Piazza della Mostra_progetto #00

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Piazza della Mostra

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Piazza della Mostra #00 - giugno 2013

Campomarzio Via del Suffragio 24 38122 Trento, Italia www.campomarzio.name campomarzio.wordpress.com Campomarzio è: Pietro V. Ambrosini Michele Andreatta Alessandro Busana Daniele Cappelletti Karol K. Czarzasty Enrico Lunelli Teresa Pedretti Enrico Varagnolo hanno collaborato al progetto: Silvia Balzan Andrea Bombasaro Enrica Mauro Michele Moresco Ernesto Patti Massimo Peota Isacco Rama Stefano Rubini Roberto Sega Andrea Simon Marco Scudellari Valeria Zamboni Federico Zappini si ringrazia: Vincenzo Caiì Mauro Campedelli Fabio Campolongo Stefano Endrizzi Giuseppe Ferrandi Sandro Flaim Claudio Martinelli Franco Marzatico Melchiore Redolfi Federico Rudari Rolando Trenti Roberta Zuech Alberto Winterle

uno speciale ringraziamento va inoltre a: Archivio Storico - Biblioteca Comunale di Trento Archivio Comunale di Trento Assessorato alla Cultura del Comune di Trento Assessorato alla Cultura della Provincia Autonoma di Trento Fondazione Museo Storico Trento Museo Castello del Buonconsiglio Soprintendenza per i Beni Architettonici e Archeologici della Provincia Autonoma di Trento e a Paola Stelzer per il generoso e costante supporto Finito di stampare nel mese di luglio 2013 presso il Centro Duplicazioni della Provincia Autonoma di Trento con il contributo di: Provincia Autonoma di Trento con il patrocinio di: Comune di Trento Il materiale riportato in questa pubblicazione (ove non diversamente specificato) è distribuito sotto licenza Creative Commons “Attribuzione-Non Commerciale-Condividi Allo Stesso Modo 3.0 Italia” Per informazioni sulle attività di Campomarzio: info@campomarzio.name

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Prefazione

Quanto segue è il risultato di una ricerca promossa autonomamente dall’Associazione Campomarzio durante il primo semestre del 2013. Il progetto ha coinvolto un gruppo multidisciplinare composto da 21 professionisti, tra architetti, ingegneri, paesaggisti e sociologi. Con Piazza della Mostra Campomarzio inaugura la propria attività di riflessione e promozione di dibattito sulla città di Trento, sulle sue criticità e potenzialità. E lo fa utilizzando lo strumento progettuale. Siamo convinti che i problemi della città possano e debbano essere risolti attraverso il ridisegno dello spazio, sapendo accogliere in maniera adeguata le esigenze di una moderna società del XXI secolo. E’ necessario quanto urgente tornare a parlare di progetto. Presentare un’attenta analisi delle condizioni attuali e una successiva proposta progettuale significa proporre una riflessione sulla condizione presente della città e su un suo possibile futuro. Pertanto il lavoro presentato vuole costituire, al di là del risultato progettuale, un’indicazione di metodo più che la risoluzione dei problemi di una specifica area urbana. Abbiamo scelto di lavorare su Piazza della Mostra perché rappresenta un caso emblematico per la città di Trento: un ambito urbano molto significativo e rappresentativo ubicato in prossimità del centro storico e a ridosso del Castello del Buonconsiglio. Uno spazio irrisolto da decenni, che si è trasformato in ripetute occasioni progettuali – da Adalberto Libera a Giancarlo De Carlo per citare i progettisti più famosi – senza però trovare vere e proprie risolutive attuazioni. È necessario riprendere il discorso e farlo attraverso un aperto confronto, al fine di arrivare ad una soluzione condivisa che sia la migliore possibile. Per questo il lavoro presentato in questa pubblicazione non vuole essere La risposta al problema di Piazza della Mostra, ma

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l’indicazione delle potenzialità che questo spazio possiede. Si tratta di qualcosa di più simile ad uno studio di fattibilità che ad una vera e propria proposta progettuale risolutiva. Ci auspichiamo che al progetto presentato segua un vivace confronto, capace di chiarire le tante questioni relative allo spazio della Piazza e al suo possibile utilizzo.

Trento, giugno 2013

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Indice

Introduzione La città: spazio pubblico/privato o spazio comune?

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Piazza della Mostra dal medioevo al ‘900 Il Castello e la Città Breve storia di una relazione complessa

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Un importantissimo problema edilizio Il Piano Regolatore del Castello del Buonconsiglio del 1914

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Un domenicano a Trento Adalberto Libera e Piazza della Mostra

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La città all’alba della guerra Il Piano Regolatore del 1941

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Questioni di parcheggio Il progetto di Giancarlo De Carlo per la città di Trento

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Progetti recenti

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Fotografie Storiche

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Analisi

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Strategia

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Progetto

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Conclusioni

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Introduzione La città: spazio pubblico/privato o spazio comune?

La città, come la comune etimologia tra polis e politica ci ricorda in continuazione, è per definizione il luogo in cui si rende necessaria una gestione “politica” dello spazio. Nel momento in cui si formarono le prime città, si rese altresì necessaria – probabilmente per la prima volta – la coabitazione di individui con origini, lingue, religioni e interessi diversi, all’interno di uno spazio ristretto e fisicamente limitato. Questa coabitazione doveva essere, per ovvie ragioni, regolata. Possiamo affermare, con buona approssimazione, che la genesi dello spazio urbano e la genesi della politica sono concettualmente e sostanzialmente coincidenti. La città può essere genericamente definita come lo spazio in cui si generano conflitti e opportunità, in cui si instaurano rapporti di potere e di sudditanza e in cui si sviluppano contrapposizioni e intese. La forma stessa della città, dalla sua struttura complessiva fino ai dettagli apparentemente più insignificanti, rappresenta una diretta materializzazione di questi rapporti di potere e delle relazioni sociali che contraddistinguono una comunità di cittadini. Basta osservare come un palazzo nobiliare si affaccia su una piazza in un determinato periodo storico, per percepire che quella facciata non è solamente un manufatto architettonico ma, forse più di tutto, una netta dichiarazione di un certo potere in altre parole una sorta di “manifesto politico”. Questo tipo di analisi si può estendere ad ogni tipo di abitazione e di edificio pubblico poiché il fatto stesso che un manufatto architettonico venga costruito – con tutte le difficoltà economiche e pratiche connesse – ci ricorda che una certa intenzione individuale o collettiva è stata portata a compimento. Allo stesso modo, il come viene costruito ci parla esplicitamente di come l’autore o il responsabile di un determinato edificio si è posto nei confronti del resto della città e dei cittadini. Se quindi possiamo affermare che la lettura dello spazio urbano è inscindibile da un’analisi del complementare assetto politico, si potrebbe anche supporre che ogni trasformazione

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Nelle pagine precedenti: Claude-Nicolas Ledoux,Village utopique de Maupertuis, incisione, 1784.

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urbana non può che coincidere con un cambiamento socio-politico e vice versa. Partendo da quest’ipotesi, si può dedurre che ogni architetto e urbanista non può assolutamente ignorare l’aspetto politico delle sue azioni e che, in maniera complementare, le questioni “urbane” sono fondamentali per una corretta gestione politica. L’attuale scarsa attenzione della politica nazionale a tematiche quali il governo del territorio, il diritto alla casa, l’uso e il consumo del suolo o la regolazione della rendita fondiaria dimostrano come la politica stia rinunciando progressivamente alle sue prerogative, diventando sempre più a-politica. Accettando questa impostazione, chiunque sia interessato alla città non può che guardare con interesse al dibattito pubblico che sta emergendo attorno al tema dei beni comuni. Il recente referendum sull’acqua e le manifestazioni dei no-tav in Val di Susa, (tanto per citare due esempi cronologicamente e geograficamente vicini alla realtà italiana) rappresentano – al di là del merito e delle intenzioni – il sintomo dell’incapacità del sistema politico attuale di gestire dei beni che non sono facilmente categorizzabili come beni di interesse esclusivamente pubblico o privato. Nel paradigma politico e antropologico in cui viviamo, un sistema che ha in gran parte origine nel pensiero dell’illuminismo e che si basa sul dualismo individuo-Stato Nazione, ogni oggetto, entità o pensiero non può che rientrare nei due contenitori “esclusivi” rappresentati dalle categorie “privato” e “pubblico”. In questi ultimi decenni, tuttavia, ci siamo trovati a gestire dei beni che non sono immediatamente riconducibili a questo schema binario: entità talmente estese e rilevanti da non rientrare nella “scatola del pubblico” oppure realtà talmente piccole e locali da apparire insignificanti e poco rappresentate all’interno di questa categoria. Per capire come siamo giunti a quest’impasse, dobbiamo risalire alle origini dell’attuale paradigma, ossia alla nascita della dicotomia tra proprietà pubblica e privata. Ed è proprio nel risalire idealmente a queste origini che il legame tra politica e urbanistica si rende ancor più evidente. La scissione tipicamente moderna tra proprietà pubblica e privata nasce con la dissoluzione e la polarizzazione dell’idea di proprietà comune


che sta alla base delle società premoderne e che vige durante tutto il medioevo. I commons inglesi e i boschi della Magnifica Comunità di Fiemme sono soltanto due degli innumerevoli esempi di utilizzo comune dei terreni demaniali prima dell’avvento della modernità. Il concetto di proprietà comune medievale si fonda sulla credenza cristiana secondo la quale Dio ha donato il mondo agli uomini per goderne in comune. Questa concezione è espressa da un passo della Summa Theologiae in cui Tommaso d’Aquino afferma che «tutto ciò che è contro il diritto naturale è illecito. Ora, secondo il diritto naturale tutto è comune, e la proprietà privata è incompatibile con tale comunanza. Quindi è illecita l’appropriazione di qualsiasi bene esteriore»1. Secondo Paolo Grossi la percezione che sta alla base dell’ idea di proprietà comune medievale si basa sul reicentrismo2, ossia sul primato dell’oggetto sul soggetto: questo significa che il bene o la cosa in sé è considerata più importante del soggetto proprietario, rendendo proprio per questo più facile la fruizione comune di uno stesso oggetto. Con l’avvento della modernità si può affermare che quest’impostazione si rovescia e il soggetto assume il primato sull’oggetto. Con l’emergere del soggetto nasce l’individuo che sta alla base dello Stato Nazione e contestualmente anche la figura del proprietario. Il paradigma moderno e la dissoluzione della proprietà comune sono rintracciabili nelle idee del filosofo britannico John Locke che nel Trattato sul governo afferma: «cercherò invece di mostrare come gli uomini poterono giungere ad avere in proprietà singole parti di ciò che Dio aveva dato in comune al genere umano, e ciò senza alcun patto esplicito di tutti i membri della comunità»3. Ed è proprio nell’Inghilterra di Locke che gli effetti del suo pensiero e più in generale dell’avvento della modernità, si fanno evidenti. Tra 1700 e 1810, infatti, il Parlamento inglese emana una serie di Enclosures Acts: provvedimenti che portano alla “recinzione” dei terreni comuni e quindi alla dissoluzione dei commons. Quest’atto provoca la concentrazione dei terreni recintati e privatizzati nelle mani di pochi proprietari terrieri che conseguentemente privano (da qui il termine proprietà privata)gli altri

1 Tommaso d’Aquino, La somma teologica, vol. ii, Edizioni Studio Domenicano, Bologna, 1996. 2 P. Grossi, Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne dei diritti rurali, Giuffrè, Milano, 1992. 3 John Locke, Secondo trattato sul governo civile, trad. it. Lia Formigari, Editori Riuniti, Roma, 1974. cfr. inoltre il saggio Idee del Comune di L. Coccoli in M. R. Marella, Oltre il pubblico e il privato, Per un diritto dei beni comuni, Ombre Corte, Verona, 2012.

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contadini dell’uso della terra.4 L’accumulazione dei capitali dei proprietari terrieri da una parte e la creazione di una moltitudine di cittadini senza terra, costretta a spostarsi in città e a lavorare nelle nascenti fabbriche, sono due dei fattori che hanno innescano la rivoluzione industriale inglese e lo sviluppo impetuoso della città moderna e più in generale della modernità.5 Nella progressiva scissione tra pubblico e privato i nascenti Stati Nazione diventano presto i detentori e i gestori della proprietà pubblica, delegando ai nascenti cittadini-individui la gestione e i profitti derivanti dalle proprietà private. Tutte le carte costituzionali che nascono in questo periodo per legittimare gli Stati si basano proprio sul riconoscimento e sulla distinzione tra proprietà pubblica e privata. La dicotomia tra soggetto e oggetto, così come la distinzione tra pubblico e privato o quella tra Stato e Individuo portano presto anche alla polarizzazione della politica in ideologie antitetiche: basti pensare alla generale contrapposizione tra la promozione della proprietà privata e della libertà individuale del capitalismo e la fiducia nello Stato e nella proprietà pubblica del socialismo. A più di vent’anni dalla caduta del muro, nonostante la conclamata fine delle ideologie, si può sicuramente affermare che la contrapposizione tra pubblico e privato è ancora presente. Tuttavia, i fenomeni legati alla cosiddetta “globalizzazione” hanno fortemente accentuato il disequilibrio tra pubblico e privato: se da una parte la proprietà privata ha assunto agevolmente una dimensione internazionale attraverso le aziende multinazionali e le grandi corporations, gli Stati nazionali non sono riusciti a formare degli organi sovranazionali capaci di dare una dimensione internazionale al pubblico. L’evidente difficoltà di organismi come l’ONU o degli accordi di Kyoto ne sono una chiara dimostrazione. Di fronte al progressivo indebolimento degli Stati nazionali nella cornice globale, gli interessi di imprese, organismi e enti privati stanno progressivamente espandendosi, occupando gli spazi lasciati vuoti dalla ritirata del pubblico. Possiamo leggere in quest’ottica tutti i fenomeni, accentuati dalla crisi finanziaria, come la vendita delle proprietà pubbliche demaniali o la privatizzazione di attività precedentemente pubbli-

Nella pagina a fronte: Il villaggio di Balscott (������� Oxfordshire) nel 1768, in alto sono rappresentati i terreni comuni dati in concessione a piccoli lotti, in basso lo stesso villaggio dopo la recinzione dei terreni comuni. In T. Sharp, English Panorama, 1936, riportato in L. Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, Laterza, Roma-Bari, 1968. 4 cfr. L. Benevolo, Le origini dell’urbanistica moderna, Laterza, Roma-Bari, 1968. cfr. inoltre J. Rykwert, La seduzione del luogo. Storia e futuro della citta, Einaudi, Torino, 2008. 5 Ibid.

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che. Così nell’assenza di organismi di controllo pubblici sovranazionali sono nate anche le agenzie di rating: degli organismi privati che hanno “paradossalmente” il potere di giudicare la politica economica degli Stati sovrani e di decretare molto spesso, il successo o la caduta di un governo e delle sue politiche economiche. Se da una parte gli interessi privati, proprio perché legati ad un singolo ente o gruppo, possono tranquillamente trascendere i confini nazionali, dall’altra parte la tutela e la gestione del “pubblico” è tuttora ancorata al sistema dei singoli Stati nazionali, un sistema di stampo ottocentesco che appare sempre più debole se si considera la scala globale della finanza, dei flussi materiali e immateriali. Di fronte alla necessità di misure globali per tutelare beni universali come l’ambiente, l’acqua o la salute, oppure di fronte alla nascita di una rete globale di informazioni come internet, sorge naturale la domanda di quale organismo sia in grado di gestire tali fenomeni: molto difficilmente possono farlo i singoli Stati. Il tema dei beni comuni emerge proprio dalla constatazione della debolezza della categoria “pubblico” nella difesa di beni che trascendono i confini nazionali o che, per la loro scala locale, non sono pienamente riconosciuti all’interno degli Stati nazionali. Comune è in fondo tutto ciò accomuna un determinato gruppo di persone trascendendo la scala nazionale della categoria “pubblico”, sia localmente che globalmente. Una recente teorizzazione del concetto di comune è stata formulata da Antonio Negri e Michael Hardt nel libro Comune, Oltre il privato e il pubblico, mentre un tentativo di dare forma giuridica ai beni comuni è stato portato avanti in Italia dalla Commissione Rodotà. La maggiore difficoltà nel dare uno statuto giuridico alla categoria “comune” è rappresentata dal fatto che la comunità di riferimento di ogni bene comune è diversa dalle altre e può variare enormemente. Tuttavia è proprio questo aspetto che differenzia il concetto di comune da quello di pubblico: il riconoscimento che l’entità Stato, all’interno dei suoi confini territoriali determinati, non è più in grado di rappresentare gli interessi delle diverse comunità che la compongono e delle comunità sovranazionali che la trascendono. I rigidi limiti dello Stato, pur avendo espresso e tutelato

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pienamente ciò che è “pubblico” durante l’età moderna, oggi appaiono troppo netti e poco flessibili.6 Risulta evidente che la questione dei beni comuni si traduce necessariamente anche in un problema di rappresentanza e gestione politica. Ma può esistere una politica fondata sulla categoria del “comune”? Forse l’unico tentativo che è stato fatto “dall’alto” di transizione politica da una dimensione “pubblico-statale” ad una dimensione “comune” può essere rintracciato nell’idea costitutiva della Comunità europea. Un’idea che, come dice il termine stesso, ha rappresentato il tentativo di arrivare ad una “politica comune” tra diversi Stati basata sulla formazione di una comunità. Forse è inutile dirlo, ma l’intenzione originaria sembra essersi progressivamente persa e forse non è un caso che il cambiamento di nome in Unione Europea nel 1993 (in seguito al Trattato di Maastricht) è coinciso con una nuova impostazione, meramente monetaria, e con la regressione dall’idea di Comunità politica all’idea di unione di Stati Nazionali. Potremmo quasi dire una regressione dall’idea di comune ad un’idea ottocentesca di pubblico. Malgrado sia necessario mantenere la speranza che un’integrazione politica comune sia ancora possibile, è forse ad un’altra direzione che bisogna guardare: ad un processo costitutivo del “comune” che nasca dal basso invece che dall’alto. Per fare questo è necessario mutare prospettiva e comprendere che il riconoscimento del “comune” non significa rifiutare l’idea di proprietà privata o cambiare l’etichetta da “pubblico” a “comune”, quanto piuttosto spostare l’attenzione dal soggetto proprietario all’oggetto, proprio come avveniva nella concezione premoderna di proprietà comune. Se si accetta l’idea che la dicotomia pubblico-privato, basata sul sistema individuo-Stato Nazione non è più adeguata al mondo contemporaneo e alla sua scala globale, bisogna comprendere che la categoria del “comune” richiede un cambio di paradigma. Quando si parla di bene comune, in realtà, non conta tanto il soggetto proprietario di un determinato bene, quanto piuttosto chi lo utilizza, come lo utilizza, quanto quel bene

6 M. Hardt e A. Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, Milano, 2010.

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7 U. Mattei, Beni comuni, un manifesto, Laterza, Roma-Bari, 2012. 8 M. R. Marella, Oltre il pubblico e il privato, Per un diritto dei beni comuni, Ombre Corte, Verona, 2012.

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è accessibile e che tipo di relazioni stabilisce tra gli utilizzatori. Come afferma Ugo Mattei nel libro Beni comuni, un manifesto la modernità nasce con la distruzione del “comune” e la sostituzione universale del paradigma dell’essere, con quella dell’avere7. Tornare al paradigma dell’essere e alla dimensione del comune, significa concentrarsi sul sistema di rapporti umani e sulle relazioni che si generano attorno ad un bene comune anziché sul mero concetto di proprietà. Il crescente interesse per attività di condivisione, cogestione, collaborazione e coabitazione (successo sancito dall’ immancabile diffusione anche in Italia di termini inglesi come il cohousing o il coworking) dimostra che attorno a beni comuni come la casa o il lavoro si possono generare comunità di persone fondate sull’impegno e sulla responsabilità dei singoli nei confronti di un gruppo più vasto. Ed è proprio questo sistema di relazioni reciproche, questo modo di essere, che dà corpo e sostanza ad un bene comune. Se quindi vogliamo dare spazio ad una politica del comune che nasca “dal basso”, non può che essere la città il punto di partenza: quello spazio comune in cui la stessa idea di politica è stata generata e in cui la categoria del “pubblico” appare sempre più debole ed inconsistente nei confronti del privato. Riconoscere il carattere di bene comune allo spazio urbano significa, prima di tutto riconoscere la debolezza della gestione pubblica. Secondo Maria Rosaria Marella «quando si afferma il carattere di bene comune alle aree urbane, ad esempio, non ci si schiera tanto contro la privatizzazione, intesa quale “trasferimento della proprietà di compendi produttivi dalla sfera pubblica alla sfera privata”, quanto piuttosto contro la gestione del territorio ad opera di amministrazioni pubbliche che hanno pianificato cementificazione, gentrification, creazione di quartieri ghetto, e con esse isolamento, securitarismo, rottura dei legami sociali, devastazione culturale, certo a vantaggio di pochi imprenditori privati, ma usando pienamente la loro potestà pubblica»8. Soltanto guardando come si è sviluppata la città negli ultimi cinquant’anni, perlopiù senza pianificazione e con un immenso consumo di territorio, ci si rende conto della diffusa incapacità dell’ente pubblico


nella gestione di beni comuni come lo spazio urbano, il paesaggio o i beni storico-artistici. Dalla costruzione incontrollata di edifici e capannoni nelle pianure italiane, alle strutture abusive sulle coste e nelle zone a rischio idrogeologico, fino ai crolli di Pompei e all’idea di costruire una discarica vicino a Villa Adriana, la lista degli abusi e degli errori irreversibili che riguardano il territorio italiano è quasi infinita. Ancor oggi è proprio attorno alla gestione del territorio che si scontrano maggiormente gli interessi pubblici e quelli privati. Ogni indirizzo di pianificazione pubblica si attua infatti sotto la pressione degli enormi guadagni privati che gravitano attorno alla speculazione edilizia. In fondo, come si è visto, la scissione tra proprietà pubblica e proprietà privata e la conseguente dissoluzione della proprietà comune, nasce proprio con un atto di trasformazione del territorio sulla spinta di interessi privati: la “semplice” recinzione di un terreno attraverso le enclosures. Forse, quindi, è proprio dalla pratica urbanistica e dalla gestione del territorio che bisogna partire per superare la dicotomia pubblico-privato e per sperimentare un nuovo modello di gestione, valorizzazione e condivisione dei beni comuni. Riconoscere allo spazio urbano il carattere di bene comune significa constatare le evidenti difficoltà che emergono dalla gestione “pubblica” della città e i danni provocati nell’interesse di pochi privati, ma significa anche responsabilizzare e coinvolgere i cittadini nella fruizione, appropriazione e gestione dello spazio urbano. Perché è soltanto quando ci si prende cura collettivamente di un determinato bene che quel bene può essere percepito come “comune” al di là del mero concetto di proprietà. L’associazione Campomarzio nasce con l’obiettivo di coinvolgere dal basso chiunque sia interessato alla condivisione dello spazio urbano attraverso la ricerca, la progettazione e la pianificazione. Campomarzio crede nel progetto collaborativo dello spazio urbano come strumento di gestione “politica” della città che nasce dal basso. In fondo proprio John Locke aveva utilizzato il lavoro per dimostrare e teorizzare la possibilità della proprietà privata di fronte alla concezione premoderna di un mondo donato da Dio agli uomini per goderne in

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9 John Locke, Secondo trattato sul governo civile, trad. it. Lia Formigari, Editori Riuniti, Roma, 1974.

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comune. John Locke sosteneva che la proprietà del corpo è individuale e che quindi, se un uomo lavora, il frutto del lavoro è sua proprietà: «Quanto terreno un uomo zappa, semina, migliora e coltiva, e di quanto può usare il prodotto, tanto è di proprietà sua. Col suo lavoro egli lo ha recintato dalla terra comune».9 E se fosse quindi proprio la collaborazione, ovvero il lavoro comune che si svolge attorno ad un determinato bene a dare senso e consistenza all’idea di bene comune?


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Piazza della Mostra dal medioevo al ‘900

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Il Castello e la Città Breve storia di una relazione complessa

Nel corso della storia Piazza Mostra ha sempre svolto un ruolo “scomodo”: quello di spazio di separazione, allo stesso tempo fisica e simbolica, tra il Castello del Buonconsiglio e la città di Trento. Per questo motivo, ma anche per la conformazione morfologica, per le dimensioni e per la posizione decentrata, questo “vuoto urbano” non ha mai svolto il ruolo di piazza malgrado il nome attuale. Piazza Mostra appare ancor oggi come una faglia nel tessuto urbano piuttosto che una piazza: un piccolo canyon artificiale attraversato dal flusso delle auto e dominato dalle mura del castello da un lato e dai fronti delle case dall’altro. La storia di Piazza Mostra, come quella di ogni altro “fatto urbano”, è una storia di rapporti e conflitti politico-spaziali: una storia in cui la città, i sistemi politici e la loro rappresentazione sono sempre stati legati a filo doppio, quasi fossero aspetti inscindibili e reciprocamente necessari. Se consideriamo che la città, e più astrattamente la forma urbana, rappresenta il medium che da un lato favorisce la costituzione di determinati assetti politici e dall’altro ne permette la rappresentazione, è soltanto attraverso un’analisi comparata della forma urbana, dei rapporti di potere e della loro rappresentazione che si possono comprendere meglio i processi che portano ad una determinata conformazione urbanistica. A partire dal Duecento, Castello e città sono stati legati e al tempo stesso divisi da un rapporto simbiotico-conflittuale che è mutato con il susseguirsi delle varie occupazioni senza giungere a risoluzione. Il Castello, posto in posizione rialzata e marcato da un profilo svettante, ha rappresentato per molti secoli un’icona dell’accentramento “verticale” del potere del medioevo e ha costituito un evidente contrappunto alla disposizione orizzontale, potremmo quasi dire “inerme”, del denso tessuto cittadino che lo cingeva alla base. Questo tipo di contrapposizione costituisce una sorta di archetipo politico-urbano che è riemerso ciclicamente più volte nel corso della storia. Ad esempio può essere as-

Nella pagina a fronte: Albrecht Dürer, Veduta di Trento da nord (particolare), acquerello, Kunsthalle, Brema, databile attorno al 1495.

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1 K. A. Raaflaub e H. van Wees, A companion to archaic Greece, Blackwell companions to the ancient world. Ancient history, Wiley-Blackwell, Chichester, Inghilterra, 2009.

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similato alla distinzione tra astu e polis rintracciabile nei poemi omerici e riferibile al periodo del medioevo ellenico, ben prima che polis assumesse il significato e la forma della città-stato democratica. Nei poemi omerici, infatti, il termine polis rappresentava soltanto la zona alta e “regale” della città, quella parte rialzata che in seguito sarebbe stata chiamata acropolis e che derivava dai palazzi dei monarchi micenei. Questi palazzi fortificati erano generalmente posti in posizione rialzata ed erano costruiti attorno a megaron suntuosi. Alla base della polis omerica vi era invece l’astu, ovvero la città bassa e orizzontale in cui si accumulavano senz’ordine capanne e casupole di contadini e artigiani. Anche nel caso della Trento medievale e rinascimentale, il Castello posto in posizione rialzata e la città alla sua base costituivano due mondi a sé stanti: due polarità fisicamente separate e tenute in contatto dal vuoto dell’attuale Piazza Mostra. Questa contrapposizione non era soltanto fisica ma forse, prima di tutto, percettiva e rappresentativa. In questo senso può tornarci utile il riferimento al medioevo ellenico. La distinzione tra polis e astu precedente al periodo classico non era soltanto la materializzazione urbana di una struttura di potere fortemente gerarchica e polarizzata: era anche strettamente legata a due diversi modi di percepire la città. Secondo Jan Paul Crielaard, nei poemi di Omero e di Esiodo il termine polis evocava l’immagine di una fortezza, spesso posta in posizione rialzata e cinta da mura, e proprio per questo vista dall’esterno e percepita come un oggetto unitario1. Il termine astu, al contrario, rappresentava la città bassa ed evocava l’immagine di una città vista dall’interno, quasi attraverso gli occhi dei suoi cittadini. Se applichiamo questi stessi criteri al caso di Trento, possiamo azzardare l’ipotesi che la condizione di spazio irrisolto di Piazza Mostra derivi proprio dal suo trovarsi in mezzo a due mondi antitetici che si rappresentano e che vengono percepiti in maniera diversa. Se da una parte il Castello del Buonconsiglio, proprio perché nato come sistema difensivo e come simbolo di potere, richiede di essere percepito dall’esterno come un oggetto autonomo e monumentale, dall’altra il


tessuto urbano che circonda Piazza Mostra è definito da un concatenamento spaziale di “interni” urbani formati da strade, vicoli e piazze. Ed è proprio nella discordanza tra percezione interna ed esterna che Piazza Mostra conserva una natura ibrida e inconciliabile: da un lato vorrebbe essere uno spazio aperto che permette di percepire il Castello in tutta la sua magnificenza, dall’altro vorrebbe essere un “interno urbano” capace di formare una vera e propria piazza la cui chiusura è già parzialmente definita, per lo meno su due lati, dalla cortina di edifici che si affacciano su di essa. Analizzando i progetti e i tentativi di modificazione di Piazza Mostra susseguitisi nel corso della storia, ci si rende conto di come essi abbiano continuamente oscillato tra queste due tendenze cercando invano di portarle a compimento. Trento nel medioevo e la nascita del Castello Dopo il declino segnato dalla caduta dell’impero Romano, la città di Trento deve aspettare il nuovo millennio e il passaggio sotto la sfera di influenza germanica per poter assistere ad una ripresa economica, demografica e urbana. Soltanto attorno all’anno Mille e attraverso il controllo operato dal Vescovo nominato dall’Imperatore, Trento assume il ruolo di città commerciale sfruttando appieno la vicinanza al confine tra il Sacro Romano Impero e “l’Italia”. Il cambiamento dell’assetto politico-economico produce effetti evidenti sul tessuto urbano. Se durante il periodo romano e alto-medievale la città si sviluppa maggiormente attorno alla Porta Veronensis dove si costruisce la basilica di San Vigilio e vicino alla Porta Brixiana e Torre Vanga dove si costruisce la Basilica di S.Maria, con l’ arrivo del nuovo millennio il baricentro urbano si sposta verso nord-est. Qui si sviluppano il porto fluviale e, lungo la contrada lunga (attuale Via Manci), il nuovo mercato. Questo processo rappresenta l’effetto localizzato di cambiamenti geopolitici ben più vasti: con il declino dell’Impero Romano la direttrice verso la Germania assume progressivamente maggiore importanza rispetto a quelle che conducevano ai centri imperiali di Brescia e Verona.

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Nella pagina a fronte: Tavola interpretativa dei fatti urbani nell’anno 1000, in R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983. legenda: 1) Nucleo urbano principale a) S. Maria e b) Basilica di S. Vigilio. 2) Borgo extra-muros di Piedicastello. 3) Borgo extra-muros di S. Margherita. 4) Castello di rifugio del Doss Trento. 5) Cinta muraria romana. 6) Porto fluviale. 7) Mercato Vescovile

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La Trento medievale si sviluppa sul reticolo della vecchia Trento romana mantenendo lo stesso perimetro. La città cambia soltanto al suo interno e molto lentamente: si trasforma attraverso un processo incrementale, quasi “metabolico”, che deforma la griglia “artificiale” della città romana in un sistema organico di isolati densi e strade curvilinee. È proprio nel quadrante nord-est della città, quello compreso tra il vecchio corso del fiume Adige, l’attuale Via Manci e Via Suffragio, che si può leggere più facilmente questo lento processo di metamorfosi del tessuto urbano. Gli isolati della città romana vengono progressivamente suddivisi in lotti gotici, ovvero porzioni di suolo edificabili strette e lunghe, disposte a pettine lungo le strade principali. Questi lotti vengono occupati da case a schiera di tipo mercantile formate da un piano terra porticato adibito a bottega e da un primo piano abitabile. Tra un lotto e l’altro vengono creati stretti vicoli di passaggio che mettono in comunicazione il porto fluviale con i portici della strada commerciale di Via Manci sotto ai quali si svolge il mercato cittadino. Gli attuali Vicolo del Vo’ e Vicolo dell’Adige ci possono ancora dare un’idea di come potesse apparire al tempo questo pezzo di città, mentre i vicoli che proseguivano sull’altro lato di Via Manci sono stati cancellati con l’operazione di diradamento e la costruzione di Piazza Cesare Battisti. La contrada dei Cappellai, attuale Via Suffragio, nasce tra il Mille e il Milleduecento come proseguimento naturale verso nord della stradamercato di Via Manci. Questa strada porticata, abitata dai mercanti di origine tedesca, ci può dare ancor oggi una vaga idea di come era la contigua Via Manci in quel periodo. Tuttavia lo sviluppo economico di quegli anni non è solamente commerciale: anche l’agricoltura, resa più efficiente dall’introduzione del mulino ad acqua e dell’aratro pesante, contribuisce notevolmente alla trasformazione del territorio attorno a Trento e al suo sviluppo economico. Le grandi opere di dissodamento dei campi e di arginazione dei corsi d’acqua vengono portate avanti dai numerosi monasteri che si insediano tra i limiti della città e il territorio circostante. Nel 1146, con la fondazione del monastero di San Lorenzo ad opera dei Benedettini,


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Nelle pagine precedenti: Albrecht Dürer, Vista del Castello del Buonconsiglio, acquerello, ©British Museum, Londra, databile attorno al 1495. 2 R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983. 3 Ibid.

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inizia l’opera di bonifica di tutta la zona compresa entro l’ansa del fiume Adige, corrispondente all’attuale Piazza Dante. Il nuovo monastero costituisce ben presto un polo d’attrazione e una forza alternativa agli interessi e al potere del Vescovo. Il borgo di S.Martino, prolungamento della contrada dei Cappellai (o Tedesca) verso la Germania, si forma con il sistema di lottizzazione proprio sui terreni del monastero di San Lorenzo, condividendone – in parte ancor oggi – il carattere di aggregato abitativo “extra-urbano” e in qualche modo alternativo al centro della città di Trento. Con le opere di costruzione del nuovo palazzo vescovile e del Duomo Romanico in Piazza Duomo, il vescovo Federico Wanga (1207-1218) accentra tutte le funzioni civiche nell’area di Piazza Duomo, relegando il polo di S. Maria Maggiore ad un ruolo di second’ordine. È a partire da questo momento che la zona dell’attuale Piazza Mostra assume progressivamente maggior importanza, proprio grazie alla vicinanza con Torre Verde, il porto sul fiume Adige, la contrada Tedesca e le via di collegamento con la Germania. In questa zona periferica il podestà Sodegerio di Tito decide di costruire nel 1240 la prima porzione del Castello e una possente torre cilindrica (torre d’Augutso) con funzione di controllo e di difesa. Il piccolo castelletto, posto in posizione dominante e in un’area strategica, domina in quegli anni un vasto spazio non costruito, una grande spianata. Tuttavia secondo Renato Bocchi «il ruolo urbano del castello rimase scarsamente incisivo. Come denota la sua stessa funzione originaria, che determinò la scelta di un sito volutamente marginale e appartato rispetto alla città, anche se largamente accessibile, il Castello del Buonconsiglio non riuscì mai a catalizzare verso di sé flussi di relazione in grado di influenzare pesantemente la struttura fisica della città in cui insisteva. Al contrario, si costruì scientemente un suo isolamento fisico, oltre che sociale. L’area estendentesi davanti alla sua poderosa cinta fortificata formò fin dalle origini una sorta di zona di rispetto, caratterizzata da ampii spazi non configurati, adibiti ad attività di servizio della residenza vescovile stessa (depositi, scuderie, spazi per tornei e parate): insomma una specie di larga piazza d’armi che ancor oggi,


mutatis mutandis, si conserva con carattere analogo nell’attuale Piazza della Mostra».2 Se lo spazio davanti al castello non ha mai assunto un ruolo urbano (condizione rimasta inalterata fino ai giorni nostri) lo si deve anche alla vicinanza dell’importantissimo luogo di aggregazione socio-economica chiamato “il cantone”, il vero «centro di interessi della città mercantile»3 Questo incrocio ha mantenuto un ruolo strategico durante tutto il medioevo, probabilmente fino allo spostamento dell’Adige, grazie alla convergenza su questo piccolo slargo del mercato di contrada lunga (Via Manci), della via delle osterie tedesche (Via Suffragio), della contrada di San Marco e dei flussi provenienti dal porto fluviale attraverso vicoli quale il Vicolo del Vo’. La costruzione della prima porzione del Castello coincide con un altro evento che avrà notevoli ripercussioni sulla struttura urbana di Trento: la costruzione della cinta muraria duecentesca, voluta probabilmente dall’imperatore Federico II per rafforzare il sistema difensivo dell’Italia. Il nuovo tracciato «a forma di cuore» ridefinisce il precedente perimetro geometrico della città romana formando un nuovo assetto urbano, sociale e politico che rimarrà inalterato fino alla sua completa dissoluzione durante il XIX secolo. Con la nuova cinta muraria anche la rappresentazione della città cambia: Trento diventa un’entità urbana unitaria, un corpo unico con un chiaro limite di demarcazione tra interno ad esterno, valicabile soltanto attraverso sei porte. In questa prima fase il castello rappresenta solamente un caposaldo del sistema difensivo costituito dalla cinta muraria. Tuttavia, dopo la scomparsa del suo fondatore Sodegerio di Tito, il Castello diventa anche residenza vescovile sostituendo la sede del Castelletto vanghiano presso il Duomo. Con la crescente ostilità dei cittadini di Trento nei confronti del potere vescovile appoggiato dal duca Sigismondo d’Austria, il Castello modifica il proprio ruolo: da roccaforte per la difesa della città diventa progressivamente un sistema di difesa dalla città. Per questo motivo Giorgio Hack (Principe Vescovo dal 1446-1465) deciderà di costruire una nuova cinta

Nella pagina successiva: Tavola interpretativa della struttura urbana nel ‘200, da R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983. legenda: sistema idrografico: 1) Fiume Adige 2) Fiume Fersina 3) Rogge interne poli religiosi: 4) Chiesa cimiteriale del Duomo 5) S. Maria Maggiore 6) S. Pietro 7) S. Maria Maddalena 8) S. Martino 9) Case canonicali fondazioni monastiche: 10) S. Lorenzo 11) S. Croce 12) S. Michele 13) S. Michele 14) S. Apollinare 15) S. Francesco 16) S. Maria Coronata 17) S Marco 18) S. Margherita ospedali: 19) S. Martino 20) S. Maria 21) S. Marta 22) Tedeschi poli del potere principescovescovile: 23) Palazzo Vescovile (poi Pretorio) 24) Castello del Buonconsiglio 25) Torre Wanga poli produttivi/commerciali 26) Mercato Vecchio 27) Porto fluviale 28) Macello 29) Mulini di Roggia Grande 30) Concerie del Fossato

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muraria bastionata che separerà la nuova residenza vescovile dalla città. Secondo Renato Bocchi «si compì così definitivamente l’isolamento del Castello dal tessuto della città, sanzionando visibilmente il rapporto di ostile antagonismo che fin dall’origine aveva caratterizzato le relazioni fra le due entità, pur entrambe strutturali nella forma e nell’immagine urbana».4 Il rapporto tra città e Castello viene in questo modo polarizzato nella contrapposizione tra la residenza del potere posta in posizione rialzata e dominante, e la città bassa posta di fronte. Il Pincio, negli Annali overo Croniche di Trento (1648) descrive in questo modo il rapporto tra il Castello e la città: «con smisurato coperto s’inalza uguale al monte, è come habbi il popolo sotto il suo dominio, e bachetta d’alto soverchia la Città».5 Una vivida rappresentazione di questa contrapposizione emerge anche dal celebre acquarello del Dürer conservato oggi al British Museum nel quale il distacco e la posizione dominante del Castello nei confronti della città vengono enfatizzatate e marcatate da riporti di terra, argini e fossati. Il sistema di terrapieni che circonda il Castello, se da un lato sembra enfatizzato nell’acquerello dagli effetti pittorici e dalla sensibilità quasi romantica del pittore tedesco, dall’altro ci permette di comprendere come il Castello fosse percepito quale manufatto isolato, costruito per essere visto dall’esterno. Nell’acquarello del Dürer non vi è quasi traccia di elementi urbani e il Castello sembra quasi adagiato sui pendii erbosi di un paesaggio alpino. Dai testi e dall’apparato iconografico il Castello del Buonconsiglio ci appare dunque come un oggetto estraneo e posto all’esterno della città: un entità, potremmo dire, decisamente anti-urbana. Tale condizione emerge anche dai versi del Mattioli:6

4 Ibid. 5 Giano Pirro Pincio, Annali overo Croniche di Trento, trad. in volgare, Trento, 1648. 6 Andrea Mattioli, Il Magno Palazzo del Cardinal di Trento, Venezia, 1593.

Legato insieme è il nobil Castello, Dove son della terra le difese, E quel che più l’adorna di bellezza, E’ che è posto di fuor tutto in fortezza

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Nelle pagine precedenti: Franz Hogenberg, Pianta prospettica di Trento, dal III volume dell’atlante Civitates orbis terrarum, Colonia, 1588. Si tratta di una ripresa molto fedele della pianta del Vavassore.

Con la costruzione del Magno Palazzo e con le trasformazioni del Castello volute dal Clesio a partire dal 1528, il complesso monumentale del Castello assume un carattere decisamente più ingentilito e più adatto ad una corte rinascimentale. La nuova cinta fortificata, dotata di bastioni circolari e di porte monumentali, viene ricostruita più in avanti, verso la città. Castello e città continuano a confrontarsi e a fronteggiarsi, ma l’eliminazione dei fossati, dei terrapieni e degli apparati difensivi visibili nell’acquerello del Dürer suggeriscono il tentativo di riavvicinare il Castello alla città pur mantenendone chiara la distinzione fisica e politica. È in questo periodo che Piazza Mostra assume quelle caratteristiche morfologiche e funzionali rimaste quasi inalterate fino ad oggi e visibili già nella pianta di Trento pubblicata dall’incisore Giovanni Andrea Vavassore nel 1562. Lo spazio che separa il Castello dalla città viene conformato come un largo piazzale, una piazza d’armi utilizzata per scopi difensivi ma anche celebrativi. Ed è proprio la possibilità di svolgere tornei e manifestazioni ha dato origine al nome Piazza della Mostra. Tra Piazza Mostra e la Contrada Tedesca (Via Suffragio), si forma nel corso della storia un denso isolato urbano che contribuisce progressivamente alla definizione di un fronte costruito ad ovest della Piazza. Questo fronte, assieme all’edificio delle scuderie del castello, ha permesso di delimitare la piazza su due lati conferendole l’aspetto parziale e incompleto di piazza urbana. E dunque proprio nell’ambigua condizione di essere al tempo stesso spazio difensivo aperto e spazio urbano chiuso che Piazza Mostra mantiene ancor oggi un carattere duplice ed irrisolto. Città e Castello nell’età moderna L’assetto politico-urbano della Trento medievale è rimasto quasi inalterato per oltre sei secoli. La permanenza del sistema politico del principato vescovile sembra essere stata fisicamente e simbolicamente garantita della cinta muraria duecentesca: un rigido sistema difensivo che ha congelato e stabilizzato l’assetto politico della città conferendole una forma urbana compatta e unitaria.

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Sarà proprio la demolizione della cinta muraria infatti a segnare la fine del Principato Vescovile ed il conseguente inizio dell’espansione urbana moderna. L’avvento di Napoleone nel 1796 segnerà per Trento la fine dell’Ancien Régime e l’inizio di una serie di occupazioni e di governi provvisori che si manifesteranno in strategie urbane altrettanto frammentarie e dispersive. Il Castello del Buonconsiglio, proprio perché simbolo del sistema di potere appena destituito, diventerà da subito emblema di queste occupazioni. I comandi militari Francesi, Austriaci e Bavaresi si installeranno a turno al suo interno marcando i successivi cambi d’occupazione e deturpando in più fasi la struttura del complesso monumentale per scopi difensivi. Sotto il dominio austriaco, dal punto di vista urbanistico, la vera differenza con il passato non è però rappresentata dal tipo di progetti urbani attuati, quanto piuttosto dal processo che porta alla loro elaborazione. L’avvento della modernità e dei nuovi Stati Nazionali significa anche per Trento l’inizio di un sistema di gestione della città manageriale-burocratico. Finisce l’era dei progetti celebrativi elaborati all’interno di una corte principesca e inizia un sistema di gestione della città inteso come un meccanismo complesso: un sistema produttivo il cui funzionamento va progettato e controllato da funzionari specializzati appositamente incaricati. Strumenti essenziali per questo tipo di gestione sono sicuramente i rilievi topografici e la mappatura catastale. Questi documenti rappresentano tutt’oggi uno strumento importantissimo per comprendere le trasformazioni urbanistiche di Trento nel periodo che marca il passaggio dalla città storica alla città moderna. Le scelte che vengono prese nei decenni attorno alla metà dell’Ottocento, e in particolare la decisione sostanziale di come pianificare l’espansione della città all’esterno della cerchia muraria, determineranno quegli esiti urbanistici che ancor oggi possiamo osservare. Si troveranno soluzioni “moderne” ai problemi della città storica, ma si genereranno anche una nuova serie di questioni rimaste tuttora irrisolte. Il Castello del Buonconsiglio, parte integrante della cinta muraria, rappresenta un punto di osservazione previlegiato per comprendere le scelte urbanistiche attuate (e le problematiche da esse derivate) nel tentativo di

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Nelle pagine precedenti: C. Caminada, Pianta della citta di Trento e delle sue vicinanze, Trento, 1851/54, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico. La “mappa Caminada” del 1854 mostra la proposta di espansione della città con il tracciato della ferrovia del Brennero e le ipotesi per la nuova stazione e i nuovi viali. 7 G. Lupis, Topografia medica della città di Trento, Trento, 1831

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abbattere le mura al fine di connettere la città storica a quella che sarebbe diventata l’espansione della città futura. Il primo protagonista di questa nuova fase di pianificazione, nonché il primo rappresentante del nuovo sistema amministrativo municipale dopo secoli di Principato Vescovile, il conte Benedetto Giovanelli, eletto Podestà a vita nel 1816. Per avere un esempio del cambiamento apportato dal nuovo sistema di gestione e pianificazione della città è sufficiente notare che Giovannelli si affida per la prima volta ad una serie di tecnici funzionari ingegneri (Ducati, Dal Bosco, Bassi, Caminada) che prima di procedere alla progettazione predispongono, con metodo scientifico, una vasta operazione conoscitivo-classificatoria di mappatura della città. Uno degli aspetti fondamentali nella gestione funzionale della città moderna riguarda l’ottimizzazione dei flussi. Operazioni di diradamento e di abbattimento diventano infatti legittime e percepite come “necessarie” proprio nell’ottica del miglioramento dei flussi di merci e persone. Nel caso di Trento la riduzione dei flussi merci lungo l’Adige e il conseguente aumento di traffico all’interno della città consentono al podestà Giovannelli di dimostrare la necessità di abbattimento delle porte cittadine e della cinta muraria. Tuttavia quest’operazione assume un significato che va oltre la motivazione funzionale, tanto che in occasione della demolizione della porta di S.Croce nel 1837 viene organizzata una festa civica solennizzata dalle nozze a Trento di Maria Teresa d’Austria con Ferdinando II di Borbone. L’ottimizzazione dei flussi di merci e persone, assieme all’enfatizzazione dell’importanza dei flussi di circolazione dell’aria e del soleggiamento per motivi igienici, sono aspetti che contribuiscono a determinare una comune percezione, tipicamente moderna, che vede la città storica come un ostacolo allo sviluppo e come luogo di degrado.7 Le operazioni di demolizione e diradamento assumono quindi anche un significato simbolico: marcano un processo di liberazione e di affrancamento dalla storia e di proiezione verso un futuro diverso. Tutti questi aspetti, che verranno ampiamente propagandati dalle Avanguardie del Novecento e dal movimento moderno, hanno la loro origine nello spirito dell’illuminismo e nella gestione della città che si sviluppa nell’Ottocento.


L’affrancamento dalla storia tuttavia, con l’emergere degli spiriti nazionalistici in un quadro geopolitico complesso, si tinge di ulteriori colori e significati. Ne è un esempio il controverso progetto promosso dal Giovanelli per il Castello del Buonconsiglio, rimasto senza una chiara destinazione almeno fino al 1840. Giovanelli propone di isolare la Torre d’Augusto e il Magno Palazzo demolendo tutto il resto e facendo emergere i due monumenti all’interno di in una grande spianata a piano inclinato. Renato Bocchi sostiene che «questa incertezza sulla destinazione d’uso del Castello considerato il simbolo della presenza militare austriaca imposta non solo metaforicamente dall’alto, e quindi una minaccia costante per la città, consentì a Giovannelli di avanzare ripetutamente la proposta di demolire bastioni e Castelvecchio restaurando solo la parte clesiana. Coerente con la propria formazione classica, il Podestà non riconosceva alcun valore culturale ai secoli bui del periodo medievale, giudicati assolutamente minori rispetto all’epoca romana o a quella rinascimentale».8 Il progetto di isolamento del Magno Palazzo va anche considerato all’interno della nuova sensibilità spaziale che emerge durante l’Ottocento e che verrà pienamente attuata dagli architetti moderni. Tale concezione si basa su un’idea di città generata dalla sommatoria di edifici singoli, lasciati emergere come frammenti autonomi all’interno di in uno spazio aperto e fluido. Il vecchio modello di città, caratterizzato da un tessuto urbano denso e formato da edifici contigui che delimitano un fronte strada continuo, viene considerato antiquato. L’espansione ottocentesca della città di Trento all’esterno della cinta muraria viene concepita proprio sulla base di questa nuova concezione spaziale: accumulando nuovi edifici isolati senza alcuna pianificazione. Anche le grandi operazioni urbane di rettifica dell’Adige e di costruzione della ferrovia del Brennero non vengono concepite sulla base di un piano unitario e coerente. Se Caminada, nella pianta del 1853, tenta ancora di definire delle direttrici urbane di sviluppo, ipotizzando tre possibili viali per la nuova stazione (in asse con Via Roma, Piazza Duomo o Via SS. Trinità), l’imposizione governativa di deviare l’Adige e di costruire

8 R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983.

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Nelle pagine precedenti: A. Apollonio, Pianta della citta e dei sobborghi di Trento, G. Zippel, Trento, 1902, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico.

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la stazione a Centa, decreterà il definitivo abbandono del tentativo di saldare l’espansione urbana di Trento al nucleo del centro storico. Lo sviluppo urbano della Trento asburgica non avverrà quindi sulla base di un reticolo pianificato di strade e viali, ma come sommatoria di singoli edifici. È sufficiente confrontare la pianta di Trento del 1853 con quella del 1902, per constatare la differenza morfologica e spaziale tra il nucleo della città storica, rimasto quasi intatto fino a metà ottocento, e l’esplosione urbana della città moderna in cui le nuove attrezzature e istituzioni pubbliche si dispongono come prismi galleggianti in uno spazio fluido. Nella moderna enfatizzazione dei flussi, anche lo spazio urbano sembra dover fluire liberamente.


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«Un importantissimo problema edilizio» Il Piano Regolatore del Castello del Buonconsiglio del 1914

Durante la seconda metà dell’800 si era sempre più affermata una visione pragmatica ed utilitaristica della città – con l’affermazione della nuova figura dell’ingegnere municipale – non più legata ad una necessità di auto-rappresentazione celebrativa della classe borghese, ma ancorata alle logiche del maggior utile. Se da un lato la città era rimasta perlopiù invariata nella sua forma, caratterizzandosi in particolare per azioni rade e frammentate e per la sostanziale mancanza di logiche pianificatorie, dall’altra le amministrazioni liberali – con Oss Mazzurana in testa – avevano optato per una «prassi flessibile» che avrebbe consentito quella «privatizzazione della città e dell’intervento della proprietà edilizia e fondiaria come protagonista della società borghese capitalista»1. Le lottizzazioni che ne erano seguite, dettate da logiche perlopiù speculative venivano sostenute dagli interventi tecnologici e viabilistici dell’amministrazione locale, il cui fine era evidentemente di natura economica prima che igienica. La «città mercantile» teorizzata dal Giovanelli2, assume perciò come veicolo di accrescimento non tanto la costruzione di nuovi manufatti architettonici, quanto la costruzione di nuove strade intese come canali di traffico, di fognatura, di energia e gas, di fornitura idrica, comportando «necessariamente la scomparsa dei modi di lottizzazione del suolo basati sulla permanenza del lotto medievale, sia nel caso di sostituzioni di particelle già definite, sia nel caso di nuove lottizzazioni»3. Infine, per tornare all’area che qui più ci preme, esisteva per le zone intorno al Castello e a Piazza d’Armi un «Divieto di fabbrica attorno alle fortificazioni» emanato nel 1901, che può essere considerato come una sorta di pianificazione per negativo, tale da bloccare ogni possibile espansione4. Con la fine del primo conflitto mondiale la città di Trento, passata all’Italia, fu investita da una corrente migratoria senza precedenti dovuta sia al ritorno dei numerosi profughi che all’arrivo dei funzionari del

Nelle pagine precedenti: Municipio di Trento, Ufficio Tecnico, Sistemazione di Porta Aquila e dintorni del Castello Buon Consiglio, planimetria del 1921, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico. Nella pagina a fronte: Piazza della Mostra negli anni ‘20. La fotografia fu realizzata per una pubblicità della Società Automobilistica Atesina in occasione della partenza di 300 dopolavoristi del Comune di Genova per una gita nelle Dolomiti. 1 G. Piccinato, La costruzione dell’urbanistica. Germania 18711914, Officina, Roma, 1977. 2 cfr. Ricordi del conte Benedetto Giovanelli, podestà di Trento dal 1815 al 1846, al suo successore, Trento, 1871. 3 C. Aymonino, Lo studio dei fenomeni urbani, Officina, Roma, 1977. 4 R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983.

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5 Ibid. 6 M. Sandonà, La sistemazione del centro cittadino di Trento, in «Trentino», 1926, pp. 136-44. Il progetto per il Duomo di Trento tenta una ripresa di stilemi e linguaggi neoclassici, inevitabilmente fuori tempo massimo, estremo tentativo della cultura borghese, nel suo lento appassire, di costruire un proprio spazio. Lo stesso Sandonà avrà a dire nel ‘37, non senza una certa amarezza ed abbandonando progressivamente la disciplina: «Nato architetto mi sono messo a fare quadri [...]». 7 cfr. Municipio di Trento Sezione Edile, P.R. Castello del Buonconsiglio, 1914.

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Regno. Questo avvenne in una situazione di profonda crisi economica dettata dall’entrata nel mercato italiano e dalle distruzioni subite dai centri periferici durante la guerra. Con tutto questo, e probabilmente proprio a causa di ciò, emerse una profonda crisi sociale e culturale figlia da un lato del disfacimento della mitteleuropa dei suoi simboli, della sua retorica e dei suoi punti di riferimento, dall’altro della necessità di ridefinire ruoli e assetti di una città “sbandata” tra laceranti contrapposizioni politico-nazionalistiche. Emerge negli anni ‘20, in maniera sempre più decisiva, il problema della «nuova estetica di Trento»5, emblema delle divisioni culturali che montano nella comunità trentina tra rappresentanti della cultura mitteleuropea in declino e l’area culturale italiana in crescita. Sono esemplari, a questo proposito, le posizioni del Sandonà6 e del Circolo Artistico di Wenter-Marini, destinate a diventare nei tardi anni ‘20 sempre più di retroguardia rispetto alle nascenti esperienze razionaliste. La ricerca di una grammatica italiana per la nuova città diviene tanto più centrale nel dibattito quanto più stringente si fa la necessità di autoriconoscimento e rappresentazione del nuovo status di città italica: l’isolamento dei suoi monumenti e l’eroicizzazione dei martiri irredentisti vanno letti come manifestazioni della ricerca di un nuovo senso. In questa cornice nasce il dibattito intorno al Piano Regolatore del Castello del Buonconsiglio – nominato come Piano regolatore per l’isolamento del Castello (e non è un caso) – elaborato dall’amministrazione comunale nel ‘14 e poi nel ‘20 e nel ‘21 al centro del dibattito pubblico grazie ad una serie di saggi ed articoli di Giorgio Wenter-Marini. Il progetto originale (più che altro una relazione) a firma dell’ingegnere comunale Lancetti, prevedeva numerose demolizioni, l’allargamento della Port’Aquila e la creazione di un’arteria stradale nella fossa del Castello così da collegare «l’estesissimo mezzodì cittadino ed il settentrione anch’esso in piena fase costruttoria» ed ottenere «l’isolamento del Castello [e] conseguire contemporaneamente ai vantaggi edilizi, vantaggi artistici non trascurabili»7. È ancora evidente qui, nonostante l’accenno alle «conseguenze artistiche», l’impostazione ottocentesca in cui il mo-


dulo di accrescimento della città è la strada, preferibilmente retta, con un’architettura sottoposta ad essa. Nel verbale della seduta comunale diventa infatti evidente il motivo sotteso al progetto: «l’estensione della città verso mattina e verso settentrione [fa] sempre più risaltare l’inconveniente della strettissima unica via di congiunzione per Port’Aquila [...]» la soluzione «non può essere che data da un allargamento della via praticabile a Port’Aquila ed eventualmente, in seguito, dall’apertura di una nuova via attraverso la fossa del Castello»8. Messa a votazione, la proposta viene appovata all’unanimità. Il dibattito è ripreso da Marini nel 1920 su Il Nuovo Trentino; egli sostiene che l’ampia mole di demolizioni soprattutto delle case addossate al retro della Port’Aquila avrebbe rotto la monumentalità del Castello ed il suo valore estetico, non più incorniciato dalle masse degli edifici minori: «una piazza enorme rovina l’effetto di edifici o monumenti, quindi edifici non sorretti da piccole masse rimangono freddi e poco impressionanti»9. Sempre Marini aveva realizzato, per un saggio apparso su Studi Trentini, due piccole prospettive del retro di Port’Aquila che confrontavano la proposta di isolamento con lo stato di fatto. La didascalia che le accompagnava recitava: «Alla freddezza della nuova sistemazione si contrappone il gioco pittoreso delle piccole masse che formano ordine scalare per il Castello. Il Buon Consiglio a sua volta deve il duo effetto dominante, come massa emergente, alle piccole fabbriche che ne nascondono la zona basamentale»10. In queste parole è facile trovare un’eco delle tesi esposte da Camillo Sitte nella prefazione de L’arte di costruire la città: «mentre in generale si tributa un unanime e doveroso riconoscimento a tutto quello che di grande è stato realizzato in fatto di circolazione, [...] e di miglioramento igienico, si manifesta per contro una quasi altrettanto unanime riprovazione [...] per i gravi insuccessi riportati dall’urbanistica in fatto d’arte»11. È interessante e non stupisce constatare come anche Marini porti il discorso sul tema dell’arte più che della tecnica, alla ricerca di un’autonomia professionale per l’architetto di città, lacerato dalla divisione sempre più

8 cfr. Verbale della seduta del Consiglio comunale di Trento del 16 Aprile 1914, p. VII. Piano regolatore per l’isolamento del Castello del Buon Consiglio, 1914 9 G. Wenter.Marini, Un importantissimo problema edilizio, in «Il Nuovo Trentino», 5 ottobre 1920. 10 G. Wenter.Marini, Nuovi problemi edilizi di Trento, in «Studi Trentini» 1920. 11 C. Sitte, Der Städtebau nach künstlerischen Grundsatzen, 1889. Trad. it. L’arte di costruire la città, Vallardi, Milano, 1953.

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rigida tra scienza e belle arti. È importante tuttavia notare come questa retroguardia, spostando il dibattito da elementi funzionali a osservazioni di tipo estetico, avesse della città un senso più maturo, legato al primato del singolo fatto urbano, rispetto al dibattito portato avanti dagli architetti razionalisti che sotto la pressione di un crescente capitalismo speculativo lo sosterrano spesso in modo acritico. La città diverrà presto luogo di scontro delle contraddizioni insite da un lato in una gerarchizzazione della storia urbana tesa al solo valore simbolico e propagandistico, e dall’altro focalizzate sulle operazioni di «sventramento risanatore», in cui le necessità igieniche diventano copertura di interventi speculativi che mirano ad un radicale dislocamento della popolazione verso «la periferia senza qualità»12 in costruzione.

Nella pagina a fronte: Giorgio Wenter-Marini, «Trento: Torre Aquila fuori le mura. Confronto della proposta d’isolamento con lo stato attuale», illustrazione contenuta in: Nuovi problemi edilizi di Trento, in «Studi Trentini» 1920, pp. 346. 12 R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983.

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1 Si riporta la trascrizione integrale integrale della relazione allegata alla planimetria di intervento per il Piano Regolatore del Castello del Buonconsiglio datato 1914.

Piano Regolatore Castello del Buonconsiglio, 19141

municipio di trento sezione edile Piano regolatore Port’Aquila - S. Martino Relazione Sommaria La proposta di massima contempla: 1. Raddoppiamento di Port’Aquila 2. Espropriazione ed abbattimento delle casette a mattina del Castello 3. Piano regolatore Port’Aquila - S.Martino 4. Marciapiede sporgente in Via Cervara 5. Nuovo lavatoio quivi, lavori che qui brevemente si esaminano parte a parte. 1. Raddoppiamento di Port’Aquila o cioè apertura a settentrione di un nuovo fornice carrario. Ragioni: L’aumentato traffico fra Piazza Venezia e Via Clesio come obbligò da un lato a ciottolare in maniera durevole l’attuale passaggio, obbliga ormai a creare un nuovo sbocco per separare il transito dei pedoni da quello dei ruotabili. Se si considera che la vecchia Port’Aquila concede, fra i marciapiedi, poco più di due metri liberi, si vedrà che ragioni di sicurezza personale nel transito specialmente di bambini, di scolari, ragioni di comodità di svolta e di viabilità in genere, concorrono a render necessario il nuovo passaggio. E se si consideri che un tale passaggio si può conseguire senza alterare gli elementi storici locali, senza difficoltà di ordine tecnico ed artistico e senza ledere la monumentalità del Castello, ma con una semplice ar-

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cata di m.5.00 di luce sotto la attuale passerella di accesso alla torre, si vedrà che la proposta, come è giustificata dalla necessità è anche da caldeggiarsi per la facilità con cui essa potrà essere attuata. 2. Espropriazione ed abbattimento delle attuali case addossate a mattina del Castello. Ragioni: Lo sdoppiamento di Port’Aquila innanzi detto porta seco, per ragioni planimetriche, la necessità di abbattere la prima casetta che – presso detta porta – ci si para davanti. Ma all’abbattimento di questa casetta fatta di pericolosi poggioli e scalette in legno sporgenti dalle fronti e di ambienti antiigienici e non regolamentari è da aggiungersi l’abbattimento della casa successiva poichè – eseguito (in deliberazione consigliare) l’abbattimento della parte sporgente di casa Bergmann – non resta che il gruppo di case a mattina del Castello ad ostacolare enormemente la sistemazione stradale propingua, obbligando ai differenti livelli delle soglie degli accessi esistenti una salita che altrimenti potrebbe essere di molto raddolcita. 3. Piano Regolatore: La necessità di creare, ai piedi della collina una nuova arteria di congiungimento fra l’estesissimo mezzodì cittadino ed il settentrione anch’esso in piena fase costruttoria; la previdenza nel contenere l’utilizzamento edilizio delle cave sfruttate di S. Martino, in direttive tecnicamente concepite e cioè in piani regolatori che permettano il collegamento organico delle arterie stradali delle diverse cave fra loro e di queste con le arterie esistenti, obbliga, fin daora, ad arginare la confusione planimetrica che si minaccia nella plaga. Cotesto non può farsi che creando una rete stradale a mattina del Castello, che seguendo la fossa, prima traversi la pietraia di ragione Lisimberti e consorti, e poi, sottopassando il massiccio della pontara, traversi la pietraia di ragione Tomasi ramificandosi opportunamente sulle Vie di S. Martino, di Tor d’Augusto e dell’Alto Adige siccome mostra la planimetria. Nasce dal complesso una sistemazione che, nel mentre è voluta da ragioni puramente tecniche, completa, in-

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dipendentemente da ciò, l’isolamento del Castello e fa conseguire contemporaneamente ai vantaggi edilizi, vantaggi artistici non trascurabili. 4. Marciapiede sporgente: Perchè anche la collina di Cervara possa risentire benefizio dalle sistemazioni innanzidette e poichè, in conseguenza di esse sistemazioni, avverrà ancora un aumento di traffico, fu giocoforza prevedere l’ampliamento della salita della Cervara con un marciapiede a sbalzo sulla fossa. Cotesto lavoro caldeggiato pure con sottoscrizione pubblica dagli abitanti della plaga, fu studiato in cemento armato. Esso avverrebbe per circa m 1.80 con mensole e parapetto e porterebbe seco l’abolizione dell’attuale accesso carraio alla fossa e la creazione momentanea di un nuovo accesso con cancello parallelo alla strada. Il nuovo accesso avvenendo con una rampa ricavata in terrenno di proprietà comunale non trae seco difficoltà di ordine alcuno, e la sua creazione si dice qui momentanea perchè la sistemazione è conseguibile in due tempi. E cioè prima di tutto sarebbero conseguibili l’abbattimento delle case, la costruzione del marciapiede sporgente e del nuovo accesso stradale alla fossa, dando tempo alla nuova rete stradale di essere attuata a mano a mano che lo sviluppo edilizio lo richieda. 5. Lavatoio: A completamento di quanto già descritto si darebbe infine mano alla costruzione di un lavatoio pubblico a vasche multiple cioè del tipo igienico già adottato in Via Venezia e questo lo si porrebbe in cima all’allargato marciapiede ed anchesso in buona parte a sbalzo sulla fossa. Anche esso è reclamato insistentemente dai cittadini del rione ed è necessario per ragioni di igiene, comodità e sanità pubblica. 6. Spesa: Trattandosi piuttosto di un programma di lavori che di un progetto di dettaglio non si fanno previsioni di spesa, ma si accen-

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na che all’isolamento del castello dovrebbero contribuire l’I.r. Erario Militare e quello Stradale; mentre per la rete si seguiranno i criteri di concorrenza che permisero analoghe sistemazioni con parca spesa.

26/4.1914 Ing. Lacetti mp.

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Nelle pagine precedenti: Adalberto Libera, Proposta di sistemazione della Piazza della Mostra a lato del Castello del Bunconsiglio in Trento, 1932; pianta dello stato di fatto e di progetto. 1 C. G. Stoffetta, I Domenicani dell’Architettura. «Il Gruppo 7», in «Il Brennero», 2 ottobre 1927. 2 Ibid. 3 R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983. 4 C. G. Stoffetta, I Domenicani dell’Architettura. «Il Gruppo 7», in «Il Brennero», 2 ottobre 1927. 5 A. Ara e C. Magris, Trieste. Un’identità di frontiera, Einaudi, Torino, 1987 6 C. G. Stoffetta, I Domenicani dell’Architettura. «Il Gruppo 7», in «Il Brennero», 2 ottobre 1927.

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Un «domenicano» a Trento Adalberto Libera e Piazza della Mostra

Il 2 ottobre 1927 esce su Il Brennero un articolo di Carlo G. Stoffetta destinato a diventare famoso. Il titolo, piuttosto prosaico, recita: «I domenicani dell’architettura, il Gruppo 7»1. L’articolo ha il merito di introdurre non senza una certa retorica, il tema dell’architettura razionale nel dibattito sull’uso dei linguaggi e sulla «nuova estetica di Trento», presentando il lavoro di «sette giovani architetti» – Figini, Frette, Lario, Pollini, Rava, Terragni e Libera – due dei quali, Libera e Pollini, «figli del nostro trentino»2. Il gruppo si era formato nella seconda metà degli anni ‘20 e si era fatto notare per una certa vena polemica ed una grande novità stilistica; in particolare Libera, in veste di corrispondente da Roma per la rivista Trentino, si era fatto notare nell’ambiente della città fin dall’aprile ‘27, pubblicando su quelle pagine numerose opere, manifesti e architetture. Nel ‘27 la crisi economica iniziata nel dopoguerra perdurava ancora: l’inoperatività dell’«Istituto fascista per le case popolari» figlia del calo di investimenti nazionali per Trento aveva portato ad un drastico calo della produzione edilizia e al fallimento di numerose banche3. In questo clima il bisogno di «chiarezza, di compostezza e di organica sobrietà [di] un termine fisso su cui poggiare a da cui partire per nuove esperienza»4, viene incarnato dall’architettura razionale, superando la polemica degli anni ‘20 intorno al rapporto tra linguaggi locali e nazionali. Quanto sostengono Ara e Magris sulla città di Trieste è sicuramente valido anche nella realtà di Trento: l’equivoco è «di far apparire il fascismo come l’interprete della tradizione della città»5 avallando così il nuovo stile razionalista come continuazione ideale della «solidità cristallina e sonora [...] che l’intuizione latina aveva già creato»6. Una risposta all’articolo di Stoffetta arriva da Manlio Belzoni, noto critico d’arte, il 9 ottobre ‘27. Egli rimprovera ai domenicani di «non accorgersi di arrivare in ritardo» accusandoli di una mancanza di «irradiazione magica» che «sublimi» le


opere che altrimenti corrono «l’errore e il pericolo» di essere realizzate «in uno stile caratteristico dell’epoca presente»7. Oddone Tomasi, membro di quel Circolo Artistico che risente ancora delle influenze della Vienna prebellica e che diverrà di retroguardia di lì a pochi anni, in una lettera indirizzata a Ermete Bonapace riprende la polemica di Belzoni rilevando come il Gruppo 7 sia talmente in ritardo da essere «appena arrivato a copiare le cose più brutte create dai tedeschi»8. Traspaiono in queste polemiche le contraddizioni e le titubanze di una generazione che vuole aprirsi alle istanze della modernizzazione senza intaccare l’identità del proprio ambiente e perciò in una posizione arroccata che ne decreterà il progressivo supermento. Sempre nel ‘27 Rava (che si considera il teorico del Gruppo 7) respingendo l’accusa di architettura «tedesca» lanciata contro le opere razionaliste chiarirà come «il substrato classico che è in noi» e l’estetica che ne deriva sia «una sicura indipendenza per l’architettura italiana e una ragione di profonda originalità»9. Non è più possibile perciò un discorso di stile: l’architettura razionale, degna poiché capace di superare «il confine del popolo che la crea», unifica lo stile divenendo incarnazione di un nuovo «spirito ellenico» che l’Italia interpreta10. È significativo tuttavia, nella realtà di Trento, che i progetti migliori di questo periodo non siano realizzati in città, ma vengano redatti nella capitale oppure da professionisti “romani”, appunto quali Libera, esponente tra i più luminosi della nuova figura di «architetto integrale» della Scuola Superiore di Architettura di Roma. Questa figura professionale, proposta da Giovannoni già nel ‘16, s’inserisce nel dibattito professionale come nuovo tecnico «razionale» interpretando le necessità della classe dirigente: sintesi tra scienziato e umanista, « vero architetto, che è insieme artista, tecnico e persona colta»11. Secondo le parole di Ciucci «l’architetto deve dunque essere in grado di comprendere le nuove esigenze rappresentative del fascismo, ma, al tempo stesso, coordinarle con le politiche settoriali del potere economico: monumenti e nuovi insediamenti, tradizione e riuso della città storica»12. L’«architetto integrale» è chiamato a risolvere le contraddizioni della «vita moderna» intervenen-

7 M. Belzoni, A proposito del Gruppo 7, in «Il Brennero», 9 ottobre 1927. 8 B. Passamani, Oddone Tomasi, Trento, 1973. 9 C. E. Rava, Dell’europeismo in architettura, in «Rassegna Italiana», dicembre 1927. 10 Ibid. 11 G. Giovannoni, Gli architetti e gli studi di Architettura in Italia, Roma, 1916. 12 G. Ciucci, Gli architetti e il fascismo, Einaudi, Torino, 1989.

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Nella pagina a fronte: Adalberto Libera, Progetto di monumento a Cesare Battisti in Trento, 1932. 13 G. Giovannoni, Vecchie città ed edilizia nuova, Torino, 1931. 14 Ibid. 15 Ibid. 16 F. Garofalo, Adalberto Libera. Opera completa, Electa, Milano, 1989.

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do nel processo di sviluppo urbano per garantire l’equilibrio tra le zone di città “vecchia”, di cui si vogliono preservare i «valori» comunitari ed ambientali e le esigenze tecniche e funzionali della modernità13. Alla base di questo vi è l’ipotesi dello stesso Giovannoni del diradamento, pratica che dovrebbe «ripulire discretamente» il vecchio centro inserendovi funzioni terziarie a fianco alle abitazioni, riqualificando quelle aree senza operarne una distruzione14. La città nuova perciò deve affiancarsi a quella vecchia e ad essa subordinarsi, lo scambio e l’integrazione funzionale delle zone è lasciato alla rete di trasporto che ne collega le parti. Oltre a ciò vi sono necessità igieniche, addotte dallo stesso Giovannoni, che giustificano distruzioni e sventramenti a favore di nuove strade e prospettive, per «recare aria e luce nei quartieri chiusi», al fine di una «graduale valorizzazione economica e anche valorizzazione estetica»15. Emerge qui la doppia valenza degli sventramenti fascisti, da un lato un’esigenza igienica, già portata avanti da scienziati e ingegneri dell’800, dall’altra una necessità economica di rivalutazione dei suoli non troppo distante da logiche speculative. La parentesi razionalista di Trento, comunque di breve durata, esprime queste istanze da un lato annullando la memoria storica con i progetti della stazione di Mazzoni e la Casa Balilla realizzata demolendo l’adiacente convento di S. Lorenzo, e dall’altra esaurisce la necessità di confrontandosi con le preesistenze nel riprogettare la città storica piegandola alle necessità monumentali del fascismo. È quest’ultimo tema che informa il progetto di Libera del ‘32 per Piazza della Mostra. Così come nel progetto per le Scuole Sanzio, in cui il disegno planimetrico interpreta una difficoltà (forse una certa insofferenza) nell’aderire alle opposte sollecitazioni della razionalità compositiva e del sito irregolare – difficoltà che si dispiegano in «un’artificiosa simmetria»16 – nel progetto di sistemazione di Piazza della Mostra queste due contingenze si materializzano in maniera ancor più esemplare. La planimetria proposta prevede nelle adiacenze di Palazzo Trautmandorf-Salvadori una curva piuttosto ardita che segue la forma del lotto gotico tra la Piazza e Via del Suffragio, proseguendo poi in modo rettilineo intercettando Via S. Marco e colle-


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17 M. Belzoni, Un artista trentino alla Mostra della rivoluzione fascista, in «Trentino», maggio 1933. 18 R. Bocchi e C. Oradini, Le città nella storia di Italia. Trento, Laterza, Roma-Bari, 1983.

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gandosi, dopo una doppia curva, con la strada pre-esistente nei pressi di Port’Aquila. Libera ripropone l’isolamento del Castello. Lo scontro tra vecchio e nuovo, tra valori storici ed esigenze moderne, tra razionalità e irregolarità, si fa artificioso nella pianta (anche troppo sinuosa) della strada, una pianta che prevede pesanti demolizioni del costruito, prima fra tutte quella delle scuderie del castello, già sede della Regia Polizia Imperiale asburgica fino al 1918. Il programma funzionale della nuova Piazza realizza quella componente simbolica necessaria al potere politico del tempo, il monumento a Cesare Battisti. La statua, alta 18 metri, doveva imporsi anche oltre la massa dei bastioni sancendo la scala della nuova piazza che avrebbe ospitato inoltre una serie di bassorilievi sulla vita dell’eroe irredentista, eco forse di quel monumento ai caduti realizzato all’inizio della carriera di Libera a Villa Lagarina. La retorica sottesa al progetto è evidente e farà scrivere a Belzoni – riconoscendo in ritardo l’opera di Libera – che la proposta «non sarebbe priva di una sua profonda suggestione»17. Il progetto non sarà realizzato, al monumento di Libera verrà preferita la «banale» proposta di Fagioli18, ma l’annoso problema della sistemazione della Piazza resterà, irrisolto, all’ordine del giorno delle amministrazioni per molti anni.


La sistemazione delle adiacenze del Castello del Buon Consiglio1

Non v’è trentino e non v’è forestiero che non abbia osservato la tristezza e la modestia delle adiacenze attuali del Castello del Buon Consiglio dal lato di Piazza della Mostra, di via San Marco e di Port’Aquila: dal lato dunque del suo ingresso principale. Eppure, molte ragioni suggerirebbero un radicale riattamento di questa plaga cittadina cui affluiscono – si noti bene – le due principali arterie turistiche di Trento: quella della Valsugana e quella della grande strada che va da Verona al Brennnero. Case e casipole (la Questura e i fabbricati tra la Questura e Port’Aquila) s’affollano attorno al Castello come vegetazione spontanea e parassita ai piedi d’una grande magnifica quercia, e non ne consentono adeguata visione prospettica d’insieme: il dislivello da Port’Aquila a Piazza Raffaello Sanzio è risolto alla meglio; la strettoia artistica della Porta è complicata dai due angusti bracci in pendenza che menano, uno, che poi si biforca, in via S. Maria Maddalena, l’altro in via San Marco. Il decoro della città appare non di poco compromesso dalla povertà di Piazza della Mostra ridotta, nella sua parte inferiore, a posteggio di carri e di cavalli. L’architetto Adalberto Libera ha studiato con intelligenza una sistemazione senza dubbio interessante di questa località. La esponiamo anche perché la crediamo realizzabile in un tempo relativamente breve, dato il costo complessivo dei lavori che non dovrebbe superare il milione. Tale sistemazione appare d’altronde evidentissima a chi voglia osservare e confrontare le due planimetrie che pubblichiamo. Secondo il Libera dunque, sarebbe opportuno – primo: Abbattere i due indecorosi gruppi di case che costituiscono, uno, la Questura e le sue adiacenze, l’altro, le costruzioni che fronteggiano il palazzo Volkenstein – secondo: Espropriare i terreni che si stendono fino al palazzo Volkenstein e costituiscono le aree adiacenti dell’altro gruppo di case accennato. Così, resterebbe libera una grande area che da Piazza Raffaello Sanzio si stenderebbe fino al palazzo Volkenstein di cui emergerebbe la sagoma

1 Si riporta la trascrizione integrale dell’articolo La sistemazione delle adiacenze del Castello del Buonconsiglio, pubblicato in: «Trentino. Rivista della legione trentina», marzo 1932.

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opposta a quella attualmente visibile che dà su via S. Maria Maddalena. L’area così disponibile potrebbe, secondo il Libera, venire sistemata facilmente ed in modo molto decoroso per la città, tracciandovi prima di tutto una grande via che congiungerebbe Piazza Raffaello Sanzio con Piazza Venezia, direttamente raccordata con l’attuale Via dei Ventuno. Questa strada, che consterebbe di dodici metri di carreggiata e di due grandi marciapiedi di quattro metri al minimo di larghezza, correrebbe in piano fino all’imbocco di via S. Marco; di qui fino a Piazza Venezia, salirebbe invece in doppia curva con una pendenza del quattro per cento. L’effetto scenografico di questa sistemazione in curva pendente dovrebbe essere certo tra i più gradevoli: si pensi, per esempio, alla Via Veneto di Roma e, qualora si tenga presente che anche la nostra nuova via, data la variabilità della sezione, dovrebbe essere decentemente bordata di verde, si dovrà convenire che la sistemazione suggerita è molto felice. D’altronde, chi passerebbe per la nuova via, che seconderebbe dunque a meraviglia la necessità di traffico e di decoro, vedrebbe ergersi a distanza notevole e quindi adeguata alla visione prospettica, la mole del Castello del Buon Consiglio che, proprio in questi tempi, è stata riattata così brillantemente dalla Sovraintendenza alle Belle Arti. Per ascendere al Castello si dovrebbero poi costruire due scale a cordonata che s’allaccerebbero appunto con al nuova strada e salirebbero, con pendenza modesta, una, all’ingresso attuale del Castello, l’altra, alla Porta di S. Vigilio che – a quanto si dice – verrà presto riaperta al pubblico. Ora, come verrebbe sistemata l’area in pendenza tra la nuova via e le mura del Castello? È di per sé evidente: un vasto giardino costituirebbe la base della vecchia mole tridentina, e, sotto le mura, una passeggiata potrebbe anche esser sistemata con panche e, lungo le mura del Castello e con esse armonizzantisi, potrebbero sorgere col caratteristico ritmo verticale, serene e severe, delle conifere, per esempio dei tassi baccati. Infine, l’ambiente architettonico della piazza, come unità spaziale, verrebbe definito anzitutto dal parallelismo tra la rettilineità delle mura del Castello (e la massa del Castello stesso) e l’andamento quasi rettilineo dell’attuale fronte di case da Palazzo Salvadori a casa Tambosi, anda-

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mento che verrebbe proseguito fino al Palazzo Volkenstein col profilo di un nuovo edificio che sulla destra di Via San Marco verrebbe a coprire l’abside della chiesa omonima. Questo andamento parallelo, se sembra poco evidente nella planimetria che pubblichiamo, non lo sembrerebbe altrettanto nella realtà. Anzi, il fatto che la piazza progettata dall’architetto Libera vada restringendosi a canocchiale verso Piazza Raffaello Sanzio non diminuirà il suo aspetto rettangolare ma per legge prospettica, sembrerà più lunga o più corta a seconda che l’osservatore si troverà dalla parte del Palazzo Volkenstein o da quella di Piazza Raffaello Sanzio. x.

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Nelle pagine precedenti: Municipo di Trento, Ufficio Tecnico, Piano regolatore Generale, Specializzazione gerarchica fra le strade, Trento, 1941, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico. 1 Municipo di Trento, Ufficio Tecnico, ing. Canestrini, Relazione sul Piano Regolatore della città di Trento, Trento, 17 dicembre 1940, 12 gennaio 1941.

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La città all’alba della guerra Il Piano Regolatore del 1941

La Relazione sul Piano Regolatore della città di Trento viene presentata dall’ufficio tecnico del Comune di Trento nell’aprile '40 e basa la struttura generale del piano su due fattori ritenuti di grande importanza strategica per determinare lo sviluppo della città: «1. La creazione di un centro industriale adeguato alle possibilità della regione, che ha molte risorse interessanti [al fine dell’] attuazione del piano autarchico (impianti idroelettrici, miniere, legname, mano d’opera) 2. La valorizzazione della città come centro turistico della massima importanza, sia per lo smistamento e deflusso alle periferia dei forestieri durante la stagione invernale ed estiva, sia per il fatto che Trento verrà ad essere la prima città italica di notevole interesse storico-artistico, incontrata dalle correnti che dal Nord scenderanno per l’autostrada Berlino-Roma».1 E’ tuttavia solo ricostruendo per sommi capi il clima di quegli anni che è possibile inquadrare e offrire un’interpretazione che possa rifuggire dall’anacronismo. Il 17 marzo dello stesso anno in cui viene redatto il Piano Regolatore Mussolini passa in treno da Trento per andare ad incontrare Hitler al Brennero: è la data in cui si sancirà l’appoggio italiano alla guerra nazista. Questo appoggio, inizialmente negato da un’Italia non pronta ad affrontare un evento bellicoso, deve trovare nella propaganda e nel convincimento della popolazione la propria linfa vitale. Nel Trentino che aveva fatto dell’irredentismo motivo di coagulo sociale e riscatto territoriale, la propaganda deve riuscire a fare leva su meccanismi in parte differenti rispetto a quelli utilizzati nel resto d’Italia. La questione è qui infatti complessa e “scivolosa”: è necessario spiegare alla popolazione perché il nemico di venticinque anni prima è divenuto oggi il miglior alleato. Cosa succede nei mesi tra il marzo e l’entrata in guerra nel luglio del '40 è narrato dalle cronache del tempo: l’intensificazione delle manifestazioni a sostegno dell’interventismo è impressionante. La


propaganda subisce inoltre un’ulteriore accelerazione nel periodo immediatamente successivo all’entrata in guerra: «nel luglio 1940 ben 103 furono le conferenze che si tennero a Trento e in provincia, mentre 205 furono quello di agosto»2 nel tentativo (in parte disatteso) di presentare le ostilità appena iniziate come una prosecuzione storica e naturale dell’irredentismo. Con l’intensificazione della propaganda inizia anche la mobilitazione militare così come quella civile, finalizzata a reclutare forza lavoro per la guerra. Destinazione principale è la Germania che, dando lavoro ai trentini emigrati, contribuisce ad abbassare il livello di disoccupazione di una terra ancor fortemente segnata dalla devastazione della Grande Guerra e dall’annessione al Regno. Le industrie trentine che trovano spazio nella macchina bellica sono la Sloi e la Caproni, rimane invece esclusa la Michelin che producendo filati in cotone per il “nemico” viene posta sotto sequestro nel 1940 all’entrata in guerra.3 La propaganda che vuole convincere i trentini della grandezza dell’Italia e del suo destino di gloria proponendo una visione della città di Trento come «prima città italica», si avvale anche dei progetti urbanistici che trovano spazio nel dibattito del tempo. Il ruolo delineato per la città e le previsioni di crescita annunciate nella Relazione sul Piano Regolatore pongono le basi per la proposta e per il sostegno a progetti che fanno della magnificenza retorica di regime una delle caratteristiche principali. Ciò viene poi supportato da intellettuali ed architetti che, attraverso articoli ed interventi, sosterranno le linee programmatiche di progetti in alcuni tratti, propagandistici. Tale supporto alla nuova visione della città viene esplicitato dal Trentino, latore più di altri della retorica di regime, in un articolo del febbraio 1939 firmato da Manlio Belzoni ove si legge che «uno dei compiti più proficui della stampa locale è, secondo noi, quello di divulgare e mettere in discussione idee ed iniziative ispirate al miglioramento e al progresso del proprio paese [...]. In omaggio a questi nostri principi vogliamo oggi brevemente illustrare il progetto di sistemazione della zona di piazza Garzetti».4 Si trovano qui valutazioni preziose del lavoro e degli obiettivi dei progetti proposti, e sono proprio

2 G. Ferrandi, Diario di una città. Gli anni ’40 a Trento, Curcu & Genovese, Trento, 2004. 3 Ibid. 4 M. Belzoni, Un problema urgente, in «Trentino», febbraio 1939.

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Nelle pagine precedenti: Municipo di Trento, Ufficio Strade, Planimetria della nuova arteria allacciante la circonvallazione via Brennero – via Venezia, particolare dell’accesso alla galleria da Port’Aquila, Trento, 1941, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico. 5 M. Belzoni, Un problema urgente, in «Trentino», febbraio 1939. 6 Ibid.

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tali valutazioni che ci consentono di inquadrare il clima culturale e gli obiettivi “strategici” che gli inteventi di molti intellettuali perseguono. Il progetto proposto dall’architetto Efrem Ferrari per la sistemazione di Piazza Garzetti, di Piazza Fiera e per la demolizione delle androne, aveva il merito di «fare piazza pulita [...] dei sudici vicoli [che sono] un triste anacronismo oggi di una città come Trento aperta più che non si dica al fervido e coraggioso spirito di rinnovamento che ha pervaso da un capo all’altro l’Italia»5. E’ evidente dal tono tuttavia, che demolizioni e interventi urbanistici siano ormai assurti a fatti simbolici, immagini più che oggetti concreti, utilizzati anch’essi a scopo propagandistico per affermare la forza di «un capo capace, il Duce o il Podestà [che] sanno come agire per il meglio e proprio per questo possono talvolta fare anche il proprio comodo».6 L’orientamento della propaganda attraverso gli interventi urbanistici di rifacimento della città è chiaro e non lascia spazio a fraintendimenti: Trento è presentata come luogo della memoria nazionale, città in cui la mitologia fascista si sublima proprio perché prima città italiana dopo il passo “inviolabile” del Brennero. Si fa qui evidente il bisogno di divulgare il messaggio fascista fatto di esaltazione del moderno e di una concatenazione a tratti mistica con l’antico (a tratti cristallizzato e per certi versi acritico), il filo che lega le intenzioni dei fascisti fervidi come di chi preferirebbe starsene ai margini. Ognuno deve dare voce alla grandezza del Duce, del Regime e alla possibilità di un’Italia nuovamente guida di un Impero. Nel Piano Regolatore e ancor più nella Relazione del 1941 l’attenzione è tutta centrata sul “funzionamento” della “macchina” cittadina, intesa come modello votato all’ordine e alla fluida circolazione di mezzi e persone. Nel documento la questione del Castello e della Piazza antistante viene liquidata in poche righe: la zona da essi occupata infatti non merita attenzione specifica in quanto inserita in una proposta progettuale più ampia il cui obiettivo è il collegamento nord-sud della città. L’urgenza è quella di garantire allo sviluppo di Trento efficaci collegamenti che possano supportare l’industria ed il traffico che il raddoppio della


città porterà negli anni a seguire. «Non ritenendo opportuno pensare ad un nuovo itinerario che eviti la città in quanto la collina e l’Adige rappresentano un impedimento insuperabile, l’itinerario da migliorare rimane quello che passa per Via Tre Novembre – Via S. Croce – Piazza Fiera – Via S. Francesco – Corso Venezia – Via dei Ventuno – Via Bernardo Clesio – Piazza R. Sanzio – Via Manzoni», il miglioramento è proposto «evitando il tormentoso tracciato di Via dei Ventuno, la zona del Castello del Buon Consiglio e della Scuola Elementare, nonchè i pericolosi incroci di Via Suffragio, Via S. Martino, Via Torre Verde e Via Manzoni»; per raggiungere tale scopo la soluzione sta nel «prolungare in galleria lo stradone che fiancheggia Piazza Venezia, passando ad oriente della Fossa dei Martiri [...]. La strada uscirebbe di galleria al termine della Fossa e passerebbe al piede dello strapiombo delle antiche cave sboccando, previa demolizione delle catapecchie inabitabili della zona di S. Martino, in Piazza Nazario Sauro, dalla quale si riprende poi la statale del Brennero».7 L’idea della galleria è sicuramente originale rispetto alla sistemazioni proposte in precedenza ed avrebbe avuto sicuramente il merito di risolvere l’annoso problema del passaggio davanti al Castello senza intralciare la Fossa. Si potrebbe forse dire, con una certa ironia, che l’infatuazione per la tipologia della galleria abbia le sue lontane radici in questo progetto. Senza dubbio comunque l’aspetto a prima vista sorprendente di questo piano, e che ne fa a buon diritto precursore dei tempi, è capovolgere l’impostazione già tratteggiata quasi un decennio prima da Libera. L’automobile e, più in generale il flusso di merci e persone, è considerata come un problema da risolvere più che come un aspetto che informa la sistemazione planimetrica, un’oggetto puramente tecnico liberato dal fascino “moderno”. La macchina, che nel progetto di Libera era un oggetto di lettura simbolica di uno spazio monumentale, diventa nel Piano del '41 componente tecnica e oggettiva dell’assetto della città. Il problema della circolazione e delle veloci comunicazioni è infatti centrale anche per le sistemazioni di Piazza Duomo e di Torre Vanga, che verrà definitivamente isolata, così come le aree della stazione, di Piazza

7 Municipo di Trento, Ufficio Tecnico, ing. Canestrini, Relazione sul Piano Regolatore della città di Trento, Trento, 17 dicembre 1940, 12 gennaio 1941.

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Nella pagina a fronte: Municipo di Trento, Ufficio Tecnico, Piano regolatore Generale, Tavola Dettaglio 6, Sistemazione del traffico dietro al Castello, Nuovo imbocco alla galleria, Trento, 1941, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico. 8 Municipo di Trento, Ufficio Tecnico, ing. Canestrini, Relazione sul Piano Regolatore della città di Trento, Trento, 17 dicembre 1940, 12 gennaio 1941.

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Battisti e di Via Grazioli. Nelle tavole di progetto, ed ancor più nella tavola di sistemazione generale, l’assetto viabilistico è centrale e quasi preponderante anche visivamente rispetto alle proposte per le nuove aree edificate: la circolazione è il vero cardine del piano ed in definitiva è la strada che deve «rispettare una linea di rettifica intesa a togliere di mezzo tutte le sinuosità»8 (così come l’Italia dietro al suo capo). Ciò che resta insomma, all’alba della guerra, (e sembra un paradosso) è una razionalità lucente e meccanica – quasi positivista – scevra apparentemente di ogni componente simbolica. Come è prevedibile la guerra spazzerà via anche queste certezze, il Castello e la sua Piazza resteranno irrisolti per gli anni a venire, vittime del cambio di priorità del dopoguerra, e il figlio del martire Gigino Battisti sarà primo sindaco della città liberata.


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Questioni di parcheggio Il progetto di Giancarlo De Carlo per la città di Trento

Sono passati ben 23 anni dall’ultima relazione di progetto dell’architetto Giancarlo De Carlo. Nel frattempo un’intera generazione è andata alle Scuole Sanzio attraversando una strada a quattro corsie, ha visitato il castello del Buonconsiglio durante le feste Vigiliane, (quando il blocco del traffico ne invoglia la visita), e ha usato Piazza della Mostra per parcheggi selvaggi in seconda fila. Eppure la sistemazione della Piazza e il ricongiungimento del Castello del Buonconsiglio alla città non è un progetto che divide, anzi, tutti ne riconoscono la priorità e l’importanza. Non è questa l’occasione di addentrarci nella valutazione di scelte politiche o nei bilanci economici che hanno portato l’immobilità. Ben più interessante è invece indagare i temi spaziali e sociali che hanno portato, nonostante tutto, alla latenza di questo progetto nel corso degli anni. La proposta1 presentata dall’architetto De Carlo negli anni ’90 risulta particolarmente interessante per due temi che vanno al di là del disegno della superficie della nuova piazza: 1) l’originale integrazione del progetto viabilistico della galleria col disegno dello spazio pubblico e 2) la proposta di alcuni interventi urbanistici da effettuare sul tessuto circostante al fine di migliorare l’accessibilità della piazza e la sua frequentazione. Secondo De Carlo «le strade sono, delle città, gli elementi costituenti e anche qualificanti […] per questo le città sono brutte o belle a seconda della bellezza o della bruttezza delle strade di cui sono composte»2. Spesso le nostre strade sono progettate con un manuale d’arredo urbano: esse sono un copia e incolla di soluzioni tecniche che non aggiungono nessuna qualità allo spazio, rendendo banale e monotono il loro attraversamento. Al contrario nel progetto di Piazza della Mostra la galleria è pensata come un manufatto architettonico ipogeo: la strada, come un viadotto, passa all’interno di un volume a doppia altezza che al livello inferiore ospita i parcheggi.

Nella pagine precedenti: Giancarlo De Carlo, Progetto per Piazza della Mostra a Trento, 1990; vista del modello della galleria. Nella pagina a fronte: Giancarlo De Carlo, Progetto per Piazza della Mostra a Trento, 1990; planimetria della galleria. 1 cfr. G. De Carlo, Relazione di progetto per Piazza della Mostra a Trento, gennaio 1990, in «Archivio De Carlo» presso l’Archivio Progetti IUAV, Venezia. 2 G. De Carlo, Hanno ancora senso le piazze, e per chi?, in «Spazio e Società», n°42, 1988.

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3 G. De Carlo, lettera aperta ad Argam, in «Parametro», n°116, 1983. 4 «spazio & societa» ` è il titolo utilizzato per la rivista di architettura e urbanistica fondata da Giancarlo De Carlo nel 1979. 5 cfr. C. Sitte, Der Städtebau nach künstlerischen Grundsatzen, 1889. Trad. it. L’arte di costruire la città, Vallardi, Milano, 1953. L’autore indaga le leggi dell’armonia degli spazi urbani, raccontando l’urbanistica attraverso i suoi fondamenti estetici. 6 Isolato gotico dalle parcelle lunghe e strette, parallelo alla facciata del Castello, che si affaccia a est sulla Piazza della Mostra e a Ovest su Via del Suffragio. 7 Questi due giardini, recintati e chiusi nelle ore notturne, sono ora due scrigni all’interno del tessuto urbano della città, protetti piuttosto che valorizzati. 8 cfr. G. De Carlo, Relazione di progetto per Piazza della Mostra a Trento, gennaio 1990, in «Archivio De Carlo» presso l’Archivio Progetti IUAV, Venezia.

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La sezione delle pareti si modifica in continuazione aprendosi in più punti sulla Piazza e la luce naturale penetra fino al piano dei parcheggi attraverso delle originali bocche di lupo. Lo spazio è un’integrazione tra tecnica ingegneristica e qualità architettonica, un oggetto funzionale e significativo allo stesso tempo. Le piazze sono catalizzatori di energia, «verso di loro convergono le energie da tutta la città e da loro in tutta la città si diffondono»3. ` 4: era interessato De Carlo ne faceva una questione di spazio e societa a come le persone potessero giovare e godere di uno spazio, e a come quest’ultimo offrisse loro nuove condizioni per incontrarsi, comprendere i luoghi ed arricchirsi. Le piazze sono luoghi speciali: la storia, le persone e le differenti stratificazioni della città aiutano a validarne le specificità e i ruoli all’interno del tessuto urbano. Per questo disegnare una nuova piazza è tra i temi di architettura e urbanistica uno tra i più complessi e delicati. Oltre al bilanciamento tra i pieni-vuoti e all’attenzione Sittiana5 verso l’estetica e la qualità degli spazi, De Carlo presta particolare attenzione all’attività delle persone nella piazza e al riscontro che la piazza, intesa come luogo di aggregazione di energie umane, può avere sui comportamenti delle persone stesse. Piazza della Mostra ha la fortuna di affacciarsi direttamente sul monumentale Castello del Buonconsiglio, ma è altrettanto vero che rispetto al centro storico, quella è oggi una posizione marginale se consideriamo i luoghi veramente vissuti della città. Per questo è indispensabile individuare nuove possibili tensioni nel tessuto circostante la piazza, capaci di rendere questo luogo trafficato e ricco di significato. A questo scopo il progetto De Carlo propone di aprire due passaggi pubblici attraverso la Contrada Tedesca6, definita un «baluardo impenetrabile». Questo intervento risolverebbe un antagonismo con la centralità urbana di via del Suffragio, che ad oggi attira nel suo cul de sac tutte le «energie vitali» del Giro al Sas del centro storico.8 Altrettanto interessante è la proposta di mettere a sistema lo spazio della nuova piazza con i due giardini pubblici di San Marco7 posti a sud, dietro il Convento degli Agostiniani. Queste operazioni definite com-


plementari servono a legittimare la presenza della Piazza, a caricarla di tensione rendendola uno spazio significante. Ed è proprio in quest’ottica di scelte strategiche motivate che il progetto urbano può diventare la chiave per sbrogliare situazioni molto delicate, in cui devono essere risolte senza compromessi tutte le carenze di urbanità riscontrate nella parte di città in questione. Bisogna dunque essere onesti e coscienti al tempo stesso che la scala di intervento per un progetto di questo tipo non può fermarsi al semplice disegno della piazza. Non è attraverso un gesto formale o un’architettura alla moda che si rende interessante uno spazio. Il monito è quello di considerare l’investimento pubblico un capitale fisso sociale che non tollera speculazioni e ignoranza decisionale. Il suggerimento è quello di fare tesoro della professionalità di architetti che già hanno prodotto ragionamenti per questo luogo. Leggere la città attuale attraverso una critica dei progetti passati, è un primo passo per portare il piano della discussione ad un livello più lungimirante, lasciandosi dietro le spalle i luoghi comuni che per forza di cose annebbiano la vista e ci hanno impedito fino ad ora di pensare a questo luogo come ad uno spazio diverso da quello di un parcheggio.

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Nella pagina a fronte: M. Baldracchi e F. Campolongo, Progetto di restauro del complesso denominato “le stalle del Castello” e studio di massima per piazza Mostra, Trento, 2003/07; viste del progetto. 1 Si riporta la trascrizione della relazione di progetto degli architetti M. Baldracchi e F. Campolongo in F. Campolongo, P. Segatta (a cura di), Trento, ieri, oggi, domani, Provincia Autonoma di Trento, Soprintendenza per i Beni Architettonici e Archeologici, Trento, 2008.

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Progetti recenti

Progetto di restauro del complesso denominato “le stalle del Castello” e studio di massima per piazza Mostra. 2003/071 Il restauro dell’isolato che, dal Cinquecento, ospitava le stalle del Castello del Buonconsiglio consentirà di accorpare sulla stessa piazza le sedi delle tre Soprintendenze, che si occupano della tutela del patrimonio culturale provinciale, ed i tre principali musei e spazi espositivi, che si occupano della sua valorizzazione e divulgazione (Soprintendenza per i Beni archeologici, architettonici e storico-artistici – Museo Archeologico – Museo storico in Trento – Castello del Buonconsiglio). La soppressione del Principato vescovile (1803) e la progressiva perdita della centralità del Castello del Buonconsiglio, quale residenza vescovile e sede di governo, hanno fatto perdere a poco a poco il vitale rapporto castello-piazza-città. Le antiche stalle vennero adattate per ospitare la Dogana ed un lungo filare alberato divise lo “spiazzo” del Castello con un viale che conduceva al portone centrale. Nel complesso si insediò poi la Regia Polizia Imperiale asburgica e dal 1918 al 2007 fu sede della Questura. Il progetto ripropone l’interramento della strada, necessario a ripristinare il rapporto diretto tra il Castello e la città. Due livelli interrati potranno ospitare parcheggi pertinenziali per le abitazioni del centro e spazi a servizio delle strutture museali. Dall’interrato si potrà accedere direttamente a depositi, ascensori e montacarichi che potranno servire il museo ed il Castello. La piazza è intesa quale ampio e libero spazio antistante il Buonconsiglio, così come raffigurato nell’acquerello del Dürer (1495) e nelle stampe ottocentesche. Gli accessi alla strada interrata ed al parcheggio sono localizzati su via Romagnosi e via Venezia al fine di non occupare la piazza con rampe e costruzioni di uscita. L’intervento consentirà quel libero uso dello spazio che, storicamente, reinventava questo luogo aperto ad ogni festa o celebrazione.


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Nella pagina a fronte: S. Endrizzi e F. Rudari, Museo archeologico in Piazza della Mostra a Trento, relatore U. Trame, correlatore G. Ciurletti, IUAV, Venezia, 1997; viste del modello. 2 Si riporta un estratto della relazione del progetto di tesi degli architetti S. Endrizzi e F. Rudari, relatore U. Trame, correlatore G. Ciurletti, in «Luoghi» n°10/98, IUAV-CITRAC, Venezia-Trento, 1998.

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Museo archeologico in Piazza della Mostra a Trento2 Piazza Mostra è un contesto privo di vere e proprie relazioni fra gli edifici che la conformano. Il progetto cerca di darle un carattere e creare una serie di relazioni e sinergie fra il castello e il centro di Trento. La piazza deve quindi essere rimisurata, proporzionata, essere percepibile in tutto il suo “volume”, deve avere dei limiti ben definiti. Uno di questi limiti è costituito da un “muro-camminamento” che delimita la piazza in tutta la sua lunghezza verso il castello. Assieme alla piazza si pone come basamento naturale per il castello, parte di roccia su cui questo appoggia. La piazza vuole mantenere una certa austerità, un linguaggio semplice, cerca di proporsi come scultura orizzontale, priva di elementi che vogliono imporsi in modo evidente rispettando le architetture di rilievo che la delimitano. Elementi, disposti con una certa continuità, raccordano o separano spazi, lavorano, per terra, su pochi centimetri, sui pochi gradi di inclinazione del verde. I volumi della piazza attraverso il controllo del tracciato (moduli che riprendono la maglia romana) appartengono al tessuto urbano, ma attraverso le forme appartengono al paesaggio, manifestando elementi e forze contrastanti in un’unica forma, in un unico insieme. Il progetto prevede un museo archeologico esteso su tutta la piazza, servito da due ingressi. Il principale è un volume davanti all’entrata del castello che si presenta come una scultura, costituito da tre corpi posizionati “casualmente”; questo sistema “naturale” è un tutt’uno con la piazza, che in quel punto viene frantumata e decostruita. L’altro è nel nuovo edifico inserito a fianco dell’attuale Questura. Lo schema ordinatore del nostro progetto riprende in un certo modo l’impianto del castrum romano basato su moduli di circa 71ml di lato. Questo reticolo è stato ridefinito metricamente secondo sottomultipli di un ipotetico quadrato 70x70ml. L’impianto strutturale inserito secondo questa griglia modulare cerca di riprendere in qualche modo i lotti gotici della Contrada Tedesca, soprattutto attraverso la disposizione delle travi trasversali che scandiscono lo spazio del museo secondo una successione di 7ml.


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Nella pagina a fronte: M. Dallavalle, Piazza della Mostra a Trento: Connessione tra il Castello del Buonconsiglio e la città storica., IUAV, Venezia, 2001; viste del modello. 3 Si riporta un estratto della relazione del progetto di tesi dell’arch. M. Dallavalle, relatore A. Rudi, IUAV, Venezia, 2001.

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Piazza della Mostra a Trento: Connessione tra il Castello del Buonconsiglio e la città storica3 E’ stato già osservato che la Piazza della Mostra attualmente non è una Piazza, ma piuttosto un grande spazio aperto solcato da due strade – una a ridosso del Castello, l’altra a ridosso della Contrada Tedesca – che scorrono a due diversi livelli e sono separate da un terrapieno sul quale si allinea una fila di alti e vetusti pioppi. Perché questo luogo diventi Piazza, oltre a liberarlo dal traffico automobilistico che ora lo estrania e lo soffoca, bisogna rimodellarlo con l’intento di rivelare e stabilizzare la fisionomia che più gli corrisponde per affidargli una precisa, riconoscibile, memorabile identità. Questo si è cercato di fare col progetto, mirando a configurare un insieme morfologico unitario e composto di più parti diversificate, attraverso un’operazione compositiva che tende a ordinare la differenziazione in un unico sistema coerente. Affinché questo luogo diventi anche elemento di connessione con il Castello, bisogna modellarlo con l’intento di guadagnare l’altezza utile per poter attraversare la via B. Clesio con un percorso pedonale in galleria. Si è visto che l’intensa corrente di traffico che corre costantemente nei due sensi su via B. Clesio e l’attuale destinazione a parcheggio di Piazza della Mostra costituiscono gli ostacoli fondamentali, non solo allo sviluppo di interrelazioni tra il Castello del Buonconsiglio e il centro storico, ma anche al fatto che la Piazza della Mostra sia davvero una piazza. Perciò il problema dell’eliminazione dell’attuale parcheggio di superficie, nonché la possibilità di raggiungere il Castello sottopassando via B. Clesio sono diventate le intenzioni principali del progetto. Gli interventi nel sottosuolo comprendono quindi: 1) la realizzazione, inferiormente alla superficie della Piazza, di uno spazio che si sviluppa su due livelli di parcheggi, ognuno capace di circa 40 posti macchina a disposizione dei residenti e delle attività che si svolgeranno sulla Piazza; 2) la realizzazione, a partire dal lato orientale della Piazza, della galleria


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pedonale che attraversando via Clesio conduce all’interno del basamento del Bastione di San Vigilio. Il parcheggio interrato, collegato alla viabilità di via B. Clesio mediante una rampa di dimensioni regolamentari ma contenute, posta sul lato Nord della Piazza, è dotato di uscite di sicurezza e di ascensori, nonché di camminamenti interni che permettono l’accesso alla galleria sotto via B.Clesio senza dover passare necessariamente per la Piazza. La galleria pedonale, nel suo svolgersi tra la Piazza della Mostra ed il Bastione di San Vigilio, presenta caratteristiche morfologiche, geometriche e materiche diverse, con l’intenzione di comunicare al visitatore la realtà fisica degli strati attraversati.

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Nelle pagine precedenti: Sergio Perdomi, Veduta del Castello del Buonconsiglio da piazza Sanzio, stampa ai sali d’argento, 1934 circa, Archivio Fotografico, ©Fondazione Museo storico del Trentino, Trento. In questa pagina: Sergio Perdomi, Mercato in Piazza della Mostra a Trento, stampa ai sali d’argento, primi anni '30, Archivio Fotografico, ©Fondazione Museo storico del Trentino, Trento. Nelle pagine successive: Ignoto, Veduta del Castello del Buonconsiglio e del cantiere per la costruzione delle Scuole Sanzio, stampa ai sali d’argento, 1931 circa, Archivio Fotografico storico - ©Castello del Buonconsiglio, Trento.

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Nelle pagine precedenti: Sergio Perdomi, Trento, Piazza della Mostra, elefanti del Circo Bus, cartolina postale, stampa ai sali d’argento, primi anni ‘30 del 1900, Archivio Fotografico storico - ŠCastello del Buonconsiglio, Trento.

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Analisi

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SP 235 SS 12

SP 45

SP 47

A 22

> 1500 1000/1500 500/1000 250/500 SS 12

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Analisi Viabilistica

L’immagine di Piazza della Mostra è legata in maniera indissolubile al volume di veicoli che vi transitano e che vi sostano. Chiunque vi giunga a piedi dal centro storico si trova disorientato di fronte al continuo scorrere di mezzi di qualsiasi dimensione che con il loro ritmo incessante paiono allontanare il Castello dalla città più di quanto facciano le sue stesse mura. Lo spazio inanimato della piazza amplifica questo effetto di straniamento: la massa di auto in sosta e i caroselli continui di automobilisti alla ricerca di parcheggio rendono sgradevole anche il solo transito attraverso questo luogo carico di secolare memoria. In questo modo i flussi intensi che circondano la Piazza e che le conferiscono un’incontestabile visibilità all’interno del panorama urbano, ne precludono qualsiasi possibilità di rivitalizzazione, soffocando le sue notevoli potenzialità spaziali in una rumorosa morsa meccanica. Il problema della congestione veicolare non si limita però ad una semplice noia di carattere estetico e sensoriale ma è particolarmente sentito da chi vive quotidianamente gli spazi attorno alla Piazza, come gli utenti delle scuole elementari Sanzio o i residenti del rione San Martino, tra i quali aleggia ormai un’insofferenza alimentata negli anni dal senso di reclusione rispetto alle aree più animate della città. A ben vedere tale problema non rappresenta però un elemento specifico di quest’area ma una criticità riscontrabile in tutto l’anello stradale che circonda il centro storico, all’interno del quale vige da una ventina d’anni un regime di traffico limitato che lo rende impermeabile alla moltitudine di veicoli che ne sollecitano i confini. Se andiamo ad osservare con attenzione l’analoga situazione di strade come via Rosmini, via Torre Verde e via S.Francesco è infatti facile rendersi conto di come il nucleo della città sia separato dalle sue espansioni attigue da una rete viabilistica altamente trafficata sulla quale gravano linee di trasporto pubblico e privato di estensione variabile, innescate da esigenze di mobilità a breve e lungo raggio che nelle ore di punta arriva-

Nella pagina a fronte: Schema del volume di traffico nella fascia oraria 7.30-8.50. I valori si riferiscono a veicoli/ora, nel focus viene evidenziata l’area in questione.

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no frequentemente alla congestione e talvolta al collasso. Per comprendere le cause di quest’assedio mosso dalle automobili nei confronti dell’intero centro storico è necessario quindi esaminare con attenzione il sistema di mobilità di Trento nel suo complesso, tenendo in particolare considerazione l’articolata orografia nel quale esso si colloca e dalla quale è inevitabilmente condizionato. La città di Trento risulta sintetizzabile in un modello composto da due conurbazioni parallele poste su piani altimetrici differenti: la città alta (formata dai sobborghi di Martignano, Cognola, Povo e Villazzano) occupa le colline a Est, mentre la città bassa si sviluppa lungo il fondovalle, con andamento Nord-Sud e con estensione ormai coincidente con i borghi limitrofi di Lavis e Mattarello. La crescita della popolazione collinare a partire dagli anni '70 ha determinato un’esponenziale crescita della domanda di spostamento verso la città bassa, motivata principalmente dalla concentrazione di servizi e attività lavorative nel fondovalle. La risposta a tale domanda è composta quasi esclusivamente dall’uso di mezzi privati e, solo in minima parte, si riversa sulla capillare rete di autobus. La bassa attrattività del mezzo pubblico è da ricercarsi nella condivisione con le automobili della stessa rete stradale, rete che per sua natura è propensa a rallentamenti nelle ore di punta e a interruzioni legate alle dinamiche aleatorie degli incidenti. Il fondovalle soffre però di una congestione legata anche a dinamiche di spostamento più ampie, visto il naturale ruolo di crocevia territoriale della Valle dell’Adige. Sul centro di Trento insistono infatti tre direttrici di traffico di grande portata: quella proveniente dalla Valle dei Laghi ad Ovest (sp45), quella proveniente dalla Valsugana ad Est (ss47) e quella che transita lungo l’asse Nord-Sud, distribuita su strade statali (sp235), tangenziali di alto scorrimento (ss12) e autostrada (s22). Il problema principale è insito nella geografia del centro storico su cui queste gravitano: Trento si è sviluppata a partire da un nucleo compatto posto esattamente nel punto più stretto della Valle dell’Adige, e se tale caratteristica è risultata nel passato un elemento fondamentale per il suo sviluppo all’interno del territorio, attualmente assume la connotazione

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1 cfr. Provincia Autonoma di Trento (a cura di), Piano Urbanistico del Trentino, Marsilio, Padova, 1968. 2 P. Marconi, R. Rizzotto, R. Benedetti (a cura di), Piano Regolatore Generale del Comune di Trento: Relazione, Trento, 1961/68.

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di un enorme “collo di bottiglia” ove tutti i flussi si trovano forzatamente a coesistere. L’origine di questa configurazione problematica è individuabile nell’espansione urbana degli anni '70, innescata dall’adozione dei due grandi Piani ideati per la città: il Piano Urbanistico Provinciale firmato da Giuseppe Samonà1, nel 1967, e il Piano Regolatore Generale di Plinio Marconi del 19682. Quest’ultimo, giunto alla sua versione definitiva dopo sei anni di ridisegno dovuto ad un continuo rapporto di confronto e scontro tra le visioni di sviluppo urbano di Marconi e Samonà, ha decretato la crescita della città senza stabilirne una direzione preferenziale attraverso il fondovalle, creando nei due decenni successivi una domanda di traffico tra il centro e le periferie, o tra le stesse due marginalità, superiore a quella sostenibile anche dalle previste tangenziali di supporto. La natura eterogenea di entrambe le espansioni, costituite da zone direzionali, terziarie, produttive spesso aggregate con disordine, ha poi contribuito ad un mescolamento dei flussi attraverso la valle, che forzatamente si sono incanalati sulle stesse infrastrutture dove circolavano quelli provenienti dalle vallate laterali. Alla luce di queste considerazioni di carattere generale si comprende come la situazione di disagio riscontrabile quotidianamente nell’area di Piazza della Mostra non sia riferibile ad un semplice problema di mobilità interno al centro storico, ma sia legata in maniera indissolubile al vicino nodo di Piazza Venezia sul quale defluiscono gran parte dei carichi di traffico tesi tra la collina est e le aree centrali della città. Nel 2010 il comune di Trento ha presentato il nuovo Piano Urbano della Mobilità (P.U.M.), che si propone di imprimere una svolta concreta nell’assetto del trasporto pubblico e privato all’interno del capoluogo. Il P.U.M. si propone di rivedere completamente la rete di trasporto pubblico al fine di sgravare la città dalle auto, soprattutto per quanto riguarda la domanda di spostamento intraurbano e di medio raggio. La strategia proposta si può riassumere in tre punti: 1) costruzione di una linea in sede propria lungo l’asse Nord-Sud 2) creazione di parcheggi di attestamento all’estremità della linea e 3) ripolarizzazione delle linee di


autobus su nodi cruciali della linea in sede propria. A questi tre elementi cardine si aggiungono poi una serie di interventi volti ad incentivare lo spostamento pubblico tra la collina est e il centro, quali ad esempio la direttrice in sede propria agente tra Povo e Piazza Venezia, la conversione a metropolitana di superficie del tratto urbano della ferrovia della Valsugana ed una una serie di interventi sulla viabilità locale, volti alla soluzione di problemi topici. Per quanto riguarda l’area in continuità con Piazza della Mostra le soluzioni appaiono però inadeguate: il Piano prevede un sistema di rotatorie nel già citato crocevia di Piazza Venezia, e la riproposizione del ricorrente archetipo della galleria ipogea di fronte al Castello, il cui imbocco orientale, a differenza delle proposte presentate a partire dal progetto di De Carlo negli anni '90, sarebbe collocato a notevole distanza dall’uscita su via Torre Verde, ossia in via S. Francesco, poco distante dall’attuale sede del Tribunale.3 Questo tipo di soluzione, più volte riproposto in differenti conformazioni a partire dal Piano Regolatore Generale del 1941 appare però poco efficace nel contesto odierno. Tralasciando le valutazioni riguardo alla convenienza economica e alla fattibilità strutturale di tale operazione, ciò che appare evidente è la scarsa utilità di un intervento di tale complessità a fronte dei benefici che l’area del centro storico potrebbe trarne. Infatti se il tunnel previsto venisse realizzato senza aver operato un sensibile alleggerimento del carico di traffico teso tra Piazza Venezia e Piazza Dante, si avrebbe un aumento notevole di criticità in prossimità di entrambi i suoi imbocchi. Problemi come l’inquinamento acustico e ambientale, la congestione stradale e le difficoltà di attraversamento pedonale, non sarebbero quindi risolte da un bypass ipogeo ma semplicemente traslate e concentrate alle sue estremità, coincidenti con aree già sofferenti e che verrebbero quindi a trovarsi in condizioni ancor più critiche di quelle attuali. Per evitare di innescare un circolo vizioso su scala ridotta, in cui la somma degli effetti collaterali rischia di offuscare i benefici auspicati, appare quindi necessario agire con decisione alla radice del problema, cercando di limitare la domanda di traffico verso il centro città attraverso opera-

3 Comune di Trento, Piano Urbano della Mobilità, tavola 12.03, Interventi sulla rete infrastrutturale privata Centro Storico-Piedicastello, Trento, 2010.

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zioni che interessino l’organismo nella sua struttura complessiva. Nell’ipotesi di riuscire a ridurre gli ingenti flussi orbitanti attorno al centro storico (elemento imprescindibile per aumentare la qualità di vita di tutta l’area centrale della città) risulta quindi sovrabbondante qualsiasi opera di occultamento e smaltimento del flusso di veicoli residui, poiché, come dimostra l’esperienza di Trento con la zona a traffico limitato, questi risultano indispensabili ad un vitale funzionamento delle aree che vogliono essere preservate e rivitalizzate.

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Analisi degli spazi pubblici

Nella pagina a fronte: Rappresentazione dei vuoti nel centro storico di Trento.

All’interno del centro storico di Trento (se si eccetua Piazza Duomo) sono disseminati una varietà eterogenea di vuoti urbani, collocati per la maggior parte ai margini dell’antico tracciato delle mura cittadine. Valutando numericamente le dimensioni degli spazi aperti della città, notiamo come Piazza Mostra con i suoi 3600 mq rientri nell’insieme delle grandi piazze di Trento, seconda solo a piazza Fiera (6714 mq), Piazza Duomo (5286 mq) e ai grandi spazi verdi di Piazza Venezia e Piazza Dante. I tre grandi vuoti urbani di Piazza Fiera, Piazza Duomo e Piazza Mostra sono cronologicamente gli spazi pubblici più antichi di Trento ma, mentre Piazza Duomo e Piazza Fiera sin dai tempi antichi sono rispettivamente il cuore politico sociale e il cuore commerciale fieristico della città, Piazza Mostra è l’emblema del vuoto urbano, uno spazio senza particolari funzioni storiche, nato per bilanciare la massa costruita del Castello del Buonconsiglio. All’interno del centro storico sono dislocate altre piazze di dimensioni minori. Alcune, come Piazza Erbe, sono presenti sin dall’epoca medioevale come luoghi commerciali, mentre molte altre, sono spazi nati dai sventramenti ottocenteschi e demolizioni operate durante il periodo fascista in nome dell’igiene e del decoro urbano. Caso principe di questi nuovi spazi aperti del centro storico è Piazza Battisti, ricavata dalla demolizione del quartiere Sass in epoca fascista. Agli spazi aperti si contrappongono i vuoti della città moderna/contemporanea, sorti negli anni più recenti e visibili a nord di Piazza Dante e ad est di Piazza Duomo. In questi ritagli di città, attigui al centro storico, ad una minore densità degli edifici corrisponde una non-definizione formale dei vuoti. Oltre all’insieme degli spazi pavimentati, il centro urbano della città racchiude inoltre un sistema di spazi verdi, situati anch’essi prevalentemente lungo il bordo esterno dell’antico tracciato della cinta muraria

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atro 8 mq

Erbe 0 mq

Largo Pigarelli 4048 mq

Piazza Dante 23385 mq

Piazza Venezia 26402 mq

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nelli 8 mq

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Piazze parco

0

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Piazza Dante Piazza Mostra

Piazza Venezia

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Piazze di Trento

500m

Piazza “Media� (c.a 2000 mq)


che definiva i margini della città. Le varie tipologie di aree verdi presenti all’interno del centro urbano rispecchiano la loro epoca di realizzazione. I primi giardini sono di epoca rinascimentale e coincidono con la volontà del vescovo Bernardo Clesio di tradurre in architettura i principi umanistici. Di quest’epoca sono i giardini del Castello del Buonconsiglio (4000 mq), gli adiacenti giardini di San Marco (4000 mq) e il giardino del vescovado (4000 mq). Quest’ultimo per dimensioni, posizione ed importanza storica, è incluso nell’analisi delle aree verdi del centro storico, pur essendo uno spazio privato. «Già da tempo (con gli interventi intrapresi da Giorgio Lichtenstein e Giovanni Hinderbach) presso il Castello i giardini erano divenuti un elemento fondamentale per l’impostazione e lo svolgimento del programma di traduzione in architettura dei principi umanistici, con tutto il carico simbolico che questo comportava. Anche i giardini furono perciò oggetto della vasta opera di rinnovamento clesiano che interessò sia il giardino della corte dei Leoni (Zardino de Sopra), che riecheggia “i giardini segreti” della precedente e contemporanea produzione italiana, sia quello dell’area occidentale del Magno Palazzo (Zardino). Il giardino superiore in particolare avrebbe costituito un unicum continuo cui partecipavano le quinte architettoniche con gli apparati decorativi, le fontane in mostra d’acque e le piante ricondotte in quartieri artificiali e rare. Anche il giardino inferiore avrebbe dispiegato una ricchezza di essenze organizzate armoniosamente in parterre, agrumi, erbe ornamentali, odori, e stupefacenti sfoggi di ars topiaria»1. Il rinnovamento urbano promosso in quegli anni per abbellire la città che ospiterà il Consiglio porta con sé nuove architetture e con esse anche nuovi giardini. I giardini San Marco rispecchiano questa volontà di disegnare puntualmente e con estrema cura le pertinenze dei palazzi e gli spazi esterni connessi. Nella stessa ottica si sviluppa, per volontà di Cristoforo Madruzzo, Palazzo delle Albere il cui disegno degli spazi aperti riporta alla luce un altro elemento fondamentale nella storia dei giardini: l’uso dell’acqua. Il fossato che circonda l’edificio aveva nel progetto originario una funzione

1 F. Bertamini, Alcune note sullo sviluppo dell’arte dei giardini in Trentino, in Monumenti, conoscenza, restauro, valorizzazione, Sovrintendenza per i Beni architettonici, Trento 2003/08.

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Nella pagina a fronte: Rappresentazione delle aree verdi di Trento.

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di peschiera, circondata da torrette angolari, le quali sono state sostituite da scalinate a ventaglio che digradano verso il bacino. Con il passare dei secoli cambia la concezione di giardino, ed esso assume un significato non più legato al sistema della villa privata ma alle nuove necessità sociali di spazio pubblico: nasce il parco ottocentesco. Il primo esempio di questo passaggio a Trento è un progetto di G. P. Dal Bosco del 1820 in cui si ipotizzava la creazione di Campi Elisi per Trento, collegando tramite viali di passeggio il parco di S. Chiara e i giardini dei Martini con i giardini del Palazzo delle Albere. Il progetto, mai realizzato, rispecchiava in toto lo spirito del tempo, sostenendo l’uso del parco a favore di uno sviluppo civile della città. Ai primi anni del Novecento appartengono invece i progetti di Piazza Dante e Piazza Venezia. Piazza Dante, insieme con l’area verde di piazza General Cantore (2000 mq) e di piazza Centa (6000 mq), nasce grazie alla rettifica del percorso originario del fiume Adige e va ad occupare l’area antistante la stazione ferroviaria. La piazza verde è progettata nei primi anni del Novecento dall’ing. Apollonio ed ingloba l’area retrostante la Basilica di San Lorenzo. Piazza Venezia (30000 mq) nasce invece nei pressi delle mura agli inizi del 1900 su un’area adibita dagli Austriaci a piazza d’armi. La sua configurazione attuale è frutto di vari progetti con cui nel tempo si sono aggiunti contenuti e piccoli monumenti. Per quanto riguarda i parchi contemporanei, troviamo accanto ai giardini del Palazzo delle Albere, il Parco del Muse (65000 mq) progettato da M. Corajoud e in fase di realizzazione: esso fa parte del sistema del verde urbano della città di cui sono altresì parte il parco lineare del lungo Adige e altri giardini di piccole medie dimensioni collocati a nord del Castello del Buonconsiglio. Il Doss Trento chiude idealmente il sistema verde del centro storico ad ovest, oltre a fungere da controparte morfologica alla grande ansa lasciata dall’antico letto dell’Adige che formava il lato nord del centro città. Interessato in epoca fascista da un ambizioso progetto monumentale e architettonico solo in parte realizzato, ospita attualmente nella zona


Piazza Cantore

Piazza Centa Giardino Case Pincheri Doss Trento

Giardino Predare

Piazza Dante

Castello del Buoncosiglio

Giardino di S. Marco

Piazza Venezia

Parco Lungo Adige Giardini P.zza Garzetti

Giardino vescovile Palazzo delle Albere

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Parco del Muse/Le Albere

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Centro Storico

Piazza Venezia o (31000 mq) giardino pubblic

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sommitale il Mausoleo a Cesare Battisti ed il Museo Nazionale Storico delle Truppe Alpine. Questo spazio verde, classificato da poco come biotopo, può essere considerato per le sue dimensioni il primo parco periurbano prossimo al centro storico di Trento a forte valenza storica e naturale.

Nella pagina a fronte: Sistema delle aree verdi del centro storico di Trento.

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Nella pagina a fronte: Localizzazione degli spazi museali pubblici e privati di Trento. 1 F. Marzatico, Verso il polo della storia e dell’arte antica, in «Economia trentina» n°3/4, Trento, 2003.

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Analisi dei flussi turistici e degli spazi museali

Parlare di musei, visitatori ed in generale del sistema di offerta culturale della città di Trento non può prescindere dal prendere in considerazione innanzitutto un diagramma che possa dare una visione complessiva e puntuale degli spazi in cui l’attività espositiva viene svolta. La mappa a fronte mostra quali, quanti e dove sono ubicati nella città gli spazi destinati a mostre permanenti o temporanee. Guardando ad essa anche solo di sfuggita, risulta evidente la presenza di due grandi spazi: le Gallerie di Piedicastello ed il nuovo complesso del Muse. Ad essi si aggiungono, nella zona di Piazza Mostra, gli spazi del Castello del Buonconsiglio e della Fondazione Museo Storico del Trentino ed un progetto per il Museo Archeologico previsto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Archeologici della Provincia di Trento negli edifici dell’ex-Questura. Indipendentemente dalla realizzazione dello spazio espositivo dedicato all’archeologia, il progetto di creazione di un Polo che possa collegare il Castello al Museo Storico parrebbe un valido contributo alla realizzazione di una sinergia che possa offrire al visitatore un complesso di edifici attraverso i quali rendere possibile un avvicinamento alla storia e all’arte del territorio. Della questione ne parla F. Marzatico in un articolo di approfondimento scritto nel 2003 per la rivista trimestrale Economia Trentina: «un progetto certamente ambizioso perché prevede, oltre a ciò, e al restauro di parti ancora inagibili, un miglioramento complessivo dei servizi di accoglienza e, auspicabilmente, la destinazione museale della Questura, con la riqualificazione di Piazza Mostra». Oltre ad affrontare la questione più strategica del collegamento degli spazi espositivi e della creazione di un Polo, l’articolo affronta un ulteriore tematica, divenuta oggi non più rimandabile «un accattivamente percorso unico dedicato alle vicende storico-artistiche del territorio, utilizzando i necessari espedienti anche per superare parte delle barriere architettoniche che, a tutt’oggi, impediscono la visita da parte dei disabili. In questa prospettiva l’uscita del Castello corrisponderebbe con


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la Fossa dei Martiri – resa accessibile a tutti, attraverso un ascensore esterno a scomparsa – da dove il percorso proseguirebbe in direzione del Museo Storico nella Ca’ dei Mercanti. [...] L’inizio del percorso verrebbe invece a coincidere con l’edificio della Questura, dove potrebbe trovare un’adeguata sistemazione sia il Museo Archeologico [...] sia una serie di servizi comuni, dalla biglietteria al bookshop, a uno spazio per il merchandising che comprenda anche prodotti tipici, ad un centro di informazione e orientamento dedicato a tutta la ricca offerta culturale e turistica del Trentino». Le affermazioni riportate da F. Marzatico nel 2003 trovano in parte riscontro in alcuni documenti di analisi commissionati dalla Provincia di Trento nel 2011. In particolare risultano interessanti alcuni dei dati contenuti nei Rapporti annuali sulle attività culturali 2010 e 2011 e soprattutto nel Report sulla rilevazione del gradimento effettuata presso il Castello del Buonconsiglio in occasione della mostra Le grandi vie delle civiltà. Relazioni e scambi tra il Mediterraneo e il centro Europa dalla preistoria alla romanità (1 luglio - 13 novembre 2011). Se in questa sede i dati contenuti nei Rapporti hanno fornito le chiavi di lettura del panorama culturale trentino, delineando in maniera puntule la situazione relativa ai consumi ed alla produzione culturale della Provincia, i dati della rilevazione (condotta durante l’estate 2011 su un campione di 817 visitatori) sono invece stati utilizzati e particolarmente considerati in quanto la mostra presente nel Castello in quel periodo può essere considerata tipologica rispetto alle attività del Museo del Buonconsiglio. Proprio attraverso l’analisi condotta a commento dei dati rilevati nel 2011, è stato infatti possibile definire il profilo dei visitatori del Castello del Buonconsiglio ed il grado di soddisfazione in merito ai servizi offerti dall’Istituzione e dal contesto. Le principali caratteristiche socio-anagrafiche dei visitatori confermano quanto rilevato in analoghe ricerche sul pubblico dei Musei e delle Mostre: livello di istruzione medio alto, età media attorno ai 50 anni, si muovono soprattutto in coppia, con buona capacità di reddito.

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L’86% degli intervistati è di nazionalità italiana; gli stranieri pesano quindi per il 14%. Indipendentemente dalla nazionalità, il 62% degli intervistati «visitava il Castello del Buonconsiglio per la prima volta». È interessante notare inoltre come il 41% degli intervistati «fosse lì per visitare il Castello e non la mostra». Tra gli intervistati stranieri questa percentuale è molto più elevata e pari a poco meno dei due terzi, ad indicare come il Castello nel loro caso pesi assai più della Mostra in corso. Il campione considerato è composto da un 11,6% di visitatori che risiedono a Trento, un 10,8% sono invece trentini mentre il 63,6% sono italiani. Tra di loro, circa un quarto provengono dalla Lombardia seguita dal Veneto, con oltre il 21%, l’Emilia Romagna (meno del 9%), il Lazio (poco più dell’8%). Servizi connessi La struttura e gli spazi espositivi del Castello del Buonconsiglio sono giudicati dagli italiani come dagli stranieri adeguati (grafico 2). I servizi connessi al Castello del Buonconsiglio come, più in generale, agli enti museali riguardano un’ampia gamma di attività culturali, ricreative e ricettive che supportano il visitatore nell’esperienza. In questa categoria rientrano normalmente servizi quali ristorazione, strutture ricettive, altri luoghi d’interesse che non verranno qui trattati ma per cui rimandiamo alla rilevazione effettuata nel 2011 in occasione della mostra Le grandi vie delle civiltà. Relazioni e scambi tra il Mediterraneo e il centro Europa dalla preistoria alla romanità. Ciò che invece riveste particolare importanza in quanto ha determinato le scelte strategiche verso cui il progetto per Piazza Mostra si è orientato, sono le rilevazioni in relazione a tre servizi a vario titolo connessi all’esperienza di visita al Castello: i dati relativi all’utilizzo del bookshop interno alla struttura, quelli relativi ai parcheggi ed infine le rilevazioni della soddisfazione in merito alla segnaletica turistica e, più in generale, alla facilità di reperire informazioni turistiche. Per quanto riguarda il bookshop, il 12,7% dei rispondenti al quesito relativo dichiara di «avervi effettuato acquisti»; se tale percentuale può

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Segnaletica turistica

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Parcheggi automobili

Molto soddisfacente Soddisfacente Poco soddisfacente Per nulla soddisfacente

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apparire a prima vista minoritaria, essa risulta non trascurabile se connessa al flusso delle entrate economiche relative che risulta positivo. Tra coloro che hanno effettuato acquisti nello shop, il 46% ha comperato dei «libri», oltre il 36% dei «gadget» e del «materiale vario». Lo shop si qualifica dunque, come avviene in genere per le strutture museali, elemento indispensabile in grado di attrarre un pubblico diversificato per interessi. Esso è infatti in grado di garantire non soltanto la possibilità di generare profitto, ma anche di rafforzare ed integrare l’esperienza della Mostra, della visita al monumento, la proposta culturale. La segnaletica turistica soddisfa oltre i due terzi degli intervistati; un altro 11% è addirittura «molto soddisfatto». Meno del 18% è invece insoddisfatto, ma quasi sempre lo è in modo soltanto parziale. Risposte piuttosto “disarmanti” provengono invece dal quesito che sonda la possibilità, per l’ospite, di ottenere «informazioni turistiche» riguardanti Trento e provincia (punti info), dal momento che solo una minoranza degli intervistati (37%) risponde al quesito, pur tenendo conto che non certo tutti hanno bisogno di informazioni. L’analisi specifica sembrerebbe porre in gioco due questioni: la presenza di qualche carenza nel sistema informativo turistico-culturale e la difficoltà di rispondere al quesito da parte di chi non ha avuto modo di sperimentare direttamente questo tipo di servizio. Nel quadro di un rapporto che restituisce la positività degli interventi e delle scelte operate dall’ente Buonconsiglio così come dalle politiche culturali cittadine e provinciali, tale dato negativo ha fortemente inciso sulla nuova progettazione degli spazi limitrofi al Castello, accentuando un approccio di integrazione dell’estetica progettuale con le esigenze realmente espresse dal pubblico e dagli intervistati. La progettazione inoltre ha voluto considerare i dati registrati riguardo alle intenzioni dei visitatori: tra gli intervistati italiani (escludendo ovviamente coloro che risiedono abitualmente nella città di Trento), il 70% dichiara di «aver visitato o di apprestarsi a visitare nell’occasione il centro storico di Trento». Le percentuali si alzano notevolmente per quanto rigaurda gli intervistati stranieri: ben l’88% infatti è interessato

Nella pagina a fronte: Rappresentazione grafica dei dati relativi alla percezione e al flusso dei visitatori al Castello del Buonconsiglio.

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a conoscere la città e lo farà (o lo ha fatto) in occasione della visita al Castello. A fronte di dati di questo tipo, accanto a una rilevazione che sottolinea una mancanza nel sistema informativo turistico, la scelta più opportuna è dunque sembrata il progettare spazi di servizio che potessero supplire alle carenze. La disponibilità e la comodità dell’ultimo servizio considerato ossia i parcheggi soddisfa più della metà degli intervistati: per il 57% la situazione è soddisfacente, per un altro 14% lo è addirittura molto. Risponde in merito, però, soltanto il 65%. Tra gli stranieri, ed era prevedibile, c’è qualche insoddisfazione (grafico 3). Tali dati, letti a margine dell’osservazione di una situazione concreta che caratterizza attualmente Piazza Mostra come un parcheggio, abbisogna di alcune precisazioni. Purtroppo l’analisi condotta non restituisce indicazioni in merito alle strutture utilizzate dai visitatori per parcheggiare, tuttavia pone l’accento su una questione non ulteriormente rimandabile: quella relativa al sistema parcheggi attorno all’area del Castello e più in generale di quella parte del centro storico cittadino. Tale questione costituirà argomento del progetto e sarà pertanto approfondita più avanti volendo l’articolo limitarsi a riprendere e riproporre dati e considerazioni rilevati in precedenza.

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Strategia

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Strategia

Piazza Mostra rappresenta un nodo urbano ricco di contraddizioni e di opportunità: un coagulo irrisolto di problematiche e di suggestioni che non ha ancora trovato una sistemazione soddisfacente. I diversi progetti che si sono susseguiti nel corso della storia, pur partendo da condizioni urbane molto simili, hanno tentato di risolvere questioni diverse fornendo soluzioni del tutto differenti e caricando il progetto di significati e simbologie che vanno inquadrate storicamente. Ogni singolo progetto va infatti considerato come una possibile soluzione (e forse in molti dei casi la miglior soluzione possibile) nel determinato periodo storico in cui è stato concepito. Nella condizione attuale ci sembra che uno dei fattori più importanti sia rappresentato dalla sostenibilità economica e dalla fattibilità dell’intervento proposto. L’attuale crisi e il forte indebitamento pubblico legato ad una gestione poco oculata delle risorse, impongono ai progetti dei prossimi decenni la massima sobrietà ed efficacia. Questo significa, in molti casi, saper rinunciare alla pretesa di risolvere in maniera indiscriminata ogni questione, evitando di puntare ad un progetto definitivo e “totalizzante”. Progettare in questo modo è molto più complesso: bisogna saper compiere delle scelte ed operare con spirito critico. In altri termini si tratta, a livello architettonico, di applicare il principio del Rasoio di Occam: «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire». Riteniamo quindi che per affrontare in modo “strategico” i problemi irrisolti di Piazza Mostra sia necessario definire una scala di priorità tra tutti i problemi, le aspettative e i desideri legati a questo luogo. La scelta di svolgere il progetto in maniera collaborativa, coinvolgendo sin dalle fasi di analisi molti professionisti con differenti punti di vista, ci ha permesso di allargare la base di discussione e la capacità di sfrondare gli aspetti non necessari.

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Scelte strategiche I risultati di una fase di analisi condotta in maniera dialettica e cercando di aprire il dibattito ai molti portatori di interesse, possono essere considerati “sorprendenti” se confrontati con l’idea diffusa che Piazza Mostra rappresenti principalmente un problema viabilistico. La presenza del traffico veicolare, pur costituendo un evidente elemento negativo, non può essere considerata la causa del mancato utilizzo della Piazza. Nelle condizioni attuali il maggior elemento di disturbo è rappresentato dalla presenza del parcheggio che occupa l’intera superficie della Piazza. Il flusso delle auto costituisce un problema sostanziale soltanto nel punto in cui interferisce con il flusso dei visitatori del Castello del Buonconsiglio e con quello degli utenti delle scuole R. Sanzio, anche se quest’ultima situazione è stata recentemente migliorata dal nuovo passaggio pedonale “protetto” che collega Via del Suffragio con il quartiere di San Martino. Nel definire un progetto per la sistemazione di Piazza Mostra risulta determinante una presa di posizione definitiva sulla proposta di interramento di Via Clesio avanzata da De Carlo e riproposta recentemente nel Piano Urbano della Mobilità. L’interramento del flusso viabilistico avrebbe sicuramente il vantaggio di eliminare radicalmente la presenza del traffico da Piazza Mostra Le criticità dal punto di vista viabilistico e urbanistico non verrebbero tuttavia risolte ma si sposterebbero alle estremità del tunnel in corrispondenza delle rampe di ingresso e di uscita. Nell’ipotesi di “interramento breve” (lunghezza circa 300m) proposta da De Carlo queste rampe verrebbero localizzate in prossimità di Torre Verde e dell’incrocio tra Via Clesio e Via San Marco. Nell’ipotesi di “interramento lungo” inserita nel P.U.M. (lunghezza circa 800m) verrebbero invece spostate in Via Romagnosi e Piazza Venezia. Le difficoltà legate alla realizzazione di queste soluzioni sono riassumibili nel costo dell’intervento (stimabile su base parametrica in almeno 10 milioni per l’interramento “breve” e in almeno 30 milioni per quello “lungo”), nelle difficoltà tecniche le-

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Variante “P.U.M.” lunghezza circa 800 m

diametro circa 6x8 m

Variante “De Carlo” lunghezza circa 300 m

diametro circa 6x8 m

Versione proposta lunghezza circa 20 m

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gate allo scavo in prossimità di monumenti sensibili come il Castello del Buonconsiglio o Torre dell’Aquila e nella pesante interferenza sul traffico durante la fase di cantiere, vista l’impossibilità di creare percorsi temporanei alternativi. La risoluzione al problema viabilistico dovrebbe essere perseguita su piani diversi. Da una parte il miglioramento del sistema della mobilità può essere ottenuto soltanto a scala urbana, studiando percorsi alternativi tra la collina di Trento e Trento nord, potenziando il sistema dei trasporti pubblici e perseguendo una politica di controllo e limitazione del traffico. Lo stesso interramento non avrebbe nessun effetto migliorativo sul sistema urbano del traffico: avrebbe soltanto lo scopo di eliminare gli effetti negativi prodotti dal flusso veicolare su una porzione localizzata della città, concentrando questi effetti all’ingresso e all’uscita del tunnel. A scala locale il problema del traffico di Via Clesio andrebbe invece inquadrato per quello che è: un problema di interferenza tra il flusso veicolare e il flusso di visitatori del Castello del Buonconsiglio. Da questo punto di vista si possono considerare due diverse soluzioni che permettono di risolvere la problematica separando i flussi su livelli diversi. La prima soluzione, che coincide con la proposta dell’interramento, prevede di lasciare l’accesso pedonale in superficie abbassando il flusso veicolare in tunnel. Una seconda soluzione, già proposta nella tesi di Maurizio Dallavalle, prevede invece di lasciare il traffico in superficie spostando l’accesso pedonale in interrato. Questa seconda soluzione appare di gran lunga più efficiente se consideriamo che per motivi logistici ed economici ha senso “interrare” il flusso meno consistente. Da una parte abbiamo un flusso veicolare di circa 1500 veicoli/ora che richiederebbe una sezione di scavo di almeno 8m per 3m per una lunghezza minima di 300m. Dall’altra abbiamo un flusso di circa 80 visitatori/ora che richiede una sezione di scavo di circa 3m per 3m per una lunghezza di circa 20m. Queste soluzioni si traducono in una notevole differenza di costi e di fattibilità realizzativa: basti pensare che la soluzione dell’accesso pedonale interrato costerebbe circa un decimo (circa un milione di euro) rispetto all’interramento stradale.

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Variante “P.U.M.” costo stimato circa € 30.000.000

Variante “De Carlo” costo stimato circa € 10.000.000

Versione proposta costo stimato circa € 300.000

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L’accesso pedonale interrato per il Castello del Buonconsiglio avrebbe anche il vantaggio di permettere la costruzione di un nuovo ingresso ipogeo direttamente in Piazza Mostra, aumentandone la funzionalità, la visibilità e la capacità di attivare l’uso della piazza. Inoltre permetterebbe di risolvere il problema dell’accessibilità al castello e delle barriere architettoniche (questione non risolvibile con l’interramento veicolare) attraverso l’installazione di un ascensore alla fine del percorso pedonale ipogeo. La realizzazione in Piazza Mostra di un nuovo atrio di accesso, dotato di servizi e biglietteria, permetterebbe di costituire un ideale punto di accesso e di connessione di un auspicabile «polo museale della storia» che riunisca il Museo Castello del Buonconsiglio, la Fondazione Museo Storico del Trentino e l’edificio dell’ex-Questura nella quale potrebbero trovare spazio le sale espositive di un museo archeologico, gli uffici e gli spazi amministrativi del polo museale e una biblioteca condivisa. L’aspetto più critico dell’accesso pedonale interrato, rispetto alla soluzione dell’interramento di Via Clesio, è rappresentato dalla permanenza del traffico veicolare in superficie. Per questo motivo questa strategia progettuale andrebbe accompagnata da politiche per la limitazione del traffico e l’incentivazione del trasporto pubblico. Tuttavia va considerato che il Castello, anche prima della presenza della strada carrabile, è sempre stato diviso dalla città da elementi di separazione come i terrapieni e i fossati. Rimuovere il vincolo della strada, immaginando uno spazio che lega senza soluzione di continuità la città al Castello, rischierebbe di snaturare il ruolo di Piazza Mostra, generando uno spazio di “connessione” che terminerebbe ai piedi della cinta muraria del Castello, a ridosso di un muro impenetrabile che non vuole stabilire, per sua natura, nessun tipo di connessione. Il passaggio automobilistico di fronte al Castello, al di là degli inevitabili effetti negativi che produce, va anche considerato dal punto di vista della visibilità del Castello da parte degli automobilisti: il passaggio in macchina non rappresenta infatti soltanto un riferimento consolidato della percezione urbana di ogni abitante di Trento ma anche una delle poche

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occasioni di visibilità direttamente dalla strada di un monumento. Una volta considerata la questione del traffico di Via Clesio, è necessario spostare l’attenzione sull’elemento di maggior disturbo di Piazza Mostra: l’esistenza del parcheggio di superficie. La presenza di automobili distribuite su tutta la superficie della Piazza, oltre ad impedire l’effettivo utilizzo dello spazio, rappresenta un notevole elemento di “inquinamento visivo”. La soluzione più naturale ed immediata per risolvere questo problema è rappresentata dalla costruzione di un parcheggio interrato che, a seconda del numero di piani, potrebbe anche avere una capienza molto consistente. Il dimensionamento di un’autorimessa interrata va però calibrato su scala urbana tenendo conto dei parcheggi presenti in zona e degli effetti che produrrebbe la presenza di un nuovo parcheggio in una zona così delicata, a ridosso del centro storico. L’attuale Piano Urbano della Mobilità (P.U.M.) sostiene la necessità di sfruttare a pieno le autorimesse esistenti al fine di ridurre gli stalli su strada a favore di piste ciclabili e aree pedonali. A pochi passi da Piazza Mostra è presente il Garage Autosilo Buonconsiglio, una struttura dotata di 480 posti che risulta in molti periodi dell’anno sottoutilizzata. Nella redazione di un progetto per la risistemazione di Piazza Mostra è quindi necessario prendere in considerazione la presenza di questo parcheggio multipiano, ipotizzandone un utilizzo più efficace e, sulla base di questo, procedere al dimensionamento del nuovo parcheggio. Per Piazza Mostra abbiamo ipotizzato la realizzazione di un parcheggio interrato con una capienza di 70 posti, in grado di sostituire gli attuali posti auto, senza tuttavia aumentare l’offerta di posteggi per non attirare nella zona ulteriore traffico. Tuttavia un dimensionamento effettivo andrà basato su un’analisi più approfondita del sistema urbano di sosta e mobilità. Per quanto riguarda l’accesso al parcheggio, visto che rappresenta sempre un elemento molto critico, si è scelto di sdoppiare la rampa di ingresso e di uscita poiché in questo modo si possono dimezzare le loro dimensioni. Vi sono molti esempi di piazze monumentali, come ad esempio Piazza Vittorio a Torino, in cui questa soluzione ha permesso di rendere quasi impercettibile la presenza di un parcheggio interrato. Il parcheggio, per evitare problemi di interferenza con il traffico, sarebbe

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accessibile solamente per chi proviene da nord e, allo stesso modo, l’uscita avverrebbe nella corsia di Via Clesio andando verso sud. Per chi proviene da sud verso nord andrebbe invece favorito l’utilizzo del Garage Autosilo Buonconsiglio. Tuttavia la creazione di una rotatoria all’incrocio di Torre Verde potrebbe facilitare l’inversione di marcia e l’accesso al parcheggio anche per chi proviene da sud.

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Progetto

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Nelle pagine precedenti: Armani Basilio, Antica residenza dei principi di Trento e piazza della Mostra, litografia, da Vedute del Trentino, tipografia Kuhn, Monaco, 1845/1848, ©Biblioteca Comunale di Trento, Archivio Storico.

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Relazione al progetto per Piazza della Mostra

Il progetto per Piazza della Mostra che viene di seguito illustrato, si pone nell’ottica di proporre una possibile risposta alle molteplici problematiche e aspettative di questo luogo. Esso si basa principalmente su due interventi: in primo luogo un nuovo accesso ipogeo al Castello del Buonconsiglio che permetta di aggirare il flusso viabilistico collegando la Piazza; secondariamente un parcheggio interrato di pertinenza che liberi la superficie soprastante e consenta di recuperare integralmente la funzione di piazza pubblica che fino ad ora le è stata negata. Prendendo come riferimento il bastione in corrispondenza della porta di ingresso principale al Castello, già occupato dall’attuale biglietteria del museo, si è previsto di collocare la nuova hall d’ingresso in posizione mediana rispetto allo sviluppo longitudinale della piazza, raggiungibile attraverso un piano inclinato che dalla quota di ingresso dell’edifiocio ex-Questura scende di 3,70 metri sotto il livello attuale del selciato. Da qui, un passaggio al di sotto del piano carrabile, permette di superare agevolmente la sede stradale e il dislivello fra il marciapiede e l’attuale punto di accesso al Castello, raggiungendo il nucleo scale e ascensore alloggiato nella cavità del bastione stesso. La hall, volume semplice e compatto, emerge lievemente al di sopra della Piazza denunciando la sua funzione di ingresso attraverso un taglio vetrato che permette alla luce di filtrare all’interno nelle ore diurne, mentre di notte illumina con luce indiretta l’asse pedonale che dalla Scuola elementare Raffaello Sanzio porta all’edificio dell’ex-Questura. Dimensionata sulla base dei dati di affluenza raccolti e delle reali necessità espresse nei rapporti pubblicati dalla Provincia e dal Castello del Buonconsiglio la hall contiene unicamente le funzioni ricettive necessarie: la biglietteria, un punto informativo turistico, un piccolo bookshop e spazi di servizio. La facciata vetrata, posta in posizione arretrata e rivolta a sud, mira a creare un ingresso protetto, una sorta di patio, spazio filtro fra il piano inclinato esterno della Piazza e i nuovi spazi ipogei del Castello.


La volumetria limitata dell’intervento e la possibilità di utilizzare fonti di energia rinnovabili per la climatizzazione degli ambienti interni, in particolare lo sfruttamento dell’energia geotermica, permettono di rendere sostenibile la realizzazione del manufatto, contribuendo a ridurre la pressione ambientale e la generazione di gas serra, oltre che risultare economicamente vantaggiosi. Il parcheggio, dimensionato sulla base dei posti auto presenti attualmente sulla Piazza, si dispone su un unico livello, leggermente inclinato per seguire il profilo attuale del terreno caratterizzato da un dislivello di circa 1,80 m. La sua pertinenza riguarda i residenti e i dipendenti del Castello, permettendo così di porre fine all’impropria occupazione della Fossa dei Martiri, oltre che della Piazza stessa, da parte delle autovetture. Gli accessi carrabili possono avvenire unicamente dalla carreggiata prospiciente la Piazza, scelta fatta sulla base della volontà espressa nell’attuale P.U.M. di realizzare due rotatorie, una in Piazza Venezia ed una in corrispondenza dell’incrocio di Torre Verde. Gli accessi pedonali sono invece distribuiti fra l’ingresso ipogeo al Castello, in corrispondenza del patio, e il nuovo volume facente parte del complesso dell’ex-Questura, ottenuto dalla demolizione e ricostruzione dell’unica porzione non posta sotto tutela del complesso originario, situata a nord-ovest. Lo spazio della Piazza così riguadagnato è stato suddiviso per fasce longitudinali, definendo l’asse di percorrenza che congiunge la Scuola R. Sanzio e preservando una fascia più generosa in corrispondenza del fronte edificato pensato come zona di sosta per il pubblico e spazio all’aperto destinato agli esercizi commerciali che qui insistono, garantendo comunque l’accesso carrabile in caso di necessità. La pavimentazione, interamente pensata in materiale lapideo, a seconda della fascia longitudinale di appartenenza, si differenzia per pezzatura e tipologia di posa in opera e trova nella disposizione apparentemente casuale delle sedute un secondo ordine intrinseco, dato dalle fasce trasversali su cui tali sedute insistono. Dimensionate e disposte in modo tale da celare le prese d’areazione del

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sottostante parcheggio, le sedute fungono anche da riferimento per il sistema di illuminazione puntuale che insiste lungo tutto l’asse pedonale. Differentemente dalla sistemazione a verde attuale, si è scelto di eliminare le piantumazioni esistenti per liberare completamente la visuale, permettendo così di ammirare nella sua interezza il Castello e la Piazza stessa. Per risolvere, a livello percettivo, il problema dell’elevato traffico lungo Via Bernardo Clesio si è deciso di elevare la superficie erbosa fino ad un metro al di sopra del piano del marciapiede, creando un terrapieno e limitando sia la vista che la percezione uditiva del passaggio delle autovetture. Per quanto riguarda l’edificio esistente dell’ex-Questura si è preso come riferimento il progetto redatto dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Archeologici, apportando alcune lievi modifiche al sistema degli accessi, dei flussi di attraversamento e delle funzioni che l’isolato potrebbe accogliere. Limitando gli spazi espositivi alle sale delle scuderie si è ripristinato l’ingresso originale, in corrispondenza della porta principale, mentre gli spazi rimanenti, riservati ad uffici nel piano più alto, archivi e biblioteca negli altri piani, sono raggiungibili dal piano terra tramite un passaggio pubblico che attraversa il nucleo storico dell’edificio fino al piccolo giardino che si affaccia su via Bernardo Clesio, punto di accesso al sistema di collegamento. Infine un piccolo caffè, unico intervento architettonico riguardante il complesso dell’ex-Questura, nel cui spazio vetrato culmina il lungo asse pedonale che attraversa la Piazza. Nel suo complesso il progetto tenta quindi di coniugare funzionalità ed economicità, analisi strategica e genius loci, ponendosi come principale obiettivo quello di conferire a Piazza della Mostra quell’accezione di spazio pubblico che ha perso da molto tempo agendo sull’esistente tramite interventi limitati, puntuali, sostenibili, che mirano a valorizzare l’esistente evitando di intaccare i delicati equilibri della città storica.

Nelle pagina a fronte: Schema funzionale del progetto. legenda: 1) Parcheggio 2) Hall d’ingresso (biglietteria, bookshop, servizi) 3) Nucleo di risalita nel bastione 4) Nucleo di risalita ex-Questura 5) Magazzino 6) Nucleo di risalita di servizio 7) Sistemazione a verde 8) Caffetteria 9) Cortile interno 10) Sale espositive 11) Hall d’ingresso 12) Nucleo distributivo exQuestura 13) Sistemazione ex-Questura (archivi, biblioteca, uffici)

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Stima sommaria dei costi

5.100.000,00

Approntamento cantiere e viabilità provvisoria: recinzioni, viabilità provvisoria di accesso al cantiere, segnaletica, allacciamenti alle reti dei servizi pubblici, impianti di cantiere ed apprestamenti quali spogliatoi, w.c. ed uffici di cantiere, compresi oneri per la sicurezza.

25.000,00

Demolizioni, scavi e movimento terra: demolizione di fabbricati esistenti, compresi gli oneri per lo sgombero, la raccolta differenziata del materiale di risulta, il carico, il trasporto e lo scarico del materiale di risulta presso discariche autorizzate e/o impianti di recupero, scavo di sbancamento, previa formazione di berlinesi a sostegno del fronte scavo e delle strutture confinanti, trasporto di parte del materiale di risulta in discariche autorizzate e parte in zone di stoccaggio per il successivo recupero e riutilizzo, scarifica, reinterro e rinverdimento di parte della piazza, compresi oneri per la sicurezza.

1.650.000,00

Edilizia strutturale: opere di fondazione in c.a., muratura di elevazione e pilastri in c.a. o c.a.p., travi e solette in c.a.p., costituzione delle rampe del parcheggio e della rampa di accesso alla nuova biglietteria del museo, compresi oneri per la sicurezza.

1.950.000,00

Opere edili complementari: creazione di pareti divisorie, scale ed ascensori, pavimentazione parcheggio, controsoffitti, serramenti in vetro, rivestimento pavimenti interni in pietra, compresi oneri per la sicurezza.

950.000,00

Impianti: elettrico, riscaldamento, ventilazione, antincendio, illuminazione, idraulico e fognario, compresi oneri per la sicurezza.

525.000,00

315.000,00

15.000,00

60.000,00

Parcheggio - Nuova biglietteria - Edificio ex-Questura

Opere edili e impianti:

Tunnel e collegamento al Castello Approntamento cantiere e viabilità provvisoria: occupazione di suolo pubblico, recinzioni, viabilità provvisoria di accesso al cantiere, segnaletica, allacciamenti alle reti dei servizi pubblici, impianti ed apprestamenti, compresi oneri per la sicurezza. Scavi e movimento terra: scavo di sbancamento, previa formazione di berlinesi a sostegno del

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fronte scavo e delle strutture confinanti, trasporto del materiale di risulta in parte in discariche autorizzate ed in parte in zone di stoccaggio per il successivo recupero e riutilizzo, compresi oneri per la sicurezza. Costruzione: fondazioni e sottofondazioni alla torre del castello, costruzione delle strutture portanti della galleria in c.a. o c.a.p., muratura fossa ascensore e scale, fornitura e posa in opera dell’impermeabilizzazione in guaine sintetiche, impianto di illuminazione, reinterro e ricostituzione della sede stradale soprastante, sistemazione sottoservizi, formazione ascensore e rivestimento scale, compresi oneri per la sicurezza. Piazza della Mostra Opere di valorizzazione ambientale: reinterro e rinverdimento di parte della piazza, costituzione della nuova pavimentazione in lastre di pietra, posa in opera di arredi urbani quali sedute, tavoli, lampioni, bidoni, etc., compresi oneri per la sicurezza. Totale importo lavori imprevisti 5% (totale lavori) opere d’arte 0.5% (totale lavori) spese tecniche e oneri previdenziali 10% (totale lavori + imprevisti) oneri fiscali 21% (spese tecniche + opere d’arte) oneri fiscali 10% (totale lavori + imprevisti) Costo totale dell’intervento

240.000,00

1.050.000,00

1.050.000,00

6.465.000,00

323.250,00

32.325,00

678.825,00

149.341,50

678.825,00

8.327.566,50

Nelle pagine seguenti: Planimetria del piano interrato, scala 1:750. Planimetria della piazza scala 1:750.

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In queste pagine: Sezioni longitudinali e trasversali del progetto, scala 1:500.

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In queste pagine: 9

Dettagli costruttivi, scala 1:20.

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dettaglio a: Aggancio tra il terrapieno e il marciapiede su via B. Clesio. legenda: 1) Magrone in cls (sp. 50mm) 2) Fondazione continua in c.a. 3) Impermeabilizzazione in guaina bituminosa doppio strato 4) Muratura in c.a., finitura faccia a vista (sp. 250mm) 5) Tappeto di usura in asfalto (sp. 20mm) 6) Massetto armato (sp. ≤ 100mm) con rete metallica (ø 8mm, 200x200mm) 7) Strato di livellamento (sp. 50mm) 8) Lampada ad incasso per esterni 9) Manto erboso 10) Terriccio universale (sp. 300mm) 11) Vespaio a pezzatura decrescente verso l’alto 12) Terreno di fondazione

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dettaglio b: Sistema di sedute su Piazza della Mostra. legenda: 1) Pilastro in c.a. (250x500mm) 2) Solaio in c.a. (sp. 300mm) 3) Presa di areazione (3600x800mm) 4) Grata metallica in acciaio verniciato 5) Lampada ad incasso per esterni 6) Seduta in c.a. ďŹ nitura faccia a vista 7) Canale di raccolta delle acque 8) Pavimentazione in pietra locale (sp. 40mm) 9) Massetto armato (sp. ≤ 100mm) con rete metallica (ø 8mm, 200x200mm) 10) Massetto in cls alleggerito (sp. 50mm) 11) Impermeabilizzazione in guaina bituminosa a doppio strato 12) Lampada al neon

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In queste pagine ed in quelle seguenti: Viste del progetto.

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Conclusioni

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Conclusioni

Alla luce delle analisi e ipotesi presentate in questa pubblicazione, l’auspicio è che le amministrazioni competenti colgano l’occasione per indire un concorso di progettazione. Una volta messe a fuoco le esigenze e le aspettative si potrebbero redarre richieste chiare rivolte ai progettisti, in modo che possano mettere in gioco nel miglior modo possibile la loro professionalità e competenza. Solo attraverso un serio confronto fra diverse proposte progettuali sarà così possibile ottenere la migliore soluzione. Il concorso è l’unico strumento possibile per realizzare progetti di qualità che sappiano rispondere in maniera adeguata alle diverse esigenze funzionali, rappresentative, economiche che ogni singola situazione richiede. Così come crediamo nello strumento del concorso, siamo altresì convinti che questo debba essere preceduto da un attento esame da parte della committenza pubblica o privata. E il lavoro di Campomarzio su Piazza della Mostra vuole essere proprio questo. Uno stimolo ad affrontare il tema preventivamente, per capire le reali esigenze, potenzialità nonchè disponibilità economico-finanziarie. Allo stesso modo questa pubblicazione vuole essere un invito a riprendere in mano il discorso sugli spazi pubblici della nostra città e sul loro futuro, a giudicare lo stato della realtà urbana contemporanea, che oltre alle evidenti criticità nasconde celate e forse insospettabili potenzialità. In questo periodo di crisi economica e sociale, affrontare con slancio il tema dello spazio pubblico non è un aspetto secondario quanto una questione prioritaria, profondamente politica. E’ anche nello spazio pubblico che si misura l’indice di qualità e civiltà della moderna società. Progettare spazi pubblici di qualità, come amministratori e come architetti, dovrebbe essere in primis un dovere civico oltre che professionale. Campomarzio infine intende ringraziare tutti coloro che hanno partecipato alla realizzazione di questo lavoro. Progettisti giovani e meno giovani, amministratori, direttori di musei, semplici cittadini che hanno

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partecipato alla discussione, alla riflessione e infine alla progettazione. In questo periodo di profonda crisi della politica essere cittadini significa recuperare il valore della “cosa pubblica”, occuparsi e prendersi cura della città come massima espressione della re(s)pubblica. Ripristinare una discussione intorno allo spazio pubblico è necessario per la città e per i cittadini che la abitano. Piazza della Mostra può assumere quindi un valore altamente simbolico, trasformandosi da spazio negato alla città a bene comune a servizio della comunità.

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campomarzio

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Pietro V. Ambrosini • Michele Andreatta • Silvia Balzan • Andrea Bombasaro • Alessandro Busana • Daniele Cappelletti • Karol K. Czarzasty • Enrico Lunelli • Enrica Mauro • Michele Moresco • Ernesto Patti • Teresa Pedretti • Massimo Peota • Isacco Rama • Stefano Rubini • Roberto Sega • Andrea Simon • Marco Scudellari • Enrico Varagnolo • Valeria Zamboni • Federico Zappini

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