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Comunicazione criminale Storia Oggi la criminalità è considerata prettamente come un fenomeno urbano, ma per la maggior parte della storia umana è stato il mondo rurale ad essere espressione della criminalità organizzata esportando nell'ambiente urbano le azioni delle principali organizzazioni criminose. Pirati, banditi e briganti attaccavano le vie commerciali, incidendo in maniera pesante sull'aumento dei costi dei beni, dei tassi assicurativi e dei prezzi al consumatore. Secondo il criminologo Paul Lunde, "la pirateria e il banditismo sono stati per il mondo pre-industriale quello che la criminalità organizzata è oggi per la società moderna".Come afferma Lunde, "i conquistatori barbari, sia Vandali, che Goti, Normanni, o le orde turche e mongole, non sono normalmente considerate gruppi criminali organizzati, ma hanno in comune con le organizzazioni criminali di successo molte caratteristiche. Essi non avevano, per la maggior parte, una base ideologica o etnica predominante, facevano uso di violenza e di intimidazione, e rispettavano codici di legge propri".Secondo James Finckenauer, il primo vero "padrino" di un'organizzazione criminale fu Clodio che operò nella Roma antica in particolare tra gli anni 59 e 50 a.C. Il suo principale rivale era Milo, ex gladiatore che aveva come guardaspalle un gruppo di schiavi armati. [3] Nel corso del Medioevo i gruppi di briganti e più in generale i fenomeni del banditismo e del brigantaggio possono essere considerati forme di criminalità organizzata. I banditi e i briganti, soprattutto quelli unitisi in gruppi, operavano in particolare sulle vie commerciali compiendo rapine ai danni di viandanti, commessi viaggiatori ma anche di semplici cittadini o popolani. Col tempo, il brigantaggio divenne espressione di rivolta da parte dei contadini verso lo strapotere e le forme di sfruttamento dei poteri feudali e dei proprietari terrieri. Gruppi di ribelli operavano in maniera ciclica in corrispondenza di rivolte e moti insurrezionali in particolare nelle fasce rurali del sud Italia dal XV secolo in poi. Di solito, il ritorno alla normalità coincideva con forti interventi militari da parte del potere costituito con eventuali massacri di massa al seguito.A livello globale, dai XV secolo è la pirateria a rappresentare la principale forma di criminalità organizzata. La pirateria mostrava tutte quelle caratteristiche oggi riconducibili alle organizzazioni di stampo mafioso: i suoi interessi spaziavano dal contrabbando ai furti su commissione, dal mercato nero alla corruzione e i principali gruppi potevano vantare anche forti connessioni con la politica. La moderna struttura tipicamente mafiosa ha invece origine in Sicilia nel XVIII secolo, sebbene organizzazioni di stampo mafioso possano essere ricercate in epoche precedenti anche nell'organizzazione protocamorristica della Bella Società Riformata, costituitasi a Napoli ufficialmente nel 1820 ma già operante sul territorio da diversi secoli tramite un sistema di referenti territoriali definiti capintesta e capintriti, e rimodernata, in Campania, dal boss Raffaele Cutolo alla fine degli anni settanta del XX secolo dando inizio alla nuova era della Nuova Camorra Organizzata.La diffusione del sistema mafioso in Sicilia è da ricercarsi nella posizione strategica dell'isola nel Mar Mediterraneo, che portò il suo territorio ad essere occupato a più riprese da popolazioni ostili. Questa situazione instabile col tempo determinò un'atavica mancanza di fiducia da parte della popolazione verso ogni forma di autorità costituita ed i relativi sistemi legali. La famiglia divenne così il fulcro della vita quotidiana e si sviluppò un sistema sociale in cui le dispute e le controversie venivano regolate al di fuori dei confini delle leggi stabilite dall'occupante di turno.


Caratteristiche generali Un gruppo di criminali o una banda, tipicamente una banda di strada, può definirsi "organizzazione criminale" nel momento in cui la sua struttura è disciplinata in modo tale che si possa identificare nel gruppo una struttura verticistica di base o un modus operandi comune tra i vari membri dell'organizzazione oltre ad altre caratteristiche che possono essere secondarie come l'appartenenza etnica, religiosa o ideologica, la durata del vincolo associativo e il grado di gravità dei reati commessi.In particolare, la mafia è una tipologia di organizzazione criminale e si riferisce ad un variegato numero di organizzazioni operanti in molte parti del mondo. La prima organizzazione ad essere etichettata con questo nome fu la mafia siciliana, nota anche come cosa nostra, nome affibbiato alla setta originariamente dai suoi stessi membri. In seguito, la denominazione è stata applicata a molte altre organizzazioni criminali locali, nazionali e transnazionali come la mafia russa, la mafia cecena, la mafia irlandese, le Triadi cinesi, la Yakuza.Ci sono anche una serie di organizzazioni, localizzate in molte parti del mondo, che sono prive di qualsiasi specifico legame afferibile ad un background etnico o territoriale ma che operano con un metodo comune definibile come "mafioso", come i cartelli internazionali della droga, che operano servendosi di numerose cellule sparse in diversi territori e che includono, tra le loro file, membri di diversa estrazione etnica e sociale, dal produttore iniziale al dettagliante finale. Le organizzazioni terroristiche sono considerate una tipologia di organizzazione criminale, ma esse hanno obiettivi politici piuttosto che esclusivamente finanziari, per cui vi è sovrapposizione, ma non separazione tra terrorismo e criminalità organizzata.È un errore utilizzare la denominazione "criminalità organizzata" per riferirsi ad un fenomeno chiaro, amalgamato e ben definito. Le osservazioni sulle organizzazioni criminali mostrano un universo molto meno organizzato e molto più diversificato di quanto possa sembrare esternamente. Le attività criminali organizzate possono essere meglio inquadrate in una tipologia di impresa definibile come "impresa criminale" piuttosto che in una definizione concettualmente molto meno chiara come "organizzazione criminale". Molti dei tentativi di definire la criminalità organizzata enfatizzano la natura prettamente corporativa delle organizzazioni criminali, l'organizzazione e la gerarchia dei membri, l'uso della violenza e della corruzione, e il loro carattere unicamente extra-giurisdizionale. In realtà le organizzazioni criminali nel tempo hanno dimostrato di potersi integrare perfettamente nella società civile apparendo sotto svariate forme, e questo in luoghi e in tempi diversi. A causa della molteplicità delle sfaccettature di una tale forma di criminalità, appare evidente che una risposta semplice e chiara alla domanda "cos'è un'organizzazione criminale?" sia molto difficile.Non tutti i gruppi presentano le stesse caratteristiche strutturali e la violenza, la corruzione, la costituzione e la continuità di più giri d'affari sono le caratteristiche essenziali che possono definire una organizzazione criminale.Altri sottolineano l'importanza del potere, del profitto e della continuità, definendo le caratteristiche del comportamento criminale organizzato: ● ● ● ● ● ● ● ●

non ideologico: ovvero guidato al profitto; gerarchico: pochi gruppi dirigenti e molti membri operativi; a partecipazione limitata o esclusivo, prevede il mantenimento del segreto e la fedeltà dei soci; continuità temporale attraverso una politica di nuovi reclutamenti; uso della violenza e della corruzione; divisione specializzata del lavoro per raggiungere gli obiettivi dell'organizzazione; approccio monopolistico tramite il controllo di mercato per massimizzare i profitti; costituzione di un insieme di regolamenti espliciti all'interno dell'organizzazione (il cosiddetto "codice d'onore").


I modelli di organizzazione Gli approcci principali per la comprensione delle strutture delle organizzazioni criminali come sistemi sociali sono tendenzialmente tre: ● Organizzazioni come sistemi razionali: strutture altamente formalizzate in termini di burocrazia

e di gerarchia, con sistemi formali di norme in materia di autorità e con obiettivi altamente specifici. La massimizzazione del profitto è prioritaria. ● Organizzazioni come sistemi naturali: i partecipanti possono considerare l'organizzazione come un fine in sé, non soltanto un mezzo per raggiungere altri scopi. Promuovere i valori di gruppo per mantenere la solidarietà tra i membri viene considerata una prassi fondamentale. Questi gruppi non si basano sulla massimizzazione del profitto e la loro violenza, perpetrata in nome delle relazioni tra i membri e dell'unità di gruppo, è spesso rimarchevole e fine a se stessa. ● Organizzazioni come sistemi aperti. Questi gruppi mostrano un alto livello di interdipendenza tra i membri e l'ambiente in cui operano. Non esiste una particolare metodologia organizzativa così come non esistono gerarchie e modus operandi predefiniti. I gruppi tendono ad adattarsi all'ambiente e alle circostanze. Altre organizzazioni criminali possono rivelarsi come una combinazione di tutte e tre le tipologie. Alcune forme di criminalità organizzata possono operare anche a livello internazionale, sebbene attualmente non esista un tribunale internazionale in grado di provare reati risultanti da tali attività (la competenza della Corte penale internazionale si estende solo nel giudizio di reati contro l'umanità come, ad esempio, il genocidio). Se una rete criminale opera principalmente all'interno di una giurisdizione ma svolge la sua attività illecita anche all'interno di altre giurisdizioni è definibile come "internazionale", anche se può essere appropriato utilizzare il termine "transnazionale" per etichettare le attività di un gruppo criminale incentrate non all'interno di una sola giurisdizione ma in molte altre realtà territoriali e giurisdizionali. L'accumulo di potere sociale, economico e politico diventa così il cuore di tutte le attività delle organizzazioni criminali: ● potere sociale: i gruppi criminali cercano di detenere il controllo sociale, in relazione a

determinate comunità; ● potere economico: i gruppi cercano di influenzare l'economia, per mezzo della corruzione o di

prassi coercitive legittime e illegittime; ● potere politico: i gruppi utilizzano la corruzione e la violenza per raggiungere il potere e lo status politico.

La struttura della mafia Il modello di Cosa nostra sviluppato da Donald Cressey studia solo famiglie mafiose e questo limita una visione più ampia della criminalità organizzata. In questo modello di studio le strutture dell'organizzazione sono formali e razionali con ruoli definiti, limitano l'ingresso di nuovi membri e influenzano le regole stabilite per il mantenimento dell'organizzazione e per il suo sostentamento.In questo contesto vi è una differenza tra il crimine organizzato e quello professionale, ci sono una gerarchia ben definita di ruoli per i capi e per gli affiliati, delle regole precise e degli obiettivi specifici che determinano il loro comportamento, e le organizzazioni sono formate come un sistema sociale razionalmente progettato per massimizzare i profitti. Secondo Joseph Albini le organizzazioni criminali rappresentano basilarmente reti clientelari (relazioni patrono-cliente) piuttosto che gerarchie razionali o società segrete.Nel modello di Albini, le reti sono caratterizzate da un sistema sciolto di rapporti di potere in cui ogni partecipante è interessato a ricercare principalmente il proprio tornaconto personale. Gli imprenditori criminali sono i protettori, capi e gestori dell'intera organizzazione e scambiano informazioni o favori con i propri


clienti al fine di ottenere il loro sostegno. I clienti possono includere membri di bande, politici locali e nazionali, funzionari del governo e persone impegnate in attività non criminose. Le persone all'interno della rete possono non appartenere al nucleo dell'organizzazione, ossia non fare parte dell'organizzazione in maniera diretta ma possono comunque divenire committenti ed essere favoriti nelle loro attività dal rapporto clientelare. Approcciando le visioni di Cressey e Albini, Francis A. J. Ianni ha studiato i sindacati del crimine italo-americani a New York e in altre città. La parentela è vista come la base dell'organizzazione criminale; questa include sia i veri e propri legami di sangue sia i legami fittizi come quello tra padrino e figlioccio, e sono le azioni impersonali, e non lo status o l'affiliazione dei membri, a definire il gruppo. Le regole di comportamento comuni e gli aspetti comportamentali all'interno della rete sono i seguenti: ● la famiglia opera come un'unità sociale, con le funzioni sociali e quelle relative al business che ● ● ● ● ●

si fondono; le posizioni di leadership principali sono basate sulla parentela; maggiore è la posizione, più stretto è il rapporto di parentela; il gruppo assegna le posizioni di leadership ad un gruppo centrale di membri familiari, inclusi rapporti parentali fittizi o eterei; ai gruppi dirigenti vengono assegnate le imprese legali o quelle illegali, ma non entrambe; il trasferimento di denaro dalle imprese legali e quelle illegali è individuale, non riguarda le imprese.

Un esempio di legami familiari come base forte di organizzazioni criminali sono i gruppi mafiosi del sud Italia, organizzazioni in cui la famiglia rappresenta, più che lo Stato o la Chiesa, la base dell'ordine sociale e della moralità. Il "crimine disorganizzato" Una delle tendenze più importanti ad emergere nello studio sistematico della criminalità organizzata negli ultimi anni è la caratteristica per cui essa sembra non essere, in senso formale, "organizzata" a tutti gli effetti. La mancanza di un controllo centralizzato, l'assenza di linee formali di comunicazione, frammentate strutture organizzative sono caratteristiche tipiche di strutture decentralizzate. La rete della criminalità organizzata a Seattle tra il 1970 e gli anni 80 rappresenta un buon esempio di come il potere criminale possa risultare decentralizzato, scollegato in vari aspetti e quindi "disorganizzato". Essa consisteva di gruppi di imprenditori, politici e forze dell'ordine. Tutti erano collegati ad una rete nazionale tramite Meyer Lansky, che era potente ma che operava in maniera ambigua. Non c'è stata mai un'evidenza per cui Lansky o chiunque altro abbia esercitato un controllo centralizzato sulla rete. Mentre alcune attività particolari quali le scommesse clandestine, l'usura e lo spaccio di stupefacenti erano riferibili e gerarchie criminali cittadine ben note, l'attività criminale generale non era sottoposta ad un potere centrale né a gruppi precostituiti perché le reti di criminali non presentavano una coesione organizzativa. Troppa enfasi viene di solito posta sulla mafia come organizzazione madre che controlla ogni attività illecita cittadina. In tale contesto la mafia era certamente potente, ma faceva parte di un mondo sotterraneo eterogeneo, una rete globale caratterizzata da complesse reti minori di relazioni. Le organizzazioni criminali erano violente e miravano brutalmente a fare profitto, ma a causa della mancanza di struttura e della frammentazione degli obiettivi, in una visione più globale esse possono essere etichettate come "disorganizzate". Ulteriori studi hanno dimostrato che non sono né i gruppi basati su gerarchie di tipo burocratico né quelli basate su gruppi familiari a rappresentare la struttura primaria della criminalità organizzata ma i gruppi e le reti basate sulle relazioni d'affari.

Decentralizzazione del potere La criminalità organizzata contemporanea può risultare molto diversa dall'idea di organizzazione mafiosa tradizionale, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione e la centralizzazione del potere, le strutture di autorità e il concetto di controllo sul proprio territorio e sull'organizzazione.


C'è una tendenza che si sposta dal concetto di centralizzazione del potere e di affidamento dei posti di comando in base ai legami familiari e che va verso una frammentazione delle strutture e un'informalità dei rapporti tra i vari gradi gerarchici. Il crimine organizzato tipicamente fiorisce quando il governo centrale e la società civile risultano disorganizzati, deboli, assenti o non affidabili. Ciò può avvenire in una società sottoposta a forti turbolenze politiche, economiche o sociali o che si trova in una fase di transizione, come ad esempio un cambio di governo o un periodo di rapido sviluppo economico, soprattutto se la società manca di istituzioni forti e di uno stabile stato di diritto. Ad esempio, la dissoluzione dell'Unione Sovietica e le rivoluzioni del 1989 in Europa orientale che hanno portato alla caduta del blocco comunista hanno creato un terreno fertile per le organizzazioni criminali.

Le mafie globalizzate Il traffico internazionale di cocaina rappresenta uno dei giri d'affari principali delle mafie internazionali.In passato le organizzazioni criminali si autolimitavano in maniera naturale a causa del loro bisogno costante di espandersi, mettendosi in concorrenza tra di loro. Questa competizione, che spesso conduceva ad una violenza plateale, utilizzava risorse dispendiose come manodopera e attrezzature e richiedeva grosse disponibilità finanziarie.Oggi le organizzazioni criminali operano sempre di più in maniera collaborativa, e, in nome del profitto e del consolidamento del potere, cooperano tra loro. Ciò ha portato alla nascita di organizzazioni criminali di livello globale come le mafie internazionali e i cartelli della droga. Il processo di "globalizzazione" ha coinvolto anche strutture riferibili ad ex bande di strada, come la Mara Salvatrucha e la 18th Street Gang, un tempo semplici gang disorganizzate e oggi fiorenti imprese criminali. Ad esempio negli Stati Uniti la mafia italo-americana ha potuto contare su solidi legami con i gruppi della criminalità organizzata in Italia, come Cosa nostra, la camorra e la 'Ndrangheta. Inoltre, la cooperazione tra la mafia italo-americana e la mafia irlandese (John Gottidella famiglia Gambino e James Coonan dei Westies) è cosa nota (i Westies sono stati utilizzati dai Gambino in particolare nel ruolo di sicari), così come è cosa nota la collaborazione dei Gambino con la Yakuza giapponese e la mafia russa. L'Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC) ha stimato che i gruppi della criminalità organizzata in tutto il mondo hanno potuto contare su un profitto di oltre 322 miliardi di dollari nel 2005. Questo sensibile aumento della cooperazione tra le organizzazioni criminali ha portato le varie forze dell'ordine ad una sempre più maggiore collaborazione, anche internazionale.Le principali organizzazioni di tipo mafioso che operano a livello internazionale, oltre ai cartelli della droga sudamericani, sono quelle italiane (Cosa nostra, camorra, 'Ndrangheta ed i gruppi riferibili alle mafie di espressione nazionale ma con interessi internazionali: la mafia albanese, la mafia bulgara, la mafia cecena, la mafia russa, la mafia Pashtun, la mafia serva, la mafia polacca, la mafia italo-americana, la mafia irlandese (operante principalmente negli Stati Uniti), la mafia nigeriana, la mafia estone, la Yakuza giapponese, le Triadi cinesi. Queste mafie non sono da considerarsi organizzazioni omogenee e unite sotto una sola cupola o leadership a guida nazionale o territoriale, come le denominazioni con le quali vengono etichettate potrebbero far sembrare. I vari gruppi locali inseriti ideologicamente all'interno di queste macromafie "nazionali" sono spesso strutturati in maniera differente, operano in maniera diversificata in campi di interessi talvolta opposti e possono facilmente trovarsi anche in conflitto tra loro.

I cartelli della droga I cartelli della droga sono organizzazioni criminali transnazionali atipiche, fondate sul modello mafioso ma che possono essere considerate vere e proprie holding internazionali dato che si occupano della produzione, del trasferimento e del commercio in dettaglio di sostanze stupefacenti a livello internazionale o globale. Nascono da accordi tra i produttori, i trafficanti e gli spacciatori


che formalizzano un'impresa commerciale il cui scopo è unicamente il profitto economico. [34]La denominazione "cartello" è nata quando le più grandi organizzazioni dedite al traffico internazionale della droga raggiunsero vari accordi per coordinarne la produzione e la distribuzione ad un livello sempre più globale e si applicò in particolare alle alleanze dei cartelli colombiani degli anni settanta e ottanta con i gruppi mafiosi statunitensi ed europei. Una volta che questi tipi di accordi, che prevedono lo smistamento internazionale dello stupefacente, non esistono o vengono meno, l'organizzazione non può considerarsi un "cartello" nel vero senso della parola ma la denominazione ha avuto forte diffusione e viene applicata anche ad organizzazioni di tipo locale o a quelle che si occupano meramente della produzione o del trasferimento dei carichi da un paese ad un altro.I principali cartelli della droga sono quelli colombiani (cartelli di cartello di Medellín, Cartello di Cali, cartello di Norte del Valle) e quelli messicani (cartello del Golfo, cartello di Juárez, cartello di Sinaloa, cartello di Tijuana).

Terrorismo Un caso a parte rappresentano le organizzazioni terroristiche il cui scopo non si basa sul profitto economico ma su variegate ragioni politiche e spesso religiose. Il fine ultimo di queste organizzazioni è quello di creare terrore nella società attraverso azioni criminali che prevedono la morte di cittadini innocenti o azioni di guerriglia che possono incutere sentimenti vari nella popolazione, quali terrore o rassegnazione. Non c'è una definizione di organizzazione terroristica universalmente accettata e giuridicamente vincolante. Di solito con il termine "terrorismo" ci si riferisce a quegli atti violenti che mirano a creare paura (terrore) e sono perpetrati in nome di ideali religiosi, politici o ideologici, che ignorano deliberatamente la sicurezza di personale non combattente (i civili) e che sono commessi da agenzie non governative.Alcune definizioni includono anche gli atti di guerra e in particolare i crimini contro l'umanità. L'uso di tattiche simili da parte di organizzazioni criminali dedite al racket o per l'imposizione di un codice del silenzio non è di solito etichettato come terrorismo anche se queste stesse azioni possono essere etichettati come terroristiche se effettuate da un gruppo motivato a livello politico o ideologico.

Le attività tipiche Il crimine organizzato spesso entra nel giro degli affari legali attraverso le estorsioni ad aziende già presenti sul mercato o il furto commissionato da aziende ai danni di altre aziende (spionaggio industriale) e vari altri tipi di offese criminali di tipo finanziario come frodi assicurative, bancarotta fraudolenta o truffe sugli investimenti (insider trading).I gruppi della criminalità organizzata sono anche responsabili dei giri di furti d'auto (sia per lo smantellamento e la vendita al mercato nero dei pezzi, sia per l'esportazione in altri paesi), il furto su commissione di opere d'arte, le rapine, i


crimini informatici, le frodi con carte di credito, il peculato, il furto d'identità. Altre possono essere impegnate nella falsificazione del denaro, nel contrabbando di alcool, di sigarette e nel traffico di esseri umani, in particolare di immigrati irregolari.I gruppi utilizzano poi funzionari pubblici corrotti che operano in ruoli esecutivi, ad esempio nelle forze dell'ordine o nella polizia giudiziaria, in modo da poter evitare indagini e accertamenti sulle loro attività, o almeno da poter esserne avvisati in tempo al fine di prendere le dovute precauzioni.I gruppi della criminalità organizzata possono anche fornire una serie di servizi e di merci illegali, come il prestito di denaro a tassi di interesse molto alti (usura), omicidi, attentati e tentativi di stalking su commissione, scommesse illegali e gioco d'azzardo, e possono essere responsabili di scam, violazione del copyright, rapimenti, prostituzione, traffico di droga, traffico di armi, contrabbando di petrolio, traffico di organi, produzione di falsi documenti di identità (come falsificazioni o frodi sui passaporti per i corrieri internazionali della droga o per i latitanti), smaltimento illegale di rifiuti tossici, commercio illegale di materiali o armi nucleari, contrabbando di materiale militare, commercio illegale di specie animali in pericolo d'estinzione (traffico di animali e bracconaggio).I gruppi della criminalità organizzata possono anche influenzare fortemente il mercato del lavoro e quello economico in generale fornendo manodopera a basso costo tramite l'immigrazione clandestina o tramite attività quali il racket, il riciclaggio di denaro sporco, la corruzione di uffici politici e amministrativi e la creazione di monopoli in settori come la raccolta dei rifiuti e l'edilizia e, in generale, le frodi ai danni di enti locali, nazionali o statali tramite la turbativa d'asta sui progetti pubblici.

Definizioni normative Il consenso internazionale sulla definizione di criminalità organizzata si è reso necessario a partire dagli anni settanta del XX secolo a causa del forte impatto sulla società del fenomeno. L'Organized Crime Control Act statunitense (1970) definisce criminalità organizzata "le attività illegali di [...] un'associazione altamente organizzata e disciplinata". Secondo l'Enciclopedia Treccani, la criminalità organizzata è una "forma di delinquenza associata che presuppone un'organizzazione stabile di più persone al fine di commettere più reati [...]". L'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1976 ha definito la criminalità organizzata come "... le complesse attività criminali su larga scala portate avanti da gruppi organizzati di persone, in maniera non definita oppure con strutture complesse, con lo scopo di far trarre profitto ai suoi partecipanti a danno della comunità e dei suoi membri. Tali attività sono spesso portate avanti nel totale disprezzo di qualsiasi legge, con la commissione di reati contro la persona, e spesso in connessione con la politica corrotta". Secondo l'Unione europea (1998) "una organizzazione criminale è l'associazione strutturata di più di due persone, stabile nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere reati punibili con una pena privativa della libertà (...) non inferiore a quattro anni o con una pena più grave, reati che costituiscono un fine in sé ovvero un mezzo per ottenere profitti materiali e, se del caso, per influenzare indebitamente l'operato delle pubbliche autorità". Ci sono invece undici caratteristiche che la Commissione europea e l'Europol hanno individuato per definire correttamente un'organizzazione criminale. Devono essere soddisfatte sei di queste caratteristiche e le prime quattro sono obbligatorie. [42] Si distingue, in particolare, tra criteri obbligatori e criteri non obbligatori. Criteri obbligatori: ● L'organizzazione deve essere composta da più di due persone. ● Il gruppo deve essere responsabile di reati gravi. ● Il coinvolgimento in gravi attività criminose deve avvenire per un periodo di tempo prolungato o

indefinito. ● Il gruppo deve essere motivato dalla ricerca del profitto o del potere. Criteri non obbligatori:


● Il gruppo fa uso di strutture d'affari o attività di tipo commerciale. ● Il gruppo individua degli obiettivi da raggiungere e lavora ad essi tramite la divisione in ● ● ● ● ●

mansioni e compiti. Una qualche forma di disciplina o controllo è presente all'interno dell'organizzazione con eventuali sanzioni per il mancato rispetto delle regole. Il gruppo è coinvolto nel riciclaggio di denaro sporco. Il gruppo fa uso della violenza o di altri tipi di intimidazione. Il gruppo tenta di influenzare la politica, i media, la pubblica amministrazione, le autorità giudiziarie o l'economia. Le operazioni del gruppo vengono portate avanti a livello internazionale o transnazionale.

Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata [43] le caratteristiche da prendere in considerazione sono: ● crimine organizzato: gruppi strutturati, con tre o più persone, responsabili di uno o più reati

gravi, che hanno lo scopo di ottenere benefici economici o materiali; ● forme gravi di criminalità: reati punibili con almeno quattro anni di carcere; ● gruppo strutturato in maniera tale da non essere costituito fortuitamente e da non necessitare

di una struttura formale. La legge italiana, infine, prevede distinzione delinquere e associazione per delinquere di tipo mafioso.

dei

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tra associazione

per

Psicologia criminale La psicologia criminale è lo studio dei pensieri, della volontà, delle intenzioni e delle reazioni dei criminali. La psicologia criminale studia in particolare le motivazioni che spingono una persona a commettere un reato e le sue reazioni dopo averlo commesso. Lo studio si rivela utile sia nel caso in cui il criminale sia stato catturato dopo il reato e debba quindi presenziare in tribunale o essere sottoposto ad un interrogatorio, sia nel caso in cui egli si sia reso latitante onde cercare di prevedere le sue mosse. Gli psicologi criminali sono spesso chiamati a presenziare in tribunale per aiutare la giuria a capire le intenzioni e il comportamento di colui che è sottoposto a giudizio. Anche alcuni tipologie di studi psichiatrici affrontano aspetti del comportamento criminale.

Teoria della scelta razionale Basata sulla nozione ormai superata per la quale, indipendentemente dalle motivazioni, la decisione di commettere un reato è una scelta razionale fatta dopo averne valutato i benefici e le conseguenze, questa teoria tratta tutti gli individui come operatori razionali i quali commettono atti criminali dopo aver esaminato attentamente tutti i rischi connessi (sanzioni penali) rispetto ai benefici che potrebbero derivarne (ad esempio un profitto economico).[44] In questa teoria poca enfasi è posta sull'ambiente in cui la persona ha commesso il reato e sulle circostanze che possono averlo influito. Il ruolo delle organizzazioni criminali nel ridurre la percezione del rischio e nell'aumentare la probabilità di beneficio personale è una priorità in questo tipo di approccio; la struttura delle organizzazioni, lo scopo che essa si prefigge e l'attività portata avanti in maniera stabile e continuata nel tempo sono tutti elementi indicativi delle scelte razionali fatte dai criminali come membri appartenenti a tali gruppi. La teoria tende a ignorare, o a non prendere in dovuta considerazione, il fatto che le persone possono commettere crimini, oltre che per un mero profitto economico o materiale, anche o soprattutto per il bisogno di accettazione, rispetto e fiducia da parte di altri membri dell'organizzazione, come avviene, per esempio, per lo più nelle bande di strada, nelle gang giovanili e nei gruppi criminali a base ideologica.

Differenza tra criminalità e criminologia Peccato, in quanto la criminologia è una delle scienze più complete ed utili anche per coloro che non si appassionano di fronte a notizie riguardanti terroristi o serial killer, proprio perché è possibile considerarla una forma vera e propria di comunicazione.Se si riconosce questo si arriva ad


accettare due aspetti davvero interessanti: come questa disciplina si intrecci oggi più che mai, con i mass media, la rappresentazione mediatica dei fatti criminali e il relativo impatto sul pubblico ma è possibile andare oltre questo aspetto.Si potrebbe parlare di “crimin-azione”, di un legame stretto tra fenomeno criminale e processi comunicativi, perché azioni, gesti dei criminali, prove forensi, oggetti che caratterizzano una scena del crimine, sono tutti “segni” che comunicano che cosa se non il passaggio di qualcuno, piste ed indizi da seguire, aspetti legati alla personalità di un individuo, volontà di compiere un crimine?Una comunicazione particolare, patologica, che deve essere approfondita e valorizzata; una forma di comunicazione complessa quanto affascinante, che merita più attenzione in quanto sempre caratterizzata da relazioni che è possibile istituire tra elementi presenti e qualcosa di assente, ancora da scoprire tenne una conferenza stampa per dire che il boss era vivo e in Sicilia”. Come sempre Totò U Curtu nei momenti difficili trova il modo di comunicare ai suoi e a chi di dovere.

Soluzioni:cronaca giudiziaria,giornalismo investigativo e di inchiesta La cronaca giudiziaria è una delle materie più complesse legate al mondo dei media e della comunicazione. In ambito giudiziario come in altri, il giornalista ha principalmente l’ obbligo di informare i lettori tutelando prima di tutto.È importante che ci sia il rispetto e la tutela di tutte le parti implicate nel fatto di cronaca che si sta affrontando, come anche della magistratura, dei clinici e delle forze dell’ordine che si occupano del caso. Non è da sottovalutare poi il problema legato alla fonte: chi rivela sue fonti è un giornalista che nel futuro difficilmente riuscirà a reperire nuove informazioni circa i casi che andrà a trattare in quanto potrebbero temere una mancanza di tutela della loro privacy.Viene quindi affrontato il tema del segreto giornalistico e della deontologia professionale, sia la privacy delle persone coinvolte nei fatti di cronaca. Il diritto di cronaca impone la massima trasparenza e veridicità della notizia. Nel caso in cui le fonti chiedano di rimanere riservate, il giornalista è tenuto a rispettare il segreto professionale e questo secondo la legge n.69/1963) e la Carta dei doveri del giornalista 8 Luglio 1993.Nello svolgimento della sua professione, il giornalista deve porre grande attenzione anche all’uso del linguaggio, a maggior ragione quando si fa riferimento ai minori per evitare un “etichettamento di terzi” da cui è difficile liberarsi.Emerge automaticamente un’altra questione delicata: la relazione che può instaurarsi tra attori e fruitori dell’informazione. Infatti in alcune circostanze chi fa informazione può volutamente omettere della parti in modo da non danneggiare un’inchiesta in corso. Per esempio, in caso di stalking questo avviene per proteggere una vittima e la sua famiglia, ma anche per proteggere la famiglia del presunto autore. Nei casi di stalking principalmente la vittima stessa potrebbe rivolgersi alle forze dell’ordine e procedere con la denuncia ma anche coinvolgere in modo diretto i media. La figura del giornalista in questo caso, oltre che informare, fornirebbe in collaborazione con apposite associazioni un vero e proprio aiuto psicologico concreto, soprattutto nel momento in cui non riesce a far avviare un procedimento penale dal questore, “condividendo” cosi la drammatica situazione con altri individui che “collaborano” per ridurre il rischio di possibile violenza e minacce. Il giornalismo investigativo o d'inchiesta è una tipologia di giornalismo che comporta un lavoro di investigazione approfondita su vari temi.Steve Weinberg, professore di giornalismo all'Università del Missouri, così ha definito il giornalismo investigativo:«Raccontare, sulla base della propria iniziativa e del proprio lavoro, fatti che siano rilevanti per i lettori, gli spettatori o gli ascoltatori.»In molti casi, i soggetti del reporting vorrebbero che le materie sotto indagine rimanessero nascoste. Attualmente ci sono diversi dipartimenti universitari che insegnano giornalismo investigativo. Si tengono inoltre conferenze per presentare ricerche esaminate dalla comunità dei pari sul tema del giornalismo investigativo. L'inglese Hugo de Burgh, teorico dei media, ha affermato che:«Un


giornalista investigativo è un uomo o una donna la cui professione è di scoprire la verità e identificare gli scostamenti da essa in qualsiasi media possa essere disponibile»Fare ciò è generalmente chiamato giornalismo investigativo ed è distinto dal lavoro apparentemente simile svolto da polizia, avvocati, ispettori ed enti regolatori poiché non è limitato agli oggetti di indagine, non ha un fondamento giuridico ed è strettamente collegato con la divulgazione.Tra le tematiche affrontate dal giornalismo d'inchiesta ci sono quelli riguardanti le attività della sfera criminale (come il terrorismo, il crimine organizzato, il traffico di esseri umani, l'economia canaglia), i temi riguardanti la corruzione (come i misfatti delle multinazionali), e le inchieste sociali su fenomeni di costume o culturali controversi (come la prostituzione, i trend sessuali, l'immigrazione, le mode giovanili)Il punto di partenza è stata l’Ucraina, perché da lì, dalla Global Investigative Journalism Conference di Kiev del 2011, otto giovani giornalisti italiani sono tornati con tante idee nella testa, anche confuse, ma con un comune progetto: fare (vero) giornalismo d’inchiesta. Quel giornalismo che negli ultimi anni, complice la crisi e il taglio del personale nelle redazioni, si fatica sempre di più a ritrovare nella stampa italiana. Nasce così IRPI - Investigative Reporting Project Italy, la prima associazione no-profit in Italia formata da giornalisti investigativi di grande esperienza che dal 2012, in modo indipendente, realizza inchieste, articoli e documentari web di denuncia in italiano, inglese, spagnolo e tedesco. In cinque anni IRPI ha raccontato di corruzione, criminalità organizzata, ambiente, politica corrotta, diritti umani, malaffare, investigando a tutti i livelli grazie anche alla collaborazione di una fitta rete di contatti diffusa in tutto il mondo. Portano anche la firma di IRPI inchieste ‘Bahamas Leaks’, ‘Mafia Capitale e il tesoro di Massimo Carminati a Londra’ e molte altre come i Panama Papers alla cui realizzazione hanno partecipato tre giornalisti del network. Perché IRPI, oltre che fornire un servizio di fixing (supporto e assistenza ai media e giornalisti stranieri in Italia) funziona così. come ‘I Panama Papers’ che portano le firme di tre giornalisti di IRPI, Lo spiega Alessia Cerantola giornalista di IRPI?Come lavora IRPI? L’idea di un’inchiesta nasce di solito da una segnalazione, un’intuizione. Prima di iniziare presentiamo il nostro progetto a enti benefici o fondazioni internazionali per ottenere fondi o finanziamenti che possano sostenere il lavoro che questo progetto richiede. Realizzata l’inchiesta, contattiamo (se non l’hanno già fatto loro anticipatamente) le testate che potrebbero essere interessate a pubblicarla. Lavoriamo anche co-producendo inchieste con singole testate (sia italiane che estere) e ci autososteniamo anche con forme di crowdfounding. Il modello lavorativo a cui vi ispirate è molto diffuso in Europa e negli Stati Uniti. Si potrebbe applicare alla realtà giornalistica italiana? Gli ingredienti ci sono tutti, basterebbe solo sperimentare di più, adattandosi all’evolversi di questo mercato e alle richieste dell’audience. Forse in questi ultimi anni, come giornalisti, abbiamo perso un po’ il rapporto con il nostro pubblico e questo va di sicuro recuperato anche attraverso la capacità di dare maggiore professionalità a questo mestiere. Non è vero, come si sente spesso dire, che ‘il giornalista ormai non serve più’; al contrario, il giornalista oggi deve essere molto più preparato di prima perché, per poter dare un’informazione quanto più possibile accurata, è chiamato ad andare a fondo nelle cose e questo comporta necessariamente una maggiore preparazione. Ora l’informazione è veloce, arriva dalle fonti più disparate e spesso non è neppure veritiera; in più l’attenzione dei lettori è frammentata e minima. Che futuro pensi possa avere il vostro progetto che invece va in direzione contraria (quella di un tipo di informazione approfondita, verificata, più lenta)? La nostra è una sfida. Con il nostro modo di fare giornalismo speriamo di portare qualcosa di diverso che contribuisca a riconsegnare alla figura del giornalista, quella professionalità che sembra aver perso. Noi vogliamo offrire qualcosa di più a chi legge, quel valore aggiunto alla notizia che è ancora insostituibile. Né i social media, che possono essere degli ottimi strumenti da usare come fonti o come strumenti per raggiungere il pubblico, né i robot sono sostituti del nostro lavoro. Nell’era del digitale in cui chiunque può improvvisarsi reporter, come si fa a guadagnarsi credibilità? Con il tempo, tantissimo tempo. Solo questo dà la possibilità di sconfiggere tanti ‘nemici’ tra cui le notizie (e le stesse inchieste) false. E credo che se come giornalista riesci a fare un lavoro serio e approfondito, ponendoti in modo umile di fronte al lettore, alla fine la credibilità è quello che davvero ti resta, perché la prova che hai fatto davvero un buon lavoro, anche quando questo è di denuncia, è proprio il fatto di non essere smentito e portare


prove solide della tua ricerca. Come sono andati questi cinque anni? Siamo partiti dal nulla, nessuno ci conosceva ed è stato difficile anche solo presentarci in giro e far capire il nostro lavoro. Adesso la sigla IRPI comincia a dire qualcosa, le testate riconoscono il nostro nome e spesso sono loro a contattarci per prime; in questo senso si sono rovesciati i ruoli. Inoltre, comincia a rafforzarsi la via della sostenibilità e questo è un’enorme conquista per chi, come noi, non può contare su fondi pubblici o sulla pubblicità. Avete maggiore riscontro dalla stampa estera o da quella italiana? E perché? Per ora la bilancia pende di più verso quella estera e sono tanti i motivi che spiegano questa resistenza da parte della stampa italiana. In parte perché da noi le testate sono spesso spaventate dall’aspetto dei costi. A un’inchiesta possiamo lavorare per mesi a volte anni e in tanti. Spesso ci avvaliamo anche delle competenze di esperti esterni non necessariamente giornalisti (persone che ne sappiano, ad esempio, della lettura o rielaborazione di dati, matematici, hacker, accademici...). Noi giornalisti in fondo siamo dei ponti, il tramite tra chi ne sa (l’esperto) e il pubblico; noi traghettiamo le informazioni rendendole digeribili e comprensibili al pubblico. E poi si fatica ad investire su collaboratori esterni perché i giornali fanno prima il conto sul proprio personale. L’Italia non ha una tradizione di freelance intesi come professionisti capaci di offrire un prodotto di ugual valore rispetto a quello fornito dai giornalisti assunti nelle redazioni. Nella realtà, ad esempio quella anglosassone, spesso il freelance viene pagato di più proprio in quanto esterno, da noi è considerato più spesso il ‘giornalista di serie B’ o quello disoccupato. Un altro ostacolo viene dal fatto che a volte si fatica a capire quello che facciamo e spaventa che, per affrontare questo tipo di contenuti, al lettore venga richiesto un impegno maggiore, contrariamente a ciò che richiede l’informazione di oggi.Consiglieresti a un giovane di fare il giornalista oggi? Sì. Credo che in questo momento ci sia un bisogno assoluto di giornalisti di qualità, persone formate che abbiano voglia di mettersi a fare un giornalismo di un certo tipo, quello che ti chiede di stare anche mesi senza pubblicare nulla ma che dopo tanta fatica, ti permette di uscire con un lavoro di valore.

Approfondimento:come comunica la mafia? Le organizzazioni criminali investono tempo e denaro per comunicare. E spesso questo tipo di comunicazione viene interpretata come bizzarria: è il caso, per esempio, dei morti incaprettati o dei morti ammazzati e ritrovati con gli organi genitali in bocca. E si potrebbe continuare ancora. E’ questo un passaggio dell’intervento tenuto da Diego Gambetta, un torinese che insegna sociologia all’università di Oxford, che a questo tema ha dedicato un libro che si intitola appunto Codes of the underworld, how Criminals Comunicate) ovvero “La comunicazione criminale”. Gambetta è intervenuto al Festival dell’Economia che si tiene a Trento in un incontro moderato da Dario Laruffa, giornalista del Tg2. Il professore si è soffermato in particolare sull’attività di comunicazione (anche involontaria) dei mafiosi appartenenti a Cosa nostra messa in relazione all’attività di comunicazione dei terroristi: se i primi devono comunicare ai fini del controllo del territorio, i


secondi hanno necessità di trasmettere un messaggio ai fini della propaganda per la causa che perseguono. E tra mafiosi e terroristi, nei differenti obiettivi perseguiti, ci sono elementi in comune: come la segretezza e l’affidabilità. Nel caso dei mafiosi, Gambetta ha raccontato un paio di aneddoti tratti dalle cronache che rendono l’idea di quali siano le regole tra criminali. La prima storia raccontata dal professore è tratta dal giornale The Katmandu Post: “Ali Hssain portavoce di Suganda Samity, l’associazione che raccoglie i 10mila ladri professionisti che operano a Daka, capitale del Bangladesh., racconta: abbiamo anche un servizio di spionaggio attraverso il quale i domestici ci danno informazioni dall’interno per derubare i loro padroni. In cambio, noi diamo a questi informatori una fetta dei guadagni ottenuti svaligiando le case”. L’altra storia riguarda il gioco del lotto clandestino a Napoli: “Dei cittadini partenopei – dice il professore – per dimostrare la correttezza della camorra mi hanno detto: gli uomini della camorra vengono a casa a ritirare il bollettino giocato e i soldi ma poi tornano a portare il premio in caso di vincita. E’ chiaro che se la camorra non rispetta le regole il gioco crolla: la fiducia è essenziale”.C’è poi, tra le altre cose, una questione che riguarda l’essere mafioso e la necessità di apparire vitale: “L’uomo di cosa nostra non deve mai presentarsi come tale — dice il professore – ed è fatto obbligo al mafioso dichiararsi incompetente su tutto”. C’è ancora la questione dei soprannomi: “che fa parte della cosiddetta comunicazione tra partner noti (tra singoli mafiosi) – dice Gambetta — . Una comunicazione che avviene spesso all’aria aperta (è conosciuta la passione dei mafiosi per la caccia ndr), a distanza attraverso linee speciali come radio su lunghezze d’onda particolari, pizzini trasmessi attraverso fiduciari, segni a linguaggi convenzionali, conversazioni in codice. E poi c’è il fatto che molti killer sono indicati dal soprannome: secondo uno studio sugli imputati del maxiprocesso a Cosa nostra abbiamo notato che il 60% degli imputati era indicato solo con il soprannome”. Altra questione è quella della comunicazione a partner noti, ma alla moltitudine: Siccome la mafia non può utilizzare la mailing list – dice Gambetta – allora si è attrezzata. Ecco il perché dei cadaveri decorati delle vittime degli omicidi di mafia che non sono inutile primitiva brutalità ma segno di efficienza. Così come hanno u n significato il denaro, i sassi o i genitali che hanno un valore di icona, illustrano i motivi dell’omicidio e i media diffondono il messaggio gratis. Gli incaprettati sono un marchio per i traditori anche se ilo pentito Marsala ha poi raccontato che lo facevano solo perché veniva più semplice inserirli nel cofano delle macchine”. Ci sono poi messaggi in una comunicazione d’emergenza: “Nel 1992 – racconta Gambetta – a cavallo delle stragi mafiose di Capaci e via D’Amelio l’avvocato palermitano Cristoforo Fileccia, che difendeva Totò Riina il capo dei capi.



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