Ontogenesi

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Ontogenesi

Quanto pi첫 ci innalziamo, tanto pi첫 piccoli sembriamo a quelli che non possono volare. Friedrich Nietzsche Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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ONTOGENESI STORIA DELLA SIGNORA GAIA (Detta Bona Dea) In principio era il nulla. In seguito non è che fu poi molto. Poca roba. Tenui sospiri, minimi movimenti, impercettibili ombre, fugaci presenze, diafana materia; null'altro. Cosi fu a lungo, non certo tempo intendiamoci, a quello nemmeno ci si pensava. Neppure spazio, quest'altro per il momento non era necessario. Così stavano le cose, e non si immaginava che potessero andare diversamente. In fondo diciamocelo!, si stava anche bene, in definitiva non mancava nulla; nulla c'era, nulla mancava. E poi anche se si fosse voluto qualcosa, non si sarebbe saputo proprio dove metterlo. Non che si stesse stretti, per carità, il posto bastava ed anzi avanzava, qualche gomitatina ogni tanto, una spinta leggera, un calcetto allungato con noncuranza; ma nulla più. Non si litigava per il fatto stesso che anche se si fosse voluto farlo, certo non si sarebbe potuto; con chi o che cosa litigare, e soprattutto come? Era tutto lì, e non era poi molto, minima cosa, quasi nulla, anzi proprio null'altro che niente, e per di più tutto contiguo e attaccato; per litigare avremmo dovuto almeno essere, almeno staccarci, ma chi andava ad immaginare che ci si poteva essere e per di più staccare, chi andava ad immaginare che potesse esistere una qualsiasi possibilità. Si stava lì senza aspettare, senza attendere, immobili, immobili come ..., come nulla, non esisteva ancora nulla con cui potersi paragonare. D'altra parte non si stava affatto malvagiamente, si stava, si stava e basta. Dal nulla ogni tanto saettava un niente inseguendo l'assente, delle implosioni tentavano di creare distruggendo, l'increato cercava il vuoto, la mancanza stuzzicava l'inessenza, l'inesistenza permeava, il non essere si crogiolava in sé stesso trastullandosi notevolmente come invece di essere non fosse o quantomeno non essendo potesse inesistere. In questo modo si prosegui per la lunghezza di una retta che effettivamente era solo un punto, per un cerchio talmente piccolo per cui percorrerne il perimetro non rimaneva che restare immobili; intendiamoci, non esisteva nemmeno la geometria, la matematica, la concettualizzazione, le categorie aristoteliche, la filosofia, la grammatica ... Un giorno tuttavia tutto cambiò. Non si sa da dove, non si sa come arrivò la signora Gaia, la donna delle pulizie, preceduta dalla sua solita canzoncina cantata a bassa voce. Non ci mise tanto. Tolse il foulard che aveva in testa. Cambiò le scarpe con delle comode ciabatte di panno, si mise il grembiale, ed iniziò; iniziò a pulire. Ad ogni passata del suo Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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spazzolane sopra il nullo universo per incanto si legittimava una dimensione. E lei puliva tutta seria, e ramazzava il suo spazzolane sul suo pavimento che prendeva materia ad ogni passata, canticchiava contenta di poter svolgere il suo compito con tanta perizia, con tale serietà, con tale cotante gratificante serenità. E più puliva e più iniziavano ad apparire le cose, in forma piatta, in dimensione, più precisamente in una sola dimensione. Fu più che stupefacente; fu incredibile. La signora Gaia, che per altro non era affatto una brutta donna, canticchiando la sua leggera canzoncina puliva e pulendo ancora, creava. Sfiorava il niente con i seni meravigliosi, con le sue braccia affusolate, con i suoi impercettibili peletti biondi, con i bordi della sua gonna da contadina, coi suoi gomiti spigolosi, con i polpacci ben torniti. Era tutto di una grande novità, figuriamoci non si conosceva e non si era ancora che null'altro che niente, e vedere tutta quell'abbondante montagna di carne ben tornita e soda sobbalzare davanti alla nullità dell'universo, rendeva straordinariamente tesi e contratti, sconvolti ed incerti. Certo dopo che lei arrivò ci si trovò ad essere null'altro che un'immagine ad una sola dimensione, come disegnati su di un immenso pezzo di carta che si espandeva ad ogni ramazzata, ma lo stesso qualcosa andava in subbuglio, si muoveva, tentava almeno di ergersi di rendersi turgido e duro, chiaramente senza riuscirei; cosa mai si poteva ergere che si era .... si era lì piatti come sagome inanimate, da animarsi certamente, ma impossibilitati. Ah come puliva bene e come spaziava spazzando, come legittimava pulendo, come spolverando concretizzava e come materializzava stregando. Per comodità Gaia, si prese a chiamarla Dea, ovvero Decisamente Eroticamente Afana (ma ben presente), e per di più la si apostrofò Bona, così, tanto per essere il più preciso possibile e per non andare contro ad una eventuale e futura deologia positiva. Quel nomignolo divenne così arcano, così carico di significato recondo e recondito che incredibilmente si prese a provare un sentimento sconosciuto, anzi era sconosciuto lo stesso sentimento in sé, ma lo stesso una sensazione di pienezza, di pesantezza pulsante, che premeva per espandersi chissà dove e chissà come, costringeva a cercare quello che comunque ancora non si poteva trovare; roba da orgasmo perenne. Come si sarebbe mai potuto trovare un alcun ché, che si stava tutti su quella pellicola senza spessore dove solamente per sgranchirsi un po' le gambe si doveva coinvolgere la totalità nel gesto singolo, dove solo smuovendo un po' il naso per grattarselo voleva dire fare in modo che tutto il resto seguisse quel movimento come spinto da un'ondina; dove in definitiva niente poteva godere a pieno della propria privacy e soprattutto non poteva godere a pieno della presenza erotica di Bona Dea. Ma almeno adesso qualcosa c'era. Era veramente sconveniente. Nulla passava inosservato, ogni cosa, anche la più impercettibile per la stessa, continuità castrante in cui ci si trovava, coinvolgeva il tutto. Era come se quel foglio dove ci si trovava espandesse il minimo movimento fino al limite del suo confine sconfinato. C'era poco da scherzare, se ad esempio un qualcosa voleva chinarsi, tutti gli altri qualcosa dovevano necessariamente chinarsi con lui, o almeno piegarsi, comunque trascinarsi dove il movimento voleva, insomma assecondarlo, se non altro per cortesia. l più fortunati furono quei qualcosa che si tenevano, casualmente o causalmente, il più distante possibile da ogni epicentro; loro subivano le minimaglie ed erano anche i più invidiati. Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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Cosi stavano le cose, anche se più che cose erano tentativi di cose, ipotesi di oggetti, progetti di materia, intuizioni di concretezza. Quando arrivò, lei, Bona Dea, fu davvero un caos micidiale. In fondo prima del suo avvento, essendoci null'altro che nulla, bastava mettersi un po' d'accordo e non esagerare con le pretese, e si riusciva a menarsi abbastanza agevolmente; in fondo si era nient'altro che nulla. Ah ma quando arrivò Bona Dea, nulla ne voleva sapere di stare Il zitto e fermo, tutto e tutti volevano seguirla nel suo spazzare creativo, tutto e tutti volevano aiutarla a spolverare, tutto e tutti se non altro volevano incitarla moralmente o quanto meno permanere il più vicino possibile ai suoi seni candidi che si agitavano avanti e in dietro, che sì scrollavano con impercettibili scrollatine, che trasparivano un tenue odore di carne femminile, che anche se inspiegabilmente attraevano con forza prodigiosa nonostante non si potesse andare da nessuna parte se non tutti insieme. Fu un caos. In principio fu il nulla. Poi fu un caotico caso che ci portò Bona Dea. Fu un casino casuale dopo che venne. Bona Dea, appena finito di pulire tutto, dopo che ebbe alitato e stregato con la manica della sua giacchetta di poco valore sulle ultime tenaci macchiette del nullo universo, dopo che fu sicura di non avere tralasciato nulla al suo importante lavoro, alla sua sacra missione di nettare l'universo che lei stessa creava, si guardò in giro e compiaciuta, si sedette in cucina a sorseggiare il suo meritato caffè. Mentre sorseggiava lentamente, compiaciuta di sé stessa e del suo lavoro, leggermente spossata, le venne in mente la signora Luisella , quella scansa fatiche furbacchiona, che al posto di mettere tutto il suo impegno nel lavoro tirava a fregare, a far finta di metterei tutto l'impegno, e passava il tempo a leggere romanzetti rosa, in special modo ‘Harmony’, a farsi e a bere tè . Che se la spassava al posto di pulire e riassettare come faceva lei, Bona Dea, al posto di creare. Ma Bona Dea, si sbagliava.

STORIA DELLA SIGNORA LUISELLA (Detta Mala dea) Certamente si stava ancora lì su quel foglio infinito e privo di alcun spessore, come prima, come dopo, insomma come sempre. Si stava lì ancora tutto e tutti eccitati dal ricordo dei peletti biondi sulle cosce di Bona Dea, dei suoi seni dirompenti che volevano far erompere, delle sue mosse sinuose, e diciamocelo!, dal suo sculettare genuino e immotivato, dalla sola sua presenza diafanamente erotica. Si era veramente in un orgasmo inattuabile (per il momento), si voleva qualcosa ma non si sapeva nemmeno cosa, e anche se si fosse saputo non si sarebbe potuto veramente capire, così costretti come si era in una sola dimensione, così impantanati col tutto, con la continuità perenne, così impazienti nonostante non ci fosse ancora tempo da attendere, con ogni effettuazione di ogni minima Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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causalità. Luisella era un tipo ben strano. Innanzitutto quando entrò lo fece con un fare molto sospetto, si guardò in giro, e si diresse in tutta fretta verso la credenza, guardò dentro la zuccheriera evidentemente per vedere se ci fossero dei soldi. Si preparò il suo solito tè aromatico e bollente, impugnò una sedia, se la sistemò a dovere e si sedette stendendo le gambe sul tavolo. Si stava lì ad osservarla strabuzzando gli occhi ... la signora Luisella non rassomigliava per nulla a Gaia, Bona Dea, ed anche gli atteggiamenti erano completamente diversi, anche se per conto nostro la diversità era di per sé cosa assai difficile da immaginare; dove tutto è tutto nulla non è. Gaia era una di quelle genuine, contadina, grezza ma spontanea, con gli occhi sinceri. Luisella aveva uno sguardo inquietante, il viso aguzzo, i tratti decisi e magri, insomma poteva destare paure ed incertezze, insomma diciamocelo!, era poco materna e protettiva e pure comprensiva; come si vedrà almeno non fu limitativa. Si vedeva benissimo che a lei, a Luisella, non interessava nulla di nulla e niente di tutto, lei genuinamente se ne strafotteva. Se si fosse potuto essere ridicoli, lo si era proprio, cosi timorosi e pavidi; come prima si tentava di avvicinarsi al diafano erotismo di Bona Dea, adesso si cercava di sfuggire la sensuale antipatia della signora Luisella ; tanto che per essere il più precisi possibili la si iniziò a chiamarla Mala Dea, sempre ovviamente per i motivi di cui sopra. Intendiamoci non è che Luisella attraesse con una forza non pari a quella di Bona dea, anche lei stimolava qualcosa nelle bassezze del tutto, anche lei procurava un leggero ma intenso formicolìo in uno spazio di regione indefinibilmente impreciso data la contiguità, anche lei faceva pulsare qualcosa che ancora non si immaginava potesse esistere e tanto meno potesse esistere ed essere, proprio qui, sul davanti. Mala Dea era Decisamente Eroticamente Afana (ma ben presente) come Gaia, solo che lei attraeva con una forza repulsiva, anche se ancora non lo si poteva capire. Anzi un qualcosa che azzardò l'ipotesi che fosse necessaria quanto Bona Dea, la signora Gaia , e che addirittura la propria forza potesse un giorno permettere la fatale penetrazione in Gaia, un giorno ovviamente quando sarebbero esistiti i giorni, fu preso a pedate sulle sue bassezze posteriori dall'infinità della continuità dell'eternità dell'omogeneità della totalità di tutti i qualcosa, si prese le pedate perfino dell'lo narrante, nonostante l'lo narrante non sapesse ancora di essere lo, e pure di essere solamente. Nemo profeta in nullo Universo, come poi si sarebbe detto. Mala Dea era spigolosa, le spalle ossute, le mani e precise, le gambe lunghe ed affusolate certo, poteva perfino passare per una top model volendo, non vi erano punto dubbi, ma diciamocelo il suo pube in un eventuale amplesso avrebbe scorticato i più duri dei ventri, cosa assai sconveniente anche per chi, come i qualcosa, non sapeva ancora di avere un ventre, un pube e nemmeno gli altri attributi d'uopo, sufficienti ma necessari. E poi la Luisella stava li con le gambe bene in mostra, con la gonna preziosamente firmata tirata quasi fino all'inguine, con fare sufficiente ed annoiato, come se non ci fossimo, come se ancora nulla ci fosse; ed effettivamente ancora nulla c'era ma tutto ci tentava; lei poteva almeno collaborare. Invece niente. Sorseggiava il suo tè, leggeva ‘Harmony’ che inspiegabilmente nonostante non ci fosse nulla, invece c'era, confermando che il cattivo gusto non ha tempo, faceva Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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finta di non accorgersi che si tentava di allontanarci il più possibile da lei, di nascondersi, di rifuggire inorriditi, di ritornare al nulla nonostante si fosse minima cosa, impercettibile ombre, fugaci progetti, limitata concretezza. Fu un guazzabuglio perché il fuggi fuggi di tutti e tutto non faceva altro che creare un vortice piatto e levigato, una spirale senza le altre due dimensioni, un cerchio che girando su sé stesso e non conoscendo ancora la forza centrifuga invece di gettare verso il perimetro faceva vorticare e poi concentrare tutti e tutto in solo punto. Così si andò avanti prima dopo e durante, insomma sempre e per sempre. Intorno il nulla universale non si vedeva nemmeno, ed infatti non si sa bene come lo si potesse intendere un nulla universale; ma tant'è, o meglio tanto fu. Mala Dea finito il tè, prese il suo lungo bocchino ‘fin de siècle’ e prese ad allungarlo con fare preciso, con gesto, arcano lo allungava stimolandolo, lo accarezzava mentre una lunghezza periscopica si inerpicava in sé stessa cercando e creando sé stessa, lo rimirò e poi innestò una finissima sigarettina femminile, e portò l'ancia alla bocca fine e cattiva. La si guardava per un attimo immobili, per un attimo rapiti da quei movimenti volitivi, per un attimo raffrenati nel nostro vorticare inutile e nocivo. Nessuno protestò per il brusco arresto, per quella interruzione alla nostra unica attività, per l'attimo di stasi. Non si sapeva nemmeno perché dell'arrestarsi fulmineo, ma lo stesso ci si arrestava in bell’ordine. La si osservava muovere quell'asta con una delicatezza che si credeva inusuale per lei, così spigolosa, cosi fredda e frigida, così distaccata. In quel attimo Mala Dea apparve per quello che prima non appariva e non si poté: va nemmeno lontanamente immaginare, dolce, sensuale, stimolante e sinuosa. Allungava quel qual cosa che non era solo un'immagine piatta disegnata su di un foglio infinito e vivo, e ci si sentì stranamente attratti da quel movimento, un qualcosa di affine ci richiamava, un alcun ché a cui anelavamo senza saperlo, di cui non speravamo ma lo stesso cercavamo, un qualcosa che racchiudeva un segreto decisivo, come un aforisma ermetico ma potente, come un segno da capire, come un'indicazione filosofica ma oscura, quasi come un ordine dettato per il nostro mutuo piacere. Più che in orgasmo adesso si era in un momento magico, intenso, denso, il formicolio che ci aveva insegnato Bona Dea e che gettò nello sconforto, nello sperare l'insperabile, che fece vibrare qualcosa di cui non si sapeva cosa fosse, che rese nervosi e instabili, che tirava per ergersi, per rendersi turgido, ora fu ancora più deciso, più delineato, ancor più ineluttabile, infuggibile, infugabile. Intanto si stava lì immobili ed incantati ad osservare la canna del bocchino ‘fin de siècle’ che rubava al nulla qualcos'altro di sconosciuto, qualcos'altro che andava al di là della sagoma in cui tutti e tutti si trovavano, qualcos'altro che riusciva ad ergersi, a levarsi verso una direzione con arroganza, ma semplicemente, che legittimava allungandosi qualcosa che anche in noi si andava legittimando, formando, plasmando, irrigidendo. Quando Mala Dea poi accese la sua sigarettina femminile, non ci si riuscì più a trattenere. Lo stesso nervosismo di prima, lo stesso pizzicorino nelle bassezze del nullo universo, lo stesso sentimento di ineluttabile desiderio, si impossessò della nostra immagine piatta regalandoci una forza ed un energia inimmaginabile, ma anche un senso di ‘vague 'a l'ame’, di insoddisfacente tendere. In un attimo si prese di nuovo a vorticare fra le spire levigate e piatte della nostra contigua Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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totalità infinita, infinitante ed eterna, come prima come dopo insomma durante, come sempre e per sempre. Ma lo stesso la totalità se avesse potuto certamente avrebbe sorriso soddisfatta come sapesse che ancora poco divideva fra quello che non si sapeva volere, ma che lo stesso si voleva, e si pulsava, si vorticava, si girava, e si rigirava, si andava in torno e si ritornava in cerchio, per poi incontrare tutto e tutti in quel punto di frattura, in quel punto che raccoglieva le speranze, i desideri, gli aneliti sensuali di tutto e di tutti. Cosi fu. Fu ancora più un caos di quando arrivò Bona Dea, la signora Gaia, diciamocelo!, fu un vero e proprio casino, è il termine adattissimo, adattissimo perché si inseguiva qualcosa che era solo un desiderio, una voglia erotica di possesso e di abbandono, e si vorticava, si girava, ci si scontrava senza rispettare più le antiche convenzioni istituzionalizzate, non ci furono più cortesie imposte o scelte, non ci fu più quel sentimento di limitatezza che castrava, non ci fu più quella stretta continuità che costringeva. Ogni qualcosa correva il lungo e tornava sempre in lungo perché ancora non cera un altra dimensione per fare altro, ma lo stesso tutto e tutti sapevano che sarebbe stato per poco ancora, e ancora si tornava e andava, ci si riuniva e si rifuggiva, si correva, e ci si lanciava e ci si calpestava .. .. e poi si fu tutti lì pulsando all'unisono senza perdere d'occhio il bocchino ‘fin de siècle’ che si allungava senza mai smettere di voler allungare qualcosa anche in noi, senza smettere di invocare e sperare in piaceri sensuali futuri, finché finalmente ci riuscimmo e ci sentimmo risucchiare verso una direzione che non era più la solita unica e solitaria dimensione, ci sentimmo tirare da sotto e dall'alto, da destra e sinistra, da chi lo sa a che ne sappiamo noi. Ci ritrovammo così non più uniti tutti e tutto sopra quel foglio infinito e infinitante disegnato dalla presenza di quei qual cosa che si era, ci si trovò, è vero, sempre disegnati, ma adesso su due fogli ortogonali che si intersecavano, che ci donavano se non altro almeno un'altra dimensione. E' vero, non avremmo potuto ancora soddisfare il nostro anelito sensuale eterno, non avremmo potuto ancora sfiorare le braccia ben tornite e sode di Bona Dea, non avremmo potuto baciare la bocca sottile e cattiva di Mala Dea e neppure trovare il modo di entrare in entrambi cercando gli attributi sufficienti ma necessari d'uopo, ma era lo stesso qualcosa di più gratificante, qualcosa che almeno riempiva, faceva tendere, irrigidire e levarsi in due dimensioni. Adesso si poteva osservare quel qualcosa che formicolava nelle bassezze del nulla infinito, il proprio formicolìo, si poteva senz'altro sfiorarselo tanto per chetarlo un po', se ne poteva ridere di gusto vedendoselo così, anche se lungo, piatto ed inutilizzabile. Era tanta l'agitazione e la felicità che quasi non ci si accorse che eravamo più liberi nei movimenti, che anche se in fondo - in un certo senso - abbisognava assecondare la totalità delle carezze e delle effusioni che tutti e tutto si facevano al proprio formicolìo della bassezza del nullo universo, si poteva godere po' della propria privacy, si poteva godere al pensiero dei peletti e biondi e corti di Bona Dea, delle gambe affusolate di Mala Dea. Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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Greta intanto per dare una parvenza di serietà, spolverò un niente, pulì un null'altro di alcune macchiette, netto un manco quello di pezzettini di pomodoro del sugo della cena di infinità passate, si tirò in piedi, diede un'altra sbirciatina in giro per vedere se per caso ci fossero dei soldi dimenticati, stirò accuratamente la gonna di taglio moderno e firma eccezionale, mise in borsetta il suo bocchino "fin de siècle" e fece per andarsene senza nemmeno sapere quanto, la sua sola presenza eroticamente diafana, avesse contribuito per la creazione. Mentre ancora chiudeva la porta della cucina, la signora Luisella pensò a quanto fosse antipatica la signora Penelope, quella mezza calzetta senza personalità, così insignificante, priva di aggressività, insomma a quella nullità della signora Penelope. Ma Mala Dea si sbagliava.

STORIA DELLA SIGNORA PENELOPE (Detta Diotima) Si era tutto e tutti lì ancora ad osservare la continuità del formicolìo delle bassezze dell'universo, quel formicolìo proprio lì sul davanti, si era ancora a ridere di quel coso lungo e tubiforme privo però di spessore, si era lì affetti da quello che si potrebbe chiamare priapismo cosmico, si era lì col formicolìo in mano senza sapere ancora che cosa si sarebbe dovuto fare per placare la nostra sete di soddisfazione e il nostro bisogno di desiderio; insomma si stava ed era già tanto, tanto che si sarebbe potuto anche evitare di anelare a elevazioni maggiori, a turgide velleità superiori; ma tant'è, anzi tanto fu. Si ripensava alla massa, poderosa di carne odorosa di Bona Dea, all'eleganza perniciosa delle gambe e delle due Dee, si pensava a loro così, sdraiati a quelle due dimensioni che finora ci erano state regalate e imposte dalla pressante presenza diafanamente erotica delle due Dee. Si arrivò a credere perfino che fosse tutto lì , che quella particolare situazione fosse la totalità, l'assoluto, il finito infinitante, che insomma ci si poteva anche accontentare così, solamente del ricordo, del desiderio del desiderio, della debole specificità che si era, dell'impercettibile diversità in cui ci si trovava, della limitata materialità che si manifestava. Ricordo benissimo che si stava per rassegnarsi senza mai concludere, senza mai aver accarezzato le puppe a pera di Bona Dea o sfiorato i capelli ritti e duri di Mala Dea, senza mai aver provato ad impossessarsi della materialità magnifica di quelle meretrici cosmiche, della carnale concretezza di quelle gheisce universali, di quelle Dee del piacere. Si rischiò di ritornare da dove si era venuti, dal null'altro che nulla, dalla nientificante assenza, dal nient'altro che niente Insomma diciamocelo, non era semplice rimanere lì, sopra due fogli ortogonali a sperare e sperare ancora, a mantenere vivo e tosto il desiderio per così a lungo, a mantenere in pieno la voglia che invogliava, a tenere ritto il formicolìo delle bassezze universali; un po' di comprensione per pietà, stare lì sempre in tensione, sempre tesi verso un qualcosa che nemmeno si capiva, anelare a soddisfazioni irraggiungibili, avrebbe potuto anche far venire male alle basse rotondità sferiche Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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delle bassezze universali, proprio lì sul davanti. Un po' di comprensione per carità!, ci si stava un po' sgonfiando, rilassando, ammorbidendo, imbolsendo, si stava per sentire irrealizzati e frustrati insomma; chi non potrebbe capire, chi non ha vissuto una cosmogonia del genere? Si stava quasi per perdere le faticosamente e sensualmente conquistate due dimensioni, ci si sentì di nuovo risucchiati verso quelle implosioni, verso quella increatività perenne da cui eravamo venuti, quando arrivò lei, la signora Penelope che portava con sé i suoi attrezzi da lavoro, i suoi aghi, i suoi fili, le sue pezze, i suoi ditali e i suoi ditalini, per cucire e rimettere a modello l'universo. Non che fosse una sarta intendiamoci, sì e no una sartina, un aggiusta pezze, null'altro ma era coscienziosa. La signora Penelope era minuta, piccola, fragile, mancante di una qualsiasi sensualità, di qualsiasi erotismo, era scialba, portava degli occhiali spessi, si muoveva con malagrazia, stolidamente, con movimenti veloci e freddi, con scatti nervosi; indisponenti. Si sedette in un angolo in fondo, tutta rannicchiato in se stessa, china a guardare le sue cose i suoi lavori, muovendo le mani piccine vicino al viso meschinamente teso, dondolandosi leggermente avanti e indietro. E diciamocelo era pure vestita peggio di una pezzente; aveva dei pesanti calzettoni di lana tirati fin sopra il ginocchio fermati con un lacci etto di spago, e le scarpe, le scarpe ... le scarpe erano degli scarponi da valsugana incallito e per di più aperte sul davanti che sembravano le fauci di un orrido mostro. Più sopra aveva una gonna composta da tanti e diversi cenci uniti disorganicamente insieme con cuciture che risaltavano tragicamente colorate di colori differenti e inaccostabili. Per non parlare dei mutandoni di flanella deformata e è sgualcita che le incatenavano le cosce e della giacchetta probabilmente smessa da qualche sua pari più dotata che le cadeva sulle spalle e sui seni da bambina come una palandrana cerata. E i capelli? l capelli raccolti in una coda attorcigliata in sé stessa, opachi e grassi, sembravano delle anguille appena abbrustolite ma non condite, applicate con mal grazia. Per tutto ciò, ed ovviamente per tutti i motivi di cui sopra, la si prese a chiamare Diotima, letteralmente "vendetta di Dio", perché nonostante non si conoscesse ancora null'altro che nulla, certamente si intuiva la bruttura, certamente si intuiva che il bello è il senso della materia, e Diotima di bel lo, perdonate, sì e no aveva la parte posteriore del ginocchio, e questo perché la parte retro del ginocchio non ha nome e non si può vedere che con difficoltà. Ah, se un attimo prima, un attimo mentre, un attimo dopo, insomma nell'attimo eterno della nullità delle nostre due dimensioni ortogonali, ci si stava per rilassare, per lasciarsi andare e quasi desiderare di tornare alla nostra perenne assenza, nel vuoto increato, adesso vedendoci quell'essere che per necessità avrebbe dovuto essere superiore, ed invece vederselo così scarso e scialbo, e diciamocelo!, così schifoso, si volle, si volle, si fortissimamente volle, non essersi mai messi in quell'avventura erotica che finiva drammaticamente, che si sarebbe conclusa nei modi peggiori. Va beh, quando si è in astinenza, quasi affamati come dei cani allupati, quando in poche parole basta che respiri, ci si potrebbe accontentare, ed anzi sforzarsi di Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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trovare un recando significato, un nascosto fascino, una sensualità perversa; ma era più forte di noi. La delusione di quella immagine scarnificata, dopo che si erano assaporate le grazie eroticamente diafane delle due Dee, Mala e Bona, fu così profonda che quasi si rischiò di creare da noi stessi una terza dimensione implosiva che ci portasse come un buco nero dall'altra parte del nullo universo, agli antipodi del niente, lontano insomma da quella personcina annichilente. Intanto Diotima continuava ad ordinare le sue cosine per poter iniziare il suo lavoro artigianale e gretto, a sistemare gli aghi, i fili, il ditale, i ditalini, le pezze davanti a lei sul tavolino che fu prima di Gaia e di Luisella, così belle. La si odiò profondamente; e se si fosse stati un po' attenti ci saremmo accorti che provare in noi un qualcosa di profondo di per sé stesso era una conquista, ma era tale la nostra ripugnanza che nemmeno ci si badò. Il qualcosa che prima aveva tentato di avvertire che pure Mala Dea poteva essere necessaria, cercò di dire qualcosa, poi lasciò perdere temendo di essere preso a pedate nuovamente dall'omogeneità della contiguità dell'eternità della totalità del nulla universale, e pure di essere preso a pedate dall'lo narrante, che seppure non sapesse di essere lo, e tanto meno di essere, comunque iniziava a farsene un'idea. Si stava lì mogi mogi, non sperando nulla, non cercando niente, non desiderando alcunché, insomma completamente annientati e sopraffatti dalla nostra delusione e dalla repulsione. Perfino il proprio formicolìo delle bassezze del nullo universale era scomparso, ed anzi quel formicolìo ora non più teso e turgido ma bensì molliccio e gelatinoso quasi faceva impressione, orrore, paura. Diotima quand'ebbe finito i suoi preparativi iniziò il suo lavoro. Prese un ago con una cruna molto grossa, una cruna da dove sarebbe passato non solo un cammello ma anche un'intera carovana di Tuareg, ci infilò dentro un filo colorato grosso come un cavo d'ormeggio di una petroliera e prese a cucire le pezze del nullo universo. l primi qualcosa ad accorgersi che qualcosa di strano stava avvenendo, furono quei qualcosa ai confini dei nostri piani ortogonali infiniti, più vicini e più inorriditi dalla presenza sgraziata di Diotima. Ci si accorse che non tutto era perduto. Diotima fin dalle prime passate con il suo ago nelle pezze del nulla universale, morbidamente si andava trasformando, come se l'iniziare un compito, così sacro la mutasse, l'innalzasse, la sublimasse, gli desse quel benedetto senso della materia che è il bello. Innanzitutto scomparvero quegli orribili occhiali da miope che gli facevano gli occhi e la fronte bovini, poi i capelli si sciolsero liberi e ricaddero sopra le spalle con un movimento sinuoso e gravido di sensazioni lievi, i calzettoni pesanti e spessi scivolarono per terra dolcemente manco fossero di pura seta, la sua gonna composta di cenci quasi esplose in mille pezzi dissolvendosi nel nulla, le mutande di flanella si dissolsero disintegrandosi in tante e tante paillettes dorate. La giacchetta che sembrava un palandrano se la tolse lei, Diotima, senza mai però smettere di cucire, e quelle mosse distratte e inusuali rendevano il suo spogliarsi energicamente sensuale, ancora più sensuale di uno spogliarello a ‘Pigalle’; se si fosse potuto cantare qualche coro sconcio certamente lo si sarebbe fatto, od anche un ritornello ripetitivo e ridondante, oppure un ascendere vocale culminante in un urlo. Non lo si poté fare perché ancora non c'era il fiato e soprattutto non c'era uno spazio dove tenere del fiato, e soprattutto mancava ancora quella dimensione Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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per poterei mettere lo spazio, ma lo stesso dentro a tutto e tutti una musichetta perversa e sensuale prese a vorticare come in salita, accompagnando la velocità del nostro formicolìo, proprio qui sul davanti, che inspiegabilmente tornava a formicolare, a spingere ancora, a tentare di ergersi, di rendersi turgido e duro, a richiamarci a quel desiderio atavico e arcano che ancora non si conosceva bene; che si intuiva, che si desiderava, a cui si anelava senza però comprenderlo interamente, che però tornava finalmente a formicolare, a rinfrancarci, tonificarci, irrigidirei in velleitarismi erettivi, abbandonare a teoremi fallici, ad aforismi caustici, ad assiomi erotici, a stravaganze eretiche. Ci si rese conto che adesso pure le due dimensioni che ci sostenevano e di facevano essere, i due piani ortogonali che ci permettevano almeno di sfiorarci il formicolìo del nullo universale, non ci bastavano e ci rimanevano stretti, ci premevano mentre noi pulsavamo affamati di gioie future e penetrazioni atemporali, ci costringevano ormai come se fossimo in un carcere di cristallo, come in una membrana appiccicaticcia e soffocante. E lei, Penelope , che ora si prese a chiamarla Diotima letteralmente "ricompensa di Dio", adesso completamente nuda e seducente, trasformata, bellissima e proporzionata, coi suoi seni a coppa di champagne, con la sua vita stretta e fine, coi suoi fianchi larghi e dirompenti, col suo collo lungo meglio di un Modigliani, con le sue gambe carnose e carnali, coi suo buco nero infinito di profondità e triangolare di apparente forma e peloso di diafana consistenza, che continuava a lavorare che continuava ad intessere insieme le pezze ormai non più cenciose dell'universo, che proseguiva ad infilare l'ago nella stoffa, che faceva penetrare quel coso nella cosa, e che appena lo aveva fatto tornava a rifarlo, con una continuità perfetta, con un alternarsi ripetitivo, con ripetizione alternata, ed entrava, ed usciva, ed usciva e tornava ad entrare e così per un'eternità della continuità della totalità dell'infinitezza dell'omogeneità di questo nuovo erotismo astrale, di questo arcano Kamashastra ancestrale. E noi, rapiti, incantati, illanguiditi, irrigiditi, affascinati, incatenati, liberati, concitati, appassionati, allupati, meravigliati, spigliati, innamorati, sbandati, concentrati, sedotti e abbandonati, desiderosi e ricambiati, tesi e rilassati, fornicanti e castrati, diafani e materializzati, in orgasmo ed eccitati, insomma con un formicolìo, proprio lì, sul davanti, grosso così , che osservavamo quell'entrare e quell'uscire repentino e lento, osservavamo quei concetti meravigliosi, quelle ipotesi che sarebbero rimaste tali se non si fosse riuscito ad immanentizzare in qualcosa che rassomigliasse a materia, quelle penetrazioni e quegli allontanamenti che ricucivano le pezze non più solitarie dell'universo; e quell'oggetto stretto e a punta che informava seminando e quella presenza accogliente che gestava ospitando, che si compenetravano senza mai sentirsi sfruttati, che godevano ad unirsi e allontanarsi, a pulsare, a creare e distruggere in un sol tempo. E allora si capì in un istante il mistero, si arrivò in fondo alla più acuta delle conoscenze, al segreto della necessità, all'Alpha e all’Omega, all’Aleph e al Tau, ai recondi e reconditi motivi della materia, alle motivazioni dell'essere, al primo e ultimo perché. Capimmo il desiderio e l'amore, la penetrazione e il fondersi , la vibrazione del nulla e il suono del silenzio, la meraviglia e la volontà, l'anelare e il Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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tendere alla materia e il rifuggire e l'allontanamento nello spirito, si capì l'essenza dell'esistere, la sostanza non più nascosta, l'evidenza della semplicità, si vide la bellezza reggere l'universo che si andava componendo, si vide il bello sostenere tremende fatiche per dare energia alla materia, si vide il sentimento al bello creare dal nulla e tornare al nulla perché non vi era, ma tutto c'era, si avvertì quella forza e la si costruì, ci si sentì schiacciati ed improvvisamente sostenuti, ci sentimmo ... ci sentimmo esistere ed essere. Ci sentimmo andare e venire, ci sentimmo realizzati in un tragico e tremendo orgasmo. Capimmo così il sacrificio erotico. Così fu. Ci ritrovammo intuendo sapientemente come, ma ignorandolo, finalmente nelle nostre tre dimensioni, non più castrati di un foglio infinitante e piatto, non più in una scultura, senza spessore, finalmente possibilitati nell'attuare il desiderio, ci trovammo con qualcosa sotto e qualcosa in alto, qualcosa di fianco e qualcos'altro a lato, allora le cose presero forma e si diversificarono, si allontanarono le une dalle altre creandosi nello spazio che si era creato, si disunirono e delinearono, si specificarono e definirono negando quello che non erano e non sarebbero state mai, si espansero inseguendo finalmente tutte le dimensioni necessarie, si amarono allontanandosi amandosi ancora di più, odiarono la vicinanza contigua passata e si accorsero che lo stesso erano contigue adesso, e la materia brulicava come fosse cosa viva ed effettivamente era viva e sensuale, nata dall’erotismo diafano e ben presente delle Dee del piacere, nata dall'allontanamento e della penetrazione, nata dal brulichìo del desiderio, proprio lì, sul nostro davanti, nata dalla rappresentazione della volontà e del desiderio unite in una sola intelligenza. Adesso l'universo non era più nulla, null'altro che nulla, adesso era, dov'era e cosa fosse non aveva importanza, era, era e basta, e cosa fosse non aveva importanza, e noi che finalmente potevamo smettere di usare l'impersonale e dirci noi, io, e in fine raccontare senza dover stare attenti a non parlare di individualità e cose singole, stavamo lì stravolti dall'avvenimento, finalmente liberi di chinarci o grattarci il naso senza obbligare ed essere obbligati, finalmente impossessatici della nostra corporeità, della nostra fisicità ritrovata, finalmente possibilitati a soddisfare il nostro formicolìo, proprio lì, sul nostro davanti e ci accorgemmo che non tutti eravamo uguali, che alcuni non avevano un formicolìo lungo, turgido, e tubiforme enorme, ma che possedevano un formicolìo fessurioso e concavo e lubrico, e già questi alcuni, o meglio, queste alcune, protestavano ed inscenavano manifestazioni di protesta perché le Dee del piacere e del Kamashastra astrale non erano stati Dei, e ciò che era successo era profondamente ingiusto, e gridavano già ‘la cosmologia è mia e la gestisco io’, ma subito capimmo e si capì che gli attributi sufficienti e necessari d'uopo erano in noi e in loro e si capì pure che i formicolii diversificati in fondo riflettevano la stessa esigenza di piacere e desiderio, di anelito al bello e al godimento, che erano forme di uno stesso spirito, gli spiegammo che dovevano essere orgogliose che Dee del tutto fisicamente uguali a loro avevano portato il nulla ad essere Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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qualcosa, che insomma la piantassero e ci dessero sotto, che stare lì a protestare era tutto tempo perso, e già perché nel frattempo oltre allo spazio si era creato pure il tempo; insomma che noi avevamo un formicolìo grosso così, proprio lì sul davanti e loro in fondo avevano un formicolìo ormai dilatato, bollente e umido sul loro di davanti, e allora si capì che i buchi neri non erano solamente fenomeni astronomici, che non si allungano solo i bocchini ‘fin de siècle’, e allora ci demmo sotto come animali, come bestie, come zozzoni impervertiti e imperterriti, come lumache autofecondanti, come spiriti dotati di ascese ascetiche e turgide, come stiliti dotati di stile, come misti cavernosi e accoglienti, come anime contagiate da sentimenti carnali e carnosi, come maiali nella ressa davanti al trogolo; a ma anche semplicemente, candidamente, serenamente, dolcemente, amorosamente e le tre Dee di questa cosmologia pornografica e parallela che con un impercettibile sorriso ci guardavano titaniche dall'alto dei loro godimenti cosmici, dei loro gemiti universali, della loro sensualità divina, approvavano il nostro operare e il nostro operato, le nostre manovre da grandi manovre, il nostro sudare leggero, i nostri corpi appena staccati che già si ricongiungevano fino ad essere una sola cosa, i nostri orgasmi attuabili adesso e certamente attuati senza obbligo alcuno, anzi con sommo piacere, e noi pregammo e ringraziammo di non essere finiti nell'universo di quel tipo iroso e scassacoglioni che è il dio dei cattolici, e danzammo per ringraziare le tre Dee di non essere per niente simili a quel vendicativo, incomprensibile, odioso, pernicioso, insostenibile Dio che ti dota di attributi sufficienti e necessari d'uopo e poi ti dice di non sfiorarteli nemmeno, perché, udite, udite, è peccato, ma se mai il peccato è lasciarli lì ad atrofizzare, a non farne un uso costante e sfrenato, a non goderne, a non trovarne piena soddisfazione, di non fare del sesso una via mistica: un "òthos eroticòs", un "méthodos eroticòs", una via alla creazione. Intanto Diotima, la sartina, spezzò coi denti il filo dell'ultima cucitura dell'universo, passò le sue manine avide sull'universo come per riassettarlo, rimetterlo a modello, stirarlo accuratamente, poi sistemò le sue cosine ordinatamente dentro una cesta di vimini, il gatto le passò davanti facendole sfiorare la coda sotto il naso, si rialzò, calzò nuovamente i suoi scarponacci da Valsugana imbelle, i suoi calzettoni sostenuti dallo spago, si fasciò della sua gonna cenciosa e della sua giacchetta palandranosa smessa da una sua pari, raccolse i capelli di nuovo nello chignon brutto e grasso, e se ne andò pensando quanto era strano quel tipo della Elisabetta, la cameriera che riordinava, che ogni cosa che toccava meravigliosamente trovava un proprio posto, una sua logica nel mondo, una posizione nel bello, a quella misteriosa e incomprensibile cosa che era Gaia. E Diotima non si sbagliava. Finalmente si era li in un punto preciso, e se si voleva si poteva andare perfino in un altro. Ci si poteva muovere ed andare, camminare in lungo ed in largo, abbassarci e alzarci, insomma non si era più costretti in un solo punto nientificante, ed inoltre esisteva pure un prima un dopo ed anche un durante, si sentiva scorrere il tempo e la vita, si avvertiva la velocità e l'immobilità. Soprattutto se si voleva con poco sforzo si poteva penetrare fisicamente dentro altre corporeità; che fossero di sessualità differenti o no era questione di scelte ben precise, per fortuna e destino la morale in questo universo parallelo aveva evitato di autocrearsi. Insomma si Io vi odio proprio tutti Il folle Volo

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stava lì ben felici e soddisfatti delle nostre gioie eroticamente carnali e materiali, e come ci demmo dentro l'un l'altro, con fragranza, con genuinità, con passione e amore, e capimmo che con il nostro anelito sensuale avevamo creato come le Dee del piacere avevano principiato, capimmo che in questa cosmologia parallela non c'erano esseri superiori o inferiori, ma Essere e basta. Essere che si era creato e si continuava a creare per un desiderio reciproco, per anelito biunivoco, solamente per volontà di essere. Ma non ci bastava più. In fondo tutto il nostro sforzo era nato dal desiderio non di possederci l'un l'altro, bensì di riuscire a penetrare nelle Dee, nella loro materialità poderosa, nelle loro cavernose presenze, unirei a loro e adorarle godendone come animali fatti spirito. Quando capimmo questo non ci furono più lamenti o grida, solo gioia e canti e balli; e allora danzammo in cerchio come Derviji, e ringraziammo e palpammo l'imponderabile grazia delle Dee, la loro cortesia affascinante, i loro musetti simpatici, il loro sorriso maliziosamente erotico, ed era ancora gioia quando ritornò la signora Gaia, insomma Bona Dea, che salutò tutti e riprese a ramazzare creando e ricreando spazio e tempo, piacere godereccio e il resto .... Cosa successe dopo? Ma che ne so io, so solo che andò cosi .. .. cosa volete di più? Nulla certo, io confido in voi ...

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