Gente di Portogallo

Page 1

GENTE DI PORTOGALLO T E S T I E I M M AG I N I D I C A R LO C O LO M B O


GENTE DI PORTOGALLO

Sono partito con l'idea di fare il pieno di foto che raccontassero in qualche modo un paese vicino e insieme lontano. Delle centinaia scattate durante questo mio viaggio, però, altrettante ne mancano. Sono i volti delle persone che ho incontrato e a cui non ho chiesto di posare, per delicatezza forse, non so. Cosa vorrà da noi questo straniero, viaggiatore solitario, che come tutti gli stranieri e viaggiatori che da tre secoli percorrono il nostro paese, senza lasciare altro che rimpianti e confuse parole, che non ci hanno mai capito veramente e che neppure hanno mai chiesto qualcosa di noi né inteso comprenderci veramente? Capaci di cogliere suggestioni pittoresche e andarsene, come saccheggiatori silenti di mondi a cui non appartengono. Mi sono sbagliato. È l'inesperienza. Molti sarebbero stati felici se solo avessi chiesto loro una foto, nel loro ambiente. Alcuni me l'hanno chiesta di loro iniziativa, spesso vedendomi semplicemente passare di lì. E se anche ci fosse stata una qualche resistenza, di riserbo o incomprensione, si sarebbe superato presto. Non c'è nulla che un viaggiatore sottragga o saccheggi, anzi. Così ho pensato di risarcirli in qualche modo della mia mancanza, frutto di un malinteso senso di rispetto. Lo farò usando la scrittura, che è il modo più difficile di tracciare ritratti, ma è anche il più completo e quello che, con tutti i miei limiti, so praticare meglio. Prima che il tempo scolori i loro volti e li confonda con i tramonti, le albe, le piogge e i calori improvvisi, le nebbie, le nuvole e i venti che hanno solcato incessantemente quel cielo straziante e riempito il cuore. Obrigado.

i


1

L’ALBERGATRICE DI FIGUERIA DA FOZ Arrivo alla stazione di Figueira che è già sera. Alla pompa di benzina a lato della stazione chiedo informazioni sulla via e con un certo sollievo mi vedo fare un gesto, aqui atras. La percorro per un certo tratto, reso più lungo dai chilometri macinati in giornata e nei giorni precedenti. Arrivo al civico giusto e trovo un ingresso all'inglese: stretto, con una scala che sale e senza reception. Lo stile è proprio inglese e non mi sorprendo. In fondo, non è forse vero che il Portogallo è da sempre una colonia inglese? Al primo gradino squilla un campanello che avvisa del mio ingresso. Arrivato al piano mi apre 2


l'albergatrice. È una signora sulla quarantina, penso e molto giovanile. Ha i capelli biondi e un bel sorriso che sprigiona con cortesia e simpatia naturali. Mi fa entrare e svolgiamo le pratiche di rito, ID card, saldo del conto per una notte. Il posto è accogliente, molto pulito e ospitale. Si capisce che è l'ideale per l'estate. E infatti lei mi spiega che qui ci si viene solo d'estate, da giugno a ottobre e l'inverno è fuori stagione. Io sono qui per fare foto, mi giustifico. Ah, allora è l'ideale, domani mattina avrà modo di fare splendide fotografie sulle spiagge, mi incoraggia lei. Ho alcuni compiti da svolgere prima di andare a dormire e le chiedo se posso farle compagnia nella hall, che è poi un salottino con computer per le prenotazioni, un divano e la poltrona davanti al televisore acceso. Nessun problema risponde lei. Così mi metto a scaricare le foto della giornata e a fare i compiti per un corso che sto seguendo, per il quale ho tempo due giorni per consegnare un test. Alla televisione danno l'ispettore Barnaby in inglese, con i sottotitoli. Il canale è la Fox mi pare, una di quelle che passano da noi sotto Sky. Dopo un altro breve telefilm giallo si passa al telegiornale, dove il collegamento principale è con il Brasile. Il corrispondente portoghese è un compendio del misto di retorica, alterigia e malcelata superbia che caratterizzano la classe dirigente di questo paese. Tra le sconcertanti banalità e le forzature sempre intrise di neoliberismo (devono avere capito bene che per loro è la sola strada per continuare a riempirsi la pancia e la bocca) dà il meglio di sé alla richiesta da studio di un commento finale: mentre la speculazione internazionale sta mettendo alle corde l'Europa e il Portogallo è il più vicino alle sorti della Grecia, questo pomposo e altisonante corrispondente non trova di meglio da dire ottimismo gente e, colpo di genio, tira fuori la metafora calcistica: “Qui in Brasile si respira ottimismo, si crede nel futuro, cosa a cui in Europa ci siamo disabituati. E invece dovrebbe essere diverso. Guardiamo la partita e vediamo che una squadra europea, il Barcellona, che è di un altro pianeta schiantare la più forte squadra brasiliana, campione del Sudamerica. Da europei, come fare a non essere ottimisti?”. Già, come fare? Allibito e sconcertato dalla performance del pomposo, cerco di cogliere disapprovazione da parte dell'albergatrice, che però, noto, non è più seduta in poltrona e non sta minimamente seguendo il telegiornale, presa a fare da spola tra il corridoio e una stanza che dà sul salotto dove c'è qualcuno che tossisce pesantemente. È il figlio, che con l'aria di mare deve essersi preso un accidente e lei gli presta le cure e le attenzioni del caso, tra termometro, infusioni calde e semplice conversazione. Le chiedo se non è il caso che venga di qua con noi, ma la madre lo esclude. Preferisce che stia nella sua stanza, dove può restare a letto, riposare ed evitare di contagiarmi. In effetti, per la debolezza che mi sentivo addosso sarei stato una facile preda di virus e batteri. Ci salutiamo a distanza e la cosa finisce lì: ecco una lezione di ottimismo migliore che una finale di coppa. 3


2

L’OSTE DI TRAS-OS-MONTES Un tizio rotondo mi informa che da lui, a Tras-os-Montes, il piatto che va per la maggiore è la feijoada. La preparano con fagioli rossi, verza, carote e si accompagna da riso bianco. È la feijoada à trasosmontana e si differenzia da altri tipi di feijoada, più popolari altrove. Tras-os-Montes è la regione più dimenticata di questo lembo dimenticato d'Europa. Sta oltre i monti della Serra do Marao e il suo nome significa appunto Di-là-dai-Monti. C'è un detto che bene esprime il carattere di quelle terre e dei suoi abitanti: para là do Marao mandam os que là estao, di là del fiume Marao a comandare è chi ci abita. Così non c'è tanto da scherzare con questo personaggio rotondo di pancia 4


e di volto, di guance e di braccia robuste, tarchiatello e dai modi franchi, ma garbati. Dal colore dell'incarnato tipico della gente del sud, ha i capelli nerissimi e lucidi, raccolti in un codino corto, che gli conferisce quel che di piratesco comune a tutti i portoghesi, almeno a quelli del popolo che non si siano confermati agli standard della società dei consumi. È infatti impressionante come la gente di classe o dabbene si somigli tutta, da oriente a occidente, come i maiali: vestono alla stessa maniera e alla stessa maniera si atteggiano, mentre la gente da poco ha una sua personalità anche nel vestirsi, agli altri quasi sconosciuta. Non me lo faccio ripetere due volte ed entro in questo buco con sei tavoli che ci stanno a malapena, le pareti decorate di maiolica e attrezzi contadini appesi al soffitto. Avevo già deciso di entrare dopo esserci passato tre volte su e giù dalla calçada do duque, da cui a tratti si gode di una vista particolare sulla colonna del Rossio. Sarò l'unico cliente della serata. Forse è troppo presto, forse di turisti ce ne sono pochini, forse è semplicemente Natale e la gente va altrove. È la versione che all'oste piace di più. Ad accompagnare il carnevale di salsicce, cotiche, tocchi di maiale e vitello che mi porta in mezzo al resto, l'oste dal codino unto mi consiglia un vinello robusto che viene sempre dai paesi suoi ma che, deve ammettere, non è nulla di ché: ma non è male e buono per bruciare il grasso, sottolinea. Prima che mi serva per dolce due fette di budino di castagne con sopra della panna montata, due ospiti si fermano sulla soglia e mi danno modo di familiarizzare. Sono due gatti neri, che l'oste rotondo precisa essere un gatto e una gatta con il vezzo di bisticciare prima di accoppiarsi. Ora fanno capolino dalla soglia della locanda e mi guardano fisso mangiare. Concerto con l'oste sul da farsi e alla fine mi dà carta bianca: como vocé queres, senhor, faccia come desidera, dia pure loro da mangiare, vorrà dire che presto ce li ritroveremo seduti a tavola al suo posto, ride e apre le braccia in segno di divertimento dopo avermi detto che è stata sua figlia, per prima, a spianare la strada a quella buona forchetta di gatti. Prendo una cotica bisunta che non ho il coraggio di ingerire neppure bendato e, fatti quattro passi, la lancio in mezzo alla calçada. Il più lesto dei due, certamente la femmina, si avventa sulla cotica e se la porta via. I due innamorati spariscono per qualche minuto ma tornano subito alla carica. Stavolta si sono fatti coraggio e si piazzano proprio sulla soglia, seduti, leccandosi i baffi, ma solo la femmina, perché il maschio ha forse altro per la testa ed è solo preoccupato di compiacere la compagnia, chissà. Sciò, pussa via, faccio io ma quelli scappano e ritornano a piazzarsi sulla soglia. Allora avviso l'oste che fa chiamare la figlia, una pacioccona di undici anni circa più rubizza del padre e le chiede di fare qualcosa. Lei si avvia già poco convinta per fare paura ai due, che subito si volta indietro ed esclama: mas nao tem culpa, che male fanno? Le parole con cui lo dice mi piegano dal ridere e anche l'oste che già era anni luce per farne una tragedia, si compiace che il teatrino con i gatti e la figlia abbiano messo di buon umore l'ospite. Sarà uno solo, ma almeno non farà storie a pagare.

5


3

L’ARTISTA MONGOLO DI MONGOLIA Una sera, passando per largo do Chiado, mi cade inevitabilmente l'occhio sulla vetrina di Sà da Bandeira, una delle più celebri librerie di Lisbona. Poco lontano dalla statua di Fernando Pessoa, tornando dalla piazza Camoes, rivedo il volto del poeta bendato, che fu cantore dell'epopea del popolo che aprì la strada alle Indie per poi morire cieco e mendico, assistito da un ragazzino indiano che fece per lui l'elemosina nelle strade di Lisbona. È un quadro di grandezza media, 50x70 circa, pieno di colori e caratterizzato da un tratto veloce. Sulla sinistra, le navi che si apprestano a doppiare il capo delle 6


tempeste, ribattezzato con la buona speranza e sovrastato dal mostro Adamastorre, a destra il volto del poeta, il pizzo e i baffi all'insù, la gorgiera al collo e l'immancabile benda da pirata. Una mezza giornata di incertezza e calcolo mi è fatale. Torno la mattina dopo e scopro tristemente che il quadro è già stato venduto. Ce ne sono altri però, disegnati con lo stesso rapido, elegante, fumettistico tratto. Tanti elétricos, i tram di Lisbona, e Pessoa. Chiedo se è rimasto un Camoes. Tenham Camoes?, si informa il libraio. Dal retro bottega si affaccia un tizio che sbracciandosi fa ampi cenni di diniego. Nao Camoes, todos vendidos, mas tenham gatos e dragoes, para o proximo ano, o do dragao. Vedo la firma e penso che l'artista si è portato avanti: effettivamente, il drago è datato 2012, in ossequio al calendario cinese. Eu sou. Chi? O artista, o pintor. Il personaggio spuntato dal retrobottega ha baffi e pizzetto, pelle di una giallo scuro e tratti decisamente orientali. Ha le maniche rimboccate fino al gomito e si muove gesticolando, Parla un portoghese a scatti che capisco a tratti. Sou pintor mongolo, de Mongolia. O meu nome è Rouslam Botiev. Mi mostra un librone con varie illustrazioni a sua firma, ai ritratti di personaggi famosi, almeno in Portogallo, e di alcuni monumenti o luoghi. Questo sono io vedi, su You Tube digita il mio nome e vedi cosa esce, mi suggerisce l'artista venuto dalla Mongolia. Io guardo e riguardo i piccoli quadretti di elétricos, gatti e di Pessoa ripreso talvolta a camminare, o seduto a scrivere o a scomporsi nei suoi vari eteronimi. Per avere una migliore visione di insieme l'autore sgombra un tavolo di libri e piazza le sue opere: pintato de café e vinho tinto... visto?... os prossimos... tintos de china... um dois tres... visto?... Pessoa... e così avanti per una inedita interpretazione del gioco delle tre carte dove però nessuno veniva imbrogliato. Me ne sono uscito con tre quadri sotto braccio e la soddisfazione di avere fatto un buon affare.

7


4

L’USCIERA ALLA BORSA DI OPORTO Al palazzo della borsa di Oporto, le uniche borse sono quelle delle signore eleganti. La borsa di Portogallo è stata trasferita tempo fa a Lisbona e nel vecchio palazzo che la ospitava è rimasta la camera di commercio locale. Salendo le scale che portano all'ingresso e varcandolo, si viene accolti da una signorotta africana con gli angoli della bocca arricciati all'insù, tanta è le sua predisposizione al sorriso. Pure ligia al suo dovere, contenuta in un costume da usciere con tanto di guanti e cappello con visiera che sembra uscito da un film o da una réclame, la signora è di quel genere di persone dal cuor 8


contento. Se poi in qualche modo capirà di avere davanti un italiano, il suo sorriso si sprigionerà più radioso e comincerà a parlare la lingua dei luoghi là dove il sì suona. Ci è stata in Italia, o meglio, in Svizzera, che più o meno è la stessa cosa. Di autentico però c'era il suo principale, italianissimo, seppure emigrato tra le Alpi. Ma questo è il meno perché in Italia ci sono tante cose rimarchevoli, a cominciare da Roma, che è una città eterna per antonomasia e diritto acquisito. Se non siete di Roma va bene lo stesso, infondo l'Italia è bella tutta. E poi, a lei che è nata in Angola, l'Italia ha dato molto: una civiltà per esempio. Avete capito bene. Dopotutto, i romani ci erano stati in Portogallo e ne hanno portate di cose. Le strade? Gli acquedotti? Il diritto? Qualche tempio? Qualche strage? Questo non è dato sapere perché nel frattempo, intanto che starete chiacchierando amabilmente in lingua italiana con l'usciera alla borsa di Oporto venuta dall'Angola, sarà giunta una rappresentante dell'ambasciata polacca a chiedere informazioni. Mentre si tratta di fare attendere degnamente la nuova venuta, si scoprirà che anche la remota Polonia si è ritagliata uno spazio nel cuore dell'usciera: è quello infatti un paese che ha dato all'umanità il papa Giovanni Paolo II e Lech Walesa. Vagamente imbarazzata, l'attendente polacca verrà scortata con garrula cortesia da una africana impregnata di cultura e civiltà europea fino alla soglia della felicità. Meglio non sondare la consistenza di convinzioni all'apparenza così granitiche e inquadrabili. La divisa da usciere contempla anche la possibilità di mettere qualche impiccione alla porta. Inoltre, con un po' di pazienza si potrebbero avere sorprese ancora più interessanti. Qualora dovesse entrare il nunzio apostolico, infatti, ci sarebbero buone possibilità che venga annunciato come console d'Italia.

9


5

LA SEQUOIA DI LORD WELLINGTON Attraverso il ponte Santa Clara, si lascia alle spalle la morbida collina su cui Coimbra è come appollaiata. Dalla torre dell’orologio, dal cortile del rettorato e dagli altri edifici dell’università, seguirà benevolmente il viaggiatore dirigersi alla Quinta das Lagrimas, o villa delle lacrime, che gli attuali proprietari ereditarono da un luogotenente di Wellington. Gli inglesi, che hanno senza dubbio una sensibilità romantica, celebrarono al modo di una tenuta dello Yorkshire, la celebre fiaba della bella Ines e del principe Pietro. Al limitare di un prato all’inglese, nei giardini che circondano la villa, alberi di di10


versa provenienza furono riuniti da frammenti sparpagliati di mondo per incorniciare quel nido d’amore in uno scenario degno di un sogno di una notte di mezza estate. Tra questi, c’è una sequoia che porta il nome del trionfatore di Waterloo. Gli inizi di quella vittoria, si può dire, risiedono proprio nelle campagne condotte dal Ribatejo alla Castiglia che passano sotto il nome di Guerra Peninsulare. Non sarà soltanto la presenza di un monumento, tra i più maestosi in Portogallo, dove il leone di Spagna o Inghilterra strazia l’aquila imperiale, a suggerire una corrispondenza con la città di Oporto. Nel giardino botanico, poco distante dalla piazza della Battaglia, un altro albero ricorda il primo proprietario e fondatore. Jean-Pierre Salabert era un medico francese con l’hobby della botanica, residente in Portogallo da prima dell’invasione napoleonica. L’albero Salabert è invece una dracena centenaria, che impreziosisce una villa simbolo della potente borghesia di Oporto. Con la sequoia Wellington, parla delle dominazioni e delle tutele, subite o cercate, cui il Portogallo, nel corso della sua storia, è stato spesso sottoposto.

11


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.