Tu in DAUNIOS novembre 2014

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Bollettino di informazione e cultura a diffusione interna della Fondazione Archeologica Canosina Reg. Tribunale Trani n째 12/2009 NOVEMBRE 2014 | ANNO 4 NUMERO 19


anno 4 numero 19

LA NECROPOLI DI PIETRACADUTA

CONSIDERAZIONI STORIA SUL CAMPO SCUOLA DELL'AMBIENTE ...

pagina 2~3

pagina 4~5~6

pagina 7

La Redazione

di P. Terribile

IL PITTORE DI VARRESE...

LO SCHIAFFO DI MATERA

IL SAGGIO

pagina 12~13

pagina 13

di D. Di Nunno

di F. Specchio

di A.M. Fiore

LA CUPOLA MANCANTE DEL MAUSOLEO...

UN CLASSICO PILLOLE DI DEL TEATRO GRECO LEGALITÀ IN SCENA A CANOSA

M. Silvestri

pagina 8~9~10~11

pagina 14~15

NOVEMBRE 2014 | anno 4 numero 19 Periodico trimestrale a cura della Fondazione Archeologica Canosina Via J. F. Kennedy, 18 - Tel. 0883 664716 Reg. n. 12/2009 Sito internet: www.canusium.it E-mail: tuindaunios@tiscali.it Direttore responsabile: Anna Maria Fiore Coordinatore: Angelo Antonio Capacchione Gruppo redazionale: Sabino Silvestri – Luigi Di Gioia – Francesco Specchio – Maria Silvestri – Dario Di Nunno Anna Luisa Casafina – Mariangela Intraversato Cinzia Sinesi – Maria Nunzia Labarbuta Progetto grafico: Grafiche FABA srl Foto copertina: Archimeter srl Foto su concessione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e del Turismo - Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia Stampa: Grafiche FABA In copertina: Foto aerea dell'area di Pietra Caduta

È vietata la riproduzione dei testi, delle illustrazioni e delle notizie senza la citazione della fonte, o senza la preventiva autorizzazione della F.A.C. o degli autori.

GALLERIA DI PERSONAGGI CANOSINI 2

pagina 16

pagina 17

P. Di Nunno

di D. Di Nunno

A. Capacchione

ARCHEOINFORMAZIONE

L'ARCHEOLOGIA 2.0 A CANOSA

NON TUTTI SANNO CHE...

pagina 18

pagina 19

pagina 20

di A. Capacchione

di F. Specchio

La Redazione

La F.A.C. a Paestum La F.A.C e Canosa di Puglia sempre in prima linea anche alla BMTA 2014

Mariangela Intraversato

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i è concluso da pochi giorni uno degli eventi mondiali più rilevanti per la Cultura ed il Turismo Archeologico a cui anche la Fondazione Archeologica Canosina ha riconfermato la sua immancabile presenza. La XVII edizione della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, che si è svolta nell’area archeologica del sito Unesco di Paestum nei giorni 30-31 Ottobre e 1-2 Novembre, ha visto la partecipazione di oltre 10.000 visitatori. Tre monumentali strutture semisferiche e geodetiche, a pochi metri dal Tempio di Cerere, hanno ospitato il Salone espositivo con 130 espositori di cui 25 Paesi Esteri e l’Azerbaigian Ospite Ufficiale. Un ricchissimo programma conferenze ha annoverato 50 appuntamenti con 300 relatori tra cui il Segretario Generale UNWTO Organizzazione Mondiale del Turismo Taleb Rifai, il Segretario Generale del MiBACT Antonia Pasqua Buzzi, il Presidente del Consiglio Superiore per i Beni Culturali e Paesaggistici Giuliano Volpe, il Direttore Generale dell’ ICCROM Stefano De Caro. Per la sezione Incontri con i Protagonisti , nella Basilica Paleocristiana, sono intervenuti Silvia Calandrelli Direttore Rai Cultura, Christian Greco Direttore Fondazione Museo Antichità Egizie

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di Torino, Franck Goddio Archeologo Subacqueo e fondatore dell’IEASM, Laurent Haumesser conservatore del Dipartimento di Antichità Greche, Etrusche e Romane del Museo del Louvre ed i divulgatori televisivi Mario Tozzi, Roberto Giacobbo, Sveva Sagramola, Syusy Blady e Alberto Angela il quale, nel corso della visita agli stand, si è interessato alle bellezze archeologiche di Canosa. La vetrina espositiva di Canosa di Puglia era lo stand del GAL Murgia Più (gruppo di azione locale) di cui fanno parte anche i comuni di Minervino Murge, Spinazzola, Poggiorsini, Ruvo di Puglia e Gravina in Puglia. In rappresentanza di Canosa di Puglia la F.A.C. ha inviato il Segretario Generale e laureanda in Beni Archeologici Mariangela Intraversato e Carlo Samele i quali hanno magistralmente trasmesso ai visitatori il loro impegno e la loro passione per il Patrimonio Archeologico di Canosa, senza tralasciare l’importantissimo settore dell’Enogastronomia rappresentato per l’occasione dai vini locali, dall’olio extravergine d’oliva e dai taralli di grano arso. Giornata di spicco è stato l’1 Novembre in cui il Gruppo Teatrale Pro Loco Canosa diretto da Nunzio Sorrenti ha presentato alcuni brani tratti da due rappresentazioni teatrali, realizzate in estate, quali “il Lamento di Iride” scritta dal prof.Orfeo e “Niobe” tratto dalle Metamorfosi di Ovidio e adattate da Dario Di Nunno. Dobbiamo sentirci onorati e fieri per aver partecipato anche quest’anno ad un Appuntamento che lo stesso Alberto Angela ha definito : « straordinario, perché permette agli esperti di incontrare altri esperti e questo fa partire delle nuove idee, quindi la Borsa Mediterranea si candida ad essere luogo in cui far partire nuovi progetti ».

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Maria Silvestri

La Necropoli di Pietra Caduta 1o Campo Scuola di Archeologia

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anosa, celebre per la vastità e la prosperità delle sue necropoli, presenta un tessuto urbano caratterizzato dall'importante presenza di numerosi ipogei di epoca daunia. Proprio a causa di questa sua peculiarità, fin dall'epoca dei Borbone, è stata oggetto di numerosi scavi clandestini e saccheggi che hanno privato la città della sua stessa ricchezza. Al centro di queste attività illecite è stata anche, per lungo tempo, la necropoli che si sviluppa nell'area di Pietra Caduta. Questa, databile al IV sec. a.C., è situata nella zona meridionale dell'abitato, in un'area archeologicamente rilevante per la presenza, oltre che di numerose strutture funerarie rinvenute durante le attività edilizie, di evidenze riferibili all'Acquedotto di Erode Attico e per il passaggio del Tratturo Regio. Essendo situata in una zona periferica rispetto la città moderna, inoltre, non ha risentito delle intense attività di edificazione. Si tratta, dunque, di un unicum per Canosa in quanto è, allo stato attuale delle ricerche, l'unica area funeraria non inglobata nel tessuto urbano e quindi indagabile sistematicamente ed in maniera completa al fine di acquisire dati fondamentali per l'arricchimento delle conoscenze sulla società daunia.

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anno 4 numero 19

Il sito presenta una particolare geomorfologia caratterizzata dalla presenza di roccia calcarenitica affiorante che ha causato, agli inizi del '900, una massiccia attività di estrazione trasformando l'area in una cava a cielo aperto. Queste operazioni intensive di scavo hanno destrutturato la necropoli preesistente lasciando visibili sulle pareti della cava stessa le sezioni delle tombe distrutte. In virtù dell'unicità e della grande importanza del sito è nato il progetto del '1° Campo Scuola Archeologico Pietra Caduta' -ideato dalla Fondazione Archeologica Canosina, con la direzione della Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e con la determinante partecipazione della Farmalabor, di Confindustria Bari Bat e della BCC di Canosache ha impegnato un gruppo di giovani appassionati nelle attività di indagine, recupero e valorizzazione della necropoli. Con grande entusiasmo, i partecipanti hanno contribuito in maniera significativa alla bonifica dell'area, ormai abbandonata all'incuria, allo scavo e alla documentazione delle tombe, nonché al recupero ed alla conservazione dei reperti rinvenuti. Durante le attività sono state individuate circa ventisette tombe a grotticella e due a fossa disposte lungo il limite occidentale della cava su filari regolari, sottolineando la sistematicità e la programmaticità che vi è stata in antico nella realizzazione della necropoli. Per ogni struttura funeraria indagata è stata redatta un'apposita scheda in cui gli operatori hanno provveduto a descrivere dettagliatamente le tombe secondo criteri tecnico-scientifici. Fondamentale è stata la realizzazione di una precisa e completa documentazione grafica e fotografica sia delle singole tombe che di tutto il sito nel suo complesso. Oltre che di metodi tradizionali, come la trilaterazione, ci si è avvalsi, infatti, anche dell'uso della stazione totale e dell'aerofotogrammetria che hanno favorito una visione particolareggiata e globale del sito. Le tombe, nonostante risultassero già depredate, hanno restituito notevoli elementi di corredo sia fittili che metallici. Tra i reperti ceramici si distinguono principalmente askoi acromi, coppe e piatti a vernice nera, o con decorazione sovraddipinta o ancora con decorazione geometrica, pesetti da telaio e una antefissa con la rappresentazione di una gorgone. Non meno importati i reperti metallici, rappresentati soprattutto da punte di giavellotto, fibule a sanguisuga o arco semplice, e ganci di cinturone a forma di palmetta. Di particolare importanza è stato anche il recupero dei reperti scheletrici. Le tombe, infatti, hanno conservato, nonostante le manomissioni postdeposizionali, i resti degli inumati. Questi

sono di estrema importanza poiché, grazie ad un attento studio antropologico, possono restituire una grande quantità di informazioni circa l'alimentazione, le malattie, le attività che hanno caratterizzato la società daunia. Alla luce di questi rinvenimenti, le attività del campo scuola non si sono, quindi, limitate allo scavo ma sono proseguite in laboratorio dove i partecipanti hanno provveduto alla pulitura dei reperti, alla siglatura degli stessi e, quando possibile, al loro restauro. La grande quantità di informazioni acquisita durante il campo scuola ha, quindi, confermato l'importanza di un sito per anni dimenticato e abbandonato ed ha sottolineato la grande importanza che ha l'effettuare indagini sistematiche che valorizzino appieno le aree peculiari della città e che arricchiscano la conoscenza del nostro territorio e delle nostre origini.

Alcuni dei reperti ritrovati nelle grotticelle

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Antonio Capacchione

pietra caduta: un'esperienza entusiasmante

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l campo scuola di Pietra Caduta è sicuramente da annoverare tra gli scavi più belli fatti. È stato bello incontrare persone provenienti da posti diversi, con abitudini diverse ma tutte pronte a mettersi in gioco. Sono state strette nuove amicizie, saldati vecchi rapporti, ma, soprattutto, mi è stata offerta la possibilità di imparare molte più cose. Lodevole la passione e la pazienza della dott.ssa Maria Silvestri, che ci ha accompagnato quasi per mano alla scoperta dei vari aspetti della ricerca sul campo, dallo scavo alla registrazione dei dati, dotandoci degli strumenti per poter comprendere nel profondo la materia; a lei va tutto il mio ringraziamento. Un ringraziamento anche al dott. Giovanni Minerva, per i consigli sul campo e le risate durante le pause. Non mi aspettavo che il Campo Scuola sarebbe stato così bello e ben riuscito e sicuramente il merito va a tutti coloro i quali vi hanno partecipato, a chi l’ha voluto fortemente, alla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia e alla Fondazione Archeologica Canosina, che hanno fatto in modo che si realizzasse. Maria Nunzia Labarbuta - Canosa di Puglia

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onostante la mia poca esperienza sul campo ho avuto modo di poter realmente toccare con mano e vivere certamente un'esperienza fuori dal comune. La mia laurea in diagnostica dei beni culturali senza dubbio mi ha fornito una profonda conoscenza di quello che sarebbe stato il mio interesse, ma potermi "sporcare le mani" e mettermi in gioco attraverso questo scavo mi ha fatto sentire senza dubbio una privilegiata, attraverso lo sforzo e il lavoro che certamente non sono mancati in poco meno di venti giorni di scavo. Posso dire, senza paura di essere smentita, che gran parte del merito della buona riuscita di questo scavo è in primis della fondazione archeologica canosina tutta, che ci ha dato modo di vivere questa esperienza e ci ha fatto sentire parte integrante di essa, ma il mio grazie particolare va alla dott.ssa Maria Silvestri, la quale grazie alla sua professionalità ci ha guidati in questa grande esperienza; certamente è una questione di qualità e in questo scavo ne ho potuto assaporare tanta. Mi auguro, da canosina che vuol mettere le proprie radici a Canosa, che ciascun canosino possa vivere la stessa esperienza e avere la stessa fortuna che ho avuto io, poiché solo potendo conoscere e apprezza re le proprie radici è possibile raccogliere frutti migliori. Marianna Volpe - Canosa di Puglia

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'esperienza vissuta nel campo scuola di Canosa di Puglia è stata emozionante, l'organizzazione eccellente, grazie al personale della Soprintendenza Archeologica e a quello della Fondazione Archeologica Canosina, ha previsto oltre agli scavi escursioni archeologiche per noi studenti, volte a far

conoscere il territorio e la sua storia. Sul cantiere siamo stati seguiti da archeologi qualificati che hanno saputo illustrare e trasmettere con passione i valori del proprio lavoro. Tutto questo ha fatto in modo che creassi dei legami affettivi nei confronti di questa città. Miulli Francesco da Cellammare (BA)

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'esperienza del campo Scuola di Pietra Caduta è stata per me un vero e proprio traguardo. Sono riuscita finalmente a realizzare un sogno: scavare nella mia città, che con la sua storia mi ha dapprima indirizzato verso gli studi di archeologia, e grazie a questa esperienza mi ha permesso di toccare con mano le bellezze nascoste nel suo sottosuolo. Il Campo Scuola è stato gestito in maniera ottimale dalla Fondazione Archeologica Canosina, e dalla Soprintendenza Archeologica, dando modo di approfondire, grazie a Maria Silvestri ed ai suoi collaboratori, tutte le attività che si svolgono in uno scavo: dalla pulitura dell'area, allo scavo vero e proprio, al rilievo e alla documentazione sia fotografica sia relativa alle US, fino alla pulizia dei frammenti ritrovati. Il campo non ha solo permesso di indagare la storia della mia città, ma ha creato un rapporto ulteriore sia con il territorio, sia con il gruppo di persone con cui ho avuto il piacere di lavorare, condividendo questa meravigliosa esperienza e passione per l'archeologia. Scavare per la prima volta in una necropoli ha permesso di rafforzare la mia determinazione nel proseguimento degli studi magistrali in ambito archeologico, e soprattutto di guardare ad un altro aspetto di questo lavoro, spesso sottovalutato: questo scavo archeologico ci ha permesso di dare una seconda possibilità di "vita" a ciò che per anni è stato dimenticato sotto metri e metri di terra, tirare fuori dalle tenebre del passato qualcosa che ha caratterizzato profondamente la nostra città, rendendolo nuovamente parte della storia, rendendolo nuovamente "vivo" e fruibile per i cittadini e per i turisti che verranno. Insomma un'esperienza che spero di potere ripetere presto! Vania Sabrina da Cologno Monzese (MI)

Fasi del restauro

Fasi del restauro

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pietra caduta: un'esperienza entusiasmante

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'aver partecipato al 1° Campo scuola di Archeologia "PIETRA CADUTA" presso la città di Canosa di Puglia mi ha dato la possibilità di vivere una bellissima esperienza non solo in campo accademico ma anche professionale. Noi ragazzi siamo stati affiancati da persone competenti,disponibili e pazienti,senza dimenticare tutti coloro che venivano a darci una mano anche solo per andare a svuotare una carriola di terra!!!! Vorrei ringraziare tutti i canosini che ho avuto il piacere di conoscere :dai miei compagni di scavo ai membri della Fondazione Archeologica Canosina per aver permesso a chi,come me,pur non essendo del luogo,di sentirmi parte di un gruppo di persone gentili e simpatiche,anche se solo per tre settimane. Spero di poter ripetere anche in futuro questa esperienza e di tornare ancora a scavare a Canosa. Intanto conservo i ricordi di tutti i bei momenti passati insieme agli altri durante lo scavo!

archeologici; una vera e propria field school utilissima sia per gli studenti di Archeologia, sia per i neofiti che vogliano avvicinarsi maggiormente a questa affascinante attività. Gaetano Campanile - Minervino Murge °°°

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a prima edizione del campo scuola di Pietra Caduta è stata davvero una bellissima esperienza. Tanti i fattori che hanno contribuito al buon esito: in primis l'armonia che si è costituita nel gruppo di scavo, che aveva lo sprone giusto per andare avanti ogni giorno, nonostante il tempo e i ritmi di lavoro, ma comunque grande appagamento era dato dalla felicità per ogni continua ed entusiasmante scoperta. Bellissime anche le uscite e le visite guidate ai siti archeologici e monumenti di Canosa di Puglia. Io, con la mia grande passione per la fotografia archeologica, ho avuto modo di approfondire e mettere in pratica le mie conoscenze direttamente sul campo e mi posso ritenere pienamente soddisfatta, anche grazie alle professionalità che ci dirigevano giorno dopo giorno. Spero che la seconda edizione del Campo Scuola si organizzi al più presto perchè sarò felice di prendervi nuovamente parte. Mariangela Intraversato - Canosa di Puglia

Floriana Vagali - Lizzano (TA) °°° l campo scuola di Pietra Caduta è stato per me la prima esperienza di scavo archeologico. Provenendo da studi universitari in Storia ed avendo sempre nutrito un forte interesse per il mondo dell’archeologia, non mi sono fatto sfuggire l’opportunità di partecipare a questo importante scavo su un sito di epoca dauna, peraltro a pochi chilometri dal mio paese, Minervino Murge. Il lavoro durante le tre settimane di scavo è stato duro, anche a causa del caldo estivo. La fatica però era alleviata dalla compagnia degli altri ragazzi e ragazze partecipanti al campo, tra cui si era instaurato subito un clima di allegria e socialità. I due istruttori, la dott.ssa Silvestri e il dott. Minerva, ci hanno guidati passo a passo nelle varie fasi dello scavo, dimostrandosi estremamente disponibili nel fornirci consigli e chiarimenti, aiutando con professionalità sia i ragazzi più esperti sia quelli, come me, alle prime armi. Il duro lavoro di scavo ha dato sin da subito i suoi frutti, ricordo con particolare emozione il ritrovamento nelle tombe e nei dromos di reperti di notevole interesse e bellezza artistica, tra cui una “antefissa”con immagine di gorgone di probabile origine greca. In sole tre settimane ho appreso i rudimenti del mestiere dell’archeologo: dal corretto modo di utilizzo della trowel al riconoscimento dei vari tipi di reperti in ceramica, dal modo più efficiente e “meno faticoso” di utilizzare il piccone alle tecniche di rappresentazione grafica dei ritrovamenti. Spero vivamente che l’edizione 2014 dello scavo archeologico di Pietra Caduta sia stata soltanto la prima di una lunga serie di campi scuola

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segue da pag. 5

Fasi di scavo e di rilievo

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STORIA DELL’AMBIENTE E DEL CLIMA NEL MONDO GRECO E LATINO Pasquale Terribile

Questa rubrica vuole raccontare testimonianze ed eventi storicamente avvenuti nel corso dei secoli, e precisamente dal XV a.C al I d.C., tutte le osservazioni fatte dai contemporanei dell’epoca, per il carattere eccezionale di alluvioni, distruzioni e l’avverso clima, che poteva interferire sulle operazioni militari, tuttavia se pur dettagliate esse non permettono un riscontro oggettivo e quantitativo utilizzabile per un tentativo di classificazione delle variazioni del tempo. Fondamentali però rimangono tali osservazioni climatiche per lo sviluppo del concetto, basilare nel pensiero mitico antico, che pone in rapporto la diffusione dei morbi epidemici con l’insorgere di determinate condizioni climatico-ambientali.

tenuta defluì per di qua verso il mare e presto ogni luogo ritornò rapidamente alla situazione precedente. Fu di aiuto ai colpiti dall’alluvione anche il fatto che essa si fosse verificata di giorno (i più infatti, fecero in tempo ad uscire dalle case per raggiungere le zone più elevate della città) ed inoltre che le case non fossero costruite in mattoni ma in pietra, e per questa ragione coloro che si erano rifugiati sui tetti si salvarono con sicurezza. Tuttavia, conclusesi l’inondazione, si contavano più di 500 vittime, alcune case erano crollate completamente, altre erano state seriamente danneggiate. Questo fu il pericolo in cui incorse Rodi in seguito a questo avvenimento. Siamo in presenza della più ampia e dettagliata descrizione di alluvione della letteratura greca. Essa colpì Rodi in modo tanto pesante che fu definita con il termine utilizzato per indicare anche il diluvio universale di Deucalione.

NUBIFRAGIO AVVENUTO NELLA PRIMAVERA DEL 316 a.C. A RODI A quest’epoca si verificò a Rodi la terza inondazione che fece molte vittime tra gli abitanti. La prima inondazione ne aveva fatte poche, poiché la città era stata fondata da poco e per questa ragione offriva molti spazi liberi, la seconda invece fu più grande e provocò un maggior numero di vittime, l’ultima capitò all’inizio della primavera con un improvviso nubifragio e chicchi di grandine di incredibile grossezza, ne caddero infatti del peso di una mina (unità di peso tra i 500 e gli 800 grammi) e anche più, cosicché molte case crollarono sotto il peso e non poche persone furono uccise. Poiché la città ha la forma di un teatro e per l’inclinazione fa convergere le acque per lo più in un unico posto, subito le parti basse della città furono allagate, dacché era stata trascurata la manutenzione delle condutture di scarico della pioggia e le griglie disposte nelle mura erano state ostruite dal momento che si pensava che l’inverno fosse finito. Poiché l’acqua si accumulava in maniera incredibile e mentre da una parte tutta la zona della mostra e del santuario di Dionisio si trovò sommersa, dall’altra l’alluvione stava raggiungendo ormai l’asclepieion (tempio di Asclepio, dio greco della medicina) tutti erano spaventati e utilizzarono diversi mezzi per salvarsi. Gli uni fuggirono verso le navi, altri salirono di corsa al teatro, mentre alcuni di quelli sorpresi dal disastro, non sapendo che fare, salirono sugli altari più alti e sulle basi delle statue. Ma, mentre la città minacciava di andare completamente in rovina, insieme con i suoi abitanti, si verificò un aiuto casuale. Squarciatesi infatti le mura per un ampio tratto, l’acqua trat-

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Il pittore di Varrese e la perduta "Niobe" di Eschilo Dario Di Nunno

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ome cambia la tradizionale iconografia del mito di Niobe nella pittura vascolare del IV secolo a.C. ed il decisivo ruolo del pittore dell’anfora dell’Ipoegeo Varrese nell’adozione di un nuovo repertorio figurativo di stringente analogia con la scena della tragedia di Eschilo. I vasi suditalici del IV sec. a.C. che ritraggono il Mito di Niobe presentano un’iconografia profondamente modificata rispetto alla tradizione del VI e del V a.C.: il focus del racconto viene spostato dalla strage dei Niobeidi, operata da Apollo e Artemide, al dolore di Niobe dopo la morte dei figli. Le immagini così concepite diventano singolarmente prossime alla situazione scenica della perduta Niobe di Eschilo, uno dei maggiori tragediografi della Grecia antica. O quantomeno all’idea che della tragedia si può ricavare dai pochi frammenti sopravvissuti e dalle testimonianze letterarie. La rappresentazione di Niobe sopraffatta dal dolore dopo la morte violenta dei figli ha suscitato tanto interesse quanto poche altre scene fra quelle a contenuto mitico nella pittura vascolare del IV secolo a.C. e una testimonianza importante di questo nuovo modo di raffigurare il tema arriva proprio da un’anfora canosina, facente parte del prestigioso corredo funerario rinvenuto all’interno dell’Ipogeo Varrese in cui la relazione tra la tragedia di Eschilo appare oltremodo stringente. E il Pittore di Varrese, certamente non il primo ad utilizzare l’iconografia della Niobe in lutto, è considerato quello che, nella pittura vascolare suditalica prima di altri utilizza questo nuovo repertorio figurativo di ispirazione eschilea. Ciò che ispirava l’artista nel lavoro di trasposizione in immagini del racconto dei Miti era certamente la tradizione orale, base di un più o meno vasto repertorio iconografico posseduto dalla bottega artigiana, oltre che gli specifici suggerimenti dei committenti. Radice comune, naturalmente, era la letteratura e anche il teatro in quanto strumento di racconto per immagini di un di un testo. Ma in che modo, e attraverso quali canali, il teatro ha esercitato la sua influenza sulla cultura figurativa greca e sull’artigianato? Sicuramente importante, perché per lungo tempo, le maschere e gli attori comici sono stati fra i soggetti favoriti di molte officine lucane, campane e apule: sono note molte scene del Mito che, senza il minimo richiamo al palcoscenico, sembrano riflettere più o meno da vicino l’intreccio di celebri tragedie. La questione è meno banale di quello che appare: come potevano le invenzioni dei drammaturgi penetrare nel repertorio di artigiani che si ritiene per lo più illetterati o poco letterati, la cui quotidianità era il lavorare con le mani nell’argilla accanto a un forno acceso a centinaia di gradi? Non si può, in tutta evidenza, negare l’influenza della materia drammatica. Le ipotesi formulate sono due: da una parte si pensa ad un’influenza diretta e immediata del teatro sui pittori, quasi che questi potessero avere conoscenza diretta degli scritti o delle rappresentazioni teatrali; dall’altra si considera solo l’aspetto figurativo e si riducono le affinità a contatti casuali all’interno di un patrimonio di conoscenze comuni, alimentandosi il pittore ed il drammaturgo degli stessi racconti tradizionali.

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Foto 1 : Pittore di Varrese, anfora pseudopanatenaica: Niobe in lutto, 350-340 a.C., Canosa di Puglia, Palazzo Sinesi.

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La svolta, rispetto alla tradizione pittorica precedente, data dallo spostamento dell’attenzione dalla strage al dolore e la stringente aderenza con la situazione scenica della tragedia, determina una nuova lettura del racconto alla base delle pitture vascolari, intese come illustrazioni più o meno fedeli della Niobe di Eschilo e persino utilizzate come fonti per ricostruirne la trama. Il caso, in generale, riguarda anche tutti i presunti soggetti tragici della ceramografia magnogreca: perché in presenza di una consolidata e autorevole tradizione i pittori scelgono – o i committenti chiedono – di rappresentare il mito secondo uno schema nuovo? È casuale che tale schema presenti affinità più o meno strette con un testo drammatico? Se non lo è, qual è la natura di tali affinità e quali sono, dunque, i rapporti tra teatro e pittura vascolare? Il Mito Niobe, principessa di Lidia, figlia di Tantalo e di Dione o Euryanassa, viene introdotta nella saga dei Cadmei dal matrimonio con Anfione, re frigio e costruttore delle mura di Tebe. Nota nella letteratura come mater fecunda cui tocca l’atroce destino di vedere i figli morire di morte violenta a seguito delle offese mosse alla dea Latona, Niobe è accreditata di una prole il cui numero varia considerevolmente, per lo più dodici (in Omero, Stazio) o quattordici (Euripide, Ovidio, Igino), ripartiti in egual misura fra maschi e femmine. Il nucleo fondamentale della storia, che compare nell’Iliade, racconta dello sterminio dei Niobeidi ad opera di Apollo e Artemide, figli della dea Latona e di Zeus, perché Niobe aveva osato paragonarsi alla dea, reputando i suoi figli non inferiori ai gemelli divini. La tradizione successiva rende più esplicita l’offesa, attribuendole il vanto di essere madre migliore della dea. In ogni caso, la strage interessa tutti i figli, tranne in una variante argiva, attestata per la prima volta da Telesilla (V sec. a.C.) che introduce dei superstiti: un fanciullo e una fanciulla, oppure la sola fanciulla di nome Chlorìs. Dopo la morte dei figli Niobe torna in patria presso il padre Tantalo e viene trasformata in roccia sul monte Sipilo in Lidia. La pietrificazione che segue l’atroce dolore è, da Omero in poi, attribuita ora alle preghiere della stessa Niobe, ora alla pietà divina vinta dal pianto ininterrotto della madre che veglia i propri figli per giorni e giorni. La tradizione figurata Nella Niobe letteraria, esemplare racconto della punizione derivante dalla ingiustificata superbia e paradigma di sventura e di dolore, la sua figura prevale su quella dei figli, il cui ruolo è quasi strumentale dal punto di vista narrativo. Nella tradizione figurativa la situazione è opposta. Niobe ha per lungo tempo scarso peso e l’attenzione è concentrata sulla morte dei figli. Le prime attestazioni, risalenti al 560-550 ca. a.C., compaiono su tre anfore del gruppo ‘tirrenico’, una produzione minore destinata al mercato etrusco. Il mito è rappresentato secondo uno schema che si potrebbe definire “dei Niobeidi in fuga”: gli artigiani attici raccontano il mito in una composizione che vede Apollo e Artemide scagliare i dardi mortali verso i Niobeidi, e, in un caso, sull’Anfora del Pittore

del Daino del Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia, Latona e Niobe, presenze che alludono agli antefatti e alle responsabilità. Dopo questo breve momento di fortuna il mito sembra scomparire per riapparire meno di un secolo dopo, intorno alla metà del V secolo, quando guadagna nuovamente popolarità. L’iconografia resta centrata sulla strage ma lo schema dei “Niobeidi in fuga” cede il posto a quello dei “Niobeidi morenti”, trafitti dalle frecce dei divini figli di Giove. La sostanziale unità della tradizione del VI e del V secolo a.C. rende sorprendente la svolta nella pittura vascolare del IV secolo: la strage, quasi di colpo, lascia il posto alla Niobe in lutto sopra la tomba dei figli. Le composizioni affollate e drammatiche della ceramica attica cedono il posto a scene statiche, costruite intorno alla figura della madre disperata secondo le due varianti di “Niobe alla tomba”, ritratta sopra un podio, intorno alla quale si affannano vari personaggi in atteggiamento supplice, e della “pietrificazione di Niobe”, entro un naiskos funerario nel momento in cui si muta da essere vivente in statua, con o senza personaggi di contorno. Anche questo tema, tuttavia, ha vita relativamente breve, poco meno di un secolo e scompare altrettanto repentinamente di come era comparso. Due vasi, un cratere a volute da Ruvo di Puglia attribuito al Pittore di Baltimora (Ruvo di Puglia, Museo Jatta) e un’hydria proveniente da una nota tomba di Arpi (Foggia, Museo Civico), dipinti fra il 320 e il 300 a.C. sui quali ritroviamo nuovamente la rappresentazione della strage, sono indicativi dell’affievolirsi del tema; e la ceramica canosina policroma a decorazione plastica, che prende il posto delle anfore e dei crateri a figure rosse nei corredi funerari, testimoniano che intorno al 300 a.C. l’iconografia tradizionale aveva ormai ripreso il sopravvento. Niobe in lutto: la tragedia di Eschilo e le scene vascolari Le scene con “Niobe in lutto” e la Niobe della tragedia eschilea o altri testi drammatici sono facilmente collegabili tra loro. L’ipotesi che le scene siano concepite dal ceramografo avendo presente un modello drammatico che ne guida l’invenzione con poche o nessuna interferenza non è sufficiente a descrivere una situazione in realtà più complessa. Niobe è uno dei più noti fra i drammi perduti di Eschilo e testimonianze e frammenti, per quanto esigui, sono stati sufficienti a ricostruirne le linee generali. Seppur inafferrabili gli elementi della drammatizzazione (scenografia, numero dei personaggi, composizione del coro, conclusione), il poco conosciuto è comunque sufficiente al confronto tra le iconografie. Il dramma eschileo si apriva dopo la morte dei figli: Niobe, seduta sopra la loro tomba, aveva il capo velato e restava muta per una considerevole porzione del dramma, impassibile e sorda alle preghiere di chiunque la supplicava di recedere dal suo atteggiamento disperato. Quando infine rompeva il silenzio, pronunciava un breve e solenne discorso. Tre testimonianze, coerenti fra loro, (un passo della Vita Aeschyli di autore anonimo, il frammento di papiro 154a Radt, un esplicito riferimento di Aristofane nelle Rane) rendono bene l’idea della potenza espressiva dell’immagine di Niobe muta e imperturbabile e di come questa si fosse stampata nella memoria degli Ateniesi. Tra i vari personaggi che le si affannavano intorno, una sola presenza è sicura, quella di Tantalo. Tutti gli altri personaggi ipotizzati nei numerosi tentativi di ricostruzione (la nutrice, Hermes, Anfione, Antiope, Euryanassa, un messaggero), sarebbero congetture più o meno plausibili ma senza supporti obiettivi. Altrettanto ipotetico è il fatto che il dramma si concludesse con la metamorfosi di Niobe fra le rocce del Sipilo, secondo taluni rappresentata in scena, secondo altri descritta o profetizzata da uno dei personaggi. Tuttavia, tra le incertezze, resta l’importante dato obiettivo che la tragedia era giocata sull’opposizione fra il silenzio e la parola: da una parte il dolore di Niobe, dall’altra lo sforzo vano degli altri personaggi che le si rivolgevano secondo la tecnica degli “approcci reiterati”

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Il pittore di Varrese e la perduta "Niobe" di Eschilo adottata da Eschilo anche nel Riscatto di Ettore. Così come i versi di Aristofane mostrano che, almeno ad Atene, il dramma era ben presente al pubblico, poiché non si può creare effetto comico se non su cose universalmente note. La più antica fra le scene figurate che sembrano riconducibili alla Niobe eschilea è in un’anfora a collo distinto (370-360 a.C.) rinvenuta in frammenti nel 1978 nella tomba 24 della necropoli di Roccagloriosa, in un’area occupata nel IV secolo da popolazioni lucane. La scena presenta al centro una figura femminile in chitone e himation su un basamento modanato e decorato da tre figure poco leggibili: lo sguardo della donna è fisso nel vuoto e la mano destra è appoggiata al capo, nel canonico gesto del lutto. A sinistra un uomo anziano con abiti importanti le si rivolge in atteggiamento supplice e un giovane con copricapo frigio lo sostiene per le spalle. A destra una donna canuta, il capo velato, la mano destra levata e la sinistra al petto, volge anch’essa lo sguardo e parla alla dolente. Nel registro superiore assistono alla scena Artemide e Apollo. La situazione è indiscutibilmente compatibile con la trama della Niobe eschilea: riconosciamo Niobe sulla tomba dei figli che manifesta il suo dolore tacendo e Tantalo giunto dalla Lidia per ricondurre la figlia alla ragione e alla vita. Per la donna canuta sulla destra, orante come i personaggi che si alternavano sulla scena e che potrebbe essere la madre Euryanassa o la nutrice dei figli, mancano elementi per un’identificazione definitiva. Se non stupisce il richiamo alla Niobe teatrale, tuttavia alcuni particolari

non coincidono. Apollo e Artemide non giocano alcun ruolo nella tragedia, almeno a quanto sappiamo. In Eschilo Niobe siede sulla tomba ed è velata, di modo che gli spettatori non possono vederne il volto. Qui, al contrario, è in piedi, il volto scoperto, lo sguardo rivolto ostentatamente allo spettatore. La ‘storia’ è la stessa, ma la scena vascolare non presenta particolari affinità con quella che poteva vedersi in teatro e ciò dovrebbe suggerire prudenza nel supporre rapporti troppo stretti fra il testo e l’immagine. Il pittore non ha illustrato la tragedia, ha semplicemente “costruito” una scena che racconta la stessa storia, usando schemi e tipi del repertorio corrente. Il gruppo del vecchio re sostenuto da un giovane accompagnatore si incontra in scene generiche di culto al sepolcro; Niobe sulla tomba è a sua volta ricavata dal tipo della “statua del defunto eroizzato sopra la tomba”. Tralasciando le altre numerose testimonianze di scene similari, una vera svolta figurativa si realizza quando il tema approda nella bottega del Pittore di Varrese, una delle più importanti officine magno-greche della metà del secolo. Per la prima volta il mito è utilizzato per decorare vasi di dimensioni monumentali: due anfore dipinte a breve distanza di tempo l’una dall’altra, la prima rinvenuta a Canosa, l’altra acquistata dal Museo dell’università di Bonn nel 1890 e lì conservata. Nell’anfora dell’Ipogeo Varrese, l’iconografia è completamente mutata. La scena presenta Niobe in lutto sulla tomba, tra Tantalo, vestito con sfarzo regale, e la “nutrice”, in abiti ordinari. Entrambi anziani e infervorati nelle loro suppliche, si rivolgono ad una Niobe ora simile a come l’aveva immaginata Eschilo: seduta sulla tomba, il capo velato (anche se il volto è ancora scoperto), in atteggiamento dolente, tace ostinatamente di fronte agli interlocutori. Certo, sono raffigurati in modo simile anche Elettra che veglia sul sepolcro di Agamennone o Teseo che piange la morte di Meleagro, ma il tipo di dolente che il pittore abilmente adatta alla storia di Niobe è più aderente alla tragedia di quello della “statua del defunto” di cui si erano serviti gli artigiani dei vasi più antichi. Ma è la raffigurazione della tomba a catturare la nostra attenzione: Niobe siede su una base affiancata da due grandi anfore funerarie collocate su un podio quadrangolare con fregio dorico che, a sua volta, poggia su colonnine ioniche poste su un basamento a un solo gradino. Completano la scena alcuni oggetti che alludono a doni funebri. Una tomba dalla sorprendente struttura aerea che costituisce un unicum assoluto nella ceramografia suditalica: non si conoscono analoghi casi di un sepolcro, di qualsiasi tipo, sollevato in questo modo da terra. Nessun acquirente aveva certamente mai visto una simile tomba in un cimitero: esempi di podio dorico, costituente l’elemento più vistoso, compaiono in altri vasi ma sono normalmente utilizzati o come base per un tempietto o come sostegno di colonna nelle tombe a gradini. Perché il Pittore di Varrese ha adottato una struttura tanto inverosimile ed estranea al suo repertorio? Forse per “sollevare” Niobe e attirare l’attenzione dello spettatore sulla figura principale della scena, visto anche l’uso della sovradipintura bianca

Pittore pestano o lucano, anfora a collo distinto: Niobe in lutto. Roccagloriosa, necropoli in località La Scala, tomba 24, 370-360 a.C., Roccagloriosa, Museo Civico.

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che fa “uscire” la tomba dalla superficie del vaso. Forse, anche, per suggerire una specifica ambientazione. Le colonnette, doriche o ioniche, costituivano l’artificio pittorico utilizzato per rappresentare il palcoscenico sui vasi a soggetto comico, i soli in cui l’ambientazione teatrale è esplicitamente richiamata: nella scena comica il palco è un semplice impiantito ligneo poggiante su quattro colonnette ioniche e chiuso da cortine di tessuto. Simile è l’effetto grafico della sopraelevazione della tomba di Niobe, per il quale il pittore suggerisce lo scorcio e cerca di rendere visivamente uno spazio vuoto sotto il podio dorico. Il ricorso a un tale espediente potrebbe indicare la volontà di richiamare il teatro, di suggerire che quella rappresentata è, appunto, una Niobe “come la si vede in scena”. Il che non significa attribuire all’artigiano un intento preciso di rappresentazione fedele di un allestimento né di voler “illustrare”' la tragedia di Eschilo. Significa, semplicemente, considerare come un certo modo di visualizzare il mito potesse essere nell’opinione corrente associato al teatro e che i pittori erano interessati a richiamare tale associazione per allettare la clientela, specie la quella più colta. In ogni caso, consapevole o meno dell’origine del tema, il pittore di Varrese torna a rappresentare Niobe poco tempo dopo su un’altra anfora, quella del Museo dell’università di Bonn. Il pittore escogita ancora una volta una soluzione inedita e ardita. Invece della scena di supplica dipinge su entrambi i lati del vaso un naiskos ionico circondato di offerenti, e sul lato principale pone all’interno una figura femminile velata con accanto due grandi anfore lustrali. Il tema della statua del defunto entro un’edicola funeraria era noto e utilizzato dal pittore di Varrese sulle hydrie destinate alle sepolture femminili, prima affiancando, poi sostituendo al giovane eroizzato una donna stante. Qui, per la prima volta usa il motivo su un’anfora, ma con due significativi cambiamenti: invece di atteggiamenti quotidiani (rivelati dalla presenza di specchi, ventagli e altre suppellettili) attribuisce alla figura la posa del lutto e limita la tipica sovradipintura bianca ai piedi e alla parte inferiore del chitone. Questi particolari, specialmente la fascia bianca in basso (scambiata per i resti della sovradipintura), sono semplici ma acuti espedienti che suggeriscono l’identità della figura: non un’anonima defunta ma Niobe in lutto nel momento in cui si compie il suo destino ultimo, la trasformazione in pietra. Quella che vediamo è già la pietrificazione in atto, non più la sua prefigurazione drammatica attraverso il silenzio. In questo modo il pittore ha ricondotto un mito adatto alle sepolture femminili, per il quale non esisteva ancora una formula consolidata, entro uno schema che stava rapidamente guadagnando popolarità e che si adattava bene ai campi figurati alti e stretti dei tipici vasi dei corredi femminili, loutrophoroi e anfore. Forse non è un caso che il pittore abbia introdotto diversi richiami alla scena di “Niobe sulla tomba” da lui stesso dipinta sull’anfora dell’ipogeo canosino: il fregio dorico del podio (caso unico nella sua produzione), gli abiti ricamati, il gesto del lutto di Niobe e persino le anfore entro l’edicola sono citazioni precise che stringono il rapporto fra le due iconografie. Inoltre, il pittore, ritenendo la storia agevolmente leggibile per gli spettatori, non esita a eliminare la presenza degli abituali Tantalo e la ‘nutrice’ per sostituirli con quattro generiche figure di offerenti che per posa e attributi non aggiungono altro alla lettura del soggetto. La scelta evita l’anacronismo, poiché la pietrificazione non può avvenire nello stesso momento in cui Niobe viene supplicata al sepolcro. L’intuizione del Pittore di Varrese si rivela fortunata. Il nuovo schema diviene la formula standard per la rappresentazione del mito nella seconda metà del IV secolo. Tutti i vasi posteriori all’anfora di Bonn associano Niobe alla pietrificazione, completando o meno la scena con figure di contorno o con l’associazione ad altri miti, spesso senza stretta connessione con il nucleo narrativo originale, con un effetto di anacronismo temporale

o meglio di fusione di due momenti distinti della storia (supplica e pietrificazione). In estrema sintesi, la “Niobe in lutto” sulla tomba compare nella ceramica suditalica nel periodo 370-360 a.C. e conosce la maggiore popolarità nella seconda metà del IV secolo a.C. e se le scene più antiche presentano evidenti punti di contatto con la Niobe di Eschilo nel contenuto, offrono altresì considerevoli divergenze nei particolari, indicando che pare non esservi nei pittori una riconoscibile volontà di riprodurre la scenografia del dramma. Le immagini più significative sono prodotte intorno al 350 a.C. dal Pittore di Varrese, che dipinge le immagini più affini alla tragedia eschilea; poco dopo, lo stesso artigiano realizza una formula alternativa: adatta il mito allo schema del defunto all’interno del tempietto ottenendo nel complesso un’attenuazione del rapporto fra l’iconografia vascolare e la situazione eschilea. A partire dalla produzione del pittore di Varrese la rappresentazione appare sempre più formulare e il rapporto con la tragedia di Eschilo si affievolisce fino a scomparire del tutto. (Una più ampia e approfondita analisi del tema, a cura di L. Rebaudo, è disponibile su www.engramma.it)

Pittore di Varrese, anfora a collo distinto: Niobe in lutto, 350-340 a.C., Bonn.

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LO SCHIAFFO DI MATERA

Francesco Specchio

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ino ad alcune decine di anni fa questa città lucana era ancora poco conosciuta. Non me ne vogliano i cari amici della Basilicata se definisco questa città “lucana per errore”, considerata la continuità culturale, artistica, paesaggistica, dialettale che questa condivide con la confinante Puglia e considerato il fatto che fino al 1663 il suo territorio era parte della Terra d'Otranto, poi passato al Giustizierato di Basilicata, su decisione dei viceré napoletani. Sta di fatto che ciò per il quale questa città oggi vive, fino a pochi decenni fa era il simbolo della fatiscenza e del degrado, una delle vergogne d'Italia da cancellare. Poi, ci fu una svegliata, una presa di coscienza e d'identità della popolazione. Pasolini provò a darne visibilità nel 1964, girando il “Vangelo secondo Matteo”. Ma il fenomeno socio-culturale di rivalsa fu talmente virtuoso, da riuscire in seguito a candidare e a vincere nel 1996 il prestigioso riconoscimento UNESCO. Qualche anno più tardi arrivò Mel Gibson e il risalto fu mondiale. Forse affascinato dai siti rupestri, magari basandosi sul precedente lavoro pasoliniano, il regista statunitense girò un "quasi-colossal" proprio per le strade di quelle che, fino a poco tempo prima, erano una delle immagini del degrado italiano. Da quel momento in poi, è stato il boom! Tu-

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risti da ogni dove, visibilità, produzione continua e costante di eventi culturali, affermazione di un brand locale e crescente prestigio. Tutto questo lavoro, all'insegna della promozione turistica e culturale del territorio (e nonostante la mancanza di uno scalo Trenitalia) ha permesso oggi a Matera di diventare Capitale europea della Cultura nel 2019, insieme alla bulgara Plovdiv. Programmazione, fare sistema, professionalità, ambizione, ma anche molta umiltà. Matera è un esempio di come le sfide vanno assunte ed affrontate con coraggio, ma anche con preparazione e piedi per terra (possibilmente senza montarsi la testa). Ponendo una riflessione, Matera deve essere un esempio che Canosa deve seguire, cioè l'esempio lo deve seguire una città che dorme, una città dove non bastano 10 caffè e 50 scuotimenti, per capire che può lanciarsi in avventure dalle quali, forse non si uscirà vincitori, ma almeno protagonisti, almeno si avrà la possibilità di dire la propria, almeno si avrà quella visibilità su palcoscenici ampi. Loro hanno i sassi, noi abbiamo gli ipogei che non sono da meno, anzi! Matera è una città delle più antiche al mondo, il proprio territorio è abitato da circa 10000 anni a questa parte, noi forse non siamo così antichi; ma se ci fossilizziamo sul discorso “io sono più longevo di te”, non ne usciremmo

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più, questo non deve frenare la nostra (presunta) vocazione turistica, sempre se ne abbiamo una, al di là dei soliti volontari. Perché questi toni polemici? Perché ogni cosa a Canosa viene demolita dal “ce vvé/sciete facenne!” di turno: poveracci, gente frustrata e mediocre, invidiosa del concittadino che prova ad emergere e cerca (insieme ad altri concittadini) di far emergere l'intera realtà. Smettiamola di essere così arrendevoli, dimostriamo di essere più forti di qualche idiota, che forse vorrebbe vederci andare via. Non solo. Dobbiamo capire che questa razza (purtroppo) non ancora in estinzione, si trova dappertutto, non solamente da noi, forse anche Matera, nel suo sviluppo, avrà avuto a che fare con prefiche e soloni che pontificano ma non piegano la schiena, indicano cosa fare senza rimboccarsi le maniche, si lamentano ma non propongono. Dalle altre parti, dove si lavora o si cerca di fare qualcosa, evidentemente si è sordi agli strali del “capiscitore” di turno; noi forse lo temiamo, uscendone sconfitti ad ogni confronto con lui (chiunque egli sia). Lo so, ci atterrisce il passato, ci atterriscono tutte quelle idee da campagna elettorale che si voleva fare e poi...... Tuttavia, partire

sconfitti e demoralizzati non servirà a creare un nuovo museo, ad avere un riconoscimento UNESCO per i nostri siti archeologici, a vedere un borgo antico vivibile. La nostra determinazione deve essere più forte di tutto e mi riferisco ai giovani: il presente e il futuro appartengono a noi! Chi ha i capelli bianchi (o anche grigi) ha già dato; siamo noi che abbiamo il dovere di migliorare le condizioni di questa città, non devono esserci distinzioni, soprattutto di nessun colore politico! Anche se non eravamo in lizza (e difficilmente lo saremmo stati, fermi come siamo), spero che quei CANOSINI SOLENNEMENTE DORMIENTI abbiano avvertito il ceffone morale, appena servitoci da Matera. Riceviamolo, prendiamolo, incartiamolo e portiamocelo a casa. Ma da domani vediamo di metterci a lavoro anche noi, se crediamo nello sviluppo del nostro territorio, senza la necessità di candidarci a “Capitale Europea della Cultura 2144”! Perché non si tratta di dover ambire per forza a titoli ed iniziative che ora ci fanno venire le vertigini, si tratta di lavorare a medio-lungo termine per contare turisticamente di più, anche alzando la voce o battendo i pugni sul tavolo (se serve). Non servono grandi opere per rilanciare la nostra comunità. All'inizio bastano piccole cose, quelle piccole cose che noi non abbiamo ancora e che potrebbero servire per il bene di tutti. Poi realizzare altre piccole cose, e altre piccole cose ancora. Forse cosi potremmo rilanciarci, a tasselli, a mò di mosaico, tanti frammenti che uniti insieme sveglierebbero la nostra città. Quali sono queste piccole cose? Ne si può parlare, ne si può discutere tutti insieme, le si possono individuare nelle proposte di ognuno di noi. Associazioni e fondazioni, siate sempre più attive e coinvolgenti! Complimenti Matera, la Canosa positiva ed attiva ti augura buon lavoro!

il saggio

Anna Maria Fiore

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’autore, Savino Losmargiasso in questa pubblicazione individua personaggi canosini, descrivendoli spesso in modo caricaturale e folcrosristico. Il suo vernacolo, come afferma la prof. B.M.Caporale, ci fa ritornare alle origini attraverso il dialetto e ci restituisce il fascino della cultura canosina di alcuni decenni fa, che, altrimenti potrebbe essere perduta. Nelle sue poesie in dialetto canosino, usa termini riferiti ad oggetti spesso non più in uso, appartenenti a lavori, mestieri e tradizioni oramai scomparsi, e secondo l’autore, appunto, l’uso del vernacolo è dettato dall’esigenza di far rivivere una realtà non più attuale. I suoi personaggi in fine, ci fanno rivivere episodi politici, e di vita quotidiana e fanno conosce ai più giovani aspetti e fatti a loro sconosciuti. Il libro è in vendita presso le librerie e le edicole di Canosa.

GraficheFABA TIPOLITOGRAFI A

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LA CUPOLA MANCANTE DEL MAUSOLEO DI BOEMONDO

RECUPERIAMO LA DECADUTA PIRAMIDE OTTAGONALE DEI MARMI BIANCHI Peppino Di Nunno

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ell’anniversario storico del 2011 del Principe Boemondo, custodito nel Mausoleo della Cattedrale S. Sabino di Canosa di Puglia, abbiamo riscoperto e tradotto le epigrafi trascurate del Mausoleo, documenti storici del principe normanno, avvalendoci della preziosa e volontaria collaborazione della prof.sa Giulia Giorgio. L’inizio delle epigrafi attesta: “Sotto questa volta giace il nobile principe della Siria” (MagnanimusSiriaeiacet hoc sub tegmineprinceps), ma la volta del Mausoleo originaria si presentava ai nostri occhi di forma piramidale ottagonale, ben diversa da quella semisferica attuale. La cupola tondeggiante, se ha inteso richiamare la cupola del Santo Sepolcro di Gerusalemme, ha stravolto la teologia architettonica della cupola ottagonale, che si riferisce all’OctavaDies, all’ottavo giorno della Gerusalemme Celeste. Non sono io, maestro studioso a riportarlo, ma studiosi di storia dell’arte, teologi e documenti, dalla tesi di laurea dell’arch. Giuseppe Ricchizzi, docente del Liceo di Canosa, alla pubblicazione della tesi di laurea dell’arch. Michele Cilla, discussa nell’anno 1989/90 presso la Cattedra di Restauro Architettonico dell’Università degli Studi di Firenze. L’autore, nativo di Genzano nella Lucania, contattato personalmente a Ponte di Piave nel Veneto, nel 2012, ci ha precisato di aver ritrovato, all’epoca della tesi, frammenti di lastre di marmo provenienti dalla cupola, che oltra ad essere di forma ottagonale era lastricata di marmi.

La Cupola del Mausoleo di Boemondo com'era e come la vediamo attualmente

• Il cupolino nelle fonti dell’Archivio Storico Comunale Dalle fonti storiche archivistiche, spesso non ricercate e dimenticate, come avvenuto per gli affreschi della Crocifissione del Duomo di San Sabino, riscopriamo nell’Archivio Storico Comunale una nota del 16 aprile 1896, del Regio Ispettore degli Scavi e Monumenti: “Trovandomi in Canosa nel giorno 11 del corr. mese, ebbi a notare il grave sconcio che presenta il Mausoleo di Boemondo, nella partepiramidale del suo cupolino, ove più non esiste quel rivestimento marmoreo, che unitamente ad altri lavori di restauro, venne eseguito nel 1889, con il concorso del Ministero della P. Istruzione. Il danno verificatosi al nazionale monumento” viene attribuito all’incuria di una lastra di marmo caduta. La stessa precedente relazione del 9 aprile 1845

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dell’Intendenza della Provincia riporta lo stato di degrado della cupola e le riparazioni occorrenti per il “lastricato di marmo che riveste la parte a vista della piramide del cupolino”. Nella relazione inviata al Sindaco e “ad uso del Ministro della Pubblica Istruzione”, che svolgeva le funzioni per la tutela dei Beni Culturali, l’Intendenza descrive “la piramide di coronamento dell’Edificio, ricoperta nella parte a vista con marmi di Paros”. Sono i pregevoli marmi bianchi dell’isola di Paros in Grecia, e dalle cave di marmo. Nel restauro del 1904 il progetto, invece di essere conservativo, diventa innovativo e modifica non solo l’architetturadel Mausoleo, ma anche la filosofia e la teologia della Piramide, che terminava all’apice con una sfera. • La teologia della piramide ottagonale Per comprendere meglio la geometria sacra della cupola ottagonale del Mausoleo di Boemondo, riportiamo con vivo apprezzamento il pensiero di don Severino Dianich in visita a Canosa in Cattedrale il 2 febbraio 2011, presentatomi da mons. Felice Bacco con questa parole: “noi seminaristi abbiamo studiato sui suoi libri”. Si tratta infatti di una delle voci più autorevoli della teologia italiana, che opera oggi nella Diocesi di Pisa. Don Severino nell’apprendere della cupola ottagonale piramidale con la sfera all’apice, riporta la simbologia teologica “dell’octavadies della Gerusalemme celeste che ci accoglie dopo la morte e della sfera all’apice che rappresenta l’Infinito, Dio, mentre il quadrato del Mausoleo, rappresenta la natura umana, l’umanità, la terra, il tempo”. La stessa interpretazione ci era stata riportata in chiave di storia dell’arte dal senatore Giovanni Procacci di Bitonto, laureato in Lettere e Storia dell’Arte, in visita a Canosa, in Cattedrale il 21 marzo 2010. Così interpreta la piramide ottagonale della cupola del Mausoleo: “il passaggio dal quadrato all’ottagono e dall’ottagono al vertice, al punto, ricostruisce il passaggio dalla ratio terrena all’infinito, all’immortalità della vita. Il punto, come elemento indefinibile rappresenta l’Infinito”. Il docente si congeda lasciando la firma sul registro dei visitatori con il seguente messaggio “Uno straordinario mausoleo. Attendo e spero di vederlo con la piramide che è simbolo dell’ascensione a Dio”.

“VoyagePittoresque”, nel viaggio nel Regno di Napoli. Sono le cartoline d’epoca della veduta di Canosa del 1780, che disegnano, con il Desprez, il Mausoleo con la cupola piramidale ottagonale, con la sfera all’apice e con l’iscrione: “Vue de l’entrée d’une Egliseappellée la Chiesa Madre, près de CANOSA, e d’une Chappellegothiqueou est renfermé le Tombeau de Boemond Prince d’Antioche”. Siamo grati al Saint-Non del disegno del Mausoleo e della cupola, ma non siamo stati attenti custodi di quanto ci è stato consegnato nelle generazioni. • Storicizzazione della cupola tonda Davanti al Mausoleo, diversi anni fa una rappresentante delle Istituzioni mi obiettò: “ormai la cupola tonda figura nei testi di Storia dell’Arte”, per cui s’intende storicizzata la forma semisferica. Ma occorre valutare che la storia con l’architettura non può essere identificata solo nel secolo scorso, ma lungo il percorso della linea del tempo dei secoli scorsi. Ma quando poi un restauro innovativo va a cancellare e stravolgere le radici filosofiche e teologiche dell’Architettura e a rimuovere i marmi bianchi di Paros, la storicizzazione risulta… antistorica. Guardando ancora oggi il Mausoleo dalla base quadrangolare, dal basso verso l’alto, viene poi da chiedersi : “ma dove sono finiti i marmi?”. Va comunque apprezzato il recente restauro tra Soprintendenza, Architetto e opera restauratrice di don Felice, per ilconsolidamento del muro di cinta, per lapulitura dei marmi, dove comunque vanno evidenziate le epigrafi storiche della cornice, e per il granigliato della cupola tonda che ha eliminato l’aspetto grezzo della cupola, conferendo agli occhi un aspetto lapideo. • Recuperiamo la storia della cupola piramidale Volgendo l’anno 2011 dell’anniversario della morte del Principe normanno, tra pubblicazioni e convegni accademici, nel quadro delle risorse finanziarie, forse c’era posto per avviare il ripristino della cupola storica piramidale, e noi ne abbiamo parlato, nelle opere ‘dimenticate’ e ‘disattese’, agli Studenti del Liceo Enrico Fermi di Canosa, con la condivisione dei Docenti visitatori. E se la storia è anche memoria e maestra di vita, occorre che all’esterno o all’interno del Mausoleo sia presenta una riproduzione ampia del Saint-Non, per poter fare la lettura della cupola. La cartolina d’epoca presente in diversi studi e ambienti di Canosa, deve essere esposta prima di tutto nel Mausoleo per i visitatori. Sarebbe oggi auspicabile che si levi una voce del mondo addetto, di tecnici o Soprintendenze, che formuli un progetto di ripristino della cupola ottagonale! • “Sotto questo tetto” Le spoglie mortali del Principe riposano “sotto questo tetto”, (iacet hoc sub tegmineprinceps): “Sotto questa volta giace il nobile principe della Siria”, ma la volta storica secolare manca nella forma, nei marmi, nell’OCTAVA DIES della Gerusalemme Celeste, nella sfera dell’Infinito. Il tempo del Mausoleo di Boemondo non è finito, se guardiamo all’Infinito!

• Gli illustri visitatori del ‘700 Ma vogliamo leggere i testi trascurati di storia che descrivono e disegnano il Mausoleo e la cupola. Nella prima metà del 700, il canonico Francesco Maria Pratilli, storico ed archeologo, nell’opera “Della Via Appia da Roma a Brindisi”, Napoli, 1745, così descrive il Mausoleo, visitato, studiato, letto con rigore letterario nelle epigrafi: “Al sinistro lato della Chiesa di S. Sabino vi ha una porta, la qual riesce in un atrio scoverto, e in esso trovasi un mausoleo di forma quadrata di bella fabbrica, e ricco di scelti marmi, con cupola ottangonale fornita di colonnette, la quale dovette forse essere coverta di metallo, per li segnali che ne dimostra”. Forse la lucentezza dei marmi anneriti nel tempo, avrà fatto pensare al metallo. Ma dobbiamo essere grati al visitatore che fece disegnare il Mausoleo nel 1780, all’Abate di Saint-Non, autore dell’opera illustrata

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Un classico del teatro greco in scena a Canosa Il racconto del mito di Niobe promosso dalla Fondazione Archeologica e portato in scena dal Gruppo Teatrale Pro Loco “Chivivefarumore” Dario Di Nunno

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conclusione delle attività relative al 1° Campo Scuola di Archeologia “Pietra Caduta”, la Fondazione Archeologica ha promosso la realizzazione della drammatizzazione di un testo classico, il racconto del mito di “Niobe”, adattato e sceneggiato da Dario Di Nunno dal Libro VI delle “Metamorfosi” di Ovidio, portato in scena con successo dal Gruppo Teatrale Pro Loco “ChivivefarumorE” all’interno di una delle sale del complesso “Lo Smeraldo” di Canosa di Puglia con la regia di Nunzio Sorrenti. A impreziosire la rappresentazione i costumi realizzati e gentilmente messi a disposizione dalla Prof.ssa Elena Di Ruvo. Il mito di Niobe è raffigurato su un’anfora facente parte del corredo funerario rinvenuto nell’ipogeo “Varrese” e conservata in Palazzo SInesi, sede della Fondazione, in Via Kennedy a Canosa di Puglia. La necropoli di Pietra Caduta e il vaso dell’ipogeo Varrese, vicini per contesto temporale (entrambi risalenti al IV sec. a.C.) hanno potuto trovare sul palcoscenico un denominatore comune che ne ha rinverdito i fasti e promosso la conoscenza a tutti coloro che sul palco e in sala hanno preso parte a questa serata di festa e spettacolo. Il gradimento della manifestazione è stato manifestato con un lungo e intenso applauso tributato ai protagonisti che ha sancito il raggiungimento degli obiettivi prefissi dagli organizzatori: diffondere e rendere fruibili gli aspetti della cultura del territorio per la valorizzazione del patrimonio storico-artistico, parte fondante della nostra identità. E il teatro, inteso come strumento di cultura e non solo come mezzo di evasione, si presta ottimamente a veicolare questi valori identitari. Gli apprezzamenti calorosamente manifestati alla fine della serata sono beneaugurati per future proposte nella scia di questa prima esperienza di rappresentazione di teatro classico.

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PILLOLE DI LEGALITA’ Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42

Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137

CAPO II - Vigilanza e ispezione Art.18 (Vigilanza) 1. La vigilanza sui beni culturali compete al Ministero. 2. La vigilanza sulle cose indicate all'articolo 12, comma 1, di appartenenza statale, da chiunque siano tenute in uso o in consegna, è esercitata direttamente dal Ministero. Per l'esercizio dei poteri di vigilanza sulle cose indicate all'articolo 12, comma 1, appartenenti alle regioni e agli altri enti pubblici territoriali, il Ministero procede anche mediante forme di intesa e di coordinamento con le regioni. Art.19 (Ispezione) 1. I soprintendenti possono procedere in ogni tempo, con preavviso non inferiore a cinque giorni, fatti salvi i casi di estrema urgenza, ad ispezioni volte ad accertare l'esistenza e lo stato di conservazione e di custodia dei beni culturali. CAPO III - Protezione e conservazione Sezione I - Misure di protezione Art. 20 (Interventi vietati) 1. I beni culturali non possono essere distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. 2. Gli archivi non possono essere smembrati. Art. 21 (Interventi soggetti ad autorizzazione) 1. Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero: a. la demolizione delle cose costituenti beni culturali, anche con successiva ricostituzione; b. lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali, salvo quanto previsto ai commi 2 e 3; c. lo smembramento di collezioni, serie e raccolte; d. lo scarto dei documenti degli archivi pubblici e degli archivi privati per i quali sia intervenuta la dichiarazione ai sensi dell'articolo 13; e. il trasferimento ad altre persone giuridiche di complessi organici di documentazione di archivi pubblici, nonché di archivi di soggetti giuridici privati. 2. Lo spostamento di beni culturali, dipendente dal mutamento di dimora o di sede del detentore, è preventivamente denunciato al soprintendente, che, entro trenta giorni dal ricevimento della denuncia, può prescrivere le misure necessarie perché i beni non subiscano danno dal trasporto. 3. Lo spostamento degli archivi correnti dello Stato e degli enti ed istituti pubblici non è soggetto ad autorizzazione. 4. Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere su beni culturali è subordinata ad autorizzazione del soprintendente. 5. L'autorizzazione è resa su progetto o, qualora sufficiente, su descrizione tecnica dell'intervento, presentati dal richiedente, e può contenere prescrizioni. Art. 22 (Procedimento di autorizzazione per interventi di edilizia) 1. Fuori dei casi previsti dagli articoli 25 e 26, l'autorizzazione prevista dall'articolo 21, comma 4, relativa ad interventi in materia di edilizia pubblica e privata è rilasciata entro il termine di centoventi giorni dalla ricezione della richiesta da parte della soprintendenza. 2. Qualora la soprintendenza chieda chiarimenti o

elementi integrativi di giudizio, il termine indicato al comma 1 è sospeso fino al ricevimento della documentazione richiesta. 3. Ove la soprintendenza proceda ad accertamenti di natura tecnica, dandone preventiva comunicazione al richiedente, il termine indicato al comma 1 è sospeso fino all'acquisizione delle risultanze degli accertamenti d'ufficio e comunque per non più di trenta giorni. 4. Decorso inutilmente il termine di cui ai commi 2 e 3, il richiedente può diffidare l'amministrazione a provvedere. La richiesta di autorizzazione si intende accolta ove l'amministrazione non provveda nei trenta giorni successivi al ricevimento della diffida. Art. 23 (Procedure edilizie semplificate) 1. Qualora gli interventi autorizzati ai sensi dell'articolo 21 necessitino anche di titolo abilitativo in materia edilizia, è possibile il ricorso alla denuncia di inizio attività, nei casi previsti dalla legge. A tal fine l'interessato, all'atto della denuncia, trasmette al comune l'autorizzazione conseguita, corredata dal relativo progetto. Art. 24 (Interventi su beni pubblici) 1. Per gli interventi su beni culturali pubblici da eseguirsi da parte di amministrazioni dello Stato, delle regioni, di altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico, l'autorizzazione necessaria ai sensi dell'articolo 21 può essere espressa nell'ambito di accordi tra il Ministero ed il soggetto pubblico interessato. Art. 25 (Conferenza di servizi) 1. Nei procedimenti relativi ad opere o lavori incidenti su beni culturali, ove si ricorra alla conferenza di servizi, l'autorizzazione necessaria ai sensi dell'articolo 21 è rilasciata in quella sede dal competente organo del Ministero con dichiarazione motivata, acquisita al verbale della conferenza e contenente le eventuali prescrizioni impartite per la realizzazione del progetto. 2. Qualora l'organo ministeriale esprima motivato dissenso, l'amministrazione procedente può richiedere la determinazione di conclusione del procedimento al Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del Consiglio dei ministri. 3. Il destinatario della determinazione conclusiva favorevole adottata in conferenza di servizi informa il Ministero dell'avvenuto adempimento delle prescrizioni da quest'ultimo impartite. Art. 26 (Valutazione di impatto ambientale) 1. Per i progetti di opere da sottoporre a valutazione di impatto ambientale, l'autorizzazione prevista dall'articolo 21 è espressa dal Ministero in sede di concerto per la pronuncia sulla compatibilità ambientale, sulla base del progetto definitivo da presentarsi ai fini della valutazione medesima. 2. Qualora dall'esame del progetto effettuato a norma del comma 1 risulti che l'opera non è in alcun modo compatibile con le esigenze di protezione dei beni culturali sui quali essa è destinata ad incidere, il Ministero si pronuncia negativamente, dandone comunicazione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio. In tal caso, la procedura di valutazione di impatto ambientale si considera conclusa negativamente. 3. Se nel corso dei lavori risultano comportamenti contrastanti con l'autorizzazione espressa nelle forme di cui al comma 1, tali da porre in pericolo l'integrità dei beni culturali soggetti a tutela, il soprintendente ordina la sospensione dei lavori. Art. 27 (Situazioni di urgenza) 1. Nel caso di assoluta urgenza possono essere effettuati gli interventi provvisori indispensabili per evitare danni al bene tutelato, purché ne sia data immediata comunicazione alla soprintendenza, alla quale sono tempestivamente inviati i progetti degli interventi definitivi per la necessaria autorizzazione. Art.28 (Misure cautelari e preventive) 1. Il soprintendente può ordinare la sospensione di interventi iniziati contro il disposto degli articoli 20, 21, 25, 26 e 27 ovvero condotti in difformità dall'autorizzazione. 2. Al soprintendente spetta altresì la facoltà di ordinare l'inibizione o la sospensione di interventi relativi alle cose indicate nell'articolo 10, anche quando per esse non siano ancora intervenute la verifica di cui all'articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all'articolo 13. 3. L'ordine di cui al comma 2 si intende revocato se, entro trenta giorni dalla ricezione del medesimo, non è comunicato, a cura del soprintendente, l'avvio del procedimento di verifica o di dichiarazione. 4. In caso di realizzazione di opere pubbliche ricadenti in aree di interesse archeologico, anche quando per esse non siano intervenute la verifica di cui all'articolo 12, comma 2, o la dichiarazione di cui all'articolo 13, il soprintendente può richiedere l'esecuzione di saggi archeologici preventivi sulle aree medesime a spese del committente dell'opera pubblica.

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NOVEMBRE 2014

Archeoinformazione CONTINUANO GLI SCAVI A SAN LEUCIO Il 6 ottobre è cominciata la campagna di scavo 2014 nell’area archeologica di San Leucio, un gruppo di ragazzi dell’Università “La Sapienza” di Roma, condotti dal Dott. Vincenzo Graffeo e sotto la direzione scientifica del Prof. Patrizio Pensabene, stanno intervenendo nella parte nord-est della Basilica, per cercare di individuare e capire le altre strutture affioranti.

Antonio Capacchione

CRONACA DI UN RITROVAMENTO Canosa 7 agosto 2014 - Durante i lavori di ampliamento del cimitero comunale e nel corso di indagini archeologiche preventive, condotte dalla Dott.ssa Vincenza Di Stasi, sotto la direzione scientifica della Dott.ssa Marisa Corrente, sono venute alla luce numerose tombe a grotticella del IV sec. a.C., una in particolare, ha restituito parte del corredo funerario. La struttura dell’ipogeo, presenta un ampio dromos, lungo circa sei metri e largo due, che conduce al vestibolo scoperto. L’unica camera funeraria, in asse con il dromos, presenta l’ingresso chiuso da due blocchi di tufo. La tomba, purtroppo già depredata dai clandestini, presenta la volta ceduta completamente a causa dell’uso di mezzi meccanici degli stessi. Per fortuna non tutto il corredo è stato depredato, dall’indagine scientifica, sono venuti alla luce tre askos di grosse dimensioni di cui due presentano una scialbatura di colore bianco, una statuina fittile policroma (nike alata), frammenti di un’altra e un piatto acromo dal diametro di circa trenta centimetri. RIPRENDONO GLI SCAVI NELL’AREA ARCHEOLOGICA DI GIOVE TORO. Dopo decenni, finalmente riprendono le indagini archeologiche nell’area di Giove Toro. L’area, per anni oggetto di un fallimento, finalmente diventa proprietà pubblica e l’Università di Bari, grazie all’interessamento della Prof. Raffaella Cassano e la collaborazione del Comune di Canosa, ha iniziato una campagna di scavo. L’archeologa canosina Maria Silvestri, già impegnata nello scavo di Pietra Caduta, sarà una delle interessate allo scavo. Le indagini archeologiche cercheranno di dare ulteriori chiarimenti sull'impostazione del podio del tempio e a tutta l'area.

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CANOSA - Presso il Centro Ricerche Fontana, durante la conferenza del Campo Scuola "Pietra Caduta" è stata eseguita la pubblicazione ufficiale del progetto "Archeologia per Tutti", risultato vincitore della I edizione del Concorso Nazionale "Apriti Sesamo", con la presenza del Soprintendente Luigi La Rocca e la Dott.ssa Marisa Corrente. Il progetto è stato finanziato dal MiBACT ed è stato pensato e creato dalle Dott.sse Anna Luisa Casafina e Sinesi Cinzia, in rappresentanza della Fondazione Archeologica Canosina, con la strettissima collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia nella figura del referente scientifico la Dott.ssa Marisa Corrente e del Soprintendente per i Beni Archeologici di Taranto. Sarà realizzato nella città di Canosa di Puglia, rendendola accessibile e fruibile da ogni categoria di utente.

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anno 4 numero 19

L'ARCHEOLOGIA 2.0 A CANOSA Francesco Specchio

L

'Archeologia è uno dei principali aspetti culturali e turistici di Canosa. Stratificatosi nei secoli, questo territorio ci sta restituendo interessanti testimonianze sul passato di questa Città, con le varie scoperte avvenute in questi ultimi anni. Come sappiamo, il patrimonio storico fruibile in Città è vario e riguarda in particolar modo l'arco temporale che dal periodo preromano arriva a quello medievale. Non vanno poi trascurati i beni museali, con cinque strutture espositive cittadine, quali i musei presso Palazzo Sinesi, Palazzo Iliceto, Palazzo Minerva, l'Antiquarium del Parco Archeologico di San Leucio o il Lapidarium della Villa comunale, ove è possibile osservare oggetti e reperti che raccontano la storia della nostra Città.La fruizione del patrimonio di un territorio come Canosa di Puglia si rende spesso estremamente difficile. Come nel caso degli ipogei, che sono dei complessi sepolcrali sotterranei, scavati nel sottosuolo locale, caratterizzato dal banco tufaceo. Dove sta la difficoltà della fruizione? In un museo un turista osserva un dipinto, un vaso, una statua, o una qualsiasi testimonianza storico-artistica. Su queste basi, in occasione del Bando “Principi Attivi 2012”, tre giovani canosini: Francesco Specchio, Andrea Castelluccio e Malvina Porta, costituitisi nell'Associazione di Promozione Turistica “Archeo 2.0”, si sono candidati per realizzare il progetto “Tag Archeo”, tramite il finanziamento della Regione Puglia. Il progetto “Tag-Archeo” prevede la creazione di un prodotto interattivo sull’informatizzazione e la fruizione dei siti archeologici. L'attività si articolerà come intervento non invasivo, ma di supporto alla visione e conoscenza del sito archeologico. Il prodotto digitale che s'intende creare sarà veloce ed aiuterà la catalogazione e la fruizione di quei luoghi d'importanza storica, alcuni attualmente non accessibili, o addirittura sotterranei, da parte dei visitatori e degli studiosi del settore archeologico.

Verrà preso in considerazione il sistema ipogeico della città con schede dettagliate di ciascun ipogeo con lo studio strutturale e geografico della parte nord-est della città: in particolare verranno studiati l'Ipogei dei Vimini, l'Ipogeo Scocchera b, l'Ipogeo di via Legnano e l'Ipogeo di via della Resistenza per trovare connessioni e collocazioni geografiche degli stessi. I siti oggetto delle nostre ricerche saranno rilevati tridimensionalmente e georeferenziati con GPS che verranno realizzati per i vari siti archeologici di Canosa e poi resi fruibili sul portale www.scopricanosa.it. E’ prevista la redazione e l'informatizzazione di schede dettagliate di ciascun ipogeo. Nei siti archeologici saranno collocati pannelli integrativi previsti di codici QR, da utilizzare con gli smartphone, il link al tour virtuale per ottenere le informazioni turistiche (“TAG” sull’archeologia). Saranno realizzati virtual tour per i vari siti archeologici di Canosa – tuttora accessibili – che saranno pubblicati all'interno del sito web www.scopricanosa.it, ricco del materiale archeologico informatizzato e catalogato grazie ai rilievi con il laser scan 3D dei quattro siti citati sopra. Una delle caratteristiche del progetto sono appunto i Codici QR (Quick Response Code), delle immagini che possono essere lette/decodificate tramite app per smartphone e tablet. Si tratta di codici bidimensionali che collegano con un semplice click un messaggio statico al mondo dinamico del Web. Si tratta di uno strumento attraverso il quale turisti e visitatori possono collegarsi al Web con il proprio smartphone/tablet per ottenere informazioni estese, filmati, guide turistiche e audioguide, ecc. Le vecchie guide cartacee, i vecchi cartelli informativi, le vecchie audioguide potrebbero non servire più: ora con i Qr code le informazioni su monumenti e musei, palazzi storici, siti archeologici, opere d'arte, sono a portata di smarthpone. Con la lettura di questi codici per l'informazione turistica il visitatore può connettersi a pagine Mobile Web dove scaricare guide con informazioni aggiornate, leggere o ascoltare informazioni e suggerimenti sull'oggetto, struttura, ed interagire con l'ente organizzatore in modo sicuro, rapido ed economico. I supporti informatici permetteranno il download e l'ascolto di audioguide inizialmente in due lingue (italiano ed inglese), la visione di virtual tours e la consultazione delle schede descrittive sui vari siti archeologici di Canosa. Inoltre, saranno presenti informazioni e collegamenti con i siti web dei vari enti istituzionali e di promozione turistica e culturale locale, con i quali saranno creati rapporti di partnership per una collaborazione continuativa ai fini della valorizzazione del territorio di riferimento. Come giovani, crediamo molto nella comunicazione via web che è una delle più veloci, non solo per la fidelizzazione di soggetti esistenti, ma anche per l’attrazione di nuovi soggetti, turisti e/o esperti, grazie ad una diffusione capillare e veloce delle informazioni. Sarà comunque necessaria l’adozione di campagne di Web Marketing e Mobile Marketing attraverso la realizzazione di una nostra pagina divulgativa su tutte le piattaforme social (Facebook, Twitter, Pinterest, Google+) nella modalità di “Profilo Pubblico” al fine di aumentare la propria visibilità e i propri contatti. La società “Archimeter S.R.L.” di Canosa – in collaborazione col progetto in questione, specializzata nel settore di laser scanning 3D, fotogrammetria, topografia, termografia, rendering di interni ed esterni – provvederà a realizzare rilievi tridimensionali in alta definizione dei siti interessati, con l’ausilio di laser scanner 3D e creazione di virtual tour. Nei siti archeologici sarà prevista, previa autorizzazione del Comune e della Sovrintendenza Archeologica, la collocazione di pannelli integrativi che riporteranno il link del sito web e i codici QR (codice a barre bidimensionale, impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate ad essere lette tramite un telefono cellulare, o uno smartphone). La realizzazione di questo progetto sarà possibile anche grazie alle partnership stipulate con le principali realtà istituzionali, associative e consorziali della Città e del territorio, quali: la Provincia di Barletta-Andria-Trani, il Comune di Canosa di Puglia, la Diocesi di Andria (Concattedrale di San Sabino), l'Agenzia Puglia Imperiale Turismo, la Fondazione Archeologica Canosina Onlus, la Pro Loco di Canosa e il Centro Studi Storici e SocioReligiosi in Puglia. Per ogni attività sui siti il progetto si avvarrà delle autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza ai Beni archeologici della Puglia e dalle istituzioni competenti.

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NOVEMBRE 2014

NON TUTTI SANNO CHE...

ORIGINI DEL TOPONIMO DI CANOSA

La Redazione

M

olteplici sono le ipotesi avanzate nel spiegare l'etimologia del nome Canosa (Canusium in latino, Canusion in greco), usato per indicare il primo vero nucleo sviluppatosi nell'VIII secolo a.C. Una prima ipotesi ne vede l'origine nel culto di Afrodite in Daunia. Secondo questa ipotesi, suffragata dal commentatore latino Servio, Canusium deriverebbe da canis (in italiano "cane"), animale associato alla divinità greco-orientale Afrodite en kepois. Altra teoria prevede una derivazione dalla parola greca χάνεον (cesta/canestro di vimini) per la presenza numerosa di vimini spontanei lungo la riva del fiume Ofanto. Una terza ipotesi prevede la derivazione dalla parola ebraica Chanuth (in italiano "taverna"), divenuto poi Chanush. Entrambe sarebbero integrate dal messapico o iapigio suffisso -ion (poi -ium in latino). Un quarto studio sostiene l'origine esclusivamente iapigia o messapica dell'etimo Canusium e la risoluzione del problema etimologico attraverso la spiegazione della radice can-. Un'ulteriore ricerca intravede una diretta correlazione fra il nomen latino Canusium e il gentilizio etrusco canzna. Questa ipotesi si basa sulla presenza etrusca in Campania prima della conquista romana e del vivace commercio etrusco lungo la valle dell'Ofanto. Questa è suffragata dalla cospicua presenza di prodotti della metallotecnica etrusca e di ambre (conservate al British Museum di Londra) in cui si riscontrano motivi stilistici comuni all'artigianato etrusco.

DAUNIA: nome dato dai Greci agli abitanti della Puglia settentrionale (attuale provincia di Foggia, parte del nord barese e parte della provincia di potenza), tra l’Ofanto e il Fortore. Il loro eponimo era Dauno, che, secondo la leggenda, figlio di Licaone, venne in Italia con i suoi fratelli Japige e Peucezio. Centri principali della Daunia erano, insieme a Canusio, Arpi, Luceria, Teano Apulo, Aeaee (Troia), Herdonia e Ausculum.

VISITE GUIDATE

ITINERARI TEMATICI

VISITE ANIMATE

333 88 56 300 www.canusium.it

ATTIVITÀ DIDATTICHE

Servizi per il turismo culturale e scolastico

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