ANNO I° - Periodico a cura del Liceo Satatale Vito Capialbi
Chiostr o di Santa Chiar a
Dossier: WWF Lago Angitola
Storia Gioacchino Murat, nato Joachim (Labastide-Fortunière), 25 marzo 1767 – fucilato a Pizzo Calabro il 13 ottobre 1815. ..
Scienza All’ interno un inserto inedito sulla “ Relatività generale e l’ Universo
Non perdetelo
MAGGIO 2012 - ANNO I° - Periodico a cura del Liceo Statale Vito Capialbi - Vibo Valentia - ' 0963 592415
In questo numero hanno collaborato:
Prof.ssa Daniela Rotino Prof.ssa Daniela Cesareo Prof.ssa Domenica Dileo Prof.ssa Margherita Ranieri Prof. Antonio Scarmato Prof. Antonio Lorè Ass. tec. Emanuele Di Iorgi Ass. tec. Domenico Solano Francesca Procopio Classe IV A Linguistico
SOMMARIO Pagina 1 - Pizzo: Fra cultura, tradizioni e...gelati Pagina 2 - Storia : Gioacchino Murat Pagina 3 - Gelati : Il Re tartufo Pagina 4
- La chiesetta di Piedigrotta tra fede e leggenda
Pagina 6
- L’antica Tonnara
Pagina 7 - Pizzo: Museo della Tonnara Pagina 8 - Dossier: WWF Lago Angitola - Oasi Naturalistica Pagina 9
- La Fauna dell’Oasi
Pagina 10
- Il falco pescatore
Pagina 11 - Specchio d’acqua : Flora Pagina 14 -Un parco naturale a Vibo Valentia: Villa Gagliardi Pagina 15 - Rifiuti a Vibo: Commedia tragicomica... Pagina 17- Cessaniti : Pagina 18
7 milioni di anni fa
- Il complesso di Santa Chiara Da convento delle Clarisse a Sistema Bibliotecario
Pagina 20 - Natuzza -
Madre e mistica
Pagina 21 - Intervista a Natuzza Evolo Pagina 22
- Anteprima: Le grotte troglodite di Polia
Pagina 23 - La salute a tavola: La cipolla rossa di Tropea Inserto speciale - Scienza: Relatività generale e l’ Universo
Piazza Umberto I째 Oggi Piazza della Rebublica
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PIZZO fra cultura,
tradizioni e‌gelati
Storia Il castello di Pizzo e la fucilazione di Gioacchino Murat ll Re Ferdinando I d’Aragona fece costruire un piccolo castello intorno alla torre angioina già esistente. Il massiccio corpo quadranPiazzale della fucilazione golare, con casematte e pianterreni, che scende perpendicolare sulla rupe dalla parte del mare, da una parte era circondato da un fossato sul quale il ponte levatoio e la porta ne consentivano l’accesso. Il Maniero, dalle parte che si affaccia sul mare, scende perpendicolarmente sulla rupe; dall’altra, una seconda strada lo circondava e qui un ponte levatoio ed una porta ne consentivano l’accesso. Secondo una descrizione del cinquecento, oltrepassata la porta, si giungeva ad un piccolo cortile, alla cui destra, si trovava la zona carceraria costituita da quattro camere e a sinistra, le casematte con le vettovaglie. Dal cortile, attraverso una scala, si saliva alla parte superiore ove erano dislocate otto stanze. La fortezza era altresì dotata di pianterreni e camminamenti interni che portavano anche fuori città. Essendo stata costruita allo scopo di difendere la costa dai barbareschi, durante l’occupazione Francese, gli fu aggiunta una batteria a mare, a difesa della spiaggia, detta Monacella. Dei sotterranei del castello non si è mai potuto conoscere l’esatto itinerario ed il loro utilizzo è sempre rimasto un mistero che ha alimentato la fantasia popolare per cui alcuni suppongono siano lunghi addirittura decine di chilometri e comunicanti con i castelli di Rocca Angitola e di Vibo Valentia. Quello che si è potuto provare è che una diramazione portava al mare, mentre un’altra conduceva in piazza della Repubblica. Lapide dedicata a Il castello è noto per essere stato carcere e priGioacchino Murat gione politica di personaggi d’importanza nazionale; tra questi probabilmente, varcò la soglia del castello in catene Tommaso Campanella. Durante il periodo del brigantaggio antifrancese le prigioni del castello pullulavano di banditi e ribelli, ma nel 1815 il castello acquista notorietà mondiale perché nelle sue celle venero rinchiusi Gioacchino Murat, re di Napoli e tutto il suo Stato Maggiore di Guerra.
Gioacchino Murat, dopo la sconfitta subita a Tolentino, abbandonò Napoli e si rifugiò in Francia per raggiungere il cognato Napoleone Bonaparte, ma non ebbe il tempo di rincontrarlo poiché Napoleone, nel frattempo era stato sconfitto a Waterloo. Murat fuggì da Cannes e si nascose in Corsica, da dove salpò con sei navi le navi che ebbero tutte un tragico destino. Due navi finirono sotto il tiro della crociera napoletana, un’altra se ne tornò in patria, mentre la nave di Murat assieme ad altre due furono spinte dal vento fuori rotta, fino ad arrivare sulle coste calabresi. Una delle tre navi abbandonò presto la spedizione, così Murat rimasto solo con due navi e pochi uomini, decise di approdare l’8 ottobre 1815 nel porto di Pizzo per tentare l’impresa in terra ferma. Si unirono al Re Gioacchino un certo Francesco Salomone, Francesco Alemanni ed un sergente di nome Sanadres. Murat deluso dalla fredda accoglienza decise di proseguire per Monteleone, ma subito sopraggiunse il comandante del piccolo forte, capitano Devouz che esortò Murat a fuggire poiché la popolazione si armava per arrestarlo, istigata da nobili locali.Il Re proseguì verso Monteleone e raggiungere la loParticolare piazzale calità Parrera, dove si trovò circondato da centinaia di popolani comandati dal capitano di gendarmeria Gregorio Trentacapilli, il quale dopo un invito ad unirsi alla nuova causa, impose al Francese di arrendersi in nome di Ferdinando IV. Venne catturato e condotto al castello dove lo raggiunse l’ordine da Napoli di fucilarlo dopo un sommario processo. Gioacchino Murat dopo ave scritto una lettera alla moglie chiese di comandare lui stesso il plotone d’esecuzione. Le sue ultime parole furono: “Amici miei,sapete che sono io a comandare il fuoco; la corte è assai stretta perché voi tiriate giusto; MIRATE AL PETTO SALVATE IL VISO”. Era il pomeriggio del 13 ottobre 1815. Come ringraziamento alla popolazione per la cattura di Murat Ferdinando IV di Borbone, Re di Napoli, diede licenze di commercio, opere d’arte, concesse sei rotoli di sale a testa, pensioni vitalizie e tanti altri privilegi.
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Maggio 2012 n ° 1 - Anno I°
Antonella Casuscelli - Simona Condello - Chiara Curtosi Classe IV AL
Approfondimento Chi era Gioacchino Murat Gioacchino Murat sposò Carolina Bonaparte sorella di Napoleone, quindi cognato dell’imperatore, che lo fece maresciallo, poi principe ed infine re di Napoli. Murat governò in modo saggio e generoso e pensò all’unificazione dell’Italia. Quando la stella di Napoleone si spense, Murat fece di tutto per salvare il Regno di Napoli ma senza riuscirci.
Gelati
Il Tartufo: IL RE di Pizzo
U
n cuore di cioccolato fondente, avvolto da un cremoso gelato alla nocciola, spolverato di cacao amaro…pochi ma genuini ingredienti lavorati rigorosamente a mano, per creare questa delizia del palato: il tartufo di Pizzo. Nella famosa piazza Il tartufo e altre specialità del paese napitino (da Napizia antico nome della città in onore di Napezio, comandante dei coloni greci che la fondarono), i vari bar nascondono gelosamente la ricetta, tramandata da generazione in generazione, perché, se assaggiate i vari tartufi, capite che sono differenti l’uno dall’altro, eppure la ricetta è sempre la stessa: nocciole, cacao, zucchero … Anche a distanza di anni quel sapore sublime ti assale come le madeleine proustiane e ti riporta alla memoria dove, quando, con chi lo hai gustato.Provare per credere!
Breve storia Il tartufo è stato creato dai Maestri Gelatai "Pizzitani" che, nella primavera del 1943, in onore del Principe Umberto I° di Savoia, venuto a Pizzo a seguito di un'ispezione militare,decisero di dedicargli un gelato. I pizzitani sapevano che il Piemonte, regione nativa del Principe, era rinomata per il cioccolato e le nocciole, ma soprattutto per i suoi tartufi, che nascevano nella valle del fiume Po. I gelatai, quindi, inventarono una versione del tartufo a base di gelato. Ci vollero settimane di lavoro per perfezionare la ricetta e molto ghiaccio trasportato dal monte Etna per conservare i gelati. Quando il Principe assaggiò la versione calabrese del “suo tartufo”, lo definì così: "Il Re di tutti i gelati". Da allora la tradizione si tramanda intatta con questa forma che ricorda il che ricorda il tartufo nero. 3
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Maria Barbara Cortese - Mariafrancesca Costa - Ilaria Ferraro Classe IV AL
Statue in tufo Rappresentazioe Eucheristica
Statue in tufo NativitĂ
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La chiesetta di Piedigrotta tra Fede e leggenda
La Chiesetta di Piedigrotta tra fede e leggenda. Sul litorale di Pizzo Calabro, a pochi metri dalla riva del mare, sorge la Chiesetta di Piedigrotta, espressione dell’arte popolare e di culto in Calabria. La Chiesetta è interamente scavata nel tufo e con una sorgente d’acqua purissima all’interno. Gli autori sono Angelo e Alfonso Barone, i quali, a colpi di piccone, hanno ampliato la grotta preesistente e altre ne hanno create ornandole poi di una miriade di statue rappresentanti varie fasi della Statue in tufo vita di Gesù, della Madonna, dei Santi Altare Maggiore e dello scorrere del tempo Questo splendido scenario, unico nel suo genere e dai colori ambientali mutevoli è molto suggestivo se lo si osserva verso il tramonto quando il sole, penetrando dalle finestrelle e illuminando le statue, crea con il buio della grotta un contrasto di luceombra che emoziona il visitatore. L’ambiente della grotta è magico. Nessun rumore, nessun suono rompe l'incanto magico di chi viene qui a pregare.
La leggenda
Verso la fine del seicento, un veliero navigava nel Golfo di Sant’Eufemia finché non fu colto da una tempesta. I marinai, tutti di Torre del Greco, fecero voto a Maria SS. di Piedigrotta il cui quadro si trovava nella cabina del comandante, di erigere una cappella votiva nel punto ove avrebbero toccato terra in caso di salvezza. Un dipinto a forma circolare sulla navata centrale della Chiesa rappresenta infatti una tempesta di mare e un veliero in evidente difficoltà, quasi a conferma della leggenda. La nave, venne scaraventata contro la roccia e andò in pezzi. Ma solo un oggetto rimase intatto: il quadro della Madonna. I marinai, tenendo fede alla promessa fatta scavarono nella roccia una buca e vi depositarono la sacra immagine ripromettendosi di erigere, una cappella votiva. I pescatori locali, temendo che il posto fosse troppo esposto ai marosi, portarono il quadro in una grotta poco distante, ma meno esposta alle intemperie, edificando anche un piccolo altare. Un mattino, però, dopo una violenta burrasca notturna, il quadro non venne ritrovato al suo posto: il mare aveva invaso la grotta e si era portato via l’immagine sacra rinvenuta, dopo pochi giorni, nello stesso luogo ove fu trovata la prima volta. I pescatori Statue in tufo decisero, pertanto, di scavare nella roccia nel punto dove Cristo Redentore toccò terra la prima volta, una grotta con un piccolo altare ove fu posto il quadro della Madonna. Successivamente fu eretta anche una piccola torre con la campana di bordo della nave, datata 1632… Per circa duecento anni la Chiesetta di Piedigrotta fu questa. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, Angelo Barone, affascinato dai racconti che i pescatori del piccolo borgo di Piedigrotta facevano sull’accaduto, decise di costruire nel tufo aiutandosi solo con un piccone e una vanga, la chiesetta scolpendo poi una miriade di statue di semplice ma toccante bellezza: la natività con relativo presepe, la Pesca Miracolosa, scene di storia sacra. Quando Angelo spirò dopo molti anni, anche la campana della chiesetta di colpo e misteriosamente smise di suonare, fra la meraviglia di tutta la popolazione. La Chiesetta, testimonianza di fede e miracolosa bellezza, è oggi meta di migliaia di visitatori e costituisce uno dei maggiori richiami turistici di Pizzo. E aperta tutti i giorni e vi si celebra messa il 2 luglio, ricorrenza della Madonna delle Grazie.
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Marialuisa Broso - Giada Calello Classe IV AL
L’ Antica Tonnara :
brevi cenni storici delle tonnare vibonesi
Esempi di questa antica attività sono ancora visibili presso La Rocchetta e Sant’Irene, nei pressi di Briatico, dove si possono ammirare due peschiere di epoca romana. Quest’ultima, meglio conservata, si può vedere a pochi metri dalla riva. Si tratta di due gruppi di vasche: quelle per tenere in fresco il tonno pescato, scavate nella roccia dello scoglio e collegate tra loro e con il mare attraverso una serie di canali, e quelle per la conservazione e la salatura del pesce, situate su una piccola spiaggia a ovest dello stesso scoglio.
Tonnara Momenti della pesca
La Tonnara di Pizzo La tonnara di Pizzo era legata ad un sistema di pesca importato agli Arabi negli anni mille, basato sulla staticità delle reti annegate a mare e sbarranti il passo ai tonni lungo la loro rotta, e di conseguenza intrappolati in concamerazioni costruite di reti a corda o “gutamu”. La tonnara fissa rifletteva un sistema arcaico di cattura. Quella calabrese era basata principalmente sulla rete sbarrante detta “pedale” lunga 1800 metri e, sull’isola, costituita da una flottiglia di barconi disposti in modo da delimitare uno specchio d’acqua rettangolare, suddiviso da una serie di reti fisse, in tante concamerazioni. La costruzione, la messa a mare della tonnara avveniva nel mese di maggio mentre s’iniziava a lavorare, per rendere efficienti le imbarcazioni, già dai primi di aprile. Il Rais (dall’arabo: capo) o capo-tonnara, oltre a dirigere i lavori di manutenzione, doveva uscire spesso in mare per studiare la posizione migliore al fine di ubicare il complesso dell’isola. Una ciurma di 60 persone fissava come prima cosa tre cavi di acciaio, i primi due sostenevano le reti verticali delle concamerazioni, mentre il terzo sorreggeva la rete sbarrante detta “pedale”. Il corridoio rettangolare dell’isola veniva suddiviso da tante reti in Tonnara cinque concamerazioni; la tonnara era sosteLa Mattanza nuta da un’enorme barca detta “caporais”, mente le altre erano denominate: portanova, colonnitu, uscieri, musciari, rimorchiatore “Caterina”, rimorchiatore “Tunnu”. La camera della morte era una rete a tronco di piramide con la base maggiore di lato 25 m. mentre il lato di base minore 17 m. circa veniva assicurato alla barcaccia caporais. L’ultima stagione di pesca della tonnara fissa di Pizzo fu nel 1963, ma non riuscì a controbattere la concorrenza pescando solo 12 tonni e chiudendo con un pesantissimo disavanzo negli investimenti. Centinaia di provetti pescatori, dovettero cambiare mestiere emigrando a Genova e imbarcandosi sulle navi mercantili. Altri si diedero alla piccola pesca o al mestiere del pescivendolo.
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Continua
Museo dellaTonnara Sala congressi
PIZZO: Museo della Tonnara Museo della tonnara:dalla ricerca storica antropologica alla scienza biomarina e alla promozione e comunicazione territoriale, dal monitoraggio ambientale alla didattica per le scuole e alla formazione permanente per gli adulti. La sua finalità è di promuovere la cultura del mare con metodologie attuali, coniugando storia e tradizioni con attenzione ambientale, educazione scientifica ed innovazione. Un modello plastico fatto di mare, reti, tonni, marinai e luci con sullo sfondo Pizzo di due secoli fa, spiega come funzionava la grande macchina della tonnara, introdotta dagli arabi tanti secoli fa. Ecosfera marina
Una visita al museo della Tonnara, centro marino interattivo, è un’occasione per approfondire la conoscenza di uno degli abitanti più affascinanti e studiati del mare. Un microscopio stereoscopico, collegato a una telecamera con proiezione su grande schermo, consentirà di indagare sulle forme viventi in una goccia d’acqua di mare, di percorrere le praterie sommerse che costituiscono le sottili patine verdi facilmente visibili sugli scogli, di fare la conoscenza con gli abitanti delle foreste di alghe e di Posidonia, uno degli ambienti più ricchi del Mediterraneo.
Curiosità
L’acqua dentro la sfera è acqua di mare: l'unico apporto esterno è costituito da luce e calore. I gamberetti si nutrono di alghe, le alghe si nutrono di sostanze inorganiche sintetizzate e trasformate in zuccheri tramite la fotosintesi. I batteri, nutrendosi, provvedono a trasformare le sostanze organiche di alghe e gamberetti che hanno concluso il loro ciclo vitale. Ancora: le alghe, come sottoprodotto della fotosintesi, emettono ossigeno che serve alla respirazione dei gamberetti e dei batteri.Un ecosistema con una catena alimentare cortissima ma che rappresenta molto bene il nostro mondo: la biosfera, un sottile strato spesso solo 20 chilometri, praticamente la differenza tra la quota dell’Everest (8.844 m) e quella della Fosse della Marianne (-10.911 m), dove si svolgono la quasi totalità dei processi vitali. Per intenderci, se il nostro pianeta avesse le dimensioni di una pesca, la biosfera sarebbe una pellicola spessa circa come la buccia. Teniamocela cara.
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Antonina Kyrpan - Teresa Mamone - Ilaria Manduca Classe IV AL
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Dossier WWF Lago Angitola Oasi Naturalistica
acino artificiale in via di rinaturalizzazione, rifugio per migliaia di uccelli migratori in quanto unica zona umida del basso Tirreno, fra Serre Persano e la Sicilia. E’ circondato per buona parte da vegetazione riparia e pinete di rimboschimento. Presenti uliveti e tratti a macchia mediterranea. Lungo le rive, Salici bianchi e Ontani neri, cui segue la pineta di impianto artificiale a Pino D’Aleppo. La vegetazione anfibia è rappresentata soprattutto dal tifeto e dal fragmiteto (cannuccia di palude). Svassi, anatre e folaghe, insieme ai cormorani, svernano regolarmente nell’invaso. L'Oasi di Protezione della fauna del Lago Angitola venne istituita nel 1975 e dopo 10 anni ottenne il riconoscimento come Zona Umida di Importanza Internazionale per l’avifauna acquatica, secondo la Convenzione di Ramsar.
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Vista del bacino del Lago Angitola
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E’ inoltre inserita nell’elenco dei siti di importanza comunitaria (SIC) previsti dalla Direttiva 92/43/CEE nota come Direttiva “Habitat” e fa parte del Parco Regionale delle Serre. Dal 1986 il WWF, grazie ad un accordo con il Consorzio di Bonifica del Tirreno Catanzarese, cura la fruizione didattica e naturalistica dell’oasi. Continua Dossier: WWF Lago Angitola Oasi Naturalistica
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Panoramica dall’alto di un tratto del bacino
La Fauna dell’oasi La fauna dell’Oasi Naturalistica del Lago Angitola, non è costituita solo da uccelli, ma anche da mammiferi, con la presenza del tasso, della donnola e della volpe e due insettivori interessanti come il riccio e la crocidura minore. Da qualche anno a questa parte si fanno sempre più evidenti i segni della presenza del cinghiale, immesso artificialmente sulle montagne circostanti per scopi venatori. Nelle acque del Lago Angitola vivono il granchio d'acqua dolce, che l'inquinamento ha reso ormai raro, e numerosi pesci come il carassio, l'anguilla, e la gambusia, introdotta perché grande divoratrice di larve di zanzare. Numerosi anche anfibi e rettili tipici delle zone palustri. Tra i primi si segnala in particolare la presenza del piccolo Tritone italico (Triturus italicus ) in alcune pozze temporanee , mentre tra i Rettili si fa sempre più rara la tartaruga palustre europea (Emys orbicularis), nonché di una specie “aliena”, la tartaruga scivolatrice americana (Trachemys scripta elegans e T. scripta scripta) , frutto di immissioni incontrollate, che nel lago ha trovato le condizioni ambientali idonee per la sopravvivenza, a tal punto da riprodursi regolarmente.
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Il Falco Pescatore (Pandion haliaetus)
Il falco pescatore è l’unica specie vivente di uccello che appartiene alla famiglia dei Pandionidae, anche se alcuni tendono a inserirlo nella famiglia Accipitridae, che comprende tutte le specie di rapaci diurni, ad eccezione dei Falchi veri e propri (Famiglia Falconidae). La famiglia degli Accipitridi è un gruppo di rapaci non nettamente definito, di mole media o grande, con le ampie ali “digitate” e non a punta e la mandibola superiore non dentata in modo netto come avviene invece nei veri falchi. Il Falco Pescatore ha le ali larghe e le estremità arrotondate, con una silhouette di volo che ricorda quella di un grande gabbiano e una caratteristica colorazione bicolore: scura nelle parti dorsali e bianca in quelle ventrali, con una banda scura che attraversa l’occhio, fino alla nuca. Delle 8-10.000 coppie che si riproducono in Europa, circa la metà nidificano nella penisola scandinava , mentre la popolazione nidificante nel Mediterraneo è di qualche decina di coppie. In Italia è ormai estinto come nidificante e lo si può osservare o durante le migrazioni da e verso il continente africano, oppure come svernante in alcune località, più regolarmente in Sardegna e più sporadicamente e con pochi individui in Toscana, Sicilia , Lazio, Emilia Romagna, Liguria, Puglia e Lombardia. Morfologia • Lunghezza:60 cm • Peso:1,4-2 kg • Apertura alare:1,7 m • Piumaggio marrone scuro ,quasi nero di sopra, mentre il petto risulta bianco , con una pettorina scura sulla gola. • Becco uncinato e di colore nero Nutrizione Si nutre essenzialmente di pesci che afferra in veloci picchiate.
Magnifico esemplare di Falco Pescatore
Riproduzione L’incubazione dura 5 settimane, le femmine covano dalle 2 alle 4 uova
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Specchio d’acqua: Flora
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’area è caratterizzata da alcuni interessanti lembi di Macchia Mediterranea in cui predominano le sclerofille sempreverdi, a cominciare dalla Quercia da Sughero (Quercus suber), nei cui boschi vegeta l’Orniello (Fraxinus ornus) e dove si riscontra la presenza del Corbezzolo (Arbutus unedo), Erica (Erica arborea), Mirto (Myrtus communis), Lentisco (Pistacia lentiscus), Edera spinosa (Smilax aspera), Cisto femmina (Cistus salvifolius) ecc.
Vegetazione dell’Oasi
Il Salice Bianco Il Salice Bianco (Salix alba, Linneo 1753), detto anche salice da pertiche è una pianta della famiglia delle Salicaceae… Quella delle Salicaceae è una famiglia di Angiosperme che comprende i generi Salix e Populus.Essi portano foglie semplici, a volte spiralate, decidue, alterne e stipolate. I fiori sono unisessuali e riuniti in amenti portati su individui diversi, per cui le specie sono dioiche. L'impollinazione è prevalentemente anemofila nei pioppi ed entomofila nei salici. I frutti sono delle capsule che portano molti semi provvisti di ciuffi di peli che favoriscono la disseminazione anemofila. Il Salice bianco è un albero alto fino a 25 m, dalla chioma aperta e i rami sottili, flessibili e tenaci, ha la corteccia giallastra o grigio-rossastra. Le foglie lanceolate - acuminate, con stipole caduche e piccole, hanno la pagina superiore poco pelosa o glabra, di sotto hanno densa peluria che conferisce una colorazione argentea... I frutti sono costituiti da capsule glabre e subsessili che, a piena maturazione, si aprono in due parti liberando dei semi cotonosi... Il genere Salix comprende circa 300 specie caratterizzate da rapido accrescimento e scarsa longevità, caratteristiche che troviamo pienamente nel salice bianco…È un albero che è comune trovare nei luoghi umidi e lungo i corsi d'acqua fino a 1000 metri di altitudine in tutta Europa. Il salice bianco viene utilizzato per consolidare i terreni di ripa e le pendici franose, ed il suo legno, leggero e non molto pregiato, viene utilizzato nell'industria cartaria. Inoltre è utilizzato come combustibile perché brucia in fretta e produce un buon calore.La pianta è inoltre ricca di virtù medicinali: l'acido salicilico composto alla base della nota aspirina fu ricavato proprio dal salice bianco, e la corteccia contiene tannino, utilizzato come disinfettante e cicatrizzante. 11
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Salice Bianco
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Il Pioppo Nero (Populus nigra)
È
una pianta originaria dell’Europa centro-meridionale e dell’Asia occidentale, ampiamente diffusa in Italia nelle zone di pianura e fino a 1200 metri di altitudine. Esso presenta foglie ad inserzione alterna, simmetriche, di forma ovato-triangolare, ad apice appuntito e margine seghettato, con un picciolo lungo da 3 a 7 cm. Hanno colore verde scuro sulla pagina superiore e verde-giallastro su quella inferiore. La corteccia è grigia negli esemplari giovani, tende a scurirsi con l'età della pianta, solcata da profonde fessure. Tende a sviluppare lunghe radici superficiali. La chioma è rotonda, a cupola, abbastanza ampia, ma rada, che ragPioppo Nero giunge rapidamente i 30-35 metri di altezza. Del Pioppo nero è molto diffusa per scopi ornamentali nei parchi e nei giardini o per le alberature stradali, la varietà “italica”, nota come “Pioppo cipressino” a causa del suo aspetto colonnare, caratterizzata dai rami molto ravvicinati al tronco e che può raggiungere anche i 40 metri di altezza. Gli amenti maschili e femminili crescono su alberi diversi (la specie, come tutti gli appartenenti alla famiglia delle Salicacee, è dioica), quelli femminili sono ciuffetti bianchi e cotonosi di semi, quelli maschili sono grigi, marroni o rossastri. Il pioppo preferisce le posizioni molto luminose, soleggiate, ma si adatta bene anche a mezz'ombra, non gradisce l'ombra completa. Non teme il freddo e neanche il vento, è molto resistente all'inquinamento ed è per questo molto utilizzato per alberature stradali… Gli alberi di pioppo preferiscono terreni ricchi in materia organica, leggeri e ben drenati, difficilmente si adattano a terreni inconsistenti e sterili; in natura prediligono le zone umide, vicino a fiumi e torrenti, poiché non tollerano le siccità di lunga durata. La moltiplicazione avviene per talea: in primavera, le talee si fanno radicare in un miscuglio di torba e sabbia in parti uguali, le nuove piantine vanno coltivate in serra per almeno due anni prima di essere poste a dimora, poiché gli esemplari giovani possono subire danni dal freddo e dal vento. La propagazione può avvenire anche per seme; in autunno si possono prelevare i polloni basali, che solitamente le piante adulte sviluppano in numero cospicuo.
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Dibattito conclusivo del Presidente territoriale del WWf Giuseppe Paolillo con alcuni ragazzi del Liceo Capialbi Che vegetazione c’è a villa Gagliardi? Ci sono molti alberi tra cui: leccio, alloro,cedro, pino domestico, rubinia, loverella, mimosa, magnolia
Che vegetazione c’è al Lago Angitola? Ci sono piante della macchia mediterranea come: la quercia da sughero il mirto, l’edera spinosa, il trifoglio, il corbezzolo inoltre sono presenti alcune piante acquatiche come: il Pioppo Nero, la Tifa, la Brasca
Ci sono animali in via di estinzione nel lago Angitola? Il lago angitola è una specie di stazione ferroviaria, quindi ci sono specie abbastanza comuni, però fra un mese se ne potranno osservare alcune più rare.
Classe IVBSS
WWF Presidente
Classe IVASPP
Lo Riggio Mariagrazia Corrieri Francesca Ferraro Vincenzo Lo Muto Antonio Mammoliti Assunta
Territoriale Prov di Vibo Giuseppe Paolillo
Calzone Ilaria Sicari Marika Fuduli Katia Ramondino Anna Vallone Marianna Maccarone Catiuscia
Nel prossimo numero : Dossier Le grotte troglodite di Polia interessante storia geologica del nostro territorio, con foto e disegni relativi all’utilizzo di queste grotte nei vari secoli.
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Villa Gagliardi Cancello principale
Un parco naturale a Vibo Valentia: V i l l a Villa Gagliardi, grande area verde vibonese, è stata per decenni il polmone cittadino. La struttura fu creata per la famiglia dei marchesi Gagliardi, che alla fine della discendenza familiare lasciarono questo immenso patrimonio completamente abbandonato. Villa Gagliardi ,conosciuta anche come la Villa Comunale di Vibo Valentia, è stata costruita per esaltare il carattere ospitale della famiglia Gagliardi . Oggi la Villa rischia di entrare all’interno di un sistema che la porterà a perdere la sua figura rappresentativa della storia e della natura.
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G a g l i a r d i
Se infatti dovessimo pensare di passeggiare lungo gli antichi sentieri verdi di Villa Gagliardi, oggi non lo potremmo più fare, poiché ci troveremmo di fronte allo sbarramento del cancello principale d’accesso. Quello che prima era un luogo di ritrovo, di incontri, di amori e di divertimento, ora è caduto nel più assoluto abbandono, complice il menefreghismo generale dei vibonesi. Ciò che poteva rinascere per offrire uno spazio di verde e di tranquillità, invece, per via della cattiva gestione degli enti statali del vibonese, è diventato oggetto di sterile dibattito, senza alcuna conclusione.
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Eppure Villa Gagliardi conserva ancora una bellezza naturale di grande unicità in una piccola città e rappresenta un elemento rilevante per la sua importanza storica e culturale. Villa Gagliardi è situata nella zona del castello Normanno – Svevo , posta sul retro e a pochi passi dal convento dei Cappuccini e dalla chiesa di Sant’Antonio Un’area così importante meriterebbe sul serio di essere valorizzata sia dal punto di vista paesaggistico che storico, unitamente all’intero patrimonio architettonico della città, ed è per questo che i vibonesi dovrebbero chiedere a gran voce di esaminare seriamente il caso, perché un elemento tanto imponente, piuttosto che restare un grande “gioiello” perduto, potrebbe dar luce alla città.
Maria Giovanna Mazza - Anna Chiara Mazzeo Classe IV AL
Cittadini virtuos impegnati alla raccolta ie consegna
“Rifiuti a Vibo”, commedia tragicomica con spunti farseschi Personaggi e interpreti : Amministrazioni comunali, Associazioni per la difesa del territorio e dell’ambiente, cittadini I Atto:
Prologo: Il problema della gestione del ciclo integrato dei rifiuti a Vibo Valentia è figlio del “Piano regionale dei rifiuti” in Calabria, che nasce nel 2007. Con un’ inspiegabile contraddizione: con l’obiettivo dei “Rifiuti zero” obbliga i comuni ad aumentare progressivamente le percentuali annue di raccolta differenziata fino al raggiungimento del 6 5 % previsto per il 2012 dald . l g s , ma, al tempo stesso prospetta la realizzazione di megadiscariche ed inceneritori, cominciando con il raddoppio di quello in funzione a Gioia Tauro. Il tutto in una regione di 2.000.000 di abitanti e con città medio-piccole, che produce complessivamente un milione di tonnellate di rifiuti all’anno, una quantità inferiore a quella giornaliera di Napoli e di Roma, cosa che farebbe pensare ad un’agevole e virtuosa soluzione del problema. Invece la raccolta differenziata si ferma ad un misero 12% con un evidente serio danno ambientale e un non meno importante danno economico, quantificato in un miliardo di euro per i 15 anni di commissariamento.
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In tale non esaltante contesto regionale, se pur con le belle eccezioni di alcuni comuni “ricicloni”, nel 2009 l’amministrazione comunale di Vibo Valentia appalta il ciclo dei rifiuti alla Eurocoop s.c.a.r.l.; il contratto prevede la raccolta differenziata “porta a porta”, con l’impegno di assicurare percentuale minima del 50% entro l’anno; l’informazione/sensibilizzazione della popolazione; la distri- buzione dei sacchetti per l’ umido; il conferimento dell’organico e dei materiali recuperabili, la percentuale massima del 50% di conferimento dell’indifferenziato, lo spazzamento quotidiano delle strade, diserbo, la raccolta degli ingombranti, la pulizia delle spiagge e lo svuotamento quotidiano dei cestini. Si parte dal rione Carmine, nel cuore del centro storico della città e, grazie all’azione capillare di sensibilizzazione ed informazione svolta in perfetta sinergia tra la ditta appaltatrice, l’assessore comunale all’ambiente Enzo Insardà, il parroco don Cannatelli e l’associazione CittAperta e grazie alla collaborazione dei residenti, si arriva in tre mesi al 60% di differenziamento. Si procede, quindi, con le stesse modalità, in altri quartieri e frazioni con risultati incoraggianti. Antonella Mazzotta - Anna Montauro Classe IV AL
(A questo punto il lettore penserà che Vibo Valentia, a tre anni di distanza, sarà inserito nel circuito dei comuni virtuosi; errore!)
II Atto Nel 2010 cambia l’amministrazione e cambia lo scenario: tutto si ferma, si interrompe la distribuzione dei sacchetti per l’umido nei quartieri dove la raccolta era stata avviata, non si estende il servizio agli altri quartieri della città. I cittadini si sentono ovviamente traditi e cominciano le campagne di denuncia per mezzo dei giornali, di banchetti informativi, raccolte di firme, lettere al Sindaco e al Prefetto da parte delle associazioni, riunitesi nel frattempo nel Forum delle Associazioni Vibonesi, con l’obiettivo della difesa del territorio, dell’ambiente, della salute e dei beni comuni ed il convincimento che solo la pratica della democrazia partecipata possa portare a decisioni condivise e trasparenti e a risultati ottimali.
III Atto Si apre un periodo di “collaborazione” tra esponenti del Forum, amministrazione comunale e ditta appaltatrice per far fronte ad un problema che è diventato emergenza, dal momento che l’unica discarica disponibile è insufficiente e viene ripetutamente chiusa per lavori di manutenzione ed infrazioni varie in cui incorre.
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Il “tavolo” ha vita breve: i tempi di realizzazione del programma stilato dalle parti, fissati in circa due mesi, sono continuamente prorogati, i rapporti con l’amministrazione diventano molto tesi, le denunce pubbliche del Forum sempre più gravi e la città è letteralmente invasa dai rifiuti. Le richieste pressanti dei cittadini per il servizio di raccolta differenziata “porta a porta”, in esecuzione degli obblighi contrattuali ottengono in risposta dall’assessore all’ambiente annunci di date di riavvio della raccolta porta a porta che, però, vengono puntualmente rimandate di mese in mese.
IV Atto Stanchi di inganni e di offese alla propria dignità, il 4 febbraio scorso, i Vibonesi hanno dato vita alla “1a Giornata del Conferimento collettivo dei rifiuti differenziati”. Una carovana di auto piene di plastica, vetro, carta, cartone, alluminio, legno e altri materiali riciclabili, al grido di “La mia città non è una discarica”, ha percorso le vie della città e si è recata alla piattaforma ecologica, dove ha conferito quasi 4 tonnellate di rifiuti differenziati. Dopo qualche giorno il Consiglio Comunale, in un’aula affollata da cittadini e rappresentanti delle associazioni, vota all’unanimità una delibera con cui si dà mandato al Sindaco, entro trenta giorni, di richiamare i vertici di Eurocoop al rispetto degli obblighi contrattuali e, in caso di perdurata inadempienza, di attivare le procedure di diffida in vista della rescissione del contratto. Lieto fine?
Epilogo I trenta giorni scadono ma nulla sembra essere cambiato: i Vibonesi, perciò, organizzano una seconda “carovana del differenziamento”. E sono pronti ad avviare esposti alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti. Perché, forse, finalmente hanno preso coscienza che il Deus ex machina esiste solo nel teatro e l’istituto della delega ha ormai fatto il suo tempo. E’ necessario tornare ad essere comunità per sentire forte e irrinunciabile il legame con il proprio territorio e la consapevolezza dei propri diritti fondamentali.
Maria Giovanna Mazza - Anna Chiara Mazzeo Classe IV AL
Cessaniti : 7 milioni di anni fa A Cessaniti, paese nell’entroterra della provincia di Vibo Valentia, nella Cava Brunia, detta anche Cava Gentile o Cava Cutuli riaffiorano areniti poco cementate ricche di grossi echinodermi clypeasteroidi, fossili noti ai paleontologi di tutto il mondo come Clypeaster, o ‘biscotti di mare’ e fauna a grossi vertebrati, sia marini che terrestri ". I livelli stratigrafici più bassi nella cava sono rappresentati dalle argille con le grandi ostree Crassostreagryphoides, gasteropodi di ambiente salmastro come i potamidi e Cyclope, e denti dello squalo Isu-
Alcuni fossili (collezione privata)
Cava Brunia Sotto particolare della cava
rus.Da Cessaniti e da località vicine come Zungri provengono fossili di vertebrati marini e terrestri del tardo Miocene. Tra le forme marine sono stati rinvenuti resti di mammiferi sirenii, di tartarughe e di pesci cartilaginei quali razze e squali. La presenza più rilevante e meglio documentata è quella dei sirenii, detti anche 'mucche di mare' per il ruolo di brucatori di fanerogame, delle specie Metaxytheriumserresii e Metaxytherium medium. I resti del primo sono abbastanza comuni nelle cave di Cessaniti e l’età tortoniana ne fa gli esemplari più antichi. Accanto alle specie marine, sono stati rinvenuti mammiferi terrestri come il
proboscidato Stegotetrabelodonsyrticus, il rinoceronte del genere Diceros, il giraffide Samotherium, boissieri e alcuni bovidi. Il paese di Cessaniti si trova ora a 550 m. di altezza. Queste scoperte di fossili dimostrano la presenza del mare su queste colline, sette milioni di anni in cui la linea di costa verso l’altipiano del Monte Poro determinò il passaggio della zona di Cessaniti da un sistema lagunare a un sistema marino aperto.
Bibliografia Barbera C., Tavernier A. (1990). Paleoecologia della successione miocenica di Vibo Valentia. In Robba, E. (ed.), Atti Quarto Simposio di Ecologia e Paleoecologia delle Comunità Bentoniche, Sorrento, 1988: 233-245. Checchia-Rispoli G. (1925). Illustrazione dei clipeastri miocenici della Calabria seguita da uno studio sulla morfologia interna e sulla classificazione dei clipeastri. Memorie per Servire alla Descrizione della Carta Geologica d’Italia 9, 75 pp.
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Maria Rosa Andria - Maria Letizia Bova Classe IV AL
Il complesso di Santa Chiara Da convento delle Clarisse a Sistema Bibliotecario
Chiostro di Santa Chiara Interno
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l complesso di Santa Chiara si trova nel centro storico della città alle appendici del castello Normanno-svevo. La sua origine risale alla fine del XVI secolo subendo, nel tempo, numerose trasformazioni. Prima noto come monastero di Santa Chiara d'Assisi, costruito grazie al finanziamento di alcune nobili famiglie Monteleonesi, tra cui i Pignatelli, era composto da un edificio su due piani, con cortile quadrangolare delimitato da un portico e affiancato dalla chiesa intitolata a Santa Chiara d'Assisi che permetteva un collegamento 18
Per molti anni il monastero fu sotto la guida delle Badesse Pignatelli, frequentato da nobili fanciulle che accettavano la regola dell'ordine delle Clarisse. Il disastroso terremoto del 1783 causò oltre alle numerose vittime, danni notevoli che portarono alla chiusura del monastero. Il 4 Giugno 1784 fu istituita con dispaccio reale la “Cassa Sacra” che eseguì l'esproprio di tutte le terre del monastero di Santa Chiara. Abolita la feudalità nell'anno 1806 da Giuseppe Bonaparte, re di Napoli, Monteleone fu liberata dall'oppressione dei Pignatelli e nel 1808, quando Gioacchino Murat assunse il
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trono del Regno delle due Sicilie, eliminò gli ordini religiosi, conventi e monasteri con l'espropriazione dei beni della Chiesa. Fu allora che il monastero di Santa Chiara fu in parte recuperato, divenendo rifugio dell’ordine dei Minimi di San Francesco di Paola. Il 26 aprile 1869 l'amministrazione comunale di allora decise di fondare un “Asilo di mendicità” ma le condizioni della struttura erano ormai pessime e nel 1880 venne chiusa. Il monastero divenne, poi, “Infermeria presidiaria” e nel 1885, eseguiti i lavori di ristrutturazione fu adibito a centro sanitario militare fino al 1925.
Poi i locali vennero ceduti prima alla scuola di disegno industriale che ne avviò una ulteriore ristrutturazione, poi al Liceo Linguistico privato “Pentecoste” nel 1978. In stato di completo abbandono, il complesso è stato recentemente ristrutturato dal Comune per divenire nel 2011 sede del Sistema Bibliotecario Vibonese.
Sotto Alcune scaffalature del Sistema Bibliotecario
Sopra Targa all’ingresso del Sistema Bibliotecario
Sopra Una delle sale lettura
Sopra Prima e dopo ill restauro
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Gilda Guerrera - Cristina Jacopino- Rosita Rotella Classe IV AL
Natuzza, madre e mistica “Stare vicino agli altri non mi è mai pesato. Quello che ho fatto … è frutto dell’amore di Gesù verso tutti noi. Io cerco di offrire la mia sofferenza. Ma non può bastare”
N
atuzza Evolo, la mistica di Paravati, in provincia di Vibo Valentia, la donna con le stimmate che dialoga con la Madonna, con gli angeli e i morti, è stata anche una mamma attenta e premurosa per i suoi figli. Franco la ricorda durante le giocate a tombola e le raccomandazioni di coprirsi prima di uscire di casa, poi divenuta “ la mamma “ non solo di tutti i paravatesi ma anche degli italiani e di tutto il mondo: Australiani, Argentini, Svizzeri, Giapponesi , Statunitensi … In una intervista a Vincenzo Varone , giornalista e scrittore di Mileto, rilasciata più di venti anni fa, Natuzza risponde, in un italiano semplice di chi non ha studiato ma ricco di suggestioni, che “lei è al servizio degli uomini e non fa altro che rispondere con le parole che le vengono suggerite dall’angelo custode”. Ha ascoltato migliaia di persone passate per la sua umile casa senza togliere nulla al marito e ai suoi cinque figli e nonostante le sofferenze causatele dalle stimmate che si comparivano nel periodo
Natuzza Evolo
Di fianco: Momenti della processione
pasquale e che le laceravano la carne. Ma, come scrive nel suo testamento spirituale, “Le cose più importanti e gradite al Signore sono l’umiltà e la carità, l’amore per gli altri e l’accoglienza, la pazienza, l’accettazione e l’offerta gioiosa a Lui”. Suo rammarico, semmai, è stato non poter confortare un numero maggiore di persone anche a causa dei suoi problemi di salute, ma la sua gioia immensa è stata quella di aver creato la Fondazione“Cuore Immacolato di Maria Rifugio delle anime”. Oggi a Paravati,infatti, è stata innalzata la Chiesa voluta dalla Madonna apparsa alla mistica nel 1944. “ Qui, oggi ho creduto di intravedere la presenza di Dio” così ha detto Sergio Zavoli una delle voci più autorevoli della cultura italiana, dopo l’incontro avuto con Natuzza , “Una creatura straordinaria - continua lo scrittore, giornalista- che esprime un’energia forte, che ha prodotto in me uno stato di pacificazione, che ha saputo rischiarare la mia vita … qui si respira un’intensa religiosità e la salute dell’anima”. E’ proprio questo che si provava davanti a Natuzza , che ha mantenuto sempre la sua semplicità perché lei “si riteneva solo un mezzo per dimostrare l’amore di Gesù verso tutti”.
Bibliografia: “Cara Mileto …” (Interviste e cronache in punta di Penna” di Vincenzo Varone (Ed. Nuove dimensioni)
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Francesco Soldano - Roberta Teramo - Angela Ventrici Classe IV AL
Intervista a Natuzza Evolo Per saperne di più... ricerca degli alunni della classe 5A L
Vincenzo Varone
- Oltre cinquant’anni di autentica missione al servizio della gente e soprattutto di quanti ad un certo punto della loro esistenza si sono improvvisamente trovati in un vicolo buio senza alcuna uscita. Non Le è mai pesato tutto questo? “No, sono sincera, stare vicina agli altri non mi è mai pesato. Quello che ho fatto e che quando mi è possibile, ma sempre più raramente, continuo a fare (tutto è legato alla mia malferma salute) è frutto dell’amore di Gesù verso tutti noi. Io sono solo un mezzo. Ed il Signore mi ha sempre aiutata a dare qualcosa agli altri soprattutto a chi aveva ormai perduto la speranza. Ed in questi anni, sempre con l’aiuto del Signore, sono anche riuscita a non trascurare la mia famiglia alzandomi presto la mattina e
coricandomi tardi la sera” . - Lei in questi 55 anni ha ricevuto migliaia di persone, provenienti da ogni parte del mondo: Australia, Argentina, Stati Uniti, Belgio, Svizzera, Giappone e naturalmente da ogni parte d’Italia. Vi è qualcuna di queste persone, che per un episodio particolare, le è rimasta particolarmente impressa? “Tutti quelli che sono venuti a trovami sono rimasti nel mio cuore: handicappati , persone che avevano gravi problemi di salute, tossicodipendenti che non sanno uscire dalla schiavitù della droga, fratelli che avevano perso la fede. L’altro ieri è venuto a casa mia un giovane affetto dall’Aids. Mi ha abbracciato. Era disperato. Io l’ho confortato dicendogli di avere fede in Dio e di non abbattersi. Da giorni prego per lui e per quanti si trovano nelle sue condizioni”. - Cosa Le chiedono i giovani che incontra? “Vogliono essere aiutati a risolvere i loro problemi. Alcuni sono schiavi della droga, altri dell’alcolismo, altri ancora soffrono per le incomprensioni che ci sono nelle loro famiglie o nel loro ambiente di lavoro. Io faccio quello che posso per aiutarli, con le parole che mi vengono suggerite dall’angelo custode”. Com’è questo angelo custode? “E’ come un ragazzo di otto,dieci anni,vestito di bianco,sollevato da terra e pieno di luce” - Ed i morti come appaiono davanti ai Suoi occhi? Le anime del Paradiso sono sollevate da terra e gioiscono della vicinanza con Dio; le anime del Purgatorio vivono invece in uno stato di attesa” - Natuzza cosa l’addolora di più in questo momento? “Mi rattristano profondamente le guerre che ci sono nel mondo e che causano migliaia di morti, la droga che miete continuamente vite umane e le tante tragedie che si consumano ogni giorno. Io cerco di offrire la mia sofferenza. Ma non può bastare”. - Si parla tanto di crisi della famiglia. Da dove nasce questo malessere? “Oggi sia gli uomini che le donne badano troppo alla carriera e al successo e trascurano il bene più prezioso: la famigia. Dovrebbero invece dedicare più tempo ai figli, che per crescere bene devono essere costantemente seguiti dai genitori. I ragazzi oggi hanno bisogno della vicinanza degli adulti più di quanto si possa pensare” - Parliamo adesso dell’associazione “Rifugio delle Anime”, da Lei tenacemente voluta, nata alcuni anni fa, e che ha già realizzato in loco una casa di accoglienza per anziani. Come vede il futuro di questa fondazione? “La Madonna l’ha voluta, quindi andrà avanti senz’altro”. - Quando l’associazione è stata costituita cosa ha provato? “Una gioia immensa. In quel momento ho anche pensato; Adesso posso anche morire, perché quello che voleva la Madonna si è realizzato”. Cos’è per Lei l’associazione “Cuore Immacolato di Maria” ? “Per me è un sesto figlio. Ad essa ci tengo tantissimo” Un’ultima domanda: La rattrista nono poter confortare più tanta gente come faceva un tempo? Sì mi rattrista: mi rattrista profondamente”.
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(L’ Intervista a Natuzza di Vincenzo Varone)
Anteprima Dossier Anticipazione del prossimo numero...
...le Grotte troglodite di Polia Le origini di Polia (paese della provincia di Vibo Valentia) si fanno risalire tra il quinto e l'ottavo secolo a.c. ; esistono prove e resti archeologici che hanno orientato appassionati ricercatori locali a formulare l'ipotesi che Polia sia stata fondata in questo lasso di tempo dagli ELLENI legandone l’ etimologia del nome al termine greco polis. Poleiis erano denominate le città greche e la dea Athena Polias era la divinità protettrice della città . Sull'acropoli di Atene, nel quarto secolo a.C. è stato costruito un tempio proprio dedicato, oltre che a Poseidon-Eretteo, alla dea Athena Polias.
Panoramica di Polia Sotto Grotte troglodite Nel secolo scorso in seno al territorio comunale sono stati rinvenuti vari esempi di grotte trogloditiche. Si tratta di caverne con le caratteristiche entrate a bocca di forno scavate nelle pareti tufacee della collina, sotto Trecroci. Lo stazionamento dei cavernicoli a Polia ci viene confermato dai manufatti di selce, affiorati qua e là in gran numero a seguito dei frequenti sconvolgimenti sismici che hanno sconquassato il territorio. Se venisse razionalmente esplorato il sottosuolo di queste spelonche, che in un primo tempo servirono da abitazioni e poi da sepolcri, si troverebbero certamente manufatti litici ed altri reperti utilizzati da quelle lontanissime genti.
Descrizione della grotta troglodita La forma di dimora più elementare è la grotta o caverna naturale in cui i trogloditi cercavano riparo: non tanto un riparo contro le intemperie, quanto contro gli altri uomini e le belve. Per quanto riguarda i ristretti nuclei di trogloditi contemporanei, non vi sono più abitatori stabili di caverne naturali. La dimora ipogea a camere multiple ripete un tipo presente nelle regioni mediterranee fin dall'età del bronzo, ma sempre limitato alle zone calde. Le dimore seminterrate sono diffuse sia negli ambienti molto caldi e aridi, sia in quelli freddi.
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L'abitazione seminterrata ha la base scavata nel suolo: essa realizza un buon isolamento dall'ambiente, è difendibile e solida. Il materiale varia da zona a zona secondo le disponibilità. La parte emergente dal suolo è ricoperta da uno strato di terra e si presenta come, un'abitazione, a tumulo.... Segue nel prossimo numero
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Classe III AS
La salute a tavola:
Gelato al gusto di cipolla Specialità di Tropea
La cipolla rossa di Tropea Proprietà terapeutiche Rubrica Perché “Cipolla Rossa di Tropea”?Il seme è stato portato dai marittimi di Tropea e Parghelia dalle lontane terre della Fenicia in tempi molto remoti e, dopo averla piantata nelle marine e nella campagne dei loro comuni, ha preso il nome di "Cipolla rossa di Tropea", che all'epoca era il centro più importante e conosciuto della zona.Il suo uso è documentato nel 5000 a.c. in Palestina “Volete raggiungere la sapienza?”soleva dire Jacob Maleschott, celebre naturalista olandese vissuto nell’ottocento, “Mangiate cipolle” (sono ricche di fosforo)
La cipolla è ricca di sali minerali e vitamine, soprattutto la vitamina C, ma contiene anche molti fermenti che aiutano la digestione e stimolano il metabolismo; inoltre contiene anche oligoelementi quali zolfo, ferro, potassio, magnesio, fluoro, calcio, manganese e fosforo, diverse vitamine (A, complesso B, C, E); flavonoidi con azione diuretica dall'azione diuretica e la glucochinina, un ormone vegetale, che possiede una forte azione antidiabetica. Ma questa pianta ha anche numerosissimi impieghi terapeutici: in dermatologia, può essere utilizzata come antibiotico, antibatterico, semplicemente applicando il succo sulla parte da disinfettare; è anche un ottimo espettorante, .
specialmente unito al miele e un decongestionante della faringe: i gargarismi con succo di cipolla sono particolarmente indicati in caso di tonsillite e il succo è anche molto utilizzato come diuretico e depurativo e infatti viene consigliato da chi soffre di trombosi perché, avendo un potere fluidificante, facilita la circolazione del sangue. Abbassa infine il livello di glucosio nel sangue permettendo di ridurre le dosi di insulina a chi ne ha bisogno
Nel Prossimo numero Le proprietà salutari e medicamentose dell’Olio Extra Vergine di oliva della provincia di Vibo Valentia
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Karen Grillo - Vittoria Direnzo Classe IV AL
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S p e c i a l e
S c i e n z a
Inser to omaggio in occasione della prima uscita di
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I n s e r t o
LA RELATIVITA' GENERALE E L'UNIVERSO
Per
capire tutti i misteri dell'Universo in cui viviamo dobbiamo dare risposta a molti problemi, ancora insoluti, riguardanti i fenomeni del macrocosmo. Ormai è chiaro che la Relatività generale di Einstein non è il mezzo che ci porterà alla comprensione di tutto (o meglio, di quello che "possiamo" comprendere). Qualche anno fa sul numero 51 di l'Astronomia, Gennaio 1986, nello spazio riservato alle recensioni, mi ha colpito in modo particolare la critica di Fabio Pagan al libro di fisica e Cosmologia "La mano sinistra della creazione" autori John D. Barrow e Joseph Silk, presentato in Italia da Carlo Rubbia. L'opera, faceva presente Fabio Pagan, è ricca di temi stimolanti, ma ciò che a mio avviso risalta è il passo riportato all'inizio; "Se il "paradiso" è uno stato di perfetta ed estrema simmetria, allora la storia del Big Bang assomiglia a quella di un "paradiso" perduto". Ritrovare questo paradiso è oggi una delle più grandi aspirazioni di cosmologi, astronomi e fisici. Si potrà dire che capire i misteri più nascosti dell'universo è stato un problema che l'uomo si è posto fin da quando ha raggiunto un certo livello di intelligenza, ma è anche vero che la speranza di poterli comprendere è cresciuta da quando Einstein ha dato alla scienza il più grande lavoro teorico che mente umana potesse partorire. E' facile intuire che sto parlando della Relatività Generale che veniva considerata come la chiave che avrebbe aperto le porte al sapere assoluto. Infatti, quando si parla di rivoluzione scientifica ci si riferisce ad un qualcosa che sconvolge il pensiero degli uomini di scienza. La nascita della Relatività ha avuto quest’effetto in quanto, per essere compresa, la mente dello scienziato deve liberarsi dai pregiudizi che il senso comune tende ad inculcare nel bagaglio sperimentale e cognitivo di colui che osserva i fenomeni della realtà. Certamente non è facile, per chi ormai è convinto di aver raggiunto una conoscenza tale da poter spiegare tutti i fenomeni che può sperimentare, cancellare queste convinzioni per far posto ad altri concetti che attendono verifiche sperimentali. Infatti, per un bel po' d’anni la Relatività non fu accettata totalmente nell'ambiente scientifico, fino a quando le sue previsioni non ebbero conferma sperimentale. Purtroppo, però, non tutti i fenomeni naturali possono essere spiegati dalla teoria della Relatività generale di Einstein.
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Ma andiamo per gradi. Dopo la rivoluzione dovuta alle idee di Newton, gli scienziati si erano convinti del fatto che la teoria della gravitazione Newtoniana potesse spiegare ogni fenomeno del macrocosmo. Anche se dopo la pubblicazione dei Principia per quasi 50 anni la teoria non riscosse successo, alcuni l'applicarono, con ottimi risultati, a problemi particolari, come Halley che predisse il ritorno della famosa cometa che ha preso il suo nome. La legge dei quadrati di Newton, relativa alla variazione della forza gravitazionale rispetto alla distanzafini con l'essere considerata come la legge fondamentale dell'universo e come prototipo per altre leggi.Il mondo sembrava essere comprensibile in termini delle leggi Newtoniane. Tutte queste teorie, comunque, condussero ad un principio che portò alla rivoluzione scientifica del XX° secolo, risultando determinante per la nascita della Relatività Einsteiniana.Se si esaminano tutti i fenomeni macroscopici naturali, si può notare che nelle leggi che li descrivono, compare una quantità detta massa, che è, chiamiamola così, una caratteristica dei corpi che interagiscono tra di loro, secondo certe leggi. Quindi, possiamo affermare che, se trascuriamo alcuni aspetti, quali il magnetismo, per descrivere ogni fenomeno del macrocosmo, abbiamo bisogno di un concetto
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fondamentale, ma soprattutto chiaro, il concetto di "massa". Oggi questo concetto è abbastanza chiaro e non si creano equivoci quando si parla di massa di un corpo vista in un qualsiasi riferimento. Possiamo affermare che questa definizione divenne chiara quando si scopri la vera natura della materia, cioè le particelle fondamentali che la costituiscono. Nell'antichità, qualcuno aveva intuito che la materia potesse essere costituita da particelle discrete e invisibili, ma non potendo avere la conferma di ciò, non si poteva pronunciare sul concetto di massa di un corpo. Perciò, alcuni fenomeni venivano descritti ed interpretati cosi come si mostravano. Per esempio, si osservava che alcuni corpi cadevano prima di altri, interpretando ciò con il fatto che quelli pesavano meno degli altri. Si può, quindi, affermare che prima di Keplero, qualsiasi fenomeno fisico era interpretato in base a delle concezioni filosofiche o a procedimenti prevalentemente geometrici. La massa perciò non ricopriva un ruolo fondamentale nelle leggi della natura. Quando Keplero, sfruttando abilmente le concezioni di origine intuitiva di Copernico, enunciò le tre leggi che regolavano i movimenti dei pianeti, la scienza stava compiendo passi importanti per la comprensione dei fenomeni concernenti la meccanica. C'è da dire che già nel XIV° secolo alcuni studiosi avevano iniziato a mettere in discussione le idee di Aristotele, formulando alcune teorie come, ad esempio, quella dell'Impetus, formulata da alcuni studiosi di scuola Parigina. La teoria prevedeva che un "motore" imprime al "mobile" un certo "impeto" capace di fargli proseguire il moto nella direzione iniziale e con velocità immutata, impeto <<che si perde e si corrompe per cause esterne come la resistenza dell'aria, cresce come la velocità che è capace di imprimere ed è proporzionale alla quantità di materia>>. E' chiaro che non si può dire che la massa fosse un concetto ben definito, ma cominciava a farsi strada in alcune teorie.
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Un altro famoso personaggio che si interessò di studi riguardanti la dinamica fu Leonardo. Nei suoi lavori egli espresse alcuni concetti oggi conosciuti con altri nomi, in cui compariva la massa d i u n corpo soggetto ad una forza; Leonardo è considerato tra i primi ad aver fatto un passo decisivo nella definizione del principio di inerzia, e di questa opinione sono importanti studiosi come Mach e P. Duhem. Ecco dunque che la "materia" ricopre un ruolo importante nella scienza del moto. Da Keplero a Galileo il salto è breve. Ormai i pensatori del tempo si erano resi conto che le concezioni aristoteliche che, per esempio, consideravano la materia come <<mera sostanza che nega il vuoto>>, dovevano essere sconfitte una volta per tutte. Arriviamo cosi a Galileo con la scoperta della legge sulla caduta dei gravi. Secondo Galileo esistevano dei principi intrinseci ed immediati. Egli, partendo da due assiomi di Archimede, tentò di dimostrare che; a) un corpo con peso specifico minore di quello dell'acqua non si sommerge completamente; b) la parte immersa è tale che un eguale volume d'acqua pesa come tutto il corpo. Comunque, in questo periodo della storia della fisica il concetto di massa è ben lungi dall'essere considerato un concetto essenziale tanto da poter produrre una rivoluzione scientifica. Galileo fu dunque l'iniziatore di un modo di pensare che doveva dimenticare i pregiudizi e che culminò nella teoria della Relatività. Toccò a Newton intuire un aspetto importante nella legge di Galileo. Certo, i gravi cadono sulla terra con una accelerazione costante, ma cosa è che li attrae, a cosa è dovuta l'interazione gravitazionale? Newton formulò cosi le tre leggi della dinamica; a) legge d'inerzia: un corpo in quiete un o in moto uniforme mantiene il suo stato fino a quando non intervengono forze esterne che lo influenzano. b) F = ma: un corpo di massa m soggetto ad una forza F subisce una accelerazione che è direttamente proporzionale alla forza a cui
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c) F1 = -F2 : se un corpo di massa m1 agisce su un corpo di massa m2 con una forza F1, allora il corpo di massa m2 agirà sul corpo di massa m1 con una forza F2=-F1 pari e contraria (cioè di verso opposto). Quindi, i corpi interagiscono, e ciò che permette loro di farlo è una forza direttamente proporzionale alla loro massa. Infatti, le leggi di Newton spiegavano molti fenomeni riguardanti la dinamica dei corpi in movimento, ma alcuni aspetti non erano abbastanza chiari. I dubbi maggiori venivano dalla definizione di inerzia, e non si capiva se vi era differenza tra la massa inerziale e la massa gravitazionale. Inoltre, si discuteva sulla esistenza di un sistema di riferimento assoluto, cioè di un sistema inerziale a cui si potevano riferire tutti i moti. Riportiamo, ora, alcuni esperimenti condotti da Newton per dimostrare le sue idee. Il secchio ruotante (punto di vista di Newton) Il passo che segue è tratto da Isaac Newton, Principi Matematici:(Meccanica Volume I° Berkeley). <<Gli effetti per i quali i moti assoluti e relativi si distinguono gli uni dagli altri, sono le forze di allontanamento dall'asse del moto circolare. Infatti, nel moto circolare puramente relativo queste forze sono nulle, mentre nel moto vero e assoluto sono maggiori o minori a seconda della quantità di moto. Si sospenda un recipiente ad un filo abbastanza lungo, e si agisca con moto circolare continuo fino a che il filo, a causa della tensione, si indurisca completamente. Si riempia il recipiente di acqua e lo si faccia riposare insieme con l'acqua; lo si muova, poi, con forza subitanea, in senso contrario, lungo un cerchio; allora, allentandosi il filo, continuerà a lungo questo moto. All'inizio la superficie dell'acqua sarà piana, come prima del moto del vaso, e poiché il vaso, comunicata gradualmente la forza all'acqua, fa in modo che anche questa inizi più sensibilmente a ruotare, l'acqua comincerà a ritirarsi a poco a poco dal centro e salirà verso i lati del vaso, formando una figura concava (come io stesso ho sperimentato). All'inizio quando il moto relativo dell'acqua nel vaso era massimo, quello stesso moto in nessun modo eccitava lo sforzo di allontanamento dall'asse; l'acqua non tendeva alla circonferenza con l'ascendere verso
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i lati del vaso, ma rimaneva piana, e perciò non era ancora cominciato il suo vero moto circolare. Dopo, diminuito il movimento relativo dell'acqua, la sua ascesa lungo le pareti del vaso indicava lo sforzo di allontanamento dall'asse del moto, e questo sforzo indicava che il suo vero moto circolare cresceva continuamente fino al punto massimo in cui l'acqua giaceva in quiete relativa al vaso. E’ difficilissimo in verità conoscere i veri moti dei singoli corpi e distinguerli di fatto dagli apparenti, e ciò perché le parti dello spazio immobile, o assoluto, in cui i corpi veramente si muovono, non cadono sotto i sensi. La cosa tuttavia non è affatto disperata; gli argomenti, infatti, possono essere desunti in parte dai moti apparenti, che sono le differenze dei moti veri, in parte dalle forze, che sono cause ed effetti dei moti veri. Cosicché, se due globi, legati da un filo ad una determinata distanza l'uno dall'altro, vengono fatti ruotare attorno al centro di gravità, si conoscerà, dalla tensione del filo, lo sforzo di allontanamento dei globi dall'asse del loro movimento, e di conseguenza si potrà calcolare la quantità di movimento circolare. Inoltre, se, al fine di aumentare o diminuire il moto circolare, si applicassero simultaneamente forze uguali qualsiasi, ora sull'una ora sull'altra faccia dei globi, dalla aumentata o diminuita tensione del filo si potrebbe conoscere l'aumento o il decremento del moto, e allora, infine, si potrebbe stabilire su quali facce dei globi le forze dovrebbero essere applicate per aumentare al massimo l'esperimento; ossia le facce più lontane, vale a dire quelle che nel moto circolare seguono. Una volta conosciute le facce che seguono e le facce opposte che precedono, verrà conosciuta la determinazione del moto; in questo modo potrebbe venire trovata la quantità e la determinazione di questo moto circolare in qualunque vuoto immenso, ove non esiste alcunché di esterno e sensibile con cui i globi potrebbero essere confrontati..........>>.
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A tal proposito Newton fece un altro esperimento. I pendoli di Newton Anche questo brano è tratto dai Principia (Meccanica Vol. I Berkeley) <<Ma in passato altri hanno osservato che (tenendo conto della piccola resistenza dell'aria), tutti i corpi discendono percorrendo spazi uguali in tempi uguali e, con l'ausilio dei pendoli, che l'uguaglianza dei tempi può essere stabilita con grande precisione. Provai la cosa nell'oro, nel piombo, nel vetro, nella sabbia, nel sale comune, nel legno, nell'acqua e nel grano. Mi procurai due barattoli di legno identici; riempii di legno un barattolo e sospesi un peso uguale d'oro (con la maggior precisione possibile) al centro d’oscillazione dell'altro. I barattoli sospesi ai fili uguali lunghi 11 piedi, costituivano una coppia di pendoli perfettamente uguali in peso e in configurazione, e ugualmente soggetti alla resistenza dell'aria, e, collocando un pendolo vicino all'altro osservai che oscillavano insieme avanti e indietro per un lungo periodo di tempo compiendo oscillazioni uguali. E perciò la quantità di materia nell'oro stava alla quantità di materia nel legno come il peso dell'uno stava al peso dell'altro. E per mezzo di questi esperimenti, eseguiti su corpi di stesso peso, avrei potuto scoprire una differenza di materia inferiore a parte su mille >>. Leggendo questo passo si comprende che Newton non trovò differenze fra massa gravitazionale e massa inerziale. Nelle teorie sulla meccanica di Keplero, Galileo, Newton, la massa è un concetto fondamentale, perciò bisognava capire se vi fosse qualche variazione secondo il riferimento che veniva considerato. Le leggi di Keplero, Galileo e Newton stavano per culminare in un principio che sarebbe diventato la base di lancio della teoria della Relatività. Le leggi di Keplero: 1° - legge di Keplero: i pianeti si muovono su orbite ellittiche di cui il sole occupa un
2° - legge di Keplero: Il raggio vettore che congiunge il sole con un pianeta descrive aree uguali in tempi uguali. 3° - legge di Keplero: I quadrati dei periodi di rivoluzione dei diversi pianeti attorno al sole sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle rispettive ellissi. Queste tre leggi furono dedotte sperimentalmente e descrivono esattamente, entro i limiti delle perturbazioni gravitazionali che i pianeti esercitano reciprocamente, il moto dei pianeti attorno ala sole. Legge di Galileo: La legge di Galileo è riferita alla caduta dei gravi e fornisce le equazioni per lo spazio percorso e per la velocità di un corpo in caduta libera. In questa legge vi è un significato intrinseco molto importante; "la caduta dei gravi sulla Terra non dipende dalla loro massa". Come interpretare questa deduzione ? Capiremo più avanti quanto importante fu questa legge per la Relatività di Einstein.
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Le leggi di Newton: 1° - Legge d'inerzia; a = 0 allora F = 0 2° - Legge fondamentale della dinamica; F = ma 3° - Legge di azione e reazione; F12=-F21
Queste tre leggi riescono a spiegare tutti i fenomeni dinamici nel macrocosmo che interessano corpi in movimento la cui velocità è molto inferiore a quella della luce. Esse insieme agli esperimenti che le provavano condussero al principio di equivalenza. Prima di discutere il "Principio di equivalenza", vediamo come la TGN (Teoria Generale Newtoniana) fu impiegata per alcuni fenomeni di tipo astronomico, e per alcune teorie sulla forma della Terra. Dopo la pubblicazione dei principia, per quasi 50 anni, la teoria non riscosse successo.
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Liceo Statale “Vito Capialbi” Vibo Valentia Alcuni la applicarono a casi particolari, come Halley che ha individuato la nota cometa che porta il suo nome e ne predisse il ritorno. Furono Lagrange e Laplace che svilupparono la Teoria Newtoniana in modo più dettagliato. Altri seguaci di Newton furono Bernoulli ed Eulero i quali svilupparono il calcolo infinitesimale e lo applicarono alla teoria di Newton. Con l'aiuto del calcolo infinitesimale studiarono alcuni problemi importanti tra cui quello dei tre corpi. Nel 1747 Clairault ebbe dei seri dubbi sulla validità della teoria Newtoniana. Egli aveva trovato che la distanza Terra-Luna prevista teoricamente era metà di quella osservata. Più tardi, però, confermò la teoria avendo perfezionato i calcoli. Un altro problema era quello della nascita del sistema solare. Laplace era convinto che la nascita e la disposizione del sistema solare non era casuale. Infatti, secondo la sua teoria il Sole ed i pianeti hanno avuto origine da una nebulosa. Suppose che la massa calda della nebulosa avesse ruotato attorno al suo centro sin dall'inizio e si fosse raffreddata e contratta gradualmente. Via via che la massa si contraeva, la sua velocità di rotazione aumentava, giacché il momento angolare totale della nebulosa rimaneva costante. La crescente velocità di rotazione fece si che un anello nebuloso si separasse dall'equatore della massa. Tale processo si ripeté più volte formando anelli concentrici disposti sul medesimo piano equatoriale. Ciascun anello si spezzò e assunse la forma di un corpo sferico, ossia di un pianeta, mentre la parte centrale residua della nebulosa venne a formare il sole. La legge dei quadrati di Newton, relativa alla variazione della forza gravitazionale rispetto alla distanza, fini con l'essere considerata come la legge fondamentale dell'universo e come il prototipo per altre leggi. L'intensità della luce e il calore radiante sembravano variare in rapporto inverso al quadrato della distanza. Il mondo era interamente comprensibile in termini delle leggi Newtoniane. Tutte queste teorie culminarono, come già detto, nel principio di equivalenza, che portò alla rivoluzione del pensiero scientifico. Il "Principio di equivalenza" La massa inerziale di un corpo può essere scritta come segue;
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La massa gravitazionale invece si ricava dalla legge di gravitazione universale;
Gli esperimenti avevano dimostrato che la massa inerziale è proporzionale alla massa gravitazionale tramite la costante G (costante gravitazionale). Infatti, per due corpi diversi (1) e (2) si ha:
Dividendo la prima equazione per la seconda si ha:
Con le opportune semplificazioni e considerando che, secondo la legge di Galileo, le accelerazioni gravitazionali sono a(1)=a(2), si ottiene la relazione;
Questa relazione fornisce il "Principio di equivalenza" e per notare qualche differenza tra massa gravitazionale e massa inerziale bisogna produrre degli esperimenti che mostrano scostamenti nel rapporto Mi/Mg. Uno degli esperimenti più importanti fu eseguito da EÖ tvos, per misurare variazioni tra massa inerziale e gravitazionale. L'esperimento è riportato in un articolo di Dicke del 1960 che analizzeremo più avanti.
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Liceo Statale “Vito Capialbi” Vibo Valentia C'è da dire comunque che le idee di Newton non furono accettate da tutti. In particolare un grande filosofo e scienziato, Mach, criticò Newton per le sue idee, mentre altri studiosi non vedevano chiaramente l’interazione a distanza tra i corpi (per esempio Hertz), il quale riteneva che vi fossero delle masse nascoste che permettevano l'interazione per contatto tra i corpi. Riporto ora l'esperimento di Eö tvos con una relazione esposta ad una lezione di storia della fisica a Bologna dal sottoscritto, la quale tende a mettere in evidenza l'importanza delle teorie e degli esperimenti. Vedremo quindi come Mach cercò di screditare le idee di Newton. L'esperimento di Eö tvos Intorno al 1900 un barone ungherese condusse misure eccellenti atte a dimostrare che tutti i corpi cadono esattamente con la stessa rapidità. A tutt'oggi è stato confermato che il suo esperimento è risultato cruciale per la teoria della Relatività Generale. * di R. Dice * traduzione dal testo originale di Scarmato Antonio Circa 350 anni fa' Galileo Galilei effettuò uno dei più famosi esperimenti nella storia della scienza. Da un’alta torre a Pisa (non necessariamente la famosa torre pendente), egli lasciò cadere pesi di legno e si avviò a determinare i loro spazi di caduta. Da questo e da altri esperimenti, concluse, cosi come da ragionamenti logici, che esclusa la resistenza dell'aria, tutti i corpi cadono con la stessa accelerazione. La costanza dell’accelerazione gravitazionale dopo fu provata molte volte, fino a culminare negli esperimenti straordinariamente precisi, fatti fra il 1889 e il 1908 dal barone Roland von Eötvos d'Ungheria. La data di questi esperimenti ha portato alcuni fisici a credere che il lavoro di Eötvos ebbe una influenza decisiva su Albert Einstein quando stava formulando la sua teoria della Relatività Generale fra il 1908 e il 1915. Il fatto è, come Einstein scrisse nel 1934, che "non ebbe nessun serio dubbio sulla costanza della accelerazione gravitazionale senza nemmeno conoscere i risultati dell'esperimento ammirabile di Eötvos, che se la memoria non mi inganna, io conobbi solo più tardi". Nondimeno, è del tutto corretto dire che se i risultati degli esperimenti di Eötvos fossero stati solo negativi, ogni fisico avrebbe sentito una novità sorprendente dopo poco tempo e l'intera base su cui poggia la teoria 6
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della Relatività Generale sarebbe svanita prima che la teoria stessa fosse stata concepita. Da ciò ne consegue che ogni esperimento atto a provare la costanza dell'accelerazione gravitazionale, con più alta precisione di quella raggiunta da Eötvos, avrebbe fornito una prova fondamentale della teoria di Einstein. L'apparato usato da Eötvos ne forni la costanza con una precisione di 5 parti su 10^9 (5 parti su un bilione). Descriverò un nuovo esperimento, ancora in studio nel nostro laboratorio, proposto alla Università di Princeton, nel quale l'accuratezza è stata migliorata sostanzialmente con ulteriori prove ancora possibili.Discuterò anche dell'importanza dell'esperimento per la fisica contemporanea. Il modo in cui il vecchio esperimento Galileiano è comunemente descritto, non sempre fa chiarezza su due fondamentali domande che sono ivi implicite. 1. La prima: gli oggetti con massa diversa cadono con la stessa accelerazione? 2. La seconda: gli oggetti di diversa composizione cadono con la stessa accelerazione? In primo luogo qui, ci interessa il secondo quesito. Una semplice verifica galileiana era possibile facendo cadere una palla di legno e una di piombo di eguale peso e dimensione della prima. Il motivo per cui le due palle sono della stessa misura è quello di uguagliare l'attrito dell'aria e ovviare cosi alla necessità di una camera vuota per la prova. Dall'esperimento si sarebbe saputo se il carbone e l'ossigeno, principali componenti del legno, rispondono alla gravità allo stesso modo del piombo, benché ancora i nuclei degli atomi di carbone e ossigeno contengono numeri uguali di neutroni e protoni e il nucleo dell'atomo di piombo contiene per il 50% più neutroni che protoni.Almeno quattro importanti conclusioni si sarebbero potute trarre da un esperimento che mostra che gli oggetti vengono accelerati allo stesso modo indifferentemente dalla composizione. In primo luogo, i singoli neutroni e atomi di idrogeno o coppie protone-elettrone, ci si sarebbe aspettati, cadessero con la stessa accelerazione. In secondo luogo, le forze nucleari forti che tengono insieme il nucleo dell'atomo, benché quantitativamente differenti negli elementi leggeri e pesanti non hanno alcun effetto sull’accelerazione. In terzo luogo, la più grande energia elettrostatica associata ai nuclei degli elementi pesanti non ha alcun effetto sull’accelerazione.
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Liceo Statale “Vito Capialbi” Vibo Valentia In terzo luogo, la più grande energia elettrostatica associata ai nuclei degli elementi pesanti non ha alcun effetto. In quarto luogo, le velocità degli elettroni che occupano le orbite interne degli elementi pesanti, benché più alte di quelle degli elementi leggeri, non hanno alcun effetto sulla accelerazione gravitazionale. Benché Eötvos abbia fatto le sue ricerche molto tempo prima che la complessa natura dell'atomo fosse conosciuta, egli si rese perfettamente conto dell’importanza di lavorare con materiali diversi. Fra le sostanze che adoperò per gli esperimenti c'erano, l'ottone, il vetro, il sughero, legno di Guyana, il rame, l'acqua, e il platino. Roland von Eötvos nacque a Budapest il 27 Luglio 1848, era figlio del barone Jozsef von Vasarosnemeny Eö tvos, scrittore ed uomo di stato. A 21 anni il giovane Eötvos andò all'Università di Heidelberg dove studiò fisica sotto la guida di Hermann von Helmoholtz e Gustav Rirchoff e chimica con Robert Bunsen. I suoi primi esperimenti trattavano largamente dei fenomeni molecolari; non fu prima del 1889, all'età di 41 anni, che egli pubblicò il primo dei suoi famosi articoli sulla gravitazione. Possiamo solo stupirci del fatto per cui lui è entrato in un campo cosi diverso da quello nel quale aveva lavorato cosi a lungo. Dopo questa indagine iniziale Eötvos usò modifiche del suo apparato originale per studiare la distribuzione di massa nelle catene montuose; per questo lavoro è ricordato dai geofisici. Quindi, usando uno strumento sensibile che egli aveva sviluppato per i suoi studi di geofisica, Eötvos ripeté il suo primo esperimento sulla gravitazione. Un articolo, che descriveva questo lavoro di Eötvos, vinse il premio Benecke, conferito dall'Università di Gottinga nel 1909. Per qualche ragione l'articolo non fu formalmente pubblicato fino al 1922, 3 anni dopo la sua morte. Nel 1935 l' ungherese J. Renner ripeté l'esperimento di Eötvos usando il vecchio apparato del barone e pretese di aver migliorato la precisione del lavoro. Lo strumento principale usato da Eötvos era estremamente semplice. Consisteva di un leggero bilanciere orizzontale, lungo 40 cm sospeso ad un sottile filo di platino-iridio. Attaccati all'estremità del bilanciere c'erano 2 pesi, uno dei quali era sospeso 20 cm più in basso dell'altro.
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Sebbene questa configurazione era utile per misurare piccoli gradienti gravitazionali nel lavoro geofisico, essa servì per il suo più difficile e fondamentale esperimento. Il principio usato da Eö tvos nei suoi più accurati esperimenti può essere visualizzato immaginando un peso sospeso ad una cordicella verticale. In un sistema di coordinate ruotanti, dove la terra sembra essere ferma, la massa può essere pensata come essere sotto l'azione di due forze. L'attrazione gravitazionale che induce la massa a cadere verso il centro della terra e la forza centrifuga - un tipo di forza inerziale - tendente a spingere fuori la massa. Se sono usati pesi di diversa composizione, la corda verticale sarà sempre sospesa nella stessa direzione, indicando in questo modo una stretta proporzionalità fra questi due diversi tipi di forze? Nell'esperimento che fu eseguito realmente il bilanciere sostenente le due masse era attaccato sulle due facce, est e ovest. Ogni piccola differenza di proporzionalità fra forze gravitazionali e inerziali avrebbe prodotto una torsione del bilanciere facendolo ruotare. Poiché Eötvos non poté trovare alcuna rotazione che si sarebbe potuta attribuire a una mancanza di proporzionalità, qualunque fosse stata la sostanza che egli usò nell'esperimento, egli riportò un risultato negativo entro i limiti dell'accuratezza del suo esperimento. In alcuni dei suoi esperimenti Eötvos usò la versione dell'apparato sperimentale che sarà descritto più avanti e che abbiamo adottato nei nostri studi a Princeton. Allo scopo di avere la precisione di Eötvos nel caso che si lascia cadere pesi in una alta camera vuota, da una altezza uguale a quella della torre pendente di Pisa, si sarebbe in grado di cronometrare la caduta dei pesi con una precisione di un centimilionesimo di secondo. Toccò ad Einstein intuire un profondo significato nella costanza della accelerazione gravitazionale. Per coincidenza la sua nuova intuizione era datata pure l'anno 1908 nel quale Eötvos stava realizzando i suoi esperimenti, che vinceranno il premio. Einstein pensò che se corpi di diversa natura subiscono la stessa accelerazione gravitazionale, allora questa accelerazione poteva riguardare la struttura dello spazio fisico.
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Einstein propose, quindi, che l'accelerazione gravitazionale può essere interpretata come un effetto puramente geometrico e che la traiettoria dei corpi cadenti è causata da curve geometriche imposte su di essi dalla curvatura dello spazio. Poiché un corpo si muove nello spazio e nel tempo, la sua traiettoria è definita da 4 variabili, 3 spaziali e 1 temporale. La traiettoria risulta una curva nello spazio-tempo quadridimensionale. La curvatura dello spazio-tempo quadridimensionale può essere più facilmente compresa con l'analogia delle familiari facce bidimensionali. Qualunque sia la forma della superficie c'è il modo di unire con una linea più corta o più esattamente con una linea la cui lunghezza è un "estremo". Tali linee sono definite come geodetiche. Sulla terra le linee geodetiche producono il "grande circolo" le cui direzioni sono seguite da navi e aerei, che di solito si vedono curvate quando sono disegnate su una carta geografica piatta. Su una superficie sferica una geodetica è formata da un piano che interseca il centro di una sfera e i 2 punti sulla sfera che si possono unire. Nella visione quadridimensionale di Einstein, lo spazio è descritto come non curvo o Euclideo solo in assenza di materia. La presenza di un oggetto massivo come il Sole, ha l'effetto di deformare lo spazio circostante cosicché il movimento dei pianeti avviene intorno al sole su "traiettorie naturali", quali sono le linee geodetiche nello spazio di tale particolare curvatura. Lo spazio curvo attorno al Sole o ad un'altra stella è semplicemente una fluttuazione locale nella molto più lieve curvatura prodotta da tutte le stelle nella galassia; e la curvatura nei dintorni di una galassia è di nuovo una fluttuazione locale nella curvatura globale dell'universo. Einstein suppose che le sbarre taccate e gli orologi avevano certe proprietà, che avrebbero potuto essere usate per stabilire le stesse curve geodetiche come quelle prodotte dalle traiettorie di corpi in caduta libera. E' implicito in questa supposizione che una sbarra taccata di platino manterrebbe la "stessa" lunghezza e un orologio preciso manterrebbe lo stesso tempo senza alcun problema su dove fossero piazzati nell'universo. Meglio, in esami moderni di oggetti distanti, la sbarra taccata e l'orologio sono sostituiti da sbarre di misurazione atomiche e orologi atomici. Se seguiamo Einstein dobbiamo supporre che gli atomi nella galassia più remota e la luce radioattiva alle stesse frequenze sono dello stesso tipo degli atomi sulla Terra e nel Sole.
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Questa supposizione di Einstein in realtà è una visione unitaria di tempo e spazio in ogni luogo dell'universo, e nella stessa misura in cui la definizione è non ambigua c'è molto da dire sulla sua adozione. Sfortunatamente c'è sempre spazio, in cui muoversi, per l'ambiguità. Commento sull'esperimento di Eötvos In questa mia relazione vorrei dapprima fare una piccola introduzione per discutere sull'importanza che hanno avuto, e che hanno tutt'oggi, gli esperimenti che tendono a dimostrare la fondatezza di una teoria o anche per mostrare che essa non è fondata. In secondo luogo discuterò dell'esperimento di Eö tvos per esaminare la struttura dell'apparato costruito dal barone. Esporrò le mie considerazioni cercando di sollevare qualche importante argomento di discussione. Di solito, quando si effettua un esperimento, si tende ad ottenere un risultato positivo, nel senso che esso dovrebbe dimostrare la fondatezza di una teoria. Quando i risultati sono negativi, nel senso che non confermano la teoria, allora si pensa ad un errore nel costruire l'apparato strumentale o a qualche errore di calcolo. Oggi, quando esaminiamo alcuni degli esperimenti più importanti e famosi della storia della fisica, ci accorgiamo che essi dovevano essere la prova di una teoria che spiegasse qualcosa senza la quale il pensiero umano non poteva concepire tutti i fenomeni naturali. Un esempio potrebbe essere l'esperimento di Michelson-Morley, che doveva dimostrare l'esistenza di un "etere", al quale riferire ogni moto che si esaminava, in quanto l'etere era ritenuto immobile. Ma la sua importanza fondamentale stava nel fatto che esso era il mezzo in cui si propagava la luce. L'esperimento di cui ci siamo occupati, risultò famoso più per l'ingegnosa strumentazione che ideò il barone Eö tvos, che per i risultati ottenuti. Esso si prefiggeva di dimostrare l'incostanza dell'accelerazione gravitazionale, dunque la differenza fra massa inerziale e gravitazionale. Lo strumento usato dal barone, poteva fare delle misure molto accurate, cioè avrebbe potuto riportare una piccolissima differenza fra massa gravitazionale e inerziale. E' certo dunque che gli esperimenti sono l'essenza della scienza e anche quando non forniscono i risultati sperati, possono essere la scintilla per innescare un processo molto più sconvolgente di quello a cui l'esperimento era dedicato.
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Liceo Statale “Vito Capialbi” Vibo Valentia Infatti, è opinione generale che l'esperimento di Eötvos influenzò Einstein nella sua formulazione della Relatività Generale. Egli interpretò la costanza dell'accelerazione gravitazionale come un fatto ben più complesso ed importante. Pensò che se corpi di tutti i tipi di sostanze subiscono la stessa accelerazione, allora questa poteva essere una caratteristica dello spazio fisico. Ecco un esempio di come un esperimento possa essere importante anche se i risultati sono negativi. Esso può portare a delle sconvolgenti conclusioni anche se non ha dimostrato ciò per cui era stato concepito. Per alcuni gli esperimenti sono la piattaforma di arrivo, per altri la base di lancio. Allora viene in mente una domanda: cosa è più importante partire o arrivare? Di certo risponderemmo arrivare! Ma se non riusciamo a concludere positivamente il nostro viaggio, allora pensiamo ad esso sperando che sia stato buono. Ma se esso è stato tortuoso e pieno di imprevisti, allora ripensiamo alla partenza e cerchiamo di capire dove abbiamo sbagliato o almeno quale strada non era adatta al nostro viaggio. A questo punto chi legge potrebbe pensare che si sta parlando di una avventura, il cui protagonista deve conoscere tutto ciò che lo aspetta nel suo viaggio. Allora, che avventura è? Di certo una teoria fisica non è una avventura, ma non è neanche una cosa certa. Si sa da dove si parte, si sa dove si vuole arrivare, si cerca il percorso meno tortuoso, e alla fine della formulazione vi sono gli esperimenti che dovrebbero provare la teoria. Quando l'esperimento non riesce a dare i risultati sperati, si da la colpa alla strumentazione o ai calcoli o agli errori. Questo perché ciò che si teorizza è un qualcosa che ci prende a tal punto da non vedere oltre un certo limite. Quando ad Einstein un suo allievo chiese cosa avrebbe detto se l'eclisse che doveva provare la sua teoria non avesse dato i risultati sperati egli rispose; "Mi dispiace per il buon Dio ma la mia teoria è esatta". Sembra quasi che Einstein abbia voluto dire che se la sua teoria non fosse stata formulata allora le cose potevano prendere un'altra piega, ma siccome essa ormai esisteva, l'esperimento non poteva dare risultati diversi. Ritornando allora alla nostra domanda, vista con l'ottica Einsteiniana, diremmo che è più importante partire dato che l'arrivo è certo. Secondo il mio parere, non si può certo dire che Einstein
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Ritornando allora alla nostra domanda, vista con l'ottica Einsteiniana, diremmo che è più importante partire dato che l'arrivo è certo. Secondo il mio parere, non si può certo dire che Einstein fosse presuntuoso visti i risultati, ma si può dire che avesse molta fiducia in se stesso e soprattutto nella matematica, questo si! Dunque, per Einstein, è più importante la formula matematica che l'esperimento. Naturalmente tutto ciò che sulla Terra prova le leggi della fisica, dovrà valere in qualsiasi parte dell'Universo. Voglio ora divagare un po' con la fantasia. Cosa potremmo dire ad un extraterrestre che, arrivando sulla terra, e dotato di un Q.I.(quoziente di intelligenza) alto, dopo aver conosciuto le leggi della "nostra fisica" ci dicesse ; << Guardate che ciò non è vero dalle mie parti >>. A questo punto o risponderemmo che a noi non interessa basta che ciò sia vero dalle nostre parti, o per saperne di più diremmo all'extraterrestre << portaci con te cosi ci rendiamo conto >>. Sicuramente sceglieremmo la seconda soluzione. Immaginiamo dunque di affrontare questo viaggio; così arriviamo in una galassia a noi sconosciuta a cui appartiene un sistema planetario come il nostro con un pianeta simile alla Terra. Einstein disse: <<è tutto relativo>>. Ricordandoci di questa affermazione, chiederemmo agli scienziati del luogo quale è la loro matematica. A questo punto se questa non è uguale alla nostra allora ecco risolto il mistero, ma se gli scienziati usano la nostra stessa matematica ed hanno leggi fisiche diverse per spiegare i fenomeni dovremmo ammettere che il nostro concetto è stato un po' azzardato. Naturalmente speriamo che ciò non accada; comunque se ciò non è proibito immaginarlo, perché non tenerne conto. Un passo dell'articolo di Dicke dice: << Sfortunatamente c'è sempre spazio per l'ambiguità>> e, aggiungo io, per i dubbi. Il punto a cui voglio arrivare è questo: d'accordissimo che la matematica è uno strumento di cui la scienza della natura non può fare a meno, ma attenzione, essa è stata inventata dagli uomini di questo mondo, perciò non può essere infallibile. Quindi non facciamo come Einstein che con la sua frase fece della matematica la "realtà indiscutibile".Facciamo come Einstein quando nel formulare la TRR, fu assalito da alcuni dubbi che lo portarono alla TRG.
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Liceo Statale “Vito Capialbi” Vibo Valentia Qualcosa non era vicino alla verità nella TRR. Ma che cosa è la verità? Di certo non è una teoria matematica a mio avviso. Essa si può definire un ornamento più o meno bello della verità. Ma cosa ci porterà vicino alla verità? A questo punto non saprei rispondere. Certo è che la scienza ha dato risposta a molti interrogativi e ciò grazie sia alle teorie, ma soprattutto grazie agli esperimenti, che si possono fare oggi, sempre più sofisticati e precisi. Non vi è teoria senza prova, ma la prova può portare alla teoria. Infatti, gli esperimenti di Eö tvos, Michelson-Morley, hanno dato lo spunto ad Einstein che genialmente ha interpretato i risultati a favore della teoria della Relatività. Io personalmente, quindi, ritengo più importanti gli esperimenti, cioè la constatazione reale e concreta di un fenomeno fisico; se poi qualche scienziato con la sua abilità ha già predetto teoricamente ciò che si è constatato sperimentalmente, tanto meglio, ciò significa ancora una volta che la matematica è un ottimo strumento per comprendere la natura. Di certo la matematica non è l'essenza primordiale, non è nata con il mondo, è nata per il mondo. Dio ha creato il mondo e l'uomo la matematica per comprenderne la natura. Con questo non voglio dire che Dio è un punto privilegiato, contraddicendo la teoria della Relatività che non ammette sistemi privilegiati, ma voglio dire che Dio è "un qualcosa al di fuori di ogni concezione classica o
relativistica che sia" e non sarà certo la matematica a farcelo conoscere. E' forse questa la verità? L'uomo continuerà a formulare bellissime teorie ed eccezionali esperimenti, conscerà cose sempre nuove ma se un giorno scoprisse la verità, che necessità avrebbe l'uomo di esistere come tale? Mi viene in mente un libro letto qualche anno fa in cui si parlava della teoria del Big Bang. In questa teoria, mediante modelli matematici, si riesce a tornare indietro nel tempo fino ad un milionesimo di secondo dall'origine. Al di là di quel tempo è impossibile andare in quanto le nostre leggi della fisica perdono ogni significato. Diceva l'autore: <<E' come cercare di superare un muro insormontabile alto e nero dove ogni cosa si infrange senza nessuna possibilità di perforarlo>>. Dunque se la teoria del Big Bang dovesse risultare esatta e se la vita dell'universo è un ciclo chiuso, cioè se esso continuerà ad espandersi fino ad un certo istante per poi tornare indietro contraendosi per tornare al punto di partenza, allora esiste un punto privilegiato dove le leggi della fisica non valgono più. E' veramente tutto relativo come diceva Einstein? Quale esperimento potrà dimostrare o no se il punto in cui si accumulerà tutta la materia dell'universo è o no un punto particolare e privilegiato? Rimango con questo interrogativo, sperando che un giorno possa essere risolto.
Articolo a cura di: Cavallaro Roberta (5 E SPO) - De Raffaele Manuel (5 E SPO) Franze Manuela (5 E SPO) - La Rosa Chiara (5 E SPO) Maragò Federica (5 E SPO) - Cannizzaro Cristina ( 5 C L) Covello Alessia (5 C L)
Supervisore: Prof. Antonio Scarmato
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Fine
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Nel prossimo numero:
Dirigente Scolastico Prof. Giovanni Policaro
D.S.G.A. Dott. Aldo Porcelli
Redazione:
Storia: Garibalbi passa da Vibo Valentia
Prof.ssa Daniela Rotino Prof.ssa Daniela Cesareo Prof.ssa Domenica Di Leo Prof.ssa Margherita Ranieri Prof. Antonio Scarmato Prof. Antonio Lorè Ass. tec. Emanuele Di Iorgi
Fotografia: Francesca Procopio Ass. tec. Domenico Solano
Impaginazione & grafica Ass. tec. Emanuele Di Iorgi
Classe coinvolta IV AL
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