Ipertesti seriali

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Ipertesti seriali Dal piccolo schermo alla multimedialitĂ


Questo testo è stato realizzato nell’ambito del Laboratorio di editoria libraria e multimediale del Corso di laurea in Scienze dell’informazione editoriale, pubblica e sociale, curriculum Informazione e sistemi editoriali, Università degli Studi di Bari ‘Aldo Moro’, A.A. 2013-2014, tenuto da Carlotta Susca. La pubblicazione non è a scopo di lucro.

Gli autori e la curatrice sono disposti a rimuovere le immagini il cui utilizzo leda eventuali diritti. La copertina è stata realizzata da Davide D’Aiuto. I referenti delle tre sezioni sono stati Giovanni Boccuzzi, Ida Vinella e Catiana Coletta


Ipertesti seriali Dal piccolo schermo alla multimedialità a cura di Carlotta Susca

testi di Massimo Andrisani • Linda Barbone • Chiara Bavaro Mirela Berdellima • Giovanni Boccuzzi • Bianca Chiriatti Catiana Coletta • Davide D’Aiuto • Laura D’Ecclesiis Antonella D’Eri • Salvatore D’Oria • Federica Di Bartolomeo Melania Di Clemente • Nicoletta Diterlizzi Maria Antonietta Falanga • Sara Fasulo • Eligio Galeone Luigi Giaquinto • Loredana Grassi Maria Grassi Maria Grazia Griesi • Giuseppe Guarnieri Luigia Mariotti • Drago Martinovic • Valentina Mecca Alessio Montemurro • Grazia Monticelli • Giuseppe Perrulli Rosalba Ruotolo • Marco Sabba • Danilo Salatino Scardicchio Claudio Sottile • Andrea Stano • Maria Teresa Trivisano Roberta Troiano • Domenico Uccellini • Michele Varone Ida Vinella • Piergiorgio Zotti



Sommario

Editoriale I. Sherlock Yes, we Sherlock di Giovanni Boccuzzi Puntate trasmesse L’importanza di chiamarsi Sherlock di Giovanni Boccuzzi L’arte della deduzione. Conan Doyle e le origini del mito di Giuseppe Guarnieri Un attore per film, un mistero per giallo di Marco Sabba Una serie di attori per un giallo in serie di Marco Sabba A qualcuno piace interattivo. Dall’Ottocento ai blog di Melania Di Clemente Queste non sono notizie su Sherlock di Maria Grassi Elementare, Watson! Il secondo padre dell’investigatore di Alessio Montemurro E se Watson fosse una donna? di Linda Barbone L’alter ego di Sherlock Holmes. Il volto nuovo per un detective più che centenario di Danilo Scardicchio Sherlock Sound. Nella colonna sonora di Hans Zimmer c’è lo zampino di un italiano di Giuseppe Perrulli Guy Ritchie raddoppia. Il secondo episodio con Downey Jr. e Law di Andrea Stano La prima indagine di Sherlock. Columbus ci racconta l’investigatore adolescente di Luigi Giaquinto


Prima di Sherlock: Auguste Dupin. La Lettera rubata di Edgar Allan Poe di Domenico Uccellini Doyle sulle tracce di Poe di Maria Teresa Trivisano Holmes e Bell, i Dr. House originali! di Andrea Stano Il giallo nel giallo di Claudio Sottile

II. C’era una volta Seconda stella a destraa di Ida Vinella Che l’incanto abbia inizio C’era una volta e la nuova vita dei personaggi delle favole di Eligio Galeone La magia ha sempre un prezzo Nuovi personaggi, nuove storie, nuovi mondi di Chiara Bavaro Un triangolo rosso sangue Cappuccetto reloaded di Massimo Andrisani Che mondo sarebbe senza Peter Pan? di Federica Di Bartolomeo Quel matto cappellaio Johnny Deep ruba la scena ad Alice di Laura D’Ecclesiis Cinture di castità e pasticcioni Quando Robin Hood fa ridere di Bianca Chiriatti Biancaneve del Duemila: principessa o… di Valentina Mecca Biancaneve impara a combattere La nuova versione della favola con Charlize Theron di Grazia Monticelli Una coppia asimetrica La bella e la bestia a New York di Luigia Mariotti


Un patchwork di personaggi I fratelli Grimm e Monica Bellucci come incantevole strega di Loredana Grassi Le funzioni di Propp di Loredana Grassi Shrek: l’antieroe di Salvatore D’Oria III. Il trono di spade Questioni di fantasy di Piergiorgio Zotti Alla ricerca del trono perduto La guerra fantasy di Game of Thrones di Davide D’Aiuto Predestinati alla lotta La ricerca del Bene nella Spada della verità di Sara Fasulo Harry Potter Parallelismi tra cinema e scrittura di Catiana Coletta Prima della tavola rotonda La spada nella roccia racconta le origini della leggenda di Artù di Rosalba Ruotolo Un passato alternativo per Merlin La serie tv incentrata sul mago di Nicoletta Diterlizzi Il signore degli anelli: la trilogia di Catiana Coletta Un’altra inaspettata avventura Dieci anni dopo si torna nella Terra di mezzo di Ida Vinella Fantasy sound di Roberta Troiano Una passerella medievale Principi e mercanti: dalle serie televisive alle case di moda di Antonella D’Eri Voulez-vous cosplay avec moi? Quando fantasy e fumetti diventano reali di Ida Vinella


Narrazioni seriali di Carlotta Susca Perché le serie televisive, e perché in un laboratorio di Editoria libraria e multimediale? Se lo scopo di Ipertesti seriali era far sì che gli studenti potessero confrontarsi con l’esperienza del fare un libro, con il processo di organizzazione dei contenuti, di editing, di correzione di bozze e di scelte di titoli e sottotitoli; se gli scopi, dunque, erano questi, la scelta dell’argomento poteva essere casuale. E invece si è scelto di attingere a una forma di narrazione che si sta affermando sempre più (e che viene paragonata per impatto e critiche negative al romanzo nell’Ottocento), quella delle serie televisive, che hanno catturato l’attenzione anche di Carlo Freccero. Invitato al Festivaletteratura di Mantova lo scorso settembre, l’autore televisivo ha tenuto una lezione proprio sulle serie tv, illustrando come, per esempio, 24 e Prison Break rispecchino le unità di tempo e luogo aristoteliche. Se ancora in Italia la televisione viene considerata esclusivo dominio dell’effimero e del vacuo, è anche vero che il moltiplicarsi vertiginoso dei canali ha consentito l’esposizione del pubblico a un’offerta prima inedita, e in cui chiunque può trovare aree di interesse. Dal punto di vista editoriale questo non è irrilevante, perché la letteratura postmoderna ci ha insegnato quanto sia importante tener conto delle storie a cui il pubblico è esposto: solo conoscendole, la narrazione scritta potrà occupare, ancora e ancora, il ruolo che le pertiene, ed essere lo strumento per «sentirsi meno soli come esseri umani». È compito dell’editore essere il mediatore culturale fra gli autori e il pubblico, farsi garante di qualità – e strumento di perfezionamento – del testo; è suo compito, quindi, essere aggiornato e consapevole di ciò che accade nella letteratura contemporanea. E se l’età anagrafica rende difficile all’editore


essere al passo con le ultimissime novità, spetta ai suoi collaboratori saperlo aiutare. Spetta ai laureati in materie umanistiche unire una solida conoscenza letteraria classica alla giusta apertura nei confronti del nuovo, evitando lo snobismo intellettuale di chi contrappone il testo all’immagine. Le tre serie televisive scelte (Sherlock, C’era una volta e Il trono di spade) sono state considerate un punto di partenza per esplorare tre generi: il giallo, la favola e il fantasy. Fra i tre gruppi c’è chi ha preferito attenersi allo spunto iniziale il più possibile e chi ha espanso il campo di ricerca spaziando fra interessi e passioni personali. In tutti e tre i casi rintracciare l’archetipo (o gli archetipi: i romanzi di Conan Doyle, il ciclo arturiano e le trascrizioni dei Grimm, per citarne alcuni) letterari ha consentito di percorrere una strada che partiva dal libro per tornare, ancora una volta, al libro, questo libro. Dando prova della vitalità delle storie, delle infinite interconnessioni che si creano nell’universo letterario. Appassionarsi a questa continua ricerca, imparare ad amare le connessioni che si creano fra i testi è quanto basta per essere certi di poter lavorare in campo editoriale.


Yes, we Sherlock

Yes, Sher di Giovanni Boccuzzi

Parafrasando una citazione impegnativa, potremmo dire: «In principio era Sherlock». Infatti, è stata proprio l’omonima serie televisiva dedicata al celeberrimo investigatore londinese il punto di partenza del presente lavoro. Compiendo in seguito un percorso à rebours, e dunque passando inevitabilmente attraverso la produzione letteraria del padre biologico di Sherlock, sir Arthur Conan Doyle, siamo risaliti alle origini del primo prototipo di detective

che, utilizzando il metodo deduttivo, veniva a capo di intricati crimini smascherando altrettanti efferati criminali: stiamo parlando dell’archetipo Auguste Dupin, ideato nientepopodimeno che dalla mente geniale (e più conosciuta per le sue terrificanti produzioni!) di Edgar Allan Poe. Parallelemente, è stato inoltre doveroso concentrare la nostra attenzione sulle principali opere cinematografiche che hanno omaggiato le emblematiche figure di


Sherlock

k

adolescenza di Sherlock. Alcune curiose e preziose chicche adornano il nostro lavoro: a cominciare dai cloni seriali come Dr. House ed Elementary fino a giungere alle simpsoniane rivisitazioni, passando per la genesi della leggendaria esclamazione «Elementare, Watson!» e arrivando ai punti di contatto e alle divergenze tra le varie trasposizioni, utili a tracciare un ritratto ideale di come si è evoluta la figura del famoso detective. Infine, proprio per rimarcare la penetrante infiltrazione dei prodotti televisivi seriali (intesi come un lampante esempio di narrazione del terzo millennio, rispondente all’eterno fascino per l’affabulazione tout court) nella fruizione quotidiana, è stata presa in esame l’interessante interattività che la nostra serie di partenza, Sherlock, ha voluto instaurare con il suo pubblico attraverso i blog curati direttamente dai due ‘reali’ personaggi. Non resta dunque che augurarvi una buona indagine! …pardon, una buona lettura!

we rlock Holmes e del suo più stretto collaboratore (nonché complementare controparte!) John Watson. Tra le numerosissime filiazioni che, in poco più di un secolo di cinema, hanno avuto per protagonista l’agente investigativo di Baker Street, sono state scelte necessariamente le recenti e pregevoli pellicole con Robert Downey Jr., insieme al film Piramide di paura che, prendendosi delle libertà rispetto ai romanzi di Doyle, narra dell’ipotetica e inedita

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Puntate trasmesse in Gran Bretagna e in Italia Stagione 1 1x01- Uno studio in rosa 2011 1x02- Il banchiere cieco 1x03- Il grande gioco 2011

Prima tv BBC One

25-07-2010

01-08-2010 08-08-2010

Prima tv Joi 18-02-

25-02-2011 04-03-

Stagione 2

1x01- Scandalo a Belgravia 01-01-2012 1x02- I mastini di Baskerville 08-01-2012 1x03- Le cascate di Reichenbach 15-01-2012

Stagione 3

1x01- The Empty Hearse 1x02- The Sign of Three 1x03- His Last Vow

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01-01-2014 05-01-2014 12-01-2014

06-10-2012 13-10-2012 20-10-2012 – –


Sherlock Senza troppo agitarsi né gridare, vorrebbe della terra non lasciar che rovine e sbadigliando inghiottirebbe il mondo: è la Noia! - Occhio greve d’un pianto involontario, fuma la pipa, sogna impiccagioni... Lo conosci, lettore, quel mostro delicato, - Ipocrita lettore, - mio simile, - fratello! I fiori del male, Charles Baudelaire

L’importanza di chiamarsi Sherlock Il detective seriale di Giovanni Boccuzzi

Prendete Sherlock Holmes! Fatto? Bene. Adesso toglietegli la pipa, il cappello vintage e desueto da cacciatore. Fatto? Ok. Ora estrapolatelo dall’epoca vittoriana e inseritelo nell’attuale era digitale. Dunque, fornitegli un cellulare e potenziate le sinapsi della sua mente brillante («un hard disk da riempire solo con cose utili») con la capillarità e la velocità della Rete. Avrete Sherlock (basta il nome!), consulente investigativo dalle stupefacenti facoltà intellettive, protagonista dell’omonima e fortunata serie tv 100% british. Dinamico, enigmatico, pieno di risorse, ma anche scortese, misogino e superbo: sono questi gli aspetti caratteriali

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Ipertesti seriali lampanti che saltano immediatamente agli occhi guardando le avventure del detective di Baker Street 221B, impersonato dal giovane e promettente Benedict Cumberbatch. Al suo fianco, naturalmente, non può mancare la fedele spalla, l’inseparabile John Watson, medico militare reduce dall’Afghanistan, interpretato da Martin Freeman, il Bilbo Baggins dello Hobbit di Peter Jackson. Impacciato, banale e prevedibile, Watson è considerato dal più geniale socio come «uno sguardo esterno, una seconda opinione d’aiuto» per risolvere i casi. La (strana) coppia, che nel primo episodio viene bersagliata da non poche battute ricche di allusioni omosessuali, è interpellata per indagare sui crimini più efferati che tormentano la città di Londra. La loro consulenza è totalmente gratuita: Sherlock, in più occasioni, dichiara di dedicarsi anima e corpo al suo lavoro per vincere la noia, quella stessa noia descritta da Baudelaire. Adottando il metodo scientifico della deduzione, i 14


Sherlock due protagonisti smascherano serial killer e sventano omicidi, divenendo ben presto i beniamini degli affezionati (e sempre più numerosi!) telespettatori che, dal 2010, seguono le loro indagini da ogni parte del mondo. Comodamente seduti sul divano, sostituendo la pedissequa lettura dei romanzi e dei racconti di Sir Arthur Conan Doyle con la leggerezza e la fruibilità di un prodotto televisivo seriale di qualità, è possibile godersi 90 minuti (questa la durata di ogni episodio) di puro genere giallo, ricchi di humor e di ottime tecniche registiche ereditate dal cinema, come il bullet time. Attenti, però! Non vi aspettate facili eroismi perché, come ci ricorda Sherlock con una delle sue frasi lapidarie, «gli eroi non esistono, e se esistessero non sarei uno di loro!».

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L’arte della deduzione Conan Doyle e le origini del mito di Giuseppe Guarnieri Arthur Conan Doyle (Edimburgo 1859-Crowborough 1930), maestro assoluto del giallo deduttivo, deve la sua fama al celeberrimo Sherlock Holmes, ma fu autore anche di romanzi storici e di fantascienza. L’opera di Conan Doyle è vincente ed affascinante perché il protagonista, Sherlock Holmes, viene descritto in maniera stupefacente, coinvolgente per il lettore, in quanto personaggio caratterizzato da un infinita serie di abitudini e da una personalità originale, come pure da un metodo di investigazione che e sorprende l’immaginario collettivo. Ci si scopre attratti fortemente dal divario esistente tra quell’atmosfera rilassante del Mr. Holmes che si alza prestissimo la mattina, che indossa il suo impermeabile, che resta a casa perché deve riflettere, che suona il violino, fuma la pipa e assume droghe e il clima di tensione che innesca lo stesso, quando appare energico e in stato di allerta, ovvero quando diventa il Mr. Holmes investigatore… 16


Sherlock

Non si assiste in questo romanzo a un investigatore che lavora per soldi, ma a un personaggio che tratta l’investigazione come una fosse una forma d’arte… l’arte della deduzione. Nel romanzo, biografo del famoso Mr. Holmes è il suo amico dottor Watson, il quale narra una serie di fantastiche avventure vissute dal celebre detective che spesso si trova a confrontarsi con il lavoro condotto dalla polizia di Scotland Yard, che si rivela sempre inefficiente e incompetente in confronto a Holmes, risolutore puntuale di ogni caso e di ogni mistero! Il romanzo è ricco di descrizioni di luoghi e comportamenti, di azioni, di dialoghi… ma il tutto offerto in una instancabile corsa del lettore alla ricerca della soluzione del caso… Sherlock Holmes affascina con il suo comportamento singolare, con la sua genialità, ispirando nel lettore un senso sempre maggiore di curiosità e aspettativa, mai deluso dal fascino delle sue avventure! 17


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Un attore per film, un mistero per giallo di Marco Sabba I primi film di Sherlock avevano una caratteristica comune: erano cortometraggi muti; questo perché Sherlock era – ed è – il personaggio letterario protagonista del maggiore numero di film, e molti sono gli attori che l’hanno interpretato fin dall’esordio del cinema. Holmes è stato rappresentato in oltre 200 film e interpretato da oltre 70 attori diversi. Il primo film di Sherlock Holmes venne interpretato da parte di Harry Benham, nel 1913, un cortometraggio muto dal nome Sherlock Holmes Solves the Sign of the Four venne girato a New Rochelle. L’attore conta nel suo repertorio ben 178 film e la sua migliore interpretazione fu proprio nei panni dell’investigatore britannico. Il primo film sonoro di Sherlock Holmes fu The Return of Sherlock del 1929, diretto da Basil Dean e con interprete del protagonista Clive Brook e Reginald Owen nel ruolo di Watson, attore inglese che vinse un premio oscar nel 1929 come miglior attore in un film di Gangster e che interpretò l’investigatore anche in un altro film, sotto diversa direzione cinematografica. 18


Sherlock Un altro film degno di nota della serie Sherlock fu A study in Scarlet del 1933, dove Reginald Owen, che aveva precedentemente interpretato Watson, interpretata in questo caso Sherlock Holmes con il ruolo di protagonista. Uno dei pochi casi di attori che recitano sia la parte di Watson che quella di Holmes. Altro film, altro Holmes questa volta tedesco Der Mann, der Sherlock Holmes war del 1937 di Karl Hartl, fu interpretato da parte di Hans Albers. Quest’ultimo fu la più celebre stella del cinema tedesco fra il 1930 e il 1945, tuttora è considerato uno dei più popolari attori tedeschi del xx secolo. Tanta fu l’importanza di questo attore che le poste decisero di commemorarlo creando un francobollo con la sua immagine. Tuttavia il volto cinematografico di Holmes più noto è quello di Basil Rathbone, protagonista, tra il 1939 e il 1946, di ben 14 pellicole. Basil Rathbone è noto al grande pubblico per la sua interpretazione di Sherlock Holmes e per i suoi ruoli da villain in diversi film cappa e spada. Ebbe diverse

nomination all’Academy Awards come migliore attore non protagonista. La figura di Sherlock Holmes, tuttavia, gli rimase incollata a lungo tanto da portarlo a ottenere, in seguito, tre stelle nella Walk of Fame delle celebrità ad Hollywood: cinema, televisione e radio. Nella storia recente ricordiamo, invece, Sherlock Holmes e il caso della calza di seta, film per la televisione britannica diretto da Cellean Jones; il protagonista è interpretato dal celebre attore britannico Rupert Everett. Quest’ultimo è noto in Italia per essere la figura di riferimento, usata da Tiziano Sclavi per il personaggio Dylan Dog. Tra il 2009 e il 2011 escono due film di Sherlock, entrambi diretti da Guy Ritchie, e in entrambi il protagonista viene interpretato dal famoso attore Robert Downey Jr., noto per la sua interpretazine di Iron Man. Importante sottolineare come Sherlock del 2009 l’abbia portato a vincere il Golden Globe come migliore attore in un film commedia o musicale, ma anche numerosi altri premi sempre correlati al suddetto film.

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Una serie di attori per un giallo in serie di Marco Sabba

Dal 25 ottobre 1968 sul Secondo Canale della Rai venne trasmessa la miniserie televisiva Sherlock Holmes, composta due avventure di tre puntate l’una. La serie era diretta da Guglielmo Morandi e interpretata da Nando Gazzolo, nei panni di Sherlock Holmes. Successivamente abbiamo Le avventure di Sherlock Holmes, un adattamento televisivo prodotto dalla compagnia televisiva Granada Television tra il 1984 e il 1985, con Jeremy Brett {nella foto} nei panni del famoso detective. La critica ha considerato questo attore superiore a Basil Rathbone per la sua interpretazione del famoso investigatore britannico. A partire dal 2010 BBC One trasmette la serie televisiva Sherlock, ispirata alle opere 20

di Arthur Conan Doyle ma ambientata nella Londra odierna. Sherlock Holmes è interpretato da Benedict Cumberbatch, attore noto per film quali Espiazione, Hawking, Amazing Grace e per una parte nel 2013 in Into the Darkness – Star Trek. Dal settembre 2012 la CBS trasmette la serie televisiva Elementary, rivisitazione in chiave moderna delle opere di Conan Doyle, in cui le vicende si spostano da Londra a New York City. Sherlock Holmes è interpretato da Jonny Lee Miller, l’attore reso celebre da Hackers e Trainspotting mette in luce in questa serie una brillante versione del famoso investigatore britannico.


Sherlock

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A qualcuno piace interattivo Dall’Ottocento ai blog di Melania Di Clemente Se si dovessero descrivere i primi anni del XXI secolo attraverso un aggettivo, il termine ‘interattivo’ sarebbe il più adeguato. L’interattività è parte integrante delle nostre vite: comunicazione, marketing e perfino didattica sono diventati interattivi. Allora, perché non rendere interattiva un’icona della letteratura ambientando le sue vicende nel nostro tempo? Circa cinque anni fa, due sceneggiatori britannici ebbero questa intuizione durante i loro viaggi verso Cardiff, luogo in cui si trova il set della serie tv a cui stavano lavorando all’epoca, Doctor Who. In un primo momento, l’idea di una versione contemporanea delle avventure dell’investigatore Sherlock Holmes fece accapponare la 22

pelle di molti cultori di Doyle (e non solo), ma come spesso accade sono le idee più audaci a rivelarsi le migliori: Sherlock in pochi anni ha calamitato l’attenzione di milioni di fan in tutto il mondo e raccolto pareri positivi da parte della critica. La vera protagonista di questa trasposizione è l’interattività a partire dalla trovata del regista McGuigan di inserire in sovrimpressione deduzioni, pensieri e qualsiasi messaggio scritto che i due personaggi leggono e scrivono tramite smartphone o laptop: questo da un lato coinvolge maggiormente lo spettatore che si sente parte attiva della narrazione, dall’altro lo aiuta a mantenere il ritmo calzante dello show. Un grado d’interattività maggiore è rappresentato dai blog di Watson e Sherlock, a cui si accenna spesso nella serie. Solcando la linea tracciata da Lost con ‘The Lost Experience’, gli ideatori di Sherlock e la BBC hanno deciso di mettere realmente on line questi blog aggiornandoli in base a quanto accade nello show. Nella serie


Sherlock

tv John Watson apre il suo blog sotto consiglio della sua psicoanalista per superare lo shock dovuto a un incidente di guerra. A lungo desolato, il blog di Watson si anima dopo l’incontro con Sherlock: sul blog, John pubblicizza l’agenzia di consulenza investigativa al 221B di Baker Street. Grazie ai tanti casi risolti e al passaparola virtuale, i due investigatori in poco tempo conquistano l’appellativo di «fenomeno del web» da parte della stampa scandalistica inglese. Il blog di Sherlock è un luogo assai diverso, che rispecchia l’eccentricità del suo proprietario (basta indicarne il titolo particolarmente pomposo: ‘La Scienza della Deduzione’). Interattività però oggi fa sempre più rima con social network: è recente la notizia che anche in Europa, Twitter sarà utilizzato per misurare l’auditel. La BBC per pubblicizzare la nuova stagione di Sherlock ha lanciato su Twitter un nuovo hashtag, #sherlocklives, che nel giro di poche ore è entrato nei Topic Trend in diversi Paesi e che i fan

hanno utilizzato per commentare lo show. E se ultimamente la pratica da parte di autori e attori di commentare i singoli episodi tramite social, in particolare Twitter, è largamente diffusa, non era così nel 2012 quando Mark Gatiss e Sue Vertue, produttrice di Sherlock e moglie del coideatore Steven Moffat, seguirono lo show con i telespettatori, cinguettando sul famoso social. L’altro lato della medaglia? Sherlock è trasmesso in esclusiva nel Regno Unito e nelle ore dopo la messa in onda i social diventano territori pericolosi per chi vuole evitare spoiler. Singolare è stata la scelta da parte degli sceneggiatori di ammiccare al pubblico nel primo episodio della terza stagione, attraverso continui rimandi alle tante fan finction circolanti in Rete. Le ragioni del successo dello Sherlock 2.0 e del blogger Watson sono diverse, la più importante è l’essere riusciti nell’impresa di trasformare in uomini del XXI secolo due figure emblematiche della letteratura gotica di fine Ottocento.

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Ipertesti seriali Un tuffo nell’ epoca Vittoriana Steven Moffat e Mark Gatiss, ideatori della serie televisiva Sherlock, hanno deciso di lavorare insieme sulla rivisitazione dei racconti dello scrittore Arthur Conal Doyle grazie alle precedenti esperienze su adattamenti televisivi di opere vittoriane. Moffat ha rivisitato per il grande schermo Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson, con la miniserie televisiva Jekyll del 2007. La storia è una prosecuzione del classico racconto, citato negli episodi come un antefatto. Gatiss, invece, ha avuto una piccola esperienza occupandosi della sceneggiatura per l’episodio I morti inquieti della serie televisiva Doctor Who, dedicato alla figura di Charles Dickens e andato in onda nel 2005 durante la prima stagione. Steven Moffat, inoltre, si è occupato della sceneggiatura di vari episodi di Doctor Who e proprio nella città di Cardiff, luogo in cui viene prodotta la serie, i due sceneggiatori iniziarono a discutere di un adattamento dell’ opera di Doyle. Sherlock doppiato

La voce di Benedict Cumberbatch è stata doppiata nella versione italiana da Francesco Pezzulli: noto per aver doppiato Leonardo Di Caprio nel film Titanic. La vicenda di questo doppiaggio è diventata una vera e propria lotta per i fan di Sherlock, che lo reputano piatto, poco incisivo e soprattutto lo accusano di ringiovanire il protagonista rispetto alla voce reale dell’attore. Cumberbatch è stato ridoppiato da Giorgio Borghetti, esclusivamente per la prima stagione della serie trasmessa su Italia 1 dal 22 dicembre 2011, che ha fatto rivalutare il pensiero negativo dei fan grazie alla profondità che riesce a dare al personaggio con la sua voce rispetto a quella di Pezzulli. Nulla da recriminare al doppiaggio di Martin Freeman grazie a un bravissimo Christian Iansante, reputato adatto al personaggio.

Queste non sono no 24

di Maria


Sherlock Sherlock vs Sherlock Holmes: somiglianze Sherlock Holmes della serie televisiva, interpretato da Benedict Cumberbatch, è lo stesso investigatore brillante, introverso e permaloso descritto nei racconti di Conan Doyle. Entrambi hanno larghe conoscenze dei luoghi malavitosi di Londra e appaiono estranei al proprio mondo. È lo stesso personaggio che usufruisce di qualsiasi mezzo pur di arrivare a svelare il mistero. Nell’adattamento, i creatori hanno mantenuto la nemesi di Holmes, Moriarty: il genio del male, antagonista di Sherlock che lo definisci il ‹‹Napoleone del crimine››. Anche l’ indirizzo 221B Baker Street e l’ indissolubile rapporto con Watson, fedele compagno dell’investigatore reduce come nei romanzi dalla guerra in Afghanistan, non hanno subito nessuna modifica.

Sherlock vs Sherlock Holmes: discordanze Il primo elemento non in comune è l’ambiente in cui si svolge la vicenda: nei racconti di Doyle la storia è immersa in una Londra vittoriana mentre nella serie televisiva troviamo quella contemporanea. Sherlock, di conseguenza, utilizza la tecnologia per risolvere i vari crimini rispetto al nobiluomo inglese di fine ‘800. L’età del protagonista è decisamente diversa, in quanto l’attore Benedict Cumberbatch risulta essere più giovane rispetto a quello delle vicende di Conan Doyle. Nella serie non c’è alcun accenno all’utilizzo di droghe e alla famosa pipa che è stata sostituita con dei cerotti alla nicotina. Moffat e Gatiss, inoltre, rimuovono il galateo che lo Sherlock di un tempo doveva rispettare, che consentivano al protagonista di intrecciare rapporti civili e lo lasciano libero di offendere e di essere scortese.

otizie su Sherlock

a Grassi

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Premi assegnati a Sherlock Il nuovo adattamento dell’opera di Arthur Conan Doyle ha conquistato negli ultimi anni numerosi riconoscimenti. Nel 2011 durante l’annuale manifestazione BAFTA (British Academy of Film and Television Arts) è stato consegnato a Sherlock il premio come migliore serie drammatica e a Martin Freeman quello di migliore attore non protagonista. Nel 2012, sempre nello stesso evento, la statuetta come miglior attore non protagonista è stata consegnata a Andrew Scott che nella serie interpreta il cattivo Moriarty, la nemesi di Holmes.

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Sherlock

Steven Moffat, uno degli ideatori, ha ricevuto un riconoscimento speciale accompagnato dalle parole delle due star della serie che lo hanno definito ‹‹come una macchina che produce parole e che il suo nome è associato alla qualità nella famiglia entertainment››. Nel 2012, inoltre, sono stati affidati i premi Satellite Awards, Critics’ Choice television Awards e Television Critics Association Awards sia come miglior miniserie sia a Cumberbatch come miglior attore di miniserie.

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Elementare, Watson! Il secondo padre dell’investigatore di Alessio Montemurro

William Gillette (1853-1937) non fu l’inventore della nota lametta da barba destinata a rivoluzionare le abitudini mattutine di quasi tutti i maschi del pianeta. Non ideò nemmeno il personaggio di Sherlock Holmes. Per cosa quindi varrebbe la pena ricordare questo attore di teatro americano? Semplice, anzi elementare! Già, perché forse Holmes non sarebbe ancora l’investigatore più amato e popolare al mondo se non avesse incontrato Gillette. La celeberrima frase «Elementare, Watson!» (in inglese la citazione precisa è «Oh, this is elementary, my dear Watson»), come sanno tutti gli ‘holmesologi’ non compare mai, dicasi mai, nei romanzi e nei racconti di Arthur Conan Doyle. L’ha coniata Gillette in persona, e scusate se è poco. 28

Ad oggi nessuno, o quasi, ricorda William Gillette, ma nell’ultimo decennio dell’800 era il teatrante più famoso d’America. Scriveva, dirigeva e soprattutto recitava: un divo tuttofare. Lo Sherlock Holmes teatrale, nato dalla sua intensa collaborazione con Doyle, riscosse un enorme successo all’epoca. Gillette lo rappresentò circa 1.300 volte. C’è di più. Interpretando il personaggio di Holmes sul palcoscenico, egli indossò per la prima volta il deerstalker, il famoso cappello da cacciatore, e tenne in bocca l’inconfondibile pipa ricurva. Insomma, signori, senza Gillette non avremmo conosciuto la leggendaria silhouette di Holmes entrata di diritto nell’immaginario collettivo e che, fra le altre cose, orna le pareti della stazione metropolitana di Baker Street a Londra. Uno dei loghi più azzeccati ed efficaci nella storia del marketing. È proprio il caso di dirlo: Geniale, William!


Sherlock

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E se Watson fosse una donna?

di Linda Barbone

New York City, il detective Sherlock Holmes accetta di collaborare con la polizia, affiancato da Joan Watson, sua assistente investigativa. Siamo nel 2012 quando la CBS mette in produzione Elementary, la serie televisiva ideata da Robert Doherty, trasmessa in Italia da gennaio 2013 sulle reti Rai. Ventiquattro episodi, giallo poliziesco, del celebre personaggio tratto dai romanzi di Sir Arthur Conan Doyle.

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Sherlock Sherlock cambia Paese, vita passata e compagno d’avventure ma resta il personaggio privo di inibizione già conosciuto. Le novità non mancano in questa serie tv che narra di indagini da svelare, di rapporti di fiducia e di prove da superare. L’evoluzione di un amicizia uomo-donna (che non sarà preludio a una storia d’amore) sorprenderà e incuriosirà lo spettatore nel corso degli episodi. La vita stessa dei protagonisti appare un indagine da risolvere, enigmi che fanno assomigliare il protagonista americano, interpretato dall’inglese Jonny Lee Miller, più a Conad, il piccolo investigatore protagonista del cartone animato giapponese Detective Conad, prodotto da Tokyo Movie Shinsha e trasmesso in Italia dalle reti Mediaset a partire dal 2002. Lo spettatore potrebbe chiedersi quindi, come l’amore veemente di Holmes si camuffa, un tacito segreto che non si svelerà certo nelle prime puntate della serie televisiva statunitense. È Jonny Lee Miller interprete di Holmes, l’attore già noto

per l’interpretazione teatrale Frankenstein, a fianco di Benedict Cumberbatch, attore protagonista, nelle vesti di Holmes, nella serie tv britannica Sherlock ma già ben affermato nel celebre film fantasy Lo Hobbit. Un’affascinante Watson in rosa è Lucy Alexis Liu, attrice statunitense di origini cinesi, diventata popolare grazie al personaggio di Alex nel remake di Charlie’s Angels. Fondamentale per lo sviluppo della serie è il personaggio celato, Irene Adler, l’unica donna mai amata da Holmes. Interpretata dall’attrice Natalie Dorner, celebre regina nel Trono di Spade. Rivoluzionario e ben lontano dal profilo del personaggio giallo deduttivo, ideato dallo scrittore scozzese Arthur Conan Doyle, Elementary rispetta la mitologia di Sherlock ma ne stravolge le consuetudini, rendendo vano ogni tentativo di confronto.

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L’alter ego di Sherlock Holmes Il volto nuovo per un detective piÚ che centenario di Danilo Scardicchio

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Sherlock Tra gli scaffali di una biblioteca e tra le pagine digitalizzate di un ebook, non poteva certo mancare Sherlock Holmes, un personaggio che è ‘classico’ per eccellenza, icona che in parte precede e prescinde dalle effettive caratteristiche con cui fu concepito. Il detective opera dalla penna di Arthur Conan Doyle si è in effetti impresso nell’immaginario collettivo soprattutto per tratti postumi, conferitigli dalle tante riduzioni teatrali, cinematografiche e televisive che le sue storie hanno originato negli anni. Il cappello da investigatore, la celeberrima frase «Elementare, Watson», l’onnipresente pipa, hanno infatti creato una vera e propria icona, che come tutte le icone è semplificazione e in parte tradimento della complessità del carattere originario. Guy Ritchie, regista hollywoodiano, si è incaricato di controbilanciare l’immagine distorta che alle nuove generazioni è arrivata del personaggio, con un film che si propone da una parte di restituirne la natura popolare e dall’altra di dargli nuova linfa adattandolo ai gusti del pubblico del ventunesimo secolo.

Ritchie potrebbe essere espressione di un cinema che da Quentin Tarantino in poi ha portato nella Hollywood mainstream un’attitudine ‘indipendente’ tale da dare origine tanto a risultati freschi e interessanti quanto a insopportabili manierismi. È proprio il linguaggio estremamente (post)moderno, la regia sincopata che in parte ammicca al videoclip, l’azione profusa a piene mani nel film, la caratteristica più interessante di questa nuova avventura del detective Holmes su stampo del grande schermo ad Alta fedeltà e degli effetti speciali. La storia segue Holmes e l’immancabile assistente Watson sulle tracce di un mistero ai confini del sovrannaturale, incentrato sul pluriomicida Lord Blackwood che ha promesso (e apparentemente mantenuto la promessa) di ritornare dal mondo dei morti dopo la sua esecuzione, per richiamare forze occulte che metteranno a repentaglio la sopravvivenza di Londra. Fanno capolino nel dipanarsi della trama personaggi ben noti ai lettori di Doyle, come

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Ipertesti seriali l’affascinante truffatrice Irene Adler, l’ispettore Lestrade e, in una breve ma significativa apparizione, il nemico storico Moriarty (estraneo all’intreccio ma elemento di ipoteca per un possibile sequel). Lo Sherlock Holmes di Ritchy è un bohemienne scapestrato, affascinante, uomo d’azione quanto di logica, che come si diceva si allontana significativamente dall’immagine ingessata e aristocratica che il personaggio aveva assunto negli anni; ma che tuttavia contiene elementi significativi della personalità che il suo autore aveva voluto inizialmente conferirgli. Uno humour in effetti ben poco british caratterizza gli scambi del protagonista con il fido Watson e la rischiosa storia con la bella Irene Adler, con un Robert Downey Jr. che sembra divertirsi non poco in questa rivisitazione del personaggio, così come il più (volutamente) compassato Jude Law e la dark lady Rachel McAdams. Lo script punta tutto sulla contrapposizione tra i caratteri dei due protagonisti e su un intreccio giallo con 34

venature horror, lasciando ampio spazio a lunghe ed elaborate sequenze d’azione. Ed è proprio in queste ultime, che culminano in un teso finale sul Tower Bridge, che il regista dà il meglio di sé, aiutato da una generale, ottima confezione: merito anche di una fotografia che mantiene quanto basta del tono noir delle storie originali, e di scenografie che ben restituiscono il clima della Londra di fine ‘800. Ed è proprio dal punto di vista puramente visivo che il film vince innanzitutto la sua scommessa, con una ricostruzione d’epoca che appare credibile e convincente, e set suggestivi ma mai artificiosi.


Sherlock

Sherlock Sound Nella colonna sonora di Hans Zimmer c’è lo zampino di un italiano di Giuseppe Perrulli

Lo Sherlock Holmes diretto da Guy Ritchie è un film straordinario non tanto per la trama in sé quanto per la fotografia, le interpretazioni dei due protagonisti (Jude Law e Robert Downey Jr.) che sono assolutamente azzeccati, per la regia, l’adattamento originale della storia e ancor

più per la colonna sonora. È accattivante al punto giusto, tale da rappresentare al meglio il periodo storico e la trama avventurosa del film. Ne sono rimasto folgorato. Composta da un nome che è sinonimo di qualità, Hans Zimmer, ha visto la partecipazione, tra gli altri, anche di Diego Stocco, brillante musicista e compositore, orgoglio italiano nel mondo, nato a Rovigo nel 1976 ma che da anni vive e lavora in California, esattamente a Burbank. La sua più grande passione è creare nuovi strumenti, cosi ha dato vita all’Experibass.

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Ipertesti seriali In pratica uno strumento musicale sperimentale creato partendo da un violino, una viola, archi di violoncello e amplificando il suono con il corpo di un contrabbasso. L’ironia che contraddistingue l’opera di Ritchie e che viene maggiormente messa in risalto dall’interprestazione di Robert Downey Jr. e dal continuo battibecco tra Holmes e Watson, nell’album si rivela da subito nel pezzo introduttivo che sembra prendere in prestito un paio di note da 007. La presenza del leggendario violino dell’investigatore di Sir Arthur Conan Doyle non manca: I Never Woke Up In Handcuffs Before ruota intorno al suo suono regalando vivaci atmosfere esteuropee che fanno capolino qua e là, ritraendo la natura ribelle di Holmes. È il lamento di un violino solitario a scandire le prime battute di Not In Blood, But In Bond, un brano scuro e drammatico che apre la strada a toni sempre più occulti e nefasti che raggiungono il picco più alto in Psychological Recovery… 6 Months per poi sciogliersi nel finale (aperto) con Catatonictes, anticipando l’intenzione di un 36

sequel. La colonna sonora di questo strepitoso film è stata candidata agli Oscar come migliore colonna sonora originale. Ben fatto, Zimmer! Elementare, no? Questa la tracklist: Discombobulate (2:25) Is It Poison, Nanny? (2:53) I Never Woke Up In Handcuffs Before (1:44) My Mind Rebels At Stagnation (4:31) Data, Data, Data (2:15) He’s Killed The Dog Again (3:15) Marital Sabotage (3:44) Not In Blood, But In Bond (2:13) Ah, Putrefaction (1:50) Panic, Shear Bloody Panic (2:8) Psychological Recovery… 6 Months (18:18) Catatonictes (6:44)

Si aggiunga il brano dei titoli di coda, che si sente anche in una scena centrale del film peraltro, Rocky Road to Dublin – The Dubliners.


Sherlock

Guy Ritchie raddoppia Il secondo episodio con Downey Jr. e Law di Andrea Stano

Sherlock Holmes – Gioco di ombre è il secondo capitolo della saga dedicata all’arcinoto investigatore di Baker Street. Reloaded, rivistato in chiave spettacolare, delle avventure

del genio fumante di Sherlock Holmes, partorito dalla mente di Sir Arthur Conan Doyle, questo nuovo franchise ha incassato oltre un miliardo di dollari in tutto il mondo. Al timone di entrambe le pellicole troviamo il regista Guy Ritchie, tornato alla ribalta dopo alcune fatiche non proprio esaltanti (Revolver, RocknRolla) sulle quali i cinefili incalliti nutrivano speranzose aspettative dopo l’approvazione di critica e pubblico sul film The Snatch. Esce a ventiquattro mesi di distanza dal primo episodio,

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Ipertesti seriali dove il sodale binomio HolmesWatson veniva impegnato nello smascherare gli oscuri piani del villain di turno, Lord Blackwood, personaggio del tutto inventato e mai presente nella mitologia letteraria dello scrittore inglese. Differentemente, invece, dal malefico prof. James Moriarty, acerrimo e storico nemico del misogino investigatore. Interpretato da Jared Harris (Lost in Space) il «Napoleone del crimine», come lo definisce lo stesso Holmes in uno dei romanzi a lui dedicati, sarà il machiavellico architetto di una sanguinosa escalation di attentati internazionali. La cospirazione ordita dal diabolico professore mira allo scoppio di un conflitto bellico mondiale con lo scopo di beneficiarne, arricchendosi senza alcuno scrupolo, in virtù dell’esclusiva ottenuta nel mercato delle armi. Holmes, i cui panni sono indossati ancora una volta dal magistrale Robert Downey Jr. (attore rilanciato dal ciclone Marvel), con l’aiuto del compagno Watson (Jude Law) e di una banda di zingari, capitanata dall’intrigante 38

Madame Simza, alla quale presta il volto l’attrice Noomi Rapace (Uomini che odiano le donne), riuscirà a sovvertire le fredde e ben congeniate strategie della sua nemesi. Nel film, che a tratti ricorda il racconto L’ultima avventura del 1893, compare anche il fratello maggiore di Holmes, Mycroft, saccente ed elegante uomo inglese di mezza età, che per l’occasione viene interpretato dall’attore britannico Stephen Fry (V per Vendetta). Nonostante molti sequel non riescano a riflettere il successo delle opere precedenti, Sherlock Holmes – Gioco di ombre è un prodotto sensazionale, impreziosito dalla fotografia di Rousselot, dai mirabili effetti speciali e da una trama, arzigogolata ma estremamente coinvolgente, che rende il lungometraggio uno dei più riusciti degli ultimi anni. Spettacolare ed elettrizzante la scena della foresta dove i protagonisti, tra un rallenty e l’altro (marchio di fabbrica del regista anche nel primo reboot), cercano di evitare come possono i colpi di mortaio e fucili intenti ad abbatterli.


Sherlock

La prima indagine di Sherlock Columbus ci racconta l’investigatore adolescente di Luigi Giaquinto

John Watson giunge nel 1870 al college di Londra, la Brampton School, e fa amicizia col suo vicino, Sherlock Holmes. Una serie di suicidi misteriosi attirano l’attenzione di quest’ultimo: sono causati da un misterioso personaggio

che lancia dei piccoli dardi avvelenati alle sue vittime, che muoiono, indotti al suicidio, dopo terribili incubi. Di fronte all’incapacità dell’ispettore Lestrade, Sherlock Holmes darà dimostrazione del suo grande intuito e risolverà il mistero. Il film Piramide di paura del 1985, diretto da Barry Levinson, parte dall’idea, piuttosto originale, di raccontarci l’ipotetica adolescenza di Sherlock Holmes, andando così a riempire quel frammento della vita del detective più celebre della letteratura tralasciato da Arthur Conan Doyle nei suoi romanzi. Il giovane Holmes

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Ipertesti seriali ci viene illustrato come uno studente modello, dotato, naturalmente, di una grande passione per l’arte investigativa, che ha come fidato amico un certo John Watson, voce fuori campo per tutto il racconto. Il film si rivolge principalmente a un pubblico di ragazzi, che più facilmente possono immedesimarsi nei due personaggi principali. La storia poi, non a caso, è scritta da Chris Columbus, che proprio con film interpretati da giovani attori, come Mamma ho perso l’aereo o Harry Potter, ha trovato il successo planetario. Le vicende sono rese in maniera abbastanza accattivante e la visione è godibile fino alla fine; la scelta, poi, di anticipare l’incontro tra i due amici agli anni dell’adolescenza si dimostra azzeccata per due motivi: il primo è quello di immaginare cosa ha reso i nostri eroi quello che sono. Infatti nel corso del film scopriamo che Sherlock ha ricevuto la pipa in dono da Watson, il suo inconfondibile cappello da Waxflatter, mentre la mantella è un trofeo di guerra strappato al cattivo Rathe, e in più per la prima 40

volta Holmes pronuncerà per ben quattro volte la famosa frase: «Elementare, Watson!»; il secondo è che il mostrare l’evolversi dei personaggi verso le icone che tutti conosciamo è un ottimo espediente per innestare il classico racconto di formazione: nella loro prima indagine i nostri eroi, infatti, dovranno affrontare non solo i pericoli, ma anche le loro paure, i sensi di colpa, la perdita delle persone amate, insomma le tappe della crescita. I produttori sono Steven Spielberg, Kathleen Kennedy e Frank Marshall, gli stessi dei Predatori dell’Arca Perduta. Pochi lo sanno, ma questo film ha il primato di avere il primo personaggio 3D realizzato interamente in computer grafica dalla Industrial light & magic di Lucas: si tratta di un cavaliere che si anima e fuoriesce dalla vetrata di una chiesa durante una delle allucinazioni suicide.


Sherlock

Prima di Sherlock: Auguste Dupin La Lettera rubata di Edgar Allan Poe di Domenico Uccellini

Se dico… un detective stravagante quanto infallibile, chi vi viene in mente? Beh, chi altri se non Sherlock Holmes! Ma quanti sanno che quest’ultimo è il geniale erede dell’Auguste Dupin di Edgar Allan Poe? Forse pochi. E in questo senso è emblematico che nel secondo capitolo dello Studio in rosso Watson paragoni

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Ipertesti seriali Sherlock proprio a Dupin (anche se il diretto interessato non sembra apprezzare molto: «A parer mio, Dupin era tutt’altro che un genio!»). Genio o non genio, però, è innegabile che Dupin sia il capostipite dei tanti detective ‘letterari’ che in seguito avranno successo; e uno dei più famosi racconti di cui è protagonista è… La lettera rubata! Tutto si svolge a Parigi, nell’autunno di un non meglio precisato anno d’inizio Ottocento. Il ministro francese «D.» sottrae negli appartamenti reali una lettera al vero destinatario, proprio sotto ai suoi occhi. Quest’ultimo, la cui identità non viene rivelata, non può opporsi al furto perché nella stanza è presente una terza persona alla quale il documento deve rimanere celato. Il contenuto della lettera, infatti, compromette l’onorabilità di una nobildonna famosa e dunque conferisce al ministro «D.» un forte potere ricattatorio. Per questo la polizia, sotto la direzione del prefetto «G.», effettua delle scrupolose perquisizioni nella casa del ministro (a sua 42

insaputa), ma non ottiene alcun risultato. Il prefetto, allora, si reca da Dupin per parlargli del caso e chiedergli dei consigli, e alla fine è proprio Dupin, stimolato dal ricco premio e dall’antipatia per il ministro, a intuire che la lettera non poteva esser stata nascosta in uno dei luoghi tradizionalmente deputati a tale funzione ma in un luogo visibile a tutti: lo studio del ministro! Così, con uno stratagemma va alla casa del ministro, s’impadronisce della lettera e… il caso è chiuso! La vicenda è narrata da un amico di Dupin, che racconta gli avvenimenti riferendo i dialoghi intrattenuti con lo stesso Dupin. A differenza degli altri racconti di Poe sono assenti terrore ed efferatezza e ci troviamo di fronte a un intrigo politico: un caso denso di mistero che sembra irrisolvibile. Tranne per Dupin, ovviamente, che ben conosce i meccanismi dell’intelletto umano e sa che a volte la tecnica migliore per nascondere qualcosa è quella di metterla ben in vista in mezzo ad altre. Perché a volte la semplicità è più complessa della complessità!


Sherlock

Doyle sulle tracce di Poe di Maria Teresa Trivisano

Chi si nasconde dietro la lente d’ingrandimento? Nel Mistero di Marie Roget il signor Dupin è alle prese con l’omicidio di una ragazza bellissima, assassinata a Parigi. Mentre scrive questa storia,

Poe specifica che si ispira a un vero omicidio avvenuto a New York, non ancora risolto. In altre parole, il vero detective è lo stesso Poe che tira le sue conclusioni sulla scorta delle cronache dedicate al delitto; non è un caso, dunque, che Dupin risolverà l’enigma avvalendosi di giornali e di qualche ricerca affidata all’amico. In effetti, il protagonista raccoglie innumerevoli articoli dedicati alla vicenda, unisce le varie testimonianze e le pone al vaglio della sua indole investigativa: in questo modo, risalendo a dettagli nascosti, lacune e illogicità arriverà all’identificazione dell’asssassino. Una storia interessante che, servendosi del brio giornalistico dell’autore, si pone in stretta connessione con la realtà riecheggiando, tra le righe di un romanzo, le vicende di una cronaca quotidiana crudele e spietata. La storia della giovane commessa di profumeria che finisce vittima di stupri e viene uccisa richiama, infatti, quella di tante ragazze che nell’evasione dalla famiglia e dalla monotonia della vita di ogni giorno, cercano libertà ed

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Ipertesti seriali emozioni per poi incontrare solo tanta crudeltà.

Alle origini del genere poliziesco: da Holmes a Dupin Con I delitti della Rue Morgue Edgar Allan Poe apre la strada al genere della ‘detective story’, inconfondibile per lo stile teso e ricco di coinvolgenti atmosfere e di macabri umori. Il signor Dupin, con le sue capacità analitiche, col suo modo di leggere indizi apparentemente trascurabili, è il vero predecessore di tutti gli investigatori che abbiamo imparato a conoscere e ad amare. Non è un caso che il grande Sir Arthur Conan Doyle ammetteva di essersi inizialmente ispirato, nel creare il personaggio di Sherlock Holmes, proprio al Monsieur Dupin di Poe e in effetti le analogie ci sono: sia Dupin che Holmes sono personaggi un po’ particolari, che amano vivere in disparte, quasi per osservare la società da una certa distanza, poco inclini a mescolarsi con gli altri. Entrambi posseggono spiccate doti analitiche che esprimono suscitando sempre stupore: uno dei loro passatempi 44

preferiti è quello di usare gli amici per spiegare i labirintici percorsi del pensiero lungo i quali riescono a risolvere a suon di logica fatti apparentemente impenetrabili. È proprio la logica, infatti, che trionfa nel metodo di indagine di Poe che mira a svelare dei misteri servendosi di un’osservazione acuta e di un limpido ragionamento. Conan Doyle e gran parte degli scrittori di narrativa poliziesca apprendono da Poe un meccanismo destinato a diventare un classico di questo genere. La scena iniziale presenta un episodio criminale che appare insolubile e poi si introduce il detective (Dupin, Holmes e altri) che discorrendo con il suo amico da vita a una serie di osservazioni e indagini che smontano punto per punto il mistero, svelando particolari che sfuggono anche al lettore, perché accuratamente nascosti dall’autore. È nella complicità tra il protagonista e l’autore la grandezza di questi romanzi che, con le loro atmosfere appese a un filo, ci tengono costantemente col fiato sospeso!


Sherlock

Holmes e Bell, i Dr. House originali! di Andrea Stano

Potrebbe risultare un comune sconosciuto, eppure si tratta di colui il quale molto probabilmente ha ispirato Doyle nell’elaborazione del suo personaggio piÚ riuscito, Sherlock Holmes: stiamo parlando di Joseph Bell, medico scozzese, perlopiÚ attivo nel XIX secolo, che il giallista di Edimburgo ebbe modo di frequentare nel corso dei suoi studi accademici. Accanito osservatore, impareggiabile diagnosta e dal carattere per nulla tenero, questo stimato chirurgo ricorda vagamente lo stesso maestro della deduzione che tanti affezionati di tutto il mondo continuano ad ammirare nei romanzi a lui dedicati. Tra questi spicca senza dubbio (lui stesso non ne ha mai fatto mistero) David Shore, lo sceneggiatore e ideatore (assieme a Paul Attanasio)

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Ipertesti seriali dell’acclamata serie televisiva Dr. House. La passione di Shore nei confronti del canone di Sherlock Holmes si riflette palesemente nella fiction americana, il medical drama tra i più innovativi e premiati dell’ultimo decennio (molti i riconoscimenti tra Satellite Award, Golden Globe ed Emmy). Effettivamente i parallelismi tra lo scorbutico e adorabile medico e il detective britannico si sprecano, a partire dall’indirizzo della loro abitazione: entrambi vivono a Baker Street 221B. Gli stessi nomi rivelano corrispondenze fonologiche, esattamente come quelli dei loro amici, colleghi e confidenti (Wilson e Watson) dei quali House e Holmes si avvalgono per le preziose e illuminanti consulenze. Ma le analogie sono davvero innumerevoli. Proverbiale è la loro recalcitranza relativa a casi di scarso interesse e il medesimo approccio distaccato verso i ripettivi pazienti/clienti; entrambi abusano di droghe (la cocaina per Holmes, il celeberrimo Vicodin per House, 46

costretto a dolori cronici alla gamba); House usa il bastone per il suddetto impedimento, Holmes lo utilizza come accessorio da passeggio. In questo distillato di curiosità citiamo, per concludere, Rebecca Adler (paziente nel primo episodio in assoluto della serie), evidente riferimento alla Irina, famoso seppur non ricorrente personaggio letterario del mondo di Holmes, e soprattutto Jack Moriarty. Questi compare nell’ultima puntata della seconda stagione dove, causa antichi dissapori e risentimenti nei confronti del misantropo House, gli spara a sangue freddo sotto gli occhi della sua equipe. Moriarty (James per l’esattezza) è il nemico numero uno dell’investigatore con pipa e cappello. House M.D. (questo il titolo originale della serie), nasce nel 2004 e si dipana, tra numerosi colpi di scena e malattie, una più rara dell’altra, per otto avvincenti stagioni. Il cast annovera, oltre l’eccezionale Hugh Laurie, la sex symbol Olivia Wilde (a partire dalla quarta stagione) e l’insignito di un Tony Award Rober Sean Leonard.


Sherlock

Il giallo nel giallo di Claudio Sottile

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Ipertesti seriali Sherlock Holmes e John Watson ingialliti: non persi nelle pagine del tempo, ma simpsonizzati. Matt Groening rispolvera Arthur Conan Doyle nello speciale di Halloween dei Simpson intitolato La paura fa novanta XV, primo episodio della sedicesima stagione. Nella seconda storia, dal titolo Quattro decapitazioni e un funerale i detective Eliza e Dr. Bartley sono un’innegabile parodia dei due personaggi in attività dal XIX secolo. L’acuta

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Lisa Simpson assume le fattezze dell’investigatore di Scotland Yard, mentre suo fratello Bart veste i panni di un assistente Dr. Watson decisamente più svampito di quanto delineato nell’immaginario collettivo. Non è la prima volta che i due mondi s’incontrano: già nella prima puntata della settima stagione, Telespalla Mel parla a Krusty di Smithers jr brandendo la pipa e scimmiottando lo stile di Holmes.


Sherlock Tornando alla storia in oggetto, lo sfondo è un’accurata ricostruzione della Londra del 1890: i costumi sono in linea col tramonto dell’Ottocento, l’atmosfera è fumosa, oltre ogni più abusato cliché. Un assassino seriale di prostitute (rimando a Jack lo Squartatore) semina panico nella capitale inglese. Il Commissario Winchester, dopo aver arrestato l’indù Apu con motivazione razziale («Rinchiudetelo finché non troveremo uno più scuro di pelle»), affida le indagini a Eliza e Bartley. Un unico indizio: il ricercato ha folte basette. Le lame usate nei delitti riportano al set di pugnali ‘Sette spade di Osiride’, di proprietà di Ebenezer Burns. I due investigatori trovano il vecchio in una fumeria d’oppio (‘La Tana dell’iniquità di Mao’, trasposizione vittoriana della ‘Taverna di Boe’), che rivela di aver venduto la collezione a un anonimo acquirente per potersi comprare altro stupefacente. Proprio in quel luogo trovano un uomo che combacia con l’identikit del killer. È Homer, salvato ad un passo dal patibolo da Eliza, che dopo suoi studi personali sul caso svela il nome

del reale colpevole: Winchester. Le prove? Impronte alla torta d’anguilla (che lui mangia assiduamente) sulle armi del delitto e le folte basette, celate dal poliziotto sotto il cappello. Scoperto, prova a scappare su una mongolfiera, scontrandosi con il disco volante a vapore di Kang e Kodos, finendo col precipitare. The end? Dicevamo dell’oppio. Nel finale si scopre che tutta la vicenda altro non è che una visione di Ralph Winchester, anch’esso in preda ai fumi della droga. Un’allucinazione. Non è un parto della mente, invece, la riuscita contaminazione del giallo nel giallo: elementare, Simpson!

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Seconda s a destra Noi siamo l’enigma che nessuno decifra. Siamo la favola racchiusa nella propria immagine. Siamo ciò che continua ad andare avanti senza arrivare mai a capire.

di Ida Vinella

Jostein Gaarder

Le favole non sono roba da bambini. Ataviche frustrazioni del mondo adulto, simbologie complesse, proiezioni di desideri e angosce: il mondo lontano del ‘C’era una volta è in realtà frutto di una fantasia adulta e contorta più di quanto avremmo potuto immaginare. Dalle pagine dei primi racconti dei fratelli Grimm alle più capovolgenti rivisitazioni filmiche del nuovo millennio, le favole sono lo specchio perfetto di adulti che non rinunciano ai propri sogni, che non riescono a dar retta alla voce coscienziosa del Grillo Parlante e preferiscono

viaggiare verso mondi lontani alla riscoperta della propria infanzia, come degli eterni Peter Pan. In ogni caso, che si tratti di aneddoti pedagogici che trasformano le volpi in metafora di avarizia e le formiche in simboli di coscienziosità, che si tratti di epiche narrazioni con algide principesse e valorosi cavalieri, che si tratti di racconti più o meno credibili, le favole e le fiabe riempiono la nostra immaginazione sin dalla nascita, a prescindere dalla nostra cultura d’origine. A metà tra le antiche leggende e le rielaborazioni postmoderne dal sapore pessimista,

Second a destr


C’era una volta

stella sono strumenti di evasione immaginifica e anche di precisa introspezione dei sentimenti umani. Nel nostro percorso, partendo dai numerosi spunti estrapolati dalla serie televisiva Once Upon A Time, punto di partenza e filo rosso della sezione, abbiamo aperto diversi sentieri, ognuno dedicato a un personaggio del mondo favolistico: da Capitan Uncino al Cappellaio Matto, da Biancaneve – onnipresente portavoce di un genere tanto amato quanto capovolto in mille rivisitazioni – fino a Shrek, che invece con la sua dissacrante ilarità smitizza gli edulcorati modelli principeschi mostrandoci come la favola più bella possa avere un aspetto esteriore sgradevole. Mettendo consapevolmente tra parentesi la longeva esperienza della Disney come riferimento per eccellenza della trasposizione cinematografica delle favole attraverso l’animazione,

indirizziamo l’attenzione verso profili di minore notorietà ma degni di una lettura critica complessiva. Attraverso la selezione di alcuni personaggi del mondo favolistico, ne leggiamo l’allontanamento dai canoni standard dell’impianto fiabesco così come lo ha tracciato Propp (a cui è dedicato un corposo approfondimento): si tratta di rivisitazioni moderne, a volte completamente rovesciate (come nel caso dell’indimenticabile Hook di Steven Spielberg), di riletture di stampo contemporaneo che strizzano l’occhio a generazioni che non si accontentano più del classico happy ending, fino a divenire esperimenti cinematografici coraggiosi seppur non pienamente riusciti. Avventurandoci in un cammino che costeggia cinema, televisione e letteratura, ne emerge una simbolica verità: abbiamo e avremo sempre bisogno delle fiabe, perché ci concedono sogni e voli verso le sfumature più profonde della nostra immaginazione. Che lo scenario sia dark o il più romantico possibile, ognuno cerca sempre la propria isola che non c’è. 51

da stella ra


Titolo originale Ipertesti seriali

Seconda stagione

2X01

BROKEN

2X02

WE ARE BOTH

2X03 2X04 2X05 2X06 2X07

LADY OF LAKE THE CROCODILE THE DOCTOR TALLAHASSEE CHILD OF THE MOON

2X08

INTO THE DEEP

2X09 2X10 2X11

QUEEN OF HEART THE CRICKET GAME THE OUTSIDER IN THE NAME OF THE BROTHER TINY MANHATTAN THE QUEEN IS DEAD THE MILLER’S DAUGHTER WELCOME TO STORYBROOKE SELFLESS,BRAVE AND TRUE LACEY THE EVIL QUEEN SECOND STAR TO THE RIGHT AND STRIGHT ON ‘TIL MORNING

2X12 2X13 2X14 2X15 2X16 2X17 2X18 2X19 2X20 2X21 2X22

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TIitolo italiano

ABC

SPEZZATO QUELLO CHE SCEGLIAMO DI ESSERE IL LAGO IL COCCODRILLO IL DOTTORE TALLAHASSEE FIGLIA DELLA LUNA L’INCANTESIMO DEL SONNO REGINA DI CUORI IL GIOCO DEL GRILLO L’OUTSIDER

30-09-12

FOX 25-12-12

7-10-12

22-01-13

14-10-12 21-10-12 28-10-12 04-11-12 11-11-12

29-01-13 5-02-13 12-02-13 19-02-13 26-02-13

25-11-12

05-03-13

02-12-12 06-01-13 13-01-13

12-03-13 19-03-13 26-03-13

IN NOME DEL FRATELLO

20-01-13

02-04-13

SCRICCIOLO MANHATTAN LA REGINA È MORTA

10-02-13 17-02-13 03-03-13

09-04-13 16-04-13 30-04-13

LA FIGLIA DEL MUGNAIO BENVENUTI A STORYBROOKE IMPAVIDO, SINCERO E ALTRUISTA LACEY LA REGINA CATTIVA SECONDA STELLA A DESTRA E POI DRITTO FINO AL MATTINO

10-03-13

07-05-13

17-03-13

14-05-13

24-03-13

21-05-13

21-04-13 28-04-13

28-05-13 04-06-13

05-05-13

11-06-13

12-05-13

18-06-13


C’era una volta

Terza stagione

3X01

3X02

3X03

3X04

3X05

3X06

3X07

3X08

3X09

3X10

3X11

Titolo originale

ABC

THE HEART OF THE TRUEST BELIEVER

29-09-13

QUITE A COMMON FAIRY

13-10-13

LOST GIRL

06-10-13

NASTY HABITS

20-10-13

ARIEL

03-11-13

GOOD FORM

27-10-13

DARK HOLLOW

10-11-13

SAVE HENRY

01-12-13

THINK LOVELY THOUGHTS THE NEW NEVERLAND

GOING HOME

17-11-13 08-12-13

15-12-13

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Ipertesti seriali

Che l’incanto abbia inizio

di Eligio Galeone

lieto fine. Una trama originale e moderna ambientata a Storybrooke, nel Maine, la città nella quale il sortilegio produce i suoi effetti. Gli abitanti che ci vivono sono delle persone normali con l’unica pecca di non ricordare la loro vera identità fiabesca.

«C’era una volta». E ci sarà ancora. La serie tv americana incentrata su un genere fantasydrammatico si dimostra, sin dalle primissime puntate, una fra le più contorte e accattivanti della storia televisiva statunitense. Personaggi delle favole, strappati dalle loro foreste incantate e dai loro mondi fiabeschi, si ritrovano per magia catapultati d’un tratto in un mondo reale a causa del sortilegio innescato dalla perfida Regina con lo scopo di non far vivere loro il

Il tandem Horowitz-Kitsis, ispirati a raccontare le favole per amore del mistero e dell’emozione nell’esplorare tanti mondi diversi, delinea una sensibilità femminista: l’eroina è Emma, colei che ha l’arduo compito di spezzare il sortilegio sollecitata da suo figlio Henry, un bambino sveglio e schietto. La storia, raccolta in 22 puntate, viaggia su un continuo e bizzarro parallelismo fra Bene e Male, tra fiaba e realtà, condite da continui colpi di scena. I motori portanti di questa

C’era una volta e la nuova vita dei personaggi delle favole

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C’era una volta prima stagione sono il potere dell’amore e il fascino della conquista del potere. Queste due componenti sono intrecciate dalla natura indagatrice dell’animo umano, ma prevale soprattutto la tematica romantica che è presente sin da subito attraverso il ruolo della Regina Cattiva che

rispecchiarsi nei protagonisti di questa appassionante serie tv perché troverà in loro caratteristiche che li rendano umani e reali nonostante la dimensione fantastica in cui essi sono inseriti. L’ultima puntata si chiude con una densa nube viola che si

funge da muro invalicabile contro il disperato amore tra Biancaneve e il suo Principe. La tranquillità non è di casa in questo mondo perché come di consueto sopraggiungono degli imprevisti che rispecchiano, in realtà, dei perfetti escamotage giostrati dal tenebroso ma carismatico signor Gold che riesce a soggiogare i personaggi come autentiche marionette. Si alternano tattiche, flashback rivelatori, strategie e continui giochi di potere ma chiunque potrà

diffonde su tutta la città. La magia è giunta ora nel mondo reale. Si aprono ufficialmente gli spiragli per una seconda stagione tutta da vivere. Che la magia abbia inizio. La prima stagione di Once Upon A Time si è dimostrata solida e convincente. L’espediente narrativo è stato sfruttato al meglio rivolgendosi a un pubblico di tutte le età in grado di appassionarsi a questa lotta senza tempo tra Bene e Male, fede e ragione e soprattutto tra amore e potere.

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Ipertesti seriali

La magia ha sempre un prezzo Nuovi personaggi, nuove storie, nuovi mondi di Chiara Bavaro La seconda stagione di C’era una volta si presenta più elettrizzante che mai: la salvatrice ha rotto l’incantesimo. I personaggi delle fiabe ritrovano la loro identità. Per la prima volta guardano la città, dove sono rimasti rinchiusi per ventotto anni, con occhi nuovi. Se pensavamo che tutti i personaggi delle fiabe si fossero 56

presentati nella prima serie ci sbagliavamo, anzi in questa nuova stagione il corollario di eroi e non, che hanno animato i racconti della nostra infanzia, si arricchisce sempre più. Gli autori hanno mantenuto il parallelismo fra la vita prima e dopo l’incantesimo per presentare principi e principesse, nani e pirati. Nuovi personaggi che vengono da luoghi diversi; infatti Edward Kitsis e Adam Horouiz hanno creato altri mondi che non sono stati intaccati dall’incantesimo ma che comunque in un modo o nell’altro sono entrati in contatto con Storybrooke. Il riferimento al passato dei personaggi serve per spiegare le loro azioni nel


C’era una volta

presente. La storia dei singoli si unisce, come affluenti al fiume, al motore delle serie: l’antagonismo fra Biancaneve e la Regina Cattiva, cioè la lotta continua ed estenuante fra Bene e Male. In tutti gli episodi preponderante è questo scontro il cui finale non è sempre scontato. Soprattutto nelle ultime storie, però, la lotta fra Regina e Biancaneve sembra essersi sviscerata in tutti i suoi aspetti e, proprio quando sembra che fra le due si possa giungere a un equilibrio, la dicotomia Bene e Male assume delle sembianze nuove aprendosi su un nuovo mondo. L’ultimo episodio funge da incipit per la terza serie, ora in onda in America, che ha

abbandonato le mura confortanti di Storybrooke per giungere sull’Isola che non c’è, dove i rapporti fra i protagonisti si dispiegheranno in maniera sorprendente. Questa stagione, straordinaria per la capacità di concatenare diverse storie con semplicità e maestria, ci rivela come la magia delle fiabe non ci ha mai lasciati. Siamo cresciuti, abbiamo maturato scelte ‘letterarie’ lontane da principi e principesse, sirenette e draghi, tuttavia ci stupiamo ancora di come Biancaneve possa rivelarsi originale e nuova agli spettatori di ogni età.

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Ipertesti seriali

Un triangolo rosso sangue Cappuccetto reloaded di Massimo Andrisani

Chi nella propria infanzia non ha voluto assomigliare, anche solo per un istante, a Cappuccetto Rosso? Un personaggio dai molteplici risvolti, in grado di appassionare adulti e bambini. Ella, così come dipinta in una versione del 1857 dai fratelli Grimm, è una bambina semplice e spontanea, capace di meravigliarsi per ogni cosa. Ma, a differenza dei bambini della sua età, non ascolta le raccomandazioni della mamma e finisce per essere ingannata da un lupo, mentre si reca con le provviste dalla nonna. E se invece il lupo fosse un licantropo? Ecco, è ciò che ha pensato una diabolica Catherine Hardwicke (regista

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del primo episodio della saga Twilight) per la realizzazione di Cappuccetto Rosso Sangue, uscito nel 2011. La protagonista è Valerie, una scialba Amanda Seyfried che viene scomodata per far parte di un inutile triangolo amoroso tra Peter, il suo amato, interpretato da Shiloh


C’era una volta

Fernandez, e Henry (Max Irons), con il quale i genitori di Valerie vogliono farla sposare. L’ambientazione è un villaggio della foresta, reso lugubre dalla presenza di un licantropo che minaccia il popolo e uccide la sorella maggiore di Valerie. Quest’ ultima, preoccupata, riceve un mantello rosso con

cappuccio dalla nonna. Tutti danno la caccia al licantropo, ma padre Salomon – un imponente Gary Oldman – avverte che, in realtà, è un uomo che potrebbe nascondersi tra il popolo del villaggio. Le musiche e gli effetti speciali utilizzati, forse, per rendere il film più accattivante, non paiono, tuttavia, dare un’identità allo stesso: si tratta, infatti, di un incrocio fra horror e fiaba, condito da un triangolo amoroso, di cui la Hardwicke poteva fare a meno perché non intriga lo spettatore, anzi lo lascia insoddisfatto fino all’ ultimo, non riuscendo a scoprire la vera realtà del lupo mannaro. 59


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Che mondo sarebbe senza Peter Pan? di Federica Di Bartolomeo

Tutti i bambini crescono, tranne uno, così leggiamo nelle pagine scritte da sir James Matthew Barrie. Ma a chi si riferisce lo scrittore? Semplice, a Peter Pan: l’eterno bambino per antonomasia. Basta pronunciare questo nome e nell’immaginario collettivo ecco comparire il bambino in calzamaglia verde, che sapeva volare, giocava con le sirene e si divertiva a sfidare i pirati. Steven Spielberg nel 1991 ha proposto sul grande schermo Hook, una fantasy-commedia con un cast d’eccezione: Dustin Hoffman (Hook), Robin Williams (Peter Pan), Julia Robert (Trilly), Bob Hoskins (Spugna), Charlie Korsmo (Jack), Caroline Goodall (Moira) e Maggie Smith (Wendy). Forse solo a un grande regista come Spielberg, ispirato da un’idea di cinema come rappresentazione 60

del fantastico, creatore di veri e propri sogni su celluloide per tutta la famiglia (del calibro di E.T.- L’extraterrestre e I predatori dell’arca perduta) poteva venire in mente una tale rivisitazione di Peter Pan. Il regista americano toglie a Peter Pan calzamaglia, coraggio, fantasia e soprattutto la sua giovinezza; il suo monito allo scrittore inglese è ‘non si può rimanere bambini, diventare grandi si deve!’. Peter si innamora della nipote di Wendy e decide di diventare grande con lei, distruggendo sia fisicamente che mentalmente il bambino che è stato. Adesso Peter Pan è Peter Banning, un avvocato quarantenne dedito completamente al suo lavoro: non sa più volare, non ha più fantasia, si è trasformato in uno di quei pirati che aveva sempre combattuto.


C’era una volta Se per Peter Pan ormai l’Isola che non c’è esiste solo nelle favole che si raccontano ai bambini, che fine avrà fatto il suo nemico di sempre? Capitan Uncino è il padrone incontrastato dell’Isola, ma la sua vita senza Peter è solo monotonia, quindi decide di rapire i suoi due figli (Jack e Maggie) per farlo ritornare. Giacomo Uncino per quasi tutto il film conquista la simpatia del pubblico, così come era riuscito a conquistare la fiducia di Jack (il figlio di Peter), riuscendo a farci credere che una vita senza Peter Pan, senza il bambino che è in noi, non è poi così tanto male. Ma alla fine ci si rende conto che rinunciando a ciò si finisce per condurre una vita mediocre, minacciata dal fantasma del tempo che passa e sgretola quella carcassa vuota che di noi resta. Peter, immemore del suo passato, torna sull’Isola per riprendere i suoi figli, ma quella calzamaglia verde non è adatta a un avvocato quarantenne in sovrappeso. Uncino stenta a credere che quello che ha davanti sia il ‘suo’ Peter Pan, e così Trilly si impegna a farlo tornare in tre giorni quello di una volta: coraggioso e intraprendente.

Peter non ha scelta: deve imparare a combattere e a volare per sconfiggere Uncino nella grande battaglia finale e riportare a casa i suoi figli. Sarà proprio il ricordo dei momenti felici passati con il figlio Jack il pensiero felice che gli permetterà di volare e riacquistare la consapevolezza di essere Peter Pan: «Ho scoperto qual è il mio pensiero felice: sei tu, Jack» . Lui non ha più ricordi della sua infanzia, e nel ricordo di suo figlio riesce a riconoscere il fanciullo che è stato. Ed è proprio così: senza il ricordo dell’infanzia nessun uomo può dirsi veramente adulto. Per tutto il film la Neverland di Spielberg ha un potere così magico e coinvolgente da far venire veramente voglia di essere lì, a essa si aggiunge la colonna sonora composta da John Williams che risulta essere quel pizzico in più di fantasia che renderà il film un vero e proprio sogno a occhi aperti, dal quale noi stessi non vorremmo svegliarci mai!

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Quel matto cappellaio Johnny Depp ruba la scena ad Alice di Laura D’Ecclesiis

Nel 2008 Tim Burton, Leone d’oro alla carriera, torna alla Disney per dirigere due nuovi film in 3D, tra cui Alice in Wonderland, film fantasy e sequel del romanzo Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll. Burton, uno dei registi più geniali ed espressivi della sua generazione, sceglierà nella sua continuazione come indiscusso protagonista, per la parte del Cappellaio Matto, il suo pupillo Johnny Depp. Il nome di questo personaggio proviene dal modo di dire tipicamente inglese in uso nell’Inghilterra vittoriana «To be mad as a hatter» (‘Essere matto come un cappellaio’), che si riferisce alla tendenza dei cappellai dell’epoca a soffrire di disturbi neurologici, per l’uso continuo del mercurio nella lavorazione dei tessuti. Alcune rappresentazioni del Cappellaio, nella cultura popolare, sono state 62

influenzate proprio da questa interpretazione. Nel film, il personaggio singolare a volte è taciturno e tante altre enigmatico, e rappresenta la follia massima perché racconta storie, apparentemente prive di senso, che spingono Alice alla riflessione. Il Cappellaio Matto interpreta la sua vita come noi la interpretiamo solo nei nostri sogni, prende decisioni per lui logiche anche se vanno contro la morale o le regole della società, si allontana da tutto ciò che può avvicinarsi alla logica, alla ragione per imboccare una strada piena di ostacoli dove dovrà camminare da solo per tutto il tragitto. Con occhioni verdi, i capelli rossi e la pelle bianchissima, Burton ci regala un personaggio fuori di testa, che abita nel Paese delle meraviglie in una casetta parallela a quella della Lepre. Appassionato di orologi, ne possiede uno


C’era una volta

che segna giorno e mese, ma non le ore: accusato di ‘uccidere il tempo’ per lui ed i suoi compagni, si fermò alle cinque, in una perenne ora del tè. Il matto Cappellaio, uno dei principali alleati di Alice nel corso della sua avventura, è un personaggio molto instabile, incline a sbalzi d’umore repentini. Si dimostra da subito protettivo nei confronti di Alice e arriva perfino a farsi catturare per permetterle di

fuggire. Folle, imprevedibile, anche se molto affascinante, è come un libro aperto, che offre nella storia bizzarre sequenze di eventi in cui la protagonista è di volta in volta catapultata in situazioni assurde, che regalano alla storia uno stile narrativo avvincente.

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Cinture di castità e pasticcioni Quando Robin Hood fa ridere di Bianca Chiriatti

Ruba ai ricchi per dare ai poveri. È un personaggio per metà storico e per metà leggendario, un po’ eroe e un po’ fuorilegge. Stiamo parlando di Robin Hood, figura che nell’immaginario collettivo viene associata alla foresta di Sherwood, all’amore per Lady Marian, alle persecuzioni dello sceriffo di Nottingham, al rapporto con i sovrani inglesi Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senza 64

Terra. Cosa succede però se l’eroe non è poi in realtà così impavido, ma codardo e pasticcione, i compagni della sua banda sono una serie di macchiette singolari e lo sceriffo di Nottingham diventa la massima autorità dell’immaginaria città di Ruttingham? Questi sono gli ingredienti di Robin Hood – Un uomo in calzamaglia, film del 1993 diretto da Mel Brooks, divertente commedia per tutta la famiglia, in buona parte parodia del film di Kevin Reynolds del 1991 Robin Hood – Principe dei ladri, con Kevin Costner. Troviamo Robin di Loxley (Cary Elwes), alle prese con i capricci del principe Giovanni Senza Terra (Richard Lewis), a capo degli ‘Allegri Compagni della Foresta’, insieme al rozzo Little John, al servitore cieco


C’era una volta

Bellosguardo e al ragazzo di colore Etcì (Dave Chappelle); perseguitato dallo sceriffo di Ruttingham (Roger Rees), che vuole costringere la bella Lady Marian (Amy Yasbeck) a sposarlo. Dopo infinite peripezie e gag surreali Robin cerca di conquistare «il più grande tesoro di tutto il reame», di cui possiede la chiave, tesoro che si rivela essere la cintura di castità in acciaio inossidabile di Lady Marian. Un lungometraggio che promette tante risate, anche a distanza di anni, e in cui non mancano i riferimenti ad altre pellicole – basti pensare agli uomini dello sceriffo di Ruttingham, capitanati dal mafioso Don Giovanni, parodia del Marlon Brando del Padrino, o ad alcune situazioni chiare parodie di altri film dello stesso Mel

Brooks, come Frankenstein Junior o Mezzogiorno e mezzo di fuoco. È necessario, inoltre, aprire una parentesi riguardo alla trasposizione in italiano dei dialoghi: nonostante molto spesso, soprattutto in pellicole ricche di situazioni comiche e giochi di parole, sia difficile rendere gli stessi effetti nel doppiaggio italiano, in questo caso un ottimo lavoro è stato fatto nella traduzione dei nomi, con una resa a tratti migliore della versione originale; è il caso di Broomhilde che diventa Brutthilde, di Ahchoo e Ahsneeze che diventano Etcì e Starnì, o della maga Latrina che, nel doppiaggio italiano, rivela il suo vero nome, Belcesso. Una commedia che non stanca mai, per quasi due ore di risate assicurate.

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Biancaneve del duemila: Principessa o…? di Valentina Mecca

La Biancaneve di Donald Barthelme non ha nulla a che vedere con l’innocente creatura delle favole. La nostra Biancaneve ha in comune con la sua omonima solo i ‘capelli neri come l’ebano’ e la ‘pelle bianca come la neve’, oltre alla presenza dei sette nani. Per l’appunto, solo la presenza, poiché i nani in realtà sono persone adulte, che si guadagnano da vivere producendo omogeneizzati cinesi con la ricetta ereditata dal padre. Preferiscono essere considerati un’unica entità collettiva (parlano sempre di ‘noi’) ma al tempo stesso restano isolati l’un l’altro a causa delle loro ossessioni, fobie e perversioni. E Biancaneve abitualmente ha rapporti sessuali con loro nella doccia, oltre a scrivere poesie erotiche. È una donna nevrotica, di cui conosciamo 66

anche l’età (ventidue anni), che dorme con il pigiama di latex, ma che vive nella consapevole e ansiosa attesa del principe azzurro, da noi conosciuto come Paul, ancora impegnato a rendersi conto dei doveri che il suo ruolo prestabilito gli impone. Non può mancare la strega cattiva, Jane, con il suo tentativo di avvelenare Biancaneve, in questo caso con un cocktail al posto della classica mela. L’opera è divisa in tre parti e ciascuna unità alterna capitoli di pura narrazione ad alcuni intermezzi simili a didascalie di un brano teatrale. Le stesse didascalie, poi, possono essere divise in due classi, alcune proclamano ricche affermazioni quasi filosofiche, altre fungono da collegamento alla narrazione, che è un continuo susseguirsi di colpi di scena e addirittura a un certo punto è interrotta per far posto a un questionario che l’autore rivolge direttamente al lettore, con domande tutt’altro che scontate:


C’era una volta

Le piace la storia finora? Si () No () Dopo aver letto fino a questo punto, ha capito che Paul incarna la figura del principe? Si () No () C’è troppo nonsense nella narrazione? ( ) Troppo poco? ( ) Secondo lei, gli esseri umani dovrebbero avere più spalle? ( ) Due paia di spalle ? () Tre? ( )

È quindi intuibile che il linguaggio di Barthelme sia un miscuglio letale di comicità e complessità: i personaggi impostano dialoghi contorti a partire da banalissime affermazioni e arrivano al nonsense più puro. Lo stravolgimento del reale è indubbiamente presente ma il tipo di comicità è certamente paranoico. Barthelme è quindi capace di far ridere ma non in modo usuale: dietro le surreali vicende di Biancaneve e degli altri protagonisti c’è dell’altro. Biancaneve, infatti, è una donna che lotta per abbandonare la sua funzione di oggetto e lo fa, a

suo modo, con le poesie che compone. I nani non sono altro che personaggi egocentrici e chiusi nella loro piccola realtà, mentre Jane e Hogo concorrono all’immagine deprezzata ma reale dell’amore ai giorni nostri. Questo romanzo è considerato un capolavoro dell’epoca postmoderna americana; può essere considerato una parodia, giacché la sfrontatezza e il surrealismo si rincorrono senza sosta, in una spirale quasi grottesca di situazioni assurde. Con il suo stile stravagante Barthelme stravolge un’icona culturale e la ricostruisce in un mondo dove il trash sembra avere il sopravvento.

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Biancaneve impara a combattere La nuova versione della favola con Charlize Theron di Grazia Monticelli

Rupert Sanders mette sullo schermo una storia dei fratelli Grimm mostrando un altro punto di vista: infatti Biancaneve, interpretata da Kristen Steward, non è più la docile ragazza perseguitata dalla matrigna cattiva, ma è una donna capace di vendicare la morte del padre e la caduta del suo regno con la forza. Aiutata dal cacciatore, ingaggiato inizialmente dalla matrigna per ucciderla, impara l’arte della guerra, caratteristica mai enunciata dai fratelli Grimm. Il film mette in evidenza non solo la bellezza esteriore della ragazza, ma anche la sua bontà d’animo smisurata. Il regista mette da parte l’immagine dell’ingenua ragazzina, dando largo spazio alla donna guerriera armata e combattiva. Il film sembra quasi voler mettere 68

in scena le caratteristiche delle ragazze di oggi, non più ingenue e impaurite, ma capaci di darsi da fare. Biancaneve, cresciuta nell’amore e nella gentilezza, è catapultata nel mondo delle armi, della guerra, della violenza, facendo per un attimo dimenticare il candore descritto nelle favole. Un film che, attenendosi all’immagine della protagonista, mette da parte il ‘vissero felici e contenti’, dando risalto alla vittoria della ragazza che sale al trono da sola. La vicenda amorosa si può captare attraverso sguardi e gesti, ma concretamente non se ne parla. I suoi compagni di viaggio, i nani, sono rappresentati da gnomi tutt’altro che amorevoli; i luoghi, la gente che si incontra durante la visione, non rievocano realmente la storia originaria di Biancaneve. Se i bambini vedessero solo questa versione di Biancaneve, che idea avrebbero? Sicuramente diversa dalla nostra, vedrebbero solo una delle tante eroine con la sua spada. Solo noi potremmo comprendere che anche la nuova Biancaneve ha un cuore, nascosto però sotto l’armatura.


C’era una volta

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Una coppia asimmetrica La bella e la bestia a New York di Luigia Mariotti

Una bestia, sola nel suo gigantesco castello, torna ad essere un meraviglioso principe grazie all’amore di una giovane ragazza dal nome scontato, data la sua avvenenza: Bella. Questa la premessa alla base di due personaggi della serie C’era una volta. Lui, Tremotino, il Signore Oscuro, uno dei mali peggiori del mondo delle fiabe; lei una ragazza stupenda e umile, dal cuore puro, che, innamorata della ‘bestia’ cercherà di donargli di nuovo la sua umanità. Il mito di tali personaggi, non tutti sanno, non nasce dalla magica favola del mondo dei cartoni animati, ma da una fiaba europea, di cui non si conoscono le origini precise, che stranamente non è stata totalmente stravolta dalle menti creative disneyane. Le rivisitazioni nel mondo seriale di tali personaggi 70

sono state molteplici. La prima serie, datata 1987 e composta da tre stagioni (22 episodi per le prime due e 12 per la terza), è ambientata a New York e vede Bella nei panni di un’avvocatessa e la bestia, come incrocio tra un umano e un leone, vivere nei tunnel sotterranei della città. Per quanto gli anni ’80 siano stati di fondamentale importanza per le serie tv, la consacrazione del fenomeno seriale si può dire, in un certo senso, arriva negli ultimi 15 anni. Abbiamo dovuto aspettare il 2012 per vedere ancora sugli schermi Beauty And The Beast, ambientata sempre a New York. Questa nuova serie narra di Catherine Chandler, detective di New York, che vive nell’ossessione di scoprire chi e perché abbia ucciso sua madre proprio davanti a suoi occhi. È in questa occasione che vede per la prima volta lui, la bestia, Vincent Keller, che la salva dai due sicari della madre. Dottore estremamente intelligente e stranamente carino nonostante la sua mutazione genetica, dovuta, stavolta, non a un incantesimo o a una maledizione ma a un


C’era una volta

esperimento militare a cui si è sottoposto, dieci anni prima, dopo la morte dei fratelli nell’attacco alle Twin Towers. Gli elementi chiave delle serie degli ultimi anni ci sono tutti: il poliziesco, l’esperimento segreto delle forze militari statunitensi, la tragedia del 2001 e ultima, ma

non meno importante, la storia d’amore. Insomma, fin qui nulla di originale, ma sembra che la formula funzioni. Una cosa è certa, ormai anche la Bella e la Bestia vivono a New York, con i loro smartphone e i loro casi di omicidio da risolvere. 71


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Un patchwork di personaggi I fratelli Grimm e Monica Bellucci come incantevole strega di Loredana Grassi

«Chi è la più bella del reame?» C’è anche una vecchietta con la mela rossa, ma no, non vi parlerò di Biancaneve. Raperonzolo: è 72

citata anche lei, i lunghi capelli e la torre. Ma no, non vi parlerò neanche di lei. Ci sono i fagioli magici, un bacio a un ranocchio, e come poteva mancare un bacio di vero amore che risveglia dalla morte? Potrei continuare con i riferimenti ad altre favole, dato che si tratta di I fratelli Grimm e l’incantevole strega, diretto da Terry Gilliam, film del 2005, con la ‘straordinaria’ partecipazione di Monica Bellucci, a cui il ruolo della strega-vamp dona.


C’era una volta

Ambientato nella Germania ottocentesca, il film ha come protagonisti Jacob e Wilhelm, meglio noti come i fratelli Grimm. Conosciuti nel resto del mondo per aver raccolto ed elaborato le fiabe della tradizione tedesca, per aver aiutato la creazione di una identità germanica, furono in realtà delle figure importanti per la Germania sia a livello politico che culturale, due linguisti e filologi affermati.

I fratelli sono trasformati nel film in due cialtroni che sfruttano le superstizioni della gente con dei trucchi da palcoscenico ed affetti speciali, cacciatori di demoni e esorcisti, possono essere definiti due acchiappafantasmi ante litteram. L’ambiente ricorda quello del Mistero di Sleepy Hollow, però senza il ‘pirata Johnny’, (purtroppo, aggiungerei). Spunti gotico-fantastici costellano il film, con riferimenti alla cultura pagana e alle leggende popolari. Per esempio la ragazza vestita di rosso divorata dall’uomo lupo è un riferimento a cappuccetto rosso. Un velo d’ironia e un tocco di humor inglese permea tutto il film, che però si conclude con il solito ‘vissero felici e contenti’, scontato rispetto alla dinamicità del film, dal quale ci si sarebbe aspettati un finale scoppiettante, magari con un bacio che non funziona e non risveglia la bella e l’eroe che s’innamora della strega, perché no?

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Le funzioni di Propp di Loredana Grassi Vladimir Propp, antropologo, linguista e studioso di folclore russo, studiò le origini storiche della fiaba. Nell’opera Morfologia della fiaba, del 1928, sottopone a un’analisi critica gli schemi di classificazione delle fiabe e individua 31 funzioni narrative dei personaggi, note come ‘Sequenza di Propp’. La struttura costante individuata da Propp viene, però, stravolta nelle fiabe moderne. Ciò è dimostrano nelle serie televisive come C’era una volta. C’è da chiedersi quanto sia controproducente modificare una struttura secolare.

1. L’antagonista: colui che lotta contro l’eroe. 2. Il mandante: il personaggio che esplicita la mancanza e manda via l’eroe. 3. L’aiutante (magico): la persona che aiuta l’eroe nella sua ricerca. 4. La principessa o il premio: l’eroe si rende degno di lei, ma è impossibilitato a sposarla per via di una serie di ingiustizie, generalmente causate dall’antagonista. Il viaggio dell’eroe spesso termina quando riesce finalmente a sposare la principessa, sconfiggendo il nemico. 74

5. Il padre di lei: colui che fornisce gli incarichi all’eroe, identifica il falso eroe e celebra poi il matrimonio. Propp ha notato che per quanto riguarda la loro funzione, la principessa e il padre spesso non sono chiaramente distinguibili. 6. Il donatore: il personaggio che prepara l’eroe o gli fornisce l’oggetto magico. 7. L’Eroe o la vittima/ il ricercatore: colui che reagisce al donatore, sposa la principessa. 8. Il falso eroe: la persona che si prende il merito delle


C’era una volta azioni dell’eroe o cerca di sposare la principessa.

Spesso, uno stesso ruolo può essere ricoperto da più

personaggi, oppure, per converso, uno dei personaggi potrebbe ricoprire più ruoli.

Lo schema generale di una fiaba, secondo Propp, è il seguente:

1. Equilibrio iniziale (esordio); 2. Rottura dell’equilibrio iniziale (movente o complicazione);

3. Peripezie dell’eroe; 4. Ristabilimento dell’equilibrio (conclusione).

1. Allontanamento: un membro della famiglia lascia la sicurezza del suo ambiente domestico; 2. Divieto: all’eroe viene imposto un divieto o comunque gli viene sconsigliato di agire in una certa maniera. 3. Infrazione: quando l’eroe infrange il divieto che gli era stato imposto, l’antagonista entra nella storia. La decisione di violare il divieto, quindi, si rivela essere generalmente pessima. 4. Ricognizione: in questa fase, la vittima stabilita potrebbe interrogare l’antagonista, ma

più spesso è quest’ultimo a compiere una serie di ricerche sull’eroe. 5. Delazione: le ricerche dell’antagonista vanno a buon fine ed egli ottiene delle informazioni utili sull’eroe o sulla sua vittima 6. Tranello: l’antagonista cerca di ottenere la fiducia della vittima designata, ingannandola per catturarla o per prendere possesso dei suoi averi. 7. Connivenza: a questo punto, l’inganno ai danni della vittima è andato a buon fine e quest’ultima e/o l’eroe è ora impegnata ad aiutare il proprio nemico.

Dopo la rappresentazione della situazione iniziale, solitamente la storia si sviluppa seguendo una scaletta di 31 funzioni.

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Ipertesti seriali 8. Danneggiamento o mancanza: l’antagonista danneggia/ferisce un membro della famiglia dell’eroe. In alternativa, un membro della famiglia si rende conto che gli manca qualcosa, che ha un desiderio da realizzare: in questa seconda casistica, vi sono due possibilità. Nel primo caso, l’antagonista causa una qualche forma di danno all’eroe e alla sua famiglia; nel secondo, all’interno della famiglia dell’eroe o in seno alla comunità viene identificato un senso di mancanza, di perdita, oppure un determinato oggetto diventa desiderabile per una qualche ragione. 9. Mediazione: il danno o la mancanza si palesano; l’eroe viene ora a conoscenza delle azioni dell’antagonista e prende atto della mancanza. 10. Consenso: l’eroe decide di ribellarsi, agendo in un modo che servirà a porre fine alla mancanza, a salvare coloro che sono stati catturati e a sconfiggere l’antagonista. La sua decisione di diventare parte attiva della vicenda detterà il corso delle sue azioni future. 11. Partenza: l’eroe lascia la sua abitazione. 76

12. Funzione del donatore: prima di ricevere aiuto, l’eroe viene messo alla prova. 13. Reazione dell’eroe: l’eroe reagisce alle azioni del donatore: supera/fallisce la prova, libera i prigionieri, riconcilia i litiganti, compie qualche tipo di servizio, usa i poteri dell’avversario contro di lui… 14. Fornitura dell’oggetto magico: dopo aver superato la prova, l’eroe acquisisce l’uso di un agente magico sotto varie forme. 15. Trasferimento: l’eroe viene condotto nel luogo in cui si trova l’oggetto delle sue ricerche, o comunque gli viene indicata la strada. 16. Lotta: l’eroe e l’antagonista combattono direttamente. 17. Marchiatura: all’eroe viene impresso un marchio: viene ferito, oppure riceve un anello o un altro oggetto caratterizzante. 18. Vittoria: l’antagonista perde; viene ucciso in combattimento, sconfitto in una competizione, ammazzato nel sonno, esiliato… 19. Rimozione: Viene posto rimedio al danno iniziale e si risolve la mancanza.


C’era una volta 20. Ritorno: l’eroe torna a casa. 21. Persecuzione: l’eroe è perseguitato da qualcuno che attenta alla sua vita o al suo status. 22. Salvataggio: in un modo o nell’altro, l’eroe viene salvato dalla persecuzione. 23. Arrivo in incognito: l’eroe torna a casa o arriva in un altro paese. 24. Pretese infondate: un falso eroe cerca di prendere il posto di quello vero. 25. Prova: a questo punto, una prova di vario genere viene presentata all’eroe. 26. Superamento: l’eroe supera la prova. 27. Identificazione: grazie al marchio, l’eroe viene riconosciuto. 28. Smascheramento: il falso eroe o l’antagonista viene smascherato pubblicamente. 29. Trasfigurazione: l’eroe assume nuove sembianze. 30. Punizione: l’antagonista viene punito. 31. Matrimonio o incoronazione: l’eroe ottiene la ricompensa finale.

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Shrek: l’antieroe di Salvatore D’Oria

Eroi, eroi ovunque. Ormai in qualsiasi film siamo abituati a vedere lo stereotipo classico dell’eroe: bello, forte, intelligente, educato e con il caso sempre a suo favore. Da qui l’idea, dapprima di William Steig con una fiaba e poi della casa cinematografica DreamWorks con una saga, di celebrare la figura dell’antieroe. Forse neppure gli stessi autori si immaginavano un tale successo, eppure possiamo considerare Shrek l’antieroe per eccellenza. A partire dal nome, dato che in tedesco significa paura/ terrore, e passando per le sue caratteristiche principali, Shrek rappresenta tutto l’opposto del solito eroe principesco. È un orco, è verde, è sporco, rutta, è irriverente, è scapolo, puzza e non si lava: sembrerebbe una figura dalla quale tenersi lontani. Eppure, nonostante 78

l’esteriorità lasci a desiderare, Shrek ha il carattere dell’eroe: è buono, simpatico e altruista. Sono queste le caratteristiche che alla fine emergono dai quattro episodi della saga, sono questi gli attributi che contano: il carattere deve prevalere sull’estetica, la bontà interiore su quella esteriore. Basata sulla fiaba del 1990 di William Steig, Shrek è una saga d’animazione prodotta da DreamWorks. Nella produzione dei quattro episodi si sono alternati registi quali Adamson, Jenson, Miller e Mitchell; mentre tra i doppiatori troviamo figure del calibro di Mike Myers, Cameron Diaz, Eddie Murphy e Antonio Banderas. Caratteristica peculiare di Shrek è la presenza nel film di altre figure fiabesche quali il Gatto con gli stivali, Pinocchio, Cenerentola, Merlino, Robin Hood. La saga può essere paragonata a un romanzo di formazione: inizialmente Shrek è un orco orfano, sporco e vive solitario nella palude. Dopo aver salvato, con l’aiuto di Ciuchino, la principessa Fiona, decide di abbandonarsi all’amore per la fanciulla


C’era una volta facendo emergere tutta la sua dolcezza e generosità. Non sarà una storia semplice, però: da una parte Fiona verrà corteggiata dall’uomo (inizialmente) dei suoi sogni, ovvero il Principe azzurro, dall’altra Shrek sarà sempre tentato dal ritorno alla sua vita d’origine, nella palude. Ed è proprio qui che viene fuori anti-eroicità di Shrek, infatti, nonostante i suoi trascorsi e le sue angosce, l’orco si concede definitivamente alla principessa che aveva salvato, donandole tutto il proprio amore: per vivere ‘felici e contenti’ non si deve essere obbligatoriamente un eroe-principe, anche un orco ha diritto a un finale fiabesco. Proprio il finale ci induce ad un’altra riflessione sulla saga di Shrek: siamo davanti alla solita fiaba Disney o alla sua smitizzazione? La risposta non può essere netta, in quanto ci sono elementi che avvallano entrambe le tesi. Il finale romantico

e la presenza della principessa potrebbero far tendere alla prima tesi, però tante sono le componenti che assecondano la seconda asserzione: la figura dell’orco, i tantissimi doppi sensi (anche a sfondo sessuale), l’irriverenza dei personaggi, le tante scene che distruggono i buoni sentimenti e tante ironie smaliziate. Possiamo definirla l’inizio della smitizzazione della fiaba e della retorica Disney: Shrek è una fiaba/ saga che si avvicina al mondo reale liberandosi di stereotipi e pregiudizi.

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Question fantasy di Piergiorgio Zotti

Il fantasy è un genere che si ispira, per ambiente e personaggi, a temi mitologici, attingendo alla tradizione della fiaba, delle saghe nordiche e di un Medioevo immaginario. I giorni nostri, caratterizzati sempre più dal costante utilizzo di tecnologie digitali quali televisione, pc, smartphone, sembrano essersi gradualmente allontanati da quella magia che caratterizzava gli scenari del nostro passato, quel velo di mistero che attorniava paesaggi e luoghi non ancora

prepotentemente illuminati e bombardati dai flash e dai led fluorescenti dei sistemi tecnici attuali. Probabilmente è proprio per questo che ultimamente si sta riscontrando un incremento dell’interesse delle generazioni più giovani verso il genere di fantasia, che nel bel mezzo di un’automatizzata quotidianità aiuta a staccare la spina, consentendo alle persone di ritrovare almeno un po’ di quell’immaginario incantato che ha caratterizzato la fantasia della nostra infanzia. Alcuni

Questi fantasy


ni di esempi letterari di questo risveglio possiamo associarli a romanzi come Harry Potter e la saga del Signore degli anelli; o a serie televisive come Merlin e Il trono di spade. Paradossalmente, in quest’epoca dominata dall’accelerazione parossistica dei sistemi informatici, è proprio la moltiplicazione dei supporti di fruizione che incentiva a fantasticare ancora un po’ e lo consente a chiunque. Abbiamo a portata di mano un’opportunità clamorosa per l’immenso bacino d’utenza giovanile e non: quella di curiosare tra il vasto repertorio fantasy disponibile potendo valutare accuratamente quale prodotto sia più indicato alle proprie esigenze e successivamente scegliere

ciò che sia più confacente alle proprie reali propensioni. Insomma, un intreccio tra presente e passato, l’occasione per i mezzi attuali di giocare a favore della rinascita di passioni e interessi per un genere ambientato in un lontano passato. In conclusione, la società postmoderna, sempre più dinamica ma ripetitiva, ha perso quel bagliore di misticismo, quel che di originale e onirico che ha caratterizzato lo scenario valoriale e immaginifico del nostro ormai distante passato, ed è proprio per questo che il rapporto dei giovani con il fantasy si rianima sempre più consistentemente: per tornare a sognare, a sperare e vivere qualcosa di più magico…

ioni di y


Ipertesti seriali Il Trono di Spade (Cronache del Fuoco e del Ghiaccio) per la prima volta negli Stati Uniti d’America sul canale HBO dal 17 aprile al 19 giugno del 2011. In Italia la prima stagione viene acquistata da Sky Cinema 1, che la trasmette in prima serata il lunedì e il venerdì a partire dall’11 novembre fino al 9 dicembre 2011. La seconda stagione viene sempre trasmessa sempre da Sky Cinema 1 dall’11 maggio all’8 giugno 2012. La terza stagione invece dal 10 maggio al 14 giugno del 2013. Sulla Tv pubblica italiana la prima stagione è andata in onda su RAI 4 (digitale terrestre) a partire dal 2 al 30 maggio del 2013. La seconda stagione invece andrà in onda dal 6 febbraio del 2014 sempre su RAI 4. La saga, di evidente natura fantasy, riprende in gran parte le tradizioni medievali europee. La storia segue principalmente per tutta la sua durata tre vicende parallele: I Sette regni, la barriera e la casata dei Targaryen. Ogni stagione è suddivisa in due parti: per la prima stagione abbiamo Il Trono di spade e Il grande inverno; per la seconda stagione Il regno dei lupi e La regina dei draghi; infine per la terza stagione Tempesta di spade e I fiumi della guerra.

Cronache del Fuoco e del Ghiaccio Prima stagione Il trono di spade 11 Novembre – 9 Dicembre 2011, Grande inverno Sky Cinema 1 Seconda stagione Il regno dei lupi 11 Maggio – 8 Giugno 2012, sky La regina dei Cinema 1 draghi Terza stagione

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Tempesta di spade

10 Maggio – 14 Giugno 2013, Sky I fiumi della guerra Cinema 1


Il trono di spade

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Ipertesti seriali

Alla ricerca del trono perduto La guerra fantasy di Game of Thrones di Davide D’Aiuto Eddard Stark, lord di Grande Inverno, viene incaricato dal suo amico e re Robert Baratheon di diventare Primo Cavaliere del sovrano ad Approdo del Re (Capitale del Continente Centrale, sede del trono di spade). La guerra fra i Sette Regni è però alle porte, ormai: gli intrighi di una delle casate nobili più potenti, i Lannister, iniziano a dare i propri frutti. Nel frattempo il figlio illegittimo di Eddard, John Snow, si arruola nei Corvi, ossia i Guardiani della notte, e si reca quindi al castello nero in difesa della barriera (un enorme muro di ghiaccio che separa il mondo civile dalle terre selvagge dell’estremo nord). Nelle Terre selvagge oltre il mare, Daenerys Targaryen e suo fratello Viserys cercano di ricostruire l’antica stirpe dei Targaryen che 84


Il trono di spade regnava prima dell’arrivo dei Baratheon. La guerra tra i Sette Regni è giunta. Sul trono di spade siede il giovane re folle Joffrey Baratheon; la morte per tradimento di Eddard Stark, spinge Robert Stark, figlio legittimo, a radunare gli eserciti del Nord sotto il vessillo del giovane Lupo (soprannome che si guadagnerà sul campo di battaglia) e a marciare verso Approdo del Re. A difendere la capitale lo attende Tyrion Lannister, che ha preso le funzioni di Primo Cavaliere del re. Ma Robert Stark non è l’unico che ha mire sul trono; anche Stannis Baratheon, fratello del defunto re Robert Baratheon, rivendica il suo trono; Renly Baratheon, fratello minore di Robert e Stannis, rivendica il trono; Balon Greyjoy, che può contare sulle sue navi, e infine Daenerys Targaryen, detta ‘Madre dei Draghi’. Intanto alla Barriera i Corvi, con John Snow, si preparano allo scontro con le antiche forze nascoste. Lo scontro tra i Corvi e i Bruti provoca la sconfitta dei primi. John Snow, catturato, decide di unirsi a colui che

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Ipertesti seriali si è proclamato Re oltre la Barriera e inizia una marcia verso il castello Nero. Il suo scopo è scoprire i piani dei Bruti e fermarli. Ma oltre la Barriera c’è anche una forza oscura che si sta risvegliando. Oltre i fiumi la madre dei Draghi cerca di radunare un esercito con l’obiettivo di riprendere Approdo del Re. Stannis Baratheon, la cui lucidità è offuscata da una sacerdotessa, attende il segnale dal Signore della Luce

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per iniziare la battaglia. Arya Stark si unisce alla fratellanza senza vessilli. Infine il figlio di Balon Greyjoy, Theon, dopo il tentativo di prendere Grande Inverno, viene catturato dal figlio illegittimo di Roose Bolton al servizio di Robert Stark. Il giovane lupo sente su di sé il peso della battaglia e dunque cerca di motivare i suoi soldati a non mollare. Lo scopo è vendicare l’ingiusta morte di Eddard Stark.


Il trono di spade

Predestinati alla lotta La ricerca del Bene nella Spada della verità di Sara Fàsulo La serie televisiva fantasy tratta dall’omonima trilogia letteraria dello scrittore Terry Goodkind è prodotta dal regista di culto di Hollywood Sam Raimi, ed è ambientata in un mondo immaginario che richiama le realtà fatate del Signore degli anelli e ha per protagonisti elfi, gnomi e maghi. Le riprese sono girate negli affascinanti scenari della Nuova Zelanda che contribuiscono a rendere ancora più avvincente la lotta tra il Bene e il Male. La storia si svolge in tre magiche province: Le Terre dell’Ovest, Le Terre Centrali e D’Hara, Le Terre dell’Ovest sono separate dalle Terre Centrali da un confine magico, creato per impedire a qualsiasi

incantesimo di penetrare nelle altre Terre. Vicino alle Terre Centrali si trova D’Hara, territorio governato dal tiranno Darken Rahl. La serie, composta da due stagioni, ha per protagonista l’umile guida dei boschi Richard Cypher , il quale scopre di avere poteri magici e un importante compito: il Cercatore della Verità, secondo un’antica profezia, deve salvare le Terre d’Occidente dal crudele arcimago delle Terre di Mezzo, Darkhen Rahl, colpevole, tra le altre malvagità, di avere ucciso ogni primogenito pur di liberarsi della minaccia del Cercatore. Al fianco del protagonista si schierano la bellissima Kahlan Amnell, anch’essa dotata di poteri soprannaturali, Madre Depositaria e ultima superstite dell’Ordine, e il saggio Zeddicus Zu’l Zorander, abile Primo Mago, burbero solo in apparenza, che consegna a Richard la Spada della Verità, l’unica in grado di 87 contrastare Darkhen.


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Harry Potter Parallelismi tra cinema e scrittura di Catiana Coletta Nato in un tipico tea room inglese nei primi anni ‘90, Harry Potter è diventato un vero e proprio cult, conquistando una fama imparagonabile, vendendo in 10 anni (19972007) oltre 400.000 copie in tutto il mondo, rendendo l’autrice J.K. Rowling la donna più ricca d’Inghilterra. La saga, edita in Italia da Salani Ediore e riportata dalla BBC nella top 50 dei libri più consigliati in assoluto, è divisa in sette libri e portata sul grande schermo dalla Warner Bros in otto film, usciti nel giro di circa dieci anni (2001-2011). La trama racconta le avventurose vicende di un adolescente della provincia londinese che, da studente impacciato, finisce col diventare un mago sicuro di sé e determinato nella sconfitta delle forze oscure. Un Bildungsroman quindi. Nello specifico il giovane Harry Potter, rimasto orfano 88

all’età di un anno e affidato alla custodia poco amorevole degli zii materni, scopre in occasione del suo undicesimo compleanno di essere in realtà un mago, natura ereditata dai suoi genitori deceduti; viene così a conoscenza di un universo estraneo e parallelo al mondo dei ‘babbani’– le persone prive di poteri magici – a cui solo formalmente e per puro caso, apparteneva. Harry scopre l’esistenza di una scuola formativa per i maghi e le streghe di tutto il Regno Unito, la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts, una sorta di liceo magico, in cui sin da subito stringe una profonda amicizia con Ron Weasley ed Hermione Granger, con i quali affronta le varie avventure di sette anni di scuola. Presa visione della realtà magica, Harry scopre un’atroce verità: la cicatrice a forma di saetta sulla sua fronte è in realtà il segno della potente maledizione che undici anni prima aveva ucciso i suoi genitori e che aveva cercato, invano, di uccidere anche lui. Artefice del mancato omicidio è Lord Voldemort, al tempo Tom Riddle, potentissimo


Il trono di spade stregone omicida, versatissimo nelle arti oscure, che cercherà di ostacolare la vita di Harry in ogni libro, diventando il suo acerrimo nemico. Figure fondamentali ma contrastanti nel percorso formativo di Harry sono il preside Silente, carismatico e paterno, e il professor Piton, tutt’altro che gentile e comprensivo, che soltanto alla fine, a seguito di infiniti contrasti con il protagonista, si rivelerà essere il personaggio più emblematico e sorprendente della storia. Anno dopo anno, libro dopo libro, le vicende si oscurano sempre di più, macchiandosi di sospetti e dubbi che troveranno risposte solo alla fine del racconto, dove la morte non è una destinazione, ma solo un passaggio fondamentale alla risoluzione di tutto. Chi crede che Harry Potter sia una favoletta per soli bambini dovrà ricredersi a seguito della lettura dei sette appassionanti volumi. La saga di Harry Potter è secondo l’indagine di Wikipedia l’ottava saga cinematografica di maggior successo di tutti i tempi, con 7,7 miliardi di dollari di incassi

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Ipertesti seriali in tutto il mondo, ed è anche un successo di critica. Tuttavia, se l’atmosfera dei libri ti tiene incollato alle pagine giorno e (quasi) notte, l’adattamento cinematografico non risulta tra quelli migliori. Innanzitutto, a eccezione dei primi due film, praticamente identici al contesto harrypotteriano, i successivi sono pure e semplici narrazioni delle vicende raccontante nel libro, che mancano dell’atmosfera surreale e magica descritta in quelle righe. Elementi a sfavore della serie di film sono, il cambio al timone della regia di quattro executive directors, come Columbus, Cuarón, Newell e Yates, quattro menti e quattro interpretazioni diverse, che non hanno dato continuità agli otto episodi; le interpretazioni contrastanti dei due Silente, quella di Richard Harris, (l’Albus Silente dei primi due anni, scomparso a qualche giorno dalla prima cinematografica del secondo film), e l’interpretazione del successivo preside, Michael Gambon, di gran lunga più fredda, più lontana e alienante rispetto al premuroso e 90

onnipresente Silente descritto nel libro e messo in atto da Harris; infine la diversa struttura del castello di Hogwarts, che cambia, (sempre) a seguito del secondo film. Certo, mettere in atto uno script simile non è per niente facile, se si fa riferimento alla minuziosità dei particolari e all’evolversi della trama. In ogni caso, i film soli non sono sufficienti per comprendere l’essenza di Harry Potter, possono soltanto aiutare a dare un volto e una fisicità alla nostra immaginazione di lettori.


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Prima della tavola rotonda La spada nella roccia racconta le origini della leggenda di Artù di Rosalba Ruotolo

La spada nella roccia è un film d’animazione del 1963 diretto da Wolfgang Reitherman. Costituisce un adattamento dell’omonimo romanzo di T. H. White (primo episodio della tetralogia Re in eterno). Distribuito da Buena

Vista, il film uscì nelle sale negli Stati Uniti il giorno di Natale del 1963. È considerato il 18° classico Disney secondo il canone ufficiale. Un giovane garzone finisce per caso sotto l’ala protettiva del mago più potente del mondo. Quest’ultimo vede in lui grandi potenzialità e lo sprona a studiare nutrendo il cervello piuttosto che seguire la mentalità rozza e ignorante dei suoi contemporanei, in particolare il castellano che lo ha adottato e suo figlio Caio. Il giovane scoprirà, grazie al mago, che altri non è che il

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Ipertesti seriali leggendario Merlino, che nella vita si può e si deve avere ambizioni grandi. Così perché voler diventare un semplice scudiero? Anche se inizialmente si è solo un garzone che tutti chiamano Semola, meglio sognare in grande, soprattutto se il tuo vero nome è Artù. Re in eterno è un romanzo del ciclo arturiano scritto da T. H. White. Fu pubblicato per la prima volta nel 1958 ed è principalmente una raccolta di precedenti lavori. Il titolo proviene dalla leggendaria iscrizione nella targa posta sulla tomba di Re Artù: HIC IACET ARTHURUS REX QUONDAM REXQUE FUTURUS – «Qui giace Artù, re una volta e re in eterno». T. H. White usa Re in eterno per mostrare la sua personale visione della società ideale. Il libro, per la maggior parte ambientato nell’isola di Gramarye, racconta la crescita e l’educazione di Re Artù, il suo ruolo di re, e la storia d’amore tra il suo miglior cavaliere sir Lancillotto e la sua regina Ginevra (che lui scrive Guenever, invece di Guinevere). Il libro finisce appena prima della battaglia 92


Il trono di spade finale di Artù contro il suo figlio illegittimo Mordred. Sebbene White ammetta che il materiale a cui si è ispirato per il libro derivi dal libro Le Mort d’Arthur di sir Thomas Malory, egli crea una personale reinterpretazione degli eventi epici, riempiendoli di nuovo significato per un mondo che stava attraversando la Seconda guerra mondiale. Il libro è diviso in quattro parti: La spada nella roccia del 1938; La regina dell’aria e delle tenebre del 1939; (pubblicato separatamente in una forma diversa come The Witch in the Wood; Il cavaliere malfatto del 1940; La candela nel vento, pubblicato per la prima volta nella versione della raccolta, nel 1958 Una parte finale chiamata The Book of Merlin fu pubblicata separatamente dopo la morte di White. Questo libro racconta le ultime lezioni di Re Artù ricevute da Mago Merlino prima della sua morte.

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Un passato alternativo per Merlin La serie tv incentrata sul mago di Nicoletta Diterlizzi

Prodotta dalla Shine Television di Elisabeth Murdoch, Merlin si presenta come una rivisitazione moderna del mito del mago Merlino; il progetto fantasy racconta le avventure del mago Merlino e di Artù Pendragon in età giovanile, descrivendo il loro primo incontro e l’evoluzione del loro rapporto. Vi si narra l’arrivo di Merlino nella città di Camelot, governata da Uther Pendragon, che ha imprigionato l’ultimo drago e bandito la magia dal regno. Merlino, nato con straordinari poteri magici, diventa l’apprendista di Gaius, e scopre, dal drago tenuto prigioniero, che il suo destino è di proteggere l’arrogante figlio di Uther, Artù, affinché cresca e possa fondare un grande regno. 94

La serie si mostra curata nelle scenografie e nei costumi, con interessanti intrecci. Nel cast importanti attori britannici, come Richard Wilson nel ruolo di Gaius e Anthony Head nel ruolo di Re Uther Pendragon, ma anche tante nuove promesse: Colin Morgan è il giovane Merlino, Bradley James è l’arrogante ma intrepido Principe Artù, Angel Coulby è Guinevere e Katie McGrath è Morgana. Nella versione originale, il pluripremiato John Hurt presta la voce al drago. Diretta a un pubblico di più generazioni, la serie risulta piacevole da vedere, per la commistione di avventura, suspance, magia, storia e leggenda. Rappresenta un’interessante variazione della leggenda di Merlino. È proprio il suo non conformismo alla leggenda a rendere intriganti le storie che via via si susseguono.


Il trono di spade

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Il signore degli anelli: la trilogia di Catiana Coletta

Basato sull’omonimo romanzo di J.R.R. Tolkien, scritto tra il 1937 e il 1949, Il signore degli anelli, diretto da Peter Jackson, si identifica come la serie cinematografica più premiata della storia, vincendo ben 17 premi Oscar. La ricetta di tanto successo? Il mix perfetto tra mitologia e fiaba, un adattamento cinematografico di assoluta qualità, bei costumi, bel cast, fantastica sceneggiatura. Tuttavia sono proprio gli effetti speciali, sorprendenti e realistici, realizzati dalla società neozelandese Weta, fondata dallo stesso Jackson, a meritare così tanti premi e consensi. La trilogia è costituita da: La compagnia dell’anello, Le due torri, e Il ritorno del re, usciti nelle sale cinematografiche italiane da gennaio 2002 a gennaio 2004. Nel primo episodio della saga, entriamo nel villaggio di Hobbiville, casa di Frodo 96

Baggins, protagonista del romanzo, che viene incaricato dal mago Gandalf il grigio di distruggere un anello poiché portatore di grandi guai. Vista però la pericolosità della sfida, si decide di affiancare a Frodo un gruppo eterogeneo di abili guerrieri, (tra cui un affascinante Viggo Mortensen nel ruolo di Aragorn, e un elegantissimo Orlando Bloom,


Il trono di spade

Il secondo capitolo accompagna Frodo e Sam nel loro cammino verso Mordor, in cui s’imbattono nell’ambiguo Gollum, (le cui movenze sono state ricostruite digitalmente tramite la tecnica del motion capture), che cercherà in ogni modo di rubare l’anello a Frodo. Intanto, Aragorn e l’elfo Legolas). La ‘Compagnia compagnia avviano la ricerca dell’Anello’, capeggiata da degli hobbit rapiti e, di seguito, Gandalf, inizia il suo viaggio verso Mordor, che però si rivela incontreranno Gandalf, tortuoso. Tra rapimenti e morti diventato Gandalf il Bianco. Finalmente inizia la vera apparenti, il primo film si conclude con un momentaneo guerra, destinata a durare fino all’ultimo episodio, che vede distacco nella compagnia, Saruman e i cosiddetti orchi che decide di proseguire Uruk-hai, contro uomini ed il viaggio in due direzioni elfi. Il film culmina con la prima separate. disfatta dei cattivi e con Frodo che cerca invano di liberarsi di Gollum. L’apice dell’ultimo film è rappresentato dalla battaglia finale tra il potente e malvagio Sauron, e i nostri eroi e l’arrivo di Frodo al Monte Fato. Ma, nonostante le terribili avversità, il destino della Terra di Mezzo si risolverà nel modo più felice possibile, con la vittoria del Bene sul Male.

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Un’altra inaspettata avventura Dieci anni dopo si torna nella Terra di Mezzo di Ida Vinella

Era il 18 gennaio 2002 quando nelle sale italiane debuttò il primo episodio del Signore degli Anelli, che in poco tempo divenne un fenomeno cinematografico di vasta portata, sconvolgendo il cinema fantasy sino ad allora conosciuto. 10 anni dopo siamo tornati nella Terra di Mezzo con Un viaggio inaspettato, primo appuntamento con una nuova trilogia cinematografica ancora firmata Peter Jackson, tratta dal libro Lo Hobbit di J.R.R.Tolkien. Il primo film, risultato di uno spacchettamento in tre del romanzo del quale Il Signore degli Anelli fu il sequel, non ha deluso le aspettative grazie ai suoi immensi scenari e la sua storia universale, che come una vera e propria fiaba senza tempo racconta una morale 98


Il trono di spade semplice, ma che non stancherà mai: un’avventura alla ricerca della propria casa. Bilbo Baggins è lo hobbit che vive sotto la collina, nel caldo tepore del focolare domestico della pacifica e bucolica Contea. Sarà lo stregone Gandalf il Grigio a trascinare lo hobbit in un’avventura senza precedenti, affiancato da una compagnia di 13 nani che reclamano la loro patria esurpata dal terribile drago Smaug. Il film, così come il romanzo, riprende i più classici elementi di matrice favolistica di derivazione nordica: la guerra di un re per il trono perduto, il viaggio per riconquistare il proprio regno, le lotte tra giganti di pietra, i poteri oscuri che si risvegliano. A un anno di distanza arriva il secondo capitolo, La Desolazione di Smaug. L’atmosfera si fa più oscura, non a caso a dominare sul grande schermo sono due meravigliosi villain: il drago Smaug, dall’inscalfibile corpo di fuoco e dalla tetra avidità per l’oro, e Sauron, il supremo signore oscuro che darà filo da torcere alla futura compagnia dell’Anello.

Jackson ci scorta in indimenticabili luoghi fantastici: su tutti, il Bosco Atro, dimora degli elfi silvani capeggiati dal solenne re Thranduil, e la città degli uomini di Esgaroth, attraversata da incongruenze e burocrazie tipicamente umane e residenza di Bard, eroe sfaccettato che ritornerà con maggiore importanza nel prossimo episodio. Si aggiungono alla lista ancora due personaggi, entrambi elfi: Legolas, vecchia conoscenza per gli appassionati della prima trilogia, e Tauriel, invenzione jacksoniana e unico personaggio femminile sullo schermo. Il variegato parterre dei personaggi tolkieniani si alterna nella fabula della pellicola, riempiendo la vuota desolazione che Smaug ha creato intorno a sé. Ovviamente la chiave di volta per apprezzare pienamente la saga – con i suoi pregi e i suoi difetti – sarà sicuramente il terzo e conclusivo episodio, in attesa per dicembre 2014.

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Ipertesti seriali Ci si potrebbe domandare come mai per un genere antico come l’epica sia così importante il legame con la musica: la risposta coincide con l’avvento dei mass media che hanno declinato il fantasy in ogni forma d’intrattenimento. In particolar modo proprio la traduzione filmica, per necessità di spettacolarizzazione dell’immagine, ha permesso la realizzazione di soundtrack che concretizzassero a livello sonoro temi quali la magia, il mito, il confronto tra il bene e il male. Il promotore è stato Walt Disney che nel 1940 con l’uscita di Fantasia ha realizzato, con la collaborazione di Stokowski, David Sarnoff e l’orchestra sinfonica di Philadelphia, una collocazione spaziale del suono che rendesse alto il livello di fedeltà dell’originale, attraverso quindi l’utilizzo per la prima volta in campo cinematografico dell’audio stereofonico. La scelta dell’espressione orchestrale è stata intrapresa nel genere fantasy anche da Rob Lane, compositore di numerose serie tv e film, che ha curato la colonna sonora di Merlin. Lo stesso musicista ha dichiarato che l’utilizzo delle sinfonie ha permesso la narrazione di numerose tematiche attraverso melodie comprendenti orchestrazioni romantiche, componimenti vivaci, cori mistici e horror.

Fantasy sound di Roberta Troiano

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Il trono di spade Il celebre compositore americano John Williams è invece autore delle musiche dei primi tre episodi di Harry Potter, per le quali ha vinto il premio Oscar come miglior colonna sonora. Fin dal theme song, lo spettatore ha la percezione di essere avvolto da una dimensione di magica dolcezza caratterizzata dagli arpeggi. Proseguendo con gli episodi aumenta la compresenza dei fiati, degli ottoni e delle vibrazioni dei cordofoni. Un’atmosfera che cambia d’intensità ma pur sempre lasciando una sensazione di sospensione quasi irreale. D’impostazione più profonda e cupa è la musica di Ramin Djawadi per il Trono di Spade. L’associazione dei toni bassi risulta funzionale a rivestire la forte componente mitologica presentata nella serie televisiva. Come novità stilistica, la seconda stagione vede la collaborazione di Matt Berninger, frontman del gruppo The National. Nonostante la sua origine indie, il suo timbro intenso sembra tessere un’unione armonica con la melodia proposta da Djawadi. D’evocazione medioevale è la trilogia del Signore degli anelli che presenta una colonna sonora diretta da Howard Shore insieme alla London Philarmonic Orchestra. Notevoli le collaborazioni di voci come Annie Lenox, Enya, Emiliana Torrini.

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Ipertesti seriali

Una passerella medievale Principi e mercanti: dalle serie televisive alle case di moda di Antonella D’Eri C’è stato un caso che si è imposto all’attenzione mediatica nello scorso settembre durante la settimana della moda parigina: è stato quello di Vivienne Westwood, eclettica stilista britannica che negli anni Settanta diede il suo contributo nella diffusione della moda punk e fu la prima stilista a trarre una forte ispirazione dal passato della moda e ad offrire al pubblico, in maniera rivisitata, ovviamente, un abbigliamento proveniente da una realtà ormai che si credeva dimenticata. Quest’anno ha proposto, nella sua collezione PrimaveraEstate 2014, una tipologia d’abbigliamento femminile che ha tratto spunto dal Medioevo, proprio quel Medioevo che tanto ci affascina e che ritorna oggi in auge grazie a serie 102

televisive come Il trono di spade. Le modelle che hanno calcato la passerella con gli abiti della Westwood sembravano come dei pellegrini tratti da una delle novelle di Chaucer o di Boccaccio. Facevano la loro parte tele grezze, tessuti naturali e poveri, sporchi di fango a causa del lungo andare di villaggio in villaggio; le forme sono morbide e comode per rendere più agevole il viaggio. Senza dubbio interessante il colore, perché il nero, all’epoca,


Il trono di spade poteva essere indossato solo da chi disponeva di molto denaro, essendo la tintura di quel colore molto costosa. La Westwood ha dichiarato che questo ritorno al passato, a un passato in cui la società era ordinata in classi e in cui ognuno adempiva alle proprie responsabilità per il bene comune, asseconda il bisogno di ordine, disciplina e compostezza, armonia ed eleganza vivace, da parte della stilista, in una società come la

nostra dominata da un egoistico individualismo. È forse proprio per lo stesso motivo che le serie tv che si ispirano al Medioevo e ai suoi scenari visionari e magici riscuotono un così largo successo di pubblico: in questo periodo di crisi valoriale ed economica, la gente cerca un rifugio stabile in un passato ormai lontano ma che, proprio per questo, conserva quell’aura mistica e leggendaria.

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Voulez-vous cosplay avec moi? Quando fantasy e fumetti diventano reali di Ida Vinella

Dimenticate la vostra realtà e per un giorno sognate di diventare l’eroe più amato nella vostra infanzia, l’idolo della vostra serie TV preferita. È solo immaginazione, ma è anche un fenomeno che sta conquistando sempre più ampie fasce di pubblico di tutte le età. Si tratta del cosplay, moda importata da pochi anni in Italia dal Giappone, regno incontrastato del manga, e che unisce passione e manualità (dalle abilità sartoriali alla realizzazione di complessi accessori). Non solo fumetti. Insieme alla fantascienza, nel mondo del cosplay domina proprio il genere fantasy, legato all’ineguagliabile successo delle saghe letterarie e cinematografiche degli 104

ultimi tempi: dai potteriani della prima ora ai romantici tolkieniani, dagli starwarsiani di ferro ai fedelissimi dell’universo supereroistico Marvel. Il cosplay si è diffuso in tutto il mondo negli ultimi anni, prima grazie ai convegni di scifi in Nord America ed Europa, poi grazie ai giochi di ruolo dal vivo, infine anche in Italia grazie al successo di fiere a tema: tra le principali, il Lucca Comics & Games, il Romics e il Comicon di Napoli, che a ogni edizione registrano un numero sempre crescente di partecipanti. Eventi dedicati non solo agli otaku e ai cosplayer (coloro che praticano il cosplay) ma anche ai semplici appassionati di fumetti, videogame, animazione, cinema e cultura giapponese.


Il trono di spade

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Ipertesti seriali Cosplay è una parola giapponese che indica la pratica di indossare un costume che rappresenti un personaggio riconoscibile in un determinato ambito e interpretarne il modo di agire. Deriva dalla contrazione delle parole inglesi costume (‘costume’) e play (‘interpretare’). Otaku è un termine della lingua giapponese che indica il mondo di appassionati di manga, anime e videogiochi. Indica una vera e propria subcultura giapponese e in Occidente è usato anche come sinonimo di geek (persona con una devozione verso qualcosa in un modo che la dispone fuori dal comune).

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Il trono di spade

Manga identifica i fumetti in generale in Giappone, mentre nel resto del mondo è usato per indicare le storie a fumetti giapponesi.

GRV (Gioco di Ruolo dal Vivo, in inglese LARP, Live Action Role-Playing) è un’attività ludica di forma teatrale in cui i partecipanti agiscono in prima persona attraverso un personaggio d’invenzione, rappresentando le situazioni del gioco nella realtà fisica nel modo più verosimile possibile, utilizzando abiti, accessori e scenografie adatte.

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