse economico che, senza dubbio, si appunta in capo al titolare dell´impresa stessa. Invero l´art. 2208 cod. civ. riguarda la preposizione institoria, fenomeno affatto diverso dall´imprenditore occulto, sebbene nella sentenza sia ad esso assimilato in quanto forma di sostituzione giuridica nell´esercizio dell´impresa. Mentre l´imprenditore occulto attiene all´interposizione fittizia, al contrario l´institore è una delle figure previste dal sistema della rappresentanza commerciale. La norma, lungi dal fissare un criterio sostanziale di imputazione dell´attività di impresa, ribadisce il principio formale della spendita del nome allorché si risale alla ratio della disciplina codicistica. Ed infatti la responsabilità personale dell´institore che abbia omesso la contemplatio dominiè effetto coerente con il sistema della rappresentanza in generale. Se l´institore ha agito con i terzi, senza spendere il nome del preponente (effettivo titolare dell´impresa), sarà l´unico destinatario degli effetti giuridici degli atti posti in essere in proprio nome, in conformità con il principio della spendita del nome, principio secondo il quale intestatario degli effetti giuridici è il soggetto il cui nome sia stato validamente speso nel traffico giuridico. La responsabilità del preponente, invece, riposa sul nesso di pertinenza tra debiti contratti in proprio nome dall´institore e oggetto

dell´impresa. E quindi il preponente è responsabile, in solido con l´institore, in quanto, trattandosi di debiti inerenti all´impresa, verosimilmente il terzo contraente si immaginava che gli stessi fossero stati contratti nell´esercizio dell´attività economica e, come tali, coinvolgessero la sfera giuridico patrimoniale del preponente. 4) Imputazione dell´attività d´impresa: il principio di formale spendita del nome Pertanto, il principio che governa l´imputazione dell´attività di impresa non è il principio dell´interesse effettivo - imprenditore è colui il cui interesse è effettivamente perseguito nel traffico giuridico bensì il principio formale della spendita del nome, sul quale si basa il sistema codicistico della rappresentanza. Ed è proprio la vigenza di un simile principio che in passato ha reso difficile affermare la responsabilità patrimoniale e la fallibilità dell´imprenditore occulto per i debiti contratti formalmente dal prestanome. L´applicazione rigorosa del principio precluderebbe di risalire all´imprenditore occulto, poiché esternamente si rinviene solo l´imprenditore palese (il prestanome) che esercita l´attività economica in nome proprio e che, di conseguenza, è intestatario dei relativi effetti giuridici. In quanto imprenditore formale, il prestanome, in caso di insolvenza, potrà certamente essere dichiarato fallito dato che i debiti sono a lui giuridicamente riferibili, ma di regola il c.d. uomo di paglia possiede un patrimonio modesto. Ed infatti è proprio la non proporzionalità tra la mole dei debiti accumulati dal prestanome e la consistenza del suo patrimonio personale a fare da spia circa la provenienza aliunde dei mezzi finanziari utilizzati nell´esercizio dell´impresa, e dunque dell´esistenza di un secondo soggetto che opera nell´ombra ma che è l´effettivo titolare dell´impresa. E pur nel sospetto della presenza dell´imprenditore occulto, quest´ultimo non potrebbe essere chiamato a rispondere dei debiti del prestanome, in quanto ´debiti formalmente altrui´, posto che l´art. 2740 cod. civ. codifica il principio di personalità e universalità della responsabilità patrimoniale. Per non tradire il principio della spendita del nome e, al contempo, fondare la responsabilità dell´imprenditore occulto, si ricorre alla tecnica dell´actio mandati contraria prevista dall´art. 1719 cod.civ. 5) Quando la responsabilità è additabile al prestanome: l´actio mandati contraria ex 1719 cc. In sintesi, si abbandonano le tradizionali teoria del potere di impresa (v. in nota Ferri) e dell´imprenditore occulto di Bigiavi (costruita quest´ultima teoria sull´art. 147 l. fall. , vecchio testo) per approdare

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

55


alla ricostruzione della fattispecie in termini di mandato. Il prestanome o imprenditore palese si atteggia quale mandatario senza rappresentanza, che, sebbene agisce in proprio nome ed assume i diritti e gli obblighi dell´attività svolta, persegue l´interesse di altro soggetto, il mandante. Quest´ultimo è il dominus dell´affare che conferisce al mandante i mezzi per l´esecuzione del mandato. Se il rapporto tra prestanome e imprenditore occulto si tramuta nella veste del mandato, si giustifica la responsabilità del dominus in applicazione dell´art. 1719 cod. civ.: ´Il mandante, salvopatto contrario, è tenuto a somministrare(1)al mandatario i mezzi necessari per l´esecuzione del mandatoe per l´adempimento delle obbligazioni che a tal fine il mandatario ha contratte in proprio nome´. L´actio mandati contraria è l´azione che il mandatario può esperire nei confronti del mandante per ricevere da quest´ultimo i mezzi necessari per l´adempimento del mandato. Trasfondendo tale norma sul piano imprenditoriale, dichiarato il fallimento dell´imprenditore palese, sarà possibile dichiarare il fallimento dell´imprenditore occulto in quanto tenuto, al pari di un mandante, a rimborsare le spese ed a risarcire i danni conseguiti dall´esecuzione del mandato. Con una simile tecnica la responsabilità patrimoniale migra dal prestanome al dominus sulla base della causa giuridica ricostruita nel mandato. Si specifica che la tecnica antiabusiva dell´actio mandati contraria è adoperabile quando prestanome ed imprenditore occulto siano entrambi persone fisiche e non quando tra loro è configurabile un rapporto societario, laddove troverebbe applicazione il meccanismo del fallimento in estensione disciplinato dall´art. 147 l. fall. che al quarto e quinto comma regola, rispettivamente, il fallimento di socio occulto di società palese e il fallimento di socio occulto di società occulta. Inoltre, il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha riformato il testo della norma circoscrivendone l´ambito di operatività. Il fallimento in estensione si applica soltanto qualora dichiarati falliti siano uno dei tipi societari regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, ossia società di persone e società in accomandita per azioni. I tipi menzionati sono infatti gli unici regimi societari caratterizzati dalla responsabilità illimitata di tutti, o alcuni, dei soci. Nell´attuale sistema normativo si crea un vuoto di tutela per la categoria dei creditori qualora si intenda rintracciare l´esistenza di un imprenditore occulto, sia esso persona fisica o società di fatto, rispetto alle società di capitali o, più esattamente, nel caso di abuso del dominio su una società di capitali. 6) La fallibilità del socio occulto di società di capi-

56

tali: la teoria dell´impresa fiancheggiatrice. A tal fine, la giurisprudenza per fondare la responsabilità personale e la fallibilità di colui che abusi della posizione dominante su una società di capitali, e per reprimere l´utilizzo abusivo dello schermo societario, rigettando qualsiasi criteri sostanziale di imputazione, ha adottato la teoria dell´impresa fiancheggiatrice. Dopo aver stigmatizzato i comportamenti del socio detentore di una posizione dominante (sistematico finanziamento della società attraverso prestiti o prestazione di garanzie, direzione di fatto dell´attività sociale), si giunge a sostenere che, qualora la condotta abusiva sia tale da integrare i requisiti dell´imprenditorialità ex art. 2082 cod. civ., al punto da poter intestare a capo del socio un´autonoma attività di impresa, avente ad oggetto il finanziamento o la gestione parallela della società di capitali dominata, il socio risponderà in qualità di imprenditore commerciale delle obbligazioni da lui contratte nell´esercizio dell´attività collaterale e, se insolvente, potrà essere dichiarato fallito. La teoria appresta tutela soltanto ai creditori dell´impresa fiancheggiatrice facente capo al socio dominante ed a quei creditori dell´impresa principale c.d. forti, i quali - essendo a conoscenza dell´impresa parallela - si sono fatti rilasciare garanzie dal socio costituendosi un titolo giuridico per agire giudizialmente contro lo stesso. Di conseguenza la teoria dell´impresa fiancheggiatrice è carente sotto un duplice aspetto. In primo luogo, la tutela offerta non si estende a tutti i creditori della società dominata, rimanendone sprovvisti coloro che hanno contrattato esclusivamente con la società principale, ignari dell´impresa collaterale. In secondo luogo, l´applicazione della teoria è subordinata al preventivo accertamento di un´autonoma attività imprenditoriale riferibile al socio od ai soci dominanti. Nell´intento di superare i limiti della teoria dell´impresa fiancheggiatrice, si è proposto di inquadrare la condotta di abuso del dominio su società di capitali nella forma dell´attività di direzione e coordinamento esercitata in modo difforme dai principi di corretta gestione, invocando la responsabilità di cui all´art. 2497 cod. civ.: ´Le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società agiscono nell´interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all´integrità del patrimonio della società´. Attraverso l´appiglio normativo dell´art. 2497 cod. civ. è praticabile una via più agevole per sanzionare l´attività abusiva di direzione. Ogni qual volta l´attività di direzione e coordinamento è esercitata perseguendo un interesse non conforme a quello della società dominata ed in violazione delle regole di comportamento, l´imprenditore abusivo sarà responsabile sia verso i soci che verso i creditori sociali. La responsabilità sussiste a prescindere dalla circostanza che l´attività abusiva sia stata esercitata spendendo il nome del dominus, e quindi anche in assenza di qualsiasi rapporto negoziale con i creditori della società eterodiretta, in quanto la stessa è strumentale al risarcimento del danno patrimoniale subito dai creditori sociali quale effetto riflesso dell´abusivo esercizio del potere di direzione e coordinamento. Tuttavia ciò non determina

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


l´automatica fallibilità del dominus, essendo possibile che l´attività abusiva non integri un´autonoma attività di impresa. Qualora si dimostri che il dominio abusivo rivesta i requisiti tipici dell´art. 2082 cod. civ., e nel caso di insolvenza, il dominus potrà essere esposto a fallimento, procedura cui potranno insinuarsi tutti i creditori della società abusivamente dominate, in concorso con i creditori personali. Autrice Flavia Piccione Bibliografia G. Ferri, Manuale, sostiene la teoria del potere d´impresa : «imprenditore è e rimane il prestanome, così come nella società di persone e nella società con unico azionista, imprenditore è la società, e non i soci o l´azionista unico. Tuttavia in quanto chi esercita il potere di gestione e assume il rischio dell´impresa è colui che sta dietro e il prestanome è un puro strumento materiale per la realizzazione della sua volontà, la responsabilità di impresa ricade anche su di lui, così come ricade sui soci di una società di persone o sull´unico azionista» Bigiavi, L´imprenditore occulto 1954 F. Fimmanò ´Il fallimento del dominus abusivo ed il crepuscolo del socio tiranno´ Gian Franco Campobasso, Diritto commerciale, 1. Diritto dell´impresa.

L´astreinte (art. 614 bis cpc) applicato ad un caso di ingiurie su Facebook: l´analisi dell´ordinanza del Tribunale e dell´istituto. L´astreinte, istituto di origine francese, è stato introdotto nel nostro ordinamento dalla l. n. 69/2009 e recentemente applicato in un´ordinanza del Tribunale di Reggio Emilia per far cancellare varie ingiurie pubblicate su Facebook e inibire la prosecuzione dell´illecito. Analizzando l´ordinanza si cercherà di far luce sui diversi lati oscuri che ancora l´istituto riserva. Premessa Una recente pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia - allegata in fondo all´articolo e qui analizzata - ha riacceso l´interesse degli operatori sull´ambito applicativo dell´art. 614 bis c.p.c. introdotto dalla l. 18 giugno 2009 n. 69.

L´ordinanza di accoglimento dell´astreinte Nel caso in esame (1), il Giudice dott.ssa Chiara Zompì, ha accolto l´istanza cautelare ex art. 700 c.p.c. della ricorrente volta ad inibire ai resistenti l´indebita pubblicazione sulla piattaforma Facebook dei post dal contenuto offensivo e diffamatorio, ordinando ai medesimi resistenti l´immediata cessazione e rimozione di tutte le pubblicazioni a contenuto ingiurioso e diffamatorio nei confronti della ricorrente sulla piattaforma Facebook o su altri social network, fissando inoltre, visto l´art. 614 bis c.p.c., in euro; 100,00 la somma di denaro dovuta dagli obbligati per ogni violazione o inosservanza dell´ordine che precede nonché per ogni giorno di ritardo nell´esecuzione del provvedimento.

La disposizione in esame, relativa all´attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, introduce la possibilità di fissare, con il provvedimento di condanna, una somma di denaro dovuta dall´obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell´esecuzione del provvedimento. Il provvedimento viene reso su istanza della parte interessata, a carico del debitore, e costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme a tale titolo dovute. La misura verrà applicata, da parte del giudice, ´tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile´, e comunque ´ove ciò non sia manifestamente iniquo´. Restano escluse dall´ambito di applicazione della norma le controversie di cui all´art. 409 c.p.c.. Viene quindi introdotto nell´ordinamento italiano un meccanismo simile alle astreintes: in pratica la cosiddetta coercizione indiretta. La misura coercitiva indiretta viene comunque ad

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

57


innestarsi in un ambito limitato, quale quello dell´attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare. L´astreinte non può, quindi, assistere una condanna al pagamento di somme, ad una prestazione di fare fungibile, ovvero alla consegna o al rilascio. Diversamente opinando, si duplicherebbero le voci di danno in favore del creditore, al quale verrebbero riconosciute sia l´utilità originaria che la somma dovuta a titolo di pena pecuniaria per l´inadempimento. Il giudice deve, inoltre, rigettare l´istanza in tutti i casi in cui sussiste la possibilità di un´esecuzione forzata diretta, nelle forme tipiche di cui agli artt. 612 e 614 c.p.c..

L´astreinte nel dettaglio Circa la natura del provvedimento in questione, se cioè debba ritenersi esclusivamente compulsiva o se possa rivestire caratteri indennitari o risarcitori, non vi è dubbio sulla preminente funzione di mezzo di coazione psicologica. L´astreinte ha lo scopo di costringere il debitore soccombente a dare attuazione alla decisione del giudice, sanzionandolo in caso di disobbedienza. Il meccanismo dell´art. 614 bis è stato qualificato, dal punto di vista indennitario/risarcitorio, come misura di coazione volta a rendere effettiva l´esecuzione del provvedimento (Tribunale di Terni, ordinanza, 0408-2009), oppure come misura volta ad assicurare l´attuazione sollecita del provvedimento, funzionale a favorire la conformazione a diritto della condotta della parte inadempiente e conseguentemente ad evitare la produzione del danno o quanto meno a ridurre l´entità del possibile pregiudizio di fronte al perdurare dell´inadempimento (2). In ogni caso, diversamente da un´azione risarcitoria, la quantificazione monetaria avviene prima dell´eventuale verificarsi dell´inadempimento e prescinde dalla prova o anche solo dalla rappresentazione di un danno futuro. Anche se tra i parametri di misurazione è incluso il criterio del ´danno quantificato o prevedibile´, ciò non è sufficiente ad attribuirle una concorrente funzione indennitaria, perché la somma dovuta non è diretta a ´scontare´ il danno, né è ricompresa nell´importo risarcitorio, confondendosi con esso: si tratta di due importi autonomi e separati, ognuno con la propria causale ed il proprio scopo, per cui il ´denaro coercitivo´ si somma al ´denaro risarcitorio´ (3).

e quelli possessori. Secondo taluni autori (4), la causa dell´esclusione va ricercata nel fatto che essi non rientrano nel novero delle pronunce di condanna, ritenendo tali, agli effetti dell´art. 614 bis, solo i provvedimenti suscettibili di passare in giudicato e notando che i provvedimenti cautelari «si attuano nelle forme degli art. 491 ss. c.p.c., ma in tale attuazione non si concretizza una esecuzione in senso proprio come invece per le vere condanne». La possibilità di includere tra i provvedimenti di cui all´art. 614 bis i provvedimenti cautelari è invece riconosciuta dalla dottrina maggioritaria (5)e dalla giurisprudenza (6), sul presupposto che i provvedimenti emessi in via cautelare, quando sono idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, acquistano efficacia definitiva, poiché l´instaurazione del giudizio di merito è meramente facoltativa. Riconosciuta la loro possibile attitudine alla stabilità, il Giudice accorda il rimedio cautelare e fissa una somma, ex art. 614 bis cod. proc. civ., per ogni giorno di eventuale ritardo nell´esecuzione della misura. La misura coercitiva sarebbe così idonea realizzare la piena soddisfazione dell´interesse tutelato, scongiurerebbe l´introduzione del giudizio di merito e realizzerebbe le finalità deflattive di cui all´art. 669 octies c.p.c., assicurando la pronta e pratica attuazione del provvedimento cautelare. Autrice Angela Cuofano Bibliografia (1) TRIB. REGGIO EMILIA, ordinanza 15.04.2015, F.M. [avv. Stefano Manfreda] contro G.I, N.G. [contumaci] (2) Tribunale di Cagliari, ordinanza, 19-10-2009, in Giur.merito, 2010, 398 ss., con nota di LOMBARDI,Il nuovo art. 614-bis cod. proc. civ.: l´astreinte quale misura accessoria ai provvedimenti cautelari ex art. 700 cod. proc. civ. (3) AMADEI, Una misura coercitiva generale per l´esecuzione degli obblighi infungibili, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2010, 343 ss. (4) CHIZZINI, in AA.VV.,La riforma della giustizia civile. Commento alle disposizioni della legge sul processo civile n. 69/2009, Utet, 2009, sub art. 614 bis. (5) PROTO PISANI,Appunti sulla tutela di condanna (trentacinque anni dopo), 2010, V, 265; GIORDANOLOMBARDI,Il nuovo processo civile, Roma, 2009, 140; MANDRIOLI-CARRATTA,Come cambia il processo civile, Torino, 2009, 97; LOMBARDI,Il nuovo art. 614 bis c.p.c.: l´«astreinte» quale misura accessoria ai provvedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c.(nota a Trib. Cagliari 19 ottobre 2009), in Giur. merito, 2010, 398; MERLIN,Prime note sul sistema delle misure coercitive pecuniarie per l´attuazione degli obblighi infungibili nella l. 69/09, in Riv. dir. proc., 2009, 1548;GAMBINERI,Attuazione degli obblighi di fare infungibile o di non fare, in Foro it., 2009, IV, 323. DE STEFANO,Note a prima lettura della riforma del 2009 delle norme sul processo esecutivo ed in particolare dell´art. 614 bis c.p.c., in Riv. esecuzione forzata, 2009, 534. (6) TRIB. BARI,10.5.2011 n. 356; TRIB.CAGLIARI, 19.10.2009 (ord.), in Giur.merito, 2010, 398 ss., con nota di LOMBARDI; TRIB.TERNI, 6.8.2009, in Foro it., 2011, 287, nonché in Giur. it., 2010, 637 con nota di MAZZAMUTO

Tra gli aspetti più discussi rientra certamente l´ambito di applicazione della nuova disposizione, con speciale riguardo alla possibilità di includere tra i ´provvedimenti di condanna´ anche le pronunce cautelari e nunciatorie, compresi i decreti emessi inaudita altera parte ex art. 669 sexies cod. proc. civ. e quelli urgenti di cui all´ art. 700 cod. proc. civ.,

58

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


La costituzione del trust a favore dei disabili e degli altri soggetti deboli Quante volte ci siamo domandati come possiamo tutelare al meglio il nostro patrimonio? Non restando chiusi nel nostro sistema giuridico, ma utilizzando un istituto d´oltralpe è possibile tutelare e destinare la nostra disponibilità patrimoniale per diverse finalità, anche in funzione dei soggetti più deboli, i quali necessitano di una maggiore protezione giuridica. ´E' più facile che un povero cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco comparatista comprenda il sistema della trascrizione!´[1],così conclude Gazzoni all´interno di una delle sue maggiori opere, sottolineando le difficoltà che incontra un trust al momento della sua trascrizione.

quindi illecito, se il trust viola norme inderogabili. Queste ipotesi di contrasto sono disciplinate dall´art. 13 della Convenzione stessa, secondo cui è nullo il trust che si pone in contrasto con principi cardine dell´ordinamento giuridico nazionale[6].

Il trust è un istituto giuridico tipico degli ordinamenti di origine anglosassone, il quale, data la sua duttilità e flessibilità, è stato recepito anche all´interno degli ordinamenti di tradizione romanistica. Tuttavia, se pur tale istituto trova la sua piena legittimazione giuridica nella ´Convenzione dell´Aja del 1 luglio del 1985 sulla legge applicabile ai trust ed al loro riconoscimento´ avvenuta con la legge del 16 ottobre 1989 n. 364, ed entrata in vigore il 1 gennaio 1992[2], sussistono ancora dei problemi circa il suo perfetto riconoscimento nel nostro ordinamento giuridico[3].

Tra le diverse costituzioni di un trust, vi è il trust in favore deisoggetti deboli.

Molti cultori del diritto si approcciano al trust con diffidenza, in quanto tale istituto è considerato uno strumento fraudolento, creato solo per eludere le norme giuridiche. In realtà, il problema non è il trust, ma i professionisti che lo utilizzano in modo improprio, come d´ altronde potrebbe accadere usando in modo improprio un qualsiasi altro istituito giuridico tipico. Esso determina un vincolo di destinazione al patrimonio conferito, che lo pone al riparo dalle possibili pretese dei creditori personali e degli eredi del disponente come deltrustee. Dunque, l´accordo fiduciario (assistito dall´opponibilità ai terzi) e la destinazione funzionale (o l´investitura) impressa ad un diritto sono i fondamenti imprescindibili dell´istituto. Il trust ha la funzione di creare una segregazione patrimoniale[4]garantendo una maggiore tutela del patrimonio o degli stessi interessi a carattere patrimoniale. Sostanzialmente, è la segregazione patrimoniale che permette ad un soggetto di soddisfare esigenze ed interessi economici non altrimenti realizzabili con altri istituti di diritto interno[5]. Infatti, parte della dottrina mette in luce come una delle funzioni se non proprio quella principale - del trust, è quella di trasmettere il patrimonio a determinati soggetti. Il ricorso al trust, pertanto, deve ritenersi ammissibile quando il fine (lecito) concretamente perseguito non può realizzarsi mediante uno degli istituti disciplinati dall´ordinamento giuridico; di contro, si considera vietato, e

Il quadro delle misure a protezione dei soggetti deboli si compone, oggi, di strumenti diversi per presupposti, modalità operative ed effetti. Costituendo un trust in favore dei disabili, i ruoli dei soggetti possono combinarsi in maniera differente e, sicuramente, in modo più flessibile. Esso permette di vincolare determinati beni affinché le utilità da essi traibili siano destinate all´esclusivo interesse della persona debole, secondo il programma e le indicazioni fissate dal disponente nell´atto istitutivo. Dà la possibilità di tutelare anche i genitori disponenti come gli altri eventuali figli, realizzando una vera e propria pianificazione a tutela della famiglia nel suo complesso. I vantaggi di scegliere un trust, rispetto ai metodi tradizionali previsti dal nostro codice civile, sono molteplici[7]. In primo luogo, occorre notare che il trust non consiste in una attribuzione diretta di un bene al beneficiario (al pari di quanto normalmente accade, ad esempio, con un lascito testamentario o con una donazione). Ciò comporta la possibilità di ricorrere ad un procedimento più semplice rispetto all´attivazione di una misura codicistica che preveda il ricorso all´autorità giudiziaria. La mera stipula di un atto istitutivo permetterebbe ai genitori, o a soggetti che volessero provvedere alla tutela di una persona in difficoltà, di prevedere un´attribuzione di beni di cui sia beneficiario il disabile ed amministratore una persona di fiducia perfettamente capace. Nell´atto di trust, i disponenti potrebbero dettare le regole per la

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

59


successione e la sostituzione deltrustee,veicolando la scelta ugualmente su una persona di loro fiducia. Tale potere si configura in maniera diversa se iltrusteeè un tutore o un amministratore di sostegno; si ha, inoltre, l´opportunità della pianificazione familiare, con una composizione dei vari interessi coinvolti. Esso permette di risolvere il problema della gestione di un patrimonio, la cui destinazione sia a vantaggio di un soggetto disabile, ma senza poter attribuire a lui la titolarità e l´amministrazione dei beni interessati. E' possibile che il disponente si riservi di nominare successivamente, nel corso della durata del trust, con atto autentico o testamento, ulteriori beneficiari o di modificarli: scegliendo tale ipotesi, egli avrebbe la possibilità di monitorare nel tempo i comportamenti e le situazioni relative ai soggetti che intende effettivamente beneficiare. Un altro beneficio derivante dalla scelta della costituzione di un trust, anziché la scelta di attuare una misura di tipica di protezione, è che l´istituto angloamericano garantisce la possibilità di designare i beneficiari del reddito (ad esempio, il soggetto disabile) e beneficiari finali (ad esempio, gli altri eventuali coeredi, i fratelli ecc.), favorendo in momenti differenti diversi soggetti. Può, tuttavia, talvolta capitare che il disponente nomini sé stesso beneficiario qualora sia in grado di intendere e di volere ed in vista della propria futura - eventuale - incapacità, o, ancora, che designi sé stesso qualetrustee.Rispetto alla designazione di cui all´art. 408 cod. civ., l´istituzione di un trust permette di destinare beni contando sull´operatività del vincolo e la segregazione patrimoniale. Inoltre, la disciplina italiana di tutela dell´incapace è basata sul sistema dell´autorizzazione "atto per atto", manca, quindi, una visione complessiva e programmatica della gestione; questo, invece, è l´aspetto peculiare del trust che si caratterizza anche per la presenza di un soggetto deputato ad attuarla. Vi è anche la possibilità che l´istituzione del trust si configuri come attointer vivoscon effettipost mortem, nel quale l´evento della morte (dei disponenti) si inserisce come termine di efficacia dell´attribuzione. Il ricorso al trust, considerando le diverse scansioni temporali e che si tratta di un atto di autonomia privata attraverso il quale si può tener conto delle diverse esigenze del soggetto debole, permette ai genitori di provvedere per il"dopo di noi",per quando non potranno più assistere personalmente il loro congiunto, anche nei momenti più pratici della vita quotidiana: la residenzialità del disabile, l´organizzazione della sua vita di relazione, la destinazione delle risorse economiche in suo favore.

60

Un altro elemento importante che caratterizza il trust in favore del disabile è, certamente, il costo di istituzione e di gestione che sarà sicuramente più contenuto, soprattutto se lo si confronta con l´ulteriore possibilità di istituire un soggetto autonomo, ad esempio, come una fondazione fiduciaria nell´interesse del beneficiario. Infine, i beni conferiti intrustsono individuati e non riguardano necessariamente tutto il patrimonio del disponente: ciò consente di mantenere eventualmente nella sua personale disponibilità altri beni che gli garantiscano una autonoma gestione della sua vita quotidiana. Non è da escludere la convivenza con altri strumenti già previsti dallo strumentario codicistico, per esempio la possibilità per il disponente di conferire la nuda proprietà di un bene, riservandosene l´usufrutto. Tuttavia, possono collegarsi alla costituzione di un trust in funzione di tutela dei soggetti deboli anche situazioni svantaggiose[8]. Innanzitutto, bisogna tener conto dell´art. 15 della Convenzione de L´Aja che espressamente stabilisce l´inderogabilità delle normative in materia di protezione di minori e degli incapaci; gli elementi, pertanto, che determinano un disfavore sono, in primo luogo, la perdita del diritto da parte del disponente, non compensata da un immediato e corrispondente arricchimento del beneficiario. L´aspetto pratico che risalta di più, per chi voglia procedere all´istituzione di untrustin favore di un proprio congiunto, è la perdita della titolarità del diritto del disponente che, nell´immediato, viene attribuito non al soggetto beneficiario ma ad un "terzo" (iltrustee) amministratore. Per quanto riguarda le norme dettate dal codice civile la possibilità di attribuire beni per il periodo successivo alla morte si realizza attraverso il testamento. Anche se si tratta di un atto revocabileusque ad supremum vitae exitum(art. 587 cod. civ.) l´attribuzione della titolarità dei beni agli eredi è immediata, cosa che invece non avviene nel trust in quanto il disponente esce subito di scena dopo l´istituzione deltrust e la titolarità dei beni spetta altrustee. Tuttavia è necessario considerare che iltrusteeè scelto in base ad un rapporto fiduciario tra persone nelle quali il disponente può riporre non solo la massima fiducia, ma che fornisce garanzia di essere al riparo da possibili azioni esecutive di creditori. Può essere scelto cometrusteelo stesso disponente o un congiunto stretto. Inoltre, idisponenti possono riservarsila possibilitàdi poter nominare dei guardiani, i quali hanno diritto di veto sull´operato deltrusteeo di sua sostituzione. Itrusteepossono essere nominati nel numero di due o più, con necessità di compiere congiuntamente tutti gli atti di straordinaria amministrazione, per garantire - insieme a quello del guardiano - anche un reciproco controllo e una maggiore ponderazione delle scelte. Ancora, nell´atto istitutivo può prevedersi che, previa autorizzazione del giudice tutelare del competente Tribunale, il beneficiario abbia facoltà di porre anticipatamente fine altrust, per ottenere eventualmente e direttamente i beni; si tratta di principio da tempo affermato nella legge inglese, che ha rilevanza anche, dal punto di vista dei diritti successori. In secondo luogo, un altro elemento che desta problemi per la costituzione di un trust per i soggetti deboli è latuteladella legittima[9].

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Uno dei problemi più discussi è sicuramente quello della quota indisponibile, in quanto nell´oggetto del trasferimento altrusteeo lo stesso oggetto del trasferimento, può consistere nei beni che fanno parte della legittima.

le´[10]. Il trust successorio lesivo della legittima non è nullo ma inefficace nei limiti delle disposizioni pregiudizievoli e nei confronti del legittimario pretermesso una volta esperita l´azione di riduzione.

Qui si pone un problema di protezione sia dei soggetti diversi dal soggetto debole, che abbiano diritto a succedere al disponente, sia dituteladella sfera giuridica dello stesso beneficiario disabile, eventualmente leso dal trasferimento altrusteedei beni amministrati in suo favore e dei quali durante iltrust percepisca le utilità.

In ultimo,the least but not the last,sorge il problema delle autorizzazioni.

E' evidente che si tratta di problemi che l´istituzione di untrustpone ogni qual volta si crea e che si consiglia di prevenire con una attenta formulazione dell´atto istitutivo; tuttavia, essi, assumono una connotazione particolare nel caso ditrustin favore di soggetti deboli. Per quanto riguarda il problema della tutela del soggetto diverso da quello debole si conviene che la destinazione di somme, ad esempio, da parte dei genitori disponenti al figlio disabile potrebbe essere considerata non come donazione - soggetta a riduzione animata da spirito di liberalità, ma quale adempimento dell´obbligo di mantenimento e di assistenza. Nei confronti dei fratelli eventualmente lesi da queste attribuzioni potrebbe, altresì, profilarsi un´anticipazione dell´obbligo di prestazione degli alimenti ai quali questi sarebbero tenuti alla morte dei genitori. La devoluzione dei beni altrustcomporterebbe non un ostacolo definitivo all´attribuzione di beni a questi soggetti, ma solo un differimento nel tempo, in quanto questi ultimi potrebbero essere contemplati nell´atto istitutivo quali beneficiari finali. Quanto alla posizione del beneficiario-disabile, egli è titolare del diritto alla percezione delle utilità e delle rendite derivanti dai beni gestiti daltrustee.Per quanto concerne i possibili profili di lesione della legittima a lui spettante, anche egli può vantare il diritto di conseguire materialmente la titolarità dei beni corrispondenti alla quota a lui attribuita tenendo presente che l´art. 549 cod. civ.stabilisce il divieto di imporre pesi o condizioni sulla quota legittima. Quindi, anche il beneficiario-disabile può esercitare l´azione di riduzione. Al beneficiario che si riconoscere la facoltà di esercitare l´azione di riduzione, si aggiunge la possibilità di considerare il disposto dell´art. 551 cod. civ.. In base a tale articolo il beneficiario-disabile potrebbe, considerando iltrust in suo favore come legato in sostituzione di legittima, scegliere di conseguire le rendite, così perdendo il diritto a chiedere un supplemento nel caso in cui il valore del suddetto legato sia inferiore alla legittima e rinunciando in sostanza all´acquisto della qualità di erede e all´esercizio dell´azione di riduzione. Si è detto, inoltre, che nell´atto istitutivo può prevedersi la facoltà per il beneficiario (del reddito, non anche i beneficiari finali), previa autorizzazione del giudice tutelare del competente tribunale, di porre anticipatamente fine altrust, per ottenere eventualmente e direttamente i beni. In linea di principio, i diritti dei legittimari non possono essere lesi con la costituzione dei trust. Se questo è un dato di partenza di solare evidenza si conclude che il trust è utilizzabile ai fini successori solo per la parte residua del patrimonio ovvero per la ´disponibi-

Quando ci si sofferma sullo studio di tale problema, si fa riferimento al compimento di atti di straordinaria amministrazione nell´ambito della gestione di untrustavente come beneficiario un minore o un incapace: è necessario per iltrusteerichiedere sempre le autorizzazioni prescritte dagli artt. 320 c.c., 374 c.c. e 747 c.p.c.? In teoria, ove la soluzione deltrustsia stata l´unica scelta per provvedere a tutelare soggetti deboli, le regole sulla protezione degli incapaci previste dal nostro ordinamento non verranno in considerazione. Tuttavia, si discute sull´applicazione analogica, in relazione all´identità diratio,dei diversi provvedimenti; soprattutto, dovrà riflettersi se le norme imperative in materia di protezione degli incapaci, cui fa riferimento la norma convenzionale (art. 15 Conv.), siano da identificarsi con quelle relative al regime autorizzatorio. Il punto centrale, oggetto della riflessione è se, considerato il generale riconoscimento della necessità del rispetto del regime autorizzatorio, l´autorizzazione di volta in volta possa essere evitata con una precisa scelta del disponente nell´atto istitutivo. Sulla base del combinato disposto degli artt.169e 356cod. civ., in materia di fondo patrimoniale e donazione o disposizione testamentaria a favore di minore, si prevede nella sostanza di effettuare una liberalità in favore di un incapace "disponendo altrimenti" rispetto alle autorizzazioni previste dagli artt. 374 e 375 cod. civ. Se il parametro di riferimento per valutare la natura precettiva ed inderogabile della complessa disciplina in materia ditutelaè, appunto, la protezione degli incapaci, dovrà considerarsi valida la possibilità del disponente di poter definire nell´atto istitutivo i poteri deltrusteecon riferimento ad atti particolarmente incidenti sul patrimonio destinato al beneficiario, quali quelli di straordinaria amministrazione, senza, invece, dover appesantire la gestione ordinaria. In effetti, l´amministrazione deltrustee, sebbene legittimata da una titolarità piena, non può essere, per sua stessa natura, che vincolata. Accedendo all´idea che non è necessario di volta in volta un controllo giudiziarioexart 374-375 c.c., potrebbe, tuttavia, considerarsi necessario per il disponente introdurre un quarto soggetto: il guardiano, che come sappiamo ha il compito di vigilare sulla corretta esecuzione da parte deltrustee-

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

61


della volontà del disponente, ovvero, della realizzazione deldeed of trust, e di essere sempre interpellato daltrusteeprima del compimento di determinati atti. Ovviamente sussistono differenze tra l´autorizzazione giudiziaria e il semplice consenso preventivo del guardiano. Il consenso del guardiano si può iscrivere entro i confini dell´art. 1379 cod. civ., che regola un divieto di alienazione di natura convenzionale (applicabile all´atto istitutivo ditrustexart. 1324 cod. civ.) e, dunque, obbligatoria, con la conseguenza che la mancata concessione del consenso del guardiano ed il compimento dell´atto da parte deltrusteein assenza della suddetta autorizzazione legittimerà il beneficiario ad agire contro iltrusteesolo in via risarcitoria. L´atto deltrusteecompiuto senza le necessarie autorizzazioni giudiziali sarà, invece, annullabile, su istanza del beneficiario,exart. 322 cod. civ. Va da sé che nel trust per la tutela dei soggetti deboli, la prospettiva deltrusteeè sempre quella della centralità della persona umana e delle sue aspirazioni. Egli dovrà rispondere ad un´impellenza di protezione, che va ben oltre il patrimonio e gli interessi economici del soggetto debole, ma dovrà, piuttosto, avere riguardo alla dimensione affettiva, emotiva e sociale di quest´ultimo. Nella designazione deltrusteeassumono, pertanto, rilevanza le relazioni parentali, ma anche il vicinato, quali conoscenze e frequentazioni che il beneficiario ha coltivato nel tempo, relazioni fondate normalmente su un tessuto di solidarietà, affetto, ascolto e pazienza. Ciò che nel trust per i soggetti deboli viene messo in luce in modo incalzante, è il contatto sociale che percepisce il disponente, quale strumento per la misura della professionalità, dell´affidabilità e della moralità deltrusteeche, una volta deceduto il disponente stesso, usualmente genitore o parente del soggetto da assistere, si occuperà del soggetto non autonomo e delle sue esigenze particolari.Trusteepuò essere, anche, un organo collegiale formato da avvocato e medico di famiglia che hanno assistito il figlio privo di autonomia.

100% la persona con deficit di autonomia, ma bensì accompagnarla nel compimento di quegli atti che lui stesso non riesce a compiere, sia che si tratti di natura patrimoniale o non patrimoniale (pensiamo ad esempio ad una persona anziana affetta da una grave patologia tale non permettergli più di andare a prendere la pensione, la figlia potrebbe essere nominata amministratore di sostegno e soddisfare quest´ attività). Diversamente da quanto avviene nell´interdizione o inabilitazione che ´ tolgono´, per definizione, poteri e diritti, l´AdS, viceversa,´dà´ poteri, permettendo al giudice, all´interno del decreto, di definire ciò che l´ amministratore deve o non deve fare[11]. Tuttavia quest´ istituto, seppur innovativo, non è decollato, anzi molte sono le pronunce giurisprudenziali dei giudici tutelari che autorizzano l´attivazione di un trust da parte di un amministratore di sostegno nell´interesse del beneficiario della procedura dell´AdS, un trust nel quale i beni sono vincolati per la tutela del soggetto debole. Si crea, così, un rapporto dinamico tra trust e amministrazione di sostegno, che permette la realizzazione di una protezione evolutiva dei Soggetti deboli, protezione che è pronta a piegare istituti, come ad esempio il trust, che forse fino a qualche anno erano pensati per realizzare altri tipi di operazioni[12]. L´ esigenza odierna è quella di provvedere all´ assistenza di persone con disabilità, ed in particolare sono i genitori che avvertono la maggiore necessità di provvedere per il ´DOPO di NOI´. La domanda, che spesso assilla quest´ ultimi in funzione di tutela della loro prole, èche ne sarà di mio figlio quando noi non ci saremo più? In questa dimensione si incardina la proposta di legge n. 352 dell´On. Ileana Argentin presentata alla Camera dei Deputati l´11/07/2013. Tale proposta di legge prende atto di questa situazione drammatica e pone al centro la tutela della famiglia (in Italia il sostegno familiare è pari al 68,2%), cercando di pre-organizzare la soluzione più adatta al caso di specie. Soluzioni che vanno dalla casa famiglia, al progressivo ingresso in comunità, all´assistenza nella propria abitazione o il Trust[13]! Il trust è un negozio che si plasma, di volta in volta, in relazione alle diverse esigenze giuridiche, alle svariate situazioni sociali. La mozione dell´On. Argentin chiede al governo di ´trovare risorse finanziarie ed approvare un sistema di protezione sociale e di cura per le persone con grave disabilità, nonché assumere iniziative per disciplinare, anche nel nostro ordinamento, per coloro che ne facciano richiesta, l´istituzione di Fondi di Sostegno ´Trust´, offrendo, in tal senso, una struttura blindata esclusivamente diretta a garantire tutta l´assistenza necessaria e la migliore qualità della vita anche attraverso la tutela del patrimonio familiare che si vuole destinare per la costruzione del fondo´.

Alla luce della disciplina del 2004, l´interdizione e l´inabilitazione vengono oggi sostituite/affiancate dalla possibilità di un ricorso all´amministrazione di sostegno.

Attraverso tale ricostruzione, si comprende la grande versatilità del trust, la capacità di modellarsi su ogni tipo di situazione e soddisfare le esigenze più disparate, in quanto alla base della sua realizzazione c´è un programma da attuare.Il tuttoben "protetto" dall´ effetto della segregazione patrimoniale che pone i beni in trust in una solida cassaforte giuridica[14], inattaccabile da qualsiasi tipo di azione creditoria del disponente e deltrustee.Utilizzando un´espressione metaforica potremmo affermare che il trust riversa nel sartoriale, permette di confezionare in ogni circostanza un abito su misura, perfetto, per ogni occasione d´uso.

La riforma del 2004 crea la figura di un procuratore/vicario, il quale è chiamato, non a sostituire al

In conclusione, si può citare un´affermazione dell´On. Prof. Lupoi nella sua opera ´Lettera ad un notaio conoscitore di trust´, che così

Le diverse misure di protezione create dal legislatore al fine di tutelare i soggetti deboli non riescono a piegarsi effettivamente a quelle che sono le esigenze di tali soggetti.

62

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


conclude: ´il tema è stato ampiamente e brillantemente dibattuto in dottrina, la quale si è cimentata in scritti tanto interessanti sotto il profilo tecnico, quanto divertenti da leggere per il pungente linguaggio utilizzato. Non ho né la competenza né l´ardire di entrare in un dibattito tanto alto, posso però notare che la giurisprudenza ormai pressoché uniforme e costante, ritiene tutt´altro che insuperabili le obiezioni superate da Gazzoni´[15]. Autrice Emilia Senatore

Note e riferimenti bibliografici Altri articoli in tema di trust pubblicati su CamminoDiritto.it: Esecuzione forzata senza revocatoria: fondo patrimoniale, trust e donazione dopo il DL n. 83 deò 27 giugno 2015, di Valeria Lucia, CamminoDiritto.it Negozio fiduciario, trust e patrimoni destinati: profili distintivi, di Ilaria Ferrara, CamminoDiritto.it [1] F. Gazzoni, Il cammello, la cruna dell´ago e la trascrizione del trust, 02/05/2003. [2] Vincenzo Bancone,Il trust, dalla Convenzione dell´ Aja al Draft Common Frame of Reference,Edizioni Scientifiche Italiane, 2012, Roma, p. 165. [3] I problemi relativi al riconoscimento del trust sono collegati a tre norme giuridiche che sono alla base del nostro ordinamento giuridico: Principio del numerus clausus dei diritti reali, Principio di tassatività degli atti sottoposti a trascrizione, Principio di responsabilità patrimoniale ex art.2740 c.c.. [4]A. Luminoso,Contratto fiduciario, Trust ed Atti di destinazione ex art 2645 ter del c.c.,Riv. Notariato, fasc 5, 2008, p.993. [5]Maurizio Lupoi,Istituzioni del diritto dei Trust e degli affidamenti fiduciari, Trento, CEDAM, 2011 [6]Salvatore Patti,Trust, quota di riserva e causa concreta,in Fam. Succ. Pers., 2011, fasc 7, p. 526. [7]Amalia Chiara Di Landro, La protezione dei soggetti deboli tra misure di protezione, atti di destinazione e trust,in Trust e Attività Fiduciarie, fasc 5, 2009. [8] Amalia Chiara Di Landro, La protezione dei soggetti deboli, op. cit.,in Trust e Attività Fiduciarie, fasc 5, 2009. [9] Amalia Chiara Di Landro, La protezione dei soggetti deboli, op. cit.,in Trust e Attività Fiduciarie, fasc 5, 2009 Cfr Roberto Calvo,La tutela dei beneficiari nel Trust Interno,in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.1, 1998, pag. 33. [10] S. Leuzzi,I trust successori,op. cit.,in Famiglia e Successioni, Giuffrè Editori, p.28. [11] A. Santuari, ´Trust e Amministrazione di sostegno´in Quaderni di Rivista al Notariato e Attività Fiduciarie, IPSOA, 2015. [12] Trust e ´Dopo di Noi´,Il trust in Italia- Associazione- ,in Trusts ed attività Fiduciarie, IPSOA, 2013 [13] F. R. Lupoi, ´ La proposta di legge sul ´DOPO DI NOI´ per le persone con grave disabilità, in Attività Fiduciarie, 2013, IPSOA. [14] Marco Salvatore,Introduzione all´ istituto del Trust,,Commissioni normative a tutela dei patrimoni, Milano, 2006. [15] M. Lupoi, ´Lettera ad un notaio conoscitore di trust´, Riv. Notariato, 2001, I, 1159

La riforma della responsabilità civile dei magistrati all'esame della Consulta La riforma della legge 117/88 sulla responsabilità civile dei magistrati, a poche settimane dalla sua entrata in vigore, è già oggetto di due ordinanze di rimessione alla Corte Costituzionale. Lo “spettro” che si aggira per le aule di udienza può far tanta paura al giudice dal paralizzarne il giudizio? Sommario: 1. Premessa. 2. La responsabilità civile dei magistrati. 3. Verona chiama Roma. 4. Le critiche trevigiane. 5. In attesa di giudizio.

1. Premessa Es gibt noch Richter in Berlin. Questa frase, che in italiano è nota anche a chi non è pratico di cose giuridiche, è la replica di un semplice mugnaio di Potsdam a Federico il Grande di Prussia, recatosi di persona a trattare l´acquisto del Mulino di Sanssouci (Spensierato). A fronte delle risposte negative del mugnaio Arnold, il sovrano si meraviglia e chiede al suo interlocutore se sappia che il re ha il potere di espropriargli quel terreno, senza dargli un centesimo. Arnold lo sa, ma sa pure che il potere del re non riuscirà ad influire sull´esercizio del potere giudiziario, e risponde ´Vostra maestà è padrona, tuttavia ci sono dei giudici a Berlino´1. Questo apologo serve come introduzione al commento dell´ordinanza dell´8 maggio del Tribunale penale di Treviso e di quella del 12 maggio della III sezione civile del Tribunale di Verona che, a pochi mesi dalla riforma della responsabilità civile dei magistrati, interpellano la Corte Costituzionale. Su questo argomento molto si è detto, e di conseguenza molto si è scritto, ed il dibattito, anche acceso, non può non essere un indizio dell´importanza della

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

63


materia. Il fatto che il giudice nell´esercizio del suo potere non sia completamente libero, nel senso che non disponga dell´arbitrium merum, è garanzia stessa del principio di legalità, delle tutele per il cittadino ed infine della separazione dei poteri; ma è altrettanto vero che nell´esercizio delle sue funzioni il magistrato è autonomo ed indipendente da ogni potere, soggetto soltanto alla legge2. L´uso di quelle parole da parte del Costituente è sicuramente influenzato dal momento storico3 in cui la Carta Costituzionale entra in vigore. A fronte del rischio di una magistratura schierata con il potere politico4 si vuole ribadirne l´indipendenza e già nel periodo di transizione si vedono i primi segnali del cambiamento. Infatti, il 31 maggio 1946, Umberto II promulga il R.D.lgs. n. 511 sulle guarentigie della magistratura5 che servirà d´ispirazione all´Assemblea Costituente per il Titolo IV della Costituzione.

2. La responsabilità civile dei magistrati. Dall´assoggettamento del magistrato, come di tutti i consociati, al principio di legalità, discende il principio di responsabilità. L´appartenente all´ordine giudiziario, infatti, è ricompreso tra i soggetti indicati dall´art. 28 della Costituzione come ´direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti´. Per usare un´efficace espressione del giudice delle leggi ´l´autonomia e l´indipendenza della magistratura e del giudice ovviamente non pongono l´una al di là dello Stato, quasi legibus soluta, né l´altro fuori dall´organizzazione statale. Il magistrato è e deve essere indipendente da poteri e da interessi estranei alla giurisdizione; ma questa è funzione statale ed i giudici, esercitandola, svolgono attività abituale al servizio dello Stato: tanto che la Costituzione (art. 98) li ricorda insieme ai pubblici impiegati e son numerose le leggi che, scritte per questi, valgono anche per quelli´6. Volendo sintetizzare l´evoluzione normativa in materia, va subito precisato che la responsabilità civile dei magistrati, data la peculiarità delle loro funzioni, è soggetta ad un regime giuridico differenziato, onde garantire l´autonomia e l´indipendenza della giurisdizione. Anteriormente all´entrata in vigore della legge 117/88, la tematica era regolata dagli artt. 55, 56 e 74 del codice di procedura civile. Si trattava di una disciplina di particolare favor per i magistrati che non soltanto delimitava l´area dell´illiceità al solo dolo, ma prevedeva anche il c.d. filtro di ammissibilità, vale a dire un controllo preventivo sull´esistenza dei presupposti e della fondatezza, affidato al Tribunale del capoluogo del Distretto della Corte di Appello. La dottrina, dal canto suo, riteneva che le disposi-

64

zioni codicistiche, limitando eccessivamente la responsabilità civile del magistrato, ed in particolare escludendo quella per colpa grave, fossero incompatibili con l´impianto costituzionale7. Da tale situazione di irresponsabilità de facto aveva preso le mosse l´iniziativa referendaria mirante ad abrogare gli artt. 55, 56 e 74 c.p.c., con l´obiettivo di ampliare le ipotesi di responsabilità e di eliminare filtri autorizzativi. A seguito dell´abrogazione di quelle norme, in virtù del referendum del 1987, è stata emanata la legge n. 117/1988, con la quale è stata introdotta una nuova disciplina in materia, tenendo conto della specialità della funzione giudiziaria, sottolineata anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 26/1987, di ammissibilità del referendum8. La legge del 1988, tuttavia, non è stata da tutti ritenuta soddisfacente e si sono registrati numerosi progetti di legge9, infine è intervenuto il legislatore con la l. n. 18 del 27 febbraio 201510. Le modifiche apportate con la riforma sono già state illustrate da Eleonora De Angelis e a quel commento si rinvia11. Riassumendo, le novità sono: la ridefinizione del concetto di ´colpa grave´, l´introduzione del ´travisamento del fatto o delle prove´, della ´emissione di un provvedimento cautelare personale o reale fuori dei casi previsti dalla legge oppure senza motivazione´ e della ´violazione manifesta della legge e del diritto dell´Unione Europea´12. Viene, inoltre, introdotto l´obbligo di rivalsa da parte dello Stato, nella specie la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che potrà arrivare sino alla metà dello stipendio annuo del magistrato, con la trattenuta fino ad un terzo della retribuzione mensile. Scompare, infine, il ´filtro´ di ammissibilità della domanda.

3. Verona chiama Roma. Venendo ora all´esame dell´ordinanza del tribunale scaligero, la si può inquadrare nel normale procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo. L´opponente, con atto di citazione, contesta i presupposti del provvedimento concesso al richiedente-convenuto che, in sede di udienza di prima comparizione, insiste nella richiesta di provvisoria esecuzione. A questo punto, come scritto nell´ordinanza, il giudice ´è chiamato a valutare la sussistenza dei presupposti per concedere la provvisoria esecuzione del decreto opposto vale a dire ... se l´opposizione proposta ... sia o meno fondata su prova scritta o di pronta soluzione´. In caso affermativo l´opposta avrà titolo per ottenere quella somma, nel caso di specie non proprio di poco conto, salvo poi doverla eventualmente restituire nel caso in cui venga accolta la domanda dell´opponente. Dal dover prendere una tale decisione, il giudice scaligero ricava la rilevanza della questione, ritenendo la l. 18/15 ´concretamente e immediatamente produttiva di una responsabilità potenziale di questo giudice, potendo dar luogo ad un giudizio di responsabilità´. Secondo il rimettente ogni norma che vada ad incidere sullo status del giudice, sulle sue garanzie ed i corrispondenti doveri è influente e rilevante13, attesa anche l´applicazione della novella del 2015 ai processi in corso. Anzitutto il giudice appunta la sua analisi sul ´travisamento´14, concetto ritenuto equivoco e non ben definito, atteso che il legislatore l´ha aggiunto alle fattispecie già presenti dell´affermazione o negazione di un fatto processuale reale. Tale termine, inoltre, non corrisponderebbe nemmeno a quello utilizzato per definire l´illecito disciplinare o il vizio di motivazione della sentenza penale.

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


I lavori preparatori specificavano che tale travisamento dovesse essere macroscopico ed evidente, ma tale formulazione non è poi confluita nel testo finale. Per il rimettente non basta il semplice riferimento al travisamento a richiamarne automaticamente la gravità, ritenendo che la norma così come formulata possa consentire di ´censurare qualsiasi valutazione dei fatti o del materiale probatorio compiuta dal giudice nel giudizio a quo, che risulti non gradita o sfavorevole, semplicemente qualificandola come travisamento´, in violazione degli artt. 3 e 101, co. 2 della Costituzione. L´assenza del procedimento di filtro realizzerebbe un altro vulnus alla serenità di giudizio del magistrato, che potrebbe vedersi esposto a domande risarcitorie solo per provocarne l´astensione dal processo in corso per ´gravi ragioni´ (artt. 51 c.p.c., 36 c.p.p.). Tale domanda è destinata ad essere trattata con il normale procedimento ed in sede collegiale, mentre con la precedente normativa si svolgeva in camera di consiglio e con termini più brevi, ´cosicché il giudicato sul punto potrebbe sopraggiungere solo a distanza di molti anni dall´inizio della causa risarcitoria´. Né le spese da sostenere potrebbero trattenere la parte in mala fede che avesse interesse ad influire sul giudizio; difatti tali giudizi sono esenti dal versamento del contributo unificato, e la responsabilità per lite temeraria appare eventuale e comunque non scoraggerebbe chi preordinasse una domanda risarcitoria nei confronti del giudice con l´unico scopo di prendere (e perdere) tempo. Del pari l´obbligatorietà della rivalsa viene considerata in contrasto con la Carta, artt. 3 e 24. Contrasterebbe col diritto di difesa, che comprende anche il diritto di non agire in giudizio, l´obbligo per la Presidenza del Consiglio di iniziare un´azione senza nemmeno poter vagliare le chances di successo. Inoltre, la norma discriminerebbe il magistrato dagli altri dipendenti pubblici per i quali la rivalsa non è obbligatoria, pur essendo lo stesso il presupposto dell´azione, id est l´esistenza dell´obbligazione risarcitoria e l´intervenuto pagamento, e quindi violando l´art. 3 Costituzione. Infine, la mancanza dell´indicazione dei mezzi per fronteggiare i maggiori oneri finanziari dello Stato, derivanti dall´applicazione delle nuove norme sulla responsabilità dei magistrati, sarebbe in contrasto con l´art. 81, comma 3, della Costituzione15. Una stima degli oneri, prosegue l´ordinanza, sarebbe stata possibile prendendo come modello l´importo derivante dalle sentenze di condanna al risarcimento dei danni nel periodo di vigenza della l. 117/88, rectius nel periodo antecedente alla riforma della stessa legge. Né l´imprevedibilità degli importi sarebbe di ostacolo all´individuazione dei mezzi finanziari, atteso che in situazioni analoghe il legislatore aveva provveduto, come nel caso del patrocinio a spese dello Stato; la legge 18/15 ometterebbe, quindi, di indicare il ´come´, o se si preferisce ´con quali voci´, risarcire.

4. Le critiche trevigiane. Pochi giorni prima di questa rimessione, un altro giudice veneto, di Treviso per la precisione, aveva impugnato la riforma in commento. La vicenda è relativa all´imputazione di violazione delle norme sul contrabbando di tabacco lavorato estero. Nel corso della motivazione il giudice evidenzia da un lato la carenza di prove, e dall´altro la presenza di indizi a carico del prevenuto, sottolineando che ´la valutazione di elementi indiziari è, come noto, particolarmente difficile e ´rischiosa´ in ordine alla correttezza dell´esito del giudizio probatorio, tant´è che lo stesso legislatore,

ben consapevole di ciò, ha dettato una procedura aggravata per l´utilizzabilità probatoria degli indizi´ che, alla stregua dell´art. 192 c.p.p., devono essere plurimi, gravi, precisi e concordanti. Il giudice utilizza gli stessi argomenti che saranno poi ripresi dal tribunale civile di Verona in punto di rilevanza. Pure questa ordinanza richiama gli artt. 101 comma 2 e 104 comma 1 della Costituzione. Secondo il rimettente, infatti, sarebbe contrario a Costituzione il nuovo testo dell´art. 7 della l. 117/88, nella parte in cui non prevede che ´non può dar luogo a responsabilità personale del singolo magistrato l´attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove in tutti i casi di azione di rivalsa dello Stato nei confronti del magistrato stesso´. Infatti la clausola di salvaguardia prevista dal comma 2 dell´art. 2 della l. 117 sarebbe svuotata di contenuto a seguito dell´inserimento dell´eccezione ´fatti salvi i commi 3 e 3bis ed i casi di dolo´. Il rischio è che il magistrato possa essere portato ´a scelte interpretative accomodanti e a decisioni meno rischiose in relazione agli interessi in causa, così influendo negativamente sulla sua imparzialità´16; il giudicante, quindi, non sarebbe più soggetto soltanto alla legge, ma rischierebbe di chiedersi per ogni decisione ´chi´ scontentare e di conseguenza da chi temere un´istanza risarcitoria, ancorché indirettamente. Il giudice quindi, per usare una felice espressione dell´ordinanza, lavorerebbe soprattutto per uscire indenne dalla propria attività, dove per forza di cose (e chiedendo venia per l´espressione poco tecnica) non si possono sempre salvare capre e cavoli. Vi è, poi, anche un rischio di appiattimento del lavorio giuridico in sede di merito, ed è noto agli operatori del settore come tanti principi, ora affermati per tabulas, abbiano mosso i loro primi incerti passi nelle aule pretorili. Infatti, se il giudice ha davanti a sé lo spettro della responsabilità, a fronte di una decisione più o meno complessa, sarà sempre più tentato ad utilizzare i precedenti della Corte di Cassazione, e della Corte di Giustizia dell´Unione Europea, come comodo escamotage per motivare le proprie decisioni17. La stessa Corte di Giustizia18, affermando l´incompatibilità col diritto comunitario dell´esclusione della responsabilità civile nel caso in cui il danno derivi da un´errata interpretazione di norme di diritto o di valutazione del fatto o delle prove, si riferisce esclusivamente allo Stato e non alla responsabilità personale del magistrato, come del resto confermato da una coeva pronuncia19. Anche la rimozione del filtro si porrebbe in contrasto con la legge fondamentale, in particolare con gli artt. 101, 104 e 113. L´ordinanza richiama la giuri-

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

65


sprudenza costituzionale, che ritiene il meccanismo di filtro provvisto di rilievo costituzionale ´perché un controllo preliminare della non manifesta infondatezza della domanda, portando ad escludere azioni temerarie e intimidatorie, garantisce la protezione dei valori di indipendenza e di autonomia della funzione giurisdizionale´20. Infine, anche per il tribunale trevigiano, la norma che prevede il regime differenziato della trattenuta dallo stipendio rispetto agli altri dipendenti pubblici contrasta con gli artt. 101 e 3 della Costituzione.

5. In attesa di giudizio. E' buona regola non fare previsioni sull´esito delle questioni prospettate dalle ordinanze, qui brevemente commentate, e a tale norma ci atterremo anche noi21. Tuttavia anche in dottrina si sono levate voci critiche su questa riforma, mettendone in dubbio, come fanno i rimettenti, la compatibilità con la Costituzione22. Non vi è dubbio che la serenità del giudice sia un principio da preservare, anche alla luce del diritto convenzionale23, ancorché non richiamato nelle ordinanze di rimessione: se il giudice, o più in generale il magistrato, è condizionato nelle sue decisioni da fattori esterni, quel provvedimento facilmente potrebbe non essere sentito come giusto dalla parte soccombente. Oppure si pensi alle ipotesi in cui si verta di provvedimenti cautelari, il Pubblico Ministero ed il Giudice per le Indagini Preliminari, lo stesso giudice civile o quello amministrativo, potrebbero essere influenzati da chi hanno di fronte? Ci piace pensare di no, ma la funzione giurisdizionale è così importante da essere oggetto di tutela anticipata, per dirla con un´espressione tipica del diritto penale24. Viene da sé che l´aurea quasi sacerdotale25 del magistrato non può essere paravento di una irresponsabilità assoluta e che gli errori di un appartenente alla Pubblica Amministrazione vadano risarciti in prima battuta da parte dell´Amministrazione stessa ed in sede di rivalsa dal magistrato. Non si è mancato di sostenere, giustamente, che ´la legge è efficace da poco tempo, e non ne è ancora stata chiarita esattamente la portata interpretativa´26 e già la dottrina è al lavoro per risolvere i dubbi di costituzionalità. Manca, inoltre, un ´diritto vivente´, ovvero le norme rimangono ancora sul piano dell´astrattezza e non sono ancora state calate nel caso concreto, visto che sinora i casi, sollevati ma non conclusi, sono meno di dieci27. A ciò si può anche aggiungere che il magistrato non dovrebbe avere di questi timori se conscio di essere nel giusto; il fatto è che quella bocca della legge è collegata ad un cervello umano che rischia di avere sempre meno difficoltà a dimenticare ´l´ammonimento eterno che gli viene dalla Montagna: Non giudicare´28.

[1] L´episodio, dai contorni leggendari, è tramandato da Laveaux, Vie de Frederic II, Roi de Prusse, Strasburgo, 1787, IV, 308. [2] Il riferimento è ovviamente agli artt. 104, co. 1, e 101 co. 2 della Costituzione.Chi fosse interessato alla lettura dei lavori preparatori di tali norme può consultare il sito, a cura di Calzaretti, http://www.nascitacostituzione.it/03p2/04t4/index.htm, o per gli articoli non entrati nel testo definitivo della Carta, http://www.nascitacostituzione.it/05appendici/index.htm. [3] A tal proposito v. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, III, Milano, 2003, I ss. Ulteriori approfondimenti in Neppi Modona, La magistratura e il fascismo, in Fascismo e società italiana, a cura di Quazza, Torino, 1973, Abbamonte, La politica invisibile. Corte di Cassazione e magistratura durante il Fascismo, Milano 2003, Borgna, Maddalena, Il giudice e i suoi limiti. Cittadini, magistrati e politica, Roma Bari, 2003. [4] Si pensi al Volksgerichtshof (Tribunale del Popolo) in Germania e al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato in Italia (l. 2008/26, R.D. 2062/26). [5] In Gazzetta Ufficiale, n. 136 del 22.6.1946. [6] Corte Costituzionale, sentenza n. 2 del 14.3.1968. [7] Tuttavia la Consulta con la sent. 2/68 cit., dichiarava non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 55 e 74 c.p.c. in relazione all´art. 28 Cost., sollevata dal Tribunale di Bologna. [8] Per una più approfondita analisi si rimanda a Ferri, G., La responsabilità civile dei magistrati nell´ordinamento italiano e le prospettive di riforma, in http://www.giurcost.org/studi/ferri4.htm. [9] V. Ferri, op. cit., n. 53. [10] Il testo della legge 117/88, sia quello anteriore alla l. 18/15 che il testo novellato, è consultabile al sito http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:legge:1988-04-13;117. [11] La responsabilità civile dei magistrati ora è legge, su questo sito,http://www.camminodiritto.it/articolosingolo.asp?indexpage=303. [12] E' interessante notare come la riforma distingua tra ´legge´ e ´diritto´ dell´Unione Europea, quasi a voler marcare una differenza tra testo di legge e norma vigente, o ´diritto vivente´ (lebende recht). [13] Come affermato da Corte Costituzionale, sentenza n. 18 del 11.1.1989. [14] Secondo il dizionario, Treccani, il verbo travisare ha due significati: alterare il viso, l´aspetto, in modo da rendersi irriconoscibile o trarre altri in inganno, ovvero in senso figurato di fare apparire diverso dal vero, narrare, esporre, interpretare in modo contrario o diverso da quello giusto. [15] Tale articolo è stato modificato dalla legge costituzionale 20.4.2012, n. 1, (Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta costituzionale), le cui disposizioni si applicano a decorrere dall´esercizio finanziario relativo all´anno 2014. Il nuovo testo recita: ´Lo Stato assicura l´equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all´indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L´esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l´equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale´. [16] Corte Costituzionale, sent. 18/89 cit.. [17] Così facendo il magistrato italiano farebbe proprio l´istituto del precedente vincolante o stare decisis tipico del common law. [18] Corte di Giustizia dell´Unione Europea, sentenza 13.6.2006 in causa C-173/03. [19] Corte di Giustizia dell´Unione Europea, sentenza 30.9.2003 in causa C-224/01. [20] Corte Costituzionale, sentenza n. 468 del 22.10.1990, in Resp. civ. prev., 1990, 1011 con nota di Amato. [21] Habent sua sidera lites, recita un antico adagio latino: anche le cause sono influenzate dagli astri. [22] Cfr. Vetro, La nuova disciplina sulla responsabilità civile dei magistrati, ai sensi della legge 27 febbraio 2015 n. 18: profili di incostituzionalità e presumibili effetti sul funzionamento dell´ordinamento giudiziario, pubblicato il 20.4.2015, consultabile sul sito http://www.respamm.it/dot-41-2-nuova-disciplina-responsabilita-civile-magistrati-profili-incostituzionalita-ed-effetti-su-ordinamento-giudiziario/; Bignami, Il deficit culturale della nuova disciplina della responsabilità civile dei magistrati, in QG, http://www.questionegiustizia.it/articolo/il-deficit-culturale-della-nuova-disciplina-della-responsabilita-civile-dei-magistrati_21-052015.php, Deidda, A proposito di responsabilità civile dei magistrati, in QG, http://www.questionegiustizia.it/articolo/a-proposito-di-responsabilita-civile-dei-magistrati_28-06-2014.php. [23] Art. 6, § 1 CEDU ´Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. (...)´. [24] Anche il blocco degli stipendi dei magistrati, introdotto col d.l. 78/10, convertito con modificazioni in l. 122/10, è stato ritenuto violativo del precetto costituzionale di indipendenza da Corte Costituzionale, sentenza n. 223 dell´11.10.2012 (v. punti 11.4 ss. del Considerato in diritto). [25] Si pensi al ruolo che aveva il pontifex maximus nel diritto romano nell´interpretare i mores (gli usi) e nel contribuire alla formazione della legge regia. [26] La responsabilità civile dei magistrati alla Consulta, in QG, http://www.questionegiustizia.it/articolo/la-responsabilita-civile-dei-magistrati-alla-consulta_18-05-2015.php. [27] Fonte: Il sole 24 ore, 27.5.2015, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-05-27/responsabilita-toghe-legnini-finora-meno-10-rivalse-184455.shtml. Lo stesso Primo Presidente della Corte di Cassazione, Santacroce, pur avanzando critiche alla riforma, ritiene che si debba attendere il passaggio da legge a norma, Guida dir., 27.5.2015, http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/guidaAlDiritto/dirittoCivile/2015-05-27/santacroce-responsabilita-civile-scelta-politica-scusa-ue-190832.php, escludendo anche il rischio dell´utilizzo strumentale della novella, v. l´articolo di Negri, Per i giudici responsabilità ´soft´, Il sole 24 ore, 30.4.15, http://www.ilsole24ore.com/art/norme-e-tributi/2015-04-30/per-giudici-responsabilita-soft-063920.shtml. [28] Calamandrei, op. cit., 50, prima ristampa II edizione.

Autore Andrea Senatore

66

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Processo penale: verità, giustizia e giudicato Nell´immaginario collettivo, lo scopo del procedimento penale è quello di ricercare la verità storica dell’accaduto come mezzo per il raggiungimento di una giustizia in senso lato, in altre parole una giustizia con la "g " maiuscola. Ma viene da chiedersi se sia possibile parlare di verità in un processo come quello che si ha sotto gli occhi e, se sì, di quale o quali verità si debba discutere. Se prendiamo per buona l´idea dell´esistenza del giudicato come fondamento di una verità cristallizzata ed immutabile, che relazione c´è con il momento successivo al giudicato? Inoltre, ha ancora senso pensare che il popolo voglia e pretenda un "giusto processo" "regolato dalla legge”, ai sensi dell´art. 111 Cost., oppure bisogna prendere atto dell´esigenza, tutta del popolo, di sperare nella celebrazione di un rapido processo che finisca solo col punire? Quotidianamente, nei sempre più numerosi dibattiti televisivi, sentiamo dalle vittime di reati (o dai parenti delle vittime) la frase "vogliamo la verità!", quasi a voler manifestare l´intimo legame che sussiste tra verità e giustizia. Piero Calamandrei nel 1950 pronunciava in occasione del dibattito sull´istituzione del CSM delle parole cariche di emotività e quantomai attuali e veritiere: "la giustizia è un bene comune, il più prezioso dei beni comuni. E le ansie che lo concernono sono ansie di tutti i cittadini". Queste parole ci fanno intendere la naturale connessione che esiste non solo tra verità e giustizia ma prima ancora tra processo e giustizia; connessione,quest´ultima,che merita ulteriori riflessioni, anche storiche. Nell´antica Grecia la giustizia è la condizione che rende possibile il vivere degli uomini. Aristotelelegava la giustizia alla felicità, tanto da sostenere che "con una sola espressione definiamo giuste le cose che procurano o mantengono la felicità o parte di esse alla comunità politica". Nell´età moderna, invece, si fa corrispondere l´idea di giustizia a quella di libertà. Da ciò si capisce che, indipendentemente dalla nozione che diamo di giustizia,giustoè ciò che ci appaga ,che ci soddisfa;ingiustoè ciò che ci crea inquietudine, che ci fa stare male, che non ci soddisfa. Dunque, allacciandoci alla macchina del procedimento penale, raggiungere il "giusto" potrebbe significare ricercare la verità ma nel nostro ordinamento, la verità che si raggiunge (o meglio, che è possibile raggiungere) non è una verità assoluta, non è quindi la verità storica (ciò che è accaduto), bensì una veritàformale: il risultato di una costruzione artificiale ,condotta step by step dalle fasi,dai soggetti e persino dalle garanzie del procedimento penale. A questa affermazione possiamo arrivare partendo da brevissime considerazioni logiche e filosofiche. Per capire cosa sia un´affermazione vera (in ambito giudiziario) molti (tra cui Ubertis) hanno rivolto l´attenzione al concetto di

´enunciato vero´elaborata da Alfred Tarski. Secondo tale definizione «X è vero se e solo se p è vero», dove ´X´ sta per il nome di un enunciato e ´p´ per l´enunciato medesimo: per esempio, «l´enunciato ´la neve è bianca´ è vero se, e solo se, la neve è bianca». (1) Questo criterio non è applicabile, però, al processo penale. E´ qui che si rende utile l´idea dellaprobabilità. Come detto prima, non sarà mai possibile risalire alla verità storica: è per questo che la verità esplicata nella sentenza non può che essere una "verità probabile", cioè, una ricostruzione "fattibile" agli occhi della società, in altre parole "verosimile". Lo schema della verità probabile ci porta ad affermare che il giudice non è bocca della legge, ma che forma il suo libero convincimento sulla base delle diverse proposizioni che gli vengono fornite dalle parti. In altre parole,al giudice non viene detto cosa è successo quel giorno o se Tizio ha realmente ucciso Caio; egli, semplicemente avrà a disposizione una serie di elementi, a favore e contro l´imputato, che potrà valutare e che lo indirizzeranno verso una decisione "giusta" formalmente (perchè assunta seguendo le regole) ma di certo non vera. E qui mi viene da pensare alla simpatica formuletta "al di là di ogni ragionevole dubbio": una persona può essere condannata solo quando non vi sia un dubbio ragionevole sulla sua colpevolezza; bene, ma cosa vuol dire ragionevole? Il dubbio è ragionevole sotto la soglia del 90%, del 70 % o basta essere dubbiosi allo 0.01% ? Sicuramente il ragionevole dubbio è una importantissima garanzia per colui che è sottoposto ad un processo penale, però ci fa comprendere sempre di più come sia impossibile ricostruire una verità assoluta e certa, altrimenti si direbbe "al di là di ogni dubbio", omettendo il "ra-

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

67


gionevole".

zione di quello che sarà un giusto processo (art. 24 Cost.).

Dunque, a mio avviso, il giudice nella sentenza compie una decisione lontana anni luce dalla verità, tanto non saprà mai quello che è accaduto; piuttosto, giungerà ad un "compromesso con se stesso" nel quale assumerà il rischio "conveniente", punterà, cioè, sullascelta che risulti conveniente a lui, fattibile per la società, equilibrata per i media, verosimile alle parti.

E´ inevitabile, a questo punto, dover ammettere che il procedimento penale raggiunge non la verità storica, ma una verità ´processuale´ approssimativa ed innaturale equesta tesi è rafforzata dalle riflessioni sul connubio verità-giudicato.

Facciamo un passo indietro. Il termine ´verosimiglianza´ veniva applicato alla logica processuale già in passato: di verosimiglianza, infatti, parlava Dionigi di Alicarnasso, retore e storico dell´età di Augusto, che, nel suo trattato su Lisia, precisa che la narrazione (una parte del discorso giudiziario) richiede attenzione e cautela. L´abilità dell´oratore è quella di rendere la narrazione accattivante e convincente, così da suscitare l´immediata attenzione dell´ascoltatore. Lisia si preoccupa di dire cose verosimili piuttosto che vere, avvalendosi di una straordinaria forza persuasiva e di parole seducenti, cosicché l´uditore non riesce più a distinguere ciò che è vero da ciò che è inventato, ma fatto apparire come vero. Per rendere ancora più chiaro il suo pensiero, Dionigi osserva che, a tale riguardo, a Lisia può essere applicato un verso dell´Odissea, riferito ad Ulisse: "Così fingea, menzogne molte al vero simili proferendo". Dionigi definisce la verosimiglianza come la capacità di dare ai fatti narrati l´apparenza della realtà e di rendere persuasiva la narrazione. Aftonio di Antiochia, ancora, scrive che tra le qualità richieste nella narrazione dei fatti c´è la persuasività. Risulta chiaro che l´oratore giudiziario greco,il logografo, spesso sostituiva al vero la categoria del verosimile,sacrificando lo scrupoloso rispetto della verità agli interessi del cliente.(2) D´altronde, sempre nell´immaginario collettivo, ancora oggi la figura dell´ "avvocato-oratore" è guardata con sospetto, con le stesse resistenze che in età moderna - già Manzoni continuava a sottolineare con il suo Azzeccagarbugli, poiché l´operato dell´avvocato sembra sacrificare la verità storica per ´il bene dell´assistito´. Possiamo dire allora, che il fine giustifica i mezzi? Ma, in epoca contemporanea, non può che trovare albergo il concetto di un procedimento penale che, letto alla luce dei principi costituzionali ed internazionali, è da concepirsi come garanzia per l´indagato/imputato e non esclusivamente come mezzo di ricerca della verità storica, dal momento che la ´diffidenza sociale´ nei confronti della figura del legale è ingiustificata, perché deve prevalere l´importanza del ruolo che svolge al fine di garantire un pieno diritto di difesa, strumentale alla celebra-

68

Il giudicato è lo strumento utilizzato per porre fine alla ricerca della verità: quando si sono esauriti i mezzi di impugnazione le sentenze pronunciate in giudizio divengono irrevocabili (art. 648 c.p.p.). Il giudicato non può, però, rappresentare la verità storica, nè ad essa può sostituirsi. Prima si diceva che il giudicato "cristallizzasse" la verità, la "congelasse" così come formatasi nella sentenza; oggi è opinione sempre più diffusa che non sia così. In primis, possono verificarsi nel tempo degli eventi che vanno ad urtare con il giudicato. Basti pensare alla previsione dell´art. 629 c.p.p., ai sensi del quale «è ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione delle sentenze di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell´articolo 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna, divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta.» Ciò significa che il giudicato, in quanto affermazione di un passato artificialmente reso immodificabile, costituisce addirittura unostacolorispetto all´obiettivo del raggiungimento della verità storica. Conseguentemente, contro la verità storica non può mai imporsi la verità artefatta del giudicato; ma anche, viceversa, l´idea di pervenire alla verità storica nel procedimento penale risulta essere una pura ingenuità. Tutto ciò è inoltre confermato dalla previsione delnuovo art. 625terc.p.p., introdotto dalla legge 67/2014, che prevede un istituto di matrice pseudo-civilistica: la "rescissione del giudicato". In questo caso si considera ´annullabile´, a determinate condizioni, anche il giudicato formatosi intorno ad una sentenza (che risulta viziata a monte) pronunciatain absentia. La richiesta di rescissione è proponibile, avverso una sentenza passata in giudicato, dal condannato - o dal sottoposto a misura di sicurezza - qualora si sia proceduto in sua assenza per tutta la durata del processo, a condizione che lo stesso provi che «l´assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo».(3) Di quale verità, di quale giustizia stiamo parlando, allora? Autrice Ludovica Di Masi Note e riferimenti bibliografici (1) Ubertis,Fatto e valore nel sistema probatorio penale, Milano 1979; Id.,La ricerca della verità giudiziale, inLa conoscenza del fatto nel processo penale, a cura di G. Ubertis, Milano 1992; P. Comanducci,La motivazione in fatto,in La conoscenza del fatto; Ferrajoli,Diritto e ragione; P. Ferrua,Studi sul processo penale; R.E. Kostoris,Giudizio (dir. proc. pen.),inEnciclopedia giuridica, XV, Roma, 1997; F. Stella,Verità, scienza e giustizia. Le frequenze medio-basse nella successione di eventi, inRiv. it. dir. e proc. pen.,2002, pp. 1215-1247, alle pp. 1219-1222. (2) Denys d´Halicarnasse, Opuscules rhetoriques, tome 1: Les orateurs antiques, texte établi et traduit par G.Aujac, Paris 1978; Odissea, XIX,203 (traduzione di Ippolito Pindemonte); Retores Graeci, ed. Chr. Walz, vol. I, Stuttgartia et Tubingae. (3) Tra le fonti d´ispirazione del presente articolo è mio dovere annoverare le lezioni tenutesi all´Università degli Studi di Salerno dal prof. Luigi Kalb (corso di Diritto Processuale Penale), dal prof. Gaspare Dalia (corso di Teoria Generale del Processo, anno 2013-2014), dal prof. Angelo Alessandro Sammarco (corso di Diritto dell´esecuzione Penale) e dal prof. Felice Pier Carlo Iovino (corso di Diritto Penitenziaro).

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Facebook: ”post” e ”like”, quando sono offensivi e punibili? Siamo proprio sicuri che ciò che scriviamo su Facebook sia sempre lecito e non costituisca piuttosto un reato? Scopriamo insieme quando ciò si verifica. Diffusa è la convinzione che ciò che scriviamo o "postiamo" sui social network non possa esser oggetto di altrui sindacato e ci esoneri da ogni responsabilità di sorta. Capita così di imbattersi frequentemente in contenuti dal tenore offensivo, "postati" e dati in pasto alla rete, ove poi è di fatto inevitabile la diffusione virale. Vale la pena ricordare che lo scorso 22 settembre*, laCorte di Cassazione, pronunciandosi in ordine ad una vicenda integrante il reato di molestia alle persone (art. 660 c.p.) realizzato tramite social network, ha stigmatizzatola natura stessa diluogo virtuale aperto all´accessodi chiunque utilizzi la rete,diun social network o community qualeFacebook. A fronte di tali nuove forme aggregative, che esulano dall´inquadramento nella nozione tradizionale di comunità sociale, è possibile parlare di "piazza immateriale", nella quale le interazioni tra utenti sono potenzialmente infinite (proprio come le potenziali condotte illecite). Tale orientamento della Corte, che consolida l´equiparazione dei luoghi "virtuali" a quelli fisici, si inserisce in quel filone interpretativo che, sin dall´avvento dei social network, ha rilevato quanto un loro uso distorto, attraverso la massiccia ed incontrollata diffusione dei contenuti, potesse essere astrattamente lesivodi diritti e valori costituzionalmente assistiti quali lareputazione, l´onore(1)ed ildecoro personale. Questi ultimi rappresentano una estrinsecazione del diritto all´integrità morale, a sua volta ascrivibile alla categoria dei diritti della personalità, inviolabili e protetti in virtù del disposto dell´art. 2 della Carta Costituzionale. A tale categoria fa da contraltare un altro diritto fondamentale dell´individuo, sancito dall´art. 21della Costituzione, quello a manifestare liberamente il proprio pensiero. Ildiscrimentra legittimo esercizio di tale diritto ed illecita lesione dell´altrui reputazione marca la distinzionedelle opinioni personali o critiche da condotte integranti i reati di diffamazione ed ingiuria. E´ pacifico per la giurisprudenza ritenere le opinioni personali manifestazioni legittime del proprio pensiero e/o del diritto di critica, se esternate con modalità non denigratorie ed insinuanti e, ad ogni modo, scevre da intenti offensivi. L´esercizio della libertà di espressione incontra un limite ove si caratterizzi per il suo tenore denigratorio, offensivo ed ingiurioso. In tale eventualità, essa non può ricevere tutela da parte dell´ordinamento ma deve essere sanzionata, anche se tali esternazioni avvengano in "piazze immateriali" come i social network. Gli utenti di Facebook- per citare il social per antonomasia - che, trascendendo nei toni veicolino insulti ed epiteti di ogni sorta, si

rendono (talora inconsapevolmente)autori diilleciti penaliquali l´ingiuria e la diffamazione, perseguibili tanto in sede penale (a seguito di esperimento di querela) quanto in sede civile (per richiedere la condanna dell´autore al risarcimento del danno). Quando i comportamenti dell´utente di un social possono integrare il reato di ingiuria? Per poter rispondere a questo interrogativo è necessario ricostruire preliminarmente la struttura di tale reato che, disciplinato nell´art. 594delc.p., sanziona la condotta di chiunque offenda l´onore o il decoro di una persona presente (con reclusione fino a sei mesi o multa fino a 516 euro), anche "mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

69


disegni, diretti alla persona offesa", prevedendosi un´aggravante ove "l´offesa sia commessa in presenza di più persone". Quanto al requisito dellapresenza dell´offesol´opinione prevalente in dottrina è nel senso di considerarenecessarianon soltantol´esistenza di un rapporto di contiguità spaziale tra autore del fatto e l´offeso, ma anche la percezione diretta che quest´ultimo abbia dell´offesa medesima. La casistica giurisprudenziale recente rivela che la commissione, per via telematica o informatica, di reati contro l´onore sia esponenzialmente cresciuta. Così, un ex fidanzato che, tramite Facebook, invii mail o messaggi privati o chat di tenore eloquentemente offensivo dell´onore e della reputazione della sua ex, commette ingiuria(2). Quando, invece, i contenuti che "postiamo" sono diffamatori? Occorre,anche in questo caso, ricostruire la struttura del reato di diffamazione. Trattasi di una fattispecie che replica l´impianto del reato d´ingiuria ma, ulteriormente rispetto a questo, l´art.595 del c.p. richiede che l´offesadell´altrui reputazione siaveicolata in assenza dell´ offeso e con comunicazioniindirizzatea più persone (prevedendosi la pena della reclusione fino a un anno o la multa fino a euro 1.032).

gative per la sua reputazione; Apprezzato contenuti offensivi. In sostanzaun "like"ad un post diffamatorio può integrare il reato in concorso con l´autoredel suo contenuto. Egualmente si dica per lecondivisionidegli insulti[recentemente sono stati molteplici i casi di rinvio a giudizio per concorso in diffamazione aggravata da parte di magistrati che hanno inteso stigmatizzare la rilevanza dell´offesa alla reputazione della vittima: essa aumenta in proporzione al numero di utenti che apprezzano i post denigratori. In definitiva, occorre tenere una condotta responsabile, consapevoli che, anche sui social network...scripta manent! Autrice Ambra Di Muro Note e riferimenti bibliografici * n. 37596/2014. [1] "Ildiritto all´onoreè un diritto della personalità che si ritiene comprendere sia la dignità soggettiva, propria di ogni essere umano, sia la stima oggettiva proveniente dall´ambiente sociale. (..) L´o. riceve una tutela sia inibitoria (diretta a far cessare la condotta lesiva posta in essere da terzi) sia risarcitoria (volta al ristoro delle conseguenze pregiudizievoli eventualmente subite dal soggetto leso)."[Enciclopedia Treccani]. [2] Il caso citato si è concluso con la condanna dell´autore del fatto ingiurioso al risarcimento del danno. La sentenza de qua, n.770 del 2010, pronunciata dal Tribunale di Monza, è stata la prima in Italia ad occuparsi dei reati contro l´onore commessi tramite Facebook. [3] Corte di Cassazione, sentenza n. 13604/2014.

Il fatto che il soggetto offeso non sia "presente" implica che egli non abbia possibilità di replica rispetto ai contenuti diffamatori e, per ciò stesso, tale reato è sanzionato più gravemente rispetto all´ingiuria. Per altro, ladiffamazioneèaggravatase "l´offesa è recata col mezzo della stampao con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" ed, a tal proposito, è ormai pacifico che l´uso di internet integri questa ipotesi, per "laparticolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio". La casistica giurisprudenziale è assai variegata. Sono state considerate diffamatoriele condotte dell´ utente che su Facebook abbia: Pubblicato con tenuti denigratoried infamanti, e piteti e"battute pesanti",notizie riservatela cui diffusione sia pregiudizievole per la persona offesa [a tal proposito, la Cassazione(3)ha recentemente chiarito che "perchè si configuri il reato è sufficiente che il soggetto la cui reputazione sia stata lesa sia individuabile da parte di un numero limitato di persone, indipendentemente dalla indicazione nominativa"]; Pubblicatofotografieritraenti la vittima, la cui divulgazione abbia ripercussioni potenzialmente ne-

70

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Sezione

INTERNAZIONALE

(articoli in lingua)

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

71


Facebook: ”post” and ”like”, when are they offensive and punishable? Are we really sure that what we write on Facebook is always legal and not illegal? Together, we can find when this is the case. There is a widespread belief that what we write or "post" to social networks cannot be judged and we can be exempted from any kind of responsibility. Therefore, you can frequently find offensive contents, "posted" and thrown to the web, where viral spread is of course inevitable. It is worth remembering that last September* the Italian Court of Cassation, in a case of harassment of people via social network (art. 660 of the Italian penal code), has denounced the nature itself of virtual place open to access to anyone using the web, a social network or community like Facebook. In view of these new cases, which lie outside of the traditional notion of social community, we can talk about "immaterial square", where interactions between users are potentially infinite (just like potential illegal behaviour). Such viewpoint of the Court, which strengthens the comparison between "virtual" and physical places, reflects the idea that the illegal use of social networks since their advent could have been detrimental to constitutionally assisted rights and values like reputation, honour(1) and personal decorumthrough a massive and uncontrolled spread of contents. The latter represent the right of moral integrity, which belongs to the category of personality rights, inviolable and protected by virtue of the provision of art. 2 of the Italian Constitutional Charter. Another fundamental right of the individual, authorized by art. 21 of the Italian Constitution, i.e. the right to express freely one´s ideas, acts as a counterbalance to this category. The discrimen between lawful exercise of this right and unlawful damage to someone´s reputation emphasises the distinction between personal opinions or criticism and a type of behaviour based on defamation and slander. According to the law, it is undisputed that personal opinions are legal expressions of one´s thought and/or the right of criticism, if not uttered with defamation and insinuation and, in any case, if they are free from any offensive intention. The exercise of freedom of expression has its limits when it is defamatory, offensive and injurious. In

72

that case, it cannot be protected by the system but it must be sanctioned, in spite of occurring in "immaterial squares" like social networks. Facebook users - to mention the social network par excellence who may exaggerate and convey any kind of insult become (sometimes unconsciously) responsible for criminal offences like defamation and slander, prosecutable both in criminal court (after an experiment of action) and in civil court (to order the author to compensate for damages). When can a social network user´s behaviour complement the crime of slander? To answer this question it is necessary to illustrate the structure of such crime which, regulated by art. 594 of the Italianpenal code, sanctions the conduct of anyone who offends the honour or decorum of a person (with detention up to six months or a fine of 516 euros), also "through communication on the telegraph or telephone, or through writings or drawings addressed to the offended person", predicting an aggravating factor when "the offence is committed in the presence of more people". As for the prerequisite to the presence of the offended, not only is the relation of spatial contiguity between the responsible and the offended considered to be necessary, but also the direct perception of the offence by the offended. Recent case law shows that the commission of crimes against honour, telematically or informatically, has risen sharply. Therefore, an ex-fiancé who, via Facebook, sends offensive emails, private messages or chats against the honour or reputation of his ex, commits slander(2). When are the contents we "post" defamatory instead? In this case too it is necessary to illustrate the structure of the crime of defamation. Its system is similar to that of the crime of slander, but art. 595 of the Italian penal codefurther requires that the offence of someone´s reputation is committed in absence of the offended and through communication addressed to more people (predicting the penalty of detention up to one year or a fine up to 1,032 euros). The fact that the offended person is not "present" implies that they cannot respond to the offence and, for this reason, such crime is sanctioned even more than slander. Moreover, defamation increases if "the offence is committed via the press or any other kind of public media" and, for this reason, it is evident that the use of the Internet proves such hypothesis, because of "the parti-

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


cular tendency to use the medium to spread the defamatory message". Recent case law is varied. The following kinds of behaviour on Facebook have been considered defamatory: Publish defamatory and ignominious contents, insults and "dirty jokes", confidential news whose spread is detrimental to the offended person [for this reason, the Italian Cassation(3) has recently clarified that "for a crime to be committed it is sufficient that the offended person can be easily recognized by a limited number of people, regardless of their name"]; Publish the victim´s photos, whose divulgation may have potentially negative consequences for their reputation; Like offensive contents. Substantially, one "like" to a defamatory post can complement the crime by involving the author in their content. The same can be said about the act of sharing insults [recently there have been various cases of commitment for trial because of the involvement of magistrates in increased defamation who have denounced the importance of the offence with respect to the victim´s reputation: it increases in proportion to the number of users who like defamatory posts]. In conclusion, it is necessary to have a responsible conduct and be aware that even on social networks...scripta manent! Traduzione di Paola Labib Riferimento in lingua Italiana

Facebook: ”post” e ”like”, quando sono offensivi e punibili? * n. 37596/ 2014. 1) "The right of honour is a personality right that is believed to include both subjective dignity, which is typical of every human being, and objective respect derived from the social environment. (...) The offended person receives both inhibitory protection (intended to stop detrimental behaviour of third parties) and compensatory protection (intended to relieve the offended person from detrimental consequences)" [Encyclopaedia Treccani]. 2) The abovementioned case ended with ordering the author of such offence to compensate for damages. The sentence de qua, n. 770 of 2010, pronounced by the Court of Monza, has been the first in Italy to deal with crimes against the honour committed via Facebook. 3) Italian Court of Cassation, sentence n. 13604/2014.

LGBT civil rights in Italy: 20 yeardelay with respect to Europe. Italy is still light-years away from the achievements in the field of LGBT rights in comparison to other European countries: this is a detailed analysis of this controversial topic. The question of civil rights of same-sex couples is a touchy subject in Italy and clearly reflects the social and cultural distance among Italy and other European countries. In the field of civil rights, including euthanasia, adoptions and unconditional basic income, Italy may be considered as “third world”. Despite the fact that the secularism of the Italian state is one of the central principle of the Italian Constitution, the influence of Catholic Church on these controversial subjects is undeniable and it conditions the political debates, which are biased and, as consequently , in Italy there is a significant deficit of civil rights. Unlike Spain where, despite being traditionally a Catholic country, in 2005 has recognised the rights of LGBT (Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender), Italy still does not recognise them, although it would appear that after the last Synod of Bishops there has been openness towards homosexual marriages, even if they would be different from traditional ones. Obviously, in Italy it is illegal to discriminate people at work on account of sexual orientation, but it is a basic right, officially recognised in almost all European countries. As a matter of fact, nowadays, it is only in Italy, Cyprus and Greece and other former communist countries civil unions or homosexual marriages are not allowed, whereas in the other countries there are some legal instruments to guarantee equal rights and to prevent sexual discrimination. Let us consider the United Kingdom, in which one year ago homosexual couples were given the right to marry: this was possible thanks to parliamentary vote and the approval of Conservative members too. Denmark was the first European country to legalize

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

73


civil unions in 1989 and in 2003 legalized same-sex marriages as well. In 2014 Finland, where homosexual civil unions and stepchild adoption were legal since 2002, became the thirteenth European country to introduce homosexual marriages, thanks to the popular initiative, that promoted the legalization of homosexual unions. Scandinavian countries, as can be easily deduced, have been the forerunners in the field of LGBT rights; as a matter of fact, Norway and Sweden approved same-sex civil unions in the 90s and marriages at the beginning of the twenty-first century. The Netherlands has been the first country of the world to give LGBT couples the right to marry, whereas Belgium, Portugal, Iceland and France recognised this right a little bit later: the first in 2003, the second a d the third in 2010 and the last only two years ago. To summarize, considering EU members, homosexual civil unions are legal in ten countries: Austria, Croatia, Estonia, Finland, Germany, Ireland, Malta, Czech Republic, Slovenia, Hungary; considering countries outside the EU, same-sex unions are allowed in Australia, Greenland, Ecuador, Colombia and South Africa, whereas homosexual marriages are legal in Canada, Argentina, Mexico and Uruguay. It can be easily deduced that European Union has lodged a complaint about the situation of “delay” in the field of LGBT civil rights in Italy: our country has been sentenced to pay a compensation of 120 million euro in 2012, the highest sum of money paid by a member of European Council. What is more, Italy has the highest rate of noncompliance to sentences passed by the European Court of Human Rights: 2569 unobserved sentences; in the rankings; only Russia and Turkey have an higher number of unobserved sentences, and for this reason Italy is under the surveillance of the Committee of Ministers of the European Council. According to the data collected by Ilga Europe, UK is the country with the highest level of respect towards LGBT people, as the percentage stands at 77 per cent of non- discriminatory attitudes, on the contrary, Italy is one of the last countries in the rankings, with 17 per cent of undiscriminating behaviour, followed by Bulgaria, Bosnia, Turkey, Latvia and Lithuania. In 2010 the Council passed a sentence (n.138) that not only excludes the unconstitutionality of rules that prevent same-sex marriages but states that homosexual unions have the right to be “legally recognised with their rights and duties”, as sanctioned in the Italian Constitution (article 2); briefly, this sentence aims to encourage the

74

Parliament to “find proper ways to guarantee and to recognise the right to homosexual union.” It implies that, if both Italian Houses (Chamber of Deputies and Senate) do not legislate, homosexual couples will have the possibility to turn to the judges to claim the same rights as heterosexual married couples. Furthermore, another controversial issue is the registration of marriage acts (homosexual and heterosexual) signed abroad, which the Court of Grosseto deals with. Now let us consider the sentence n.4184, passed by the Constitutional Court 15 march 2012, about the registration of a marriage act signed in Holland by a same-sex couple. Even though the request of the homosexual couple was denied, the Court has stated that “the components of a homosexual couple living together have right to family life and to lie freely their relationship”, as written in the Italian Constitution (article 2). In this way, the Constitutional Court recognises and upholds the principles expressed in the judgment passed by the European Court of Human Rights, according to which the right to marriage cannot be limited to heterosexual couples but it should include homosexual people as well. This decision confirms the content of the article 14 that forbids any type of discrimination. As a result, after the sentence mentioned above, several progressive mayors have decided to register marriage acts signed abroad; but the Italian Minister of Interior, Angelino Alfano, published a Ministerial Circular in order to revoke the recognition of those marriage acts; nevertheless, to tell the truth, some mayors have refused to apply the Circular and a result, they are likely to be accused of omission of documentation. A good example of which is the case of Giuliano Pisapia, Mayor of Milan. Furthermore, the most significant step forward has been done by the Court of Cassation, since it has recognised the right of samesex couples to have children, stating that “there is no scientific certainty and data, but only prejudices, that confirm that it is dangerous and morally wrong for a child to live with homosexual parents”. More to the point, the judgement n.170 passed by the Constitutional Court in 20014, that dealt with sexual identity and sexual orientation. The sentence deals with the case of a man, married to a woman, who had decided to have a sex-change - not asking divorce to his wife, but instead asking her approval. Nevertheless, paradoxically, those who want to separate can turn to competent authorities, whereas in case of sex change, people must divorce. The Constitutional Court, at request of Court of Cassation, has declared that it is unconstitutional to impose the divorce to a couple, in which of one of the member has changed sex. Moreover, the Court has demanded to “intervene promptly in order to overcome the condition of illegitimacy, due to the deficit in the rights of LGBT people.” In other words, the Italian Parliament is expected to pass a law that provides for a form of official cohabitation for same-sex couples; furthermore, as previously decided by the sentence n.138, this law should guarantee the same rights and duties for homosexual couples as heterosexual ones. Renzi Cabinet has promised to enact a legislation about this issue, on the German model, but has not however kept this

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


promise. Up to now, the Italian State has been unable to pass a law against homophobia - laws that establish homophobia as an aggravating factor like sexual, racial and religious discrimination. It is poignant to note that, according to a recent survey conducted in all countries of EU, Italy accounts for the country with the highest rate of homophobia, in relation to some parameters, such as the use of discriminatory language, the limitation of sexual freedom and access to public service. In conclusion, it can be easily deduced that in our country the Catholic and Conservative ideology has still a great influence and inevitably conditions political decisions about “ethical” issues, preventing the introduction of laws, that in other European countries guarantees civil rights to LGBT people. Traduttrice Alessandra Parrilli Riferimento in lingua Italiana

Diritti civili LGBT: Italia, 20 anni dietro l'Europa.

International terrorism and “foreign fighters”: what are the prevention measurement adopted by the Government? The recrudescence of the terroristic phenomenon, Charlie Hebdo and the executions done by the Isis militia, provided the adoption from the Italian government, similarly to other European countries – above all France – of measures against these criminal actions, even with the introduction in the penal code of new particular cases of crime. The last scenes of international reports - the French massacre at Charlie Hebdo and the obscene series of barbaric executions from Isis - requested the Italian government to intervene , which, after an accurate elaboration of a tactic during Council of Ministers last February 10th it has (1), adopted a Legislative Decree (2) with urgent measures to prevent and contrast terrorism even international.

In detail. Introduction to new particular cases of crime and penalties of ´new´ behaviour criminally relevant. The measures the government adopted, to contrast the criminal activities of the terroristic organizations, and to assimilate the actual regulation of codes (art. 270 bis e seg.c.p.), contemplates an expansion of the catalogue of particular cases of associations with terroristic finalities, averting the introduction of a new violation which punishes behaviours integrated from: organisation, financing and propaganda of journeys to comply with terroristic acts - inflicting from two to six years of reclusion (it is in the art 270-quarter c.p.)(3). Is expected, also, a punishment for the person recruited with terroristic aim, except in cases of training, with the reclusion from three to six years; it is determined an increase of the category of the active subjects (4) - the recruited - and the behaviour attributed to them whether art 270 quarter c.p. sanctioned, until the intervention of the storyteller, only the activity of the recruiter.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

75


On the base of the French model, it is introduced the criminal liability of the one who acquire autonomously the ´instructions to the fulfilment of terroristic acts´, being actually penally sanctioned the training from another person (art. 270quinquies c.p.)(5). Identifying the constant increasing influence and incidence of the electronic means in the proselytism activity and ´the benefit by the terroristic groups´, the decree, in order to contrast this disrespectful and criminal use of the internet, declare ulterior measures: The deterioration of punishment established for crimes of defence and instigation to terrorism committed through electronic devices (art.2 decree de quo); the possibility that the Authority orders to the internet providers of ´inhibit the access to sites used to commit crimes with terroristic aims´. These internet sites are listed on a specific list, created by the ´Postal and Telecommunications Service Police´, and always updated by them. Whether this isn´t respected, the Judiciary Authority can debar the access to these internet domains (art. 2, co. 2); To the directors of the information services for the security, is expected to be allowed the experiment with the Judge authorization - of meetings with the prisoner or interned, in order to ´obtain information to prevent crimes with terroristic aim of international matrix´ and whether there are ´specific and concrete informative elements that make absolutely essential the preventing activity´ (art.6)(6); finally are conferred to the National Antimafia Prosecutor coordinating functions, in national territory, investigations regarding penal and prevention measures concerning terrorism(with this action is edited the dictation ´national antimafia prosecutor´ with the addition of the word ´and antiterrorism´)(7), considering he/she conducts the ´assignment of national antimafia and antiterrorism prosecutor, to the date of become law from the present decree, the national antimafia prosecutor´. It is also changed the dictation ´district antimafia direction´ to ´public prosecutor´.

stern ready to reach the Syrian frontline. To contrast and prevent this new event, the law decree - even not using the diction foreign fighters - commands it is extended the punishment to the one who takes ´part in a conflict in a foreign territory to support an organization who seek the terroristic goals as in art 270-sexies of penal code´. Furthermore it is allowed to the Commissioner the ability - in cases of necessity and urgency - to recall temporarily the passport to ´suspected´ foreign fighters or people implicated in the ´commitment of crimes with terroristic goals´, upon proposing the application of special surveillance prevention measurement, disposing the ´suspension of validity upon expatriate every other document equivalent´ (at.4, co.1, lett. b). Together with this expectation, the decree consider the punishment of the behaviour of whom doesn´t actuate the measure imposed with the urgencies actions indicated above (more than the recall of passport, ´the obligation or prohibition of stay´). Traduttrice Loredana Vega Riferimento in lingua Italiana

Terrorismo internazionale e ”foreign fighters”: quali misure di prevenzione e contrasto ha adottato il Governo? C.d.M. n. 49; Law Decree February 18th 2015, n. 7; Measures ; Art. 270-quater.1, "Organisation of transfers with terroristic goals "; The active subject of the crime is the author of the illicit behaviour penally relevant; In the decree method was used the diction "self training"; Vanish the expectation - said above in the method - of exempt that, in a general enlargement of ´functional warranties´, omit from the criminal liability the behaviour of the Intelligence agencies´ staff, as long it is for ´institutional goals´ and upon authorization of Council of Ministers President; Art. 4, co.1, lett. a.

Regarding the personal prevention measures, the Govern, following the decree, was considering the integration of measures concerning foreign fighters. With these words are indicated the foreign fighters that, adhering to the jihadist cause, have reached the ´conflict´s interethnic and religious stages´ in the Middle East Area, to join the militias of many terroristic organizations actives in Syria and Iraq, above all the Islamic State (already ISIS) and Jabhat al Nusra. Approximate reckonings indicate on fifteen thousand of foreign fighters, three thousand are the ea-

76

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Italian regulations and handy instructions on how to handle dogs in public areas What we need to know when taking our Doggie out. To curb the frequent unpleasant episodes concerning dog handling, in 2013 the Italian Ministry of Health issued the ordinance number 209 providing new provisions on the tutelage of public safety from dog attacks. With the aid of the National bulleting ´Gazzetta´ at the touch of your fingertips, one can examine all details of the present law. Art. 1 states that: "The dog owner is at all times responsible for the welfare, the control, and the management of the animal; as well as civil and criminal offence, for any damages or injuries to persons or animals caused by the animal itself." Art. 2 states that: "Whoever, in his capacity, agrees to handle a dog which is not of his property, will be fully responsable of the dog behaviour during the relevant period." Therefore, the dog owner is responsable, both civil and criminal offences, for his/her dog and she/he responds directly for any injury caused by the animal. Having stated what above, it is imperative to ensure the capabilities of the dog sitter before leaving ´Doggie´ walking around with someone else. It is so, because it is "the latter (who) will fully take responsibility of the dog during the relevant period." But what are the acceptable behaviours that the dog owner has to observe in order to avoid and prevent "damages or injuries to persons, animals, or things?" The answer to this question lays in Art. 3, where all the necessary precautions are specified. "For the purposes of avoiding damages or injuries to persons, animals, or property, the dog owner and the dog sitter shall take the following measures: a) Always use a leash not exceeding 150 centimetres while conducting the animal in urban areas and in public open places; unless walking in dogs´ areas allocated by the municipalities; b) Always carry a muzzle, hard or soft, to be applied to the dog in case of danger for the safety of people or animals, and/or if requested by local authorities; c) Never entrust the dog to people who cannot manage it properly;

d) Always aknowledge the dog´s physical and ethological characteristics before buying it, and the local rules in force; e) Always ensure that the dog has an appropriate behaviour according to the context in which it lives, and towards people and animals who share the same living area." Proceeding throughout the Articles, we must linger on the largely debated Art. 4 which deals with the concerns about the recollection of animals´ excrements and it specifically states: "It is binding to all dog owners and dog sitters that in urban places faeces must be collected; one has to carry with them, at all times, the appropriate tools to collect the filths." To this regard, a recent judgment of the Supreme Court (no. 7082/2015) sanctions that the animal owners, by using appropriate means, have to minimize the probability of letting the dog "tarnish third parties owned assets such as buildings facades, or parked transportations." In an analogous case, a dog owner has been accused of "contamination" because his dog was found "guilty" of having peed on the facade of a noble ancient Florentine palace. The holder was not sentenced because he had promptly washed the wall with a bottle of water, so to exclude the intent of fraud that characterize the crime ex art. 639, clause 2, Criminal Code. Then, the Supreme Court bothered to narrow further duties of owners, defining precise obligations. According to the Supreme Court, the owner of a dog must: pay careful attention on the behaviour of the animal; limit the animal´s freedom of movement through the use of a leash; try to make the animal desist from any filthy action (within the limits of the owner possibilities); in case of any filthy action, the owner must repair to the damage by washing the affected area with a bottle of water. If these provisions will not be observed, the dog owner will be accused of "sloppiness, or incompetence in managing the animal." Article 5 and 6 bear provisions about the duty of dog owners to take part at training courses (at their own expense), especially in cases of specific dog breeds "that require a behavioural assessment, as it is challenging for the proper management, to guarantee the public safety." Finally, we report the Art. 7:

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

77


"Due to previous incidents of biting, aggression, and other episodes; municipalities adviced by the veterinary services, whom play a central role in public safety, decided that dog owners, at their own expense, have the obligation to train their dogs. Article 7, in the wake of the two previous Articles, sanctions mandatory training for dog owners who have been responsable for dangerous incidents such as biting, aggression, etc. The legislation specifically forbids all activities that enhance the aggressiveness of dogs and the sale of dogs that have undergone unauthorized surgery (eg. tail docking and ear cropping). These actions fully fall into crime for mistreatment of animals (Art. 544 and 727 of the Criminal Code). There are restrictions for dog possession to persons who: are subject to preventive penal measures; who have been condemned, even if not definitively, for intentional crime against persons or properties with a sentence of two years and above; or/and underaged (less the 18) who are considered mentally ill. Exceptions apply only to military dogs which belong to armed and police forces, civil defence and fire brigades; as well as, dogs trained to assist people with disabilities; and shepard dogs trained to conduct flocks. Traduttrice Sonia Della Sala Riferimento in lingua Italiana

Cani e luoghi pubblici: istruzioni per l'uso.

Vivre d´amour et d´eau fraîche: le certificat de concubinage Les coutumes évoluent rapidement et aujourd´hui, il est possible de conclure le certificat de concubinage permettant aux couples non mariés, y compris homosexuels, de bénéficier d´une protection efficace. Il faut bien reconnaître que l´Italie est un pays où la grande majorité de la population est conservatrice, moraliste et bienpensante. Bien sûr, les coutumes, les mentalités et, par conséquent, la façon de voir les choses évoluent et cela a mené à la possibilité de conclure ce qu´on appelle "certificat de concubinage". Aujourd´hui, tout en étant une réalité sociale affirmée pacifiquement et même reconnue en Italie, le concubinage ne bénéficie pas des mêmes protections par rapport à la famille fondée sur le mariage, car les liens qui s´établissent entre concubins ne restent contraignants que sur le plan moral et sentimental. Le respect des liens doit également être réciproque, jusqu´à la fin du concubinage. Le certificat de concubinage se présente comme un moyen qui permet de régler les aspects patrimoniaux de ceux qui vivent more uxorio: en effet, les contrats n´interviennent pas dans la relation du couple, mais ils ne règlent que son aspect patrimonial. À la suite des expériences déjà largement confirmées dans les autres pays européens (comme par exemple les "contrats de ménage" en France, les "cohabitation contracts" en Angleterre, etc.), le certificat de concubinage, mis en place par le Conseil National du Notariat Italien, constitue un accord écrit par lequel on va définir les règles de l´organisation patrimoniale du concubinage. «On peut les signer à tout moment du concubinage, mais elles peuvent également définir les rapports patrimoniaux en cas de rupture du concubinage, afin d´éviter les discussions et les revendications au moment de la séparation des concubins», affirme le Conseiller national du Notariat italien, Domenico Cambareri. Qu´entend-on par aspects patrimoniaux du concubinage? Le certificat de concubinage règle les critères de participation aux dépenses communes, les critères d´attribution de la propriété des biens acquis au cours du concubinage, les modalités d´utilisation de leur logement, la définition des rapports patrimoniaux réciproques en cas de rupture du concubinage. Dès que les concubins concluent le certificat de concubinage, il y a de véritables obligations juridiques à leur charge: même leurs enfants peuvent bénéficier de clauses définissant les rapports patrimoniaux sur la pension alimentaire et l´éducation. En fait, ce

78

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


sont toutes les règles de l´organisation patrimoniale de l´union libre définie selon les exigences spécifiques des partenaires. Sur le plan patrimonial, le certificat de concubinage peut également établir de quelle façon il faut attribuer la propriété des biens acquis pendant la période du concubinage (par exemple, on peut faire une répartition de 50% chacun); dans quelle mesure les concubins participent aux dépenses communes ou au travail chez eux et en dehors de la maison; de quelle façon il faut utiliser le logement où ils vivent (indépendamment du fait que l´un des concubins est propriétaire du logement ou qu´il s´agit d´un logement loué); comment on peut définir une séparation éventuelle sur le plan économique et patrimonial. L´éventualité que l´un des concubins soit atteint d´une infirmité physique ou de difficultés est un exemple qui est souvent utilisé dans le débat public sur les couples non mariés. Le but est de montrer le point de vue qui est paradoxal à plusieurs égards, par rapport au système juridique italien. En effet, dans ces cas, un seul certificat de concubinage peut donner droit à la désignation réciproque de l´administrateur de soutien. Le certificat de concubinage respecte la réglementation générale des contrats: dès lors, il ne peut être résilié qu´avec consentement mutuel des concubins ou par les causes autorisées par la loi (résiliation pour non-respect des règles, pour cause d´impossibilité, etc.); en cas de violation, les partenaires pourront s´adresser au juge pour obtenir une décision, afin de faire respecter le contrat. Cette situation montre clairement que le certificat de concubinage reflète l´évolution des coutumes et soulève un problème important relatif à la protection des couples non mariés, une nouvelle réalité sociale qui évolue.

Traduttrice Mariaconcetta Sessa Riferimento in lingua Italiana

Due cuori ed una capanna: il contratto di convivenza.

Derechos civiles LGBT: Italia el Tercer Mundo de Europa Un artículo que trata sobre los derechos civiles LGBT en Italia, con el objetivo de demostrar su atraso con respecto al resto de Europa. El tema sobre los derechos civiles de los homosexuales demuestra claramente la distancia social y cultural que existe entre Italia y el resto de Europa; no obstante condividan límites de balance y división de competencias y garanticen, al menos teóricamente, la condivisión de valores y de ideas. En tema de derechos civiles, hoy en día, Italia representa el Tercer Mundo de Europa. Lo mismo se puede decir por lo que concierne temas como: la eutanasía, las adopciones o la renta básica universal. No obstante la laicidad del Estado italiano sea reconocida constitucionalmente, la presencia y la influencia de la Iglesia Católica es muy fuerte en los debates que conciernen los temas nombrados anteriormente. De hecho, sus condicionamentos ideológicos o religiosos contribuyen al permanecer de un déficit en tema de derechos. Es suficiente con pensar en España, que aunque católica, desde 2005 reconoce a las parejas LGBT[1]. Y sin embargo parece que en el último sínodo ha habido un principio de aceptación de las uniones homosexuales aunque no comparable con los ´matrimonios comunes´. Ciertamente en el ámbito laboral de Italia está prohibido discriminar a las personas por sus inclinaciones sexuales, pero este es un dato mínimo de civilización reconocido en la mayor parte de los países de la Unión Europea. Por el resto solo Italia, Grecia, Chipre y otros países no preveen ninguna forma de unión civil, ni matrimonios. En cambio en el resto de Europa existen leyes que ponen freno a la discriminación hacia quien no es heterosexual.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

79


El año pasado (2014) en Inglaterra y Gales se reconoció el matrimonio a los homosexuales, incluso con el voto parlamentar de muchos exponentes conservadores.

77% de comportamientos no discriminatorios. Mientras que Italia se encuentra entre las últimas en clasífica, con un 19% que la coloca en el mismo nivel de Bulgaría, Bosnia, Turquía, Lituania y Letonia.

Los daneses han anticipado los tiempos legalizando las uniones civiles ya en 1989 y en 2012 el matrimonio entre homosexuales.

En 2010 la Consulta emitió una sentencia (la número 138) que excluye la inconstitucionalidad de las normas que impiden el matrimonio a los homosexuales, pero afirma que la unión homosexual tiene el derecho de ser reconocida desde un punto de vista jurídico con sus respectivos derechos y deberes. Según cuanto sanciona el artículo 2 de la Constitución italiana, que incita, por lo tanto, al Parlamento a ´individuar las formas de garantía y de reconocimiento para dichas uniones´. Esto significa que si las Camaras no legislarán, las parejas homosexuales podrán dirigirse a los jueces ordinarios para reivindicar un tratamiento equiparable al de las parejas heterosexuales casadas.

En 2014 Finlandia, donde ya desde 2002 eran legales las uniones civiles entre homosexuales y se reconocían las adopciones a dichas parejas, se convirtió en el decimotercer país de Europa en reconocer los matrimonios entre homosexuales. En el mismo año fue aprobada una ley por iniciativa popular y nacida en internet, que reglamentaba dichos matrimonios. Los países escandinavos representan la avanguardia en este tema. De hecho Noruega y Suecia ya en los años lsquo;90 aprobaron las uniones civiles entre homosexuales y en los primeros años del 2000, empezaron a reflexionar sobre la aprobación del matrimonio. En 2001 Holanda fue el primer país en conceder la posibilidad de casarse a los LGBT, mientras que Bélgica tomó la misma decisión en 2003. Portugal e Islanda aprobaron dichos matrimonios en 2010 y Francia en 2013. En Europa las uniones civiles homosexuales son legales en 10 países: Austria, Croacia, Estonia, Finlandia, Alemania, Irlanda, Malta, República Checa, Eslovenia y Hungría. También Australia, Groenlandia, Ecuador, Colombia e incluso el Suráfrica reconocen dichas uniones. Los matrimonios, en cambio, son legales en: Canadá, Argentina, Uruguay y México. El retraso de Italia no ha sido exento de quejas por parte del Tribunal Europeo. De hecho, en 2012 Italia tuvo que pagar una indemnización de 120 millones de euros, estableciendo el record, para nada invidiable, de la cifra más alta que haya pagado uno de los 47 países miembros del Consejo de Europa. Además es el país con mayores ´incumplimientos´ de las sentencias hechas por el Tribunal de Estrasburgo: 2569 contra los 1780 de Turquía y los 1087 de Rusia como demuestra la tabla de clasificación. A causa de los juicios no aplicados, Italia encabeza la lista de los países ´supervisionados especiales´ del Comité de Ministros del Consejo de Europa. Según los estudios de la asociación ILGA Europe[2], el Reino Unido resulta ser el país en el que la población LGBT es mayormente ´respetada´, con el

80

Una de las últimas cuestiones que se hubieron en Italia, concierne la transcripción de los matrimonios (incluso gais) contraídos en el extranjero, ordenada, en este caso, por el tribunal de Grosseto. Para sostener la tesis en favor del reconocimiento en Italia, se menciona un ilustre precedente de la Corte Suprema de Casación: la sentencia 15 marzo 2012, número 4184, en la que la misma Corte había decidido sobre la petición de transcripción de un matrimonio contraído en Holanda por parte de una pareja homosexual. Aunque no aceptando la petición, la Casación afirmaba el no ser contraria al orden público de la misma, en cuanto ´también los componentes de una pareja homosexual que conviven de manera estable, se consideran titulares del derecho a una vida familiar´ y del ´derecho de vivir libremente una vida de pareja´ en cuanto formas sociales ex artículo 2 de la Constitución. De hecho, la Corte Suprema ha reconocido como válido el princípio expresado en la sentencia del 24 junio de 2010 por el Tribunal Europeo de los derechos humanos, con la que se estableció que el derecho al matrimonio, sancionado en el artículo 12 de la Convención, no se tiene que limitar a los casos de matrimonios entre personas de diferente sexo, sino que tiene que tener un contenido nuevo y más amplio, que incluya el matrimonio contraído entre dos personas del mismo sexo. La disposición se tiene que leer también en relación con el artículo 14 que prohibe toda discriminación en la atribución y en el goce de los derechos humanos individuados en la misma convención. Después de dicha sentencia, muchos alcaldes de orientación progresista, sensibles al tema, han cumplido ellos mismos la registración, con la intervención del Ministro del Interior italiano Angelino Alfano, que emanó una Circular Ministerial de revocación de las transcripciones. En realidad, rechazando la aplicación de dicha circular, algunos alcaldes fueron considerados como punibles de contestación por la omisión de actos de ejercicio, como en el caso de Pisapia, alcalde de Milán. Sin embargo la Casación defendió hasta el derecho de una pareja homosexual de tener hijos y reiteró que ´no hay certezas científicas o datos de experiencia, sino puro prejuicio en considerar que el hecho de que un niño viva con una pareja homosexual sea perjudicial para su crecimiento´.

CamminoDiritto.it ZER0 - Dicembre 2015


Aún más importante fue la pronunciación de la Corte Constitucional número 170 del 2014 sobre el tema de la orientación sexual y de la identidad de género. La sentencia nace de la historia de un hombre que, casado con una mujer, se sumete a un procedimiento de cambio de sexo aún queriendo ´tener en vida´ el matrimonio con el consentimiento de su pareja.

Traduttrice Juliana Yanel Capone Riferimento in lingua Italiana

Diritti civili LGBT: Italia, 20 anni dietro l'Europa. [1] Siglas que designan colectivamente a lesbianas, gais, bisexuales y transexuales. [2] Asociación Internacional Lesbiana y Gay.

Así se crea una situación paradoxal: mientras que quien quiera divorciarse puede dirigirse en plena conciencia a la autoridad judiciaria para obtener la separación, en el caso dicho anteriormente, la ley impone el divorcio. Ahora bien, la Corte Constitucional, solecitada en este caso por el Tribunal de Casación, retiene que tratándose de dos derechos fundamentales, es anticonstitucional el hecho de imponer el divorcio a dos personas que están casadas, en el caso en que una de las dos cambie de sexo en el registro civil. La Corte aprovechó de la ocasión también para solecitar al legislador para que interveniera ´con la máxima diligencia para superar la condición ilegal de la materia examinada para el perfil del actual déficit en la tutela de los derechos de los sujetos implicados´. Es decir, el Parlamento italiano tendrá que aprobar de inmediato una ley que prevea una forma de convivencia registrada para las parejas homosexuales. Dicha ley, come evidenciado por la misma Corte en la precedente sentencia número 138, tendrá que ser sólida, completa y clara en tema de igualdad respecto a los derechos y a los deberes previstos para la pareja casada. Hace tiempo, el gobierno de Matteo Renzi prometió una legislación en dicha materia basada en el modelo alemán, pero aún no ha sido realizada. Y, en efecto, en Italia todavía no existe una ley contra la homofobia que establezca como elemento agravante dicho comportamiento despreciativo, a la par de la discriminación sexual, de raza o de religión. No es un caso el hecho de que una reciente investigación de la Unión Europea, haya clasificado Italia como el país más homófobo de Europa en base a varios parámetros, cuales: el uso de un lenguage descriminatorio, los límites de la libertad sexual y de acceso a los servicios. De hecho, en Italia sigue siendo muy fuerte el trasfondo cultural de tipo católico-conservador que ineluctablemente condiciona el debate político sobre las cuestiones ´éticas´ e impide que sean aceptados aquellos derechos que ya han sido aprobados en los países mayormente civilizados del mundo.

Rivista di divulgazione Giuridica a cura della redazione di CamminoDiritto.it

81



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.