Noi e Loro

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Da una collaborazione degli alunni della 2^E

NOI E LORO

NOI E LORO

Pur essendo diversi saremo sempre uguali, non importa chi sei,diversi ma cosa fai per gli Pur essendo saremo altri

sempre uguali,non importa

Novembre- Dicembre 2012

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Indice

Capitolo 1 di Alice Zurla

pag. 3

Capitolo 2 di Federico Liguori

pag. 5

Capitolo 3 di Viviana Viaggi

pag. 9

Capitolo 4 di Chiara Cioni

pag. 10

Capitolo 5 di Giovanni Lenzi, Paolo Sabattini, Marco Tugnoli

pag. 12

Capitolo 6 di Giulia Negroni, Alessia Taglioli

pag. 13

Capitolo 7 di Leonardo Laghetti, Giulia Negroni

pag. 14

Capitolo 8 di Sara Dugoni e Noemi Nicchi

pag. 15

Illustrazioni (matita nera) di Carolina Tinti

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CAP.1 (di Alice Zurla) Era una fredda mattina d’inverno, mi alzai quando la mamma mi chiamò e, anche se volevo continuare a dormire, mi resi conto che era ineluttabile: dovevo andare a scuola. Come tutte le mattine suonò la campanella ed entrammo in classe. Le prime ore passarono normalmente. All’improvviso suono la campanella dell’intervallo e la professoressa ci disse di aprire le finestre per cambiare aria. Era una giornata fredda e buia guardai il cielo e mi sembrò di vedere in lontananza una luce bianca… non capivo cosa potesse essere e chiamai il mio compagno di banco per farla vedere anche a lui. Quando lui arriva non c’è più la luce e quindi lui mi guarda e mi dice: “Ma stai bene?” e io ribatto: “Ti giuro che c’era una luce bianca!!!” Finito l’intervallo, chiudemmo le finestre e ci rimettemmo a fare lezione. Ad un certo punto sentii bussare alla finestra vicino a me e vidi una specie di bambino con la testa molto grande, due occhi piccolissimi e due orecchie giganti a forma di imbuto. Mi spaventai pensando che doveva essere un alieno. Allora mi decisi a chiamare la professoressa per farglielo vedere. Tutti eravamo senza parole… decidemmo di farlo entrare anche se avevamo un po’ di paura. Lui si muoveva a scatti, non parlava e gesticolava molto, ma noi non riuscivamo a capire cosa ci volesse dire. All’improvviso ci fece guardare il cielo… forse quella famosa luce bianca che avevo visto poteva essere la sua astronave?? Che fosse caduto da lì?? Voleva ritornare? A questo punto con la professoressa e i miei compagni decidemmo di aspettare per vedere se l’astronave tornava a prenderlo. Lo lasciammo nella nostra aula… sembrava spaventato! Che tenerezza che mi faceva! Il giorno dopo tornai a scuola con una grande euforia, mi chiedevo chissà come avrà passato la notte! Sia io che i miei compagni gli avevamo portato da mangiare, ma purtroppo non mangiava niente… chissà cosa era abituato a mangiare!

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E’ buffo perché mentre noi facevamo lezione lui stava lì buono buono e sembrava quasi che ascoltasse! Il giorno dopo ancora entrammo in classe e vedemmo che il vetro della finestra era rotto! Cominciammo a cercarlo per tutta la scuola ma purtroppo non riuscivamo a trovarlo… sicuramente la sua famiglia era tornato a prenderlo! Eravamo tutti molti dispiaciuti che quell’esserino non fosse più tra noi perché ci piaceva proprio: era così buffo! Poi tutto ad un tratto ci domandammo: “Era un sogno o era realtà?”

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CAP.2 (di Federico Liguori) Eccolo lì. Era proprio davanti ai miei occhi. Sentivo l’acqua scorrere dietro di me. Buio. I lampioni illuminavano la stretta strada alla mia sinistra, ma era fioca la luce che arrivava. Molto fioca. Il ruscello scorreva incessantemente. Ma non ci feci caso. Era proprio lì, davanti a me. C’era una leggera foschia, e sentivo un odore acre. Buio. Mi avvicinai, ma non osai fare nulla, non potevo sapere che effetto avrebbe fatto. Sarebbe potuto essere pericoloso. Acqua. Freddo. C’era qualcosa che rendeva il tutto troppo irreale, sembrava di essere in un sogno. Non potevo chiamare nessuno, non avevo il cellulare. Era lì, e si stagliava maestosa davanti a me. Buio. L’odore si fece più forte, e anche lo scorrere del ruscello. O era la mia immaginazione? Stavo sognando tutto? No, non ero pazzo. Era proprio di fronte a me, ma perché mai nessun altro l’aveva notato? Non era così piccolo. Non lo era per niente. 24 ore prima… La mattina era piovosa. Come al solito. La camera era la stessa delle altre mattine, come se avesse dovuto essere diversa. Aprii gli occhi, ma vidi il muro davanti a me, il vecchio muro sbiadito della mia camera. Sembrava di vivere in bianco e nero, la mia camera era quasi completamente grigia. Proprio come il cielo. E il mio umore. Mi alzai dal letto già stanco e mi vestii con le prime cose che capitarono. Una maglia nera, dei pantaloni grigi e le solite scarpe nere rovinate. Strano, eh? Spalancai la porta, ma non vidi niente di nuovo. Come al solito. I miei genitori erano via di casa, così sarei dovuto andare a scuola in autobus. Che bella prospettiva. Scesi le scale, mi misi a sedere al tavolo. Accesi la TV. Non c’era nulla di interessante, così la spensi. Il brutto ghigno del presentatore sparì nel nulla. Feci colazione, mi misi lo zaino in spalla e uscii di casa, chiudendola a chiave. Dopo il viaggio in autobus più noioso della terra arrivai alla vecchia scuola nella quale mi recavo ogni mattina. Per la strada c’erano decine di auto colpite dalla pioggia. Altri ragazzi si recavano con passo lento e avvilito. Non avevo nemmeno un ombrello, ma un po’ d’acqua non fa male a nessuno, vero? Dopo essere entrato nel palazzo millenario che tutti chiamano scuola, mi fermai un secondo. Solo io vedevo una specie di foschia nella scuola? Mi infastidiva. Dovetti fare un passaggio rapido in bagno per lavarmi la faccia, ma la foschia rimase. Forse non mi ero ancora svegliato del tutto. Entrai nella classe 2^E, cioè la mia. Mancavano ancora alcune persone, quindi mi tranquillizzai. Passarono la prima, la seconda e la terza ora molto lentamente. DRRRRRRIIIIIINNNNNNN! La campanella suonò e scatto l’intervallo. Non che importasse davvero qualcosa a nessuno. Tutti rimasero ai banchi a leggere o a chiacchierare. Ormai del piccolo “alieno” nessuno parlava più. Io andai in bagno.

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Cosa diavolo era quella foschia che continuavo a vedere? Mi sciacquai nuovamente il volto, ma sembrava di essere in un sogno. Sentii dell’acqua scorrere dietro di me. Dietro? Ma se il lavandino era davanti a me! E per giunta, non era nemmeno aperto! Un po’ impaurito uscii dal bagno e corsi in classe. Come ogni giorno mi misi alla finestra, tanto per far passare quei tre minuti che restavano. Fu allora che vidi una luce bianca in cielo. Ma non era una luce come le altre, sembrava provenire da un cannone laser molto potente. Forse era un’altra allucinazione. Chiamai un mio amico, ma nel tempo in cui venne alla finestra la fantomatica luce scomparve nel nulla. Dopo qualche insulto da parte sua, mi ritrovai confuso. Perché vedevo della foschia intorno a me? Perché sentivo dell’acqua scorrere nella mia testa? Perché avevo visto una luce bianca nel cielo, che poi era sparita? DRRRRIIIIIINNNNNN! Fine dell’intervallo e c’era matematica per giunta. Non poteva andare peggio. Mi sedetti ad un banco vicino alla finestra per osservare ciò che accadeva al di fuori della scuola. Dopo circa un quarto d’ora qualcuno bussò al vetro della finestra. Nessuno sentì nulla, a parte me e decisi di non farne parola per evitare di esser preso in giro. Mi voltai di scatto e vidi… un essere! Era una specie di lucertola mezza umana e grigiastra, piena di aculei. Ma non feci in tempo a osservarla che fuggì con dei movimenti che non riesco nemmeno a descrivere. Mi guardai attorno. Nessuno aveva notato niente. Niente. Ero estremamente confuso. Chiesi di andare in bagno e uscii. Scappai dalla classe. Dovevo riordinare le idee. E in fretta. Balzai fuori da un’uscita d’emergenza cosicché nessuno mi vedesse e mi fiondai nel giardino. Quell’essere doveva essere lì, ci avrei scommesso la vita. I miei piedi colpivano l’erba bagnata in modo frenetico. Mi persi fra gli arbusti della scuola, e pensai di impazzire. La pioggia mi scivolava addosso, tanto che sentii dell’acqua scorrere alle mie spalle. Una specie di latrato mi fece prendere un colpo. Ecco l’essere! Era caduto in una buca scavata da qualche cretino. Sembrava che stesse affogando, dato che la pioggia aveva riempito il buco come un bicchiere. Dovevo scegliere se lasciarlo morire come un miserabile o salvarlo. Mi fiondai nella buca e lo tirai fuori con una fatica immane. Eravamo entrambi sporchi di fango da tutte le parti. Sembrava che fosse svenuto. Lo dovetti trascinare fino al muro vicino all’ingresso della scuola. Era una grande scoperta per la scienza, avevo catturato un alieno vivo! Eravamo lerci come maiali. Lo osservai meglio. Chissà se aveva a che fare con l’esserino che si era fermato da noi qualche tempo prima. Era un rettile, o lo sembrava, e aveva delle specie di aculei che uscivano da ogni dove. Ero indeciso: potevo portarlo in classe o chiamare la polizia o chiunque altro. Ma no. Mi attirava l’idea di tenerlo segreto. Prima lo portai nel bagno, lasciando dietro di noi una scia di fango che cercai di camuffare alla meglio e facendo impronte anche verso l’ingresso che porta all’orto. Poi dovevo lavarmi e cambiarmi velocemente, non potevo tornare in classe così conciato. E così feci. Andai nella palestra (dove fortunatamente non c’era nessuno) e mi feci una doccia a tempo di record. Poi mi cambiai con dei vestiti puliti che avevo nello zainetto che

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conservo nello spogliatoio. Intanto avevo buttato l’alieno nello sgabuzzino in disuso dei bidelli. Lì non l’avrebbe trovato nessuno. Entrai in classe, ma nessuno notò che mi ero cambiato, né tanto meno mi chiesero perché ero stato fuori così a lungo. Finirono le lezioni e tutti uscirono dalla classe, ma io no. Furtivo, portai l’alieno o quello che era nella classe e la chiusi a chiave. Poi scappai fuori. Tornai in autobus, ma anche lì sembrava che nessuno mi vedesse. Le luci dei lampioni mi bruciavano gli occhi, nonostante la luce che proveniva fosse fioca. Molto fioca. La pioggia cadeva spietatamente, ma io pensavo solo a quell’essere. Che cos’era? Da dove diavolo era arrivato? Avevo fatto bene a non ucciderlo e occultarne il corpo? Un uomo mi venne contro, ma non mi notò. Gli urlai dietro, e lui per tutta risposta mi disse di fare attenzione a ciò che avevo fatto. Sbarrai gli occhi. A che cosa si riferiva? Sapeva che avevo nascosto un mostro nella mia classe? No, ho un’immaginazione troppo fervida. E psicotica. Passarono le ore, ma nel mio letto non riuscivo a dormire. Tick, tack, tick, tack…L’orologio procedeva inesorabilmente. La mattina dopo era sabato. Di nuovo buio e pioggia. La scuola era chiusa e vi tornai di nascosto. Ora sorgeva un problema. Come potevo entrare? Mi ricordai di aver lasciato aperta la porta d’emergenza dalla quale ero uscito la prima volta e così entrai facilmente e corsi per i corridoi nebbiosi. Quella nebbia mi perseguitava. Sentii di nuovo una specie di ruscello alle mie spalle. Spalancai la porta della classe ma non vidi nessuno. Le tende svolazzavano davanti ad una finestra rotta. Anzi, completamente sventrata. Pezzi di vetro non più grandi di un’unghia erano sparsi a terra. Oh, no. L’essere si era risvegliato ed era fuggito. Questo era un problema. Balzai fuori dalla scuola e corsi. Corsi e corsi. Dovevo riacciuffare quell’alieno prima che scappasse e andasse in un centro abitato. I passi rimbombarono nel silenzio. Arrivai presso il vecchio ponte sul fiume. Eccolo lì! Era proprio davanti ai miei occhi. Sentivo l’acqua scorrere dietro di me. I

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lampioni illuminavano la stretta strada alla mia sinistra. Il ruscello scorreva incessantemente. Ma non ci feci caso. Era proprio lì, davanti a me. C’era una leggera foschia, e sentivo un odore acre. Mi avvicinai all’essere. No, non all’essere. Mi avvicinai ad un’astronave enorme. Esatto, ed era proprio sul ponticello. Era inglobata dentro a una specie di membrana luminosa. Non ci potevo credere. L’essere non c’era, ma questo era decisamente più spaventoso. Era fatta interamente di alluminio e metallo, ed aveva dei cannoni laser ai lati. Non potevo chiamare nessuno, non avevo il cellulare. Ma non potevo averla vista solo io! Era enorme, luminosa ed era proprio sul ponte. La foschia attorno si fece fittissima. E il ruscello iniziò a scorrere velocemente. Indietreggiai per lo stupore misto ad angoscia, ma caddi. Poi vidi solo nebbia.

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CAP. 3 (di Viviana Viaggi) Quando mi ripresi la foschia si era fatta ancora più fitta, e sia la navicella che la membrana di luce che la ricopriva erano come scomparse nel nulla. Non potevo crederci. Ero molto confuso. Feci qualche passo avanti per vedere dove diavolo era finita. Non la vidi. Deluso e impaurito corsi dall’altra parte del ponte e di nuovo vidi l’alieno. Stava cercando qualcosa. Preso da un improvviso raptus subito gli corsi incontro. Senza pensarci tentai di afferrarlo, però subito mi punsi con i suoi aculei affilatissimi. Sentivo scorrere l’acqua dietro di me. L’alieno con un piccolo scatto mi scaraventò via. Rintontito dalla caduta e dalla paura, stabilii di tornare a casa. Ma proprio mentre stavo tornando, vidi un bagliore provenire dal letto del fiume. Considerai se fosse possibile sfuggire alla vista dell’alieno e andare a vedere. Ecco dove era finita la navicella!!! Vidi che l’essere si era allontanato e che una serie di cespugli mi nascondeva alla sua vista. Allora decisi di entrare furtivo nella piccola astronave. Dentro era tutto buio e lo scrosciare della pioggia sull’alluminio faceva rabbrividire e mi impauriva sempre di più. Più andavo avanti più mi sembrava infinita, finché non vidi un raggio di luce che penetrava la semioscurità. Corsi a vedere che cosa fosse. Non era possibile. Chissà che cosa se ne faceva l’alieno di un i-pad… Nell’i-pad c’erano delle tappe di una mappa e tutti i pianeti del sistema solare. Ce n’era uno in particolare evidenziato: la TERRA!! Di fianco alla mappa erano scritti dei geroglifici che non riuscivo a capire. E una serie di domande mi pervase la mente: perché l’alieno era arrivato sulla Terra? Perché stava cercando qualcosa e che cosa stava cercando? Perché quella navicella era lì? E perché dentro c’era un i-pad? Ma la domanda più grande era perché la TERRA era evidenziata. Ero molto confuso.

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CAP. 4 (di Chiara Cioni) Ero davvero molto confuso. L’unica cosa che mi venne in mente fu di guardarmi intorno. Muri violacei luminosi fatti di una membrana appiccicosa, molle e trasparente, ed enormi macchinari misteriosi con numerosi pulsanti che lampeggiavano mi circondavano. Mi avvicinai all’i-pad posizionato sopra a degli strani rami che partivano dal pavimento e intrecciandosi formavano una specie di conca. Sfiorai lo schermo con la punta delle dita e si aprì una pagina scritta in “alienese” con raffigurata la terra ed evidenziati alcuni punti su di essa. Improvvisamente vidi attraverso quella parete gelatinosa l’alieno che stava tornando. Dovevo sapere di più. Allora preso da uno dei miei soliti e inopportuni raptus, afferrai l’i-pad ma uno dei rami si attorcigliò alla mia mano. Cosa potevo fare?! Ero bloccato e per quanto provassi a liberarmi non ci riuscivo, anzi, il ramo continuava a stringere sempre di più. Non mi sentivo più la mano. L’alieno si stava avvicinando sempre di più, allora nella foga diedi uno strattone e spezzai il ramo. Uscii dalla navicella e corsi più veloce possibile con l’i-pad sotto braccio fino ad un enorme masso, mi nascosi lì dietro in preda alla paura. Sentii un urlo forte e raccapricciante: l’alieno se ne doveva essere accorto. All’improvviso la foschia si fece sempre più fitta, così corsi a perdifiato fino ad essere il più lontano possibile. Mi fermai quando attorno a me non c’era che nebbia e il fiume. Mi resi conto di una cosa: ero stato via molto a lungo senza dir niente... E i miei genitori? Corsi a più non posso verso casa. Una volta arrivato vidi con sollievo che i miei non c’erano ed esausto, mi andai a chiudere in camera per tenere tutto segreto. Sprofondato nella mia poltrona preferita, presi l’i-pad e cercai la possibilità di selezionare una lingua “terrestre” anche se non fu facile per via della scrittura in “alienese”. Riuscii a leggere i nomi dei punti evidenziati nella mappa e vidi che erano: San Pietroburgo, Stoccolma, Los Angeles e BOLOGNA!!! Tutti i nomi avevano una crocetta sopra tranne Bologna. Avevo ancora il cuore in gola

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quando sentii il rumore delle chiavi girare nella serratura, i miei!!! Ero in condizioni indecenti, completamente sporco di fango allora più veloce della luce schizzai in bagno. Lavato e con vestiti puliti uscii e andai ad abbracciare i miei, con l’aria di chi si è annoiato tutto il tempo… poi andai in camera mia e, stanco, ma davvero molto stanco, mi addormentai di schianto. Il giorno dopo era domenica. Mia madre mi svegliò per il pranzo e io, svogliato, mi recai in cucina. La TV era accesa. Mio padre stava guardando il TG e io non potei fare a meno di sentire che delle enormi voragini si erano formate a San Pietroburgo, Stoccolma e Los Angeles. Ma erano proprio le città evidenziate e poi crocettate sulla mappa! Corsi fuori di casa con la scusa che dovevo vedere un amico e mi diressi verso il fiume. Troppo tardi. Davanti a me c’era un’enorme voragine. Mi avvicinai e intravidi una luce all’interno….

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CAP. 5 (di Giovanni Lenzi, Paolo Sabattini e Marco Tugnoli) Ero molto spaventato ma mi avvicinai lo stesso per capire la provenienza della luce. La situazione era critica: che c’entrasse una bomba nucleare?! Forse qualche terribile esperimento su noi umani… o forse una guerra tra alieni… mi chiesi che fine avesse fatto il primo simpatico esserino che ci aveva chiesto ospitalità in classe… Ma non c’era da fidarsi! A cosa poteva servire questo cratere? In quale parte della terra ne potevano provocare altri? E se fosse la minaccia di qualcosa di peggiore… se volevano farla esplodere a breve? Come potevo portare tutti in salvo? Tornai a casa un po’ frastornato e speranzoso di incontrare qualcuno che potesse darmi delle risposte, ma nel tragitto vidi in lontananza una figura molto familiare. Stessi occhi, stessa andatura, stessi capelli. Ci passai di fianco e ci sfiorammo. Lui si girò con aria minacciosa ed ecco che capii. Ero io! Mi trovai all’improvviso di fronte a me stesso! Ad un mio clone! Eppure io non ho fratelli. Doveva per forza essere un qualcosa di paranormale. Avrei voluto fermarlo e chiedergli qualcosa… ma non ebbi il coraggio e proseguii il cammino. Tornai a casa stanco per via della lunga camminata, ma una volta arrivato vidi la mia camera completamente saccheggiata. Mi resi conto che l’unico autore di questo disastro poteva esser l’alieno. Cominciai a cercare disperatamente i miei genitori e il mio preziosissimo I Pad ma nulla da fare! Non si trovavano. Guardai dietro alla porta e vidi una scritta: “incontriamoci al grande ponte sull’Idice”. Spaventato ed incuriosito mi incamminai immediatamente verso il luogo dell’incontro. Arrivato al parcheggio, mi posizionai dietro un albero e mi domandai perché il clone si trovava nel mio percorso. Era forse stato lui a distruggere casa mia e portarmi via l’I -Pad?..........................

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CAP. 6 (di Giulia Negroni e Alessia Taglioli) Appena arrivato al parcheggio vicino al ponte sull’Idice mi ritrovai circondato da una fittissima foschia: non si vedeva nemmeno lo stadio a pochi passi. Sentii ancora lo scroscio dell’acqua. Mi voltai e lo vidi. Era lì. Ero pervaso dall’ansia. Era uguale a me. Come il sosia che avevo incontrato poco prima. Ma ad un tratto cambiò forma. Caddi a terra dallo spavento alla vista di quel mutamento di forma. Mi rialzai di scatto. Corsi dietro il primo nascondiglio che vidi. Un albero. Con lo scroscio dell’acqua che mi perseguitava come il tempo che passa, urlai. Ma sentii il nulla. Sembrava che la città fosse deserta, non c’era una macchina o un qualsiasi altro rumore che tradisse quel silenzio. Mi voltai lentamente. Dietro di me vidi l’alieno. Era lì che mi guardava. Mi girai dalla parte opposta cercando una scappatoia, ma mi ritrovai faccia a faccia con… il piccolo personaggio che avevamo ospitato in classe!!! Era proprio un esserino assomigliante ad un bambino. Mi toccò la spalla e sorrise. Luce bianca. Mi svegliai nella mia stanza. Corsi in salotto e vidi i miei genitori addormentati sul divano. La casa era in ordine. La scritta era sparita. Tornai nella mia stanza. Spalancai la porta della mia camera e vidi quella sagoma piccolina ormai familiare, con le strane orecchie a imbuto sul mio letto con l’I-pad in mano. Voleva aiutarmi o voleva essere aiutato???…

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Cap. 7 (di Leonardo Laghetti, Giulia Negroni)

Sembrava a suo agio sul mio letto. Lasciò l’i-Pad per terra, si alzò e mi guardò con uno sguardo curioso. Gli chiesi il suo nome. Lui mi rispose, parlando un po’ a scatti: “Il mio nome è… adesso non importa. Per me non è stato semplice acquisire la possibilità di parlare e non so per quanto tempo la potrò conservare e... ti devo dire delle cose molto importanti”. Rapidissimo, ticchettando sulla tastiera dell’i-Pad, mi mostrò l’immagine dell’alieno mostruoso che avevo catturato. Era il suo nemico, si capiva dal modo come lo guardava. Vedendo forse la mia espressione angustiata volle confortarmi e mi mostrò l’astronave dalla quale proveniva: era splendida e non aveva affatto l’aspetto di quella che avevo visto lungo il fiume. Forse i due esseri provenivano da luoghi diversi… da popoli diversi…? Ma poi si fece cupo e col ditino sfogliò altre immagini rapidamente fino a fermarsi su un’orribile foto che ritraeva delle viscide lucertole accanto a crateri …. Cloni, cloni di umani, come quello che avevo visto di me stesso, forse realizzato proprio frugando tra le mie cose, in camera mia… Un botto sordo ci distolse: vidi sul balcone il viscido alieno che in un lampo spaccò il vetro, ghermì il piccolino e schizzò fuori. Non esitai: scattai di corsa alla Bolt saltai giù attraverso la grondaia e lo inseguii nel parco. Corsi più forte che potevo. Arrivai nei pressi dell’altalena nel parco di un mio amico, il parco sembrava deserto.

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CAP. 8 (di Sara Dugoni e Noemi Nicchi) La strada presa dall’alieno la conoscevo bene, via via che correvo mi accorgevo che mi stava portando nientemeno che… dalla mia nonna! Lo vidi. Stava entrando proprio dalla porta del giardino. Conosceva la casa! Ma io meglio di lui. Utilizzai un passaggio dall’interno del garage collegato con l’appartamento. Corsi in cucina nella speranza di chiedere aiuto alla nonna, ma... niente! Mi sentii profondamente solo! Corsi fuori e andai in mezzo alla strada per chiedere aiuto a qualcuno. Ma non c’era nessuno… solo la solita terribile nebbia. Ma vicino alla panchina dove ci incontriamo di solito con gli amici vidi che c’era una debole luce. Mi avvicinai e finalmente mi accorsi di aver ritrovato il simpatico “orecchie a imbuto”! Era un po’ scorticato, forse dagli aculei del lucertolone che lo aveva tenuto stretto. Ma lui evidentemente era riuscito a sfuggirgli. Con occhi grandi, sorridenti e rassicuranti, si avvicinò e mi diede un oggetto strano con un guscio all’apparenza gommoso. Aveva un piccolo schermo e mi fece vedere sul video un’enorme astronave. Mi disse che forse un giorno mi avrebbe spiegato tutto, ma non in quel momento. Mi toccò la testa e in un secondo arrivammo sulla sua astronave. Capii che voleva veramente salvarci! Mi disse che l'oggetto che mi aveva dato era un dispositivo importantissimo per salvare la Terra. Mi fece capire che dovevo inserirlo nella plancia dell'astronave “nemica”, ma prima con queste parole mi parlò un’ultima volta: “Loro cercheranno me. Ma sono pronto anche a morire per conservare la pace sulla vostra Terra: quando ho trovato rifugio tra i vostri banchi, voi vi siete presi cura di me”. Non potei rispondere perché era troppo tardi. Mi toccò la testa e mi ritrovai nell'altra astronave e fu facile trovare dove collocare il congegno. Un attimo dopo fu di nuovo luce bianca. Mi ritrovai in casa e i miei genitori erano vivi...era come se non fosse accaduto niente. Avevo davvero salvato il mondo??? Ma l'alieno che fine aveva fatto? Ormai eravamo amici e mi mancava un po'. Dopo qualche minuto mi resi conto che non conoscevo nemmeno il suo nome. Uscii di casa sovrappensiero senza nemmeno avvisare i miei genitori che erano occupati a fare le solite cose. La mia vita sembrava la stessa di sempre, ma sentivo che una parte di me era svanita. Stavo passeggiando per la strada quando a un certo punto sentii il solito scroscio d'acqua scorrere dietro di me. Mi voltai. Per un attimo non vidi nulla. Nebbia. Cercai di orientarmi tra la foschia. Vidi qualcosa. Un esserino. Proprio lui! “Orecchie a imbuto”! Allora era ancora vivo! Si avvicinò e mi bisbigliò all'orecchio il suo nome… era il mio. All’istante svanì nella nebbia. Tornai a casa riflettendo sull'accaduto, non poteva essere vero.

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Verso sera scrissi quello che mi era accaduto... ”Era una fredda mattina d’inverno, mi alzai quando la mamma mi chiamò e, anche se volevo continuare a dormire, mi resi conto che era ineluttabile: dovevo andare a scuola”[...]

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