Urban space 3.0

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URBAN SPACE 3.0 DAR FORMA ALLO SPAZIO COMUNE



POLITECNICO DI TORINO Facoltà di Architettura Corso di Laurea Magistrale in “Architettura Costruzione Città”

Tesi di Laurea

URBAN SPACE 3.0 Dar forma allo spazio comune

Relatore Prof.ssa Michela Barosio Correlatore Prof. ssa Anna Osello Candidati Matteo Emil Valente Carlotta Valentino

Anno Accademico 2015/2016



“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi” Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913


Indice

Introduzione

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La natura dello spazio urbano

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Definizioni e accezioni Questioni Una “palestra” di democrazia

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L’Abaco dello spazio urbano

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Perchè un abaco? Percorso Piazza Margine Soglia Riparo Riferimenti Sezione Natura Urbana L’abaco

40 42 88 136 158 196 218 240 266 294


Verso nuovi strumenti di visualizzazione

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La Progettazione BIM Nuove realtà Realtà Virtuale Realtà Aumentata Confronti tra applicazioni L’Applicazione: AR-media Considerazioni sui nuovi strumenti Realtà Aumentata per l’ architettura

300 302 306 308 310 321 326 329

Ripensare il progetto dello spazio urbano Il progetto corale La ricerca di nuovi equilibri Urban Space 3.0

332 334 340 344

Una proposta di ri-attivazione urbana

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Il quartiere Campidoglio Storia e analisi Piazza Risorgimento: la proposta progettuale

352 354 382

Bibliografia



Abstract

Urban Space 3.0 - Shaping Common Space researches innovative processes in urban design. For a long time top-down processes, lead by planners, architects, institutions, were in an apparently unsolvable contraposition with bottom-up practices, activated directly from citizens. Today innovative digital tools could reduce the gap between the different approaches in urban design through a simultaneous top-down/bottom-up collaboration. This paper propose the augmented reality like a tool that could make it possible, improving the perception of urban spaces and the kind of experience that citizens make of their own city. The introduction of the new ap-

proach, based on the use of virtual and augmented reality, changes the ways in wich urban space can be designed. Therefore the relationship between citizens and urban planners is better thanks to new interactions among people and places. Citizens have the right to take part in urban design because they have daily experience of the urban space and they are the subject of quality of urban life. Proposing and defining a new approach in the project of urban spaces means both to give a central role to community, empower them to design, both to allow the architects receiving so many feedbacks in order to satisfy only real needs.



Introduzione

La riflessione sullo spazio urbano del XXI sec. nasce dalla volontà di capire in che modo la progettazione può avere un ruolo determinante nel disegno della città. Se per la gran parte del secolo scorso l’attenzione si è concentrata sullo studio della città, sulla sua costruzione, sui fenomeni di crescita e urbanizzazione, a partire dagli anni novanta il progetto dello spazio urbano ha assunto un importanza differente poichè capace di innescare processi di rigenerazione urbana complessiva e di aprire nuove prospettive. Se lo spazio urbano, infatti, rapprensenta il luogo della comunità, l’ambiente di possibilità in cui tessere relazioni, scambiare esperienze e idee, allora è importante che un intervento

urbano tenga conto dei bisogni individuali di una società in continuo cambiamento. Questa tesi di laurea parte, quindi, da una riflessione sulle forme urbane e su come queste caratterizzano uno spazio pubblico, indagando al tempo stesso le relazioni che si instaurano tra gli spazi privati, quelli pubblici e le comunità che li vivono. L’obiettivo di questo lavoro di ricerca, infatti, sta proprio nel cercare approcci progettuali innovativi che, nell’ambito di interventi di trasformazione dello spazio della città, possano contemporaneamente coinvolgere le amministrazioni locali, i progettisti e le comunità, grazie ad una serie di strumenti proposti: - la definizione di un abaco dello


spazio urbano - il coinvolgimento dei non esperti - la sperimentazione concreta su un sito di progetto Dopo una breve introduzione sulla natura dello spazio urbano, nelle sue diverse definizioni e accezioni, si è cercato di comporre un abaco di elementi urbani, di archetipi che possano essere strumenti di progetto. Il risultato di questa classificazione è una libreria di tools, composta da otto macrocategorie (Percorso, Piazza, Margine, Soglia, Riparo, Riferimenti, Sezione, Natura Urbana), individuate secondo una personale classificazione e per ognuna delle quali si propongono diverse sottocategorie come specifici elementi urbani.

Ne risulta un insieme di strumenti caratterizzati da principi sintattici, che li mettono in relazione l’uno all’altro, e a cui progettisti e non esperti possono far riferimento per una progettazione urbana consapevole. La trasposizione virtuale dell’abaco dello spazio urbano in nuovi strumenti di visualizzazione, infatti, facilita il coinvolgimento dei cittadini nella partecipazione alla progettazione di uno spazio pubblico da loro vissuto, frequentato, conosciuto. Questa collaborazione tra i vari protagonisti di un intervento urbano diventa un laboratorio a cielo aperto: il progettista riesce a identificare le richieste più importanti per i cittadini; questi ultimi,


Introduzione

invece, riescono ad interagire con il progettista, avvalendosi dell’aiuto dei nuovi strumenti che, sovrapponendosi allo spazio reale, consentono loro la visualizzazione dell’intervento in un nuovo spazio, aumentato. In questo modo nuovi layers informativi virtuali si sovrappongono allo spazio fisico reale, veicolando informazioni, prefigurando nuovi scenari, aumentando la percezione e la consapevolezza di come lo spazio urbano che ci circonda potrebbe essere trasformato. Questo lavoro di ricerca ha cercato un’ applicazione concreta su una parte di città attraverso la proposta di ri-attivazione urbana di Piazza Risorgimento a Torino. La sperimentazione in real context sul sito ha offerto alla comunità

un’ esperienza multisensoriale, nuovi punti di vista e nuovi confronti che hanno generato nuovi modi di relazionarsi con lo spazio, diversi da quelli usuali e quotidiani. Di fronte al continuo aumento della richiesta contemporanea di grandi infrastrutture, spazi per il tempo libero, grandi luoghi della concentrazione del consumo e del commercio, questa tesi vuole suscitare domande e tentare di dare delle risposte a come poter migliorare il progetto urbano, affinchè sia riconosciuto da chi lo vive quotidianamente come luogo per eccellenza d’incontro, di relazione, di aggregazione, poichè “l’errore peggiore che puoi fare è rispondere bene alla domanda sbagliata” (Alejandro Aravena, 2016) .


La na

de

spazio u Nel discorso contemporaneo parlare di spazio pubblico in ambito architettonico può apparire vago poichè i modi in cui può essere declinato sono numerosi e non sempre codificati univocamente. L’intento è quello di indagare la sua natura, di coglierne il senso profondo, a partire dall’analisi dello spazio urbano: l’obiettivo è poter comprendere le città che oggi abitiamo, poi descriverle ed infine offrire indicazioni utili per ri-pensarle e ri-progettarle. Il progetto urbano è pratica antica e, come tale, richiede lunghe ricerche per essere compreso nella sua totalità. Nel corso dei secoli lo spazio urbano si è trasformato innumerevoli volte, cambiando la sua forma e assumendo valori e

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significati diversi, per una serie di ragioni che hanno interessato la città . Ripartire dal passato, dalla storia, dalla conoscenza delle pratiche urbanistico-architettoniche più consolidate, grazie a fondamentali contributi di analisi urbana, come ad esempio gli studi della città antica di Camillo Sitte o quelli sull’immagine della città di Kevin Lynch, è determinante per il disegno di una città o di una sua parte. Questa indagine sullo spazio urbano tout court permette di capire cosa questo è stato in passato, con i suoi significati e valori più antichi, cosa è oggi, a fronte di cambiamenti e trasformazioni ( soprattutto sociali ed economiche) e cosa potrà essere in futuro. Disegnare uno spazio aperto, lad-


atura

ello

urbano dove per questo si intenda “una grande architettura interna nella quale sono strategicamente definite le relazioni tra le cose”1, incastra elementi sì diversi, ma accomunati dall’essere per tutti, pubblici, comuni. Se allora è vero che “il progetto urbano è il processo di modellazione di spazi per le persone”2, si parla di spazi pubblici nel senso di uso, non di regime dei suoli. A seguito di profonde trasformazioni sociali, soprattutto nei rapporti tra la sfera pubblica e quella privata, il progetto dello spazio urbano diventa sempre più articolato. Gli spazi definiti pubblici, nel senso di condivisi da una comunità, assumono diverse accezioni, articolandosi in spazi di diversa

natura : aperti, collettivi, condivisi, semi-privati o semi-pubblici. La complessità del tema ha reso necessario, nei capitoli seguenti, discernere diversi aspetti: • definire lo spazio urbano di uso pubblico in tutte le sue accezioni; • individuare questioni e buone pratiche; • sottolineare la dimensione sociale della pianificazione. La riflessione è, quindi, volta a identificare i diversi modi di abitare lo spazio urbano, inteso come luogo d’ incontro, di aggregazione, di vita collettiva e sociale delle comunità, e a capire come il progetto urbano, in qualità di processo di trasformazione, condiziona il rapporto tra l’uomo e lo spazio circostante.

1 Vittorio Gregotti, Il disegno degli spazi aperti, 1993 2 Matthew Carmona, The Place-shaping Continuum: A Theory of Urban Design Process,2014

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Definizioni e accezioni L’immaginario comune associa, solitamente, l’espressione “spazio pubblico” a tutto ciò che non è “spazio privato”; questa definizione è insufficiente perchè sembra far riferimento esclusivamente al carattere giuridico dello spazio e al suo uso. Quando il filosofo Bobbio ne parla, spiega come questa sia un’ espressione molto più complessa e che nell’età contemporanea definire così lo spazio pubblico significa dividere automaticamente l’intera società in due sfere. Questa idea è probabilmente legata al fatto che, in diversi casi, è stato classificato pubblico ogni spazio vuoto che rimanesse tra gli spazi privati, come fosse un residuo, senza forma, nè nome, nè carattere. Come anticipato nell’introduzione, prima di parlare nello specifico di spazio pubblico, si analizza e studia il concetto di spazio urbano, all’interno del quale si riconoscono spazi che, in qualità di luoghi di incontro per la comunità, si definiscono generalmente pubblici; in realtà la natura di questi spazi è molteplice, le accezioni diverse, i

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significati e i valori numerosi. A supporto di questo ragionamento nel 2013 è stata redatta la Carta dello Spazio Pubblico, in occasione della prima Biennale dello Spazio Pubblico. Uno degli obiettivi primari del documento è stata la definizione di spazio pubblico come “ogni luogo di proprietà pubblica o di uso pubblico accessibile e fruibile a tutti gratuitamente o senza scopi di lucro [...] “ poichè “ciascun spazio pubblico ha proprie caratteristiche spaziali, storiche, ambientali, economiche[...]”3. Il primo aspetto, dunque, che deve contraddistinguerlo è l’essere socialmente condiviso, pensato per essere usato da una serie di persone come luogo di incontro ,di socializzazione, di aggregazione e interazione. La sua valenza è innanzitutto sociale per incentivare lo sviluppo di rapporti tra la civitas e l’urbs, tra la comunità e lo spazio urbano. L’espressione pubblico rimanda, forse, a significati non univoci nel definire ogni spazio urbano che sia luogo della vita collettiva delle comunità ; la complessità sia del-


le metropoli contemporanee, sia delle società che le abitano, hanno prodotto spazi con significati e valori altri. I tipi di spazio urbano di uso pubblico sono numerosi, ognuno con proprie specificità: si parla di aperto, collettivo, condiviso, semi-privato, semi-pubblico. Ognuno di

spazio pubblico si definisce quando viene occupato, in quanto a servizio della comunità, se “nuove forme di occupazione cercano di stabilire nuove forme d’uso a partire da una prospettiva comunitaria”4, quello spazio diventa collettivo. Tale accezione, quindi, si riferisce al

“Una dicotomia per dividere la società in due sfere” Bobbio, 1984

questi termini si riferisce a spazi accomunati sì dall’essere pubblici nel senso di fruibili dalla collettività, ma diversi per proprietà e gestione, non sempre pubbliche. Secondo l’accezione più comune dell’espressione, infatti, uno spazio è pubblico quando “regolato e governato dall’amministrazione pubblica statale, che definisce una serie di forme specifiche di uso [...]”4. Considerando che il valore di uno

modo in cui l’uomo abita lo spazio urbano, inteso come ambiente di possibilità in cui tessere relazioni e scambiare esperienze e idee. Indipendentemente dal fatto che lo spazio in questione sia regolato da un’ amministrazione pubblica o da un privato; si parla di spazi collettivi laddove si promuovano nuove forme d’uso a partire da azioni comunitarie. Prendendo a prestito una definizione degli anni settanta, uno

3 Carta dello Spazio Pubblico, Definizione dello spazio pubblico 4 Giancarlo Mazzanti, Commons, Lotus n°153, 2014

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spazio collettivo di una città è quel “sistema unitario di spazi ed edifici, inglobati nel territorio urbanizzato, che hanno un’incidenza sulla vita collettiva, che vedono un uso comune per larghi strati della popolazione e che costituiscono le sedi e i luoghi della loro esperienza collettiva”5. Parafrasando questa definizione, spazio collettivo non è qualcosa di direttamente riconoscibile, unitario, non ha elementi fisici che lo contraddistinguono,

muova l’interazione e l’avvio di processi di comunicazione tra individui; se così è, allora lo spazio collettivo è già comprensivo in se stesso di quello pubblico, seppur non coincide. Patrizia Gabellini, architetto e urbanista, ha più volte sottolineato come oggi si faccia confusione tra tutti questi termini, usandoli come sinonimi e in maniera intercambiabile; sì, sono simili, ma “l’esame etimologico ci consente di rilevare

“Spazio collettivo è luogo della diversità nella costruzione del mondo attuale ” Lotus 153, Commons, 2014

ma dipende dai suoi attributi d’uso: seppur non è spazio destinato “istituzionalmente” ad uso pubblico, può esserlo. In termini più generali, quando si parla di collettivo, si fa riferimento a tutto ciò che ha a che fare con la produzione sociale, affinchè pro-

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che questi termini si dispongono lungo l’asse della specificazione che va dal generale al particolare (spazio collettivo-spazio pubblico- spazio aperto-centralità) [...] espressivi di differenti punti di vista che rinviano ad altrettante posizioni culturali e che, per questo,


“l’ espressione spazio collettivo rimanda al concetto di cittadino e di comunità locale ” Marco Torres

non si escludono l’un l’altro”6. Questa opinione, rispetto alla precedente, è molto più recente e, come tale, tiene certamente conto delle diverse declinazioni che lo spazio pubblico ha acquisito negli ultimi decenni, soprattutto a seguito di iniziative di appropriazione dello stesso, seppure fa più riferimento al carattere giuridico ed etimologico che a quello d’uso. Al fine di far luce sulla questione, la Carta dello Spazio Pubblico non parla nello specifico di spazi collettivi ma definisce una serie di tipologie di spazio pubblico che potrebbero chiarire meglio le idee: • spazi che hanno esclusivo o prevalente carattere funzionale; • spazi che presuppongono o favoriscono fruizioni individuali • spazi che, per intrecci tra funzione, forma, significato, e soprat-

tutto nel rapporto costruito/non costruito, hanno prevalente ruolo di fattori di aggregazione o di condensazione sociale. Da questo ne deriva che, indipendentemente da come vengano chiamati e classificati, si considerano spazi pubblici tutti quelli che o per sole funzioni,o per fruizione, o per un giusto equilibrio tra i due, promuovono la costruzione di una rete fisica di persone, la convivialità, l’incontro e la libertà di espressione, assumendo un ruolo fondamentale nel determinare l’immagine complessiva della città. Se, quindi, è vero che uno spazio pubblico non può essere definito semplicemente come spazio aperto, d’altro canto l’ aggettivo aperto resta la sua componente fondamentale, includendo un insieme

5 Maurice Cerasi, Lo spazio collettivo della città, Mazzotta, 1976, pag. 75 6 Patrizia Gabellini, Tecniche urbanistiche, Carocci, 2001, pp. 245

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“gli spazi pubblici sono elemento chiave del benessere individuale e sociale, i luoghi della vita collettiva delle comunità” Carta dello Spazio Pubblico, 2011

molto vasto di tipi dello spazio pubblico. Vittorio Gregotti ne “Il disegno degli spazi aperti”, sostiene che per decenni urbanisti e architetti sembrano aver rinunciato a “esercitare un controllo morfologico, cioè di disegno degli interventi a piccola e grande scala degli spazi aperti”7 . Con questo aggettivo Gregotti intende riferirsi in generale a tutto ciò che non è manufatto architettonico costruito, tutto ciò che è vuoto, soffermandosi , però, in particolare su spazi decadenti sul piano morfologico,organizzativo,qualitativo. L’obiettivo di Gregotti è proprio provocare, stimolando la riflessione sia sulla difficoltà nell’identificare le differenze tra uno spazio

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aperto e uno spazio aperto nell’accezione più precisa di pubblico, sia sulla presa di coscienza, da parte di architetti e urbanisti, di doversi mettere in gioco nel progetto del suolo. Questa espressione Gregotti la prende a prestito da Bernardo Secchi, il quale, a sua volta, scrive: “ogni parte di città, soprattutto se osservata nella costituzione del suolo urbano, è fortemente identificata non solo dalla geometria dei suoi tracciati, dalla dimensione delle suddivisioni, dalla gerarchia monumentale e dalle regole di organizzazione spaziale, ma soprattutto dall’articolazione dei differenti spazi collettivi e privati [...]”8. Ancora una volta, quindi, si sottolinea come sia principalmente il vuoto, inteso come spazio aper-


to,pubblico,collettivo, ad ordinare il costruito, e ancor più le relazioni che vi si instaurano. Questi spazi, infatti, non possono essere considerati come negativi del privato e quindi di ciò che ha volume, di ciò che si eleva in altezza perchè “il progetto urbanistico è in gran parte progetto di suolo, sia quando è atto di costruzione tramite una centuriazione, sia quando

tà significa occuparsi, innanzitutto, della dimensione dello spazio pubblico poichè saranno questi vuoti ad avere le potenzialità per costruire una città di qualità. La scala di progetto a cui si fa riferimento, in questo caso, è quella urbana perchè aiuta a comprendere come il disegno della città e quello del territorio non sono separati, non percorrono strade pa-

“Lo spazio aperto ha posto questioni in modo nuovo e generale agli stessi metodi e strumenti del progetto di architettura” Vittorio Gregotti, 1993

è atto fondativo della città, di una sua parte o modificazione dell’esistente”8 ma è ancora più vero che “esso acquisisce senso entro un più generale progetto sociale ed acquista valore attraverso un progetto più specifico di architettura”7. Lavorare per il progetto della cit-

rallele, ma si incrociano, sempre; solo agendo assieme possono interconnettersi e offrire principi insediativi tra loro coerenti. Un progetto unitario e integrato, di suolo per l’appunto, coinvolge tutti gli spazi, edificati e non, aperti e coperti, pubblici e privati, defi-

7 Vittorio Gregotti, Il disegno degli spazi aperti, in “Casabella”, n. 597/598, 1993, pp. 2 8 Bernardo Secchi,Progetto di suolo, in “Casabella”, n. 520/521 ,1986, pp. 19-23

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nendone le relazioni e ordinandoli secondo sequenze e percorsi, così che ognuna delle parti che compone l’insieme più vasto possa contribuire singolarmente a dar vita ad un ambiente urbano di qualità, perchè “sono i caratteri tipologici, le posizioni, i pendii, le conformazioni dei diversi spazi aperti che definiscono i caratteri tipologici dell’edilizia che vi si affaccia, non viceversa”9. Il progetto di architettura svolge sempre un ruolo fondamentale di trasformazione, mai solo spaziale, ma soprattutto sociale, per diffondere sempre più l’idea di una cultura urbana condivisa e aperta; un giusto disegno dello spazio è avvalorato sempre da una prospettiva collettiva e comunitaria.

Nonostante, infatti, l’individualizzazione sia destinata a rimanere tra noi, a seguito di cambiamenti profondi della società nel corso di decenni, la condivisione segna il vivere contemporaneo. Se, allora, lo spazio pubblico è “il luogo caratterizzato da un uso sociale collettivo ove chiunque ha il diritto di dialogare e circolare, [...] lo spazio della comunità o collettività che in quanto tale si distingue dallo spazio privato”10 ,il suo carattere predominante è dato dall’ essere a servizio dei cittadini e dall’ essere utilizzato e riconosciuto: sia se regolato e governato dall’amministrazione pubblica, sia se da enti privati, sia se da metà dei due (con riferimento a spazi semi-pubblici o semi-privati),

“un progetto di suolo definisce in modi concreti e precisi i caratteri tecnici, funzionali e formali dello spazio aperto” Bernardo Secchi, 1989

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“Lo spazio pubblico è per sua natura uno spazio vuoto, ma il suo valore si definisce nel momenti in cui viene occupato, utilizzato, riempito” Giancarlo Mazzanti, 2014

la sfera collettiva è quella che si frappone tra la sfera pubblica e la sfera privata come fattore di trasformazione e di incoraggiamento di nuove forme di uso e comunicazione nell’ambito del lungo processo di costruzione di una città. Quando una comunità utilizza uno spazio urbano, lo occupa, se ne appropria, gli dà quel valore identitario che viene prima di ogni altro; è per questo motivo che, come anche insegna la storia delle città, il suo disegno si deve fondare su ciò che è riconoscibile nel tempo, tracciando per prima cosa la rete dei temi collettivi, ovvero l’espressione concreta di sentimenti comunitari. In questo modo ogni spazio (apparentemente vuoto) si carica di si-

gnificati riconosciuti dalla civitas, acquistando valore sociale, che è la principale ragion d’essere di uno spazio chiamato pubblico, prima ancora di avere una forma e un carattere estetico; sono il numero di relazioni che vi si instaurano a misurare il valore simbolico e identitario di quello spazio. Solo dopo il fattore sociale, altri caratteri di tipo tecnico, funzionale, morfologico, ordinano uno spazio aperto, definendone la tipologia in relazione alla forma, la variabilità in relazione alle attività e alle funzioni, le sequenze e i percorsi a seconda dei sistemi di associazione e opposizione, la gerarchia in base alle regole di organizzazione dello spazio.

9 Bernardo Secchi, Un progetto per l’urbanistica, Einaudi, 1989, pp. 275 10 Giancarlo Mazzanti, Commons, Lotus n°153, 2014, pp.36-38

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Questioni Dopo aver cercato di definire lo spazio pubblico, in tutte le sue accezioni, si vogliono affrontare alcune questioni che lo interessano. La prima riguarda la frammentazione e l’eterogeneità dello spazio urbano delle metropoli contemporanee. Molte città, infatti, a seguito di crescenti fenomeni di urbanizzazione, si sono estese senza limiti, quasi perdendo la loro dimensione e producendo, in molti casi, agglomerati indeterminati; lo spazio urbano diventa sempre più spazio delle infrastrutture e delle architetture isolate. Quando Rem Koolhaas parla di “Città Generica”, sta facendo riferimento proprio a questo: lo spazio urbano assume conformazioni

sempre nuove, i rapporti tra centro e periferia sono capovolti, i legami con la storia persi: quelli che un tempo erano strade,viali, piazze vengono sostituiti da autostrade, infrastrutture e shopping malls. In risposta a questo fenomeno, si cerca una soluzione attraverso l’analisi della storia della città europea. Vittorio Gregotti, a tal proposito, sostiene che “è certamente improponibile un ritorno puramente imitativo al passato nell’organizzazione spaziale urbana, anche se ciò non significa dimenticare la propria storia nei suoi elementi strutturali come terreno per guardare al presente e al futuro “11 . L’obiettivo, dunque, non deve essere la riproduzione del passato poichè questo vorrebbe dire vio-

“la costruzione di un ambiente urbano oggi sembra fatto non di cose e di spazi tra le cose con ordine dotato di senso, ma accumulazione di segni “ Vittorio Gregotti, 2011

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lare il corso del tempo: ricucire i frammenti, restaurarli e ricomporli così com’erano nella città storica, sarebbe del tutto anacronistico. Le tradizioni, le idee che avevano caratterizzato la progettazione della città in tempi antecedenti a quelli contemporanei non possono essere fatti rivivere in un contesto

passato, narrazioni storiche. Le storie, però, si costruiscono nel tempo; spesso si pensa di poter migliorare la qualità di uno spazio urbano inserendovi un qualche oggetto pronto per l’uso, attraverso operazioni di ready made, o calando dall’alto un’architettura di una certa importanza simbolica o

“il livello qualitativo di ogni parte è indipendente dalle relazioni che si stabiliscono tra le parti: è intrinseco alla parte stessa “ Giancarlo De Carlo, 1965

sociale, economico, tecnologico profondamente diverso. Quello che però si può fare, a partire dal ruolo svolto dagli urbanisti e dagli architetti, è guardare alla lunga storia delle città per desumerne idee, concetti da riprendere ed emulare affinché le città che abitiamo siano, al pari di quelle del

dimensionale. Se però, durante il processo progettuale, non si tiene conto del genius loci, del rapporto con il contesto, delle gerarchie e delle regole compositive che legano quello spazio con ciò che è attorno, il risultato potrebbe portare a una svalutazione dell’opera stessa e a non dare alcun valore

11 Vittorio Gregotti, Architettura e postmetropoli, Einaudi, 2011, pp. 81

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“la città non è una successione di comparti autonomi [...]” Marco Romano, 2004

aggiunto allo spazio su cui si è intervenuti. Parlare di spazio pubblico significa, quindi, concepirlo come spazio dotato di forma previa e precisa, facendo in modo che sia questa stessa forma a guidare la disposizione di tutto il resto, non viceversa. La seconda questione, infatti, su cui si vuole riflettere è quella delle regole compositive che ordinano il processo progettuale di uno spazio urbano. Se è vero che la forma è regolatrice e ordinatrice dello spazio che si sta progettando e di quelli che si relazionano ad esso nell’intorno, allora il risultato non può essere (almeno non in toto) il prodotto di un estro creativo, come se si trat-

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tasse di un’opera d’arte, perchè non sarà un’ oggetto isolato dal contesto e indipendente dalla storia del luogo e della città. Tuttavia una ricognizione tipologica e compositiva è fondamentale, proprio come per il costruito, perchè solo se la forma di uno spazio si rifà ad un tipo formale e consolidato, allora la sua comprensione, il suo riconoscimento da parte di chi lo abita e lo frequenta è immediata, sulla base di caratteri identitari. I fratelli Krier, nella loro lunga opera di ordine, analisi e catalogazione delle forme urbane delle città storiche europee, cercano proprio le potenzialità, i concetti chiave da cui partire per una buona progettazione dello spazio urbano, affinchè


si possa fondare su caratteri morfologici e non solo funzionali. La loro critica si rivolge al Movimento Moderno e all’ aver destrutturato lo spazio urbano, riducendo quello pubblico a un residuo tra gli edifici. Nelle città contemporanee, sempre più metropolizzate e policentriche, si contrappongono i centri storici urbani, densi e compatti, e i nuovi nodi centrali degli amplia-

tati, isolati, indipendenti l’uno dall’altro, seppur facilmente raggiungibili dalle reti infrastrutturali stradali. La sostanziale differenza tra le due realtà delle città sta nell’aver perso, in uno dei due casi “la continuità, la prossimità degli elementi che costituiscono la città, la loro stretta interconnessione, la loro intrinseca complementarietà”12.

“lo spazio pubblico non è più leggibile come il sistema che all’interno della città mette in relazione le singole parti tra di esse e con il tutto, bensì come somma di interni tout court “ Paolo Caputo, 1999 menti urbani più recenti. I primi diventano, con il passare del tempo, carichi di forti valori simbolici, identitari, di memoria collettiva, perchè esito di stratificazioni storiche secolari; i secondi, invece, più recenti, sono visti come privi di radici storiche, frammen-

La terza questione, dunque, riguarda proprio i motivi per i quali il progetto della città, i piani urbanistici, le politiche urbane producano frammentarietà ed eterogeneità. Tutto questo, infatti, dipende da una serie di fattori, di diversa natura, che hanno radicalmente tra-

12 Elio Piroddi, Le regole della ricomposizione urbana, FrancoAngeli, 2000, pp. 14

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sformato le città negli ultimi decenni: ragioni economiche, come la privatizzazione di tanti spazi pubblici o l’aumento di spazi destinati alla mobilità; ragioni sociali, come l’uso pubblico di spazi privati (shopping malls,parchi giochi,...), il diverso utilizzo del tempo libero dei cittadini contemporanei rispetto a quelli del passato, i nuovi metodi di socializzazione che fanno sempre più uso di spazi digitali anziché fisici; ragioni tecniche, come l’applicazione di norme,parametri , strumenti urbanistici. Questi ultimi, inizialmente, sono stati messi a punto come risposta ad una insoddisfazione diffusa per la cattiva qualità di ciò che si era cominciato a produrre a partire dal secondo dopoguerra, quando si era

puntato sul massimo guadagno con i minimi mezzi. Tali strumenti sarebbero dovuti servire a garantire spazi per l’aggregazione sociale, per il tempo libero, per i servizi; nella realtà la loro applicazione si è trasformata, molte volte, in una standardizzazione dei progetti per la città e nella produzione di isole edilizie, periferiche e sconnesse rispetto a tutto il resto. Questo strumento normativo è stato utile in certi casi, ma in troppo altri usato impropriamente, interrompendo nuove ricerche sulla forma della città e dei suoi componenti, dando vita, invece, a un sistema di spazi pubblici distribuiti su tutto il territorio, uno per ogni quartiere urbano, senza alcuna interconnessione: parchi, piazze,

“la città è concepita come un aggregato di quartieri riuniti in gruppi o in gruppi di gruppi secondo le gerarchie delle funzioni” Leonardo Benevolo, 1960

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“lo zoning si è trasformato da strumento a modello: la città che con esso si postula diventa un obiettivo, un fine e non un mezzo” Franco Mancuso, 1978

strade, giardini pubblici, proliferano numerosi come luoghi di incontro tra gli abitanti di quartiere, spesso però privi di quei caratteri morfologici, tipologici che li contraddistinguono da secoli. Ne deriva un agglomerato, una composizione di comparti autonomi, non comunicanti, non in rete l’uno con l’altro. A tutto questo si aggiunge una quarta questione: la perdita del valore sociale dello spazio urbano. L’ eccessiva privatizzazione degli spazi, infatti, ha portato al prevalere di iniziative individuali che,spesso, sono finalizzate al solo riscontro economico, con la diretta conseguenza che ogni intervento è puntuale, indipendente, e difficil-

mente si interconnette con gli altri. In questo modo le relazioni tra gli spazi tradizionali della città e i loro usi sono sovvertite : gli spazi aperti sono diventati, in molti casi, spazi delle infrastrutture ad uso individuale, mentre quelli privati sono diventati luoghi pubblici che accolgono quelle funzioni urbane tradizionalmente svolte all’aperto. Il risultato di tutto questo sono spazi controllati da logiche individualiste, non più collettive; di conseguenza non solo si perde l’ordine spaziale urbano, ma soprattutto quel valore sociale che dovrebbe caratterizzare uno spazio pubblico come luogo dove tessere relazioni. Lo spazio pubblico diventa, quindi, una soluzione spaziale bana-

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le e priva di identità, il “servizio” contrapposto alle abitazioni; le gerarchie tra i vari tessuti urbani diventano solo funzionali, tutto è suddiviso in unità specializzate, ognuna con la propria funzione e le proprie regole. Anche la legislazione italiana, già molto prima dell’affermazione degli standard urbanistici del 1967, considera gli spazi pubblici all’interno del piano regolatore,ma come elementi marginali, senza

verso il quale garantire “il minimo livello di civiltà urbana”14, attraverso gli ideali di città razionalisti che separano le funzioni urbane per rispondere alla crescente espansione delle città. Anche quando, però, le esigenze sono cambiate, le domanda di abitazione e gli ampliamenti urbani si sono ridotti, questi strumenti hanno cominciato ad essere assunti come regole di progettazione urbana. Ne deriva una configurazione de-

“Il vuoto non è semplicemente la controparte inevitabile del costruito ma è soprattutto la dimensione dello spazio pubblico ” Bernardo Secchi

qualità precise, definendoli come “aree destinate a formare spazi di uso pubblico, ad opere e impianti di interesse generale”13. Se però inizialmente questo rappresentava un primo mezzo attra-

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gli spazi pubblici della città come una mera applicazione di standard urbanistici, dunque frammentata, discontinua, in cui il rapporto tra pieni e vuoti non è alternato, ma il primo prevale sul secondo, il qua-


“quando osservi uno spazio capisci com’è utilizzato, piuttosto che come supponi che sia utilizzato ” Lotus 153, Commons, 2014 le, invece, altro non è che interstizio e residuo tra i pieni. Così come agli inizi dell’età moderna la città medievale è stata modificata da quella rinascimentale, la cui struttura urbana è stata poi stravolta a seguito della rivoluzione industriale, nell’età contemporanea si rimette in discussione di nuovo l’idea di città e il relativo disegno: di fronte a un sistema diffuso, frammentato, questo assemblaggio di pezzi diversi tra loro definisce non più una città, bensì una metropoli, caratterizzata dall’essere eterogenea, senza limiti e confini, estranea ai modelli tramandati dalla storia. Il termine città, infatti, rimanda per lo più a spazi circoscritti, con specifiche strutture spaziali, e in cui è l’identità del luogo a definire pratiche e comportamenti; nelle metropoli, invece, il sistema spaziale non coincide necessariamente con

quello sociale ed economico: ai centri storici, visti come poli culturali e commerciali all’aperto, si contrappongono periferie metropolitane ed extra-metropolitane in cui gli spazi pubblici tradizionali sono spesso assenti, e sostituiti dai grandi contenitori poli-funzionali o da spazi aperti senza precisa identità. Gli spazi pubblici non possono, però, funzionare in maniera isolata, poichè sono sistemi complessi, continui, gerarchizzati e sequenziali: progettare il suolo, assieme al vuoto, significa definire un’articolazione tra spazi composta da elementi che interagiscono e si interconnettono tra loro, secondo certi caratteri che possano renderli facilmente riconoscibili e che possano essere catalizzatori di nuove relazioni sia tra gli individui, sia tra parti diverse della stessa città/metropoli.

13 Luigi Falco, Gli standard urbanistici, Edizioni delle Autonomie, 1978, pp. 157 14 Id., Gli standard urbanistici, ibid., pp. 162

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Una “palestra” di democrazia Il tema dello spazio pubblico detiene una potenzialità, tra tutte, senza pari, la dimensione sociale della pianificazione, la quale ha assunto negli ultimi decenni, più che mai, un ruolo determinante nell’ambito del progetto e del disegno della città. A dimostrazione dell’attualità del tema, nel 2011 è nata la Biennale dello Spazio Pubblico, che conta ad oggi tre edizioni, proprio con l’obiettivo di “recuperare il senso del bene comune e dei valori di cittadinanza senza i quali la città, intesa come organismo sociale, non sopravvive alle forti trasformazioni indotte dai processi economici [...] è tempo che l’urbanistica torni a parlare a tutti un linguaggio chiaro e comprensibile”15 . Nell’ambito della nascita della Biennale è stata redatta la “Carta dello spazio pubblico” , per l’esigenza di sostenere la volontà sia di cittadini che di pubbliche amministrazioni lungimiranti nel “fare dello spazio pubblico la bandiera della civiltà urbana”16. I termini spazio pubblico e bene comune nascono decisamente molto prima della democrazia, ma

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è dalla sua nascita che assumono significati e accezioni diverse; una delle questioni che subito si presenta parlando di democrazia e di comunità, in relazione a uno spazio “comune”, di tutti, è capire come impedire che i diritti vengano calpestati sia da interessi privati che dalle pressioni del mercato. Dopo aver fatto luce circa i molteplici significati dell’espressione spazio pubblico e cercato di sviscerare certe questioni che lo riguardano, si vuole tentare di far lo stesso con l’espressione bene comune. Per rimanere in materia di democrazia, l’articolo 1 della Costituzione dice: <<L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione>>. Parafrasando, si sostiene l’esistenza di un popolo o comunità sovrana rispetto a ciò che è pubblico ( quindi anche lo spazio), così come nell’articolo 2 si rimarca l’importanza del bene comune, inteso come “benessere equamente distribuito tra la collettività e il singolo” o come nell’articolo 9 dove, parlando di tu-


tela del patrimonio storico e artistico, si fa riferimento alla costruzione di un patrimonio culturale che si componga di beni materiali (privati e/o pubblici) comuni, come strumenti su cui far leva per accrescere la democrazia, promuovere l’uguaglianza tra cittadini e lo svi-

sopravvivenza del corpo e il buon funzionamento della mente e dello spirito”17, quindi acqua, terra, mare e tutto ciò nutre il corpo, oltre poi ai saperi locali che consentono l’uso e la produzione di quei beni. Non si parla, dunque, solo di risorse naturali ma anche di tutte le ca-

“lo spazio pubblico è palestra di democrazia, occasione per creare e mantenere nel tempo il sentimento di cittadinanza e di consapevolezza del ruolo che uno ha e può avere ” Carta dello Spazio Pubblico, Art. 17, 2011 luppo della cultura. I beni comuni, infatti, non sono proprietà di nessuno e per questo diventano argomento centrale di discussione pubblica. Con questa espressione solitamente si indica ciò che “ha implicazioni profonde con gli elementi primari della vita, e cioè con la

pacità di usarle e dei diritti di una comunità a goderne. Da questo ne consegue che le relazioni tra le persone sono fondamentali perchè è proprio ciò che si instaura tra gli individui a definire un bene comune, prima di qualunque altro aspetto economico o materiale. Ancora una volta si vuo-

15 Biennale dello Spazio Pubblico, 2011 16 Carta dello Spazio Pubblico, 2011 17 Paolo Inghilleri, Commons, in Lotus n°153, 2014, pp. 44-49

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le ribadire quanto gli aspetti relazionali, sociali, psicologici, siano predominanti; ne consegue che i beni comuni costituiscono una vera e propria forma di capitale sociale, cioè un sistema di relazioni attraverso cui condividere valori e promuovere azioni cooperative. L’architettura, collocandosi a cavallo tra la sfera pubblica e quella privata, come i beni comuni primari, deve svolgere la sua parte, non solo attraverso la realizzazione di

ra urbana aperta e condivisa. Ripartire dallo spazio pubblico significa riscoprire uno spazio che è sì vuoto, ma il cui significato viene costantemente definito dalla prospettiva collettiva e comunitaria, dalla sua intensità d’uso: lavorare secondo legami orizzontali e democratici, innescare processi progettuali fondati sulla stretta collaborazione tra le comunità e i progettisti, significa definire un disegno dello spazio urbano che sia

“the desire to create a common space can become the means by which a place is transformed, and a given situation radically changed ” Anonimo

edifici in zone degradate delle città, ma innescando nuovi meccanismi di inclusione sociale tramite spazi capaci di promuovere nuove forme d’uso nella città, che possano diffondere l’idea di una cultu-

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l’esito di esigenze collettive . In questa accezione è più corretto parlare di spazio collettivo, con riferimento a “tutto ciò che ha a che fare con la produzione sociale e che è necessario per l’interazione


“doing things with public space ” Lotus 153, Commons, 2004

tra individui e per la produzione di processi come la conoscenza, il linguaggio, i codici comunicativi, gli affetti, l’informazione e la vita. La condizione del collettivo non presuppone la separazione tra umano e non umano [...]”18. Il valore di un buon progetto, dunque, che riguardi un’architettura, uno spazio o una infrastruttura, non risiede solo in se stesso, ma dipende da ciò che quello stesso progetto è in grado di attivare; parlando di spazio pubblico, in particolare, se il suo disegno stimola nuove relazioni tra lo spazio e i fruitori, allora si può definire spazio democratico. In tutta Europa negli ultimi anni si sta investendo molto sullo spazio pubblico e sulle diverse modalità di occupazione del suolo, inteso come campo aperto mutevole e transitorio in cui attivare usi e azioni, contempora-

neamente, per fare cose. L’abitare contemporaneo è, poi, sempre più segnato da associazionismi di vario tipo, azioni collettive e comunanze, come nuovi legami orizzontali che si sviluppano sempre più numerosi su uno sfondo individualista per ragioni di ordine economico, relazionale, simbolico, culturale, religioso; è come se la condivisione potesse mettere in campo diverse nozioni di urbanità e di spazio pubblico, visti come “elementi chiave del benessere individuale e sociale, i luoghi della vita collettiva delle comunità, espressione della diversità del loro comune patrimonio collettivo e naturale e fondamento della loro identità”19, spazi in cui ci si identifica e per i quali si è disposti migliorarne la qualità. Un luogo, per essere trasformato radicalmente, deve fondarsi su un desiderio e una volontà di creare

18 Michael Hardt, Antonio Negri, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, 2010 19 Carta dello Spazio pubblico, Art.7, 2011

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uno spazio utilizzabile da tutti, comune per l’appunto. Roland Bathes nella quattordicesima lezione del corso di semiologia letteraria al College de France nel 1977 pone la domanda “comment vivre ensemble?”, chiedendosi se abbia senso parlare di comunità e che cosa voglia dire esattamente stare tra di noi. Molte sono le opinioni a questo riguardo e tante le discussioni pubbliche che si sono alternate a partire da quel momento, fino ad oggi; in stretto riferimento a questo, il saggio scritto da Cristina Bianchetti e Angelo Sampieri per la rivista “Il Mulino” nel 2014 cerca di dare delle risposte. I due urbanisti parlano di territori della condivisione, ovvero di quelli spazi in cui la comunità mette in atto “azioni collettive non necessariamente durature, comunanze poco o molto intenzionate che segnano l’abitare contemporaneo”20

“comment vivre ensemble? ” Roland Bathes, 1977

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e nei quali “[...]si condividono valori non privi di contraddizioni: ecologia, frugalità, reciprocità, vicinanza, solidarietà. Si condividono progetti: alleanze, inquietudini, paure, memorie. Si condividono soprattutto antagonisti: le logiche omologanti e funzionali del mercato, la pianificazione del territorio e le istituzioni [...]”21. La loro argomentazione si rivolge per lo più a spazi privati ad uso pubblico temporaneo o controllato o a spazi completamente privati ma condivisi da una ristretta comunità, esulando quindi dal focus di questa dissertazione; un elemento comune, però, risiede nel prendere atto del fatto che si promuovono azioni tese a riscrivere il rapporto tra il pubblico e il privato attraverso il sociale, costruendo legami con chi è prossimo. Questo genere di azioni aumentano quotidianamente nelle città contemporanee. Fino ad un certo


“cosa vuol dire precisamente stare tra noi? cosa si condivide nei territori della condivisione?” Cristina Bianchetti, Angelo Sampieri, 2014

momento storico uno spazio di uso pubblico (nella maggioranza dei casi) veniva gestito e manutenuto dalle pubbliche amministrazioni, comportando spesso una disattivazione dei cittadini e un certo disinteresse dal dovere civico. Per una serie di fattori economici e sociali e delle conseguenti trasformazioni che hanno interessato le città, si sono affermati spazi pubblici di diverse nature, come si è visto nel capitolo precedente, che li hanno spesso snaturati, svalorizzati, facendo perdere loro i vecchi caratteri e portandoli ad acquisirne altri, quasi esclusivamente di tipo funzionale. Oggi, infatti, la mercificazione delle socialità urbane attraverso la proliferazione di shopping malls e altri contenitori per il tempo libero,lo svago,lo sport, utilizzazioni improprie degli

spazi, come le trasformazioni di piazze in parcheggi, abbandoni e degradi, e le scarse risorse, fanno da ostacolo alla creazione e fruizione di spazi pubblici di qualità. Di conseguenza la coesione sociale è sempre più debole e la mancanza di rispetto nei confronti di questi beni da parte dei cittadini all’ordine del giorno; adottare politiche che incoraggino le comunità a utilizzarli in maniera civile, rispettosa e responsabile è fondamentale per la sopravvivenza di quelli esistenti e come condizione propedeutica alla creazione di nuovi. Per fortuna queste politiche pubbliche che incentivano l’attivazione dei cittadini, in svariate forme, sono sempre più in crescita, così da coniugare le disponibilità e le esigenze del singolo al benessere della collettività.

20 Cristina Bianchetti, Angelo Sampieri, Spazi della condivisione, in Mulino, n°4, 2014, pp. 594 21 Id., Spazi della condivisione, ibid., pp. 597

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“Il diritto a godere di spazi pubblici adeguati comporta il dovere di concorrere a questo obiettivo attraverso l’assunzione di comportamenti responsabili a livello individuale collettivo fino al coinvolgimento in iniziative di cittadinanza attiva” Carta dello spazio pubblico, 2011 Riuscire a vedere delle potenzialità in uno spazio apparentemente vuoto non è cosa semplice, ma sono proprio la prospettiva comune, la partecipazione cittadina e l’iniziativa a permettere la messa in atto di nuove strategie progettuali. È cittadino attivo chi sceglie di trasformare le parole in fatti, cercando sinergia con altre persone e altre realtà: l’informazione, l’educazione, la conoscenza, accompagnate dall’iniziativa e dalla sperimentazione di soluzioni innovative, sono tutte risorse da valorizzare e stimolare per rendere le

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città luoghi più sostenibili, fatti di spazi privati e di spazi condivisi, cioè messi a disposizione di tutti i membri di una comunità. Non bisogna dimenticare il valore educativo e civilizzatore di una città, densa e complessa, stratificata, in cui si sono accumulate memorie numerosissime: lo spazio urbano è possibilità di incontro e scambio, di educazione e apprendimento in materia di cultura e civiltà. Considerare, dunque, lo spazio pubblico come una “palestra di democrazia”22 serve a riconoscerlo anzitutto come il luogo dove i di-


ritti di cittadinanza sono garantiti, potendovi accedere in piena libertà nel rispetto della convivenza civile, e dove sviluppare quel sentimento di appartenenza ad un ambiente che si vive e quella consapevolezza di ciò che ognuno di noi ha. Progettare una via, una piazza, un parco, un giardino, un marciapiede,

ferimento a una delle ipotesi chiave sostenute dall’autore secondo cui “l’architettura a zero cubatura può contribuire a restituire figuratività alla società surmoderna”23. Secondo questa ipotesi, lo spazio pubblico contemporaneo ha una potenzialità senza pari: l’essere in grado di ridare carattere a una

“è lo spazio che condiziona l’educazione e la cultura quotidiana, cioè la “città” nel senso più convenzionale e banale del termine“ Antonello Boschi, Alberto Bonacchi, 1999 è molto più che costruire un’architettura (intesa come volume di peso e di massa proprio), secondo un linguaggio contemporaneo, come un centro sportivo, una scuola, un museo. Cristina Bianchetti, nella recensione del libro di C. Aymonino e V.P. Fosco “Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero”, fa ri-

società che, troppo impegnata a vivere nel triplo eccesso24 (di tempo, di spazio, di ego) valorizza la propria individualità a scapito della vita collettiva. Lo spazio urbano può essere il luogo da cui ripartire per fare esperienza, in modo democratico, di cultura e civiltà.

22 Elio Piroddi, Le regole della ricomposizione urbana, FrancoAngeli, 2000, pp. 14 23 Cristina Bianchetti, Un’architettura sfumata, www. domusweb.it, 2006 24 Marc Augè, Surmodernità, 1992

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<< Ciò che lascia stupiti e interdetti in molte città europee del ventesimo secolo è l’assenza di un’esperienza significativa e sistematica dello spazio aperto. Enormemente dilatatosi, esso sembra essersi polverizzato in un insieme episodico di frammenti tra loro collegati da spazi privi di un chiaro statuto>> Bernardo Secchi, Progetto di suolo

A partire da un’analisi teorica del concetto di spazio urbano, con un attenzione più nello specifico rivolta a quello di spazio pubblico, studiato secondo le sue diverse declinazioni e accezioni, si vogliono mettere a fuoco la grammatica e le relative regole di progettazione di uno spazio urbano. Questa ricerca vuole provare a definire un abaco degli elementi che lo compongono e caratterizzano per poter: • leggere lo spazio urbano • fornire possibili nuovi strumenti utili al processo progettuale • facilitare la partecipazione dei non esperti Gli elementi che compongono questo abaco sono il risultato di un processo di studio e osservazione

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Perc

un

aba dello spazio della città; sulla base di questa ricerca sono state individuate otto macro-categorie : • Percorso • Piazza • Margine • Soglia • Riparo • Riferimenti • Sezione • Natura Urbana Il criterio secondo cui sono state selezionate si basa sia sulla letteratura che tratta il tema dello spazio urbano contemporaneo, sia sull’analisi di come quest’ ultimo si è configurato nel tempo. La ricerca si è basata per lo più sulla città europea; tuttavia, ciò non presuppone l’ inapplicabilità dei risultati di questa analisi a città di


chè

<< Lo spazio pubblico ha modificato il suo statuto estetico, geografico, semantico […] ai grandi contenitori polifunzionali si contrappongono degli abitacoli per solitudini all’aperto […]>>

n

aco ? altri continenti, purché di opportuni adattamenti che tengano conto delle diverse specificità locali. Ognuna delle macro-categorie sottende una serie di elementi urbani, raccolti sulla base di fattori morfologici, compositivi, ambientali, sociali, e spesso diversi tra loro in termini di scala, di misure e dimensioni (sia all’interno della stessa macro-categoria, sia nel confronto tra l’una e l’altra). Oltre all’individuazione, alla catalogazione e all’analisi degli elementi che compongono lo spazio urbano, la tesi presenta per ognuno esempi che spaziano dall’età antica a quella contemporanea. Questo è utile sia per metterne in luce l’attualità e l’efficacia sia per facilitare il processo di analisi e

Aldo Aymonino, Più spazio meno volume: un racconto in movimento

lettura degli spazi urbani grazie a una conoscenza dei caratteri generali degli elementi che li compongono. L’obiettivo è, quindi, quello di definire un abaco di elementi, di archetipi che, pur senza un linguaggio architettonico specifico, possano essere strumenti di progetto dello spazio urbano da cui partire nell’ambito di un disegno della città o di una sua parte. Il risultato di questa classificazione degli elementi dello spazio urbano è una libreria di tools, strumenti caratterizzati da principi sintattici, che li mettono in relazione l’uno all’altro, e a cui progettisti e non esperti possono far riferimento per una progettazione urbana consapevole.

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L’ Ab

de

Spazio U

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PERCORSO

PIAZZA

Strada Principale Strada Monumentale Strada Trionfale Boulevard Passerella Percorso in trincea Rampa Galleria

Piazza Principale Piazza Monumentale Piazza del Mercato Square Slargo Piazza Lineare Piazza Palcoscenico

MARGINE

SOGLIA

Belvedere Waterfront Argine

Varco Recinto Muro perimetrale Cortina edilizia Marciapiede Gradonata


baco

ello

Urbano RIPARO

RIFERIMENTI

Tettoia Padiglione Portico

Monumento Edificio Monumentale Memoriale

SEZIONE

NATURA URBANA

Sottopasso Servizi Parcheggio interrato Piazza ipogea

Parco urbano Parco lineare Giardino Orto urbano

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Perco

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Strada Principale

Strada Monumentale

Strada Trionfale

Boulevard


orso

Passerella

Rampa

Percorso in trincea

Galleria

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“[...] sono percorsi quelli diagonali o rettilinei, organizzati secondo sequenze e regole grammaticali, lungo i quali si succedono una serie di temi collettivi [...]“ Costruire la città, Marco Romano

“[...] E’ movimento, è lo spazio che può essere modellato in funzione della velocità [...] “ Isotta Cortesi, Il progetto del vuoto La prima macrocategoria di analisi proposta è il PERCORSO, in quanto oggetto fisico percettibile per eccellenza, luogo di transizione, passaggio, connessione. I percorsi possono essere distinti in diverse sottocategorie per caratteristiche formali (facciate edilizie), dimensionali (ampiezza delle strade, lunghezza degli isolati), materiche (selezione di materiali durevoli, permeabili, autoctoni), per ruolo gerarchico nella città (riferimenti visivi, punti nodali, edifici simbolici), per accessibilità, per importanza funzionale. Tutte le sottocategorie del percorso, per quanto diverse possano essere l’una dall’ altra, hanno alcune caratteristiche comuni quali: • continuità

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• direzionalità • punti di origine e destinazione I percorsi, infatti, di qualunque tipo essi siano, connettono e strutturano il tessuto urbano, per esempio definendo una certa sequenza di riferimenti noti lungo un tratto di strada o facendo in modo che gli incroci di percorsi diversi siano punti vitali di decisione. Il sistema complessivo che risulta dalla scansione di un largo numero di percorsi costituisce, quindi, una sequenza di elementi uguali come contenitori ma diversi per contenuti: tutti sono canali lungo i quali la gente si muove per attraversare la città, motivo per il quale nell’immaginario comune sono “[...] gli elementi urbani predominanti [...]“ 1 , ma sono questi gli stessi canali


“ [...] Canale lungo il quale l’osservatore si muove abitualmente,occasionalmente o potenzialmente [...] elemento urbano predominante lungo il quale si concentrano usi ed attività, distinti tra loro per qualità spaziali [...]” Kevin Lynch, L’immagine della città

lungo i quali “[...] si succedono una serie di temi collettivi [...]” 2. Questi ultimi, definiti da Marco Romano come <<l’ espressione di un sentimento che crea un tema esteticamente rilevante>>, sono diversi per ogni sottocategoria dei percorsi: se si parla di strada principale o strada monumentale è la composizione delle facciate che vi si affacciano a dargli un dato carattere; se si parla di strada trionfale l’elemento qualificante è dato dai punti di origine e destinazione; se ci si riferisce a un boulevard è la continuità di sequenze di percorsi alberati a definirlo tale; se, ancora, si considerano rampe, passerelle, percorsi in trincea, sono le quote e i dislivelli a differenziarli; se, invece, si parla di gallerie ci si riferisce

a percorsi coperti e al riparo, con caratteristiche altre. A seconda del tipo di percorso lungo il quale ci si sposta, si percepisce la differenza tra il muoversi lungo una strada trionfale, i cui punti di origine e di destinazione sono chiari e conosciuti, rispetto al percorrerne una monumentale caratterizzata dalla presenza di un’architettura unificata. In questo senso PERCORSO è sì “[...]spazio di movimento e di esperienza, ma facente parte di una inesauribile varietà di situazioni spaziali [...]” 3 ; tutti sono, nel complesso, tratti di strada nei quali ci si sposta, ma ognuno, nello specifico, è diverso rispetto agli altri per una serie di caratteristiche e per i significati che vengono loro riconosciuti.

1 Kevin Lynch, L’immagine della città, Marsilio Editore, 1969, pp. 45 2 Marco Romano, Costruire le città, Skira , 2004, pp. 24 3 Rob Krier, Lo spazio della città, Clup Milano, 1975, pp. 21

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“[...] oltre le mura e la chiesa nasce un altro tema collettivo, la strada principale, ricca di botteghe e vivacità,luogo di frequentazione popolare, larga abbastanza da ospitare botteghe e mercato [...] queste strade corrispondono al tema sociale della ricchezza delle nazioni [...]“

Stra

Princi

Marco Romano, Costruire le città

Il primo elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è la strada principale , poichè è certamente il primo tipo di strada ad essersi affermato tra tutti. Fin dall’età classica la strada rappresenta lo spazio generato dall’ espansione in superficie di quello occupato dalle case, una tra le prime forme di spazio urbano di uso pubblico; laddove la strada si allargava o si incrociava con altre si trasformava in piazza. Dalle civiltà greche a quelle romane, da quelle medievali a quelle tardorinascimentali, fino alla civiltà moderna, la vita pubblica si svolge principalmente all’aperto, nelle strade e nelle piazze principalmente.

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In età greca, nelle polis, tutto il sistema urbano, organizzato secondo diversi tipi di percorsi, si costruisce in funzione dell’agorà, fulcro della vita pubblica, politica e religiosa. Più tardi, in età romana, l’assetto urbanistico è di centrale importanza: tutte le città da loro fondate sono state centuriate, suddividendo il territorio attraverso una griglia geometrica e regolare, all’interno della quale si riconoscono un sistema viario gerarchizzato e possenti mura, sia per la difesa, sia come delimitazione tra città e contado. È così che nasce l’asse principale ad impianto rettilineo che collega il centro urbano con le principali porte di ingresso alla città; tale


ada

ipale

“[...] percorso con origini chiare e conosciute, di spiccata identità, con attributi spaziali di ampiezza da cui ne deriva l’importanza [...] “ Kevin Lynch, L’immagine della città

strada detta via recta, “ [...] deve consentire il passaggio di due carri affiancati ed è, per definizione, la via pubblica per eccellenza [...] “4. Durante l’età medievale, le città subiscono grandi trasformazioni, motivo per il quale le viabilità interne sono molto variabili a seconda delle realtà urbane in cui si sviluppano e delle funzioni che devono svolgere. A questo proposito è proprio una funzione, quella commerciale, a determinare una svolta significativa: le attività commerciali, fino a quel momento per lo più relegate negli spazi del mercato al di fuori delle mura, si spostano dentro la città. Man mano, infatti, che il processo di consolidamento del comune e

della civitas avanzano, vengono a stemperarsi le distinzioni spaziali e, come diretta conseguenza, si afferma ufficialmente la categoria della strada principale. Questa rappresenta il luogo per eccellenza dello scambio di merci e di relazioni sociali, prima ancora dello sviluppo di piazze dedicate alle stesse attività. Questo elemento urbano ha dei connotati chiari e definiti: si tratta di un percorso più largo e ampio rispetto agli altri, su cui si affacciano edifici tra i due e i cinque piani fuori terra, porticati al piano terreno (nella maggior parte dei casi) sia per poter ospitare le botteghe, sia per offrire un percorso coperto e separato da quello di circolazione carrabile, sia per incentivare gli

4 E. Guidoni, Storia dell’urbanistica, Il Medioevo. Secoli VI-XII, Laterza, 2005, pp. 80

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Regent Street John Nash Londra

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scambi. Sono principali le strade che raccolgono le botteghe, inizialmente di qualsiasi genere, pian piano nei secoli quelle elitarie. Alle strade principali, poi, si affiancano tanti altri percorsi secondari di dimensioni e qualità minori. Da quel momento in avanti, infatti, i progetti di abbellimento cittadino sono sempre più volti a ostentare la ricchezza della nazione, a dar sfoggio dell’appartenenza a un’Europa non solo cementata dalla Chiesa e dalla pax cristiana, ma soprattutto ricca, fatta di cir-

colazione delle merci e di persone, di mobilità sociale. Secondo Marco Romano <<la bellezza delle città sta nella sequenza di temi collettivi sedimentati nei secoli>>, dove per tema collettivo egli intende <<l’ espressione di un sentimento che crea un tema esteticamente rilevante>>: a questo proposito “[...] queste strade corrispondono al tema sociale della ricchezza delle nazioni, lì dove si affollano i negozi le cui merci rispecchiano la varietà del mercato universale, provenienti da paesi


Stationsstraat

stranieri o dalla lontana capitale o da eccelsi laboratori locali [...] ” 5. Nelle città esistenti questo tracciato interno non è sempre compatibile con gli equilibri politici locali, per cui le dimensioni sono molto variabili; laddove si è potuto costruirle ex novo sono larghe abbastanza da ospitare botteghe e mercato. Una delle strade principali europee più note è certamente Regent Street a Londra, una strada ottocentesca, progettata da John Nash nell’ambito di un più vasto pro-

getto di ridisegno urbano: l’idea era quella di produrre un effetto di grandiosità, per fare di questo percorso la via commerciale più esclusiva, concentrandovi i più grandi magazzini. Allo stesso modo è stata riprogettata recentemente Stationsstraat, un’asse commerciale storico di una cittadina belga che collega il Grote Markt alla stazione ferroviaria. In questo caso si sceglie di ridisegnare una strada da sempre principale, attraverso l’apertura di nuove attività ai piani terra degli

Sweco Belgium Sint-Niklaas

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Gran Via Madrid

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Via Garibaldi Torino


edifici e la definizione di una passeggiata commerciale grazie a una nuova sistemazione superficiale che alterna specchi d’acqua, verde urbano e pavimentazioni di diverse cromie. Altro esempio emblematico è rappresentato dalla Gran Via di Madrid, un’arteria lunga 1,3 km che taglia in due parti il centro della città, ma che allo stesso tempo connette la parte Est e quella ad Ovest. Anche in questo caso si tratta di una strada concepita durante le nuove pianificazioni urbane di fine Ottocento , sventrando e demolendo parti storiche, per costruire un avenida moderna, ampia, che potesse ospitare le attività commerciali più prestigiose, offrendo scorci e prospettive maestose e che potesse dimostrare quanto elegante, mondana e raffinata fosse la capitale spagnola. La Gran Via è ancora oggi cuore vivo della Madrid contemporanea. Tuttavia vi sono innumerevoli esempi di strade principali costruite in età romana e/o medievale, sia per connettere città vicine, sia per rispondere alle nuove esigenze commerciali , che tutt’oggi sopravvivono come se il tempo non fosse passato.

È il caso di Via Garibaldi a Torino, via recta romana per eccellenza, seconda strada pedonale europea per lunghezza, che mantiene oggi la sua funzione commerciale. Non diverso è il caso di Via De’ Calzaiuoli a Firenze: un tempo divisa in più segmenti, ognuno con un nome diverso a seconda dell’ attività artigiana svolta , è da sempre la strada del capoluogo fiorentino , nota per le numerose botteghe di abbigliamento e calzature che vi avevano e hanno sede tutt’ora. Attraverso un breve excursus storico e grazie alla definizione della strada principale come elemento fondante il disegno di una città, si può affermare che questa rappresenta nello spazio urbano l’ infrastruttura di base e il luogo di scambio e socializzazione per eccellenza. Se “[...] la strada principale è l’elemento che ha materializzato il legame fisico tra la civitas e l’urbs [...]”6, dimostrando la sua efficacia nel corso del tempo, allora una strada principale, al di là dei suoi aspetti tecnici legati alla circolazione carrabile, contiene in sè aspetti formali, funzionali, sociali che condizionano tutto ciò che le sta attorno.

Gran Via Madrid

6 Marco Romano, Costruire le città, Skira , 2004, pp. 31

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“ [...] Nel corso del Trecento prende corpo la strada monumentale [...] è tema collettivo che abbellisce la città [...] a partire dal Cinquecento è quella progettata secondo i principi unitari del Rinascimento, come una piazza monumentale [...]”

Stra

Monum

Marco Romano, Costruire la città

Il secondo elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è la strada monumentale, ovvero quello che per Marco Romano è il tema collettivo che cronologicamente si afferma subito dopo la strada principale e un secolo prima delle piazze monumentali. Durante il processo di consolidamento delle città e delle relative conformazioni spaziali, quasi alla fine del basso Medioevo, nascono le strade delle élites, percorsi in cui ogni cittadino benestante e di una rilevante posizione socio-politica, erge il proprio palazzo, ognuno diverso dall’altro, purchè fosse “[...] cospicuo per veste architettonica e per dimensione [...]”7 . La strada monumentale rappre-

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senta quel tipo di percorso che viene definito in certi casi da una sola cortina edilizia (se sviluppato lungo un corso d’acqua o lungo un parco), a volte da due cortine (una di fronte all’altra). È questo il tratto di strada dove aristocratici, banchieri e signori, dopo aver abbandonato le strade principali per evitare la “contaminazione” con i ceti più bassi, costruiscono fabbriche ambiziose e durature, delle quali la città è subito orgogliosa. A cavallo, dunque, tra il basso medioevo e il rinascimento, alcuni pensano che questi palazzi si debbano costruire nelle stesse strade che ospitano le botteghe, altri che debbano venir eretti in “una via famosa ove abitassono onestissimi


ada

mentale

“ nella città rende bellissima vista una strada dritta,ampia, polita, dall’una e l’altra parte della quale siano magnifiche fabbriche, fatte con quegli ornamenti che sono stati ricordati nei passati libri ” Andrea Palladio in Marco Romano, Costruire la città

cittadini”8, come sostiene Alberti nel XV sec. . L’affermazione, quindi, della strada monumentale apporta grandi modifiche al tessuto della città perchè sostituisce la distribuzione dei palazzi aristocratici a scacchiera con la loro concentrazione lungo la medesima strada, a sua volta degradante in quelle immediatamente laterali, così da imprimere il sigillo della monumentalità a un intero quartiere. La strada monumentale, quindi, si costituisce di una schiera di palazzi affinchè questi possano mettere in mostra la magnificenza e la grandezza di chi abita; non sono un fatto privato ma devono dar potere a chi li costruisce, finanziandoli, e abbellire le città allo

stesso tempo. Vi sono innumerevoli casi di strade costruite con questi principi, ancora perfettamente conservati: i lungarni pisani sono un esempio eccellente di strade monumentali, edificate nel corso del trecento, ampie, costeggiate da una parte da antichi palazzi signorili, ognuno diverso dal suo vicino, dall’altra parte dai muretti in pietra e mattoni che separano la strada dal fiume. Con l’avvento del Rinascimento, però, le cose cambiano, perchè monumentale è ciò viene edificato secondo i principi unitari rinascimentali, proprio come una piazza monumentale. I comuni, quindi, e soprattutto molti sovrani, stabiliscono vincoli di omogeneità, imponendo l’uni-

7 Marco Romano, Costruire le città, Skira , 2004, pp. 85 8 Leon Battista Alberti, Il padre di famiglia, in “La città nei trattati del Rinascimento”, Marco Romano, pp. 4

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Via Po Torino

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formità e l’omologazione di strade selezionate e specifiche tramite alcuni caratteri architettonici. L’architettura unificata diventa il principio regolatore di una strada monumentale, a partire dall’età rinascimentale fino ad oggi. Via Po a Torino è uno degli esempi italiani di strada monumentale per eccellenza. Come raccontato in tanti diari di viaggio di fine Settecento da tutti coloro che intraprendevano il “Grand Tour” passando per l’Italia e per Torino nello specifico, Via Po risulta essere “una delle più belle strade larghe, dritte, regolari”, con il carattere austero dei palazzi uniformi che regala una monumentalità fuori dall’ordinario. Nel corso del seicento e poi ancora nel settecento il regno sabaudo , durante le opere di ampliamento e abbellimento della nuova capitale, ha fatto in modo che questo percorso obliquo che dall’epoca romana collegava il centro della città al fiume Po, potesse diventare una strada monumentale. L’obiettivo è stato far di Via Po una strada che destasse stupore, magnificenza, che facesse sfoggio dell’ impor-

tanza del regno, anche attraverso l’aggiunta di portici al piano terreno così da formare un sistema congiunto con quelli di Via Roma, Via Pietro Micca e Piazza Castello. Anche dopo il Rinascimento maestosità e imponenza hanno continuato ad essere caratteri pienamente ricercati in ogni tipo di pianificazione cittadina, fino al periodo razionalista novecentesco. È questo il caso di tutti gli interventi di risanamento messi in atto in epoca fascista in Italia, ad esempio, nei centri storici: non importa se ad abitare i palazzi che si affacciano su strade monumentali siano cittadini appartenenti a ceti sociali alti, bensì è l’architettura unificata a dar loro un dato carattere. Via delle Conciliazione a Roma è uno dei più significativi esempi, quasi un modello di un nuovo tipo di strada monumentale (diffusosi tra il XIX e il XX sec.), caratterizzato non solo dalla uniformità architettonica delle facciate ma anche da un tracciato in asse con un monumento architettonico ( Piazza San Pietro, nello specifico). Queste opere di “ristrutturazione” hanno destato diverse polemiche:

Via Po Torino

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Via della Conciliazione Roma

nel caso romano lo sventramento della “Spina di Borgo” , ( agglomerato di case che separava Piazza San Pietro da Castel Sant’Angelo) per la realizzazione di una via recta, che mettesse in stretto collegamento visivo le due opere attraverso una direttrice diritta,ampia e larga, e su cui si affacciano cortine edilizie in stile neoclassico piacentiniano (una versione meno evoluta del razionalismo italiano) , ha annullato del tutto le invenzioni barocche del Bernini che accompagnavano il visitatore dalle strette e anguste vie della Spina

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di Borgo alla sorprendente e grandiosa Piazza San Pietro. Simile sorte è quella che ha riguardato Via Roma a Torino: durante il regime fascista anche questa importante direttrice di origine seicentesca è stata oggetto di restauro stilistico ad opera dello stesso Arch. Piacentini, in particolare nel tratto compreso tra Piazza San Carlo e PIazza Carlo Felice. L’ obiettivo è stato quello di renderla più ordinata e uniforme, seguendo i dettami dell’architettura razionalista, e di darle un decisivo carattere monumentale, sia attra-


Via della Civiltà del Lavoro Roma

verso l’uniformità delle facciate, sia valorizzando maggiormente il suo essere in asse con la stazione Porta Nuova, Piazza Carlo Felice, Piazza C.L.N., Piazza San Carlo fino al culmine in Piazza Castello. Allo stesso modo è stata progettata e costruita Via della Civiltà del Lavoro a Roma, nella zona dell’Eur: sempre seguendo i dettami razionalisti, durante il Fascismo e in occasione dell’Esposizione Universale a Roma del 1942, si pensa a definire una nuova strada monumentale come un asse prospettico che da Piazza Kennedy , passando

per il Piazzale delle Nazioni Unite corra fino al Palazzo della Civiltà Italiana ( meglio noto come “Colosseo Quadrato). Tutti gli edifici che vi si affacciano si caratterizzano per l’omogeneità del linguaggio architettonico delle facciate. Come gli altri elementi urbani raggruppati sotto la categoria di percorso, dunque, anche quello della strada monumentale matura nei secoli, perciò non è sufficiente l’uniformità edilizia da sola a distinguerla con certezza, ma bisogna sempre tener conto anche del suo sito.

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“ [...] figura elementare di una strada interna, di dimensioni variabili, orientata verso una porta ( delle mura, di un santuario, di un palazzo) il cui punto di origine può essere tematizzato da un tema collettivo o perdersi indeterminato tra le case [...] ”

Stra

Trion

Marco Romano, 2004, Costruire la città

Il terzo elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è la strada trionfale. Nell’ introduzione alla categoria si è accennato allo sviluppo storico delle strade fin dalle età greca e romana; probabilmente l’affermazione di questo tipo di percorso risale allo stesso periodo, ovvero a quando si tracciavano delle strade che potessero esaltare lo sfondo delle porte d’ingresso alla città. A seguito di un’ analisi delle città europee, si può ipotizzare che a volte le strade trionfali sono state tracciate considerando un punto di vista situato nel centro stesso della città e dalla quale percepire in prospettiva una veduta bilaterale delle porte; altre volte invece l’intento è stato quello di pianifi-

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care una strada cerimoniale che fosse rivolta verso la porta di un santuario, come a conclusione di un percorso processionale urbano. Nel secondo caso la prima porta, non coincidente con quella di ingresso alla città, è spesso contrappuntata o dalla veduta di una porta principale nella parte opposta, piuttosto che di un altro edificio che riveste una certa importanza: ciò che caratterizza una strada trionfale è, dunque, l’essere testimonianza di un rito processionale. In questo caso si potrebbe trattare di una strada che ha come punto di fine una chiesa, come la Via dei Servi davanti al Convento di San Marco a Firenze, piuttosto che una cattedrale (come quando, durante il medioevo, i cortei dan-


ada

nfale

no un certo significato alla strada che conduce alla cattedrale dove vi è l’incoronazione reale) o ancora una reggia reale (Bentivoglio in Piazza a Bologna, i Farnese davanti al Palazzo a Roma, i sovrani a Torino davanti ai castelli e a Venaria, quelli di Versailles e di Aranjuez). La strada trionfale, dunque, si caratterizza per avere come sfondo un tema collettivo (<<l’ espressione di un sentimento che crea un tema esteticamente rilevante>>, Marco Romano) e un’origine indeterminata; le dimensioni variano a seconda che siano tematizzate alla scala di quartiere o di una intera città. In questo ultimo caso possono essere anche cospicue: Via dei Prioni a Ferrara è lunga 200 metri, a Roma la strada fra Trini-

tà dei Monti e le Quattro Fontane 1500 metri; a Versailles Rue de Paris è larga 94 metri e lunga 2400 m. In molti altri casi ancora, soprattutto nel corso dell’ Ottocento, tante sono state le strade trionfali tracciate, chiuse da piazze nazionali e trasformate, nelle capitali, in percorsi per le parate militari. Questo tema sociale dell’ esaltazione delle porte della città, piuttosto che di un santuario o di un edificio di significativa importanza, continua ancora oggi a dar carattere al tipo di percorso della strada trionfale, la quale mantiene le caratteristiche morfologiche di una strada dritta e ampia, che da sempre la contraddistinguono, seppur cambiano gli oggetti architettonici che segnano il suo inizio e/o la sua

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Avenue des Champs-Élysées Parigi

fine o che si possono incontrare durante il percorso. Oggi, infatti, strade trionfali possono spiccare davanti a un qualsiasi tema sociale: potrebbe trattarsi di un palazzo, di una chiesa, di un cimitero, di uno stadio, di una caserma o di una scuola, di una stazione o di una piazza, purchè sia il tracciato stesso a celebrare l’oggetto di interesse. Via Cristoforo Colombo a Roma è un’ esempio abbastanza recente di strada trionfale: sempre nell’ambito del progetto mussoliniano di espansione della capitale, una nuova strada è stata progettata in

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occasione dell’esposizione universale del 1942 per collegare il centro città con la nuova zona dell’EUR, e per poi proseguire poi fino al mare. Estendendosi per 27 chilometri, questa strada trionfale inizia il suo percorso dalle Porte Ardeatine, quindi dal centro città, attraversa l’EUR, passando per diversi punti di interesse tra cui il Parco delle Ninfeo, il Piazzale delle Nazioni Unite, l’obelisco di Marconi e poi, scavalcando il bacino artificiale e superando il PalaLottomatica, si conclude nella frazione di Ostia. Nello stesso periodo, sempre su progetto mussoliniano, viene re-


Via Cristoforo Colombo

Via dei Fori Imperiali

Roma

alizzata la Via dei Fori Imperiali, progettata per suscitare, come Via Colombo, solennità, grandiosità, trionfo. Anche in questo caso si tratta di un elemento di connessione tra due punti di interesse, quali Piazza Venezia e il Colosseo, attraverso un tracciato che potesse celebrare l’antico Impero Romano, valorizzato ancora di più (solo qualche decennio fa) dai resti dei fori imperiali, rinvenuti dopo una serie di scavi sistemici sull’area. Il senso, quindi, di una strada trionfale è proprio l’ essere in sè un asse prospettico da cui guardare verso

Roma

un tema collettivo. L’ Avenue des Champs-Élysées a Parigi rappresenta per questo un’ esempio eccellente: uno dei più larghi e maestosi viali al mondo che, con i suoi 1914 metri di lunghezza da Place de la Concorde ad Est a Place de l’ Étoile a Ovest, definisce un asse storico con pochi eguali nel suo genere. Questo percorso mette in connessione da un lato l’obelisco egizio di Luxor, dall’altro il più famoso Arco di Trionfo al mondo attraverso un viale alberato su cui vi si affacciano edifici di un certo prestigio.

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“ [...] stradoni a più carreggiate fiancheggiate da alberi [...] apparsi al posto di vecchie fortificazioni o tra la città vecchia e quella nuova [...] ”

Boule

Camillo Sitte, L’arte di costruire la città

Il quarto elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è Il boulevard, ovvero un tipo di percorso che si afferma prima a Parigi, poi nel resto d’Europa, a partire dall’ Ottocento, nell’ambito delle politiche urbanistiche, avviate in quel periodo, di ampliamento e ristrutturazione dei centri urbani. Haussman, l’urbanista pianificatore che diresse i lavori parigini ottocenteschi, aveva l’ossessione della linea retta: come “cultore dell’asse” trasformò molti percorsi già esistenti e ne aprì altri, usando il tracciato delle vecchie fortificazioni murarie. Tutti le mura costruite durante il basso Medioevo furono sostituite dai grands boulevards, successioni continue di viali albe-

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rati, di dimensioni comprese tra i 30 e i 50 metri, imitati poi ovunque in Europa. Prima di questi, un tipo formalmente innovativo e molto simile si era affermato : la passeggiata alberata. A differenza del boulevard , le passeggiate sono aperte e concluse da un tema collettivo o da qualche importante elemento architettonico e paesistico, con dimensioni di 90 metri circa (Paseo de Gracia a Barcellona, l’Avenue Foch a Parigi, l’Avenida de Liberdade a Lisbona); laddove uno dei due temi sia un arco trionfale allora la passeggiata alberata diventa strada trionfale, come accade per gli Champs Elysées parigini o per l’Unter den Linden berlinese. Altra grande differenza risiede nel


evard

“ [...] tratti di strada rettilinei, non necessariamente conclusi da alcun tema collettivo, fiancheggiati da edifici senza pretesa di alcun coordinamento architettonico, disposti uno di seguito all’altro, al più scanditi da un rondò con un giardino e una statua [...]” Marco Romano, Costruire la città

fatto che la passeggiata alberata, proprio per definizione, è una soltanto per ogni città, al massimo due se si differenziano quella invernale e quella estiva; al contrario i boulevards possono essere innumerevoli. L’idea che sta dietro la loro creazione è certamente evitare il decongestionamento nelle zone centrali della città, spostando il traffico lungo i confini urbani, ma è anche quello di una passeggiata per tutti i cittadini, sempre alberata, di dimensioni ridotte, che si materializzi lungo specifiche sezioni delle antiche mura. Si tratta, dunque, di tratti di strada rettilinei, alberati, disposti sempre in successione continua. A differenza delle passeggiate non

iniziano e/o finiscono con un punto di interesse specifico; i loro punti di origine e destinazione altro non sono che incroci con altri boulevards, in qualche caso definiti meglio dalla presenza di una statua, di un giardino o di una rotatoria ( Corso Galileo Ferraris a Torino, incrociando Corso Vittorio Emanuele II, vede la presenza dei tre oggetti assieme). In alcuni casi anche dei boulevards sono scanditi da temi collettivi (come gli archi che ritmano il Boulevard des Italiens) ; in quel caso specifico allora possono assumere il significato simbolico di passeggiata. Le dimensioni di questi viali che si succedono l’uno con l’altro sono sempre più o meno simili, affinchè possano ospitare due carreggia-

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te abbastanza ampie,divise da un filare alberato, o un’unica carreggiata centrale, divisa da quelle laterali sempre da materia vegetale. A separare poi, i viali del traffico veicolare dalle cortine edilizie vi sono larghi e spaziosi marciapiedi per la circolazione pedonale. Un’ esempio recente di boulevard è Corso Mediterraneo a Torino, realizzato negli ultimi anni nell’ambito di una profonda e radicale riorganizzazione a livello urbanistico: proprio come due secoli fa questi ampi viali si andavano a posizionare sui tracciati delle vecchie mura, allo stesso modo la Spina Centrale torinese si materializza sul sedime del vecchio tracciato ferroviario, riqualificando poi anche l’area circostante. Questa nuova e imponente arteria di comunicazione, approfittando del grande spazio a disposizione, si costituisce di due/ tre corsie per senso di marcia, un controviale in parte pavimentato in pietra di fiume, in parte costituito da ampi marciapiedi che si arrestano poi contro le cortine edilizie, tutte diverse tra loro. Ognuna delle parti che compongono il boulevard torinese è destinata a tipo Corso Mediterraneo Torino

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Boulevard Saint-Germain Parigi

diverso di traffico e separata dalle altre, sempre, da grandi parterre alberati e di vegetazione di diverse dimensioni e specie; quest’ultima e il sistema d’illuminazione (tanto studiati e curati nei dettagli), assieme, scandiscono il viale e gli danno una forte connotazione visiva. Uno dei più noti boulevards parigini prodotti durante i lavori di trasformazione haussmaniani ottocenteschi è il Boulevard Saint-Germain.

Lungo tre chilometri e largo trenta metri, corre sulla riva sinistra della Senna con le sue due ampissime corsie centrali (quattro per ogni senso di marcia), separate da ampi marciapiedi grazie a filari alberati che si arrestano in prossimità degli incroci, dove i marciapiedi si trasformano in slarghi e le strade si congiungono in rondò di divisione con altri boulevards. Corso Mediterraneo Torino

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“ Percorso pedonale o cicliopedonale con luce di limitata ampiezza e struttura leggera, sopraelevato o sospeso, che consente si superare ostacoli di varia natura “

Passe

DeAgostini, Glossari Illustrati:

Il quinto elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è la passerella, un artefatto umano che, similmente a un ponte, quindi sospeso a mezz’aria, è in grado di collegare due punti, permettendo il passaggio su ostacoli altrimenti insormontabili da A verso B e viceversa. Facendo un salto indietro fino alla preistoria, si può notare come rudimentali infrastrutture di questo genere ne esistano numerose: l’uomo, attraverso il suo ingegno, da sempre modifica la natura, costruendo manufatti che gli consentono di poter svolgere le proprie attività. Ad un certo punto della storia, infatti, certamente le civiltà si trovarono di fronte al problema di agevolare in qualche

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modo la comunicazione con villaggi vicini piuttosto che accorciare i percorsi di ritorno a casa, spesso deviati dalla presenza di ostacoli naturali. Compaiono così le primissime passerelle pedonali, fatte di materiali semplici, trovati in loco, come legno e corde, e di principi strutturali elementari, a volte sospese completamente e appoggiate ai punti di origine e destinazione, altre volte (ove possibile) sostenute da pali sottostanti l’impalcato; tutto questo ancora molto tempo prima che fosse inventata e codificata la forma ad arco, messa a punto dalle opere di età romana. Così come svariati millenni fa le passerelle rappresentavano una delle forme dirette di sfida uma-


erella

“ […] in certi contesti designa ponti di piccole dimensioni (stretti o senza spallette), in genere solo pedonale […] altri aspetti formali e strutturali sono la presenza più o meno accentuata della struttura di sostegno [...] “ IUAV Giornale dell’Università

na contro gli ostacoli della natura, ancora oggi sono le strutture che consentono a chiunque stia camminando o pedalando di superare barriere naturali. L’età contemporanea è caratterizzata dall’uso di veicoli a motore, come automobili o motoveicoli , mentre la pedonalizzazione è sempre più un comportamento straordinario, favorito spesso solo nelle piazze o lungo percorsi pedonali specifici, come quelli porticati dei centri storici, ad eccezione di poche cittadine al mondo, come Venezia, forse l’unica pedonale al mondo. Un essenziale e primario valore di una passerella pedonale è, dunque, quello di “reintrodurre nella percorribilità degli spazi la fisicità

delle persone”9, passeggiare per riappropriarsi dello spazio, delle sue distanze e della relativa dimensione percettiva che questo ha avuto per millenni, prima dell’avvento dei mezzi motorizzati, “per ritrovare il giusto uso degli occhi, delle orecchie, del naso, del tatto”9. Un’ altro valore aggiunto per questo tipo di percorso è quello posizionale: le passerelle, molto spesso ad uso esclusivamente pedonale, si inseriscono o in contesti naturalistici paesaggistici di un certo pregio o in realtà urbane sia stratificatesi nel tempo sia, comunque, densamente abitate, nel caso si parli di città di nuova fondazione o di ampliamenti recenti. A seconda del contesto che le accoglie e del relativo valore storico,

9 Guglielmo Monti, Passerelle Pedonali, Convegno Footbridge, 2005

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Pasarela Arganzuela Madrid

Pasarela Madrid Rio/ Puente de Toledo Madrid

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quindi, le passerelle assumono significati altri. Il caso della Pasarela Arganzuela a Madrid, progettata dall’architetto Dominique Perrault, è emblematica per tutto ciò che si è appena detto. All’interno di un più vasto progetto di nuova pianificazione urbanistica, che ha interrato un tratto di un’arteria della circonvallazione che correva lungo il fiume Manzanares e che ha visto il riutilizzo delle aree liberate attraverso la costruzione di un nuovo parco lineare lungo dieci chilometri, la passerella in questione si pone come uno dei tanti elementi di connessione tra i quartieri nord e sud della capitale spagnola. Tale elemento si spezza in due tratti: il primo di unione delle due sponde del fiume, il secondo si distribuisce su Arganzuela Park; la sua struttura portante elicoidale, in acciaio, si poggia su pilastri alle due estremità, dando l’impressione di essere sospesa nell’aria e proteggendo allo stesso tempo i pedoni dal sole e dalle intemperie. Il punto strategico della città in cui è posizionata (il fiume Manzanares è un’icona spagnola tanto impor-

tante da comparire in numerosi dipinti di Francisco Goya o in trattati poetici di Alessandro Manzoni), il suo uso esclusivamente ciclo-pedonale, il suo essere un punto di riferimento urbano potente, le prospettive offerte verso il famoso Ponte de Toledo settecentesco, rendono questa passerella extra-ordinaria. Infatti, ad aumentare il valore di questo specifico intervento, è la compresenza di passerelle e ponti di diverse epoche storiche e la loro convivenza armonica: percorrendo la nuova passerella e affacciandosi verso il fiume, si possono ammirare sia ponti monumentali come il Puente de Toledo, costruito per lo più per il traffico carrabile, sia passerelle di dimensioni decisamente inferiori dello stesso periodo storico, riservate quasi esclusivamente al traffico ciclo-pedonale. Non è stato, probabilmente, semplice per l’architetto capire come inserire questa nuova passerella in un luogo così stratificato storicamente; certamente però è riuscito ad esprimere e concretizzare l’esigenza di ricucire gli spazi e renderli più permeabili ad una

Pasarela Arganzuela Dominique Perrault Madrid

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The Luchtsingel ZUS Rotterdam

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frequentazione umana, compatibilmente con il rispetto dell’ ambiente e del genius loci, affinchè si potesse cancellare il passato recente di percorso motorizzato veicolare e sostituirlo con un presente diverso, pedonale e lento. Un’ altro esempio di passerella pedonale è The Luchtsingel, nella città di Rotterdam, portato all’attenzione sia perchè la sua realizzazione ha permesso la riconnessione di tre distretti nel cuore della città olandese per decenni rimasti separati, sia per l’innovazione del processo progettuale che ha portato alla sua conclusione. Tale progetto è, infatti, l’esito di un progetto partecipato che ha visto come protagonisti lo studio d’architettura ZUS, la città di Rot-

terdam e i cittadini, i quali hanno assieme progettato una nuova struttura sopraelevata e di 400 metri di lunghezza come elemento di connessione tra due parti di città: “il Luchtsingel, insieme con gli edifici trasformati e i nuovi spazi pubblici, forma un nuovo paesaggio urbano tridimensionale”, dice uno dei partner dello studio di architettura ZUS, Kristian Koreman. Come nel caso madrileno anche a Rotterdam coesistono passerelle storiche e altre di costruzione recente: mentre, però, nel caso appena descritto la nuova struttura serve a superare una barriera artificiale (l’infrastruttura ferroviaria), le passerelle storiche della città sono state costruite per oltrepassare una barriera naturale. Come


Wandelbrug Rotterdam

altre città olandesi, infatti, anche Rotterdam è costruita al di sotto del livello del mare e per questo attraversata da numerosi canali, i quali hanno nel tempo reso necessario la costruzione di manufatti, realizzati con materiali reperiti in loco, che agevolassero le attività umane. È proprio questo il caso di Wandelburg (tradotta letteralmente da olandese in inglese “footbridge”), una delle poche passerelle pedonali in legno della città vecchia di Rotterdam sopravvissuta ai bombardamenti bellici della metà del secolo scorso. Costruire passerelle, dunque, così come ponti, ha sempre significato collegarsi, dalla preistoria fino ad oggi, attraverso una struttura di uso ciclo-pedonale piuttosto che

carrabile che potesse consentire il passaggio “sopra” ciò che resta “sotto”, grazie a una serie caratteristiche topografiche, funzionali , strutturali. Da quando l’uomo modifica la natura per addomesticarla e/o adeguarla ai suoi bisogni, genera segni del paesaggio e non semplicemente nel paesaggio, affinchè le proprie opere con la loro presenza possano creare nuovi paesaggi che prima non c’erano, in cui si percepisca l’intervento dell’uomo, l’artificio. L’importante è riuscire a cercare una mediazione con lo spazio in cui si opera, grazie a una buona conoscenza dei principi compositivi di progettazione dello spazio urbano nella storia delle città.

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Perco

in trin

Il sesto elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è il percorso in trincea, con il quale si vuole indicare un tratto di strada che si percorre ribassato rispetto ad altri itinerari nelle immediate vicinanze, o per la topografia naturale del suolo o per interventi artificiali che lo rendono, per l’appunto, in trincea. Quest’ ultima, nel suo significato generico, indica un’ “opera di fortificazione costituita da una fossa scavata nel terreno, nella quale i soldati si difendono dal fuoco del nemico e da cui a loro volta sparano”10,, l’insieme, quindi, di fossati e camminamenti attraverso cui i militari in guerra o si spostano o azionano la difesa. Su un piano morfologico, ma in re-

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lazione allo spazio urbano, si intende lo stesso: molte volte, infatti, ci si ritrova a camminare lungo un percorso più basso rispetto alla quota che ci si lascia alle spalle e stretto tra qualcos’altro, sia alla sinistra che alla destra, perchè magari chi ha progettato quel luogo ha deciso di canalizzare i flussi verso un punto preciso servendosi di questo artificio. Casi comuni e facili da incontrare sono quelli dei parchi pittoreschi ottocenteschi in cui, spesso, movimentazioni di terra, colline artificiali , creano conche lineari per una certa lunghezza per impressionare il visitatore. Se ci si ritrova nel bel mezzo del Parco del Valentino a Torino o a Central Park a New York, per esempio, può capitare


orso

ncea

spesso di trovarsi a percorrere un tratto trincerato, pensato magari per incanalare un visitatore verso un tempietto, piuttosto che verso un lago, verso luoghi all’apparenza nascosti, al contrario progettati per dare suscitare sentimenti diversi. Si ricorda, infatti, che uno dei principi del pittoresco è la pianificazione degli spazi ordinati secondo una serie di sequenze che, nell’atto di essere attraversate, possano suscitare stupore e senso di smarrimento proprio grazie alla molteplicità dei punti di vista offerti lungo percorsi dinamici. Questo artificio continua ad essere largamente utilizzato oggi per gli stessi motivi, soprattutto nella progettazione di parchi o in

prossimità degli ingressi alle stazioni ferroviarie: camminando all’ interno del Parque Lineal de Manzanares madrileno di frequente ci si ritrova in tratti stretti e obbligati (un pò dalla vegetazione un pò da muretti che superano la statura umana) ad andare verso una direzione; allo stesso modo (ma per motivi differenti) l’ingresso della nuova stazione di Porta Susa a Torino o quello della stazione Atocha di Madrid piuttosto che quella di Brussel Central si ribassano man mano che ci si avvicina all’edificio rispetto alla quota stradale sì per condurre la gente alla quota dei binari ma anche per incanalarla nella giusta direzione . Questa stessa idea è quella che domina il progetto di Dominique

10 Dizionario di Italiano, Trincea, Sabatini Coletti

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Perrault per la Ewha Womans University a Seoul, uno dei più grandi campus ipogei al mondo. L’architetto si è trovato di fronte a una situazione topografica molto particolare: l’area su cui ora insiste il nuovo edificio era totalmente vuota e più bassa di decine di metri sia rispetto alla quota stradale sia rispetto agli altri edifici storici del campus; inoltre il complesso è inserito all’interno di un parco di dimensioni notevoli, una sorta di “oasi” in mezzo al caos della megalopoli, quale è Seoul. L’esigenza primaria da soddisfare è stata quella di connettere il nuovo edificio con gli altri del campus: il progettista pensa ad un’ integrazione tra architettura del paesaggio e architettura costruita; così, una collina artificiale (che riprende nella sua sinuosità gli elementi tipici del paesaggio urbano della capitale sud-coreana) viene tagliata nel mezzo da un grande canyon . Quest’ ultimo permette da un lato di svelare la natura dell’edificio, dall’altro di creare un percorso trincerato che corre longitudinalmente lungo tutto l’edificio, fino a raggiungere una scalinata monuParco del Valentino Torino

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Ewha womans university

mentale che guarda verso l’edificio più antico del campus e che consente anche l’accesso alle coperture verdi delle due metà. Questo taglio, questo fossato, questa “ferita” incanala i visitatori nel cuore del canyon e li invita ad attraversare l’intero percorso,

fino all’imponente e monumentale scalinata in pietra che obbliga a guardar verso l’alto e a chiedersi cosa ci sia oltre, un pò come quando ci si ritrova in Campidoglio a Roma o lungo gli Champs Elysées a Parigi: “ è proprio questa flessibilità (concettuale e reale) che per-

Dominique Perrault Seoul

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Tianjin Bridged Gardens Turenscape Tianjin

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mette al centro del campus di New EWHA ad essere a volte un edificio, a volte un paesaggio, a volte una scultura”, dice Dominique Perrault. Ad una scala molto più piccola rispetto al caso coreano, quello dei Bridged Gardens a Tianjin, opera di Turenscape, è un esempio efficace di percorso in trincea: scavando uno spazio di venti metri per otto metri rispetto al suolo circostante, viene creato un giardino all’interno del quale un percorso sinuoso, a sua volta ribassato, non solo rispetto al suolo ma anche rispetto

alla vegetazione circostante, invita i visitatori ad “entrare” e sostare. Se, quindi, nel caso precedente la trincea è più spazio dell’andare, dell’attraversare, attratti dalla scala posta a fine percorso, in questo caso il ribassamento invita a “stare dentro”, a fermarsi, per cogliere prospettive altre dal basso, offrendo nuovi punti di vista, proprio come nella doppia accezione della trincea bellica (sia di sosta che di movimento).


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“ Piano inclinato che consente di superare un dislivello, nelle costruzioni stradali breve tratto di strada in forte pendenza “

Ram

Dizionario Garzanti linguistica

Il settimo elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è la rampa, ovvero quell’elemento architettonico che mette in collegamento due piani a diverse quote. Quando si parla di rampa, spesso si pensa a quelle di accesso ai garage interrati o a quelle posizionate in prossimità degli ingressi di edifici pubblici (a posteriori) per garantire un accesso (secondario in ogni caso) a persone diversamente abili. La tesi, però, che non adotta criteri funzionalisti, propone questo elemento come figura urbana di pregio che, usata con sapienza in un progetto architettonico, e soprattutto se inserita armonicamente in un contesto, dà un forte valore

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aggiunto al progetto stesso. Tanti sono i casi esemplari che si potrebbero elencare per aver fatto dell’ elemento rampa il punto di forza e il fulcro centrale del progetto: dal Millenium Bridge a Londra (Arch. Ove Arup, Norman Foster & Anthony Caro), dove l’ultimo tratto a sud della passerella pedonale inverte la direzione e si trasforma da piano orizzontale in piano inclinato per accompagnare dolcemente chi lo attraversa alla quota di superficie del Globe, del Tate e di Bankside, al nuovo municipio di Fiumicino dell’architetto Anselmi, che invece usa l’intera superficie di copertura dell’edificio come enorme rampa trapezoidale come nuovo spazio pubblico, proprio come l’ Opera House ad Oslo di


mpa “ Piano inclinato a lieve pendio che collega due piani differenti [...] “ Nikolaus Pevsner, Dizionario di architettura

Snøhetta, la cui copertura diventa una piazza pubblica inclinata. Anche la copertura verde dell’ Ewha womans university a Seoul di Dominique Perrault (riportato nel capitolo precedente come esempio di percorso in trincea), sfrutta la differenza altimetrica per creare un piano inclinato da attraversare per raggiungere il plesso più antico dell’università. In tutti i casi appena descritti sono i progettisti a scegliere la rampa come elemento da usare per dar un valore aggiunto alle loro opere; tante altre volte è necessario ricorrervi per la topografia del suolo, come accade in diverse cittadine europee nate e cresciute in territori collinari o montuosi, come Lisbona o Madrid ad esempio.

Infatti, facendo un passo indietro nella storia, sono numerosi gli esempi di rampe impiegate nello spazio pubblico per ovviare a condizioni imposte dalla natura. Si possono richiamare due esempi eclatanti: Piazza del Campo a Siena e la Piazza antistante la basilica di San Francesco ad Assisi. La prima, rinomata in tutto il mondo per la sua bellezza e integrità architettonica, unica per la sua originale forma a conchiglia, altro non è che una enorme rampa, proprio perchè in origine quello stesso spazio era un terreno bonificato che consentiva il deflusso delle acque dal nucleo antico della città verso appunto il “campo”. Nel secondo caso ad Assisi un grande piano inclinato mette in

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comunicazione la basilica inferiore di San Francesco e quella superiore, risolvendo il dislivello naturale che le separa. La definizione di questa piazza risale quasi all’inizio dei lavori della basilica stessa, quindi al XIV sec.: si tratta di uno spazio racchiuso a nord da una ripida scalinata, a cui si affianca una rampa lastricata che collega la piazza inferiore con la basilica superiore; dagli altri lati da portici, come se si volesse richiamare un chiostro medievale. Tra gli esempi contemporanei, degno di nota è il progetto realizzato ad Istanbul ad opera di SANALarc del Sishane Park: un vasto parcheggio coperto diventa l’occasione per dar vita a un nuovo spazio pubblico nel centro urbano della città turca, affinchè possa essere un’efficace connessione tra i differenti quartieri che gli stanno attorno. Non si tratta di uno spazio convenzionale, non ha nulla di statico, ma pensato nei minimi dettagli per offrire luoghi ed esperienze uniche, tutte da scoprire inoltrandosi all’interno. La superficie che copre il parcheggio diventa un grande parco pubblico, ricco di specie Piazza inferiore di San Francesco Assisi

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Sishane square

vegetali, affinchè possano offrire momenti di comfort e relax ai visitatori, soprattutto grazie all’abilità con cui si articola lo spazio. Superfici orizzontali e superfici a diversa inclinazione si compenetrano sapientemente, disegnando lo spazio e rendendolo dinamico: così si offrono a chi vi si imbatte momenti intimi, di riposo o momenti di svago e di gioco, grazie alle varie possibilità di esplorazione date dalla dinamicità dello spazio.

L’elemento rampa diventa il vero protagonista del progetto: si sarebbe potuto realizzare un canonico parcheggio coperto, magari con una copertura calpestabile e aperta a tutti; la rampa, invece, consente di giocare con le superfici, con le prospettive, con i sensi di chi visita; attraversando questi percorsi, a volte dritti, a volte storti, sempre su quote differenti, si percepisce certamente questa dinamicità che porta il fruitore a giocare con l’im-

SanaLarc Istanbul

Piazza inferiore di S. Francesco Assisi

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Olympic Sculpture Park

maginazione e la curiosità. Concettualmente simile è l’idea che sta dietro il progetto per l’Olympic Sculpture Park a Seattle di Weiss & Manfredi Architects, una piattaforma a forma di Z per metà verde, per metà asfaltata, che si inserisce su un ex sito industriale per ricollegare il centro urbano con il lungomare, anch’esso rivitalizzato. Il percorso pedonale altro non è che un’unica rampa continua e senza interruzioni che,

dal litorale, attraversando i binari ferroviari e la rete autostradale sottostanti, porta fino alla città. Anche in questo caso si tratta di un percorso sensoriale, tra le diverse piantagioni, padiglioni espositivi e sculture, una rampa unica che definisce una nuova esperienza per ammirare l’arte fuori dai musei, riconnettendo così i rapporti fra l’arte, il paesaggio, il centro urbano e la vita quotidiana di tutti coloro che abitano la città.

Weiss/Manfredi Architects Seattle

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“ tipologia urbana apparsa in Europa alla fine del Settecento [...] si caratterizza per la simmetria delle facciate e per la presenza dei nastri di negozi al piano terra [...] “

Gall

Grabriella Giunta, Dal mercato locale allo shopping center

L’ ottavo elemento individuato all’interno della macrocategoria del percorso è la galleria, perchè luogo di passeggio e di connessione, a uso esclusivamente pedonale e, diversamente da una strada, coperto. Se fino alla fine del Settecento, infatti, gli unici passaggi coperti pubblici erano quelli porticati, grazie all’impiego di nuovi materiali costruttivi come il ferro e il vetro e di nuove tecnologie sviluppate per l’impiego degli stessi, cominciano ad affermarsi nelle principali capitali europee sia padiglioni espositivi, di cui il Crystal Palace londinese è il primo esempio emblematico della categoria, sia le prime gallerie , intese come passages con coperture in ferro e vetro e a caratte-

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re commerciale. Infatti, è proprio il commercio ad aver contribuito, ancora una volta e in maniera determinante, a caratterizzare nuovi luoghi: grazie alla spinta della cultura moderna si è passati dalla concentrazione delle attività commerciali nelle strade principali piuttosto che nelle piazze del mercato a veri e propri santuari dello shopping, grosse strutture che le possano racchiudere tutte assieme. Il primo di questo genere in Italia è stata la Galleria De Cristoforis a Milano, degli anni ‘30 dell’ottocento, forse anche tra le prime architetture in ferro e vetro, soprannominata all’epoca “contrada di vetro”, in cui si affollavano negozi e caffè.


leria

Nel resto d’Europa erano già numerose, a inizio del XX sec., come la Galerie Vivienne a Parigi, il Burlington Arcade a Londra, e sempre posizionate in punti strategici della città. Per definire una galleria, oltre alla sua vocazione commerciale e all’ essere un percorso coperto, secondo Marco Romano è importante che sia tematizzata da un punto di origine e uno di destinazione. A questo proposito, tutte le gallerie sopracitate non si posizionano in punti casuali della città solamente per accogliere in un luogo protetto dagli agenti atmosferici le varie attività, ma hanno posizioni sempre strategiche poichè, in quanto percorsi, devono collegare qualcosa a qualcos’altro: quella milane-

se connetteva Corso Vittorio a Via Montenapoleone; quella parigina si trovava tra i Grand-Boulevard , il Palais Royal e il Palazzo della Borsa; quella londinese è passaggio (ancora oggi) di connessione tra Bond Street e Piccadilly; nei casi in cui la galleria è stata un elemento isolato e a sè stante ha fallito. Il più grande esempio italiano della categoria è rappresentato certamente dalla Galleria Vittorio Emanuele di Milano, a tutti gli effetti una strada pedonale coperta che collega Piazza Duomo a Piazza della Scala; è l’archetipo per eccellenza della galleria commerciale di fine ottocento per eleganza e successo. Edifici simmetrici in stile neo-rinascimentale lombardo di tre piani fuori terra ed un piano

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mezzanino ospitano al piano terra raffinate attività commerciali; l’ impianto planimetrico è cruciforme, formando al centro un ottagono (per via dei passages e degli smussamenti degli edifici) che in copertura si trasforma in una maestosa cupola in ferro e vetro, proprio come le volte a botte chiudono i due bracci incrociati. Dalla sua inaugurazione un secolo e mezzo fa tale galleria ha sempre riscosso successo, portando addirittura alla chiusura della De Cristoforis, vista ormai come vecchia; rappresentava allora, come per tante altre gallerie europee, il ritrovo della borghesia, un luogo di ozio, di passeggio tra negozi raffinati e ceti sociali selezionati. Oggi le cose sono un pò diverse: gli stili di vita degli individui sono cambiati, sono aumentate le esigenze di consumo e pian piano, nei decenni, si è visto un proliferare di queste grosse strutture che, al loro interno, concentrano attività commerciali, divertimento, servizi e tanto altro, proprio come espressione concreta della cultura consumistica delle società che abitano le città e della relativa Grand Arcade Cambridge (UK)

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Galleria Vittorio Emanuele Milano

economia di mercato. Il passo verso l’apertura di centinaia di shopping mall, sia all’interno che al di fuori dei centri urbani, è stato velocissimo; l’obiettivo, però, è sempre quello di inquadrare i tipi di percorsi dello spazio urbano, prima di esprimere giudizi sui loro aspetti negativi e pareri su come questi siano dei nonluoghi, per capire se tali elementi, così come quando sono nati due secoli fa, continuino ad avere dei caratteri formali e se possono essere usati come spazi di socializzazio-

ne, sia in strutture preesistenti sia in quelle ex novo. Il Grand Arcade di Cambridge (UK) sembra rispondere a tutto questo: si tratta di un centro commerciale nato dieci anni fa nel pieno centro storico della cittadina inglese, conservando all’esterno le antiche cortine edilizie e costruendosi dall’interno con facciate dichiaratamente contemporanee, tra le quali una copertura vetrata ripara i passaggi pedonali che attraversano l’intero shopping centre. Grand Arcade

Cambridge (UK)

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Piaz

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Piazza Principale

Piazza Monumentale

Piazza del mercato

Square


zza

Slargo

Piazza Lineare

Piazza Palcoscenico

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“[...] creazione collettiva del Medioevo, seguita da quella del periodo rinascimentale, da quella aristocratica del Barocco, da quella borghese ottocentesca, si adatta nei secoli alle città, cambia le sue funzioni, segue una metamorfosi [...] ” Franco Mancuso, La piazza nella città europea

“ tra le opere d’arte di fama per le quali le esigenze funzionali sono di secondaria importanza “ Zucker La seconda macrocategoria di analisi proposta è la PIAZZA, per definizione quello “spazio urbano di forma variabile, più o meno ampio, circondato da caseggiati, sito di solito all’incrocio di più strade”1. Questa rappresenta, storicamente, il punto focale in un tessuto urbano, il fulcro centrale attorno a cui ruota tutto il resto. Quando si parla di spazio pubblico, infatti, la prima associazione mentale richiama l’immagine di una piazza, intesa come quello spazio urbano, delimitato da edifici, che trova i suoi valori e le sue ragioni nelle radici storico-culturali della città europea. Facendo un brevissimo excursus storico si può notare come questa figura urbana deriva dall’ agorà greca, poi trasformata-

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si in forum in età romana, successivamente diventata piazza (principale, del mercato, della chiesa, monumentale, etc.) in età medievale e rinascimentale. In tutte le epoche storiche, infatti, pur modificandosi e trasformandosi, la piazza ha sempre rappresentato il centro di riunione dei cittadini, uno spazio di aggregazione sociale, declinato secondo diverse tipologie, a partire dal medioevo, a cui si legano tre funzioni in particolare: quella politica, quella commerciale, quella religiosa. Partendo da un’analisi dello spazio urbano, dunque, sono state individuate sette sottocategorie di piazza, per ognuna delle quali si propongono esempi (storici e contemporanei) che la possano rappresentare al


“Con ogni probabilità la piazza è il primo tipo di spazio urbano inventato dall’uomo. Esso deriva dal raggruppamento di case attorno a uno spazio libero” Rob Krier, Lo spazio della città

“Le piazze nascono da un comportamento o da un sentimento socialmente riconosciuto e rilevante, connesso a un consolidato tema collettivo con un aspetto architettonico riconosciuto e codificato” Marco Romano, Costruire la città meglio. Questa sotto-classificazione di specifiche figure urbane è resa possibile da icaratteri peculiari che contraddistinguono e differenziano al tempo stesso le diverse tipologie di piazza. Se, ad esempio, in una piazza principale l’elemento che la qualifica come tale è l’ edificio pubblico, in una piazza definita monumentale è, invece, l’uniformità architettonica degli edifici che vi si affacciano; in una piazza del mercato sono i piani terra porticati che ne definiscono il perimetro, in uno square sono l’impianto simmetrico e la presenza di un giardino pubblico centrale, in uno slargo l’allargarsi di una strada o di un marciapiede, in una piazza lineare la linearità stessa dello spazio che si estende in lun-

ghezza più che in larghezza; infine in una piazza palcoscenico l’essere un teatro all’aperto grazie alla versatilità delle sue conformazioni. A seconda, quindi, del tipo di piazza, si configurano spazi profondamente diversi tra loro per i caratteri che le definiscono, ma accomunati dall’essere vuoti, liberi, di uso pubblico, delimitati da edifici. L’ obiettivo è proporre una serie di figure urbane (per questa macrocategoria come per le altre) in modo da definire nuovi strumenti utili sia ad analizzare uno spazio sia a progettarlo, sulla base di una conoscenza dei caratteri del passato e di un loro possibile reimpiego nel presente durante l’ideazione del luogo di aggregazione sociale per eccellenza, qual è la piazza.

1 Dizionario di Italiano, Piazza, Sabatini Coletti

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“ [...] questo spazio circondato da case e fronteggiato dal palazzo municipale sarà la piazza principale, originalissima invenzione europea e prototipo di altre piazze tematizzate in seguito [...] “ Marco Romano, Costruire la città

Il primo elemento individuato all’interno della macrocategoria della piazza è la piazza principale, ovvero la prima tipologia proposta di quello spazio più genericamente definito come “spazio urbano di forma variabile, più o meno ampio, circondato da caseggiati, sito di solito all’incrocio di più strade”2. Nella storia della città prima di tutto è stato il percorso (in tutte le sue forme) a strutturare lo spazio urbano; quando la strada si incrociava con altre, allargandosi, prima assumendo una forma affusolata, poi più regolare, allora si trasformava in una piazza. La sua definizione però, sia sul piano formale che su quello simbolico, ha richiesto più tempo, rintracciabile al momento della nascita dei Comuni.

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Piaz

Princi

Benchè la piazza abbia degli antenati come l’agorà greco o il foro romano, fino al riconoscimento legittimo dei comuni come soggetti politici del mondo feudale nel 1183, non si può, secondo Marco Romano,<<parlare di piazza vera e propria>>; nel momento in cui questa è “materializzazione di un tema sociale radicato nella democrazia cittadina ed espressione della collettività” 3, allora nasce la piazza principale. A seguito della nascita dei comuni, infatti, si edificano i palazzi municipali, simboli delle istituzioni, spesso accanto alle chiese, simboli del potere religioso; tutto lo spazio ,antistante il palazzo e i fronti delle case vicine, diventa la piazza civile, cuore della socializzazione


zza

ipale

cittadina, luogo in cui ci si riunisce per cercare la propria identità sociale e per esprimere i propri diritti. Il palazzo municipale diventa, quindi, ciò che caratterizza lo spazio pubblico esterno antistante, più ampio, direttamente connesso ad esso e luogo dell’assemblea di tutta la cittadinanza. Questo spazio non è poi così diverso dall’agorà delle città greche sia in quanto dedicato alle assemblee cittadine, sia nell’articolazione morfologica di luogo aperto ma delimitato da edifici senza evidente continuità. Rispetto, invece, al foro romano, la piazza principale medievale presenta più caratteri di diversità dovuti sia ai diversi impianti stradali adottati (ortogonale quello romano, più complesso

e articolato quello medievale) sia per le molteplici attrezzature pubbliche presenti nelle città di epoca romana (foro,basilica,terme,anfiteatro, teatro, tempio),. Durante il Basso Medioevo, infatti, le città subiscono parecchie trasformazioni nella struttura urbana rispetto a quella utilizzata in epoca romana: gli impianti non sono più sempre ortogonali, le strade sono tracciate secondo regole differenti, e di conseguenza, anche le piazze, si sviluppano secondo caratteri propri. Piazza del Campo a Siena, uno degli esempi più noti al mondo, deve la sua originale forma a conchiglia e naturale pendenza al fatto che prima della nascita dei Comuni questo spazio era una delle parti

1 Dizionario di Italiano, Piazza, Sabatini Coletti 3 Marco Romano, Costruire la città, Skira , 2004, pp. 39

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Piazza del Campo Siena

di confine di città che faceva defluire le acque nei campi circostanti (da cui deriva il suo nome); quando nuove forme di potere si stabiliscono in città e modificano le funzioni di alcune architetture, anche lo spazio deve essere ri-organizzato. Quando il Palazzo del Comune viene costruito in Piazza del Campo, allora questa diventa una piazza comunale, in quanto spazio

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antistante al palazzo pubblico cittadino, e principale perchè luogo che favorisce lo scambio sociale e le relazioni umane. Come quest’ultimo, sono innumerevoli gli esempi di piazze principali di città italiane, nate in seguito all’affermazione dei Comuni, che si potrebbero citare, una per ogni comune esistente; allo stesso modo nel resto d’Europa le piazze princi-


pali coincidono con quelle su cui si affacciano gli edifici principali del governo della città. La Grand Place di Bruxelles è, per questo, un esempio significativo: fino al XIII sec. area paludosa nella quale si svolge il mercato all’aperto, diventa sede del potere municipale agli inizi del XIV sec. con la costruzione del Municipio, l’Hotel

de Ville, di fronte al quale, nello stesso periodo, quello che era il mercato del pane perde la funzione commerciale e diventa luogo di Giustizia, la Maison du Roi; seguono a questi due edifici i lavori di costruzione delle residenze dei ricchi mercanti e le sedi delle potenti Corporazioni. Da quel momento in avanti la Grand Place diventa la

Grand Place

Bruxelles

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Santa Maria de Tormes Town Hall Salamanca

piazza principale della città fiamminga, sede del potere politico e luogo di adunanza cittadina. Oggi la piazza principale continua a configurarsi molto spesso come spazio antistante al palazzo del governo cittadino: questo accade, per lo più, nelle città o di recente fondazione o di piccole dimensioni , come nel caso della cittadina spagnola di Santa Maria de Tormes e della sua nuova Town Hall. Lo studio d’architettura Sanchez

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Gil Arquitectos ha progettato recentemente il nuovo Municipio della città, pensato contemporaneamente allo spazio pubblico antistante, come se l’uno avesse generato l’altro e viceversa: una piazza ellittica, in pendenza, ispirata a grandi esempi storici (Piazza San Pietro e Piazza Campidoglio a Roma, Piazza del Campo a Siena), viene letteralmente <<abbracciata dal nuovo edificio>> (cit. Sanchez Gil Arquitectos).


Plaza Salvador Dalì Madrid

Se, però, nel caso di piccole città, più o meno recenti, o nei centri storici, le piazze principali possono ancora essere identificate con quelle in cui si affaccia il palazzo municipale, in tanti altri casi così non è. Infatti, in città di dimensioni rilevanti, come ad esempio Madrid, se si dovesse considerare principale la piazza in cui è presente il Palazzo Municipale, allora questa dovrebbe essere la Plaza de la Villa, ovvero lo spazio antistante al

vecchio “Ayuntamiento de Madrid”. In realtà, considerate le dimensioni della città, può definirsi principale (probabilmente) anche una piazza di quartiere, come Plaza Salvador Dalì ubicata in Goya, poichè, a dar carattere ad uno spazio urbano, non sono solo gli edifici che vi insistono ma anche il significato attribuito dai cittadini stessi che quotidianamente si appropriano di quella parte di città per condividerlo con gli altri.

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“ [...] la forma delle piazze non deriva da teorizzazioni utili ad enfatizzare il potere, a far ingigantire architetture e a creare prospettive scenografiche, come poi avverà a partire dal Rinascimento [...] “

Piaz

Monum

A. Grohmann, La città medievale, “Storia della città”

Il secondo elemento individuato all’interno della macrocategoria della piazza è la piazza monumentale, ovvero quello spazio urbano caratterizzato dalla bellezza e dall’ uniformità delle architetture che vi si affacciano. Secondo la teoria di Marco Romano l’affermazione di questo tipo di piazza risale al Cinquecento, subito dopo quella della strada monumentale: all’avvento delle signorie nel XVI sec., infatti, dopo aver usato la piazza principale (già caratterizzata dalla presenza del palazzo municipale) per insediarvisi anche con il palazzo della signoria, si pensa a realizzare piazze architettonicamente belle. Nello stesso periodo inizia l’età rinascimentale, caratterizzata dal recupero

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dei modelli classici dell’antichità nel mondo dell’arte e dell’architettura. In tutte le maggiori città europee cominciano da quel momento a proliferare piazze ordinate da edifici ad architettura uniforme, secondo un linguaggio rinascimentale, quindi ispirato alla classicità, come Piazza Pio II a Pienza , definita spesso come “una delle più limpide realizzazioni degli ideali urbanistici del Rinascimento”. È monumentale, dunque, una piazza che viene costruita con il medesimo principio architettonico di tutti gli altri edifici di pregio che ne definiscono i confini: lo spazio urbano che si configura non deriva dalla giustapposizione di oggetti architettonici diversi o per


zza

mentale

linguaggio o per periodo storico di costruzione, come tante piazze di età medievale, ma progettata interamente da un unico architetto, come se tutti gli edifici fossero uno soltanto. Laddove vi sono state preesistenze gotiche, infatti, si è ricorso a un restauro stilistico che potesse coprire e nascondere il linguaggio medievale attraverso quello rinascimentale, come ad esempio avviene a Torino in Piazza Castello, oggetto di numerosi interventi durante il consolidamento dello stato sabaudo nel XVI sec. e dei relativi processi di ammodernamento della città. La piazza monumentale, quindi, progettata da un unico architetto secondo i canoni architettonici rinascimentali, è, nella visione di

“ [...] piazza caratterizzata dalla sua bellezza architettonica…tematizzata proprio dal solo fatto della sua architettura uniforme, in sé stesso uno specifico tema della civitas [...] “ Marco Romano, Costruire la città

Marco Romano, tematizzata dalla bellezza incarnata dai palazzi che si affacciano sulla piazza stessa, secondo un’aspirazione estetica nata già nel clima comunale e poi declinata nei termini dell’architettura rinascimentale. Oltre al linguaggio architettonico, ciò che fa la differenza in una piazza monumentale è l’impianto planimetrico generale che deve essere regolare e solenne per renderla grandiosa ed extra-ordinaria rispetto a qualsiasi altra piazza presente in città. Un esempio che mostra il rispetto di tutti questi principi sia di organizzazione spaziale sia di tipo formale è Piazza Vittorio Veneto a Torino: edificata nella prima metà del XIX sec., quello che era un’e-

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norme spazio vuoto tra Via Po e il fiume Po diventa una maestosa piazza monumentale, sviluppata secondo un impianto simmetrico e delimitata su tre lati da cortine edilizie continue, tutte porticate al piano terra. Ne risulta uno spazio su cui si affacciano diversi edifici ma che sembrano essere riuniti in uno soltanto grazie all’omogeneità architettonica delle facciate neoclassiche. Ci sono poi tanti altri casi di piazze non costruite dal principio come monumentali, ma diventate tali nel corso del tempo. Piazza del Campidoglio a Roma ne è un esempio: fin dal Medioevo sede dell’amministrazione civile della città, precisamente del senato cittadino, e delle assemblee cittadine, questa piazza è nata come piazza principale a tutti gli effetti in quanto spazio antistante al palazzo di rappresentanza. La catalogazione come piazza monumentale deriva dagli interventi che lo stesso spazio ha subito negli anni e che permettono di definirla tale: agli albori del Rinascimento Rossellino prima, Michelangelo poi, ri-progettano l’attuale piazza trapezoi-

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Piazza Campidoglio Roma

dale su cui già insistevano le due preesistenze del Palazzo Senatorio e del Palazzo dei Conservatori. Le facciate di entrambi gli edifici vengono adeguate ai canoni rinascimentali, ma non unificate architettonicamente così da mantenere il fuoco prospettico sul palazzo senatorio; al fine di espandere tale prospettiva Michelangelo progetta il Palazzo Nuovo, in tutto e per tut-

to speculare a quello dei Conservatori, così che assieme possano inquadrare il vecchio Palazzo Civile. Se si fa riferimento alla teoria dei temi collettivi di Marco Romano come a ciò è <<l’ espressione di un sentimento che crea un tema esteticamente rilevante>>, in questo caso due temi collettivi si sono sovrapposti: quello dei Comuni e quello della bellezza architettoni-

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Place des Vosges Parigi

ca, poichè è una piazza principale a trasformarsi in piazza monumentale. Dunque è il progetto unitario per le facciate che si affacciano su uno spazio a far di questo una piazza monumentale, affinchè il suo carattere sia dato dall’unificazione formale e dalla simmetria dell’impianto planimetrico. Una declinazione della piazza monumentale è rappresentata dalla place royale, lo spazio urbano simbolo per eccellenza di una monarchia, di una signoria e del relativo potere

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detenuto. In questo caso, alle altre caratteristiche, si aggiunge la presenza di un monumento al centro esatto dell’impianto, come, per esempio, in Plaza Mayor a Madrid. Un altro dei casi più noti di questa declinazione di piazza monumentale è Place des Vosges, la prima piazza reale parigina voluta da Enrico IV nel Cinquecento per rappresentare il regno. Costruita con facciate identiche su quattro lati, come se si trattasse di un unico edificio (benchè in realtà siano nove differenti), il centro del-


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Piazzale delle Nazioni Unite Roma

la piazza è occupato da un grosso giardino con al centro un monumento equestre dedicato a Luigi XIII. Questo tipo di piazza caratterizzata dalla sua bellezza architettonica ha continuato a sopravvivere nei secoli; vi sono esempi recenti che lo confermano, soprattutto in città di nuova fondazione o in ampliamenti di città consolidate, come nel caso del Piazzale delle Nazioni Unite a Roma. Situato in zona EUR, è stato progettato e costruito durante il regime fascista nell’ambito del più vasto progetto di espansione ur-

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banistica per l’Esposizione Universale del 1942. La grande piazza, di forma ellittica, viene tagliata in due esedre simmetriche e speculari da Via C. Colombo (proposta nel capitolo precedente come esempio di strada trionfale). L’impianto planimetrico e l’uniformità architettonica dei due palazzi semicircolari e porticati al piano terra (Palazzo dell’INPS e palazzo dell’INA) caratterizzano ognuna delle due esedre, al centro delle quali vi è una grossa fontana, conferendo all’ intera figura urbana un carattere di monumentalità pari a quelle di altri periodi storici.


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Piaz

del me

Il terzo elemento individuato all’interno della macrocategoria della piazza è la piazza del mercato, ovvero quella figura urbana che secondo Marco Romano si afferma, cronologicamente, poco dopo la strada principale e la piazza principale. Fino al XII sec., per tutto l’alto medioevo, il mercato si svolge al di fuori delle mura nei cosiddetti “campi della fiera”; a seguito di grandi trasformazioni nell’organizzazione spaziale cittadina e nella società stessa nel basso medioevo, c’è bisogno di rispondere a nuove esigenze. Tra queste il trasferimento delle attività commerciali dentro le città: in un primo momento si occupano le strade cittadine, che si dotano di spazi porticati al piano terra per acco-

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gliere le botteghe (strade principali); in un secondo momento si coinvolgono anche le piazze principali. Nonostante queste siano già caratterizzate dalla presenza del palazzo municipale, come si è accennato nell’ introduzione alla macrocategoria, la piazza (prima di declinarsi in diverse tipologie) rappresenta uno spazio di aggregazione sociale in cui svolgere la vita pubblica nei tre diversi ambiti: quello politico, quello commerciale, quello religioso, proprio come avveniva nell’agorà in età greca. Per un certo periodo questa compresenza di attività funziona bene, la piazza è fulcro di tutto; quando però la società comincia a differenziarsi in ceti sociali, più o meno alti, più o meno importanti, uno


zza

ercato

spazio che li racchiude tutti insieme, quotidianamente, comincia ad essere inaccettabile. Il rifiuto di questo disordine (sia di attività sia di gerarchie sociali) porta alla nascita di una vera e propria piazza del mercato, cosicchè ogni attività possa avere il proprio spazio. Ne deriva un sistema di piazze, ognuna chiamata a svolgere il proprio ruolo e la propria funzione: luoghi di riti civici e potere ( piazza principale) , luoghi religiosi (piazza della chiesa), luoghi del mercato (piazza del mercato), convivono nella stessa città, come a Firenze, Siena, Palermo, Venezia, Parigi, e tante altre. A differenza delle piazze principali, solitamente costruite assieme all’edificazione del palazzo muni-

“ [...] nascono così le piazze del mercato, siti appartati, tematizzate tutte intorno da case porticate con le loro botteghe…circondate di portici e qualche volta con una halle [...] “ .Marco Romano, Costruire la città

cipale, quelle del mercato sono o costruite appositamente ex novo o si tratta (nella maggior parte dei casi) di spazi ri-adeguati alle nuove esigenze, quindi spesso irregolari perchè adattati agli edifici perimetrali esistenti. Una piazza del mercato altro non è che la materializzazione del commercio in città, uno spazio aperto sia delimitato da edifici (spesso porticati, per offrire passaggi riparati) che ospitano botteghe al piano terra, sia (a volte) caratterizzato dalla presenza di un edificio coperto al centro della piazza, dedicato alla vendita di una precisa tipologia di merci rispetto a quelle commercializzate all’esterno, la cosiddetta halle. Generalmente, quindi, le città han-

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no entrambe le piazze, una principale e una del mercato: nel caso di Siena ad esempio, sempre per ricorrere a uno dei casi più noti al mondo, a seguito dell’abbattimento delle mura, il prato della fiera, esterno alla città, non esiste più. Piazza del Campo, con il suo palazzo del municipio, la sua loggia e altri palazzi civici, diventa piazza principale; poco distante da Piazza del Campo c’è la Piazza della Cattedrale, quella del potere religioso; non molto lontana da questa ed esattamente adiacente a quella civica c’è la Piazza del Mercato, di forma ovale, chiusa da edifici non porticati su tutti i lati, con una tettoia centrale che raccoglie le atti-

vità commerciali che hanno bisogno di riparo. Allo stesso modo la Piazza del Mercato di Cracovia, Rynek Glo’wny, una delle più grandi tra quelle medievali europee, è un esempio di spazio urbano aperto dove si concentrano, contemporaneamente, la vita pubblica, culturale, religiosa, commerciale della città. Il grande carattere di questa piazza è dato dall’edificio che la occupa esattamente al centro fin dal XIII sec., il Mercato dei Tessuti, una halle stretta, estesa nel senso della lunghezza e porticata che, oltre a ospitare funzioni commerciali diverse da quelle esterne, separa spazialmente la parte occidentale Market Square

Cracovia

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Mercato Santa Caterina Barcellona

della piazza (in cui si concentrano le attività commerciali) e quella orientale del potere religioso per la presenza della Basilica di Santa Maria. Tutt’oggi, così come quando è stata progettata nel Medioevo, la piazza polacca mantiene viva lestesse vocazioni. Una piazza del mercato, quindi, è sia quello spazio urbano aperto delimitato da edifici, spesso porticati, con funzione commerciale ai piani terra, sia quello che vede la presenza di un edificio all’interno di una piazza in cui si concentrano l’attività commerciale, l’ aggregazione sociale, lo scambio culturale (halle); non è, invece, un qualsiasi spazio in cui vi è la presenza di un ‘ attività mercatale. A Torino, ad esempio, l’attuale

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Piazza della Repubblica, progettata in origine nel XVIII sec. come una piazza d’armi, a pianta ottagonale e delimitata (in parte) da edifici porticati, cambia presto la sua vocazione diventando la nuova piazza del mercato della città dal XIX sec., in sostituzione a quella storica medievale (Piazza delle Erbe). Oltre ai portici, già presenti, si caratterizza come tale anche grazie alla presenza di quattro grandi padiglioni (tre dei quali ottocenteschi), specializzati nella vendita alcune categorie di merci, separate da quelle commercializzate invece nello spazio esterno. Allo stesso modo a Barcellona il mercato di Santa Caterina viene proposto come esempio di piazza del mercato: seppur in origine la


Market Hall Rotterdam

piazza che lo ospita dal 1848 era il luogo dove sorgeva il medievale Convento di Santa Caterina, questo è un buon esempio di una halle al centro di uno spazio aperto, pensata in tutto e per tutto come una vera e propria piazza mercatale. La nuova stravagante copertura in ceramica multicolore ripara dagli agenti atmosferici e ingloba in un unico spazio le diverse zone del mercato, aggettando anche al di fuori della sagoma di quello che era un convento nel medioevo, poi mercato dall’ottocento, sia per dar l’idea di compenetrazione tra lo spazio esterno e quello interno, estendendosi oltre i confini fisici appunto, sia per essere scorta dalle strade che incrociano la piazza ospitante il mercato.

Il mercato di Santa Caterina, così come la Market Hall di Rotterdam, rappresenta uno degli esempi di questi nuovi spazi mercatali coperti che si configurano come piazze del mercato, concepiti allo stesso modo come luoghi di passaggio e condensatori di attività e scambi tra le persone, economici ma soprattutto sociali. Gli ultimi esempi non vogliono suggerire l’idea che qualsiasi spazio urbano in cui si svolge un mercato all’aperto o in cui vi è un mercato coperto sia identificabile come piazza del mercato, poichè si tratterebbe di un mercato in piazza; non è la funzione a dar carattere a questa figura urbana, bensì sono caratteri morfologici, dimensionali, sociali, a renderla riconoscibile.

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“ [...] piazza architettonicamente non coordinata, d’impianto simmetrico, quadrato o circolare, tematizzata da un giardino pubblico o da un monumento o da un arco trionfale nella parte centrale [...]

Squ

Marco Romoano, Costruire le città

Il quarto elemento individuato all’interno della macrocategoria della piazza è lo square, letteralmente tradotto in italiano quadrato, proprio perchè indica uno spazio urbano d’impianto simmetrico (quadrato, rettangolare, ovale, circolare che sia). Questo tipo di piazza ha origini inglesi: nelle isole britanniche, infatti, indica in genere una piazza nel senso classico del termine, caratterizzata da un giardino pubblico nella parte centrale, come espressione concreta di una delle profonde radici della cultura anglosassone (il verde urbano, per l’appunto). Nel tempo poi, soprattutto a partire dall’Ottocento, lo square si afferma pian piano in tutto il mondo

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come spazio centrale in un isolato, tematizzato dalla presenza o di un giardino o di un monumento o da entrambi, il cui perimetro è circoscritto da una serie di tratti di strada, che lo racchiudono entro confini definiti. Sia in Inghilterra, quindi, sia nel resto del mondo, la parola square indica pur sempre una piazza in quanto spazio aperto, pubblico, circondato da cortine edilizie che lo racchiudono, ma che diventa figura urbana specifica e diversa dalle altre tipologie di piazza se l’ impianto planimetrico è regolare, se è presente il verde e se è spazio “recintato”: quest’ultima caratteristica non indica la necessaria presenza di una barriera fisica che ne limita l’accesso, ma piutto-


uare

sto l’esistenza di qualcosa che lo delimita e lo circoscrive (come ad esempio una strada). Inserire il tipo dello square nella macrocategoria della piazza risulta fondamentale per definire cosa differenzia l’uno dall’altro, così da poter distinguere le figure urbane. Una precisazione linguistica, però, è d’obbligo: se la parola square in tutti i paesi del mondo indica spazi urbani dai connotati e caratteri appena descritti, nei paesi anglosassoni l’uso di questo termine è ambiguo. Infatti la parola “square”, in Inghilterra piuttosto che in Scozia, viene, a volte, usato nella toponomastica dello spazio urbano sia per indicare una piazza, intesa nei suoi caratteri generali di spazio vuoto, aper-

to, delimitato da cortine edilizie, diversamente pavimento rispetto alla strada, sia per denominare questa particolare tipologia proposta all’interno della più generale di piazza, quindi uno spazio ad impianto simmetrico, ben delimitato e circoscritto, con un giardino pubblico centrale e/o una statua, una fontana, un monumento. Questa ambiguità, in ogni caso, riguarda esclusivamente la terminologia, non lo spazio: nonostante la versatilità del termine e i suoi molteplici usi, sul piano formale uno square, quale tipo di piazza, sarà diverso da una piazza chiamata square. Anche in Italia spesso si usa indifferentemente il termine piazza, sia che si tratti di uno slargo sia di una piazza mo-

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Leicester Square Londra

numentale; sono i caratteri dello spazio, non i loro nomi, a permettere la distinzione di uno dall’altro. Vi sono innumerevoli esempi di squares inglesi, risalenti per lo più al XVIII-XIX sec., di dimensioni più o meno variabili, caratterizzati dall’avere una pianta di forma regolare, simmetrica, con un giardino centrale, a sua volta disposto attorno a una fontana o un mo-

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numento: in origine, per la maggior parte, gli squares nascevano come giardini sì all’aperto, ma privati perchè riservati agli abitanti degli edifici che li circoscrivono attorno. Solo successivamente questi sono stati (quasi in tutti i casi) trasformati in spazi pubblici a tutti gli effetti: è il caso di Leicester Square, Saint- James Square, Hanover Square, Grovesnor Squa-


Grovesnor Square

Londra

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Union Square New York City

re, . La lista potrebbe essere ancora lunga per le città anglosassoni; questa figura urbana della piazza, però, non si limita ad affermarsi laddove è nata. Si rintracciano casi esemplari di squares, così come descritto fino ad ora, anche in altri continenti, come nel caso newyor-

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kese di Union Square, la storica intersezione di importanti strade (come la Broadway) nel cuore di Manhattan. Questo spazio è uno square di nome e di fatto: di forma circolare, per metà verde, per metà pavimentato, tutto sembra ruotare alla statua equestre posta nel


Piazza Nember Jesolo Lido

centro, dedicata a George Washington. Questa figura urbana non appartiene solo alla storia passata, ma anche a quella più recente: è il caso di Piazza Nember a Jesolo. Qui, uno snodo del traffico veicolare viene trasformato in un’area dedicata a quello pedonale, attraver-

so la realizzazione di uno square. Nonostante la contraddizione nella toponomastica, che suggerisce più l’idea di una piazza, nel senso generale del termine, si ribadisce che non è il nome a dar carattere ad uno spazio, quanto, invece, la sua forma.

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“ [...] tutte le strade possono dar luogo a un particolare tipo di sequenza, la croce di strade […] uno slargo è costituito dal semplice allargamento della strada principale o di un braccioanche secondario- della croce di strade [...] “ Marco Romano,

Costruire le città

Il quinto elemento individuato all’interno della macrocategoria della piazza è lo slargo, ovvero quello spazio urbano che, per definizione, è “un punto in cui una strada, un fiume o altro si slarga formando uno spazio più ampio “2. Sia che si tratti di un piccolo allargamento di un marciapiede sia di un’isola spartitraffico, lo slargo rappresenta uno spazio che si presta a scambi culturali, che invita a sostare e a svagarsi, che viene definito da fenomeni sociali di aggregazione. Rispetto alle altre categorie, probabilmente quella dello slargo ha origini ancora più antiche, rintracciabili in un periodo precedente a quello di sviluppo della piazza stessa. Se, come afferma Marco

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Slar

Romano, <<uno slargo è costituito dal semplice allargamento della strada principale>>, allora questa figura urbana esiste da sempre nella storia della città. È certo, quindi, che già nella città medievale, lo slargo esiste come uno spazio urbano di uso pubblico, di piccole dimensioni, all’incrocio di due o più strade. Più tardi, a cavallo tra il XIX e XX sec., a seguito degli ampliamenti delle città moderne attraverso nuove parti di città o trasformazioni di quelle più vecchie, nelle quali le strette strade vengono tagliate da quelle nuove, ampie e larghe, gli slarghi diventano sempre più numerosi. A partire dalle città moderne, in molti casi slargo diventa quello


rgo

“[...] Le piazze sono slarghi legati strettamente alle strade che vi confluiscono [...]” Leonardo Benevolo, Storia della città

spazio creato dall’allargamento dei marciapiedi delle strade che si incrociano in un angolo, non più definito da un edifico ad angolo retto, ma da questa figura urbana. Queste aree (trapezoidali piuttosto che triangolari), infatti, che si vengono a formare in prossimità degli incroci di strade sono di dimensioni relativamente piccole rispetto a quelle delle strade ma, non per questo, non rappresentano importanti nodi di scambi culturali, attività creative e ludiche, di relazioni sociali. Mentre, quindi, nelle città medievali, questo tipo di piazza non è voluto e ricercato in modo diretto e lo slargo si forma laddove le strade si allargano, nelle città moderne è la conseguenza di un modo diver-

so di progettare la città: le nuove griglie di percorsi, più ampi e larghi, si incrociano, molte volte, in un angolo definito non più dagli edifici prospicienti le strade, ma da allargamenti delle strade stesse che, in quei punti, tagliando l’angolo degli edifici, si trasformano in porzioni più ampie, caratterizzando un nuovo spazio di uso pubblico. Questo è ciò che accade, ad esempio, in diversi incroci di boulevard progettati nel corso dell’ottocento: a Parigi, in alcuni punti in cui uno dei suoi più noti boulevards (prodotti durante i lavori di trasformazione haussmaniani) incrocia altre strade, si formano slarghi. Nel lungo percorso del Boulevard Saint-Germain, in corrispondenza dell’intersezione con altri percorsi,

2 Hoepli Dizionario Italiano,Definizione di Slargo

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Plaza de la PlaterĂŹa MartĂŹnez Madrid

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St. Germain des Prés Parigi

gli ampi marciapiedi, che già separano gli edifici dai filari alberati, si trasformano negli angoli in ampi slarghi, che, a loro volta, diventano veri e propri spazi di aggregazione sociale, più o meno grandi; le strade, invece, si congiungono in rondò di divisione con altri boulevards. Slarghi, invece, non direttamente progettati, sono presenti sia nella città storica sia in quella contem-

poranea: Plaza de la Platerìa de Martinez a Madrid è un esempio di slargo formatosi naturalmente nel corso del XVIII sec. a seguito della costruzione dell’argenteria da cui prende il nome e dalla semplice intersezione di due strade, Calle de las Huertas e Calle de Moratìn che, confluendo nel Paseo del Prado, definiscono questo spazio trapezoidale. Un tempo area antistante

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Broadway North/Avenue 17 New York

la vecchia argenteria, oggi Plaza de la Plateria de Martinez continua a rappresentare un luogo fortemente simbolico e socialmente riconosciuto. Anche analizzando la situazione contemporanea, si possono individuare diversi tipi di slarghi: prima di tutto quelli ereditati, che diventano occasioni di ri-disegno e riqualificazione urbana. È il caso dei numerosi slarghi appena ri-progettati a Torino all’interno del più ampio progetto di rigenerazione urbana del quartiere di Barriera di Milano, o di uno slargo a Kic Park

3Gatti Architecture Shangai

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New York nei pressi di Union Square, all’incrocio tra Broadway North e l’Avenue 17. In entrambi i casi, nell’ottica di incentivare e promuovere l’aggregazione sociale, oltre a migliorare la qualità estetica urbana, tali aree sono state attrezzate con arredi, verde urbano, statue commemorative, spazi ludici,per invitare i pedoni che li incrociano a sostare, a rallentare i ritmi veloci delle città. Altre volte, invece, ci si può ritrovare a doverne progettare ex novo, ricavati anche all’incrocio di assi


viari ad alto scorrimento, per dare alla città e ai cittadini spazi in cui poter “rallentare” i ritmi frenetici di una metropoli. Un esempio degno di nota, a questo proposito, è quello di Kic Park, a Shangai, un’area triangolare formatasi dall’incrocio di due strade a diversa inclinazione. Si tratta di un’isola spartitraffico disegnata e realizzata come un piccolo giardino urbano all’interno di un’area sopravvissuta all’edificazione all’ingresso delle residenze universitarie del Kic Village: qui spazi dello stare e spazi dell’andare si compenetrano, grazie ad un’attenta e dettagliata progettazione dello spazio che usa una platea lignea sia come percorso (quando resta piatta) sia come arredo urbano (quando invece si piega in diversi modi), alternandosi con il verde urbano. Come per lo slargo, si potrebbe parlare allo stesso modo di aree residuali, spazi vuoti, ferite urbane, che, per quanto piccole o inutile, possiedono tante potenzialità per il loro valore sociale e identitario da poter diventare occasioni importanti di ri-disegno di parti di città. Kic Park

3Gatti Architecture Shangai

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Piaz “ [...] gli elementi lineari diventano una sequenza di occasioni per le attività proprie dello spazio pubblico, una ‘linea’ che struttura le nuove occasioni sotto il profilo architettonico, morfologico e funzionale. “

Line

Angelo Bugatti, Riccardo Dell’Osso, Roberto De Lotto, Abitare il paesaggio Il sesto elemento proposto all’interno della macrocategoria della piazza è la piazza lineare, ovvero quello spazio urbano che presenta, di base, tutte le caratteristiche di una comune piazza come spazio di aggregazione e socializzazione , ma diverso per i suoi caratteri dimensionali e morfologici. Infatti, tra le due dimensioni che solitamente definiscono un impianto planimetrico tradizionale, è la lunghezza a predominare fortemente sulla larghezza; non ci sono esatte proporzioni tra le due, non deve essere in tutto il suo sviluppo longitudinale definito da cortine edilizie, ma di sicuro vi sono elementi comuni distribuiti su tutta la lunghezza che rendono riconoscibile la sua linearità e

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che, al tempo stesso, permettono di caratterizzarla come piazza . Proprio come un parco lineare solitamente si sviluppa seguendo il percorso di una vecchia infrastruttura dismessa, piuttosto che di un corso d’acqua deviato o prosciugato, o altro, allo stesso modo una piazza lineare segue una linea , a volte retta, a volta curva, a volte a zig-zag, altre ancora spezzata, sostituendo, in alcuni casi un vecchio percorso stradale che si è deciso di convertire, cambiandone l’uso, in altri occupando un’area liberata da edifici appositamente per creare una piazza di questo genere, piuttosto che a seguito della dismissione di qualche grossa infrastruttura. Oltre ai principi morfologici e di-


zza

“ [...] sistema lineare di spazio urbano, che segna e marca il paesaggio alla scala territoriale [...] “

eare

Marco Romano, 2011, Laboratorio di Architettura nel Paesaggio

mensionali, vi è un carattere sociale che permette di distinguerla dagli altri tipi di piazza, che risiede nel restituire ai cittadini uno spazio (fino a quel momento inaccessibile) come luogo di sosta e riposo, di aggregazione e di incontro, che possa limitare il traffico veicolare a favore di quello pedonale, di una mobilità dolce attraverso un percorso, lineare per l’appunto, ricco di episodi da scoprire, semplicemente camminando. Questo è ciò che accade a New York a seguito del macro-intervento di rigenerazione urbana che ha trasformato una vecchia infrastruttura ferroviaria dismessa, l’High Line, in un nuovo spazio urbano sviluppato linearmente. In questo caso è la ferrovia sopra-

elevata in disuso a offrire una nuova occasione per la città, un nuovo spazio da restituire ai cittadini. Oggi l’High Line è un percorso sopraelevato, che può assumere a tratti la conformazione di piazza, altre di parco, sviluppato in lunghezza, pensato per essere attraversato, seppur nessuno riesca a camminare senza fermarsi, poichè in ogni punto ci sono storie differenti da osservare e capire, da vivere. In molti casi, infatti, accade che, nello sviluppo lineare di una piazza, ci si ritrovi a transitare davanti a uno svariato numero di elementi, disposti uno dopo l’altro, secondo lo stesso principio progettuale che organizza un parco lineare. Nella maggior parte dei casi, dun-

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Gifu Kitagata Gardens Martha Schwartz Kitagata

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High Line

que, sia che si tratti di un parco, sia di una piazza (purchè sviluppati linearmente), si possono individuare due approcci progettuali: uno, detto ipotattico, se tali elementi sono subordinati tra loro, l’altro, paratattico, se ognuno è coordinato al suo vicino secondo principi comuni, come nel caso del progetto a Kitagata, in Giappone, dell’architetto paesaggista ameri-

cana Marta Schwartz. I Gifu Kitagata Gardens si sviluppano lungo un’area stretta e molto lunga situata al centro tra quattro edifici, quasi come fosse una corte interna degli stessi; sono stati concepiti come giardini, ma in realtà hanno tutte le caratteristiche per essere considerati, nell’insieme, un’unica piazza lineare, estesa per tutto lo spazio a disposizione in una suc-

Diller Scofidio+Renfro New York

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Superkilen

BIG e Topotek1 Copenhagen

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cessione continua di episodi differenti ma coordinati tra loro per appartenenza al mondo naturalistico. Gli stessi principi hanno fatto del Superkilen a Copenaghen la piazza lineare meglio concepita nel mondo (fino ad ora) : un’area lunga mezzo miglio attraversa il tessuto della città danese, curvandosi e spezzandosi a tratti, raccogliendo una serie di oggetti provenienti da diverse tradizioni culturali di tutto il mondo, proprio come celebrazione della diversità , come esposizione all’aperto di oltre sessanta

nazionalità differenti. Nel dettaglio si suddivide in tre grosse macro-aree: la red-square incentrata sui modi di vivere dell’età contemporanea, il black-market pensato come una più classica piazza di quartiere in cui gli abitanti possano incontrarsi e socializzare , il green-park, interamente verde, che con le sue colline artificiali, alberi e piantagioni, invita a sostare e a rilassarsi. Nella sua totalità, a legare le tre parti, vi è il suo sviluppo lineare e continuo e l’aver usato oggetti progettati da culture diverse e provenienti dal mondo intero.


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“ [...] è una piazza che si configura come una sorta di palcoscenico urbano dall’utilizzo flessibile [...]“ Franco Mancuso, La piazza nella città europea

Il settimo e ultimo elemento proposto all’interno della macrocategoria della piazza è la piazza palcoscenico, un nuovo tipo non ancora ben codificato, seppur ormai ampiamente diffuso. Si tratta di uno spazio urbano che, come nelle piazze tradizionali, è quello in cui ci si muove a piedi, si incontrano i cittadini, promotore di fenomeni di riappropriazione civile e sociale, ma che al tempo stesso presenta una fondamentale diversità rispetto agli altri tipi: la dinamicità. Infatti, ciò che lo rende diverso dalle altre figure urbane presentate all’interno della categoria, è l’essere pensata come la scenografia di possibili eventi e/o spettacoli, temporanei, spontanei e non.

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Piaz

Palcosc

Le piazze, più in generale, sono da sempre il cuore del centro urbano, punti focali nel tessuto e spazi pubblici per eccellenza, dall’agorà greco al forum romano, dalle piazze nate a partire dal Medioevo (piazza della chiesa, piazza del mercato, piazza principale) a quelle consolidatesi dal Rinascimento e fino alla Rivoluzione Industriale (piazza monumentale, square, slargo, etc.) . Agli inizi del XX sec., invece, gli spazi urbani subiscono metamorfosi importanti con la supremazia del funzionalismo modernista sull’ estetica, lasciando spazio a innovazioni lessicali che concentrano l’attenzione più sul costruito che sul non costruito; più tardi, a seguito dei conflitti bellici e della ne-


zza

cenico

“ [...] un palcoscenico urbano per un uso combinato e imprevedibile degli spazi, sagrato simbolico di nuove funzioni urbane [...]“ Riccardo Dell’ Osso, Spazi pubblici contemporanei

cessità di ricostruire le città, nuovi strumenti urbanistici (come standard e zoning) vengono messi a punto per orientare meglio il loro sviluppo e la loro crescita. Le piazze, nello specifico, non rientrano tra le priorità della progettazione urbana della seconda metà del XX sec.; solo più tardi, in particolare a partire dagli anni novanta, appena dopo il successo delle iniziative condotte in Spagna, sembra che sia stato riscoperto il ruolo dello spazio pubblico nella qualità di vita di ogni cittadino, come punto da cui ripartire per poter ri-vivere la città. Nel frattempo la società, nel corso del secolo scorso, è cambiata nei modi di vivere quotidiani, di pensare, di percepire il mondo e

la convivenza umana; c’è bisogno, quindi, di spazi progettati certamente seguendo i principi che hanno reso per secoli riconoscibili quelli della tradizione europea, ma reinterpretati secondo le nuove esigenze di una società sempre più bombardata dalle innovazioni tecnologiche, sempre più veloce, in movimento e in continuo rinnovamento. Per tutti questi motivi nasce la piazza palcoscenico, non più statica ma dinamica, interattiva, come se fosse lo spazio urbano il luogo su cui mettere in moto azioni sceniche, una sorta di teatro all’aperto in cui i cittadini non fanno più da spettatori ma sono loro stessi gli attori. Un esempio rappresentativo di

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questa figura urbana recente è Schouwburgplein, a Rotterdam, più conosciuta come Theatre Square (copertina di un gran numero di riviste e libri come esempio di spazio pubblico contemporaneo) per via della presenza del teatro della città. Quando lo studio di architettura West 8 pensa a questo intervento architettonico negli anni novanta vuole conferire a tale spazio caratteri peculiari, che rispecchino la società contemporanea: rialzando la piazza di 35 cm rispetto

alla quota stradale e ai percorsi circostanti, già la configura come una sorta di palcoscenico urbano dall’utilizzo flessibile, regalando alla città uno spazio sì per la vita di tutti i giorni ma che possa assumere configurazioni diverse quotidianamente, soprattutto grazie a quattro grandi rosse gru che, oltre a illuminare la piazza, possono essere messe in movimento dai fruitori, dai nuovi attori, a proprio piacimento per nuovi usi e funzioni. L’intera area diventa, quindi, l’estensione del teatro che insiste

Shouwburgplein

West 8 Rotterdam

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sulla piazza, come spazio di sperimentazioni sociali e tecnologiche. Questi stessi principi sono quelli che hanno caratterizzato il progetto a Montreal per Place Émilie-Gamelin, una piazza formatasi a seguito della progettazione della linea metropolitana della città canadese, come copertura di una delle fermate, durante gli anni sessanta. Dopo un certo periodo di abbandono, si decide di ripensarla in un’ottica nuova e diversa, sfruttando anche la posizione adiacen-

te ai Jardins Gamelin, per farne uno spazio dinamico e attrattivo. L’area accoglie di mese in mese conformazioni differenti, affinchè si promuovano esperienze sempre diverse: in una delle più recenti, una sua parte si è trasformata in una grossa scacchiera colorata di celeste ( tanto da essere ora nota a molti come Pool Square) per offrire uno spazio ludico e di socializzazione che faccia sentire i fruitori veri protagonisti della scena teatrale urbana.

Place Émilie-Gamelin

Montreal

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Mar

Belvedere

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Waterfront


rgine

Argine

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“Elemento lineare non usato o considerato come percorso dall’osservatore; confine tra due diverse fasi, interruzioni lineari di continuità; barriera piu o meno penetrabile, o sutura, linea secondo la quale due zone sono messe in relazione” Kevin Lynch, L’immagine della città

“ Andare verso il margine, vivere la liminarità, stare sul confine richiede a ciascuno di noi la disponibilità e la volontà di compiere un’ esperienza […] “ Significati del confine, Zanini P. Nella storia dell’immagine della città il margine è sempre stato un elemento ben visibile: fino al Medioevo le città europee erano delimitate da cinta murarie che non solo ne definivano il confine giuridico, ma costituivano fisicamente una protezione alla città stessa. Possono essere considerate aree di margine quelle in prossimità di un corso d’acqua, piuttosto che quelle che sorgono lungo importanti infrastrutture di trasporto: strade che circoscrivono un quartiere piuttosto che sentieri che costeggiano un bosco o filari di alberi che delimitano un campo coltivato. Il margine, quindi, può essere individuato in un elemento di separazione, posto tra contesti differenti: talvolta è il margine che crea

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contesti differenti (ad esempio un anello di tangenziale che divide centro città da periferia), altre volte sono contesti differenti che creano un margine ( ad esempio la battigia che separa il mare dalla terraferma). Nella città storica il margine era un elemento meglio definito e riconoscibile; oggi, al contrario, a causa della dispersione senza limiti delle città è andato perso quel distacco netto tra centro urbano e campagna, si sono creati nuovi territori urbani, nei quali i confini sono sempre più sfumati e confusi, meno visibili ma non per questo motivo scomparsi. Oggi possiamo riconoscere nuove tipologie di margine, dalle forme e dimensioni differenti: ne è un


“ […] concetto che rimanda a una molteplicità di situazioni che stanno in adiacenza a qualcosa di fisicamente riconoscibile che ha un confine, un limite percepibile […] sono le aree di prossimità di un centro urbano, quelle disposte lungo un’infrastruttura di trasporto e di un corso d’acqua ” M. Cristina Treu, Il bordo e il margine componenti dello spazio pubblico urbano

esempio il belvedere, un artefatto architettonico che permette di avere la posizione e la distanza adatta per poter ammirare paesaggi naturali piuttosto che artificiali; un altro esempio può essere rappresentato da una striscia di territorio limitata, che si sviluppa come linea di confine, posta a separazione tra un elemento naturale, come un corso d’acqua, ed un centro urbanizzato. In una concezione contemporanea della forma urbana, risulta quindi fondamentale il progetto di questi elementi di confine: sono parte integrante della percezione urbana, strutture di cerniera che collegano diverse realtà, tracciati lungo i quali si succedono storie ed episodi o al contrario spazi fissi e inter-

clusi da cui poter osservare e valutare ciò che sta dall’uno e dall’altro lato rispetto al confine stesso. A differenza di un limite, di una soglia, il margine è un bordo fisico, concreto, mai ideale, sempre posto in diretta adiacenza a elementi fisicamente riconoscibile; è, dunque, necessario proporlo come uno strumento utile per la progettazione degli spazi urbani, poichè è un elemento che acquisisce importanza, dimensione e significato in qualità di ambiente non più impermeabile, come nella città storica, ma permeabile come un territorio posto tra un’entità spaziale del tutto accessibile ed un’altra spesso invalicabile .

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“ […] è una struttura architettonica chiamata così per le sue aperture verso l’esterno. Questo può essere costruito nella parte più alta di un edificio o di un luogo elevato, architettonicamente configurato al fine di mostrare il panorama, il bel vedere [...] “

Belve

Nikolaus Pevsner, Dizionario di Architettura

Il primo elemento proposto all’interno della macrocategoria del margine è Il belvedere, ovvero quella figura urbana che si afferma solo a partire dal Basso Medioevo, assieme alla nascita del concetto di paesaggio. Come descritto nei capitoli precedenti, le città, durante l’ alto medioevo, erano pressochè scomparse; di conseguenza non si parla di paesaggio perchè si vive dentro di esso, manca quindi la distanza necessaria da cui guardarlo e osservarlo. Gli unici riferimenti ad esso erano quelli legati al mondo greco e latino: luoghi arcadici, idilliaci, ideali dove coltivare l’ otium grazie a contesti naturali perfetti. Solo più tardi, grazie alla nascita di nuove

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città in concomitanza allo sviluppo dei Comuni, questo contrasto tra mondo urbano e mondo naturale riemerge: si ricomincia a parlare di paesaggio come qualcosa da osservare e contemplare. Questa dicotomia tra città e campagna si concretizza con la costruzione delle prime ville in campagna, identificate come edifici per vivere nel paesaggio; alle ville si sommano pian piano sempre più espedienti architettonici costruiti appositamente per contemplare il paesaggio: logge, finestre e terrazzi, luoghi fissi da cui poter ammirare il contrasto tra due mondi differenti. Si afferma così, proprio da questo periodo storico, un nuovo tipo architettonico, sviluppato a scala


edere

“ Struttura aperta ai lati e al vertice di un edificio e che, come un balcone, offre un punto vantaggioso da cui ammirare il panorama “ Dizionario Garzanti linguistica

territoriale: il belvedere. Questo rappresenta la concretizzazione della dicotomia tra mondo civilizzato e mondo selvaggio, uno spazio privilegiato da cui ammirare un paesaggio, un mondo diverso da quello urbanizzato. Nei secoli successivi, durante il Rinascimento si assiste a una proliferazione delle ville extra-urbane, in particolare in Italia ed in Francia; i signori abbienti ne desiderano una per potersi dedicare all’ozio: l’esempio più noto è La Rotonda palladiana, una villa perfettamente simmetrica su tutti e quattro i lati, ognuno dei quali è un belvedere: in un caso verso il bosco, in un altro verso il fiume, in un’ altro ancora verso la strada piuttosto che verso i campi agricoli.

Questo stesso concetto continua a essere presente nel corso dei secoli, può essere inteso come belvedere qualsivoglia luogo sopraelevato rispetto alle quote circostanti da cui si può ammirare un paesaggio. Uno dei più conosciuti in Italia è Piazzale Michelangelo a Firenze che, dalla cima di un colle affacciato sull’Arno, permette di osservare l’intera estensione della cittadina, ponendosi come margine tra ciò che c’è al di là del fiume (Firenze) e ciò che c’è al di qua (la campagna). Di esempi analoghi se ne potrebbero indicare numerosissimi, dalla città medievale in poi laddove non erano presenti punti di osservazione privilegiati ne sono stati creati di nuovi.

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Piazzale Michelangelo Firenze

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The Warp

Oggi invece la differenza fondamentale sta nel fatto che questo elemento che indica un confine non vuol più essere necessariamente una struttura di cerniera tra città e campagna ma molto spesso si tratta di un elemento inserito in un contesto densamente urbanizzato: con la costruzione di torri e grattacieli nelle città più sviluppate è usuale trasformarne i tetti in punti di osservazione da cui guardare verso la città stessa.

Nascono,così, nuovi belvedere, per contemplare e apprezzare la grandiosità degli edifici e l’ estensione della città contemporanea, per riconoscerne i margini, individuati in una serie di elementi che dal basso non sarebbero percepibili. In altri casi, al contrario, un belvedere può posizionarsi in un contesto del tutto naturalistico e non urbanizzato. Questo è il caso di The Warp: una piattaforma in legno, deformandosi, conduce il visi-

John Lin Cina

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tatore verso un punto rialzato, da cui godere della vista migliore. Allo stesso modo e per gli stessi motivi in Norvegia è stata realizzata, sulla cima di una delle più importanti catene montuose nazionali, una piattaforma in corten, aggettante rispetto allo strato roccioso, protesa verso l’infinito, in modo da invitare il visitatore ad andar fino alla punta e a fermarsi lì, immobile, incantato da ciò che

si trova davanti: il Trollstigen, letteralmente la strada dei Troll, uno dei sentieri veicolari tra i più noti al mondo, un intervento che ha trasformato il paesaggio per adeguarlo alle esigenze umane. In questo modo il visitatore si trova ad ammirare la grandezza straordinaria della natura e contemporaneamente la potenza e l’abilità dell’uomo che ha agito su un patrimonio naturalistico dominante.

Trollstigen

Reiulf Ramstad Arkitekter Norvegia

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“ […] nella parola waterfront è contenuto il termine fronte, assimilabile alle parole limite, bordo, da intendersi come “fascia di territorio” dove si incontrano identità diverse come l’acqua e la terraferma […] Il secondo termine è l’acqua, sede di vita e di risorse, ma anche di minaccia (mareggiate, esondazioni, incursioni) […] l’uomo ha ridisegnato questo affascinante limite [...] “

Water

Waterfront: significato, problematiche e possibilità di sviluppo, Accademia dei Georgofili Il secondo elemento proposto all’interno della macrocategoria del margine è il waterfront, profondamente diverso dal belvedere per dimensioni e conformazione, ma simile per significato. Questo tipo di margine indica quello spazio costituito da una fascia di territorio, molto vasta, che segna un margine tra entità diverse, in particolare tra un corso d’acqua (che sia mare, fiume, lago o torrente) e un’area diversamente fluida, un centro urbano o extraurbano. Si tratta quindi di uno spazio territoriale a stretto contatto con l’acqua, il fronte per l’appunto, diventato un tema di progettazione molto attuale negli ultimi anni poichè, data la sua grande estensione territoriale, coinvolge ambiti diffe-

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renti, rurali e urbani, composti da città e territori che si sviluppano lungo canali, fiumi, o mare. Pensare a un waterfront paragonandolo semplicemente ad un lungomare sarebbe banale e sbagliato perchè esso non riguarda semplicemente lo spazio antistante un corso d’acqua che può essere risistemato a livello di suolo in modo da migliorarne l’immagine e la qualità. Si tratta di molto di più: il waterfront è, spesso, il risultato di interventi che interessano aree sottratte alla città industriale, cambi di funzione che mettono in moto riconversioni profonde e rigenerazioni vere e proprie di interi ambiti cittadini. Nei secoli l’uomo, infatti, ha spesso costruito in tali luoghi infrastrut-


rfront

“ […] inteso come spazio di mezzo, come margine tra due parti ormai distinte, autonome, in conflitto[...] “ Rosario Pavia-Matteo Di Venosa, Waterfront

ture ed edifici (aree portuali, docks, magazzini, mercati coperti,...) a servizio degli scambi commerciali tra le città, che avvenivano in primo luogo lungo i corsi d’acqua, modellati e ridisegnati secondo nuove vocazioni funzionali. Nel momento in cui tali opere infrastrutturali sono state dismesse, ci si è ritrovati a fare i conti con vastissime aree di territorio molte volte prospicienti all’acqua ,lugubri e abbandonate. Come da trent’anni si parla di interventi di recupero e rifunzionalizzazione dei manufatti architettonici appartenenti all’epoca industriale, le grandi rifunzionalizzazioni hanno coinvolto non solo i singoli edifici ma le più vaste infrastrutture a servizio dell’industria.

Questi spazi infatti possiedono grandi potenziali in quanto non sono semplicemente una linea, non sono solo una superficie lineare estesa per chilometri, sono una rete di luoghi e funzioni differenti, non hanno confini definiti, tantomeno un perimetro chiuso, al contrario sono permeabili e multiformi. I waterfront, dunque, costituiscono un’ efficace collegamento, strisce che ricuciono la costa alla città ed alle attività urbane, in quanto sono formate da un mix di attività, funzioni e spazi, con identità plurime e molti potenziali sviluppi; abbandonare tali aree, sottovalutandole, sarebbe una grave perdita; conservarle semplicemente come musei archeologici infrastruttura-

1 Waterfront, Accademia dei Georgofili

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li non avrebbe senso; c’è bisogno, invece, di sintetizzare nella giusta misura la tutela dell’identità di questi luoghi, in base a ciò che rappresentavano in passato, e la creazione di prospettive durature di sviluppo futuro. In questo senso, da alcuni anni, si parla di “waterfront redevelopment” inteso come processo che, partendo da un insieme di “frammenti”, arrivi a un disegno organico di sviluppo del tessuto territoriale, ripensando alle funzioni dei luoghi e dei diversi ambiti, legati dalla comune matrice territoriale dell’elemento acqua”1; questa par-

ticolare attenzione a far rinascere i waterfront si sta sviluppando in tutto il mondo. Esempio significativo è quello di Vancouver, in Canada, dove nel recente intervento di rigenerazione urbana del Southeast False Creek Waterfront , l’ ex cuore industriale della città è stato pian piano dismesso e trasformato in occasione delle olimpiadi invernali del 2010. Il risultato odierno è un quartiere che accoglie una mixitè incredibile di funzioni, a carattere prevalentemente residenziale; architettura e pianificazione urbana sono riuscite

Southeast false creek

LAUD8 Vancouver

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a trasformare uno spazio con una secolare storia industriale in un ambiente più vivibile, di qualità superiore, attraverso la commistione tra spazi ricreativi, residenze, mercati, spazi pubblici, memorie storiche e paesaggi suggestivi da ammirare nell’immediato intorno. I waterfront, quindi, riflettono sostanzialmente i cambiamenti tecnologici, economici e sociali del contesto: basti pensare ai docks di Londra, oggi trasformati nel terzo polo per uffici della metropoli, piuttosto che al waterfront di Bilbao, nato dalla necessità di

adeguarsi a nuove esigenze economiche e di mercato. Dismesse le attività industriali, sono tornate a disposizione della città nuove aree, un tempo periferiche, oggi inglobate nel tessuto cittadino; perchè non partire proprio da queste per migliorare la qualità dello spazio urbano, in modo da realizzare una città che sappia offrire servizi polifunzionali e collettivi? La rifunzionalizzazione e la ridefinizione di un waterfront è fondamentale per rivalutare un’area ,promuovendone la rinascita, lo sviluppo e la crescita.

Waterfront

Balmori Associates Bilbao

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“ La sponda considerata nella sua maggiore altezza rispetto all’alveo di un corso d’acqua [...] terrapieno artificiale di contenimento di un corso d’acqua, costruito lungo le rive [...] “

Arg

Dizionario Garzanti linguistica

Il terzo e ultimo elemento proposto all’interno della macrocategoria del margine è l’argine, in inglese riverbank, che, così come il waterfront, ha la funzione di cerniera ed allo stesso tempo di separazione tra elementi naturali ed elementi artificiali; diversamente dal tipo di margine precedente, le dimensioni di un argine sono molto più limitate e la forma più definita rispetto al waterfront. Si tratta infatti di una striscia di territorio con un perimetro più o meno definito, una vera e propria linea di confine sottratta al mondo naturale per essere artificiale, che separa due entità differenti, solitamente spazio che si frappone tra il waterfront stesso e l’entità altra.

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Da un lato protegge il centro urbanizzato e l’uomo da probabili minacce (esondazioni, incursioni, mareggiate) ed allo stesso tempo offre loro una superficie limite da cui osservare la diversità, un punto in cui comprendere di essere al margine. Fin da quando l’uomo ha iniziato a costruire i primi insediamenti, questi si sono sviluppati proprio a partire da territori attraversati da corsi d’acqua, elemento fondamentale per il sostentamento della civiltà che vi abitava; tuttavia l’acqua è vitale quanto potenzialmente distruttiva: da quando esistono città lungo i fiumi questi sono stati sempre delimitati da argini, posti a difesa di possibili esondazioni. Questi erano in generale realizzati


gine

come terrapieni, di diverse forme e altezze a seconda del luogo, con la funzione di contenimento delle acque in caso di piena di un fiume. Parallelamente allo sviluppo delle civiltà ed all’ampliamento delle città è venuta meno la necessità di vicinanza diretta a un corso d’acqua grazie a infrastrutture territoriali che ne garantivano il trasporto, anche da luoghi lontani. Gli argini sono così diventati opere di protezione e difesa, non più da percorrere, attraversare o vivere, ma in molti casi abbandonati in condizioni di degrado e sporcizia. Per molto tempo ci si è quasi dimenticati della loro esistenza, quasi come se persa una delle loro funzioni originarie essi non avessero più alcuna ragione di esiste-

re, se non appunto come barriera, margine tra l’acqua ed il costruito. Quando però tutti i giorni ci si ritrova ad attraversare un ponte per superare un corso d’acqua lo sguardo, nella maggior parte dei casi, si sposta sul bordo del fiume a voler capire cosa succede lungo le rive di quest’ultimo; spesso non si è consapevoli di attraversare un vero e proprio margine, un bordo, che merita di essere valorizzato in quanto elemento cerniera tra il contesto naturale e l’artificiale. Anche gli argini, dunque, come linee di separazione tra due situazioni differenti, delimitando l’alveo di un fiume e proteggendo i territori limitrofi, diventano confini fisici e concreti; tuttavia questa loro identità, questa funzione di

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delimitazione, li ha portati spesso ad essere semplicemente intesi come spazi residuali, con la mera funzione specifica di protezione, null’altro. Oggi occorre un progetto di piano che cambi la loro immagine, attribuendogli nuove funzioni, restituendoli di diritto come parte integrante dell’immagine della città pubblica. L’argine diventa, così, quello spazio fisso e intercluso tra acqua e

costruito, posto alla giusta distanza per poter osservare e valutare ciò che sta dall’uno e dall’altro lato rispetto al margine stesso. Vi sono casi eccelsi di trasformazione di argini, come quello sloveno nella città di Velenje, la Pedestrian Zone Promenade. Un intervento di rifunzionalizzazione delle sponde del fiume che attraversava la città ha trasformato l’argine nel fulcro del nucleo urbano, un nuovo elemento pre-

Velenje pedestrian zone

Enota Slovenia

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Rivermouth

A24 Landschafts Architektur Gmund

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dominante nell’identità sociale; questo grazie alla trasformazione di una porzione di territorio abbandonato in un argine attrattivo, un’anfiteatro all’aperto che dal livello strada degrada lentamente verso il fiume. Ne risulta uno spazio ibrido tra il caos urbano ed il fiume, uno spazio racchiuso in cui sostare, guardare, ascoltare e rilassarsi; allo stesso modo il nuovo riverbank della città tedesca di Gmund, riattribuisce

importanza alla foce del fiume che la attraversa, conferendo nuove relazioni tra gli abitanti e l’ acqua, attraverso un elemento di margine che li tiene separati ma allo stesso tempo uniti. Questi nuovi spazi aperti lungo il corso d’acqua diventano attraenti, rafforzando il nucleo urbano e offrendo nuove possibilità, nuove prospettive, ma soprattutto restituendo alla città un’immagine pubblica qualitativamente molto superiore.


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Sog

Varco

Recinto

Muro Perimetrale

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glia

Cortina Edilizia

Marciapiede

Gradonata

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“ […] una soglia è anzitutto qualcosa che si pone “fra” due “cose”.In quanto tale, essa equivarrebbe a uno spazio di passaggio, ma anche di demarcazione, di differenziazione. La soglia mette in comunicazione due luoghi, due territori, due ambiti distinguendoli [...] “ Andrea Altobrando, Definire la soglia

La quarta categoria individuata nell’ambito della definizione degli elementi che compongono e caratterizzano lo spazio urbano è la soglia, che differisce dal margine , presentato nel capitolo precedente, sia fisicamente, ma soprattutto concettualmente. Quando si parla di soglia si fa riferimento a quegli elementi architettonici, fisicamente concreti, che definiscono un limite, separando entità differenti non sul piano fisico ma su quello concettuale. Come si potrà notare nel corso del capitolo, sono stati individuati come soglia elementi differenti tra loro sia per caratteri morfologici che funzionali, ma tutti atti a separare due spazi o almeno a segnalarne la diversità tra l’una e

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l’altra parte. Nel caso della categoria del varco, il concetto di soglia viene espresso sia attraverso un’ oggetto che simboleggia l’ingresso e l’uscita (è il caso di una porta trionfale alla città), sia con un elemento che è soglia tra luce e buio, tra livello strada e livello sotterraneo, tra ciò che si conosce e ciò che è ignoto (è il caso di un ingresso alla metropolitana); nel caso invece di un recinto o di un muro perimetrale è il loro perimetro chiuso in sè stesso a far di questi delle soglie che dividono due ambienti differenti e diversificati tra loro per matericità e permeabilità; una gradonata, invece, è il limite tra due spazi situati a due livelli diversi, dunque l’elemento soglia è contemporanea-


“ […] è l’espressione emblematica del limite, ovvero l’intervallo che si trova tra due fronti opposti senza mai coincidere con uno di essi. Essa è identificabile come contorno della forma tra sfondo e figura ed “è (…) un tramite concettuale dell’ingresso e dell’uscita, sipario tra il giorno e la notte, nesso intercorrente tra il cognito e l’incognito [...] “ Sergio Crotti, Figure architettoniche: soglia, 2000

mente separazione e unione, perchè elemento che viene percorso per accedere all’una o all’altra parte; ancora, sono soglie elementi architettonici come il marciapiede, in quanto percorso privilegiato che separa il traffico carrabile da quello pedonale, oppure manufatti architettonici come le cortine edilizie degli edifici che segnano il confine, il perimetro, il limite di uno spazio aperto (vuoto, inteso come il calco negativo dell’edificato), lungo un asse di sviluppo dei fabbricati. Rispetto al margine la soglia, seppur definita da elementi pienamente fisici, è più labile: spesso separa elementi di difficile comprensione e distinzione, i quali non hanno natura fisica completamente opposta (come l’artificio

e la natura nel caso del margine); separa ambiti spesso immateriali, non tangibili fisicamente, ma predeterminati: un dentro o un fuori, un sopra o un sotto, attraverso elementi architettonici costruiti e pensati appositamente per determinare un limite, per dividere due entità immateriali l’una dall’altra. Ancor più che nel caso precedente, il progetto di piano dei manufatti che delineano una soglia è fondamentale perchè siano efficaci e raggiungano lo scopo per cui vengono pensati, sia per la buona riuscita del loro significato intrinseco di elementi di separazione, sia perchè contribuiscono anch’essi a determinare una nuova immagine della città.

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“ […] anche “entrare” (articolato in: attendere, varcare, essere accolti) è, in definitiva, solo un verbo all’infinito cui l’architettura dà una interpretazione in termini spaziali e culturali. Se la funzione del varco è quindi “far passare”, quale è la forma che lo connota come tale? Le forme date al passaggio sono varie, diverse, tutte corrispondenti ad uno stesso bisogno astratto e tutte interpreti originali di un medesimo tema architettonico [...] “ Barbara Bogoni, Internità della soglia, 2006

Il primo elemento proposto all’interno della macrocategoria della sorglia è il varco, ovvero quel particolare manufatto architettonico che consente di “far passare” tra un dentro ed un fuori, denotando di conseguenza un movimento del fruitore. A differenza delle categorie analizzate fino ad ora, quella del varco può essere considerata un po’ più astratta, quasi legata più ad un aspetto teorico che reale, un susseguirsi di considerazioni e ragionamenti sul concetto di varco inteso come limite attraversabile. Partendo dall’affermazione di Le Corbusier, secondo il quale “il fuori è sempre un dentro”, possiamo dedurre che l’uomo si trova sempre all’interno di uno spazio, nel qua-

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le si muove superando continuamente linee più o meno percepibili e più o meno definite, che separano oppure uniscono. Queste linee sono, quindi, interposte tra due spazi con determinate specificità, riconoscibili perchè separati e delimitati da varchi. Questi ultimi sono caratterizzati dalla presenza di un punto, di una linea, di una superficie o di un ambiente tridimensionale a cui è affidato il compito del passare attraverso, letteralmente del varcare. Il varco può essere considerato un segnale che preannuncia la natura dei luoghi a cui consente l’accesso; esprime la permeabilità o l’impermeabilità di uno spazio o di un edificio; può essere un corpo che si proietta verso il fruitore

Var


rco

oppure una cavità all’interno di un edificio, oppure ancora un corpo architettonico a se stante collegato allo spazio da raggiungere tramite percorsi protetti. Si delinea così un ruolo urbano del varco come ricettore di flussi ed al tempo stesso come un elemento architettonico con finalità compositive. La definizione di un varco rimane, dunque, una questione fondamentale nella progettazione degli spazi di transizione, i quali devono tener conto di aspetti progettuali anche molto differenti tra loro: la direzione ed il verso dei flussi in movimento, la comunicabilità del varco stesso come rappresentazione del passaggio, e il contesto urbano, culturale e soprattutto ambientale

nel quale viene inserito. Gli esempi sono moltissimi, dall’architettura antica a quella contemporanea, e raffigurano sempre l’importanza che ha il passaggio, anche solo simbolico, da un determinato spazio ad un altro. Un elemento ancestrale che può essere inteso come varco per eccellenza è il trilite, realizzato in pietra, rappresentava l’accesso ad uno spazio spirituale, uno spazio considerato sacro. Questo elemento risalente alle prime forme di civiltà umana viene ripreso da uno dei pionieri dell’architettura moderna: Le Corbusier realizza, per il convento di Sainte Marie de La Tourette, un ingresso autonomo, spostato al di fuori dell’edificio, un semplice portale

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Arco di Augusto Rimini

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che rappresenta il punto di cerniera tra il percorso di accesso e l’ingresso vero e proprio, tra tutto ciò che è considerato mondo esterno , contrapposto all’estrema intimità del mondo conventuale. La forma stessa del varco può essere rappresentazione diretta di innovazioni o conquiste prodotte dal genio umano; è questo il caso ad esempio dei numerosi archi di trionfo realizzati in epoca imperiale romana. Questi, oltre a essere testimonianza storica delle vittorie belliche ottenute, sono un’ autocelebrazione di un popolo, che, attraverso l’u-

tilizzo di una nuova forma architettonica, dettata dall’arco e dalla volta, proclama la sua superiorità e grandezza sia sul piano bellico ma soprattutto ingegneristico. Ne è un esempio l’Arco di Augusto, il più antico arco romano tuttora esistente, edificato nel 27 a.C. dall’imperatore Augusto per segnare la fine della via Flaminia che collegava la città romagnola alla capitale dell’impero romano. E’ un arco ad un singolo fornice, che più che una funzione celebrativa assume la vera e propria funzione di porta urbana, coronando e segnalando l’ingresso alla città.


Porta d’Europa

Un esempio analogo ma contemporaneo ai nostri giorni può essere individuato nella realizzazione della Porta d’Europa, una porta di ingresso alla città di Madrid rielaborata in chiave architettonica del tutto contemporanea. La Porta d’Europa è costituita da due torri alte 114 m, poste sul limite settentrionale della città storica, creando per l’appunto un varco tra la città esistente ed il nuovo distretto finanziario, costituito da quattro grattacieli posti in asse con piazza della Castiglia. Anche in questo caso, il varco, la porta di accesso ad una nuova

area ha significati ben più profondi: il nome non è casuale, viene identificata come porta d’Europa perchè rappresenta il progresso, un passaggio ideale dalla città del XX secolo a quella del XXI, dotata di un quartiere finanziario ormai internazionale, Europeo. Come l’arco rappresentava tutto il sapere ed il progresso tecnologico raggiunto all’epoca romana, le due torri rappresentano un’ accezione, un gesto architettonico molto audace: sono infatti tra le poche torri ad essere costruite inclinate con un angolo di ben 15° rispetto alla verticale, che le rende avveniristi-

P. Johnson e J. Burgee Madrid

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Paris Metro Station Hector Guimard Parigi

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che e rappresentative delle ambizioni della fine del XX secolo. La forma del varco è quindi in grado di conferire a quest’ ultimo più dinamismo che staticità, esplicitando in questo modo la sensazione di un luogo dinamico, legato al passaggio, piuttosto che un luogo statico, legato alla sosta. Varchi rettangolari, quadrati, irregolari o curvilinei individuano quindi differenti modalità di “passare attraverso”, ne deriva che la forma caratterizzante il varco lascia intendere ulteriori messaggi rispetto al semplice fare passare. Le stazioni per la metropolitana

di Parigi, realizzate da Hector Guimard, sono un chiaro esempio di quanto descritto in precedenza: la loro funzione principale è quella di consentire alle persone di raggiungere un nuovo tipo di spazio, uno spazio ipogeo legato ai rapidi spostamenti necessari alle grandi città. Allo stesso tempo l’architettura di questi varchi trasmette tutta l’enfasi legata al nuovo sistema di trasporto sotterraneo, esaltato dall’utilizzo di elaborate e voluttuose strutture in ferro battuto e vetro, che, come la metropolitana ,rappresentano al meglio tutto il


Ingresso metropolitana

progresso tecnologico dell’epoca. Un esempio analogo ma contemporaneo ai nostri giorni è invece rappresentato dagli ingressi realizzati da Norman Foster per la nuovissima linea metropolitana di Bilbao. Queste, pur conservando la razionalità astratta del progettista britannico, hanno da subito trovato un rapporto dimensionale con la città, divenendo subito parte integrante del panorama urbano, andando a definire nuovi ambiti spaziali. Questi ingressi alla metropolitana sono importanti non solo perchè

varchi tra un sopra ed un sotto ma perchè così come la Metropolitain è divenuta uno dei simboli della Parigi fin de siecle, le stazioni di Bilbao sono uno dei simboli che meglio rappresentano la rinascita della città avvenuta nel periodo post-industriale, una città che ha saputo reinventarsi, secondo una metamorfosi perfettamente rappresentata dall’eleganza dell’acciaio e del cristallo curvilineo che compongono i varchi.

Norman Foster Bilbao

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“ […] recintare è l’atto insieme di riconoscimento ed appropriazione collettiva di una porzione di terrenoo spazio fisico; è l’atto della sua delimitazione e separazione dal resto del mondo-natura [...] “

Reci

Vittorio Gregotti, 1979

“ Spazio circoscritto e isolato dall’esterno da elementi che ne defniscono il limite (murature,cancellate,transenne); per estensione l’insieme degli elementi stessi che circoscrivono lo spazio “ DeAgostini, Glossari Illustrati: Architettura, pp. 159 Il secondo elemento proposto all’interno della categoria della soglia è il recinto, un elemento architettonico rispetto al quale è stato parecchio difficile rintracciare una base forte di letteratura, non di certo perchè rappresenta una novità nell’ambito architettonico, ma poichè (la maggior parte delle volte) viene presa in considerazione l’azione stessa del recintare e non l’elemento fisico che consente di creare il recinto. Questa può apparire una contrapposizione di piccola rilevanza tuttavia, proprio per questo, molte volte tutta l’attenzione è rivolta verso un significato quasi simbolico, legato appunto al gesto, all’azione, mentre perde di conseguenza d’importanza l’elemento o

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gli elementi che creano realmente la delimitazione di uno spazio, gli elementi tangibili e visibili. In architettura, per lo più nell’età classica, il termine recinto è stato spesso utilizzato per indicare uno spazio ben definito, a carattere sacro, finalizzato alla vita religiosa. L’etimologia del termine recinto deriva infatti proprio dal verbo greco tèmene che indica il separare, il tagliare, includendo ed escludendo contemporaneamente un dentro da un fuori. Il concetto di recinto deriva quindi dal tèmenos greco che, nella sua accezione originaria, indica la dotazione, decisa per atto pubblico, di un appezzamento di terreno ad un cittadino privato; tuttavia il significato originario ha subito variazioni sino a


“ […] da un verbo che indica il tagliare, serve contemporaneamente a includere e a escludere. Recingere una supeficie o uno spazio è probabilmente uno dei primi atti costruttivi compiuti dall’uomo e allo stesso tempo il primo atto che ogni uomo fa quando costruisce [...] “

into

Marco Trisciuoglio, Scatola di montaggio

raggiungere il significato tuttora utilizzato che identifica un recinto sacro, un’area di terreno dedicata al culto religioso. Recingere una superficie topografica, o uno spazio considerato sacro, può essere considerato tra i primi atti costruttivi realizzati dall’uomo, che, ponendo una delimitazione, realizza una separazione dal resto del mondo. L’atto del recingere un luogo nasce dalla ricerca, da parte dell’uomo, di protezione, intimità e sicurezza, generando in questo modo degli spazi chiusi e finiti che si contrappongono nettamente agli spazi esterni, aperti e “infiniti” della natura. È un atto di demarcazione precisa che separa un dentro da un fuori,

separa ciò che è noto, sicuro, misurato da ciò che invece è infinito, misterioso, pericoloso. Vi sono esempi contemporanei numerosi di questa figura urbana; un esempio è rappresentato dal Padiglione di Barcellona di Mies Van der Rohe, in cui il recinto non è chiuso, ma frammentato e spezzato in elementi che dilatano lo spazio mettendolo in comunicazione diretta con l’esterno. Pensando invece alle opere di Aires Mateus o di Luis Barragan, possiamo evincere che essi utilizzando questo archetipo per ristabilire un richiamo, un contatto tra uomo e natura; è questo l’esempio della casa sul litorale di Alentejo, una casa chiusa su se stessa, senza una apparente relazione con

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l’esterno, ma che presenta al suo interno una serie di patii che consentono una continua dinamicità e collegamento con l’ambiente esterno. Si può quindi asserire che il recinto si propone come un elemento archetipo presente in modo continuo nella storia, dalle origini dell’architettura fino ai più moderni edifici, declinandosi in varie forme senza

però mai perdere il suo significato originario. Possiamo inoltre trovare il recinto non solo in manufatti prettamente architettonici, ma anche in costruzioni temporanee legate alla vita e all’utilizzo dello spazio pubblico. A questo proposito è stata esemplare l’iniziativa sperimentata, per un periodo di 60 giorni, a Praga dove, attraverso l’utilizzo di un re50 m2 of the public space EPOS257 Praga

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cinto, costituito da una rete metallica, una porzione di un’ area pubblica è stata resa inaccessibile. La provocazione è stata quella di impedire l’accesso ad uno spazio di circa 50 mq, ubicato all’interno di una piazza, semplicemente recintandolo, in modo da sensibilizzare la cittadinanza a riguardo dell’importanza che ha lo spazio pubblico nella città contemporanea.

Un altro esempio analogo, nell’utilizzo del recinto in uno spazio pubblico, è il Garden of knowledge realizzato nella cittadina svedese di Malmo da Monika Gora. In questo caso il recinto viene utilizzato a scopo didattico, creando una specie di labirinto intervallato da “stanze”, ognuna delle quali dedicata ad uno specifico tema con il quale il visitatore si può confrontare.

Garden of knowledge

Monika Gora Malmo

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“ […] l’elemento più semplice tra quelli che si usano per costruire è sicuramente il muro, anche se il muro è solo un elemento bidimensionale e da solo non basta a creare uno spazio [...] ha però innanzitutto il compito fondamentale di dividere un dentro da un fuori, di essere in questo senso un vero e proprio limite [...]“

Mu

Perime

Marco Trisciuoglio, Scatola di montaggio

Il terzo elemento proposto, all’interno della categoria della soglia, è il muro perimetrale, ovvero quell’ elemento architettonico che si sviluppa in verticale, composto da un volume pieno di spessore ridotto rispetto alle altre due dimensioni di altezza e larghezza. Il muro, in particolar modo in architettura, sintetizza lo spazio fisico, la forma, la dimensione, i materiali e le soluzioni tecniche del proprio tempo di appartenenza; è un elemento di separazione e mediazione tra uno spazio interno, reso abitabile ed accogliente, ed uno spazio esterno, che corrisponde all’infinita vastità della natura. La costruzione del muro perimetrale viene identificata come “atto primitivo dell’edificare”; a tal pro-

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posito, Mies van der Rohe sosteneva che “L’architettura comincia quando si mettono con cura due mattoni uno sull’altro”. Il muro, dunque, nasce come sommatoria, come aggregato, di materiale naturale disponibile in loco. Tronchi, rami, arbusti, canne, hanno costituito risorse facilmente disponibili per i primi rifugi dell’uomo, mentre pietra e mattone hanno reso possibile il concetto di muro quale struttura verticale solida e impenetrabile al vento, alla pioggia, ai rumori, agli animali e anche agli stessi uomini. Ovviamente non possiamo individuare l’architettura univocamente alla costruzione del muro; essa infatti, è un organismo in cui le parti che la compongono e che ne deli-


uro

etrale

mitano lo spazio costruito (pavimento, parete e soffitto) interagiscono simultaneamente, tuttavia al muro è attribuito un ruolo fondamentale nella concezione del manufatto architettonico. Il muro perimetrale, infatti, svolge il ruolo di facciata, manifestando e sintetizzando il carattere architettonico dell’edificio stesso, e allo stesso tempo interagisce e prende parte alla definizione del carattere del luogo in cui si inserisce. Se al centro dell’architettura poniamo un dentro ed un fuori dobbiamo considerare prima di tutto il concetto di spazio, un elemento che non possiamo disegnare; lo spazio si percepisce, l’idea della soglia ha una sua materialità implicita: tra interno ed esterno c’è

un muro, c’è un limite. Superando l’idea di spazio indifferenziato appartenente al Movimento Moderno, dobbiamo costruire questa soglia e attribuirgli una materialità, che include necessariamente un’altra scala, una dimensione; il muro in questo senso diventa un “campo” da esplorare con il progetto, contiene un altro livello di spazio, essendo esso stesso l’elemento generatore degli spazi così come noi li percepiamo. Il muro perimetrale, inteso come elemento di divisione, incarna la presa di coscienza dei limiti, il freno necessario, la misura che evita la ricerca e l’insoddisfazione permanente. Nel suo aspetto negativo, al contrario, rappresenta l’esclusione

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Munthof Park

e l’inibizione, la separazione, la rottura (come il muro di Berlino, la Grande Muraglia Cinese o il muro del Pianto), e quando si apre o cade evoca la liberazione (come nell’architettura contemporanea con l’avvento della struttura a maglia, oppure il sentimento di liberazione dopo la caduta del muro di Berlino). Un esempio di muro perimetrale realizzato in uno spazio pubblico, per delimitarlo, circoscriverlo ed

allo stesso tempo proteggerlo dal contesto limitrofo è rappresentato dal progetto per il Munthof Park ad Anversa. In questo caso la riqualificazione di un vecchio parco è guidata dalla creazione di un nuovo muro perimetrale che cinge lo spazio pubblico sui lati confinanti con i giardini privati delle abitazioni, delimitandolo e facendolo percepire come proprio ai fruitori. Tuttavia allo stesso tempo non è un sem-

CLUSTER Antwerp

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Open-air library

plice muro in mattoni, ma diventa quasi una parete attrezzata a dimensione umana, inglobando sedute, aperture e pensiline per la crescita di piante rampicanti. Lo stesso principio di parete divisoria attrezzata è ripreso nel progetto per la Open Air Library di Magdeburgo, dove il muro perimetrale diventa esso stesso un vero e proprio “contenitore” adibi-

to a biblioteca a cielo aperto, ospitando inoltre alche una caffetteria ed un piccolo palcoscenico. Uno spazio, prima inesistente o per lo meno non percepito come pubblico, grazie alla semplice definizione del suo perimetro prende vita, trasformandosi da luogo dell’abbandono a luogo di socialità e cultura.

KARO Architectur Magdeburg

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“ Si ha quando l’edificazione si allinea, senza soluzione di continuità e per uno sviluppo non irrilevante, lungo il ciglio della strada pubblica o privata aperta al pubblico transito, oppure lungo la linea di confine di uno spazio pubblico, od, infine, lungo una qualsiasi linea di edificazione interna al lotto od a più lotti contigui“

Cor

Glossario allegato al Regolamento Edilizio, Comune di Barcellona

Il quarto elemento proposto all’interno della categoria della soglia è la cortina edilizia, ovvero l’insieme di manufatti architettonici posti in continuità l’uno con l’altro, fino a formare un unico fronte costruito. Il concetto di cortina rimanda all’ età medievale durante la quale, con questo termine, venivano indicate le mura difensive di una cittadina oppure le fortificazioni, caratterizzate dalla continuità lungo tutto il perimetro da proteggere. Nello stesso periodo lo sviluppo dell’edificato non seguiva, in molti casi, strutture urbane regolari, ma strette e irregolari, spesso discontinue e disomogenee; pertanto non era garantita continuità, nè omogeneità, rendendo questo elemen-

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to non sempre percepibile. Questo non significa che non vi fosse questa figura urbana, che in ogni caso esiste da quando sono nate le città, ogni qualvolta che più edifici affiancati l’uno all’altro hanno costituito un elemento di divisione, di limite, di soglia per l’appunto, tra lo spazio pubblico e quello privato. Esempi di cortine edilizie nella città storica sono numerosi; si potrebbe dire che quasi tutte le strade ne hanno almeno una. Più tardi, con gli ampliamenti ottocenteschi delle città e le relative regole di composizione urbana, fondate su impianti rettilinei, continui, omogenei, la cortina edilizia diventa più facilmente visibile. La presenza di questa figura urba-

Edil


rtina

lizia

“ Fronte costruito di un edificio o di un insieme di edifici, disposto, senza soluzione di continuità e per una lunghezza considerevole, lungo un asse viario urbano o altro simile elemento di allineamento “ Dizionario tecnico dell’edilizia e dell’architettura

“ […] è la continuità data dal succedersi ininterrotto delle facciate degli edifici “ DeAgostini, Glossari Illustrati: Architettura, pp. 71 na è di fondamentale importanza nella percezione dello spazio urbano, ed in particolar modo nella delimitazione e definizione di uno spazio pubblico, poichè, se questo è uno spazio vuoto, negativo dell’architettura costruita, allora è la cortina edilizia a definirne l’inizio e viceversa. Proprio da questa considerazione deriva che il perimetro di quello che noi percepiamo come vuoto è proprio il fronte edificato, che caratterizza e definisce lo spazio urbano. Ne risulta una soglia, una figura urbana che segna il limite tra due spazi differenti, sia per uso che per carattere, solitamente quello pubblico di una strada, di una piazza, da quello più privato di un

abitazione, di un edificio più in generale. Il carattere morfologico di una cortina edilizia è molto variabile, a seconda di quello che si estende oltre la cortina stessa: si potrebbe trattare di una serie di edifici in linea, l’uno accanto all’altro, oltre i quali vi è una strada; potrebbe, invece, definirsi una cortina edilizia di forma quadrata/triangolare/ trapezoidale/rettangolare/circolare come elemento di separazione tra lo spazio urbano e quello di una corte interna (privata/pubblica/semiprivata che sia). Nel caso, ad esempio, della Piazza dell’anfiteatro di Lucca, la cortina edilizia che definisce la forma della piazza stessa, ha una forma ellittica. Questo, a sua volta, dipende dal

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Piazza dell’anfiteatro Lucca

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fatto che la sua edificazione, avvenuta durante il Medioevo, si è fondata sui resti dell’antico anfiteatro romano del II sec. d.C., assumendo, così, la stessa forma ellittica chiusa che caratterizzava quello spazio in età romana. In questo caso, dunque, la figura urbana della cortina fa da “ele-

mento soglia” tra la piazza dell’antiteatro, usata per più di un secolo come piazza del mercato cittadino, e Via dell’Anfiteatro, la strada dal tracciato ellittico che ne percorre il profilo lungo l’esterno. Se nell’esempio toscano entrambe le facciate della cortina edilizia si affacciano su spazi di uso pubblico


Sluseholmen

(una piazza e una strada), determinando una netta linea di confine tra questi e gli spazi interni degli edifici, l’edificazione delle recenti Sluseholmen in un ampliamento della città di Copenhagen costituisce un esempio di cortina edilizia completamente differente. In questo caso, infatti, viene uti-

lizzato lo schema dell’isolato a blocco, chiuso lungo il perimetro, con cortile interno; la cortina edilizia diventa, quindi, l’elemento di divisione tra lo spazio del percorso, a sua svolta sviluppato lungo uno dei canali della città, e quello interno (aperto e chiuso) privato delle abitazioni.

Arkitema Architects + Sjoerd Soeters Copenhagen

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“ Parte della sede stradale riservata al transito dei pedoni, per lo più ai lati della strada e a livello più o meno sopraelevato “

Marcia

Dizionario Garzanti linguistica

Il quinto elemento proposto all’interno della categoria della soglia è il marciapiede, ovvero quella specifica porzione della sezione stradale riservata al transito dei pedoni, posta ad un livello più o meno sopraelevato rispetto al piano di scorrimento dei veicoli motorizzati. Il termine deriva dal francese marchepied, composto da marcher (camminare) e pied (piede), definendolo quindi come il luogo di transito dei pedoni. Il marciapiede era già utilizzato in età greca, durante la quale, nelle strade poste all’interno degli insediamenti principali, una porzione della carreggiata era rialzata e dedicata allo scorrimento dei flussi pedonali.

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In età romana il suo utilizzo cresce assieme all’ avanzamento tecnologico riguardante il campo delle infrastrutture della viabilità, molte delle quali si possono ancora osservare oggi. E’ proprio con i romani che, al di sotto dei marciapiedi, inizia ad essere ubicato il sistema fognario e di scolo delle acque meteoriche, sfruttando il leggero rialzamento rispetto al sedime stradale in modo da convogliare i liquami nel sottosuolo. In età medievale, poi, l’utilizzo del marciapiede viene quasi completamente perso, sia perchè le strade cittadine erano divenute strette e tortuose, ma soprattutto poichè rinizia ad essere utilizzato una specie di rigagnolo di acqua che


apiede

“Zona, più o meno sopraelevata, solitamente disposta tra la strada e gli edifici, destinata al transito dei pedoni. Delimitato da un cordolo, è solitamente lastricato o asfaltato “ Rosenberg e Sellier, Il nomenclatore di architettura, pp. 184

scorreva al centro della strada con la funzione di fogna a cielo aperto. Il marciapiede viene successivamente reintrodotto nell’Inghilterra del XVIII secolo, proprio come figura urbana dedicata al transito e alla sosta dei pedoni, così come accade oggi. A questo spazio è stata data grande dignità: la dimensione era tale in modo da essere di agevole percorrenza; era generalmente rifinito in superficie con materiale lapideo autoctono. Man mano che la città industriale si sviluppa e che il progresso tecnologico progredisce, il marciapiede diventa sede di una miriade di servizi prima inesistenti: dapprima di impianti di illuminazione a gas, successivamente di cavi elettrici,

poi telefonici con le rispettive cabine che hanno reso tanto celebre la città di Londra. I marciapiedi sono quindi stati “invasi” da una serie di servizi, divenendo quasi spazi destinati a ricoprire diverse funzioni, per lo più impiantistiche. Il posizionamento dei numerosi terminali impiantistici ha portato, spesso, a trascurare l’aspetto estetico: il rivestimento lapideo è stato, nella maggior parte dei casi, sostituito da pavimenti in asfalto colato ed i tombini sono ormai disseminati ovunque; questa mancanza di considerazione e rilevanza ha avuto come diretta conseguenza quello impoverire ulteriormente la percezione della città da parte di un utente che si

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U.S Federal Courthouse

muove a piedi. Occorre, infatti, considerare la differenza di percezione globale dello spazio che ci circonda tra quando ci si sposta tramite veicoli motorizzati, la cui velocità rende sfuggevoli tanti aspetti, e quando invece si fa uso del proprio corpo o di mezzi a bassa velocità, come una bicicletta: durante questi spostamenti, più “lenti” appunto, si fa caso a molti più dettagli. Nel caso di un marciapiede senza alcuna

qualità estetica (e spesso anche poco funzionale) lo spazio urbano appare privo di identità, banale, perchè ripetuto identico in più città diverse, allo stesso modo. Fortunatamente, sia i progettisti sia le amministrazioni locali, in un momento storico in cui si incentiva la mobilità dolce, sono convinti del fatto che non si possa più trascurare questa figura urbana. Un buon esempio è rappresentato dal progetto per la sistemazione

PWP Architects Seattle

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Wavedeck West8 Toronto

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degli spazi pubblici limitrofi alla US Federal Courthouse di Seattle. In questo caso il percorso lungo il marciapiede si trasforma in un’esperienza: in una città densissima ci si ritrova a camminare lungo un marciapiede delimitato da un lato da un “canale” di piccole felci verdi sulla sinistra, dall’altro da una schiera di alberi, che proteggono i pedoni dal caos del traffico, sulla destra. Il percorso diventa, in questo modo, largo abbastanza da permettere un agevole scorrimento dei flussi

pedonali; di tanto in tanto sedute o altri elementi d’arredo urbano, interrompono l’andamento rettilineo, movimentando lo spazio. Un altro esempio rappresentativo è il Wavedeck, realizzato in occasione della riqualificazione di una delle banchine di Toronto; in questo caso il marciapiede si trasforma in un elemento dinamico che, seguendo l’andamento sinuoso delle onde marine, prende forma creando un sali-scendi molto suggestivo e dalla piacevole percorrenza.è


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“ […] ampia scala esterna utilizzata per il raccordo tra due livelli differenti, costituita da ampie pedate “

Grado

DeAgostini, Glossari Illustrati: Architettura, pp. 97

Il sesto e ultimo elemento proposto all’interno della categoria della soglia è la gradonata. Questa è una figura urbana e architettonica , conosciuta fin dai tempi più antichi, che svolge la funzione di collegamento verticale tra due superfici orizzontali poste a quote differenti. In realtà la gradonata è molto di più: in età greca questo sistema costruttivo non era solamente utilizzato come collegamento verticale, ma è stata la struttura che ha permesso la nascita e la realizzazione dei primi teatri, i quali, ubicati sempre su una collina, avevano bisogno di un elemento architettonico che permettesse di far di quel luogo uno spazio di intrattenimento per un grande pubblico.

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In età romana, oltre ai teatri, si construiscono anche anfiteatri; le gradonate, in questo caso, non servono come mezzo per superare un ostacolo naturale (come la pendenza di una collina) ma diventano un artificio umano per costruire un edificio di forma ellittica da cui poter godere degli spettacoli a quote differenti per l’intrattenimento di un pubblico di massa (precursore dei contemporanei stadi). La gradonata è stata, quindi ,associata per secoli ad una struttura preposta ad accogliere ed intrattenere migliaia di persone, ma allo stesso tempo anche utilizzata come podio su cui rialzare i principali luoghi di culto. Esempi straordinari sono i nume-


onata “ […] inevitabie appare attribuire all’atto della risalita lungo il piano inclinato,(nel progetto contemporaneo di spazio pubblico), un importante significato rituale, utile per interpretare la processualità, nel tempo del movimento, dei soggetti nello spazio“ Isotta Cortesi, Il progtto del vuoto, pp. 46

rosissimi templi, costruiti in tutta la Grecia e nel sud Italia, rialzati rispetto al piano di campagna grazie ad una gradonata che per la maggior parte delle volte è presente solo sul fronte di accesso, mentre i restanti lati perimetrali sono rialzati su un podio. In questo ultimo caso tale elemento è stato utilizzato sia per dare maggiore solennità ed importanza al tempio sia per incanalare i fedeli verso un percorso considerato sacro, attribuendogli quindi un significato rituale. Per questo stesso principio la gradonata viene successivamente utilizzata in quasi tutti gli edifici religiosi cristiani; sono grandi esempi di edifici sacri preceduti da gradonata la basilica di San Pietro

a Roma, oppure la chiesa della salute a Venezia. In tanti altri casi le gradonate sono state realizzate per svolgere il compito di collegamento verticale tra due piani posti a quote differenti, solitamente per risolvere condizioni topografiche naturali, come ad esempio accade in città collinari. Uno dei tanti esempi può essere ritrovato nella stessa città di Roma dove Piazza del Campidoglio è collegata alla sottostante piazza d’ Aracoeli tramite una gradonata realizzata da Michelangelo nel XVI secolo. Un altro esempio, anche questo ubicato a Roma ma costruito nel XIX secolo, è la famosissima scalinata di Trinità dei Monti che colle-

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Scalinata della Trinità dei monti Roma

ga Piazza di Spagna con la soprastante chiesa di Trinità dei Monti. Si tratta di una monumentale gradonata composta da 135 gradini e decorata con numerose terrazze-giardino dai colori sgargianti grazie alle numerose piante da fiore.

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La sontuosa scalinata è posta all’apice di un lungo asse viario che porta fino al Tevere, ed è disegnata in modo che man mano che un utente si avvicina, gli effetti scenografici aumentano. Destare stupore era uno dei principi progettuali dell’ architettura barocca tramite


Robson square

la creazione di lunghe e profonde prospettive culminanti con quinte o sfondi a carattere monumentale. Un esempio più contemporaneo è invece Robson Square a Vancouver, dove la realizzazione di una gradonata è divenuta un’occasione di sperimentazione, consentendo

la creazione di una vera e propria piazza che si sviluppa su più livelli. Caratteristica fondamentale è l’alternanza tra superfici piane, vasche che contengono vegetazione urbana e superfici di collegamento verticale; in più una grande particolarità è legata all’inserimento

Arthur Erickson Vancouver

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Terminal yokohama

di una rampa inclinata all’interno del disegno stesso della gradinata, tagliandola ed interropendola in modo da creare un percorso fruibile anche alle persone con disabilità motorie. L’ultimo esempio preso in considerazione è invece il terminal inter-

nazionale di Yokohama, in Giappone; in questo caso è la copertura stessa del terminal che diventa spazio pubblico assumendo quasi la conformazione morfologica di un declivio in dolce pendenza grazie ai numerosi gradoni studiati e disegnati uno ad uno.

FOA Japan

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Ripa

Tettoia

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Portico


aro

Padiglione

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“ […] ripararsi è il bisogno primario dell’architettura. L’icona è un piano pensile in aggetto, una sottile lastra che protegge, elevandosi così a vero e proprio simbolo di un linguaggio architettonico [...]“ Aldo Aymonino, Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero

La quinta categoria individuata nell’ambito della definizione degli elementi che compongono e caratterizzano lo spazio urbano è il riparo, ovvero ciò che fin da quando l’uomo abita il mondo rappresenta il secondo bisogno da soddisfare per le esigenze umane, dopo l’approvvigionamento di cibo, sia per riposare che per proteggersi dagli agenti atmosferici esterni. Già in età arcaica, quando l’uomo ancora errava, senza insediarsi stabilmente in un luogo, prima ancora quindi di costruire un manufatto architettonico da abitare, oltre a cacciare e a procurarsi cibo, cercava un modo per ripararsi, che fosse una caverna o una primitiva capanna . Non è un caso che una delle icone più note dell’archi-

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tettura sia la capanna primitiva dell’abate Laugier, diventata poi il principio ispiratore e dominante delle avanguardie moderniste che hanno fatto del primitivismo, del funzionalismo e della utilità il carattere fondativo di “una nuova estetica che smetteva di guardare al passato prossimo per subire il fascino del passato remoto, quello non ancora civilizzato” 1. Sono un esempio di quanto descritto fino ad ora le pensiline che compaiono nei disegni evocativi di Tony Garnier per la Citè Industrielle che, nell’ambito di visioni utopiche sulla città funzionale di inizio novecento, basata sulla produzione, sul consumo e sul movimento di persone e beni, auspica a grandi spazi pubblici, purchè siano ripa-


rati. Nell’immaginario comune il riparo viene immediatamente associato a un piano orizzontale, aggettante o autoportante, che sia una tettoia piuttosto che un portico, sotto il quale trovare immediato riparo. Nella raccolta degli elementi proposti nella categoria del riparo si presentano quegli elementi architettonici che dall’ età antica fino ai tempi più recenti continuano ad essere costruiti in qualità di luoghi pubblici, aperti, sotto cui ripararsi. E’ questo il caso della tettoia che, a seconda del luogo e della funzione, oltre al riparo, assume caratteri dimensionali e materici ben differenti: a volte è un corpo isolato altre volte è aggettante rispetto ad un edificio. Un altro elemento

architettonico è quello del portico, pensato e costruito come percorso riparato sotto cui passeggiare protetti dalle intemperie per acquistare, scambiare, barattare. Ultimo elemento analizzato è il padiglione che, a differenza della tettoia che può essere ubicata in qualsivoglia area urbana, è progettato per un determinato luogo, mai casuale, in modo da invitare il visitatore a sostare al di sotto, trovare riparo e allo stesso tempo osservare ciò che sta intorno. La categoria del riparo sottende, quindi, elementi sì destinati al riparo momentaneo o di emergenza, ma che possano essere anche altro, arricchendosi di nuovi significati e nuovi utilizzi.

1 Aldo Aymonino, Spazi pubblici contemporanei. Architettura a volume zero, Skira, 2006, pp.204

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“ Struttura costituita da uno o più spioventi, di solito poggianti su pilastri oppure in parte su pilastri e in parte sul muro perimetrale di un edificio: serve a coprire l’ambiente sottostante, lasciandolo però aperto verso lo spazio circostante “

Tett

Dizionario Garzanti linguistica

Il primo elemento proposto all’interno della categoria del riparo è la tettoia. Quest’ultima non ha di certo origine recente; infatti, nella sua definizione comune, può essere semplicemente associata a un elemento architettonico formato da una copertura, sorretta da quattro pilastri. Indagando nella storia, tettoia potrebbe essere associata ad una delle prime forme arcaiche di riparo. Non è, infatti, poi tanto distante dalla capanna primitiva disegnata dall’abate Marc-Antoine Laugier a metà del 1700 e dallo stesso identificata come <<l’archetipo originario, nucleo genetico di ogni magnificenza dell’architettura”>>. Si può quindi affermare che la na-

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scita dell’architettura abbia coinciso con la necessità dell’uomo di ripararsi da agenti atmosferici e dai pericoli presenti nel mondo selvaggio, e che, nella sua forma più semplice, questo primo riparo ancestrale possa essere identificato nella capanna-tettoia. Dopo questo primo momento in cui capanna e tettoia quasi coincidono si ha uno sviluppo a se stante della tipologia della capanna, che non rimarrà solo più composta da pilastri ed un tetto, ma vedrà il suo completamento ed evoluzione con la costruzione dei muri perimetrali, diventando in questo modo non solo riparo ma anche protezione. Un’evoluzione della tettoia può invece essere individuata nei primi luoghi coperti dedicati al culto


toia “ […] copertura esterna con funzione di riparo di uno spazio aperto sottostante, adibito a funzioni non residenziali “ DeAgostini, Glossari Illustrati: Architettura, pp. 190

delle divinità: insieme alla nascita dell’agorà nella polis greca, i luoghi di culto rappresentavano una tra le prime forme di architetture relazionali, per il pubblico. E’ proprio da questo momento che la tettoia ha iniziato a svilupparsi, in moltissime forme e derivazioni, come elemento architettonico che configura uno spazio di uso pubblico. Ne sono esempio i numerosi mercati coperti che iniziano a comparire a Roma in età imperiale, spostando quelli che di fatto erano i mercati presenti nei numerosi fori al di sotto di ampie coperture (definibili come i primi supermarket della storia). Da questo momento la figura urbana della tettoia è stata

una degli elementi fondamentali nella definizione di uno spazio pubblico, come oggetto sotto il quale le persone hanno la possibilità di coltivare scambi commerciali e relazioni personali. In moltissime città, in particolar modo nella piazza del mercato, iniziano a essere costruite strutture al centro della piazza che forniscano un luogo di riparo dalle condizioni climatiche. Ne sono esempio la piazza del mercato di Cracovia oppure la Loggia del Mercato Nuovo, conosciuta anche come mercato del porcellino, a Firenze. Questa loggia, tuttora utilizzata per un piccolo mercato rionale, per lo più ad uso turistico, rappresenta a pieno il luogo

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Loggia del mercato nuovo Firenze

degli scambi e della socialità così come intesi in precedenza. Durante tutta la giornata è presente un via vai continuo di residenti, turisti, commercianti e soprattutto curiosi, in quanto questo è uno degli spazi legati al tipico mercato fiorentino della pelletteria. Durante la sera invece si trasforma completamente, le bancarelle spariscono e lasciano posto ad un

luogo dell’incontro, un luogo in cui molti ragazzi si ritrovano, grazie anche alle gradonate che la rialzano su un podio e che consentono di essere usate come sedute. Un altro esempio, molto più contemporaneo, è la tettoia realizzata da Norman Foster nel porto vecchio di Marsiglia. L’opportunità per la costruzione di questo manufatto architettonico è

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giunta in un ambito di intervento molto più vasto che, in occasione dell’elezione di Marsiglia a capitale europea della cultura, ha puntato a riqualificare e rilanciare le parti più degradate della città francese. Questa tettoia è una sorprendente copertura che accompagna i pedoni in un viaggio nei quali essi si possono vedere specchiati: la struttura è stata realizzata nel vecchio porto di Marsiglia, pensata come un cielo artificiale di 46x22 m, concepito per invertire il punto di vista dei visitatori, dando in questo modo vita ad inconsueti scorci ed inedite prospettive. Materiale protagonista di questa realizzazione è l’acciaio inox specchiante di cui è costituita la copertura, completamente aperta

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su tutti i lati e retta da sottili colonne circolari (Ø 273x25 mm) in acciaio inox. Lo scheletro strutturale della copertura è caratterizzato da travi composte in acciaio a sezione variabile, e la semplice struttura di acciaio si assottiglia verso i bordi, riducendo al minimo l’impatto visivo del suo profilo. Il risultato è un “quadro” che riflette la vita sottostante, riuscendo ad includere anche l’acqua e gli spazi circostanti del porto oramai riqualificato e rivitalizzato. L’intenzione del progettista è stata duplice: ha voluto infatti creare una struttura ombreggiante ed allo stesso tempo dar vita ad un’attrazione che, nel rispetto del luogo, potesse anche migliorarlo. Questa copertura è infatti utilizzata per


Porto vecchio

accogliere manifestazioni, spettacoli, mercati in modo da diventare un punto di ritrovo nel Vecchio Porto, luogo simbolo di Marsiglia. L’esilità dell’insieme, unitamente alla leggerezza della struttura, definiscono un intervento architettonico estremamente minimale ma di grande impatto sulla vita di questa parte della città. L’acciaio mostra in questo caso la sua grande versatilità di applicazione, nonché la capacità di interpretare le più contemporanee esigenze estetiche, in termini di leggerezza e capacità di dialogo con il contesto. La realizzazione di questo spettacolare manto fa parte, infatti, di un più grande piano di riqualificazione del porto che vede anche la colla-

borazione del paesaggista Michel Desvigne e conta altri interventi puntuali sui moli e sullo spazio pubblico, tra cui la pedonalizzazione di alcuni percorsi e la risistemazione della pavimentazione in granito. Proprio grazie alla collaborazione con il paesaggista si è deciso inoltre di installare una sottile lastra di granito ai piedi della struttura, che richiama la tonalità dei ciottoli calcarei originali, in modo da amplificare e far risaltare l’ effetto. L’ ultimo esempio analizzato è una tettoia realizzata a New York, la Hunters Point South, concepita come una struttura continua che collega la città all’acqua. E‘ strategicamente situata in un nuovo parco urbano e ne sostiene gli usi, rendendo possibili pause o

Norman Foster Marsiglia

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Hunter’s Point South Weiss/Manfredi New york

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usi ricreativi, e diventato un punto di riferimento fondamentale per la sua visibilità e per il suo orientamento verso l’altra sponda della città. La tettoia culmina in un molo di legno sopraelevato, con vista panoramica sullo skyline di Manhattan e sul corridoio dell’ East River. La struttura, in lamiera piegata, a onde, ricorda la storia marittima

del luogo, un tempo sede portuale; oltre al significato legato alla storia, ha anche un ruolo funzionale legato all’ottimizzazione per la cattura dell’acqua piovana e dell’energia solare. Sono infatti presenti sessantaquattro pannelli fotovoltaici situati sul versante sud delle onde in acciaio che soddisfano oltre il 50% del fabbisogno energetico di tutto il parco.


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“ costruzione a strutture leggere, in uso, soprattutto un tempo, in parchi e giardini; oggi, più frequentemente, costruzione modulare, provvisoria o definitiva, compresa in un insieme più vasto per formare un complesso utilizzato per esempio in avvenimenti fieristici o mostre “ Dizionario Garzanti linguistica

Il secondo elemento proposto all’interno della categoria del riparo è il padiglione, ovvero quell’ elemento architettonico che si contraddistingue, di solito, per avere una struttura leggera e per essere utilizzata per lo più in parchi e giardini, sia come copertura ma anche come luogo espositivo. Con il termine padiglione, in età antica, veniva indicata un particolare tipo di tenda, molto spaziosa e sontuosa, che forniva alloggio ai grandi capi militari, o a personaggi politici rilevanti durante le campagne belliche; la magnificenza di questi impianti consentiva di aver a disposizione dell’ospite ogni tipo di comodità disponibile. Successivamente il termine padiglione iniziò ad essere utilizzato

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Padig

per indicare tutte quelle strutture costruite in vastissimi parchi, isolate dagli altri edifici, e che talvolta diventavano dei veri e propri palazzi regali in miniatura, dotati di tutti gli agi inerenti alla loro funzione. Questa nuova tipologia architettonica diventa così un luogo di ritrovo in mezzo al parco, luogo di sosta posizionato nei punti più piacevoli; si iniziano così a costruire padiglioni di ogni genere: padiglioni per la musica, per la caccia o per il riposo estivo, nei quali il formalismo costruttivo degli schemi tipicamente rigidi del castello, del palazzo ducale o della reggia andava perso consentendo la costruzione di strutture fuori dai canoni architettonici convenzionali.


“ [...] una costruzione indipendente in un giardino, un parco, ecc [...] “

lione

Nikolaus Pevsner, Dizionario di architettura

Nel corso del XVII e XVII secolo la realizzazione di questi manufatti architettonici raggiunge livelli di fastosità e decoro mai visti in precedenza: ne vennero realizzati molti nel parco di Versailles, tra cui un piccolo padiglione della musica, che rappresenta perfettamente la nascita di interesse verso nuove strutture ricreative. Un ulteriore esempio è sicuramente rappresentato dal padiglione costruito nel parco del castello delle ninfe, detto anche parco di Amalienburg, a Monaco di Baviera, completamente rivestito al suo interno di porcellane blu di Delft ed impreziosito da sontuosi arredi. Questo tipo di riparo padiglione si è sviluppato di pari passo alla nascita dei giardini delle regge e del

parco paesaggistico inglese; è proprio in quest’ultimo che assume un ruolo fondamentale per creare spazi, scenari, e viste che consentono al visitatore di rimanere in ogni angolo del parco stupito. Il padiglione inizia ad essere utilizzato come elemento compositivo nel parco paesaggistico inglese, divenendo il fulcro e l’oggetto principale di tutte le rappresentazioni che hanno fatto conoscere questo nuovo modo di realizzare ampi spazi verdi al mondo intero. Ne sono un esempio il parco di Stourhead, con il famosissimo tempietto sulla collina, oppure la rotonda presente nel Stowe Garden o ancora la pagoda in stile orientale dei Kew Gardens. La costruzione di questi padiglio-

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Serpentine Gallery Pavillon Sou Fujimoto Londra

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ni si è quindi protratta nel tempo, “contagiando” non solo il giardino paesaggistico inglese ma anche i giardini delle molte ville italiane dove si costruiscono la maggior parte delle volte per il solo scopo decorativo. La costruzione dei padiglioni è quindi proseguita, assumendo sempre di più una valenza artistica, legata ad un nuovo concetto di spazio espositivo ed allo stesso tempo riflessivo. Tra gli esempi contemporanei, più eclatanti e noti, hanno sicuramente avuto un rilievo fondamentale i padiglioni legati alla Serpentine Gallery di Londra: una struttura composta da due gallerie di arte contemporanea presenti in Hyde Park.

Questa galleria d’arte ogni anno commissiona ai più importanti architetti internazionali la progettazione di un padiglione espositivo, uno spazio temporaneo realizzato davanti alla galleria che “vive” da Giugno ad Ottobre divenendo luogo flessibile e polifunzionale. I padiglioni della Serpentine Gallery vengono realizzati ogni anno dal 2000 ed in particolare, un’esempio degno di nota è quello realizzato da Sou Fujimoto nel 2013: una struttura all’apparenza molto complessa ma in realtà realizzata con semplici tubolari in acciaio verniciati di bianco del diametro di 20 mm. Questi formano una struttura a grate, leggera e trasparente, che quasi si fonde con il meraviglioso


Regent’s Place Pavillon

contesto verde circostante, creando una nuvola a matrice regolare che sfuma e svanisce, riflettendo al tempo stesso luce, ombre e colori grazie agli inserti in policarbonato trasparente; grazie a leggerezza strutturale e trasparenza è quindi possibile percepire al meglio il contesto circostante e le condizioni metereologiche anche rimanendo all’interno del padiglione. Altro esempio significativo per questo tipo dello spazio urbano è il padiglione in Regent’s Place, sempre a Londra, realizzato seguendo il concetto di padiglione come luogo di rappresentazione ed esaltazione dell’architettura. Questa opera non ha una funzione definita, non è altro che un enorme

baldacchino sorretto da esili colonne in acciaio. Queste colonne creano una specie di fittissima foresta artificiale, che supporta una lastra di copertura, sempre in acciaio, spessa solamente 3 mm, che di giorno riflette la luce solare, mentre di notte è riccamente illuminata a led. La particolarità è che questo padiglione non è posto in un parco ma in pieno contesto urbano, in uno spazio pubblico residuale, poco vissuto, uno spazio interstiziale derivante dalla realizzazione di due edifici ad uso terziario. Il padiglione entra in simbiosi con questo spazio, legandosi alla trama colonnata del piano terra degli edifici, creando quasi un passaggio, un collegamento.

Carmody Groarke Londra

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“ […] tema collettivo, inizialmente associato al palazzo municipale e poi alle botteghe assume la propria autonomia di tema architettonico a se stante [...] ornamento della città [...] il portico, come la piazza, una nozione astratta del tutto sconnessa dai suoi originari significati [...] “ Marco Romano, Costruire la Città, pp. 118-125

Il terzo e ultimo elemento proposto all’interno della categoria del riparo è quella del portico, ovvero l’elemento architettonico che in una definizione generale indica una galleria aperta su un lato e collocata su uno o più lati di un edificio. La funzione primaria è legata al riparo dagli agenti atmosferici, ma non è da sottovalutare anche l’aspetto decorativo, motivo per il quale le vie porticate ai piani terra appaiono molto sontuose e maestose. L’esistenza di portici primitivi si riscontra già nei palazzi appartenenti alla civiltà egizia, hittita ed egea; da questi lontani prototipi si sviluppa il tipo di portico greco-romano, che farà poi da modello alle costruzioni cristiane ed alle archi-

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tetture rinascimentali. Il portico, diffuso ed ampiamente utilizzato in età greca, prendeva il nome di Stoà (letteralmente “sono eretto”), una struttura costituita da passaggi coperti di uso pubblico, accostati ad un edificio di forma rettangolare allungata, che presentava un lato aperto e colonnato, generalmente prospicente ad una piazza o una via importante, ed un lato chiuso da un muro. La copertura di questi spazi poteva essere a spiovente oppure l’edificio poteva proseguire ripetendo lo schema compositivo del piano terra; questi edifici generalmente sorgevano intorno all’agorà greca, erano parte dello spazio pubblico dove i mercanti potevano vendere loro merci, gli artisti esibire le loro

Port


tico

“ Ambiente al piano terreno con almeno un lato aperto, sostenuto da colonne o pilastri regolarmente distanziati [...] il portico può trovarsi sulla facciata di un palazzo, per disimpegno o ornamento, o cingere un cortile o una piazza “ Nikolaus Pevsner, Dizionario di architettura

opere, i cittadini passeggiare oppure luoghi in cui svolgere funzioni religiose. Successivamente, in età romana, in particolar modo nel periodo imperiale, il portico inizia ad essere ampiamente utilizzato, sia nella capitale che nelle numerose province, attraverso il sistema ad archi rispetto alla tradizionale piattabanda. Il portico si rivela di fondamentale importanza sia per proteggersi dalle piogge e dal clima rigido settentrionale, sia dai cocenti raggi del sole meridionale; allo stesso tempo consente una maggiore comodità ai passanti, invogliando così ad aprire, sulle vie dove erano presenti, botteghe artigianali e negozi, divenendo in questo modo

sinonimo di commercio. In età cristiana l’uso del portico prosegue, in particolar modo negli atri delle basiliche e nelle vie che conducevano ai maggiori santuari. Con la fine dell’età classica il portico perde in parte la sua funzione originaria, anche a seguito del drastico cambiamento degli impianti urbani medioevali; successivamente è solo nell’epoca rinascimentale e barocca che inizia ad essere riutilizzato negli impianti urbani cittadini. Ne è un particolare esempio Bologna, che con i suoi 38 km di strade porticate nel centro storico è tuttora la città italiana più porticata. Questo è dovuto ad un bando emesso dal comune nel 1288 che obbligava tutte le nuove costru-

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Portici Via Zamboni Bologna

zioni ad essere realizzate con il sistema porticato al piano terra ed obbligava gli edifici esistenti ad essere ampliati mediante la realizzazione dei portici. Questo decreto ha permesso di realizzare un centro cittadino nel quale i pedoni hanno potuto e possono liberamente circolare al riparo dalle intemperie, ed allo stesso tempo è diventata l’ occasione per realizzare un importante sistema commerciale basato per lo più sul-

le botteghe. I portici hanno quindi rappresentato uno dei principali sistemi urbani che hanno consentito alla cittadina medievale di diventare uno dei principali luoghi di scambio a livello nazionale. I portici sono successivamente stati richiesti dalle diverse sovranità durante i processi di abbellimento cittadino, così da cambiare e migliorare il volto delle città. Esempio noto di questo caso

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Mechanical ramps Roberto Ercilla Vitoria

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è quello della città di Torino, dove la famiglia Savoia ha fatto costruire durante il seicento 18 km di portici, dodici dei quali interconnessi. Oltre al portico conosciuto nella tradizione come struttura aperta su un lato e appoggiata all’edificio sull’altro, vi sono stati sviluppi contemporanei di questo tipo di riparo, che può essere anche aperto su entrambi i lati, senza essere ancorato ad alcun edificio, ma libero, con la funzione di riparo e, solita-

mente, anche di collegamento tra due punti. È il caso di Mechanical Ramps, una scala mobile urbana che attraversa il centro storico della cittadina spagnola di Vitoria, collegando due zone della città a quote diverse; questa è coperta e protetta da un sistema di portali con diversa inclinazione l’uno rispetto all’altro che formano, nell’insieme, un portico (benchè inclinato) a tutti gli effetti.


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Riferim

Monumento

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Edificio Monumentale


menti

Memoriale

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“ Componente retorica dello spazio pubblico, di forte impatto visivo, rappresentativa; sequenze di segni, astratti o ibridati all’architettura “ Aldo Aymonino, Spazi pubblici contemporanei Architettura a volume zero

La sesta categoria individuata nell’ambito della definizione degli elementi che compongono e caratterizzano lo spazio urbano sono i riferimenti, ovvero tutta quella serie di elementi architettonici che i fruitori di uno spazio percepiscono, riconoscono e ricordano, sia nell’immediato sia anche dopo anni dall’ averli visti. Quando Kevin Lynch parla dell’immagine pubblica che ogni città possiede, come sovrapposizione di tutte le immagini individuali, riconosce una serie di oggetti fisici percettibili che ne determinano l’unicità di ognuna e al tempo stesso la visione complessiva: perchè un oggetto fisico possa evocare in un osservatore un’immagine distinta e notevole, c’è bisogno di elementi

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altamente figurabili, leggibili, visibili, appariscenti.Come fare, dunque, a facilitare la riconoscibilità di un paesaggio urbano piuttosto che naturalistico, come poterlo leggere, come organizzare le parti che lo compongono? c’è bisogno di simboli riconoscibili per afferrarlo visivamente? Se è vero che l’immagine ambientale è il risultato di un processo reciproco di scambio tra l’ambiente stesso e un potenziale osservatore, allora sarà necessario ricorrere a semplici elementi fisici che si rendano tanto riconoscibili da poter aiutare chi li osserva a selezionare, organizzare e attribuire significati a ciò che vede. Un riferimento deve essere: - visibile


“ Elementi puntiformi, generalmente costituiti da oggetto fisici piuttosto definiti, singolari, con aspetti unici e memorabili rispetto al contesto, tali da contrastare con lo sfondo per età, scala, colore “ Kevin Lynch, L’immagine della città

- singolare - memorabile Oltre a tali caratteristiche comuni a tutti i riferimenti, ce ne sono tante altre che possono variare a seconda dei casi: la scala, il colore, la pulizia dipenderanno molto dal contrasto con il contesto in cui si inseriscono; potrebbero essere elementi puntuali quanto un obelisco piuttosto che largamente estesi quanto un memoriale, a seconda della posizione occupata e del significato da trasmettere e comunicare; possono variare la loro posizione, ad una distanza tale da poter essere colti, come nel caso di torri, cupole, montagne o colline; potrebbero invece essere molto più localizzati in aree ristrette, come obelischi, statue equestri,

insegne pubblicitarie; elementi a scala più piccola, percepibili e riconoscibili a scala di quartiere, utili soprattutto al riconoscimento di certe aree piuttosto che altre, ma non identificabili da distanze maggiori. Molto spesso, invece, questi due sistemi appena descritti possono raggrupparsi in un sistema unitario; se disposti in sequenza, non solo tra loro, ma soprattutto rispetto a percorsi, piazze, e altre categorie, il loro riconoscimento è sicuramente facilitato. In conclusione è fondamentale che un progettista ricorra a una serie di riferimenti nel modellare uno spazio urbano, poichè ogni individuo creerà e porterà con se un’immagine che gli è propria, all’interno di una più vasta immagine di gruppo.

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“ Costruzione eretta in memoria di una personalità o di un evento storico [...] “ Nikolaus Pevsner, Dizionario di architettura

Monum

“ Il significato riconosciuto della parola monumento è un oggetto di grandi dimensioni che simboleggia qulacosa degna di essere ricordata, fede religiosa,un grande uomo, un evento importante o una conquista sociale. “ Walter Gropius in: Pattetta Luciano, La monumentalità dell’architettura moderna

Il primo elemento proposto all’interno della categoria dei riferimenti è il monumento, ovvero quello che secondo la teoria di Marco Romano è esso stesso fin dalla nascita un tema collettivo , cioè <<l’ espressione di un sentimento che crea un tema esteticamente rilevante>>. I monumenti sono stati eretti fin da quando l’uomo ha iniziato a costruire manufatti architettonici, proprio come testimonianza di importanza, potere o gratitudine verso una divinità. Etimologicamente il termine monumento, infatti, deriva proprio dal latino monumentum, dal verbo mònere che significa ricordare, far sapere, ammonire: un mònito per portare conoscenza in tempi

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futuri; possiamo quindi considerare i monumenti come veri e propri mezzi storici di comunicazione, documenti di pietra, presenti soprattutto in città in forma di singole opere celebrativo-commemorative. Il tema del monumento non è quindi affatto nuovo, “ma è moderna la sue estensione a monumenti di tutti i periodi, è moderna la sua espressione in teorie più o meno scientifiche, la sua codificazione in norme tassative e specifiche”1. Questo proprio perchè il concetto di monumento, così come manufatto architettonico da tutelare e proteggere, da valorizzare, occidentale solamente dalla fine del XVIII secolo., ovvero a partire dall’esigenza di trovare una nuo-


mento

“ Opera di scultura o architettura innalzata per ricordare personaggi, o avvenimenti di grande rilievo. Dal latino , monumentum, dal verbo, monere, ammonire, spiega la funzione più antica del monumento come monito [...] “ Gianni Angelo, DizionarioItaliano Ragionato

va definizione che potesse tutelare un manufatto che rischiava di essere perso e che invece veniva ritenuto fondamentale come testimonianza storica delle epoche passate. Queste prime forme di tutela nascono tra Francia e Italia, ma è proprio nel secondo paese che nel 1902 il Ministero della Pubblica istruzione pubblica, a cura dell’allora Direttore generale delle Antichità e Belle arti, Luigi Parpagliolo, un elenco degli “edifizi monumentali” 2. Secondo Parpagliolo con la parola “monumento” si doveva intendere “l’immobile o il mobile, l’edificio o l’oggetto che ammonisce, avverte, contiene, cioè, qualche insegnamento”.

Con particolare riferimento, invece, alla legge di tutela del 1939, sempre italiana, si definisce “monumento l’edifico, l’opera o la “cosa” che, per il suo riferimento all’arte, alla storia, alla cultura, abbia evidenti caratteri di pubblico interesse”. Inoltre era anche stato sottoscritto un elenco che catalogava i monumenti principali italiani, indicati come oggetto di studio per le scuole dagli anni ’30 in poi. A questo proposito non va sottovalutata l’importanza dei monumenti nella costruzione dell’identità nazionale a più livelli, nella scuola e nella cultura in genere, nel turismo e nell’organizzazione delle città. Un esempio è la toponomasticache spesso fa proprio riferimento

1 Gustavo Giovannoni, Storia analitica dei monumenti, 1946 2 Tra le architetture di Luis Barragan a città del Messico,2016

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a monumenti o eventi accaduti in determinati luoghi. E’ proprio questo il caso della Colonna di Marco Aurelio, che dà il nome a Piazza Colonna, nonostante questa ospiti, oltre alla colonna, anche palazzo Chigi. La Colonna di Marco Aurelio è un monumento, eretto tra il 176 ed il 192 d.C. , per celebrare le vittorie dell’imperatore Marco Aurelio sulle popolazioni germaniche; è alta ben 42 m e su di essa sono rappresentate, attraverso bassorilievi, scene della guerra che hanno por-

Colonna di Marco Aurelio Roma

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tato alla sottomissione dei germanici. La colonna, con i suoi 42 m di altezza, nel periodo di costruzione e nei secoli successivi ha rappresentato un’importante punto di riferimento sia come tema comune ma soprattutto come elemento visivo. Un altro monumento dal forte impatto visivo è quello messicano delle Torri Satellite, progettate da Barragan e Mathias Goeritz per segnalare l’ingresso settentrionale a Città del Messico. Esse consistono in cinque torri a pianta rettangola-

Torri per la città satellite Luis Barragan Città del Messico

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re con il vertice principale rivolto a sud, verso il centro della città , ognuna di colori e dimensioni differenti. Si configurano quindi come un landmark di orientamento nel paesaggio urbano di Città del Messico, di cui ne sono diventate l’emblema. La morfologia caratteristica le rende delle architetture dinamiche, tanto che vengono percepite diversamente a seconda del punto della città dal quale le si guarda: per chi va verso nord sono delle lame affilate, per chi invece viene

Monumento ai cosmonauti Mosca

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da nord sembrano quadrangolari, per chi gli passa accanto appaiono poi come muri enormi di cemento colorato. Il progetto è stato pensato proprio in funzione della nuova mobilità urbana determinata dall’uso dell’automobile, avvento che ha rivoluzionato il tessuto urbano di Città del Messico3. Il monumento ai conquistatori dello spazio invece è stato eretto a Mosca per celebrare le numerose conquiste nel campo aerospaziale, compiute dai primi cosmonauti sovietici. L’inaugurazione avvenne nel 1964, esattamente a sette anni dal lancio della navicella Sputnik 1. Il monumento è composto da uno shuttle per l’esplorazione spaziale che svetta nel cielo, quasi sospeso al di sopra di un gigantesco obelisco rivestito da lastre in titanio e alto ben 107 m. Il monumento oltre ad essere simbolo di progresso tecnologico e testimonianza delle scoperte nel campo dell’esplorazione spaziale risulta oggi un importante punto di riferimento visivo sia per i cittadini di Mosca che per i visitatori.

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Edifi “ […] nasce dall’eterno bisogno degli uomini di creare Simboli per le loro gesta e per il loro destino [...] ogni periodo sente il bisogno di erigere monumenti che, conformente al significato latino della parola sono qualcosa che fa ricordare, qualcosa che deve venir trasmesso alle generazioni future“

Monum

Sigfried Giedion, Breviario di architettura Il secondo elemento proposto all’interno della categoria dei riferimenti è l’ edificio monumentale, ovvero un manufatto architettonico che per caratteristiche simboliche, storico-artistiche e dimensionali, rappresenta la memoria di un popolo, di una comunità o di una intera nazione. La differenza con il monumento non è solamente legata alle dimensioni fisiche dell’oggetto ma al legame stesso che il manufatto ha con il contesto e con il costruito limitrofo. In primis è un edificio che svetta, e risalta per dimensione e soprattutto proporzioni rispetto al contesto: un edificio monumentale non può essere definito tale senza conoscere ciò che è presente nel-

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le sue vicinanze; ogni edificio monumentale è quindi situato in un contesto spaziale con il quale si relaziona sotto diversi aspetti, divenendo parte essenziale del manufatto architettonico. È, dunque, il contesto stesso a elevare (per la maggior parte delle volte) a monumentale un determinato manufatto architettonico, perchè diversa è la percezione che si ha di quello specifico oggetto rispetto al resto. In questo caso tale edificio fa parte di un disegno più ampio, concepito nello stesso momento, includendo sia l’oggetto monumentale che il suo contesto circostante; in altri casi si potrebbe trattare di una preesistenza, oppure, in altri ancora, potrebbe far parte di un


ficio

mentale

“ Architettura con caratteri artistici o simbolici di eccezionalità, eretta a memoria di un evento o di un personaggio famoso; per estensione, tutti gli edifici di particolare significato storico-artistico che rappresentano la memoria di un popolo, comunità o nazione “ DeAgostini, Glossari Illustrati: Architettura

disegno che è il risultato di stratificazioni ed evoluzioni avvenute nel corso del tempo. Oltre alle proporzioni tra l’edificio monumentale e quelli contigui, un altro fattore importante da considerare è la tipologia di ciò che gli sta attorno e la sua posizione rispetto a questo: potrebbe essere isolato in un ampia area verde, potrebbe essere adiacente ad altri edifici o prospicente ad una piazza, ad una o più strade, ad un giardino. Monumento e contesto, quindi, formano un’unica unità spaziale, interagendo l’uno con l’altro, rendendo possibile un’unica lettura morfologica, risultante dell’unione dei due. Come il monumento, anche il contesto subisce continue mutazioni

dovute alle variazioni delle esigenze riscontrate in ogni epoca; tuttavia queste non devono pregiudicare cambiamenti nella percezione e nell’effetto che produce l’edificio monumentale, bensì devono migliorarli e contribuire alla riconoscibilità del manufatto. Le alterazioni inadeguate alla situazione specifica turbano questa complessa interazione e compromettono il valore del monumento, in quanto una sostanziale variazione del contesto potrebbe risultare fatidica nella percezione di un complesso architettonico, pensato e costruito in condizioni diverse da quelle originali. Allo stesso tempo un edificio monumentale può essere un mezzo attraverso il quale ricostruire un senso di unità, un

1 Principi per la tutela dei monumenti storici in Svizzera, 2007

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oggetto nel quale le persone possano riconoscere il simbolo di un nuovo periodo storico. E’ proprio questo il caso della cupola del Parlamento Tedesco di Berlino, il Deutscher Bundestag, ricostruita a seguito della riunificazione della Germania Est e Ovest nel 1989. Questo edificio è esempio della categoria proposta perchè diventato uno dei simboli della nuova Germania, rappresentativo di tutto il

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XX secolole del città tedesca. Inizialmente costruito come parlamento durante il secondo reich, divenuto poi sede della Repubblica di Weimar, incendiato nel 1933 e abbandonato dai nazionalsocialisti , è stato pesantemente bombardato nel 1945 dai sovietici, proprio perchè individuato come uno dei simboli nazionali della Germania. L’edificio viene, successivamente, quasi del tutto inutilizzato fino alla decisione della sua ricostruzione


nel 1990 come sede del nuovo Parlmento tedesco: la nuova cupola in acciaio e vetro richiama, per forma e dimensioni, quella andata distrutta con l’incendio del 1933 ed è oggi divenuta l’emblema della nuova Germania unita, rappresentando non solo il luogo del potere politico, ma soprattutto il luogo della rinascita del popolo tedesco. Ne risulta un vero e proprio riferimento per la città e per i cittadini , sia per la sua visibilità dalla mag-

gior parte della città sia per la sua posizione di coronamento dell’imponente parco di Tiergarten; a sua volta è esso stesso un punto di vista panoramico da cui poter guardare l’intera Berlino. Tutto questo permette di identificare in questo edificio il senso di unità e coesione, e di attribuirgli un carattere di monumentalità. Un altro edificio monumentale, risalente sempre allo stesso periodo di fine ‘900, è l’Arco de la

Cupola del Reichstag

Norman Foster Berlino

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Défence a Parigi. La sua monumentalità è data dai caratteri dimensionali, morfologici, posizionali: si tratta di un ipercubo perfetto, forato al centro e alto 110 m, costruito in asse con il museo del Louvre in un prolungamento dell’asse storico di Parigi che portava dal museo, a place de la concorde fino all’Arco di Trionfo. Questo edificio monumentale è pensato per essere un vero e proprio arco di trionfo del XX secolo ; a differenza di quelli progettati in altri periodi storici, non ha fini ce-

lebrativi inerenti a eventi bellici, ma nasce per celebrare l’umanità e gli ideali umani. Viene, infatti, costruito ed inaugurato esattamente nel bicentenario della Rivoluzione Francese, per riaffermare e ribadire con forza diritti e progressi umanitari ottenuti. Questo manufatto architettonico si rivela fuori scala se si considera “l’ordinario”, mentre appare perfettamente integrato se lo si osserva in una visione generale che tiene conto dell’asse visivo fino all’arco di trionfo e il circostante quariere della Défence.

Arco de La Défense Otto von Spreckelsen Parigi

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“ […] costruzione destinata a celebrare avvenimenti storici o personaggi famosi “

Memo

Rosenberg e Sellier, Il nomenclatore di architettura

“ […] è un segno proprio a richiamare la memoria dei fatti, delle cose e delle persone “ Quatremere de Quincy, Dizionario storico dell’architettura

Il terzo e ultimo elemento proposto all’interno della categoria dei riferimenti è il memoriale, ovvero un manufatto architettonico o un’ istallazione che per caratteristiche simboliche, storico-artistiche , rappresenta la memoria di un evento tragico che si vuole ricordare per non dimenticare. La differenza con il monumento e con l’edificio monumentale è legata molte volte alle dimensioni fisiche dell’oggetto che si presenta non tanto come un manufatto architettonico a sè stante come nel caso dell’edificio monumentale, e neppure come un elemento puntuale e circoscritto come il monumento. Il memoriale, generalmente, occupa vaste porzioni di spazi urbani,

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generalmente parchi, oppure diventa esso stesso elemento determinante per la costruzione di nuove aree verdi; altre volte ripercorre vecchi tracciati che vengono ideologicamente segnati come percorsi che hanno avuto rilevante importanza nelle varie fasi storiche; altre volte ancora ha dimensioni più contenute: in tutti i casi è il valore simbolico attribuitogli ad essere rilevante e a far di questi elementi dei riferimenti. Il memoriale è un elemento urbano strettamente legato al tema della memoria (come suggerisce il nome stesso) e dalla nascita relativamente recente, o per lo meno definito come tale negli ultimi decenni. A differenza delle altre due sottocategorie dei riferimenti, il memo-


oriale “ […] tema di architettura, alto, quello che esprime e contiene valori, principi, regole, senso della dignità umana […] sono pensati in una collocazione all’interno di un parco o in luoghi fortemente simbolici “ Brownlee,David B., Louis Kahn in the realm of architecture

riale, infatti, non ha una tradizione storica-costruttiva a suo supporto e non sono direttamente rintracciabili in età storiche passate; le uniche forme di commemorazione assimilabili, oltre al monumento vero e proprio, sono forse i mausolei, pensati per rendere omaggio a personaggi molto importanti. Il memoriale, così come oggi inteso ha significati e caratteri altri e non sempre univoci: mentre il monumento è un tipo di riferimento circoscritto in sè stesso, puntuale, il cui nome richiama subito alla mente l’immagine di una statua, quando si parla di memoriale viene più da pensare a un luogo, più che a un oggetto. Si tratta di un tipo di riferimento diverso che indica più a uno spazio che, nel momento in

cui viene vissuto, suscita emozioni, sentimenti di ricordo, sbalordimento, paura, trasmessi ed enfatizzati dal ricordo che si vuole evocare. Sono moltissimi gli esempi recenti progettati in modo da suscitare sensazioni nei visitatori; un esempio, a questo proposito, è il memoriale realizzato per commemorare la strage dell’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’ 11 Settembre a New York. In questo caso un enorme foro scavato nel terreno, delle stesse dimensioni delle torri abbattute, dona alla città un nuovo spazio in cui poter ricordare il tragico evento, oltre ad offrire un nuovo luogo di relazione e socializzazione. Un altro esempio, forse tra i più

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conosciuti e visitati, è l’immenso memoriale per gli ebrei assassinati di Europa, situato nel centro di Berlino e composto da un campo di 2711 stele in calcestruzzo color grigio scuro, organizzate secondo una griglia ortogonale e percorribili al loro interno. Sempre a Berlino un altro memoriale testimonia una delle fasi più buie della guerra fredda e delle due germanie divise: il memoriale del muro di Berlino. E’ il luogo della memoria più significativo sulla divisione della Ger-

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mania, nel cuore della sua capitale, che aveva visto nascere quest’opera di divisione sul tracciato della centralissima Bernauer Straße. Il memoriale si sviluppa su una lunghezza di 1,4 Km, nell’area in cui sono conservati gli ultimi tratti del muro, nella sua articolata forma originaria a più livelli. Dal Centro Visitatori si è condotti in una mostra a cielo aperto che si articola su tutta la lunghezza con approfondimenti sulla storia del Muro e testimonianze degli eventi drammatici della Bernauer Straße.


Un elemento molto importante della mostra è la Finestra della Memoria sul terreno dell’ex cimitero Sophien-Friedhof, dove sono esposte le foto delle vittime, cadute nel tentativo di attraversare la divisione tra est e ovest. Il Memoriale della Bernauer Straße è oggi uno dei luoghi più emblematici della capitale, poichè a coloro che visitano il luogo da vicino viene trasmesso un senso di angoscia che possa ricordare la repressione vissuta dai cittadini dell’est. La storia del muro mostra, infatti,

in maniera esemplare i tragici risvolti umani della divisione: la limitazione dello spazio e delle libertà personali, il controllo maniacale degli spostamenti e delle attività urbane, il brutale smembramento delle famiglie e la distruzione delle amicizie ed affetti più cari. Un altro memoriale proposto come esempio è il recentissimo memoriale della Shoah di Bologna, inaugurato nel Gennaio del 2016. Il memoriale di Bologna celebra il 70° anniversario dalla liberazione di Auschwitz: due blocchi di accia-

Berlin wall Memorial Berlino

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io corten, alti 10 metri, convergono l’uno verso l’altro, definendo una fessura larga appena da far passare un persona. Ai lati, le cavitĂ cubiche sovrastano il percorso ripetendosi in maniera ossessiva in tutte le direzioni: queste rappresentano le celle dei deportati, nonchè il vuoto lasciato da chi le occupava. La componente simbolica gioca un

ruolo importante nel memoriale: non sono presenti scritte o incisioni, pertanto, si tratta di un luogo da riempire di significati personali. Un sito della memoria in tutti i sensi, che non rappresenta soltanto un monumento ma che ha innestato un importante processo culturale orientato alla riflessione e non solo al ricordo del tragico evento.

Shoah Memorial SET Architects Bologna

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Sezio

Sottopasso

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Sottoservizi


one

Piazza Ipogea

Parcheggio Interrato

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“ […] La sezione di uno spazio pubblico,pur essendo estremamente varia, non può essere paragonata a quella di un edificio [...] la sezione diviene uno strumento molto importante per organizzare sequenze ed ordinare gerarchie, capaci di attribuire significato e forma allo spazio aperto“ Isotta Cortesi, Il progetto del vuoto

La settima categoria individuata nell’ambito della definizione degli elementi che compongono e caratterizzano lo spazio urbano è la sezione, ovvero i sistemi tecnologici, le attrezzature di servizio, gli spazi ipogei, che vengono pensati e progettati al di sotto della superficie secondo diversi livelli. Quando si cammina per la strada e si osserva uno spazio ci si guarda attorno, spostando lo sguardo verso l’alto, verso destra, verso sinistra e verso il basso, laddove si incontra la superficie sulla quale si sta camminando. Ma quante volte ci si domanda cosa c’è oltre quella superficie? Muovendosi lungo l’asse verticale, a partire da un punto stabilito, verso il basso, è probabile che si sco-

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prano una quantità di informazioni e oggetti che danno significati e forme altre anche allo stesso spazio più superficiale. Nelle varie categorie si è visto come nessuno degli elementi urbani esista isolatamente nella realtà, poichè molto spesso l’uno si sovrappe o affianca all’altro, fino a definire un’immagine unica; allo stesso modo in una sezione dello spazio urbano si incontrano più immagini, disposte per livelli, una dopo l’altra, in un rapporto di larga o stretta dipendenza/coordinazione, un pò come accade in una progettazione paratattica o ipotattica. Nel caso, ad esempio, della sottocategoria proposta del sottopasso si descrie un elemento caratterizzato dall’essere sotto qualcos’al-


tro: si potrebbe trattare di un ponte, di una passerella, di un percorso, di una piazza, ma di sicuro il sottopasso fa parte di una sezione perchè si dispone in un altro livello di una stessa immagine, che mai sarà colta nella sua totalità, ma è importante che chi lo progetta la possa cogliere nella sua interezza. Lo stesso discorso vale per una piazza ipogea o un parcheggio interrato, ambedue spazi che risultano più o meno nascosti, a seconda di come si decide di trattarli, posti “sotto”, forse una superficie qualunque senza alcuna importanza, forse sotto un monumento piuttosto che un padiglione espositivo. Come nel caso del sottopasso, anche in questi è fondamentale tenere conto di cià che sta “sopra”,

della sezione di cui fanno parte. Discorso un pò diverso è quello del quarto elemento proposto, i sottoservizi: al contrario degli altri l’obiettivo non è metterli in mostra, renderli evidenti, non è invitare il visitatore a guardarli, ma camuffarli, nasconderli, integrarli con il resto, rendere la loro presenza indifferente. Questo è ciò che accade nella maggior parte di casi; altre volte anche questi elementi possono essere valorizzati al pari di tanti altri, come parte di un disegno unitario di uno spazio, come fosse un dettaglio a cui si è prestata particolare cura e che potrebbe fare la differenza. La sezione è, dunque, uno strumento importante di organizzazione su più livelli nell’ambito di un progetto urbano.

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“ passaggio pedonale sotterraneo che nelle stazioni ferroviarie permette di evitare l’attraversamento dei binari; in zone urbane a traffico intenso, passaggio sotterraneo per l’attraversamento dei pedoni “

Sottop

Dizionario Garzanti linguistica

La prima sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della sezione è il sottopasso, un oggetto rispetto al quale è stato parecchio difficile rintracciare della letteratura che ne parlasse, probabilmente per l’importanza diversa che gli viene attribuita rispetto ad altre figure nell’ambito di un progetto dello spazio urbano. Questo elemento indica un tratto di strada ribassato, che passa al di sotto rispetto ad altri percorsi presenti nelle immediate vicinanze. Tutte le volte che ci si trova davanti ad un sottopasso esso è il risultato di interventi artificiali che hanno come obiettivo la canalizzazione dei flussi oppure il proseguimento di un determinato percorso davan-

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ti ad un ostacolo altrimenti insormontabile. I sottopassi sono, infatti, elementi necessari in casi in cui non vi sia altra soluzione se non quella di passare al di sotto di un ostacolo, di qualsiasi natura esso sia; è un elemento di collegamento tra spazi divisi, separati, interrotti. Molto spesso, però, accade che questa figura urbana sia banalizzata e standardizzata poichè gli si attribuisce un valore esclusivamente funzionale che porta a progettarli come elementi di collegamento e di superamento di un ostacolo, senza alcun carattere estetico e di secondaria importanza rispetto al disegno complessivo di quello spazio. Ne deriva, quindi, che la maggior


passo

“ Opera viaria che strada di incrociarne dovi sotto, evitando traffici si incontrino

consente a una un’altra passanche i rispettivi e si ostacolino “

DeAgostini, Glossari Illustrati: Architettura

parte delle strutture realizzate non hanno nessun pregio architettonico, ma, anzi, nella maggior parte dei casi, i fruitori si trovano a dover percorrere strutture datate, cupe, buie, per lo più vandalizzate e la cui sicurezza non è sempre garantita e tutelata. Per tutti questi motivi non sono molti i casi virtuosi di sottopassi realizzati tenendo conto non solo degli aspetti funzionali, ma considerando questo elemento di collegamento sotterraneo come qualcosa a cui attribuire un valore aggiunto perchè prolungamento dello spazio urbano che lo circonda. In città la maggior parte dei sottopassi pedonali vengono costruiti per oltrepassare barriere come

linee ferroviarie o strade ad alto scorrimento veicolare, proprio come escamotage possibili per riconnettere parti di città separate da importanti flussi ferroviari o veicolari che hanno segnato o segnano tutt’ora cesure all’interno della maggior parte delle città. Un esempio particolarmente degno di nota, pensato per rispondere al problema del superamento di un attraversamento ferroviario, è il sottopasso realizzato ad Amsterdam, il Cuypers Passage Benthem, che collega la parte destra alla parte sinistra della città in prossimità della stazione centrale. Questo nuovo collegamento, tra due parti di città prima inaccessibili in modo diretto, è stato inaugurato a fine 2015 ed è riservato

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esclusivamente all’uso ciclo-pedonale; è stimato che già nei primi giorni successivi all’ apertura sia stato percorso da circa 15.000 biciclette e 10.000 pedoni al giorno. Il tunnel, lungo 110 metri, largo una decina e alto tre, è caratterizzato da una evidente divisione tra le due modalità di trasporto utilizzabile,

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che vengono distinte per altezza, colore e materiale utilizzato. Mentre il livello pedonale è sollevato rispetto alla pista ciclabile, permettendo ai pedoni di sentirsi al sicuro, i ciclisti godono di una spaziosa e rapida pista nella quale luci LED ne illuminano il bordo. Il percorso pedonale ha una fini-


Cuypers Passage Benthem

tura liscia di piastrelle in ceramica smaltata a mano, mentre la pista ciclabile ha una finitura grezza di asfalto e acciaio, con griglie nere fonoassorbenti. Il disegno che occupa la parete del tunnel è composto interamente da piastrelle ceramiche che raffigurano la Warship Rotterdam and the

Herring Fleet, opera conservata nel Rijksmuseum di Amsterdam. Avvicinandosi alla zona del fiume la parete decorata con le ceramiche sfuma; il disegno riprende poi vigore addensandosi in una forma astratta dal blu chiaro allo scuro, come a voler far rallentare i ciclisti in vista del traghetto, ponendo

Crouwel Amsterdam

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così l’attenzione sul passaggio dal vecchio al nuovo. All’azienda ceramica ci sono voluti ben cinque anni per realizzare le 46.000 piastrelle della parete e le 33.000 del pavimento, tutte nel tradizionale formato olandese di 13 x 13 cm. Su di esse sono dipinte grandi e piccole navi mercantili, trasportatori di aringhe con le loro reti, onde agitate e gabbiani.

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Sono tutti elementi che fanno parte della tradizione olandese ma che fanno la differenza nella progettazione di un tunnel da poter vivere e attraversare come luogo sicuro, come fosse una stanza urbana al riparo dal traffico cittadino. Un altro esempio lodevole è il sottopasso pedonale italiano realizzato a Poggibonsi per ricucire due lembi di città separati dalla ferrovia.


Nel progetto è stata realizzata una scalinata molto ampia che rende ottimale la visibilità e la sensazione di accoglienza, dando così un senso di continuità, anche visiva, fra le due parti della città. Grande cura è stata posta nelle interconnessioni tra i diversi tipi di attraversamento previsti (scale, rampe, gradonate) e ad altri elementi d’arredo come zone di sosta con panchine, alberature e aree

verdi. L’intervento rientra all’interno di un disegno più ampio di riqualificazione del centro storico, come un piccolo frammento di un progetto vasto ma la cui importanza è fondamentale: la nuova struttura, infatti, è diventata la porta d’accesso privilegiata al nuovo centro storico, ampliato e rigenerato. Sottopasso pedonale Augusto Mazzini Poggibonsi

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“ Comprendono tubature, cavidotti, cunicoli e percorsi riservati o protetti per distribuire i servizi urbani a rete ( o infrastrutture) [...] “

Sottos

Carlo Bottigelli, Manuale Tecnico Hoepli

La seconda sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della sezione sono i sottoservizi, ovvero quella parte tecnologica rappresentata dagli impianti a servizio di ambienti ipogei che, per ovvie necessità, sono visibili anche in superficie. Anche in questo caso è stato parecchio difficile rintracciare della letteratura che desse particolare importanza a questi elementi nell’ambito del progetto urbano, proprio perchè, trattandosi di sistemi impiantistici, sono spesso più legati al progetto del suolo più in generale ma meno a quello più specifico di uno spazio pubblico. I sottoservizi rappresentano tutti quegli elementi impiantistici che, per garantire la funzionalità di am-

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bienti sotterranei, arrivano fino in superficie: ne sono un esempio le grate per l’aerazione dei parcheggi interrati, oppure le torrette per la ventilazione di locali interrati come sottopassi. Questi elementi che giungono in superficie, in maniera quasi puntiforme, nella maggior parte dei casi sono progettati per funzionare, ma non gli si attribuisce alcun carattere estetico, nè fanno parte del disegno urbano più generale; ne risulta, spesso, un notevole impatto in una visione complessiva degli spazi superficiali. Ad esempio le griglie di aerazione dei parcheggi interrati richiedono, per poter garantire un ricambio di aria sufficiente a smaltire i gas di scarico delle automobili, ampissi-


servizi

“ Servizi primari, come le reti di energia elettrica, gas, telecomunicazioni e fognature, incanalati in apposite condutture realizzate nel sottosuolo “ Dizionario Garzanti linguistica

me superfici che, essendo realizzate con griglie in acciaio, influiscono non poco sul disegno e sulla percezione della pavimentazione dello spazio soprastante. Tuttavia questi elementi possono essere integrati, “mimetizzati”, resi meno impattanti, se pensati assieme a tutto il resto, grazie a piccoli accorgimenti che tengono conto non solo dell’aspetto funzionale ma anche di quello estetico. Le griglie, ad esempio, non devono essere necessariamente orizzontali, ma possono entrare a far parte di un sistema di elementi più complessi, come sedute studiate ad hoc a seconda delle evenienze, che inglobano le griglie in parte mascherandole. Le soluzioni sono svariate se ci si

sofferma a pensare a soluzioni che possano essere al tempo stesso funzionali e gradevoli da guardare. Un esempio, in questo senso, di una buona pratica progettuale che integra la parte impiantistica a quella estetica percettiva è sicuramente quella dell’architetto Renzo Piano. L’architetto genovese, tra i primi fautori dell’high tech, ha da sempre studiato e curato la parte impiantistica, facendone in alcuni casi un vero e proprio must delle sue opere architettoniche: ne è un esempio straordinario il Centre Pompidou a Parigi. In questo edificio la parte impiantistica, per l’appunto, non viene nascosta o mascherata, anzi, viene portata alla sua massima espres-

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Torre Intesa SanPaolo Renzo Piano Torino

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sione ponendola all’esterno dell’edificio stesso ed esaltandola con colori molto accesi. La stessa cura e dettaglio progettuale vengono seguiti nella realizzazione delle torrette di ventilazione dei locali interrati posti nella piazza antistante all’edificio. Non sono semplici griglie orizzontali e nemmeno banali torrette ma sono veri e propri manufatti architettonici, pensati e realizzati per soddisfare sia gli aspetti funzionali , ma in primis progettati con un alta valenza estetica. Sono elementi a sezione circolare, con un diametro di tre metri e un

altezza di sei metri, forse anche sovradimensionati rispetto alle reali esigenze per ribadire la propria presenza e la propria valenza all’interno dello spazio pubblico. Questi elementi, verniciati di bianco, vengono quindi trasformati da derivazione impiantistica da nascondere ad elemento che caratterizza e rende riconoscibile uno spazio urbano. Un altro esempio, sempre facente parte di un progetto di Renzo Piano, è la sistemazione della parte antistante all’ingresso del grattacielo Intesa San Paolo, a Torino. In questo caso le griglie di aera-


Centre Pompidou

zione dei locali interrati sono state in parte nascoste in elementi verticali a griglia e coperti da una lastra in pietra orizzontale in modo da creare una seduta per visitatori. Questo è un espediente molto semplice, quasi banale se ci si pensa in modo approfondito, tuttavia delinea proprio il fatto che bastano piccoli accorgimenti per rendere meno “visibile” l’impatto delle derivazioni impiantistiche in superficie. Altri semplici accorgimenti, sempre nel progetto della torre San Paolo, sono stati quelli di realizzare tutte le superfici a griglia orizzon-

tale sostituendo la classica griglia in acciaio a maglia rettangolare con una pavimentazione in pietra; quest’ultima è uguale a quella circostante, tuttavia presenta in alcuni punti delle fenditure, dei fori e dei tagli proprio per consentire il deflusso dell’aria. Allo stesso tempo chi passa al di sopra di questi spazi quasi non si accorge della differenza con la pavimentazione normale, anzi, i tagli riescono a dare movimento e alternanza rispetto alla sola pavimentazione in pietra.

R. Piano e R. Rogers Parigi

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Piaz “ Piazza di grandi dimensioni ribassata, talvolta a cielo aperto [...] un grande vassoio che accoglie funzioni “

Ipog

Parametro, edizione 258-260

La terza sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della sezione è la piazza ipogea, ovvero una piazza che si sviluppa a partire da un ribassamento, da un movimento verso il basso, che proietta al di sotto di un piano a quota zero la superficie della piazza. Anche in questo caso è stato parecchio difficile rintracciare della letteratura che ne parlasse, probabilmente perchè non si tratta di una figura urbana diffusa in quanto la loro progettazione è, per la maggior parte delle volte, una risposta alla risoluzione di un problema di determinate condizioni topografiche del sito, legata quindi a specifiche necessità. Se si guarda al passato, un model-

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lo architettonico assimilabile alla piazza ipogea è il teatro greco, la cui progettazione sfruttava un dislivello, molte volte preesistente, per incanalare acustica e punti di vista tutti verso la scena teatrale. Nel corso della storia, probabilmente, non è stato necessario realizzare luoghi pubblici ipogei, se non in specifiche situazioni; questo probabilmente è anche dovuto al fatto che la mancanza di elettricità non potesse consetire la realizzazione di ampi locali sotterranei nei quali assicurare una corretta illuminazione, al pari di una piazza in superficie. Successivamente, con l’avanzamento tecnologico e costruttivo, si è potuto ovviare a molti inconvenienti che si riscontravano nel-


zza

“ [...] piazza pedonale affinacata da spazi commerciali; una specie di dolce ‘cordamolla’ tesa tra i due versanti della città [...] “

gea

Stefano Storchi,Oberdan Armanni, Centri storici e nuove centralità urbane

la realizzazione di locali interrati, divenendo questi ultimi una vera e propria nuova tipologia costruttiva nella maggior parte delle città occidentali. L’inizio della costruzione di ampi locali ipogei coincide, infatti, con la sopravvenuta necessità di dotare il sottosuolo di tutti quei servizi che non potevano più essere allocati, per ragioni di spazio e comodità, in superficie; è un esempio la costruzione delle linee metropolitane iniziata nei primi anni del ‘900, che nel corso del secolo si sono trasformate non solo in uno dei mezzi di trasporto più utilizzati, ma sono diventate veri e propri nuovi luoghi di incontro e socializzazione. In molti casi le stazioni metropolitane si sono trasformate in piazze

interrate distribuite su più livelli: moltissime stazioni presenti a Mosca, oggi per lo più dismesse, presentano caratteristiche tali da essere rifunzionalizzate e trasformate in nuovi luoghi di incontro urbano. Un esempio analogo può essere ritrovato nelle più grandi stazioni metropolitane, come nelle reti della città di Londra o di New York, dove, dati gli enormi flussi di persone, si sono sviluppati una serie di servizi, negozi e spazi di attesa, concettualmente molto simili a quelli presenti in una piazza superficiale. Questi nuovi spazi, quasi inusuali, possono infatti rivelarsi un ottimo espediente per realizzare nuovi luoghi di socialità urbana, quando

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si è in mancanza di spazi superficiali adeguati. Un esempio di rivitalizzazione e riconversione è la piazza ipogea realizzata a Teruel dagli architetti Mi5, che sono riusciti ad “incastrare” un volume nel terreno, permettendo così la creazione di un’ampia struttura pubblica, che restituisce ai cittadini la vitalità della piazza preesistente, senza stravolgere il tessuto urbano del contesto storico in cui si trova.

Le persone percorrono la nuova piazza pubblica attraversandone tutti gli strati e s’imbattono in attività sempre diverse in grado di favorire un vitale sistema d’interazioni sociali. Questa sperimentale tipologia forza i limiti dei regolamenti tecnici per esplorare l’incremento di spazi pubblici urbani e la rivitalizzazione del centro storico cittadino. Un altro esempio di piazza ipogea, di recente realizzazione, è Piaz-

Teruel-zilla Mi5 Arquitectos Teruel

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Piazza Garibaldi

za Garibaldi a Napoli, progettata dall’architetto francese Dominique Perrault. La piazza, realizzata come nodo nevralgico di scambio dei flussi in movimento tra il centro della città e la periferia, è stata l’occasione di rivitalizzazione e rifunzionalizzazione di un ampio spazio urbano lasciato per troppi anni in balia del solo traffico veicolare. Il progetto opera per suddivisioni, creando una pluralità di luoghi, in modo che si possano moltiplicare

le possibilità di utilizzo e l’urbanità dell’ambiente. Questa figurazione è all’origine della nuova idea di stazione metropolitana, dove l’esterno si confonde con l’interno, e le infrastrutture si mischiano alla scena urbana. La stazione Garibaldi non è quindi il semplice varco di accesso alla metropolitana, ma uno spazio animato che si estende, si allunga e si scioglie per mettere in contatto e in tensione gli elementi presenti sulla piazza.

Dominique Perrault Napoli

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Parche

inter

La quarta e ultima sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della sezione è il parcheggio sotterraneo, ovvero quel manufatto architettonico che consente per l’appunto il parcheggio, lo stoccaggio, delle autovetture nel sottosuolo. Benchè sia difficile rintracciare della letteratura che parli di questo elemento nell’ambito del progetto urbano, lo si individua perchè la sua presenza nel sottosuolo influenza lo spazio soprastante in superficie e perchè esso stesso, se aperto a tutti, diventa uno spazio pubblico. Non si tratta, dunque, di semplice manufatto architettonico che deve solamente rispondere ad una funzione, ovvero quella di contenere il maggior numero di

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macchine, nel minor spazio possibile. La finalità estetica deve essere presa in considerazione, per evitare la standardizzazione di questo elemento che non tiene conto del modo in cui questo poi si approccia allo spazio superficiale. E’ una tipologia relativamente recente in quanto deriva da una nuova necessità, nata durante la seconda metà del secolo scorso, a seguito dell’invasione delle automobili, nei grandi centri urbani. I primi parcheggi interrati hanno iniziato ad essere costruiti in risposta agli orrendi edifici a parcheggio multipiano, che hanno iniziato a fare la loro comparsa dagli anni ‘40 negli Stati Uniti. Rispetto ai parcheggi multipiano i


eggio

rrato

parcheggi interrati consentono in primis di non occupare suolo potenzialemente edificabile, quindi altamente redditizio, ed in secondo luogo consentono di “nascondere” le auto nel sottosuolo rispetto ai tradizionali parcheggi superficiali. Un ulteriore sviluppo nella pratica costruttiva dei parcheggi interrati si ha avuta quando, soprattutto in Europa ed in particolar modo nei centri Italiani, ci si è resi conto che ormai le auto avevano colonizzato le città, riempiendo ogni interstizio disponibile: le principali piazze di tutte le città erano diventate nient’altro che enormi parcheggi in superficie. Si è così iniziato a “sgomberare” le piazze, ri-pedonalizzandole, spostando i parcheggi presenti prima

in superficie nel sottosuolo. Questa è diventata successivamente una pratica diffusissima in quanto proprio la costruzione di questi parcheggi interrati, per lo più privati, ha consentito enormi opportunità di investimento. Si sono, quindi, verificati moltissimi casi di speculazione legata alla realizzazione di questo tipo di manufatto, che tuttavia ha contribuito a liberare ampie superfici della città dalla automobili, e poterle conseguentemente ridonare alla città ed ai cittadini. Questi interventi, realizzati a partire dalla fine degli anni ‘80, non sono sempre stati eseguiti con particolare attenzione progettuale sia alla qualità del parcheggio sia a quella della parte superficiale so-

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prastante, che talvolta sono rimaste semplicemente asfaltate. Di contro vi sono esempi che meritano di essere guardati, citati, perchè, sfruttando la realizzazione di nuovi parcheggi ipogei, colgono l’occasione per creare in superficie nuovi spazi della socializzazione, riqualificando e rivitalizzando spazi pubblici preesistenti. Non si ricorre quindi a semplici su-

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perfici asfaltate ma si genera un ulteriore valore aggiunto, andando a restituire nuovi spazi, con un alta valenza sociale alla città. E’ ad esempio questo il caso del parcheggio realizzato a Badalona, in Spagna, dove la costruzione di un nuovo parcheggio interrato è stata proprio l’occasione per la risistemazione e la rifunzionalizzazione della piazza soprastante.


Plaza y Aparcamientos

L’intervento considera in un unico disegno il parcheggio ed il relativo spazio pubblico superficiale, concepiti come un unico manufatto architettonico, integrati uno con l’altro: la piazza quasi rappresenta una coperta, un frammento di verde nell’impianto urbano. Un ruolo fondamentale lo hanno avuto i sottoservizi, categoria analizzata in precedenza, nei quali

le torrette per l’aerazione si trasformano in parallelepipedi bassi e molto colorati, che oltre a far defluire l’aria permettono di alluminare l’ambiente sottostante di una luce naturale ma colorata per via della scelta dei materiali usati. La piazza soprastante è, invece divisa in stanze, come fossero tanti piccoli salotti nei quali gli abitanti del quartiere possono giocare o ri-

AIA Salazar Navarro Spagna

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Sishane Park

lassarsi. Il secondo esempio oggetto di studio è invece un parcheggio semi-interrato , progettato in un sito nella città di Instanbul già naturalmente a diverse quote. Si tratta del Sishane Park, come dice il nome pensato come un parcheggio-parco nella periferia sud occidentale della città per regalarle la prima area verde.

L’obiettivo del progetto infatti è stato proprio quello di costruire un nuovo frammento di natura all’interno della città consolidata, circondandolo di spazi intimi nei quali potersi rilassare, riposare godendosi l’ombra degli alberi. Il progetto è stato studiato in ogni dettaglio, a partire dalla rampa di discesa per le automobili dalla sinuosa forma elicoidale.

SanaaLarc Istanbul

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Nat Urba

Parco Urbano

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Parco Lineare


tura ana

Giardino

Orto Urbano

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“ […] una specie di natura artefatta, specchio del rapporto conflittuale tra il dentro ed il fuori di una città [...]“ Andreas Kipar, Architetture del paesaggio

L’ ottava e ultima categoria individuata nell’ambito della definizione degli elementi che compongono e caratterizzano lo spazio urbano è la natura urbana, ovvero tutti quegli spazi che, a prescindere dalla forma, dalla posizione, dalla dimensione, si caratterizzano per la materia vegetale. Quest ultima, per molto tempo sottratta e passata in secondo piano nel progetto del suolo e della città per favorire l’antropizzazione del territorio, opere di edificazione e creazione di spazi urbani, è tornata pian piano a reimpossessarsi dello spazio, seppur antropizzato, sia in modo naturale sia grazie a una nuova sensibilità sviluppata dall’ uomo. Si parla, quindi, di natura urbana come di quella categoria che oggi

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caratterizza i centri urbani nei suoi spazi pubblici grazie all’ avvicinamento della disciplina dell’architettura del paesaggio e quella dell’urbanistica. La crescente urbanizzazione da un lato, la crisi della città contemporanea dall’altro, hanno generato, infatti, un nuovo campo di applicazione dell’architettura del paesaggio, nell’ottica di ricerca di un continuo dialogo tra l’uomo, le sue esigenze e la natura stessa; grazie a questo, lo spazio aperto in città ha cominciato a rinascere attraverso il consolidamento, la conservazione e l’invenzione di nuovi luoghi. La natura urbana, seppur artefatta e profondamente diversa da quella selvaggia, entrando nel


mondo urbano, ha aperto nuovi spiragli per un ritorno alla vivibilità dei luoghi: città e natura hanno bisogno di spazi di mediazione in cui incontrarsi e convivere, spazi in cui la natura possa rigenerarsi e impossessarsi di quelle parti sottratte alla città e in cui l’uomo, al contempo, possa fermarsi e contemplare. In questa categoria si individua il parco certamente come elemento archetipo, da sempre mezzo immediato per esprimere il rapporto tra la società urbana e la natura; questo è sì vero, ma è il giardino, molto prima del parco, il primo elemento naturale ad essersi posto tra l’uomo e la natura, la prima forma di conquista antropica di uno spazio artefatto ma naturale,

come diretta imposizione dell’ artificio sulla natura. Anche l’ orto ha origini antichissime, legate ai primi insediamenti umani, come forma di sostentamento alimentare delle prime civiltà sedentarie, comune o privato che fosse; recentemente è rientrato a far parte dei modus vivendi di molte comunità come pratica collettiva, inserita in un contesto urbano sempre più attento ed incentrato sulle questioni ambientali. Infine si può individuare un nuovo tipo di natura in città, il parco lineare, progettato per rispondere al problema di grandi infrastrutture dismesse e sostituite con serpentoni verdi che, anzichè tagliare e separare la città, la possano ricucire, donandogli nuova vitalità.

1 Marco Romano, Costruire le città, Skira, 2004, pp. 153

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“ […] da sempre un mezzo immediato per esprimere ed enfatizzare il rapporto tra la società urbana e la natura, seppur artefatta [...]“

Par

Andreas Kipar, Architetture del paesaggio

“ […] spazio assolutamente altro dagli spazi che la nostra quotidianità consuma consumandosi in essi [...]“

Urba

Rosario Assunto

La prima sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della natura urbana è il parco urbano, un artefatto umano che si propone come soluzione all’assenza di aree verdi naturali in contesti urbani. Similmente a quanto di più vicino al naturale ci possa essere, è in grado di ricreare ambientazioni del mondo in-urbanizzato in un contesto al contrario fortemente antropizzato. Facendo un salto indietro fino al tardo ‘600 si può cercare di capire come e dove sia nato il concetto di parco urbano; fino alla fine del XVII secolo era conosciuto solamente il concetto di giardino, inteso come luogo chiuso, privato, in cui l’uomo esercitava un’ addomesticamento

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della natura. Il giardino rinascimentale, prima quello italiano e successivamente quello francese, era basato su forme geometriche regolari, geometrie perfette che si ripercuotevano su percorsi e piantumazioni regolari. Nulla era fuori posto, il modello a cui ci si ispirava era il giardino persiano, il cosiddetto paradeisos, che rappresentava la massima espressione della perfezione: ad esso nulla si poteva togliere o aggiungere, era perfetto, così come un diamante. Tuttavia il giardino, così come inteso in precedenza, rappresentava il luogo di svago e contemplazione per una sola ed esclusiva élite di persone, ovvero la nascente clas-


rco

ano

“ […] sistema urbano del verde come insieme di aree con valore ambientale e paesistico, o di importanza strategica per il riequilibrio ecologico delle aree urbanizzate, inserite in contesti territoriali con elevato impatto antropico “

se aristocratica italiana e francese. Non è un caso infatti che tutti i più maestosi giardini, risalenti al periodo rinascimentale ed ancor di più a quello successivo, siano annessi a regge e palazzi reali; il giardino era diventato luogo di vanto, luogo simbolo della manifestazione del potere politico e del prestigio economico raggiunto. Questo atteggiamento inizia a cambiare solo verso la fine del 1700 quando alcuni di questi giardini vengono aperti al pubblico, diventando da luogo per un élite a primo luogo di svago per molti. E’ proprio nel contesto socio-economico di inizio ‘800 che nascono i primi parchi urbani, proprio per dotare le aree densamente urbanizzate, che si stavano sempre più

industrializzando, di spazi verdi. Uno dei primi esempi di parco urbano è sicuramente il parco di Birkenhead, a Liverpool, progettato e realizzato da Joseph Paxton nel 1847 in maniera del tutto innovativa: progettato per avere una porzione di natura vera, quasi una natura selvaggia, all’interno di aree di nuova espansione della cittadina neo-industriale. Viene così realizzato il vero e proprio prototipo del parco urbano, che si sarebbe diffuso in ogni città da quel momento in poi, un parco con percorsi irregolari, sali e scendi, collinette, boschetti e moltissime specie vegetali alternate a specchi d’acqua e piccole architetture. Un esempio degno di nota è, cer-

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Central park

tamente Central Park a New York, forse il parco urbano più conosciuto al mondo. Anche quest’ultimo è stato progettato in un periodo di piena espansione per la cittadina americana, nel 1857, da Frederick Law Olmsted, colui che successivamente si autodefinì il primo architetto del paesaggio. Creò infatti un parco urbano di ampissime dimensioni che si estende per quattro chilometri di lunghez-

za e ottocento metri di larghezza, occupando circa un terzo della penisola di Manhattan. Come nel caso di Birkenhead, si ha la volontà di riportare un pezzo di natura in città. Infatti, secondo il progetto, lo stesso Olmsted ha cercato di ricreare quello che era il contesto naturale del New Jersey prima della colonizzazione occidentale olandese. Oggi, a distanza di un secolo e mezzo, si può ancora apprezzare

F. Law Olmsted New York

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Hyde Park Londra

questo sontuosissimo parco proprio per le sue qualità naturalistiche, tanto che si è creato un vero e proprio ecosistema con moltissime specie autoctone che sono tornate a colonizzare quest’area verde posta al centro dei grattacieli. Altro grande esempio di parco urbano è Hyde Park, a Londra, che pur essendo solo uno dei parchi principali della capitale inglese ha una storia, rispetto agli altri, completamente differente.

Nasce infatti come parco reale nel ‘500, inizialmente dedicato esclusivamente a riserva di caccia, e solo un secolo dopo viene aperto al pubblico divenendo una delle mete di rifugio durante l’epidemia di peste che ha colpito Londra nel 1665. A partire da quel momento, il parco è stato aperto al pubblico a tutti gli effetti ed è tuttora tra i più frequentati al mondo, sia dai turisti ma soprattutto dai residenti della città inglese.

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“ […] composto come un diagramma, ordinando linee di diversa forma, significato e direzione. Linee che attraversano e dinamizzano punti e superifci trasformando in campi di energia estetica, economica e sociale [...] “

Par

Line

Marco Navarra, Il paesaggio riscritto

La seconda sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della natura urbana è il parco lineare, che, al contrario degli altri proposti nella stessa macrocategoria ha una storia molto più recente, al pari della piazza lineare nella macro-categoria della piazza. Innanzitutto rispetto a un parco urbano tradizionale ha caratteri dimensionali e morfologici profondamente diversi: è la lunghezza a predominare sulla larghezza, avendo per l’appunto uno sviluppo prettamente lineare. Un parco definito lineare, infatti, segue una linea, sviluppandosi secondo un percorso retto, curvo, a zig-zag o spezzato, solitamente seguendo il tracciato di una vec-

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chia infrastruttura dismessa, piuttosto che di un corso d’acqua deviato o prosciugato, o ancora altro, che si è deciso di convertire, cambiandone l’uso. Si tratta di importanti e vasti interventi di rigenerazione urbana che interessano parti di città ormai abbandonate, in disuso, che vengono rivitalizzate come spazi da restituire alle comunità e al centro urbano stesso: trasformare un’ antico tracciato ferroviario dismesso in un parco significa eliminare quel margine, quel limite fisico imposto per decine e decine di anni ad una città come linea di separazione per trasformarlo in un luogo di sosta e riposo, di aggregazione e di incontro, che invita ad essere percorso, promuovendo un traffico pedonale


rco

eare

“ […] sistemi lineari di spazi verdi che, utilizzando infrastrutture dismesse o obsolete (strade alzaie dei canali, strade rurali, ferrovie dismesse, eccetera), consentono di raggiungere un duplice obiettivo: la salvaguardia delle risorse paesaggistiche e la loro valorizzazione ai fini ricreativi. “ Antonella Valentini, Firenze university press: I temi del paesaggio

a discapito di quello veicolare. Questa mobilità dolce si sviluppa allora attraverso un percorso, lineare per l’appunto, che sarà ricco di episodi da scoprire, semplicemente camminando, disposti l’uno dopo l’altro secondo gli stessi principi progettuali paratattici ed ipotattici spiegati a proposito della piazza lineare. Proprio per questo suo carattere di linearità si era pensato inizialmente di collocarlo nella prima categoria dei percorsi, ma cosa è che lo rende tanto diverso da una semplice strada? è la materia vegetale predominante lungo tutto il suo sviluppo; non si tratta semplicemente di una passeggiata alberata, di un viale lungo il quale si dispongono in modo più o meno

armonico specie vegetali di diverso tipo, ma trattasi di un parco a tutti gli effetti sia per la predominante presenza di materia vegetale sia per il modo in cui si collocano gli elementi al suo interno. Uno dei pochi esempi italiani (fino ad ora) è il parco lineare di Caltagirone ad opera dell’architetto Marco Navarra, diverso da quelli che presenteremo in seguito come esempi della categoria ma comunque efficace: si tratta di un parco (spesso confuso erroneamente con un semplice percorso ciclo-pedonale colorato) che riusa la ex ferrovia che collegava Caltagirone e Piazza Armerina per insediarsi come una infrastruttura leggera di nuova concezione, sviluppata come un parco lineare sul sedime ferrovia-

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Parque Lineal del Manzanares

rio, attraverso superfici colorate e compatte, filari di cipressi e arbusti variegati e piantumati lungo i piani inclinati dei rilevati e delle trincee. Se nel caso siciliano si tratta però di un intervento extra-urbano, ancor più lodevole è l’esempio madrileno del Parque Lineal del Manzanares, che ha sostituito l’ infrastruttura autostradale che correva nel pieno centro della città, segmentandola in due parti, ora finalmente riunite. In questo caso, infatti, non si tratta di un parco che

prende il posto di qualcosa che è stato dismesso e abbandonato ma di un’opera voluta e ricercata a tutti i costi grazie ad una sensibilità diversa: dopo aver compreso quanto potesse essere importante per la capitale madrilena dotarsi di un parco e ri-connettere le due parti di città, il Comune di Madrid ha deciso di investire denaro e idee per sotterrare l’autostrada e sostituirla con un parco, rivitalizzando la zona, restituendola agli abitanti e mettendola in stretto contatto con

West 8 Madrid

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il fiume Manzanares da cui prende il nome il parco stesso, lungo il suo sviluppo lineare. Il primo vero esempio europeo di questo nuovo tipo di natura urbana che si insedia in città è quello della città di Valencia con i Jardines del Turia, ad opera dell’architetto Ricardo Bofill: a seguito della deviazione del fiume Turia al di fuori della città antica, a causa di una grossa alluvione nel 1957 che l’aveva fatto sconfinare dal suo letto, si restò per qualche decennio di fronte ad un enorme serpentone vuoto che attraversa la città; si pensò di sostituire il vecchio corso d’acqua con una nuova autostrada che attraversava il cuore della città ma, per fortuna, il progetto non venne mai realizzato. Si deci-

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se così di passare dal grey al green , progettando un nuovo parco da regalare alla città spagnola. L’architetto si trovò di fronte ad un percorso curvilineo, interrotto di tanto in tanto da maestosi ponti, decisamente lungo e con un perimetro ben definito dai vecchi argini del fiume. L’operazione progettuale che conduce, nel 1986, è quella di organizzare questo nuovo parco come lineare, disponendo in maniera paratattica una serie di oggetti lungo il suo intero sviluppo, uno accanto all’altro, in modo da essere coordinati l’uno con l’altro ma non in stretta dipendenza; il progetto è realizzato nel periodo architettonico post-moderno, l’idea è quindi quella di poter riutilizzare elementi del passato per


Jardines del Turia

cancellare il funzionalismo modernista e rivalorizzare il glorioso linguaggio ereditato dalla storia. Il parco lineare valenciano si presenta, ancora oggi, come una continua successione di oggetti diversi (un grande quadrato, un bosco regolare, un teatro greco-romano, una grande piazza, una basilica romana, uno spazio per il mercato, etc. ) , disposti uno dopo l’altro lungo questo percorso spezzato: la linearità viene persa dalla morfologia naturale, disarticolando la prospettiva, ma l’organizzazione paratattica degli elementi in realtà consente di ottenere lo stesso risultato, seppur il percorso non sia rettilineo. Ciò che conta più di tutto è l’essere riusciti a restituire una vasta por-

zione di territorio, prima occupato dal fiume, alla città, trasformandolo in un nuovo polo attrattivo; inoltre, l’abilità di trattare ogni piccolo segmento a sè, tematizzandolo a suo modo, è risultata vincente per far del parco lineare una lunga successione di giardini alla francese, posti lungo un asse. A partire da quel momento tanti saranno i casi simili a questo nel mondo, che lo prenderanno come modello da cui partire per sviluppare nuovi parchi lineari , come nel caso di Marsiglia, dove una striscia ferroviaria dismessa della lunghezza di un chilometro è stata interrata, restituendo alla città una porzione di territorio trasformata in parco lineare tematizzato dalla sua ecologia, sostenibilità e caoticità.

Ricardo Bofill Valencia

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Giar

La terza sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della natura urbana è il giardino . Se il parco è da sempre il mezzo immediato per esprimere il rapporto tra la società urbana e la natura, è la storia dell’arte dei giardini a raccontare quanto è più antica la loro nascita rispetto a quella di un parco. Fin dai tempi dei persiani, infatti, a partire dal V sec. a. C., il giardino è quello spazio chiuso in cui ricreare una maquette del mondo; la cultura persiana insegna al mondo occidentale come disegnare un giardino che potesse rappresentare il mondo stesso: nella tradizione si tratta di uno spazio recintato, chiuso, con una porta per ogni lato e due canali d’acqua tra loro

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incrociati e al centro un edificio importante come fosse il centro del cosmo. Un giardino è dunque, fin dalla sua invenzione, un’imposizione di artificialità alla naturalità: da quello arabo (pairidaeiza, letteralmente «luogo recintato») a quello greco (paràdeisos, ovvero «giardino»), passando per quelli descritti come “eden terrestri di perfetta letizia” delle civiltà antiche, poi per quelli dediti alla contemplazione e al riposo citati nelle opere di letteratura classica e latina da autori come Plinio, Seneca, Orazio, a quelli devoti e introversi medievali, a quelli gioiosi rinascimentali o quelli esuberanti e floreali del Barocco, dalla tradizione italiana a quella francese, per arrivare a quelli dell’im-


rdino

maginazione, i giardini pittoreschi del romanticismo anglosassone, caratterizzati da una natura idealizzata. Soltanto nel periodo compreso tra le civiltà greche e il basso medioevo, quindi durante l’età romana e l’alto medioevo, il concetto di giardino è declinato a quello di hortus conclus, ovvero a quello spazio sì chiuso e recintato ma destinato alla coltivazione di prodotti per l’autosostentamento, per la soddisfazione del fabbisogno alimentare di una domus romana, piuttosto che di una civitas intera, o di una comunità errante, diverso quindi per dimensioni a seconda dei casi, ma comunque non funzionale alla pura contemplazione estetica. Soltanto in seguito, nel basso me-

dioevo, con la nascita dei comuni e quindi delle città, il giardino torna ad avere una propria autonomia, come diretta contrapposizione tra l’hortus in cui coltivare e produrre e la casa in cui abitare: dopo la villa extra-urbana e il belvedere, il giardino è il terzo fossile-guida individuato (a scala architettonica) come luogo di diretta emanazione dell’architettura sulla natura. A questo concetto corrisponde la categoria estetica del grazioso, ovvero del bello perfetto, geometrico, proprio come lo era il giardino persiano o come potrebbe esserlo un diamante, un oggetto a cui non si può aggiungere nè togliere nulla poichè desta un piacere che comincia e finisce in sè stesso. Durante l’età rinascimentale que-

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sta idea è sempre meglio espressa, soprattutto in Italia e successivamente in Francia, attraverso la progettazione di giardini geometrici, regolari, perfetti, sviluppati su percorsi e piantumazioni regolari, annessi soprattutto a palazzi di corte, reali o comunque elitari, utilizzati come oggetti di vanto, manifestazione di ricchezza, potere e di prestigio. Ripercorrendo la storia del giardino, si nota come i caratteri cambino a seconda dell’età in cui ci si trovi, passando per quella rinascimentale, barocca, poi romantica, ma in ogni caso c’è un dato comune: si tratta di spazi privati, recinti all’interno delle corti dei palazzi o delle ville, aperti al pubblico solo in volute circostanze. Più tardi invece, a partire dal settecento, molti di questi cominciano ad essere pienamente aperti al pubblico, fino a quando, decadute le famiglie piuttosto che i titoli nobiliari, molti si trasformano in veri e propri giardini pubblici. Questo è il caso dei Giardini di Piazza Castelnuovo a Palermo, in origine annessi al Palazzo della famiglia industriale Florio, oggi villa comunale cittadina.

La particolarità di questo impianto, oltre al suo essere rigorosamente geometrico e certamente ispirato alla tradizione persiana per via dei quattro ingressi sui quattro lati, è l’opera posta al suo centro: un tempietto della musica, edificato a quanto pare su volere della famiglia a fine ottocento per evitare che la piazza venisse sostituita dalla costruzione di palazzine. In effetti la piazza è rimasta così com’era: i palazzi ad uso residenziale o terziario sono stati eretti oltre il suo perimetro, non intaccando lo spazio dei giardini, conservando quindi la loro memoria, le volontà di quella famiglia e la natura pubblica dello spazio, aperto tutt’ora a tutti i cittadini palermitani, come luogo di aggregazione sociale, svago e contemplazione. A seguito della rivoluzione industriale e della conseguente accelerazione dei processi di urbanizzazione, le classi abbienti abbandonarono il centro, le vecchie case vennero occupate dal ceto meno abbiente e tutte le zone verdi comprese tra gli edifici preesistenti (orti, cortili, giardini) vennero sostituite da capannoni e palazzi, perdendo molta di quella

Giardini di Piazza Castelnuovo Palermo

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Garden of remembrance

ricchezza che si era ereditata dai secoli passati. Durante il XX sec., passando dal movimento moderno alle ricostruzioni post-belliche, il concetto di natura urbana divenne infatti una percentuale di “verde” da garantire ad ogni abitazione nella forma di spazi comuni esterni.Solo molto più tardi la sensibilità verso questa problematica è nuovamente cambiata: si ha un nuovo interesse a convertire spazi residuali abbandonati in giardini

per migliorare la qualità di vita di un quartiere. Un esempio degno di nota per una riconversione di uno spazio abbandonato in giardino è quello della città di Marburg, Garden of Remembrance. Si tratta di un lotto, occupato anticamente da una sinagoga, demolita dal regime nazista, la cui memoria è oggi richiamata grazie alla realizzazione di questo giardino che vuole ricordare, diventando parte della vita quotidiana comunitaria.

Landschaftsarchitekten Marburg

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Or

Urba

La quarta e ultima sottocategoria individuata all’interno della macrocategoria della natura urbana è l’orto urbano, sempre più protagonista negli ultimi anni del progetto architettonico, urbanistico e paesaggistico. La sua storia ha origine antichissime, molto più di quello che si può immaginare e certamente antecedente a qualsiasi altra forma di natura artefatta sviluppatasi nei secoli, successiva solo alla natura selvaggia. Da quando l’essere umano esiste sulla Terra e si insedia in un luogo da sedentario gli orti esistono: nelle civiltà antiche, quando ancora l’uomo errava, era uno spazio concluso in cui la natura poteva offrire spontaneamente alimenti di so-

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stentamento, nel bel mezzo della natura selvaggia, tra sorgenti, corsi d’acqua e alberi ombrosi, senza alcun addomesticamento umano della natura, senza fatica nè lavoro; più tardi l’uomo è diventato pastore e agricoltore, imparando a ricostruire a suo modo questo paradiso naturale di terra, che nutre e produce. Anche i più antichi e celebri giardini piuttosto che i parchi reali, egiziani e orientali in genere, come detto nel capitolo precedente, altro non erano che grandi orti, paradisi artificiali composti da frutti, fiori, piante che dessero prestigio al regno, giardini quindi produttivi, oltre che ornamentali. Oltre a questi giardini-orti, vi erano poi gli orti-giardini, ovvero quelli che in parallelo sia


rto

ano

in città che in campagna, le famiglie coltivavano sia per l’autoconsumo sia per i mercati locali. In questo ultimo caso il fine non era certo il prestigio e l’ostentazione, bensì l’utile da ricavarne. La parola orto, si ricorda, deriva dal latino hortus e dal greco chortos, cioè uno spazio recintato, in età romana direttamente annesso alla domus come piccolo appezzamento di terreno chiuso all’interno delle mura della casa, destinato alla produzione di frutta, ortaggi e anche fiori. Era, quindi, un’estensione stessa dell’abitazione, come fosse una dispensa a cielo aperto da cui attingere i prodotti della terra, evolutosi poi successivamente in vero e proprio giardino ornamentale; ol-

“ [...] Si definiscono orti urbani i piccoli appezzamenti di terra per la coltivazione ad uso domestico, eventualmente aggregati in colonie organizzate unitariamente [...] “ Regolamento Urbanistico Edilizio, Comune di Bologna

tre a quelli domestici, una cintura esterna di orti circondava le polis greche (la chora) e le città romane, così da rifornire quotidianamente i mercati locali. In seguito, durante l’alto medioevo, quando la produzione architettonica continuava con la costruzione di castelli, fortificazioni, monasteri, conventi, e le città scomparivano lasciando il posto al contado, l’orto continuava ad essere una pratica diffusissima: sia nelle aree rurali che prendevano il posto delle città, sia all’interno delle strutture religiose , si coltivavano piante e alberi per scopi alimentari e medicinali, usando al tempo stesso questi spazi per la lettura, la preghiera e la meditazione, senza alcuna funzione decorativa. A

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tal proposito uno dei più noti monaci nel mondo San Benedetto da Norcia che costruì numerosissimi insediamenti monastici in tutta Europa, sempre includendovi una zona verde, di piccole dimensione e cinta da alte mura, destinata alla coltivazione e produzione, un vero e proprio hortus conclusus, contribuendo al tempo stesso a diffondere i suoi insegnamenti e le sue regole riguardo tecniche agronomiche e di coltivazione. Quando poi nel basso medioevo ricominciarono a fiorire le città, si ritornò ad avere un orto direttamente connesso all’abitazione o uno spazio esterno alle mura, adiacente al prato della fiera, come luogo di coltivazione per l’autoconsumo e la vendita.

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Lo stesso continuò ad avvenire nel Rinascimento, dove contemporaneamente però, si assistette alla nascita ed all’evoluzione dei giardini- orti o esclusivamente giardini ornamentali definiti belli, geometrici, perfetti, di cui si è discusso in precedenza. I giardini di Versailles del XII sec., sempre tanto noti per la loro bellezza e perfezione, sono la dimostrazione di come i due tipi correvano in parallello: accanto ai magnificenti e maestosi giardini, un grande orto produttivo fu volutamente allestito per dimostrare l’eccellenza francese nell’orticoltura. Piano piano però gli orti e i frutteti cominciarono ad essere sempre più nascosti alla vista perchè il prestigio dato da pian-


Lafayette Greens

tumazioni esclusivamente floreali e ornamentali era diverso; la loro sopravvivenza si deve solo grazie a revival stilistici del passato di metà ottocento che non volevano dimenticare gli insegnamenti antichi e l’importanza degli spazi produttivi nelle epoche passate, fino addirittura a ricostruire interamente orti ornamentali, come il Giardino di Villandry o i numerosissimi orti botanici disseminati in tutto il continenente. Con la rivoluzione industriale, la crescente urbanizzazione e il conseguente aumento del fabbisogno alimentare, si cominciarono ad allestire i cosiddetti “orti dei poveri”, appezzamenti comunitari messi a disposizione dalle amministrazioni cittadine per permettere l’auto-

sostentamento delle famiglie più indigenti; stessa soluzione venne impiegata durante le guerre e nel periodo immediatamente successivo per fronteggiare le condizioni di estrema miseria. Dopo decenni di sfrenato consumismo e disinteresse sulla provenienza dei prodotti che arrivano sulla tavola, l’orticoltura urbana ha risvegliato l’interesse di numerosissimi paesi, non solo con la finalità di assicurare un equo approvvigionamento alimentare, ma anche a scopo educativo, ricreativo, sociale e terapeutico. Sono nati così i community gardens a New York, oppure i più recenti Lafayette Greens a Detroit, o ancora gli Orti Comunitari berlinesi: si tratta di appezzamenti di ter-

Detroit

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reno municipale, messi a disposizione della collettività , in modo da essere curati da gruppi di persone del quartiere che se ne prendono carico, permettendo in questo modo di recuperare nella maggior parte dei casi aree abbandonate e degradate trasformandole in spazi ordinati e produttivi, favorendo inoltre l’aggregazione sociale e la partecipazione alla vita comunita-

ria , oltre che la valenza didattica ed educativa. Gli orti urbani sono a tutti gli effetti elementi tipo dello spazio pubblico perchè diventano vere e proprie palestre di democrazia, valorizzando al tempo stesso il patrimonio enogastronomico, culturale, ambientale e turistico di ogni Comune che si mostra disposto ad aderire tali iniziative. Orti Comunitari Berlino

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<< [...] la struttura della città è una struttura complessa nella quale l’evoluzione temporale ha , di epoca in epoca, messo in rilievo il ruolo di alcuni elementi fisici rispetto ad altri e la città stessa è la memoria collettiva dei popoli; e come la memoria è legata a dei fatti e a dei luoghi [...] >>

L’ Ab

Aldo Rossi, L’architettura della città

Nei capitoli precedenti sono state presentate le otto macro-categorie degli elementi che definiscono lo spazio urbano, ricorrendo sul piano teorico ad argomentazioni basate sulla letteratura, sul piano pratico ad esempi concreti di diversi periodi storici. L’obiettivo, come anticipato precedentemente, è quello di far in modo che questi tipi possano diventare strumenti utili per progettare e per favorire la partecipazione di non esperti attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti di visualizzazione. A tal fine ogni elemento è stato modellato nelle tre dimensioni (come mostrato nell’abaco della pagina seguente), secondo i suoi caratteri generali: la tesi non mira a pro-

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gettare i singoli elementi, secondo uno specifico linguaggio architettonico, nè a definire una libreria da cui attingere ogni qualvolta ci si trovi a progettare uno spazio urbano, ma a presentare dei modelli, degli archetipi per l’appunto. In questo modo un nuovo strumento di visualizzazione può servirsi dei tipi precedentemente modellati, utilizzandoli come strumenti atti a facilitare metodologie e approcci progettuali sia per i progettisti che per i non esperti. Ne risulta non solo un semplice abaco di elementi fini a se stessi, ma un insieme di strumenti concreti, seppur virtuali, da poter utilizzare consapevolmente in un progetto urbano. Ciò significa che i progettisti non


baco

<< [...] la conseguenza dolorosa di cui ci rammarichiamo nelle nostre città è la condizione di vuoto dello spazio pubblico; sembra che esso abbia più a che vedere con una situazione puramente residuale, un ritaglio di verde di strada, di attrezzatura, più che di una funzione precisa all’interno di una struttura formale adeguata [...]>> I. de Solà Morales, Decifrare l’architettura “Inscripciones” del XX secolo

hanno a disposizione questi strumenti come fossero oggetti ready-made da inserire in modo arbitrario in uno spazio, ma che gli stessi strumenti forniscono loro indicazioni generali nell’ambito di un progetto urbano. Allo stesso tempo i non esperti hanno la possibilità di visualizzare elementi architettonici, modellati secondo un linguaggio generico, per poter partecipare alle prime fasi di progettazione di uno spazio. Definire un’ abaco dello spazio urbano può, quindi, essere utile a fornire indicazioni generali a cui richiamarsi in fase progettuale, reimpiegando dei tipi, già definiti nei loro caratteri generici, che in un secondo momento dovranno essere ripensati per essere adat-

tati ad uno specifico spazio. Inoltre, la classificazione dei tipi dello spazio urbano è stata condotta per singoli elementi, ma ognuno è sempre in stretta relazione con l’altro, parte di uno stesso disegno, di un grande insieme molto più vasto, in cui ogni entità è messa in sequenza e stretta contiguità con altre. Un abaco ha, dunque, l’utilità di dare una visione d’insieme degli elementi che compongono uno spazio urbano e di aprire nuove prospettive all’interno delle quali lavorare, utilizzando una serie di singoli elementi, ognuno con il proprio significato simbolico e sociale, con le proprie regole compositive e morfologiche.

299


L’ Ab Percorso

Piazza

Soglia

Strada Principale

Strada Monumentale

Piazza Principale

Piazza Monumentale

Varco

Recinto

Strada Trionfale

Boulevard

Piazza del mercato

Square

Muro Perimetrale

Cortina Edilizia

Passerella

Percorso in trincea

Slargo

Piazza Lineare

Marciapiede

Gradonata

Rampa

Galleria

Piazza Palcoscenico

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baco Margine

Riparo

Riferimenti

Sezione

Natura Urbana

Belvedere

Tettoia

Monumento

Sottopasso

Parco Urbano

Waterfront

Padiglione

Edificio Monumentale

Sottoservizi

Parco Lineare

Argine

Portico

Memoriale

Parcheggio Interrato

Giardino

Piazza Ipogea

Orto Urbano

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“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terra, ma nell’avere nuovi occhi” Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913-27

Le modalità con le quali i cittadini oggi percepiscono ed utilizzano l’architettura e ancor di più lo spazio pubblico sono in continuo cambiamento; corrono parallelamente alla diffusione di nuovi mezzi di visualizzazione, in questo modo gli ambienti attraversati da flussi invisibili di informazioni, percepibili con un semplice smartphone, stanno modificando le regole mediante le quali gli utenti si relazionano con ciò che vedono intorno. Scott McQuire in The Politics of Public Space in the Media City1 scrive: L’ambito pubblico del XXI secolo non si definisce più semplicemente mediante strutture materiali come strade e piazze. Ma non è neppure definito dallo spazio virtuale dei

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Ver nuovi st d visualizz media elettronici. Piuttosto l’ambito pubblico emerge ora nella complessa interazione di spazi materiali e immateriali. L’ipotesi di avvicinamento tra spazio reale fisico e spazio virtuale è resa difficile da due condizioni: l’impalpabilità del mondo digitale e allo stesso tempo la rigidità del mondo degli edifici e degli spazi pubblici. Tuttavia se consideriamo una convergenza tra i due mondi come un “aumento dello spazio”2 possiamo vedere come questa sia un’operazione tutt’altro che recente. L’architettura in un certo senso è sempre stata aumentata, ad esempio l’affresco, l’ornamento e in tempi più recenti la pubblicità sono da considerare espedienti


rso trumenti di zazione per aumentare determinate caratteristiche del patrimonio architettonico esistente o in costruzione. Ovviamente il progresso tecnologico ha apportato sostanziali miglioramenti, permettendo mediante sistemi digitali di presentare e visualizzare contenuti dinamici, facilmente modificabili, ma più che tutto coinvolgenti e personalizzabili a seconda delle esigenze dell’utente. Progresso tecnologico che non significa soltanto alfabetizzazione tecnologica, ma implica molto di più: la vera sfida è creare cittadini in grado di cogliere la sfida di un cambiamento di paradigma, abbandonare modelli consolidati in cerca di nuovi modelli di vita e progettazione urbana.

Questi ultimi devono inglobare e sfruttare le potenzialità dei flussi informativi digitali in modo da facilitare e stimolare la partecipazione e la collaborazione dal basso. Si potranno così generare nuovi modelli di interazione tra spazio pubblico, cittadino e città grazie a nuovi strumenti digitali presenti sul mercato ed alla loro possibile applicazione in ambito architettonico ed urbanistico. Una degli ambiti di ricerca di questa dissertazione è infatti proprio quello di studiare ed individuare nuovi possibili strumenti di visualizzazione, attraverso i quali poter generare un nuovo modello progettuale per ripensare e rimettere al centro della vita comune gli spazi pubblici urbani.

1

2

S.McQuire, 2006

L. Manovich, 2006

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La progettazione BIM Un progetto, come quello sviluppato in questa tesi, che si è posto fin dall’inizio l’obiettivo di indagare nuovi metodi di rappresentazione e di visualizzazione, ha reso necessario un approccio incrementale rispetto alla sola modellazione digitale tradizionale. Si è così deciso di optare per l’utilizzo di un software BIM, a discapito dei tradizionali programmi 2D e 3D, proprio per le possibilità di interoperabilità con altri software. Il disegno cad, tuttora il più utilizzato nella maggior parte degli studi di progettazione, è caratterizzato da elementi grafici in 2D che ripropongono, con la maggiore somiglianza possibile, geometrie reali in un ambiente virtuale. Il BIM tuttavia è molto di più che un passaggio dalla progettazione CAD a quella digitale informatizzata: è costituito da un insieme di processi che si susseguono per la realizzazione, la gestione, e soprattutto la comunicazione di informazioni tra tutti gli attori che prendono parte al processo edilizio, in tempi talvolta molto differenti. La finalità è quella di garantire la

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massima qualità ed efficienza sia durante la fase progettuale ed in seguito durante l’intero ciclo di vita del manufatto. Peculiarità fondamentale della modellazione parametrica sono le informazioni associate al modello: lo rendono una fedele e reale rappresentazione digitale di quelle che sono le caratteristiche costruttive, fisiche e funzionali del manufatto architettonico. Tutti i parametri e tutte le informazioni contenute nel modello possono essere modificate, aggiunte ma soprattutto scambiate e condivise tra i vari soggetti che partecipano alla progettazione; questo avviene grazie alla interoperabilità tra BIM e molti altri software, che avendo come origine comune il modello parametrico, consentono di implementarne le informazioni in modo da ottenere modelli sempre più completi sotto ogni aspetto progettuale. La differenza tra il CAD e il BIM è quindi molto rilevante: se con il primo il progettista modella manualmente ogni oggetto geometrico (sia in 2D che in 3D) con il BIM la modellazione avviene au-


Architettura

Ingegneria

BIM

Costruzioni

Facility Management

tomaticamente (dal 2D al 3D) attribuendo all’oggetto geometrico specifici parametri che consentono una lettura contemporanea su più livelli; questi ultimi sono intesi ovviamente non come layers sui quali sono stati editati i singoli oggetti (come avviene nel 2D e 3D tradizionale), ma come layers di visualizzazione, sia bi-dimensionali che tri-dimensionali. Il BIM consente quindi di visualizzare piante, prospetti, sezioni e

Impiantistica

Project Management

rappresentazioni 3D dell’oggetto che stiamo modellando, tutto nello stesso momento e inter-operabile con altri software e plug-in; proprio per questo la scelta del software utilizzato per la modellazione è ricaduta su Autodesk Revit, che risulta, tra i vari software BIM presenti sul mercato, quello che più si adatta alle esigenze di interoperabilità con software che permettono di realizzare realtà virtuale e realtà aumentata.

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Nuove realtà La necessità di formulare nuovi metodi di visualizzazione, in modo da avere un processo progettuale che sia un’ intermediazione tra un progetto “calato” dall’alto (Topdown) ed un progetto che vede partecipi i cittadini (Bottom-up), ha portato ad individuare nuovi strumenti tecnologici che potessero fare da tramite tra una realtà progettuale composta da “addetti ai lavori” ed una realtà comune, composta dalle persone che vivono effettivamente gli spazi. Questa esigenza, seguita da una lunga parte di ricerca sulle metodologie da applicare, ha identificato nella realtà virtuale (VR, virtual reality) e in particolar modo nella realtà aumentata (AR, augmented reality) gli strumenti attraverso i quali si sarebbe potuto giungere ad una nuova modalità di progettazione. Inizialmente si è tentato di realizzare una nuova ed apposita applicazione per dispositivi mobile, che consentisse la visualizzazione in real-context di modelli architettonici precedentemente definiti. Tuttavia date le enormi difficoltà riscontrate a seguito di un pri-

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mo approccio alla progettazione informatica (campo che non è di nostra competenza) si è deciso di utilizzare software ed applicazioni esistenti, sicuramente più gestibili e funzionali nel breve termine. Nonostante questo “dirottamento”, in parte obbligato dalle carenze in materia informatica, la prima parte di ricerca non è risultata affatto vana poichè nel cercare applicazioni che potessero essere adatte alla finalità prefissata si è seguito lo schema concettuale stabilito nella prima fase di progettazione “cartacea” dell’ applicazione. Sono state infatti ricercate appositamente ed esclusivamente applicazioni con le funzionalità che si volevano avere a disposizione a seguito della progettazione della nuova applicazione. Sono stati individuati così software ed applicazioni presenti sul mercato, successivamente testate per carpirne i relativi limiti di utilizzo; questo per poterle successivamente arricchire di nuovi significati, ipotizzando nuovi scenari di utilizzo fino ad oggi non ancora sperimentati, per raggiungere l’obiettivo inizialmente prefissato.


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Realtà Virtuale La realtà virtuale (VR dall’inglese virtual reality) è la definizione correntemente utilizzata per indicare una realtà che simula quella effettiva, nella quale la grafica digitale è usata per generare un mondo virtuale visivamente realistico, non statico, che risponde agli input esterni forniti dagli utenti. Il costante avanzamento delle tecnologie informatiche consente all’utente di navigare in ambientazioni fotorealistiche in tempo reale, fornendogli la sensazione di una immersione totale nello spazio virtuale, potendo inoltre interagire con gli oggetti presenti in esso; la realtà virtuale si dimostra così uno spazio interattivo, che reagisce agli input del fruitore. La VR può essere immersiva, l’utente ha la sensazione di essere parte di quello che vede grazie all’utilizzo di periferiche oggi largamente diffuse ed utilizzate : • visori come cardboard • guanti interattivi • cybertuta (poco diffusa) Queste periferiche comportano sensazioni e interazione tra utente e realtà virtuale differenti: i cardboard sono un visore posto davan-

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ti agli occhi che annulla il mondo reale dalla visuale dell’utente, può inoltre contenere dei sensori di movimento in modo che girando la testa ruoti anche l’ambiente virtuale; i guanti interattivi rimpiazzano i classici joystick,trackball, mouse e sono utilizzati per impartire movimenti nello spazio, mentre la cybertuta avvolgendo tutto il corpo può realizzare una scansione tridimensionale dell’utente e trasferirla nel mondo digitale. Esiste un ulteriore differenza, quella tra una realtà virtuale immersiva (descritta in precedenza) e quella non immersiva; la seconda consiste nel fatto che non si fa uso di caschi o altre periferiche interattive, ma l’utente si troverà semplicemente dinanzi ad un monitor, il quale fungerà da finestra sul mondo tridimensionale con cui l’utente potrà interagire attraverso joystick appositi.È chiaro che l’effetto che ne deriva è assolutamente diverso da quello che si ottiene con una realtà virtuale immersiva, in cui gli effetti che l’utente percepisce sono molto più coinvolgenti e capaci di distrarre del tutto dalla realtà che lo circonda.


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Realtà aumentata La realtà aumentata (AR, dall’inglese augmented reality) è l’ arricchimento della percezione sensoriale umana tramite informazione che altrimenti non sarebbero percepibili dai 5 sensi. La AR mette in stretta relazione il mondo reale con quello virtuale, tuttavia ciò che la differenzia dalla VR è proprio la mancanza dell’immersione dell’utente in mondo virtuale computerizzato. Si tratta appunto di una particolare forma di estensione della realtà virtuale che permette di sovrapporre una realtà digitale alla realtà percepita dall’utente, tutto ciò in tempo reale e soprattutto in contesto reale; l’utente infatti mantiene la sensazione di appartenenza al mondo reale, mentre le immagini virtuali si sovrappongono e si aggiungono a quelle reali. La percezione del mondo reale dell’utente viene così aumentata, incrementata da informazioni e modelli virtuali che rendono innovativa e più completa l’esperienza. Nella realtà aumentata informazioni e modelli virtuali devono essere sincronizzati con il contesto reale, sia otticamente che per-

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cettivamente, pena la diminuzione della sensazione di coinvolgimento in quello che si osserva. La finalità della AR non è quindi quella di sostituire alla realtà un mondo virtuale (come fa la VR) ma di estendere la realtà, creando una visione aumentata (nel vero e proprio senso della parola) in modo che l’utente possa visualizzare informazioni aggiuntive ad un ambientazione reale. La visualizzazione di queste nuove informazioni può avvenire mediante l’utilizzo di applicazioni desktop o mobile che consentono di aggiungere, al contesto reale, uno o più layers informativi. Questi ultimi possono essere di varia natura, potendo essere visualizzati sia come dati, sia come immagini bi o tri-dimensionali, che come video. La AR è quindi un insieme di strumenti digitali che permettono di incrementare il contenuto informativo di una scena reale, osservata tramite appositi device. In questo modo l’utente modifica radicalmente la sua esperienza quotidiana, ampliando la comprensione del contesto che lo circonda.


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Confronto tra applicazioni Per raggiungere l’obiettivo di individuare un nuovo strumento di visualizzazione sono state prese in considerazione ed attentamente analizzate plug-in per software desktop ed applicazioni per dispositivi mobili in modo da metterne a confronto punti di forza e negatività. L’analisi delle caratteristiche di ciascun applicativo ha impegnato un lungo periodo e si è rivelata tutt’altro che semplice, ma allo stesso tempo è stata fondamentale per giungere alla scelta dell’applicazione da utilizzare effettivamente nella sperimentazione. Ne è derivato che esistono in commercio molte applicazioni per la realtà virtuale (basta banalmente pensare a quanto sono oggi diffusi i videogames) mentre per quanto riguarda la realtà aumentata essa è in crescita esponenziale ma tuttora le applicazioni esistenti sono per un mercato di nicchia, molto specifico, e per lo più riguardano il settore del design di interni oppure il campo della pubblicità. La ricerca delle applicazioni più adatte al raggiungimento dell’obiettivo posto fin dall’inizio di que-

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sta dissertazione si è quindi orientata verso strumenti esistenti e in particolar modo facenti parte del mondo della realtà aumentata. Si è optato per applicazioni AR, ritenute più adatte, poichè aggiungendo al contesto reale una serie di informazioni e layers, rendono l’utente più coinvolto e maggiormente consapevole delle scelte effettuate. Oltre alle motivazioni elencate in precedenza sono state prese in considerazione le applicazioni che risultavano compatibili con i sistemi operativi mobile oggi maggiormente diffusi, android ed ios, e ancora più importanza l’ha avuta l’interoperabilità delle stesse con il software BIM Autodesk Revit, scelto per la modellazione digitale parametrica. Le applicazioni individuate e successivamente analizzate sono: • Autodesk A360 • Cl3ver • Augment • EyeView • AR-media


Autodesk Revit

Autodesk A360

Augment

EyeVIEW

Cl3ver

AR-media

Autodesk A360 Autodesk A360 è un applicazione gratuita, previa registrazione, che consente di caricare e condividere il proprio modello 3D online, tramite l’utilizzo dei server Autodesk. In questo modo è possibile lavorare e modificare in tempo reale con altri utenti il progetto, condizione fondamentale in presenza di un team di lavoro multidisciplinare, ed è inoltre possibile caricare una propria libreria di modelli. Questa applicazione è stata sele-

zionata come unica facente parte della categoria della realtà virtuale, poichè consente di realizzare viste stereo panoramiche che tramite appositi dispositivi (in questo caso i cardboard) proiettano l’utente in un modello virtuale immersivo a 360°. L’applicazione, essendo un prodotto Autodesk, risulta perfettamente interoperabile con Revit, non occorre nemmeno modificare l’estensione del file di modello,

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basta semplicemente accedere al prorpio profilo Autodesk A360 e direttemente dall’interfaccia del software Revit si può realizzare un render stereo panoramico in cloud. Una volta terminata la fase di renderizzazione, l’applicazione A360 consentirà in automatico di visualizzare il render panoramico a 360° , generando inoltre un link ipertestuale (qr code) che consente di poterlo successivamente visualizzare in qualsiasi dispositivo mobile

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che potrà essere allocato nell’apposito cardboard. Proprio per la sua semplicità di utilizzo e per la perfetta intercompatibilità con il software di modellazione parametrica, questa applicazione è stata tenuta in considerazione, anche se non consente alcuna forma di realtà aumentata, ma esclusivamente una realtà virtuale a 360°, nella quale l’utente è immerso ma con la quale non può interagire.


Cl3ver Cl3ver è un software plug-in che si può direttamente installare in Autodesk Revit oppure in Autodesk 3Dstudiomax, quindi perfettamente interoperabile con ambe due. Il software è scaricabile dal sito www.cl3ver.com, tuttavia dopo un periodo di prova gratuita di 30 giorni il programma deve essere acquistato, altrimenti il proprio profilo viene bloccato ed il software termina di funzionare. Una delle peculiarità di questo applicativo è legata alla sua versatilità, infatti è l’unico plug-in che

consente di ottenere modelli visualizzabili sia in realtà virtuale che in realtà aumentata. Si possono infatti sviluppare presentazioni tri-dimensionali multimediali ed interattive, dal semplice ed immediato utilizzo da parte dell’utente, oppure navigare intorno al modello 3D inserito in uno specifico contesto. Possono inoltre essere realizzati dei veri e propri tour virtuali in 3d, con scene interattive e dinamiche in cui l’utente attraverso l’utilizzo appositi visori (cardboard, goo

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Augment gle glass) o dispositivi mobile può muoversi. Le fasi che portano all’elaborazione di un modello nel quale l’utente può “camminare” non sono semplici, ma essendo un plug-in direttamente installabile in Autodesk Revit non vi è la necessità di convertire i file di modello in altri formati; inoltre tutti i materiali preimpostati nel modello parametrico vengono automaticamente riconosciuti, non vi è quindi la necessità di reimpostarli, con una conseguente diminuzione dei tempi di sviluppo. Una volta aperto il modello nell’apposito plug-in occorre elaborarlo e successivamente caricarlo online sul sito www.cl3ver.com che effettuerà la conversione del file; lo renderà così disponibile alla lettura in realtà aumentata o virtuale tramite l’utilizzo di appositi marker oppure direttamente dall’applicazione mobile che consente di gestire una propria libreria. Proprio per questa sua flessibilità Cl3ver si è rivelata un’applicazione dai molteplici campi di applicazione anche se risulta leggermente complicata nell’utilizzo.

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Augment è un software plug-in che può essere direttamente installato in Autodesk 3Dstudiomax, quindi l’interoperabilità con Revit non è diretta ma avviene a seguito della conversione in .fbx del file di modello. Successivamente all’installazione del plug-in in 3Dsm e alla conversione del file occorre reimpostare tutti i materiali poichè non vengono letti dall’applicativo Augment; in seguito è necessario creare una cartella zip contente il modello e tutti i materiali compresi delle specifiche textures. Il passo successivo è caricare la suddetta cartella zip sul sito internet www.augment.com, previa registrazione gratuita per i primi 30 giorni, che provvederà all’elaborazione del file, producendo un modello aumentato come output. E’ un applicazione potenzialmente molto interessante consentendo di essere utilizzata per varie finalità: il modello infatti è visualizzabile sia tramite un apposito marker, che viene prodotto in automatico a seguito della conversione online , oppure direttamente tramite l’applicazione mobile.


In quest’ultima ipotesi il modello è selezionabile da una propria libreria personale, creata a seguito della registrazione online e composta da tutti i modelli che creiamo e decidiamo di successivamente di caricare in cloud in modo da averli disponibili sull’account personale della propria applicazione. Selezionando il modello 3D dalla libreria personale è possibile visualizzarlo direttamente in tempo reale e nell’ambiente in cui ci

troviamo tramite dispositivi mobili quali tablet o smartphone; è inoltre possibile ruotare, spostare e ri-dimensionare l’oggetto 3D in modo da adattarlo, nel miglior modo possibile, al contesto reale. Risulta così immediato provare varie disposizioni di arredi tridimensonali all’interno di stanze e locali, mentre risulta molto più complicato da gestire il posizionamento di oggetti architettonici in contesto aperto.

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EyeView EyeView è un applicazione tuttora in fase di sviluppo, disponibile solamente, con limitate funzionalità, sul mercato del Regno Unito. A tal proposito non è possibile utilizzarla al di fuori del territorio anglosassone ma è stata comunque oggetto di interesse e di studio in quanto apporta una importante novità nel mondo delle applicazioni per la realtà aumenta. L’applicazione infatti consente la visualizzazione di modelli architettonici tramite la geo-localizzazione, caratteristica innovativa

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e fondamentale per una corretta visualizzazione di manufatti architettonici in contesto esterno. Infatti è una tra le prime applicazioni nate non solo per una visualizzazione aumentata in ambienti interni, ma con l’ambizione di essere utilizzata per visualizzare progetti anche a scala urbana. Le limitazioni al momento tuttavia sono molteplici e non ne permettono l’utilizzo: l’applicazione è esclusivamente a pagamento ed il progetto può essere localizzato solamente nel Regno Unito.


AR-media Ar-media è un software plug-in che come Augment può essere direttamente installato in Autodesk 3Dstudiomax, quindi l’interoperabilità con Revit non è diretta ma avviene a seguito della conversione del file di modello in .fbx. Successivamente all’installazione del plug-in in 3Dsm e alla conversione del file di modello occorre reimpostare tutti i materiali poichè, a seguito dell’esportazione in .fbx, non vengono riconosciuti. Successivamente alla reimpostazione dei materiali il plug-in risulta molto comodo in quanto non vi è la necessità di caricare il file online, ma la conversione del modello in una scena aumentata viene gestita direttamente tramite un interfaccia che si apre in 3Dstudiomax. Proprio per questo risulta pratico ed immediato, consentendo la conversione dei modelli anche in assenza di una connessione internet e la loro successiva distribuzione (tramite gli appositi marker generati dal plug-in) a clienti e collaboratori come file indipendenti, visualizzabili da ciascuno con un semplice click.

Con Ar-media l’utente può visualizzare modelli tridimensionali tramite la realtà aumentata, in maniera del tutto analoga alla visione di modelli fisici reali (maquette di lavoro o modellini finali) collocati nello spazio che lo circonda. I modelli 3D possono quindi essere visualizzati, tramite l’apposita applicazione disponibile per ios e android, al di fuori dello spazio digitale, direttamente nello spazio reale dell’utente, con il quale quest’ultimo può interagire in piena autonomia ed in maniera semplicissima. Il plug-in è scaricabile in versione gratuita oppure in versione professionale, anche se la versione free ha alcune restrizioni di utilizzo, mentre l’applicazione è gratuita per i dispositivi mobili senza alcuna restrizione di utilizzo. Il continuo sviluppo di questa applicazione le ha permesso di raggiungere nuovi traguardi, stando sempre al passo con l’innovazione, se non addirittura precedendola: è possibile creare interi ambienti, intere città aumentate. Questo grazie al 3D Tracker che permette di identificare e ricono

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scere oggetti reali complessi indipendentemente dalla loro scala. Ciò significa che questa tecnologia può essere utilizzata indipendentemente dalla dimensione e dalle peculiarità dell’oggetto da tracciare, inoltre il tracker permette di gestire facilmente i contenuti da associare alla visualizzazione aumentata dell’oggetto reale, siano essi informazioni, immagini o animazioni tridimensionali. Altra funzionalità innovativa è la possibilità di geo-localizzare i modelli in uno specifico luogo semplicemente tramite le coordinate geografiche; questa funzionalità, che all’apparenza può sembrare banale, è fondamentale ed indispensabile nel caso in cui si voglia posizionare e visualizzare correttamente un modello tridimensionale nello spazio urbano. Ar-media offre quindi la possibilità utilizzare la realtà aumentata per studiare, analizzare e meglio comprendere modelli virtuali in scala e contesto reale, oppure di comunicare i progetti all’utente finale in maniera del tutto innovativa: immersiva, interattiva e sorprendente.

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Pro

Contro

Non necessitano altri software oltre a Autodesk Revit

Registrazione account Autodesk (gratuito per studenti)

Mantenimento materiali preimpostati

Solo realtĂ virtuale

Modelli 3D disponibili in cloud

Necessita di connessione per visualizzare i modelli

Disponibili app per dispositivi mobili

Per ogni account vi è un numero limitato di modelli che si possono caricare

Disponibile plug-in per Revit Mantenimento materiali preimpostati

Periodo di prova gratuito limitato

RealtĂ virtuale e realtĂ aumentata

App mobile solo dopo aver acquistato la licenza

Disponibile plug-in per 3Dsmax

Occorre reimpostare i materiali

Disponibili app per dispositivi mobili Non necessita di connessione per visualizzare i modelli

Geo-localizzazione

Periodo di prova gratuito limitato Solo marker generati dal sito (non personalizzabili)

Non si possono impostare i materiali Funziona solo nel Regno Unito Solo versione a pagamento

Disponibile plug-in per 3Dsmax Disponibili app per dispositivi mobili

Occorre reimpostare i materiali

Non necessita di connessione per visualizzare i modelli

Multimarker solo con versione a pagamento

Geo-localizzazione

Marker personalizzabili solo con versione a pagamento

Multimarker e marker personalizzabili Modelli prodotti tramite il plug-in

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L’applicazione ideale: AR-media A seguito di tutte le minuziose prove ed analisi, illustrate nelle pagine precedenti, ed eseguite sulle molte applicazioni disponibili ad oggi per realtà virtuale e realtà aumentata, sono emerse importanti considerazioni che hanno guidato nella scelta dell’applicativo da utilizzare per raggiungere l’obiettivo prefissato fin dall’inizio. Le applicazioni analizzate si sono rivelate tutte molto utili, seppure alcune siano risultate non adatte poichè avevano campi di utilizzo leggermente differenti da quelli che si ricercavano. E’ questo il caso di Cl3ver, che pur avendo disponibile un plug-in installabile direttamente in Revit, non è risultata adatta alle finalità in quanto per ogni account registrato si ha un numero limitato di progetti che si possono caricare, ma soprattutto funziona egregiamente con la realtà virtuale ma ha molte carenze per quanto concerne la realtà aumentata, essendo essa defilata a sole presentazioni 3D nelle quali l’utente può muoversi. Augment si è rivelata invece perfettamente funzionante con la

realtà aumentata, tuttavia non è risultata adatta alla collocazione dei modelli in ambienti esterni a causa dell’imprecisione e della difficoltà di posizionamento dei manufatti architettonici. EyeView è invece la prima applicazione con la quale si è sperimento (l’utilizzo non è potuto avvenire materialmente poichè l’applicazione funziona solo in U.K.) il sistema di posizionamento tramite la geo-localizzazione, peculiarità fondamentale per poter visualizzare correttamente gli elementi in contesto urbano. Ne deriva che l’applicazione designata dovesse avere un po’ tutte le caratteristiche elencate in precedenza: elemento di primaria importanza nella scelta è stata la possibilità di geo-referenziare i manufatti architettonici e allo stesso tempo l’ulteriore possibilità di poterli visualizzare anche tramite gli appositi marker. La scelta è quindi ricaduta su Ar-media che si è appunto rivelata l’applicazione più versatile ed allo stesso momento più completa ed efficace sotto ogni punto di vista. Innanzitutto, oltre alla geo-loca

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lizzazione ed ai marker, questa applicazione consente di produrre direttamente i marker per la realtà aumentata, dal plug-in installato in Autodesk 3Dsmax, i quali sono personalizzabili inserendo figure a proprio piacimento al loro interno. La scelta è stata inoltre orientata dal fatto che è disponibile un apposita applicazione gratuita senza limitazioni di utilizzo, per dispositivi mobili, perfettamente funzionante sia con android che con sistemi operativi iOS. La lettura del modello tramite l’applicazione Ar-media player inoltre può avvenire anche in assenza di collegamento ad internet in quanto è possibile creare una propria libreria, completamente personalizzabile e senza alcuna limitazione nel numero di modelli caricabili, dalla quale poter attingere le scene precedentemente caricate, in qualsiasi momento e luogo. Altra caratteristica importantissima è che Ar-media consente la lettura anche di più marker allo stesso momento, ovvero se con la fotocamera di un qualsivoglia dispositivo mobile si inquadrano più marker contemporaneamente tra-

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mite la funzione multimarker sarà possibile visualizzare più modelli tridimensionali aumentati nella stessa scena. Questa funzione ovviamente amplia molto la possibilità di avere più configurazioni spaziali e di poterle visualizzare anche nello stesso momento, in modo da poter meglio comprendere la relazione tra i vari oggetti architettonici presenti in un ambiente. Se occorre proprio individuare dei lati negativi questi non sono molti e non comportano grandi inconvenienti nell’utilizzo dell’applicazione: i marker personalizzabili e la funzione multimarker sono disponibili solo in seguito all’acquisto della licenza professionale, se non la si acquista occorre infatti “accontentarsi” del marker predefinito di Ar-media. Ulteriore aspetto negativo è l’assenza di un plug-in specifico per Revit, quindi dovendo passare tramite un altro software (3Dsmax in questo caso) occorre reimpostare tutti i materiali già precedentemente assegnati. Tuttavia visti gli ampi aspetti positivi e le notevoli funzionalità dell’ applicazione, questi pochi aspetti


negativi non hanno influito sulla scelta del plug-in da utilizzare per ottenere scene in realtà aumentata. Ulteriore spazio invece è stato dato all’applicazione Autodesk 360, nativa della casa software americana e perciò perfettamente interoperabile e direttamente installabile in Revit. Questa applicazione, pur essendo solamente indirizzata a rappresentazioni in realtà virtuale, è

stata tenuta in considerazione in quanto generando viste renderizzate a 360° consente di proporre all’utente, in maniera del tutto realistica ed immersiva, più scenari progettuali. Potendo quindi vedere i progetti nella loro totalità l’utente riesce ad avere una visione complessiva della proposta, così da poter esprimere eventuali dubbi o suggerimenti, prima che essa venga realizzata.

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1.

2.

4.

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3.

1. Modellazione dei singoli ele menti architettonici con Revit 2. Definizione dell’abaco 3. Esportazione in 3Dsmax e utilizzo di Ar-media 4. Prime prove in piazza: funzionamento della geolocalizzazione 5. Prime prove in piazza: funzionamento dei marker

5.

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Considerazioni sui nuovi strumenti Tutti questi nuovi strumenti digitali, come le numerose applicazioni viste in precedenza, veicolano e rendono disponibili una grande quantità di nuove informazioni in modo sempre più semplice e soprattutto immediato. Tendono ad unire in un unico spazio, definito aumentato, elementi che fino a prima erano separati, unendo ad una scena reale spazi di un nuovo retroscena, progettuale o informativo che sia. La differenza sostanziale è individuata quindi nella modalità di comunicazione: mentre un progetto cartaceo presenta una struttura schematica di trasposizione della realtà attraverso le due dimensioni, tramite questi nuovi strumenti possiamo veicolare informazioni, immagini 3D e animazioni in modo da riprodurre una realtà per l’appunto aumentata. Si crea così un nuovo tipo di interazione tra utente e contenuto, fino a prima inimmaginabile, che porta ad una nuova esperienza di visione dello spazio con il quale ci relazioniamo. Questi applicativi danno la possibilità di creare una maggiore

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partecipazione alla vita pubblica cittadina, ma soprattutto sono l’occasione che hanno gli utenti per esprimere e costruire insieme nuovi significati di spazio pubblico. Le modalità con le quali i cittadini oggi percepiscono ed utilizzano l’architettura e lo spazio sono in continuo cambiamento, correndo parallelamente alla diffusione di nuovi mezzi di visualizzazione; così ambienti attraversati da flussi invisibili di informazioni, percepibili con un semplice smartphone, stanno modificando le regole mediante le quali gli utenti si relazionano con ciò che vedono intorno. Le nuove tecnologie digitali si stanno confrontando e sovrapponendo sempre di più al reale, integrandosi con l’architettura e gli spazi urbani, aumentandone i significati. La nuova era delle reti, del virtuale e dell’informazione influenza inevitabilmente le modalità di concezione di quell’architettura che si occupa delle relazioni spaziali tra gli individui ed i luoghi che abitano e vivono quotidianamente. I nuovi spazi aumentati hanno la


“Only Architecture that considers human scale and interaction is successful architecture.” Jan Gehl, School of Architecture at Royal Danish Academy, Copenhagen

possibilità e le potenzialità per ridefinire le relazioni, perse nella città dell’ultimo secolo, tra utente e spazio; questo semplicemente riattivando il confronto, promuovendo l’interazione e la partecipazione allo sviluppo di un pensiero critico positivo a riguardo dello spazio pubblico, della città e dell’architettura. Le esperienze condotte fino ai nostri giorni dimostrano come siamo ancora distanti dal trovare una so-

luzione che rinnovi i modelli spaziali pubblici, tuttavia la sempre maggiore ibridazione tra l’architettura e la tecnologia può, anzi forse deve, esercitare un ruolo fondamentale nell’elaborazione di nuovi scenari. Rafael Lozano-Hammer ha definito “architettura relazionale” l’architettura basata non solo sulla forma, ma anche sull’uso dei nuovi sistemi tecnologici per connettere in maniera sempre più completa

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gli utenti a spazi ed edifici. L’architettura relazionale non ha come finalità quella di creare consenso, ma mira all’elaborazione di un nuovo concetto di spazio sociale nel quale la partecipazione attiva degli utenti non sia un elemento secondario, ma la forza trainante nella creazione di un’agorà dinamica. Un aspetto che avrà una sempre maggiore rilevanza sarà lo studio dell’interazione tra spazio ed utente: probabilmente si dovrà avere una ridefinizione del rapporto tra uomo ed architettura, tuttora improntato sulla staticità, per realizzare una stretta relazione tra utilizzo ed informazioni. Lev Manovich si pone il problema riguardante la concezione di uno “spazio aumentato”, evidenziando come in ogni caso sia ovviamente necessario un approccio architettonico alla sua progettazione: In breve propongo che la progettazione dello spazio aumentato digitalmente debba essere affrontata come un problema architettonico. In altre parole, architetti e artisti insieme, possono fare un passo avanti considerando lo spazio in-

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visibile dei flussi di dati elettronici come una sostanza e non solo un vuoto - considerare tale spazio come qualcosa che ha bisogno di una struttura, di una politica e di una poetica. Uno scenario ipotizzato da molti studiosi è che la nuova città, la città 3.0, potrebbe diventare un organismo vivente, costruita di edifici ma soprattutto di spazi pubblici in grado di comunicare direttamente con i fruitori grazie alle nuove tecnologie digitali. Si auspica quindi che lo sviluppo tecnologico coinvolga attivamente il settore edilizio, in quanto un punto imprescindibile nella reinvenzione degli spazi pubblici sta proprio nella loro evoluzione architettonica verso una dimensione comune, sociale. Questa sfida si gioca in contemporanea su più campi disciplinari: da quello spaziale-architettonico a quello sociale-tecnologico; gli spazi pubblici e i manufatti architettonici risponderanno ai nostri input, circondandoci di informazioni e realtà virtuali che si presenteranno ad ogni utente tramite specifici layers.


Realtà aumentata e Architettura Da sempre quando si parla di architettura essa risulta strettamente legata all’aspetto visivo : l’architettura è comunicazione. Fino ai nostri giorni ha esplicitato i suoi contenuti solo attraverso mezzi “analogici”, in due dimensioni, tuttavia la comunicazione architettonica si sta arricchendo di nuovi strumenti, grazie ad una sempre più diffusa digitalità ed a tecniche di rappresentazione che sono oggi un’estensione del no-

stro apparato sensoriale. Attraverso la realtà aumentata, la percezione della realtà fisica viene implementata attraverso una mediazione tecnologica, arricchendo in questo lo spazio reale con informazioni e contenuti virtuali. La domanda che sorge spontanea a questo punto è se sia possibile inglobare la realtà virtuale in un ambiente urbano reale. A tal proposito Greg Tran, uno studente della Graduate School of

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Design di Harvard, ha provato a mettere in relazione l’utilizzo della realtà aumentata e dell’impatto che quest’ultima ha sull’elaborazione di un’idea. In particolare si analizza come l’utilizzo di questa nuova tecnologia possa aiutare architetti e designer a valutare l’impatto dei propri progetti, e la relazione tra questi ultimi con gli edifici e gli spazi limitrofi. Oltre ad essere un’auspicabile strumento di lavoro per architetti, potrebbe essere un’importante tassello in nuove forme di coinvolgimento attivo degli utenti già nelle fasi progettuali di una qualsivoglia opera architettonica. La realtà aumentata non è formata da altro che layers sovrapposti e fatti coincidere con il mondo fisico percepito dall’utente; questi layers aumentano letteralmente la quantità di informazioni che percepiamo, filtrate da appositi dispositivi di visualizzazione. Se il web è basato su ipertesti, la realtà aumentata è basata su iperimmagini che nascono dall’interazione tra la percezione visiva del reale ed i sistemi di ripresa e

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visualizzazione digitali. Tra le maggiori innovazioni apportate dalla realtà aumentata vi è senza alcun dubbio l’architettura aumentata, nella quale il nostro modo di pensare,vedere e percepire lo spazio si trasforma radicalmente in un’esperienza del tutto innovativa e sorprendente. Stiamo andando incontro ad una nuova idea di dimensione, che dovrà necessariamente includere anche quella informativa; è una conseguenza spontanea dovuta al potenziamento percettivo indotto dalla realtà aumentata, sempre più sperimentabile tramite smart phone ed occhiali multimediali. L’architettura aumentata sarà negli occhi di chi avrà l’ambizione di guardarla e di sfruttarne a pieno tutte le conseguenti potenzialità. Le possibilità sono quindi pressochè infinite: mostrare oggetti virtuali, configurare ed ipotizzare scenari possibili, arricchire contenuti e includere una nuova dimensione dello spazio, accrescendo l’esperienza dell’utente con nuovi significati, modificando la consapevolezza dello spazio urbano che lo circonda.


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Ripen il pro de spazio u Ripensare il progetto dello spazio urbano significa cercare approcci progettuali innovativi nell’ambito di interventi di trasformazione dello spazio della città, o di una sua parte. Dopo aver definito l’abaco dello spazio urbano, si vuol fare di questo un nuovo strumento progettuale, utile sia agli esperti che ai non esperti. Alla luce, infatti, dei grandi cambiamenti tecnologici che interessano il mondo odierno, si propone una revisione dei modelli più tradizionali attraverso una innovazione del processo progettuale, fondata su: - l’avere consapevolezza del bene comune - l’attivare processi integrati -rendere l’uomo protagonista del-

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lo spazio che vive e della sua trasformazione. Ripensare il progetto dello spazio urbano significa, quindi, fare in modo che l’architettura sia al tempo stesso “[...] tecnica di manipolazione dei beni materiali [...]”, ma soprattutto “parte attiva di un processo volto a valorizzare beni immateriali quali la conoscenza, l’identità, l’appropriazione, affinchè siano beni in grado di creare nella società nuovi saperi, condivisione delle risorse, diffusione delle pratiche di democrazia e convivenza [...]”1. Parlare di spazio urbano, infatti, significa parlare dello spazio delle comunità come quello in cui poter consolidare il rapporto tra abitanti e luogo; l’ architettura, in questo


nsare ogetto ello urbano senso, ha un ruolo fondamentale. Nuovi approcci progettuali corali, partecipati, integrati (perchè mediazione tra quelli di tipo topdown e quelli di tipo bottom-up) possono essere sperimentati grazie all’utilizzo di nuovi strumenti di visualizzazione, i quali innescano nuovi processi che facilitano il coinvolgimento dei non esperti (i reali fruitori di uno spazio urbano). Ri-pensare il progetto urbano ha come obiettivo proporre strumenti grazie ai quali migliorare sia l’interazione tra esperti e non esperti, sia la loro partecipazione, favorendo lo sviluppo di un sentimento di appartenenza e affezione a un luogo. Rispetto ad un approccio partecipato al progetto di tipo tradizio-

nale, basato sul dialogo, sui tavoli d’ascolto, sulla visualizzazione di mappe, disegni cartacei, di dati raccolti su uno schermo, (spesso insufficienti e, a volte, anche inefficaci nelle ricadute progettuali) si sperimenta un approccio più dinamico. Grazie all’uso di nuovi strumenti, lo spazio fisico e quello virtuale si sovrappongono in un nuovo spazio, “aumentato”; in questo modo si veicolano informazioni, si mostrano oggetti virtuali, si prefigurano scenari, si arricchiscono i contenuti in una nuova dimensione dello spazio, ma pur sempre in un contesto reale. In questo modo la percezione dell’utente si accresce, la consapevolezza dello spazio urbano che lo circonda si modifica .

1 TAMassociati, in Taking Care. Progettare per il bene comune, XV Biennale di Architettura, Padiglione Itia, Venezia, 2016

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Il progetto corale La progettazione corale, per come è trattata in questa dissertazione, si riferisce direttamente a quella maggiore attenzione che le amministrazioni locali pongono nell’ambito della progettazione e della gestione del paesaggio, del territorio e soprattutto della città, attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini. Questa metodologia progettuale affonda le sue radici tra la fine dell ‘800 ed i primi anni del ‘900, grazie al lavoro di colui che oggi possiamo definire come <<il pioniere dell’ecologia urbana modernamente intesa>>, Patrick Geddes. Le sue teorie ed il suo operato sono strettamente legate al principio di eguaglianza sociale, grazie al quale i cittadini hanno il diritto di essere coinvolti all’interno dei processi di progettazione urbana. La partecipazione è stata considerata, quindi, sia come uno strumento diretto esclusivamente al coinvolgimento dei cittadini nelle decisioni, sia come uno strumento di educazione e conoscenza della storia e delle tradizioni, in modo da creare e rafforzare il senso di cittadinanza e di appartenenza ad un

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luogo. Nel libro “Cities in Evolution”, scritto nel 1915, Geddes teorizza un nuovo strumento per la pianificazione del territorio e della città, che sia improntato verso quella che lui definisce ecologia urbana attraverso proposte di piani di sviluppo territoriale, fondati su tre punti di forza: il luogo, la gente ed il lavoro. Le idee innovative di Patrick Geddes sono rimaste, tuttavia, per lo più tali, relegate nel dimenticatoio a causa dell’ approccio urbanistico tecnicista del movimento moderno, che trovava soluzioni adottando grandi piani concepiti da pochi. La progettazione che si basa sul coinvolgimento, sulla partecipazione, ha invece come obiettivo una maggiore equità sociale, affinchè si possano realizzare spazi urbani che siano davvero rappresentazione ed emblema della cultura di un luogo e dei suoi abitanti. L’idea di una nuova urbanistica, differente da quella del periodo modernista legata al grande progetto ed alla tabula rasa, di “un’urbanistica partecipata”, trova applicazione concreta a partire dagli anni ‘60, in un periodo di forti tensioni e


lotte sociali. Questa pratica nasce e si diffonde in primis negli Stati Uniti, conosciuta come “Advocacy Planning”: nell’elaborazione dei piani urbanistici vi era un delegato che prendeva le parti della fascia più debole della popolazione, rappresentandone diritti e volontà.

fondamentale la ricerca e l’operato di Giancarlo De Carlo, il primo architetto italiano a far della progettazione partecipata il proprio oggetto di studio e di ricerca. L’architetto genovese è conosciuto nel panorama internazionale per aver fondato il Team X, ovvero quel movimento che opera la

“By doing we learn, è con il fare che si impara” Patrick Geddes Dall’America settentrionale queste pratiche, ma soprattutto questi ideali, hanno trovato applicazione anche in Europa, seppur ad opera solamente di una stretta cerchia di architetti tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ‘70. Proprio in Italia la progettazione partecipata è stata in quegli anni sperimentata e messa in pratica attraverso esperienze innovative sia nel campo del recupero di centri storici, ma soprattutto nella costruzione di quartieri operai. A tal proposito ha avuto un ruolo

prima vera e propria rottura con il movimento moderno e l’ideologia funzionalista. De Carlo considera l’architettura come una attività eteronoma, non autonoma, ovvero come ciò che deve necessariamente dialogare ed interagire con le altre discipline, poichè “non serve una teoria della partecipazione ma occorre l’energia per uscire dall’autonomia”2. Con questa frase l’architetto italiano descrive precisamente una situazione, sia italiana ma anche mondiale, nella quale le varie pro-

2 Giancarlo De Carlo, in L’archi tettura della partecipazione, a cura di Sara Marini, Quodlibet, 2013

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fessioni sono suddivise in compartimenti stagni, slegate le une dalle altre; in qualche modo una prima forma di partecipazione come un nuovo modo di progettare, può essere la collaborazione dei soggetti delle diverse discipline inerenti alla pratica progettuale architettonica. Se, quindi, “per uscire dalla sterile situazione di isolamento in cui si trova l’architettura, è importante che la gente partecipi ai processi di trasformazione delle città e dei territori [...]”, è anche fondamentale che “ [...] la cultura architettonica si interroghi su come rendere l’ar-

chitettura intrinsecamente partecipabile; o, in altre parole, come cambiare le concezioni, i metodi e gli strumenti dell’architettura perché diventi limpida, comprensibile, assimilabile: e cioè flessibile, adattabile, significante in ogni sfaccettatura”3. Gli enunciati teorici di Giancarlo De Carlo non sono rimasti solamente “belle “ parole scritte su articoli di giornale o libri, ma l’architetto italiano ha cercato di mettere in pratica le sue idee, realizzando opere architettoniche che seguissero un processo progettuale nel quale la partecipazione avesse un ruolo

“è importante che la gente partecipi ai processi di trasformazione delle città e dei territori ma è anche importante che la cultura architettonica si interroghi su come rendere l’architettura intrinsecamente partecipabile ” Giancarlo De Carlo, 2001

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“Va nella tua città, uomo, e collabora con chi vuol renderla più simile a te” Giancarlo De Carlo, 1954

fondamentale. La sua sperimentazione teorica ha trovato concreta realizzazione in uno dei suoi progetti più noti, ovvero il ripensamento del villaggio operaio di Terni. Il nuovo complesso residenziale operaio “Matteotti” è stato progettato per sostituire il preesistente villaggio, costruito per gli operai delle acciaierie durante il periodo fascista; il progetto è stato sviluppato con la supervisione di un gruppo di urbanisti, sociologi e architetti, coordinati dallo stesso De Carlo, che, dopo aver istituito dei tavoli di ascolto ed aver rilevato tutte le reali necessità ed esigenze dei futuri fruitori, hanno proposto agli operai (i diretti interessati), un abaco con 45 possibili soluzioni per la composizione delle loro future unità abitative.

Gli operai hanno potuto, quindi, scegliere tra differenti soluzioni spaziali, tutte quante pensate per soddisfare le specifiche esigenze richieste: spazi verdi, percorsi a priorità pedonale, autorimesse al coperto, ampi terrazzi e doppi servizi. Il risultato è stato sorprendente, anche se ridimensionato in quanto è stato realizzato solo un quarto del numero di appartamenti previsti a causa degli elevati costi di costruzione; sono stati realizzati circa 240 appartamenti, serviti da da verde attrezzato e da percorsi separati tra mobilità veicolare e pedonale. Queste due caratteristiche, insieme a tutti gli altri servizi offerti ai residenti, quali scuole, negozi, attività artigianali e servizi integrati, sono stati gli elementi determinanti per la buona riuscita

3 Giancarlo De Carlo, in L’archi tettura della partecipazione, a cura di Sara Marini, Quodlibet, 2013

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“Penso che la partecipazione sia un processo complesso, che richiede immaginazione e coraggio, proiettato verso trasformazioni profonde della sostanza stessa dell’architettura ” Giancarlo De Carlo, 1974

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del progetto. La volontà di De Carlo è stata quella di democratizzare l’architettura per “restituirle immediatezza di rappresentazione e di espressione per renderla comprensibile e utilizzabile da parte di tutti”4. Oggi, a quaranta anni di distanza, possiamo esaminare il progetto individuando due posizioni radicalmente contrapposte: la prima valuta positivamente la sperimentazione sia per il risultato ottenuto ma soprattutto per il procedimento attuato; la seconda invece, attribuisce il valore architettonico dell’intervento al solo “genio” del progettista, mentre critica il processo di istituzione dei tavoli di discussione, del diretto coinvolgimento dei fruitori e delle relative

scelte operate. Tuttavia a rispondere a questa critica è lo stesso De Carlo che già nel saggio “An Architecture of Partecipation” del 1972, scriveva: “le risposte di un bravo architetto alla partecipazione sono sicuramente di tipo personale”5. Queste sue dichiarazioni hanno l’obiettivo di chiarire che progettare secondo modalità partecipate non significa annullare la figura del professionista nel processo, quanto, piuttosto, offrire risposte concrete alle esigenze che gli vengono presentate. La sperimentazione di Terni è rimasta un caso isolato che, tuttavia, ha avuto riscontri positivi sia in ambito sociale ma soprattutto nell’aver dato forma ad un dibatti-


to che ha tentato di dare risposta a un quesito che ci si poneva da ormai molti anni. Successivamente, nel corso degli anni ‘90, le esperienze di partecipazione si caratterizzano per teorie e finalità completamente differenti rispetto a quelle precedentemente descritte, poichè non sono più il risultato dell’iniziativa volontaria di pochi progettisti

Oggi la partecipazione dei cittadini alle decisioni riguardanti luoghi e spazi di cui effettivamente usufruiranno, è stata indicata come una delle finalità dello sviluppo sostenibile ed allo stesso tempo come un efficace metodo di riappropriazione e riutilizzo dei beni comuni. E’ stata proprio questa, forse, la più grande conquista di tutti coloro

“La progettazione in chiave partecipativa ed interdisciplinare dello spazio pubblico è occasione entusiasmante per urbanisti, paesaggisti, architetti, tecnici e designer per esprimere appieno il loro ruolo sociale” Carta dello Spazio Pubblico, 2011 particolarmente “sensibili” al coinvolgimento dei cittadini, ma sono legate ai programmi di riqualificazione urbana e ai piani di trasformazione promossi dalla città stessa, che provano ad agire secondo processi progettuali diversi da quelli tradizionali.

che hanno dedicato le loro ricerche al tema della partecipazione: rendere le persone consapevoli del bene comune, attivare processi aggregativi e ridare importanza all’uomo come colui che è protagonista dello spazio che vive.

4 Giancarlo De Carlo, Corpo memoria e fiasco in Spazio e Società n.4, 1978, pp.4 5 Giancarlo De Carlo, in L’archi tettura della partecipazione, a cura di Sara Marini, Quodlibet, 2013

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La ricerca di nuovi equilibri A partire dalle teorie di Giancarlo De Carlo e dalle esperienze di progettazione partecipata degli anni ‘90, si è cercato in questa dissertazione di proporre una nuova modalità di progettazione per il ripensamento dello spazio urbano. Questa è stata individuata in quella che si può definire come progettazione corale, laddove per questa si intende una equilibrata mediazione tra iniziative promosse dal basso e progetti decisi dall’alto, e nella quale il ruolo fondamentale è esercitato dall’architetto, chiamato per l’appunto a “orchestrare” il processo, coordinando spazi, persone ed idee in un progetto che tenga conto di ogni aspetto.

Si è quindi ricercato un compromesso bilanciato tra le due pratiche di progettazione urbana attualmente consolidate, ovvero quella con approccio dall’alto (topdown) e quella con approccio dal basso (bottom-up), le quali sono, per la maggior parte delle volte, percepite come due modalità opposte di intraprendere un percorso progettuale volto alla ridefinizione di uno spazio urbano. In realtà è improbabile riuscire a mettere in moto una strategia di successo senza prima trovare un giusto equilibrio tra i due processi, che, anche se distanti tra loro, hanno come punto di convergenza lo stesso obiettivo.

“trasformare l’architettura tramutandola da un meccanismo produttivo immutabile, dall’alto verso il basso, in un sistema ecologico trasparente, inclusivo, dal basso verso l’alto” Carlo Ratti, 2014

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“la partecipazione impone di superare diffidenze reciproche, riconoscere conflitti e posizioni antagoniste” Giancarlo De Carlo, 2002

I due approcci precedentemente indicati sono ulteriormente legati tra loro dalle azioni intraprese dalla pubblica amministrazione e dalle comunità locali, attori equamente fondamentali, che il processo progettuale di ridefinizione di uno spazio urbano deve inevitabilmente avvicinare, riattivando e consolidando la reciproca collaborazione. La conoscenza del territorio locale, nei suoi aspetti economici, sociali e culturali, rappresenta un elemento fondamentale per la redazione di una corretta analisi territoriale da parte delle amministrazioni; a tal proposito, gli abitanti non devono essere soggetti passivi, ai quali imporre dall’alto i progetti, ma , al contrario essi devono diventare

protagonisti attivi nella progettazione, grazie alla conoscenza diretta dei luoghi e delle problematiche ad essi collegate. Questo consente un notevole salto qualitativo nella pratica progettuale che diventa integrata, poichè la “democrazia urbana stimola la creatività dei progettisti”6, aiutando a comprendere al meglio il rapporto tra tessuto urbano ed i fenomeni sociali ad esso legati. In un processo integrato l’obiettivo finale non è solamente la creazione di nuovi spazi pubblici o la riqualificazione di altri, ma elemento fondamentale diviene la riattivazione di chi li vive, proprio attraverso il diretto coinvolgimento nelle scelte progettuali. La situazione attuale è tuttavia an

6 Daniela Ciaffi, Alfredo Mela, Urbanistica Partecipata,modelli ed esperienze, Carocci Editore, 2011, pp.112

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cora molto lontana dall’avere un equilibrio tra i due approcci (come descritto in precedenza) ed il percorso verso un equo bilanciamento del ruolo di ambedue le parti coinvolte è ancora da costruire. Se si parla di approcci esclusivamente di tipo bottom-up, questi si basano su iniziative promosse dal basso, e su uno sviluppo del processo condotto direttamente dalle comunità; al contrario, approcci di tipo top-down impongono dall’alto un progetto di trasformazione urbana, senza cercare alcun tipo di dialogo con i futuri fruitori di quegli spazi. In un approccio integrato ed equilibrato, invece, le iniziative progettuali possono derivare dall’una o dall’altra parte, ma il relativo

sviluppo, fondato a sua volta sulla fiducia nella capacità dei residenti di evidenziare problemi e suggerire soluzioni, si basa su una stretta collaborazione tra le comunità, le figure professionali e le amministrazioni locali, affinchè vi sia condivisione di informazioni, idee, proposte. In questo caso la pubblica amministrazione e il personale tecnico specializzato, dunque, hanno il compito di coordinare e guidare la comunità verso un corretto percorso di trasformazione della città, stimolando e supportando iniziative di partecipazione concrete e propositive. Ricercare nuovi equilibri significa, quindi, farsi promotori di dialoghi costruttivi tra i vari protagonisti

“Occorrono luoghi, occasioni e strumenti che permettano di rendere la partecipazione una pratica e soprattutto consentano a chi partecipa di mantenere una presenza attiva che conta“ Brunod, 2007

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del processo, in modo da sviluppare una visione il più possibile condivisa, sostenendo e guidando iniziative nate dalla collettività tutta. Innovazione sociale e coinvolgimento nella pratica progettuale sono conseguentemente elementi da non trascurare per assicurare

Ripensare il progetto dello spazio urbano ha, infatti, come obiettivo eliminare, o quantomeno diminuire, le difficoltà che vi sono sia nella collaborazione sia nel coordinamento fra i diversi attori che promuovono e sviluppano processi di trasformazione urbana.

“Gli architetti contemporanei dovrebbero fare di tutto perché l’architettura dei prossimi anni sia sempre meno la rappresentazione di chi la progetta e sempre più la rappresentazione di chi la usa “ Giancarlo De Carlo, 1972 sia la buona riuscita sia l’ ”accettazione” di un progetto di ridefinizione di uno spazio pubblico da parte dei futuri fruitori. Occorre quindi investire sulla conoscenza collettiva di una “società che in questo ambito non chiede di guardare, ma di poter partecipare”7 assumendo un ruolo fondamentale nelle trasformazioni urbane.

Questo può avvenire attraverso un cambio di paradigma all’interno del processo progettuale, modificando i modelli consolidati di sviluppo e governo della città, mediante l’utilizzo di nuovi strumenti che rendano possibili la condivisione e soprattutto la collaborazione di un numero sempre crescente di cittadini “attivi”.

7 Luca Mora, Roberto Bolici, Top-down o Bottom-up?, in FPA-Città e Territorio, 2014

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Urban Space 3.0 Prendendo a prestito espressioni derivanti dal linguaggio informatico, si propone Urban Space 3.0 come un nuovo processo progettuale nell’ambito della trasformazione dello spazio urbano. Per comprendere meglio cosa si possa intendere con il termine 3.0 applicato al mondo dell’architettura e della progettazione, è bene chiarire cosa questa espressione indichi nel mondo del web. Quando nel linguaggio informatico si parla di web 1.0 ci si riferisce a contenuti statici, senza possibilità di modifica: l’utente, raggiunta la pagina di interesse, può leggere e visualizzare i contenuti, senza altre interazioni perchè la piatta-

forma è unidirezionale dall’editore verso l’utente. Diversamente, il web 2.0 è dinamico perchè si basa nella sua essenza sull’interazione e sullo scambio di contenuti tra il web e gli utenti: si tratta dell’opensource, ovvero letteralmente una “sorgente aperta” in cui chiunque può apportare modifiche ed estensioni (Wikipedia, Flickr, YouTube, etc., quindi web, chat, blog, wiki, social). Mentre nel primo caso, quindi, il web è l’unico interlocutore con gli utenti attraverso la pubblicazione sterile di informazioni, nel secondo caso web e utenti comunicano tutti tra loro e ognuno è libero di interagire e apportare modifiche ai

“ l’utente non è più solo un lettore, un consumatore passivo di contenuti, ma li crea direttamente (o contribuisce a crearli) e li condivide” Dal web al web della rete 3.0. L’evoluzione della rete senza tecnicismi

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contenuti. Il web 3.0 rappresenta l’evoluzione del web 2.0, benchè ancora non esista una definizione univoca; la maggior parte degli esperti, però, converge nel riconoscerlo come il web semantico, ovvero la trasformazione del mondo del web “in un ambiente dove i documenti pubblicati (pagine HTML, file, immagini, e così via) sono associati ad

database più sofisticati che permettono ricerche più accurate, i contenuti cercati sul web potranno essere reperiti sfruttando l’intelligenza artificiale che saprà individuare le necessità degli utenti, migliorando l’interazione tra l’uomo e i sistemi automatici. Essenzialmente questi servizi web di terza generazione si basano sull’ interazione tra il web, che potrà

“Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. L’ho progettato perché avesse una ricaduta sociale, perché aiutasse le persone a collaborare “ Tim Berners-Lee, 2007

informazioni e dati (metadati) che ne specificano il contesto semantico in un formato adatto all’interrogazione e l’interpretazione (es. tramite motori di ricerca) e, più in generale, all’elaborazione automatica”8. Tutto questi significa che, grazie a

contare su intelligenze artificiali e nuovi database, gli utenti (sempre più numerosi) e altro: nuovi spazi virtuali, interattivi, tridimensionali, aumentati, tutti direttamente fruibili dal browser; non più una rete fatta solo di pagine e contenuti ipertestuali ma veri e propri spazi

8 Wikipedia, Web Semantico, Definizione

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in cui “muoversi”. A partire da tutto questo nasce l’idea di affiancare a “Urban Space” il termine “3.0” poichè, cosi come sviluppare il web 3.0 significa migliorare l’interazione uomo-macchina e le possibilità di un dialogo intelligente tra i due, allo stesso modo innovare il processo progettuale attraverso l’utilizzo di nuovi strumenti di visualizzazione potrebbe facilitare la collaborazione tra i diversi protagonisti che hanno un interesse a trasformare uno spazio della città.

Se i concetti che definiscono le diverse fasi evolutive del web nel mondo informatico fossero applicati al processo progettuale, trasponendoli nel mondo dell’ architettura, si potrebbe affermare che: - 1.0 (in informatica contenuti statici, non modificabili) potrebbe essere assimilabile ad un approccio progettuale di tipo top-down, calato dall’alto e imposto; - 2.0 (in informatica l’opensource, contenuti dinamici, modificabili) potrebbe equivalere ad un approccio integrato tra quello top-down e

“È bene chiarire che quando pensiamo a un’opera aperta non immaginiamo 1000 voci che si uniscono autonomamente; serve sempre un regista che organizzi i contributi. Quel che nel libro chiamiamo “architetto corale” “ Carlo Ratti, 2015

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“l’ambito pubblico emerge ora nella complessa interazione di spazi materiali e immateriali” Carlo Ratti, 2016

quello bottom-up, per favorire una collaborazione e un’interazione tra i protagonisti; - 3.0 (in informatica interazione tra web, utenti e realtà virtuali, aumentate) potrebbe indicare l’evoluzione di un processo integrato (2.0) grazie all’interazione tra il mondo fisico e quello digitale. Urban Space 3.0 è, quindi, una proposta di innovazione del processo progettuale, secondo nuovi modelli, diversi da quelli più consolidati: attraverso il coinvolgimento cittadino e l’utilizzo di nuovi strumenti di visualizzazione che l’avanzamento tecnologico mette a disposizione, si possono generare nuove interazioni tra lo spazio urbano, la comunità, i progettisti e le amministrazioni locali. Le modalità con cui oggi lo spazio è percepito e utilizzato, infatti, sono

molto diverse dal passato; le innovazioni tecnologiche hanno cambiato la realtà, la società, i modi di vivere e di relazionarsi gli uni agli altri, poichè, sempre più spesso, ci si ritrova contemporaneamente sia nel mondo fisico, quello reale, in cui ci si muove quotidianamente, sia nel mondo digitale, quello virtuale e intangibile. L’ipotesi di avvicinamento tra i due mondi è resa difficile da un lato dalla rigidità dello spazio reale, dall’altro dall’intangibilità di quello digitale; in realtà, però, esiste un terzo tipo di spazio in cui gli altri due non solo si possono incontrare, ma addirittura sovrapporre: lo spazio aumentato. Se, come anticipato in uno dei capitoli precedenti, la realtà aumentata è l’arricchimento della percezione sensoriale umana, allora

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l’ utente può visualizzare informazioni aggiuntive, provenienti dal mondo virtuale, in un ambientazione reale: non si tratta di uno spazio virtuale che sostituisce quello reale, ma, piuttosto di una estensione della realtà, aumentata per l’appunto. Questo è reso possibile da nuovi strumenti digitali che incrementano i contenuti di una scena reale, aggiungendovi nuove informazioni, nuovi layers virtuali, che con i cinque sensi non sarebbero percepiti. Nell’ambito di un processo progettuale, quindi, questo nuovo tipo di interazione “uomo-macchina”, grazie all’utilizzo di nuovi strumenti di visualizzazione che “aumentano” la realtà, potrebbe dare

un valore aggiunto a quella progettazione corale che usa il dialogo e i tavoli d’ascolto come strumenti per interpretare i bisogni dei non esperti che partecipano al processo. All’interno di questa nuova dimensione in cui le relazioni tra le persone e lo spazio possono assumere caratteri diversi, “i progettisti non hanno più soltanto il compito di disegnare edifici, di mettere un mattone sopra l’altro [...] è necessario anche provare a immaginare nuove esperienze, all’interno di un ambiente urbano che si snoda tra il mondo fisico e quello immateriale delle nuove tecnologie[...] “9. Il progettista, allora, deve essere aperto a input diversi, cercare nuove sperimentazioni e soprattutto

“L’architetto corale è colui che dà inizio e fine all’iter di progetto, Che armonizza diversi contributi in modo collaborativo” Carlo Ratti, 2016

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“ il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi ” Marcel Proust, 1913-1927

essere in grado di coordinare il processo dall’inizio alla fine, “capace di armonizzare molte voci, un po’ come un direttore d’orchestra”10, poichè il suo obiettivo non deve consistere solo nell’efficacia e nella buona riuscita di un progetto di trasformazione urbana, ma anche nel costruire delle competenze che possano rendere chi partecipa capace ad affrontare il problema. Aumentare la realtà serve, infatti, contemporaneamente, a tutti i protagonisti di un progetto dello spazio urbano, sia a testare l’impatto delle soluzioni proposte in contesto reale , sia a facilitare la partecipazione e la collaborazione dei non esperti che, in questo modo, possono percepire la nuova realtà generata dalla sovrapposizione di quella reale e quella digi-

tale in modo più completo rispetto alla semplice visualizzazione di elaborati cartacei. Presa coscienza, quindi, della rivoluzione delle applicazioni digitali, Urban Space 3.0 è il tentativo di innovare il processo progettuale: attraverso un approccio dinamico, partecipato, aperto e grazie all’uso di nuovi strumenti, si possono veicolare informazioni, mostrare oggetti virtuali, prefigurare scenari, arricchire i contenuti in una nuova dimensione dello spazio (aumentata appunto). In questo modo la percezione dell’utente si accresce, la consapevolezza dello spazio urbano che lo circonda si modifica, e, allo stesso tempo, il progettista può raccogliere i feedback sulla base di questa esperienza multisensoriale.

9 Carlo Ratti, Ecco che a progettare la città arriva l’architetto corale, www.repubblica.it, 2016 10 Carlo Ratti, Archistar addio”: quando progettare diventa un’attività “corale” grazie al web, in “Il fatto Quotidiano” di Davide Turrini, 08/02/2015

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Una pr d

ri-attiva

urba La città di Torino, in particolare negli ultimi venti anni, ha intrapreso ed adottato politiche che hanno come obiettivo quello di ripristinare e valorizzare l’ambiente urbano, per conferirgli nuova vitalità e splendore dopo oltre un secolo di intensa attività industriale. A tal proposito nel 2011 Torino ha aderito all’iniziativa, promossa dalla Commissione Europea, Smart City and Communities con l’ambizione di divenire una tra le prime città italiane smart, una città intelligente, nella quale attraveso l’utilizzo di nuovi sistemi tecnologici si possano ottenere sostanziali miglioramenti nel campo dei consumi energetici, della mobilità sostenibile e soprattutto della vivibilità cittadina.

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Successivamente all’adesione la città ha lanciato un bando interno , valido su tutto il territorio comunale, con la finalità di cercare soggetti interessati alla sperimentazione di iniziative di interesse pubblico mediante l’utilizzo di tecnologie innovative. Tra i soggetti che hanno partecipato attivamente a questo bando vi è il quartiere Campidoglio, nel quale è stato attivato il primo Living Lab cittadino: uno spazio urbano esistente che si dedica alla ricerca ed alla sperimentazione reale di nuove tecnologie; la finalità è quella di contribuire alla creazione di un modello di intervento replicabile e trasponibile in altre realtà urbane analoghe. Si tratta quindi di un’iniziativa in-


roposta di

azione

ana novativa non solo nell’ambito delle tecnologie utilizzate, ma soprattutto nelle modalità con le quali si presenta alla sperimentazione: è un laboratorio a cielo aperto basato sulla stretta collaborazione tra Amministrazione comunale e cittadini, dove questi ultimi possono direttamente proporre e fare esperienza diretta delle nuove soluzioni. Il risultato, tuttora in corso, di questa sperimentazione è la creazione di un ecoquartiere, esito della trasformazione di Campidoglio in un luogo si immerso in contesto urbano consolidato , ma dove tutte le attenzioni sono rivolte alle effettive esigenze dei cittadini. Per questi motivi, nel cercare un’applicazione concreta del lavo-

ro di ricerca su una parte di città, la proposta di riattivazione urbana si incentra su Piazza Risorgimento, poichè è ubicata in una posizione perfettamente centrale rispetto all’estensione del quartiere, venendo di conseguenza percepita come il vero e proprio cuore pulsante della vita del quartiere Campidoglio. Il progetto si è quindi concentrato su un luogo adatto alla sperimentazione, poichè fulcro di una comunità attiva, e su uno spazio la cui situazione attuale non consente alla comunità locale di vivere al meglio la piazza, sottoutilizzata ed in parte vandalizzata a causa di numerose problematiche incorse con il passare degli anni.

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Il quartiere Campidoglio Situato nella zona nord-ovest della città di Torino, tra i quartieri Parella e S. Donato, si tratta di un quartiere a carattere prevalentemente residenziale, ad esclusione di piccole attività artigianali, per lo più a conduzione familiare. Campidoglio è ubicato in un’area che sta divenendo potenzialmente sempre più strategica, in quanto si trova all’esterno delle zone centrali più trafficate ma risulta efficacemente collegata grazie al passaggio della linea metropolitana ed alla breve distanza (solamente 1,5 km) dal nuovo polo di Porta Susa. Il rapido collegamento con le altri parti della città è inoltre garantito dagli assi viari ad alto scorrimento,

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che delimitano i confini del quartiere stesso: Corso Tassoni a est, Corso Regina Margherita a nord, Corso Francia a sud e Corso Lecce a ovest; i limiti morfologici, invece, sono il parco della Pellerina e il fiume Dora presenti nella parte nord-ovest. Una delle maggiori peculiarità del quartiere Campidoglio è rappresentata dal caratteristico tessuto edilizio che contraddistingue quest’area dal resto della città: all’interno del quartiere è presente una parte storica, chiamata Borgata Campidoglio, composta da strette vie ciottolate e agglomerati di piccole unità abitative di massimo tre piani fuori terra, e una parte più recente, costruita a partire da-


gli anni sessanta. Il quartiere nasce a metà del XIX secolo come un’insieme molto denso di strade su cui si affacciano le abitazioni, frutto quindi non di insediamenti sporadici che man mano si sono accresciuti, ma di una vera e propria speculazione che lottizzando aree agricole le ha trasformate in aree residenziali. Proprio da questo particolare primo assetto urbanistico, slegato dal caso e frutto di una pianificazione complessiva, probabilmente nasce la denominazione Campidoglio: una piccola isola rialzata che, guardata dalle Basse di Dora , appare come posta su una piccola collinetta, ricordando per l’appunto il Campidoglio di Roma.

A partire da questo primo nucleo storico si è successivamente sviluppato l’intero quartiere, che ha mantenuto le caratteristiche peculiari del piccolo Borgo Antico, rimaste quasi inalterate fino ad oggi. Questa “conservazione” dei caratteri originali è stata possibile anche grazie al Piano Regolatore Generale del 1959 che, vincolando gran parte del quartiere allora esistente a servizi, ha consentito la formazione delle cosiddette “aree bianche” garantendo in questo modo nuove espansioni tutt’intorno al Borgo Vecchio, lasciandolo pressochè inalterato. Il nuovo tessuto edilizio si è quindi sviluppato creando una specie di isola all’interno della città stessa.

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SISTEMA DEL VERDE ASSI VIARI

Area d’interesse

Verde Urbano

Fiume Dora

Assi viari principali

Metropolitana

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359


Nascita e sviluppo: 1853-1890 L’area del futuro quartiere Campidoglio è collocata subito oltre il confine della nuova cinta daziaria della città di Torino nel 1853. Questo limite è di fondamentale importanza in quanto è la linea di demarcazione che tassa gli ingressi di merci e persone in città ed inoltre segna il limite di attuazione dei piani urbanistici ed edilizi stabiliti dalla città di Torino; la cinta daziaria con il suo tracciato contrappone quindi la città di metà ‘800, che grazie alla nascente industrializzazione era in continua espansione, alla campagna che continuava a presentare insediamenti sporadici. L’area in questione è infatti fino al 1850 a vocazione esclusivamente agricola, suddivisa in numerose parcelle utilizzate per la produzione alimentare fuori dalla cinta muraria. Proprio questa origine agricola del luogo può essere l’origine del nome stesso del quartiere: Campidoglio come i campi appartenenti al Signor Doglio, nome di un prediale che insisteva sull’area.

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Fino a questo momento il tessuto è caratterizzato da insediamenti sparsi, costituiti per la maggior parte da cascine e fabbricati rurali che si collocavano lungo le strade di campagna o i numerosi piccoli canali che confluivano nella Dora. Elementi “accrentratori” dell’edificato erano infatti il Canale della Pellerina, a nord, e la strada San Rocchetto posta trasversalmente al canale. Essendo in questo periodo ancora zona esentasse con il passare degli anni man mano i fabbricati iniziarono a trasformarsi, iniziando ad avere funzioni artigianali, pur rimanendo una zona con forte identità rurale prima che cittadina. A lato è presente la rappresentazione grafica di tutto quanto descritto fino ad ora: sono rappresentati gli edifici agricoli esistenti all’epoca e l’ingombro di quello che è l’odierno quartiere Campidoglio.


Campidoglio: 1853-1890

361


Primi sviluppi: 1890-1906 Con il passare degli anni verso la fine del 1800 la città di Torino, spinta da una sempre più consistente industrializzazione, continua ad ampliarsi ed i terreni ai margini della cinta daziaria iniziano a essere oggetto di speculazione. Questo è ciò che accade anche nell’area del quartiere Campidoglio, che verso la fine del secolo, esattamente nel 1890, vede il cambio di destinazione d’uso da agricola a residenziale grazie ad un intervento di lottizzazione da parte di un privato. L’intervento, tra i primi esempi di speculazione su aree da destinare a nuove residenze per la classe operaia in costante aumento, cambiò drasticamente le caratteristiche dell’area portando ad una frammentazione degli appezzamenti agricoli, suddividendoli in tasselli, piccoli lotti edificabili anche dai singoli privati. Inizia quindi a svilupparsi un’edificazione regolare, frutto di un piano di lottizzazione unico, scansita dal nuovo sistema viario, anche questo ortogonale ma del tutto slega-

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to dalla maglia della città di Torino, venendo così a creare una specie di isola urbanizzata al di fuori della cinta daziaria Torinese. L’edificato, che inizia a disporsi inizialmente solo sugli angoli dei nascenti isolati, è destinato ad un utenza di ceto medio-basso, si sviluppa per lo più tramite edifici di massimo tre piani fuori terra mono o bi-familiari e con sistemi distributivi a ballatoio. La relazione tra le residenze ed il reticolo della viabilità (larga solamente 6 metri) fà si che la vita stessa dall’interno degli appartamenti venga proiettata e vissuta in strada, rendendo in questo modo il quartiere molto attivo e unito dal punto di vista sociale. La coesione sociale del quartiere è rafforzata anche dalla parziale saturazione dell’edificazione del lotto, che occupando inizialmente solo gli angoli del perimetro lascia libera la parte centrale che viene dedicata alla coltivazione, oppure a luogo di incontro e socialità.


Campidoglio: 1890-1906

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Sviluppo del Borgo Campidoglio: 1906-1945 Lo sviluppo della borgata e del successivo quartiere Campidoglio vive un cambiamento radicale a seguito dello spostamento della cinta daziaria nel 1906, che da questo momento in poi ingloba nella città di Torino tutte le aree oggetto della lottizzazione del 1890. L’assetto della Borgata viene modificato radicalmente: le trasformazioni e gli ampliamenti della città consentono l’intensificarsi del costruito; questo grazie alla sempre crescente richiesta di abitazioni legata ai flussi migratori dalle campagne agli impianti industriali cittadini. Le due vie più importanti del Borgo vecchio, Via Balme e via Cibrario ,vengono prolungate, anche attraverso demolizioni che interessano vecchi fabbricati rurali, e la loro funzione diventa prettamente legata al piccolo commercio ed ai servizi per lo più di quartiere. Via Cibrario diviene ancor di più luogo del commercio, caratterizzandosi con quello che rimane tuttora l’unico spazio scampato all’edificazione, l’unico spazio pubblico

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del Borgo Vecchio, ovvero Piazza Moncenisio. Con la sempre maggiore espansione la costruzione dei nuovi edifici satura man mano il perimetro degli isolati, ridisegnandone i bordi ma mantenendo inedificato lo spazio interno alle corti, che continua ad essere luogo della socialità e per una piccola coltivazione di sussistenza. Una tappa fondamentale nella creazione della forte identità di quartiere è legata alla costruzione della chiesa di S. Alfonso che anche grazie alla relativa parrocchia, edificata negli anni tra le due guerre mondiali, diviene il fulcro spirituale e non della borgata. Verso il termine degli anni ‘30 il Borgo vecchio rispecchia una condizione molto simile a quella attuale, ad esclusione delle aree interne ai lotti che all’epoca non erano ancora edificate. Nel 1943 per far fronte ai sempre più frequenti bombardamenti viene costruito un rifugio anti-aereo nell’area dell’attuale Piazza Campidoglio, all’epoca un semplice prato.


Campidoglio: 1906-1945

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Sviluppo del quartiere: 1950-oggi L’intero quartiere Campidoglio prende le sembianze di come lo conosciamo oggi solamente nel dopo guerra, fino a quel momento infatti era stato costruito solamente il Borgo Vecchio, e nessun altro edificio era presente. Le maggiori variazioni dagli anni ‘50 in poi sono infatti legate ai fenomeni di speculazione edilizia, che negli anni del boom economico hanno permesso l’edificazione quasi incontrollata di palazzoni alti anche dieci piani. Questi vengono realizzati per lo più a ridosso delle maggiori arterie viarie, come ad esempio via Nicola Fabrizi che viene raddoppiata in larghezza in modo da poter meglio percepire le nuove proporzioni tra altezza degli edifici e impianto viario. Questa edificazione quasi “selvaggia” non risparmia neanche il Borgo Vecchio che vede la sopraelevazione di alcuni fabbricati, specialmente quelli posti agli angoli degli isolati, e più che altro la saturazione dell’interno delle corti con numerosissimi bassi fabbrica-

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ti adibiti a garage o piccole attività artigianali. Il Borgo Vecchio risulta, così come ai nostri giorni, quasi ingabbiato in una città che si è espansa a tal punto da inglobarlo totalmente; tuttavia è riuscito a mantenere quasi inalterate le sue caratteristiche originarie grazie al nuovo Piano Regolatore del 1960, che in maniera molto lungimirante, ha vincolato l’area preservandola da demolizioni e speculazioni edilizie. Il resto del quartiere invece ha continuato il suo sviluppo fino alla saturazione di tutti i perimetri dei lotti edificabili con edifici di scarso se non nessun pregio architettonico, divenendo una delle molte aree di nuova espansione Torinese. La peculiarità principale di questo quartiere è rimasta tuttora quella del Borgo Vecchio, un paese dentro la città, che continua a dimostrare valori di una comunità unita, nella quale continuano ad esistere attività di quell’eccellenza artigiana andata persa in molti altri contesti cittadini.


Campidoglio: 1950-oggi

367


Considerazioni attuali sul quartiere Il quartiere oggi si presenta in una situazione sostanzialmente invariata dagli anni ‘70, totalmente edificato ad eccezione delle uniche due ampie aree pubbliche di Piazza Moncenisio e Piazza Risorgimento. E’ una zona prettamente residenziale che tuttavia non ha assunto in alcun modo i caratteri di quartiere-dormitorio essendo presenti numerosissime attività commerciali e piccole attività artigianali. Le vie nelle quali si concentrano la maggior parte dei flussi pedonali e viari sono quelle che oggi hanno la quasi totalità dei locali al piano terra ad uso commerciale: ne sono un esempio via Nicola Fabrizi e la stessa Via Cibrario, le due vie che racchiudono a nord ed a sud il Borgo Vecchio. Oltre alle due “strip” commerciali che attraversano trasversalmente il quartiere vi è anche l’importantissimo asse mercatale di Corso Svizzera, nato intorno agli anni ‘30 e costituito da numerosissime bancarelle che vendono qualsiasi bene, dagli alimentari all’elettronica, garantendo un’equilibrio tra le piccole attività a conduzione familiare e la grande distribuzione.

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Questa condizione di prosperità commerciale, abbinata ad una efficiente rete di servizi pubblici (sono infatti presenti più linee bus, una linea tramviaria e servizi di bike sharing e car sharing), ha contribuito attivamente alla sopravvivenza dei caratteri del quartiere, abitato oramai per lo più da anziani operai in pensione. Tuttavia il quartiere presenta anche molti lati neagtivi, uno di questi è la carenza di spazi verdi ed in generale di spazi pubblici per la collettività; un tempo questi spazi erano garantiti dagli interno corti, che oltre alla funzione di piccola produzione agricola assicuravano un luogo adatto alla socialità ed alla vita comunitaria. Oggi di quegli spazi non vi è alcuna traccia, sono stati sostituiti barbaramente da bassi fabbricati utilizzati come box auto o magazzini, che hanno saturato le corti interne senza dare possibilità per una diversa collocazione di questi spazi. Di conseguenza gli unici spazi pubblici, quelli di Piazza Moncenisio e Piazza Risorgimento, sono ampiamente vissuti ed utilizzati, ma non sono sufficienti; insufficiente


è anche la presenza di verde che si limita a solo elemento di decoro urbano, articolandosi esclusivamente tramite viali alberati/aiuole. L’unica area verde di dimensioni considerevoli in zona è rappresentata dal parco della Pellerina, che distante solamente due km rappresenta un importante zona dedicata al relax ed al tempo libero. Oggi Campidoglio è un modello-campione di processi di riqualificazione urbana, intrapresi a partire dal 1994, come ad esempio il Comitato di Riqualificazione Urbana Borgo Vecchio Campidoglio che promuovendo una sinergia tra residenti, associazioni ed amministrazione comunale ha l’obiettivo di rilanciare il quartiere verso uno stile di vita sostenibile. Altra Iniziativa molto promettente ed innovativa è il M.A.U. (Museo di Arte Urbana) che ha posto le basi per la realizzazione e l’allestimento di opere d’arte contemporanea sulle pareti cieche degli edifici del quartiere, creando in questo modo un percorso artistico-museale diffuso ed a cielo aperto. Sono anche presenti percorsi legati alla memoria storica dei luo-

ghi, rappresentati dal recupero del rifugio antiaereo costruito nel 1943 al di sotto dell’attuale piazza Risorgimento, e dal Sacrario del Martinetto, piccolo parco urbano dedicato alla commemorazione di partigiani fucilati durante la seconda guerra mondiale. Tutti i percorsi storico-artistici si sommano ed intrecciano a quelli commerciali ed artigianali che sono riuniti e coordinati dall’associazione Centro Commerciale Artigianale Naturale Campidoglio, la quale ha consentito la creazione di un vero e proprio centro commerciale all’aperto, diffuso. Questa forte unione commerciale, legata al mercato di Corso Svizzera ed alle numerose attività artigianali ha posto le condizioni per creare una sana alternativa alla grande distribuzione organizzata, riuscendo, attraverso un’attenta organizzazione e gestione, a rivitalizzare e a mantenere vive le piccole attività commerciali. Queste elencate in precedenza sono le principali caratteristiche del quartiere Campidoglio, meglio esplicitate dalle mappe di analisi delle pagine successive.

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PIENI E VUOTI

370


SISTEMA DEL VERDE ASSI VIARI

Verde Urbano

Fiume Dora

Assi viari principali

Metropolitana

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ATTIVITA’ COMMERCIALI E ARTIGIANALI

Aree ad uso commerciale

Aree ad uso artigianale

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SISTEMA DEI FLUSSI

Flussi pedonali

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TRASPORTI PUBBLICI

Tragitto tram e bus esistenti

Fermate tram e bus esistenti

Stazione [TO] BIKE

Stazione car sharing elettrico

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VIABILITA’

Senso veicolare

Area pedonale

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Piazza Campidoglio: ieri, oggi, domani All’interno del quartiere Campidoglio l’area di intervento che sarà oggetto della sperimentazione e ri-progettazione è stata identificata in Piazza Risorgimento. Questa piazza è la più importante di tutta la zona, sia poichè essendo pochi gli spazi pubblici presenti in zona, sia poichè è ubicata in una posizione perfettamente centrale rispetto all’estensione del quartiere, venendo di conseguenza percepita come il vero e proprio fulcro della vita della comunità locale. La piazza, insieme a via Nicolò Fabrizi che la delinea nella porzione nord, è stata il limite dello sviluppo dell’edificato fino agli anni del dopoguerra, momento dopo il quale è iniziata anche l’edificazione della porzione più a sud del quartiere. In realtà fino al 1960 piazza Risorgimento non era altro che una distesa di erba, al di sotto della quale era stato edificato un rifugio anti-aereo nel 1943, per proteggere la popolazione dalle incursioni aeree tedesche. La non-edificazione della superficie oggi destinata a piazza può essere dovuta in parte proprio alla pre esesistenza del rifugio sotter-

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raneo che ha posto successivi limiti all’edificazione residenziale in superficie. Successivamente, a partire dagli anni ‘60, la nascente piazza Risorgimento è stata completamente edificata su tutti i lati con edifici alti fino a 10 piani fuori terra, e perimetrata su tutti e quattro i lati da strade carrabili con i relativi parcheggi a raso, di cui Via Nicola Fabrizi a sezione raddoppiata essendo una via ad alto scorrimento. Più che una vera e propria piazza era uno spazio, privo di ogni qualità formale ed estetica, costituto da superfici destinate al gioco, mentre le superfici destinate al verde erano praticamente inesistenti; la restante porzione di area era semplicemente asfaltata e dotata di qualche panchina. Il volto della piazza è drasticamente cambiato solo dal 1997 quando sono stati approvati i lavori per la realizzazione di un parcheggio pertinenziale interrato che ha consentito anche la successiva risistemazione superficiale. Il progetto di riqualificazione della piazza è stato sviluppato dall’architetto Francesco Adorno, basato


Piazza Risorgimento: anni ‘80

377


su semicerchi ed emicicli alterna percorsi pavimentati, ad aree verdi ed aree per il gioco, quest’ultimo sia infantile che per gli anziani. A seguito di tutte le analisi svolte a livello macroscopico sull’intero quartiere, per meglio comprendere i meccanismi che regolano la vita, l’economia e soprattutto la fruizione degli spazi pubblici, si è passati ad un’analisi più attenta ed approfondita riguardante Piazza Risorgimento ed il suo immediato contesto limitrofo. La piazza in questione, come già descritto nelle pagine precedenti, è stata oggetto di una riqualificazione nel 1997 che ne ha drasticamente e positivamente cambiato i connotati rendendola uno spazio più vivibile rispetto alla situazione precedente. Tuttavia la piazza oggi presenta non poche criticità, le quali sono emerse a seguito dei numerosi sopralluoghi effettuati e delle analisi svolte; sono tuttavia anche emerse le enormi potenzialità del luogo che rappresenta sicuramente un punto focale fondamentale per la vita di tutto il quartiere. Le maggiori criticità dell’area sono

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legate alle numerose barriere che rendono la piazza introversa, chiusa su stessa, un po’ come se avesse un guscio che ne ostacola la percezione dall’esterno. Queste barriere sono sia visive ma soprattutto sono un ostacolo vero e proprio al passaggio, rappresentate per lo più dalle grate di aerazione dei locali interrati e da inutili griglie metalliche a scacchiera che dividono, zonizzandoli, i vari spazi della piazza. L’attraversabilità della piazza è infatti una delle maggiori problematiche riscontrate: i flussi tendono a muoversi lungo il percorso semisferico est-ovest mentre l’attraversamento trasversale della piazza avviene molto più raramente, proprio per le difficoltà che incorrono nella camminata. Un altra grande criticità è legata alla presenza di numerosi bassi fabbricati, in parte edicole, piccoli chioschi ed edifici che consentono la risalita dal parcheggio interrato; questi edifici sono stati concepiti senza tener conto degli ingombri di ciascuna struttura, ma collocandoli dove vi era spazio o necessità. Ne deriva che le strutture ad oggi


Piazza Risorgimento: oggi

sono sottoutilizzate, vandalizzate e lasciate a loro stesse, divenendo luogo di ritrovo per senzatetto o elementi poco raccomandabili soprattutto durante le ore del tardo pomeriggio e della sera. Altro elemento che rappresenta un ostacolo alla fruizione delle persone, soprattutto nei mesi esti-

vi, è la scarsa se non quasi assente presenza di ombra. Piazza Risorgimento appare infatti una superficie piana pavimentata che data la sua ampia estensione e l’ esposizione est-ovest in estate diventa rovente e quasi infequentabile nelle ore piĂš centrali e calde della giornata.

379


Il problema è legato si all’esposizione, ma potrebbe essere semplicemente risolto con edifici o anche solo manufatti che possano offrire riparo o garantire un adeguato ombreggiamento anche della sola porzione dedicata al gioco dei bimbi, dove necessariamente si riuniscono anche genitori e nonni. Oltre ai ripari sarebbe particolarmente efficace pensare a vere e proprie zone adatte al relax, non solo al transito ma anche allo stazionamento, opportunamente inserite tra verde e alberi che consentano sì di ovviare al problema del soleggiamento, ma allo stesso tempo riducano anche l’effetto di isola di calore dell’intera zona. Le potenzialità di Piazza Risorgimento sono invece molto numerose, a partire dai tanti esercizi commerciali presenti lungo tutto il perimetro, i quali rappresentano un vero e proprio polo catalizzatore di flussi pedonali e non. Questi flussi sono in realtà ostacolati dalle barriere, citate in precedenza, poste ai margini della piazza; occorrerebbe perciò creare una nuova sinergia tra la vocazione commerciale del contesto

380

e lo spazio pubblico della piazza, promuovendo una maggiore interazione in modo da favorire l’attraversamento e la permanenza all’interno della stessa. Questo potrebbe avvenire ampliando il perimetro formale della piazza, inglobando le attuali strade carrabili che la circondano, limitandone o impedendone il traffico veicolare, per lo più residenziale. Si otterrebbe in questo modo una maggiore connessione con il contesto, sviluppando la già consolidata vocazione commerciale e ampliandola con nuovi spazi di utilizzo pubblico a suo servizio. Allo stesso tempo la medesimaPiazza Risorgimento ne uscirebbe ampliata, meglio inglobata tra l’edificato e con una maggiore vivibilità legata sia ai luoghi dell’andare sia ai luoghi dello stare. Un’altra enorme potenzialità latente è quella legata al rifugio antiaereo riscoperto e riaperto solamente nel 1995, che insieme al Museo di Arte Urbana rappresenta un potenziale, per interesse culturale e numero di visitatori possibile, per nulla sfruttato, o per lo meno ampiamente sottovalutato.


Piazza Risorgimento: oggi

381


BARRIERE Stato di fatto

382


ATTRAVERSABILITA’ DELLA PIAZZA Stato di fatto

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OMBREGGIAMENTO Stato di fatto

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VERDE e ALBERATURE Stato di fatto

385


PROGR

Piaz

Risorgi PUNTI DI FORZA • Posizione strategica centrale rispetto alla Borgata e all’asse commerciale di Via Fabrizi

• Perimetro della piazza circoscritto e chiuso in se stesso

• Comitato Riqualificazione Urbana Borgata Campidoglio e Centro Commerciale Artigianale Naturale Campidoglio

• Dispersione attività artigianali nella vecchia Borgata

• Uso attivo degli spazi

• Presenza di barriere fisiche e scarso ombreggiamento

• Recupero Rifugio Antiaereo

• Scarse indicazioni sulla presenza del sottostante rifugio antiaereo

• Attivazione 1° Living Lab cittadino

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PUNTI DI DEBOLEZZA


RAMMA

zza

imento OBIETTIVI

STRUMENTI

CONNETTERE

• Pedonalizzazione e modifica del perimetro attuale della piazza

SVILUPPARE

• Nuovi percorsi

VIVERE

• Creazione di spazi dell’andare e spazi dello stare

RICORDARE

• Memoriale per segnalare il sottostante rifugio

INNOVARE

• Aumentare la realtà

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CONNETTERE

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SVILUPPARE

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VIVERE

390


RICORDARE

391


Piaz

Risorgi Urban

3. TIMELINE

Coinvolgimento associazioni locali

Definizione e modellazione abaco dello spazio urbano

392

Caricamento modelli su app “AR-media” realtà aumentata geo-localizzata

Individuazione elementi dell’abaco per il ripensamento di Piazza Risorgimento


zza

imento Space

.0 Workshop Cittadino - 2^ fase: visualizzazione modelli in contesto reale

Workshop Cittadino - 1^ fase: presentazione, scelta e collocazione degli elementi nella Piazza

Studio e analisi delle proposte metaprogettuali cittadine

Progetto

Workshop Cittadino - 3^ fase: visualizzazione proposta progettuale in contesto reale tramite AR e VR

393


Piaz

Risorgi Urban

3. Piazza Risorgimento è quella parte di città su cui si vuole provare a sperimentare una nuova modalità di progettazione, ripensando il progetto di uno spazio urbano attraverso nuovi approcci progettuali che coinvolgano sia gli esperti che i non esperti, grazie all’utilizzo di nuovi strumenti di visualizzazione. Dopo aver analizzato lo spazio urbano nella storia della città europea e definito un abaco di elementi che lo compongono, si è cercato di trasformare questo in un reale strumento di progettazione. Si è deciso, quindi, di cercare una sua concreta applicazione in uno spazio urbano torinese come occasione per testare in condizioni di real context nuove modali-

394

tà di progettazione; per renderlo possibile sono state coinvolte associazioni locali del quartiere Campidoglio che potessero avere interesse a partecipare al ripensamento di Piazza Risorgimento, attraverso un nuovo esperimento a cielo aperto. Successivamente il percorso progettuale è stato sviluppato secondo diverse tappe. 1. INDIVIDUAZIONE Sono state scelte all’interno dell’abaco figure urbane specifiche, sulla base delle analisi effettuate sul quartiere, delle dimensioni dell’area di intervento, dei suoi caratteri peculiari, quindi dei punti di forza e di debolezza evidenziati nel “programma di Piazza Risorgimento”.


zza

imento Space

.0 2. GEO-LOCALIZZAZIONE Ogni singolo modello virtuale è stato caricato sull’app di realtà aumentata prescelta, AR-media, e geo-localizzato in Piazza Risorgimento. 3. WORKSHOP: 1^ FASE E’ stata organizzata la prima fase di workshop cittadino, grazie all’aiuto dell’associazione “EcoBorgoCampidoglio” che ha coinvolto un gruppo di cittadini residenti 4. WORKSHOP: 2^ FASE Sulla base delle scelte effettuate dai cittadini durante la prima fase, ognuno ha visualizzato le figure urbane scelte nella propria composizione architettonica della piazza

5. METAPROGETTO Sono state analizzate nel dettaglio le proposte cittadine e il risultato è stato la definizione di un metaprogetto globale. 6. PROPOSTA DI PROGETTO Sulla base del metaprogetto e delle considerazioni precedentemente indicate è stata sviluppata la proposta di progetto di trasformazione di Piazza Risorgimento 7. WORKSHOP: 3^ FASE L’ultimo step del percorso progettuale ha previsto una terza e ultima giornata di laboratorio cittadino, durante la quale far visualizzare il risultato della proposta progettuale di trasformazione di Piazza Risorgimento.

395


1. Individuazione

Percorso

Piazza

Soglia

Strada Principale

Strada Monumentale

Piazza Principale

Piazza Monumentale

Varco

Recinto

Strada Trionfale

Boulevard

Piazza del mercato

Square

Muro Perimetrale

Cortina Edilizia

Passerella

Percorso in trincea

Slargo

Piazza Lineare

Marciapiede

Gradonata

Rampa

Galleria

Piazza Palcoscenico

396


Margine

Riparo

Riferimenti

Sezione

Natura Urbana

Belvedere

Tettoia

Monumento

Sottopasso

Parco Urbano

Waterfront

Padiglione

Edificio Monumentale

Sottoservizi

Parco Lineare

Argine

Portico

Memoriale

Parcheggio Interrato

Giardino

Piazza Ipogea

Orto Urbano

397


1. Individuazione - Sono state scelte all’interno dell’abaco figure urbane specifiche, sulla base delle analisi effettuate sul quartiere, delle dimensioni dell’area di intervento, dei suoi caratteri peculiari, quindi dei punti di forza e di debolezza evidenziati nel “programma di Piazza Risorgimento”. - Ognuna delle figure urbane scelte è stata modellata secondo più varianti tipologiche per poter avere maggiore libertà compositiva all’interno del processo progettuale. - Sono stati forniti loro i nuovi strumenti, figure urbane da posizionare all’interno della planimetria vuota della piazza, assieme ad un catalogo di esempi concreti, per ognuno dei modelli virtuali, tra cui scegliere, così da facilitare l’associazione mentale tra gli oggetti virtuali e oggetti reali esistenti.

1a Tettoia Semplice

1b

1c

Tettoia su edifici

Tettoia Lunga

5a

Gradonata

5b

Gradonata a pedata lunga

Modelli

Elementi architettonici proposti ai cittadini durante la prima fase di workshop

398

5c

Gradonata ad alzata alta


3a

2a Portico Semplice

2b

2c

Portico Voltato

Portico a Telaio

6b

4a

Muro Perimetrale Continuo

3b

Rampa Semplice

3c

Muro Perimetrale Muro Perimetrale Discontinuo Forato

4b

4c

Rampa Doppia

Rampa Composta

6a

7a

8a

Memoriale

Padiglione Coperto

Recinto Semplice

6c

Memoriale Diffuso Memoriale Puntuale

7b Padiglione Scoperto

9a

Giardino Regolare

9b

Giardino Irregolare

399


2. Geo-localizzazione Ogni singolo modello virtuale è stato caricato sull’applicazione ,per dispositivi mobile Ios e Android, di realtà aumentata prescelta, AR-media, e geo-localizzato in Piazza Risorgimento. La geo-localizzazione è stata un presupposto fondamentale per la buona riuscita della sperimentazione in quanto consente di visualizzare, anche in ampi spazi urbani, i modelli architettonici precedentemente modellati. L’accuratezza del sistema di localizzazione , basato sulle coordinate geografiche del luogo, consente uno scarto di posizionamento dell’oggetto di massimo 5 m, facilmente colmabili in quanto una volta ubicato in uno spazio urbano il modello virtuale può essere spostato, scalato e ruotato, adattandolo, così, al luogo di visualizzazione.

Dallo spazio virtuale allo spazio aumentato

Caricamento modelli architettonici sull’applicazione per la realtà aumentata AR-media

400


AUMENTARE LA REALTÀ

401


3. Workshop:1^ fase 1A Tettoia Semplice

1

2

1B Tettoia su edifici

3

4

1C Tettoia Lunga

5

6

1 Paseo Altamirano, Valparaìso, Emilio Marín, Nicolás Norero / 2 Porto Vecchio, Marsiglia, Norman Foster / 3 Emerige Kiosque, Parigi, Ronan & Erwan Bouroullec / 4 Praca de Lisboa, Porto, Balonas & Menano / 5 Transit Shelters, Vancouver, PUBLIC Architecture / 6 Place du Marchè, Renens, Wold Architects

402


2A Portico Semplice

7

8

2B Portico Voltato

9

10

2C Portico a Telaio

11

12

13

7 Futakotamagawa, Setagaya, Conran and Partners / 8 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 9-10 Portici Via P. Micca, Torino / 11 “25 Porticos�, Tokyo, Daniel Buren / 12 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 13 Pavillon Ekko, Hjallerup, ThiloFrank

403


3. Workshop:1^ fase Grazie all’aiuto di associazioni locali sono stati coinvolti un gruppo di cittadini residenti nel quartiere, a cui a cui è stata spiegata la volontà di sperimentare un nuovo processo progettuale. Sono stati forniti loro i nuovi strumenti, figure urbane da posizionare all’interno della planimetria vuota della piazza, assieme ad un catalogo di esempi concreti, per ognuno dei modelli virtuali, tra cui scegliere, così da facilitare l’associazione mentale tra gli oggetti virtuali e oggetti reali esistenti. Successivamente ognuno ha provato a comporre la propria piazza, individuando ed utilizzando le figure urbane proposte, ubicandole direttamente su una planimetria rappresentante schematicamente Piazza Risorgimento.

3A Muro Perimetrale

14

3B Muro Perimetrale

15

3C Muro Perimetrale

16

1 Paseo Altamirano, Valparaìso, Emilio Marín, Nicolás Norero / 2 Porto Vecchio, Marsiglia, Norman Foster / 3 Emerige Kiosque, Parigi, Ronan & Erwan Bouroullec / 4 Praca de Lisboa, Porto, Balonas & Menano / 5 Transit Shelters, Vancouver, PUBLIC Architecture / 6 Place du Marchè, Renens, Wold Architects

404


4A Rampa Semplice

17

18

4B Rampa Doppia

19

4C Rampa Composta

20

21

7 Futakotamagawa, Setagaya, Conran and Partners / 8 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 9-10 Portici Via P. Micca, Torino / 11 “25 Porticos�, Tokyo, Daniel Buren / 12 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 13 Pavillon Ekko, Hjallerup, ThiloFrank

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3. Workshop:1^ fase 5A Gradonata

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5B Gradonata a pedata lunga

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5C Gradonata ad alzata alta

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1 Paseo Altamirano, Valparaìso, Emilio Marín, Nicolás Norero / 2 Porto Vecchio, Marsiglia, Norman Foster / 3 Emerige Kiosque, Parigi, Ronan & Erwan Bouroullec / 4 Praca de Lisboa, Porto, Balonas & Menano / 5 Transit Shelters, Vancouver, PUBLIC Architecture / 6 Place du Marchè, Renens, Wold Architects

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6A Memoriale

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6B Memoriale Diffuso

6C Memoriale Puntuale

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7 Futakotamagawa, Setagaya, Conran and Partners / 8 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 9-10 Portici Via P. Micca, Torino / 11 “25 Porticos�, Tokyo, Daniel Buren / 12 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 13 Pavillon Ekko, Hjallerup, ThiloFrank

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3. Workshop:1^ fase 7A Padiglione Coperto

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7B Padiglione Scoperto

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8A Recinto Semplice

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1 Paseo Altamirano, Valparaìso, Emilio Marín, Nicolás Norero / 2 Porto Vecchio, Marsiglia, Norman Foster / 3 Emerige Kiosque, Parigi, Ronan & Erwan Bouroullec / 4 Praca de Lisboa, Porto, Balonas & Menano / 5 Transit Shelters, Vancouver, PUBLIC Architecture / 6 Place du Marchè, Renens, Wold Architects

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9A Giardino Regolare

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9B Giardino Irregolare

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7 Futakotamagawa, Setagaya, Conran and Partners / 8 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 9-10 Portici Via P. Micca, Torino / 11 “25 Porticos�, Tokyo, Daniel Buren / 12 Mechanical Ramps, Vitoria, Roberto Ercilla / 13 Pavillon Ekko, Hjallerup, ThiloFrank

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3. Workshop:1^ fase 1a

1a

2a

2a

Tettoia Semplice Tettoia Semplice

Portico Semplice

Portico Semplice

1b

1c

2b

2c

Tettoia su edifici

Tettoia Lunga

Portico Voltato

Portico a Telaio

3b

3c

2b

2c

Tettoia su edifici

Tettoia Lunga

Portico Voltato

Portico a Telaio

5b

Gradonata a pedata lunga

5c

Gradonata ad alzata alta

6b

7a

Memoriale

Padiglione Coperto

6c

4c Rampa Composta

s

3c

Muro Perimetrale Muro Perimetrale Discontinuo Forato 9a

6a

8a

Giardino Regolare

Recinto Semplice

9b

7b

Memoriale Diffuso Memoriale Puntuale

4b Rampa Doppia

3b

1c 5a

4a

Muro Perimetrale Rampa Semplice Continuo

Muro Perimetrale Muro Perimetrale Discontinuo Forato

1b Gradonata

3a

3a

Muro Perimetrale Continuo

Giardino Irregolare

Padiglione Scoperto

Via Rivara

al centro della piazza con l’iPadriportato fornito 1. Posizionarsi 2. Guardare attentamente l’abaco qui 2. Guardare attentamente l’abaco riportato qui sopra: si hanno a disposizione nove macrocategorie di elementi sopra: si hanno a disposizione nove macroarchitettonici, ciascuna proposta secondo alcune varianti e tutte identificate da caratteri alfanumerici categorie di elementi architettonici, ciascu3. Ora secondo inizia a comporrealcune la tua piazzavarianti e tutte na proposta 4. Selezionare gli elementi alfanumerici che si desidera visualizzare tramiidentificate da caratteri

Via Corio

Via Fiano

1. Posizionarsi al centro della piazza ISTRUZIONI PER L’ USO

Via Rocchetto

Istruzioni per l’uso

Via Nicola Fabrizi

te l’app AR-Media

5. “Aumentare” la realtà non è mai stato così semplice

3. Ora inizia a comporre la tua piazza

Via Buronzo

Via Nazzaro

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Via Rosta

tuate, nei punti esatti in cui gli elementi architettonici

sononella desiderati, disegnando gli ingombri carat4. Riportare planimetria quieai relativi sinistra teri alfanumerici. le scelte effettuate, nei punti esatti in cui gli elementi architettonici sono desiderati, disegnando gli ingombri e i relativi caratteri alfanumerici

Via Digione

6. Riportare nella planimetria qui a destra le scelte effet-

O


5a

4a

6a

Gradonata

Rampa Semplice

4b

4c

Rampa Doppia

Rampa Composta

5b

Memoriale

5c

Gradonata a pedata lunga

Gradonata ad alzata alta

7a

8a

Padiglione Coperto

Recinto Semplice

7b Padiglione Scoperto

6b

6c

Memoriale Diffuso Memoriale Puntuale

9a

Giardino Regolare

9b

Giardino Irregolare

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4. Workshop:2^ fase Sulla base delle scelte effettuate dai cittadini durante la prima fase, nella seconda fase di workshop ognuno di loro ha visualizzato le figure urbane scelte nella propria composizione architettonica della piazza: gli oggetti virtuali, precedentemente modellati, caricati sull’applicazione e geo-localizzati in piazza, si sono sovrapposti alla scena reale inquadrata dallo schermo di un i-Pad aggiungendo nuove informazioni allo spazio. La realtà è stata “aumentata” grazie a nuovi layers virtuali che hanno permesso a esperti e non esperti, nello stesso istante, la valutazione dell’impatto delle soluzioni proposte dai cittadini stessi in un ipotetico intervento di trasformazione della piazza.

Dallo spazio virtuale allo spazio aumentato

Visualizzazione degli oggetti in realtà aumentata in piazza con i cittadini

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4. Workshop:2^ fase

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5. Metaprogetto Anna

- 38 anni - psicologa del lavoro - mamma di tre bambini

Pau

- 35 anni - impiegato amministrativo - associazionismo

Gianvito

- 31 anni - art director/consigliere circoscrizionale - organizzatore eventi

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Giulia

- 28 anni - architetto paesaggista - associazionismo

Claudio

- 27 anni - barista - amante del verde

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5. Metaprogetto Raccolti i feedback di queste due giornate di workshop, sono state analizzate nel dettaglio le singole proposte cittadine. Ognuna di queste è stata rielaborata graficamente, trasponendo le planimetrie in assonometrie per avere una visione d’insieme degli elementi, posizionati dai partecipanti al workshop cittadino, in tre dimensioni. Successivamente, confrontando tra loro le proposte, si è cercato di capire quanti e quali elementi architettonici fossero stati scelti da più persone, quali fossero quelli comuni a tutti i progetti o a più di uno. Sulla base di queste analisi e delle richieste dirette espresse dalla comunità, è stata definita una nuova assonometria, una prima proposta metaprogettuale.

Tettoia su edifici Anna Paulo Giulia Claudio Portico Semplice Paulo Claudio Memoriale Paulo

Recinto Semplice Anna Paulo Giulia Claudio Giardino Regolare Anna Gianvito Giulia Padiglione Coperto Anna Gianvito Giulia

Assonometria metaprogettuale

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Gradonata Paulo Giulia Claudio


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6. Proposta Progettuale Sulla base di tutto questo è stato sviluppato il progetto di trasformazione di Piazza Risorgimento che: - tiene conto del metaprogetto globale come risultato dell’approccio progettuale integrato tra i cittadini e gli esperti; - cerca di raggiungere gli obiettivi posti a seguito dell’analisi del quartiere e dello spazio occupato dalla piazza, quali connettere, sviluppare, vivere, ricordare, innovare, attraverso una serie di strumenti quali (rispettivamente) l’estensione del perimetro della piazza, nuovi percorsi di connessione con la borgata ottocentesca, la valorizzazione del rifugio antiaereo sottostante, la divisione della piazza in due spazi (uno da percorrere, attraversare, l’altro in cui fermarsi e sostare). L’ultimo obiettivo, innovare (raggiunto completamente solo dopo la terza fase di workshop cittadino) è stato, in parte, conseguito grazie alle prime due fasi di workshop, sperimentando un diverso processo progettuale tramite la partecipazione della comunità, grazie all’uso di nuovi strumenti.

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Ortofoto

Proposta Progettuale

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6. Proposta Progettuale Stato di fatto

Nuove connessioni longitudinali

Nuova piazza commerciale

Nuovi spazi dello stare e dell’andare

L’asse della memoria

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Planimetria

Scala 1:500

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6. Proposta Progettuale Percorsi al riparo

Aree espositive

Aree per esibizioni pubbliche

Flussi pedonali

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Pianta Piano Terra Scala 1:500

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6. Proposta Progettuale

Promenade del relax

Sezione AA Scala 1:500

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Padiglione della memoria

Spazio di relazione Area esibizioni Memoriale evocativo


A

Bus stop

Promenade porticata

Accesso privato parcheggio interrato

Area commerciale/ espositiva

A

Promenade Commerciale

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6. Proposta Progettuale

Promenade commerciale

Sezione BB Scala 1:500

428

Area commerciale/ espositiva

Accesso pedonale privato parcheggio interrato

Accesso carrabile parcheggio interrato

Muri mobili


B

Accesso carrabile parcheggio interrato

Area gioco/relax/svago

B

Giardini pertinenza residenze

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6. Proposta Progettuale

Corsia viabilitĂ Rampa veicolare di rallentata accesso

Sezione CC Scala 1:500

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Parcheggio interrato privato

Rifugio


C

C

antiaereo (-12m)

Parcheggio interrato privato

Bus Corsia veicostop lare a doppio senso di marcia

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6. Proposta Progettuale

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1

2

3

4

5

6


6

3

1

2 5 4

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7. Workshop:3^ fase La fase conclusiva di questo percorso progettuale è stata una terza giornata di sperimentazione a cielo aperto, sul sito di progetto, con gli stessi cittadini che hanno partecipato alle precedenti fasi di workshop. È stata presentata loro la proposta progettuale, elaborata a partire dai loro metaprogetti, sia attraverso elaborati cartacei (piante, sezioni, prospetti, concept, viste assonometriche) sia tramite nuovi strumenti di visualizzazione. Utilizzando i cardboard (specifici visori che consentono un’immersione totale in una realtà virtuale) per la visualizzazione di viste di progetto a 360 gradi e animazioni tridimensionali, i non esperti hanno avuto la sensazione di essere immersi nella nuova piazza proposta, comprendendone a pieno la possibile trasformazione in tutti i suoi aspetti: spaziali, funzionali, qualitativi, percettivi, dimensionali.

Dallo spazio fisico allo spazio virtuale Visualizzazione della proposta progettuale in realtà virtuale in piazza con i cittadini

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7. Workshop:3^ fase

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Bibliografia di riferimento

La natura dello spazio urbano Per indagare il concetto di spazio urbano è stato utile allargare lo sguardo ad una scala più vasta e partire dal progetto di suolo , un concetto introdotto da B. SECCHI (Il progetto di suolo , in “Casabella”,n° 520-521, 1986) come il progetto del vuoto che definisce le articolazioni tra gli spazi e tra le parti della città, come fosse un legante. A questo proposito ribadisce il valore acquisito da un progetto di suolo se parte di un più ampio progetto sociale che abbia l’obiettivo di pensare a spazi aperti, pubblici, collettivi (B. Secchi, Un progetto per l’urbanistica, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1989). Questo lavoro di ricerca si vuole però occupare del progetto urbano come di ciò che secondo M. CARMONA (The Place-shaping Continuum: A Theory of Urban Design Process, in “Journal of Urban Design”, vol. 19, 2-36, London, 2014) è Il progetto di spazi per le persone, è capire come i luoghi, i processi, possono relazionarsi l’uno all’altro, come un processo progettuale può diventare una forma di “Place-Shaping Continuum”. L’interesse è rivolto verso lo spazio “pubblico” nel senso di uso, non di regime dei suoli, non al suo carattere giuridico, come specifica il filosofo N. BOBBIO (Stato,governo,società. Frammenti di un dizionario politico, Einaudi, Torino, 1985) quando, tra le varie nozioni presentate, vi è quella secondo cui dividere lo spazio tra pubblico e privato significa dividere la società in due sfere. Tuttavia risulta semplice fare confusione tra termini all’apparenza simili; per questo si è cercato di chiarire quali sono le possibili accezioni di “spazio pubblico”. Parlando de Il disegno degli spazi aperti, V. GREGOTTI (in “Casabella”, n° 597/598, 1993) cerca di chiarire cosa è, in che modo si relaziona al progetto di suolo di cui parla B. SECCHI, qual è la differenza (se c’è) con lo spazio “pubblico” e in che modo tale disegno ha guadagnato importanza nella progettazione degli spazi contemporanei. Secondo G. MAZZANTI ( Lo spazio pubblico come luogo collettivo, in “Lotus”, n°153, 2014) è la collettività a rappresentare un fattore di trasformazione nella costruzione della città perchè promuove lo sviluppo e la nascita di spazi in cui si possono generare esperienze formative; secondo P. GABELLINI (Tecniche urbanistiche, Carocci, Roma, 2001) lo spazio collettivo è, lungo un asse di specificazione che va dal generale al particolare, il primo dei termini che indica una diversa accezione di


spazio vuoto, a cui seguono pubblico-aperto-centralità; allo stesso modo anche M. CERASI ( Lo spazio collettivo della città- Costruzione e dissoluzione del sistema pubblico nell’architettura della città moderna, Mazzotta, Milano, 1976), molti anni prima, definisce lo spazio collettivo come luogo di vita collettiva e comunitaria, tale per forme d’uso e non per morfologia e caratteri altri. Secondo C. BIANCHETTI, A. SAMPIERI (Spazi della condivisione, in “Mulino”, n°4, 2014) altre forme collettive segnano il vivere contemporaneo, forme di associazionismo contro l’individualismo che vogliono condividere qualcosa nei territori della condivisione. All’interno della “Carta dello Spazio Pubblico” (II Biennale dello Spazio Pubblico, Roma, 2013, <http://www.inu.it/wp-content/uploads/CARTA_SPAZIO_PUBBLICO. pdf> ) si cerca di dare definizioni allo spazio pubblico e di capire in che modo questo potrebbe essere considerato un bene comune, sia dal punto di vista della collettività , così come inteso da M. HARDT, A. NEGRI (Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli, Milano, 2010), quindi come l’ insieme di conoscenze, linguaggi, patrimoni, sia dal punto di vista del progetto. Secondo P. INGHILLERI (Verso un’architettura dei beni comuni e dell’identità, in “Lotus”, n°153, 2014) l’architettura è in grado di favorire la nascita di una nuova cittadinanza attenta ai beni comuni, in quanto risorse a disposizione e appartenenti a tutti. Si vuole sottolineare la dimensione sociale della pianificazione, riconoscendo lo spazio pubblico come una palestra di democrazia in cui, secondo E. PIRODDI (Le regole della ricomposizione urbana, FrancoAngeli, Roma, 2000) sviluppare un sentimento di appartenenza ad un luogo per esercitare i propri diritti. A questo proposito C. BIANCHETTI (Un’architettura sfumata, Recensione online del libro <C. AYMONINO, V.P. FOSCO, Spazi Pubblici Contemporanei.Architettura a volume zero, Skira, Milano, 2006> per la rivista Domus, www. domusweb.it, 2006) crede nello spazio pubblico contemporaneo come a ciò che può restituire a una società individualista e consumista, la collettività, la relazione sociale, l’esperienza di cultura e civiltà.


Bibliografia di riferimento

L’ abaco dello spazio urbano Definire un’abaco di elementi che compongono lo spazio urbano significa capire cosa caratterizza le città che abitiamo e quali sono le modalità attraverso cui costruirne nuove. V. GREGOTTI in “Architettura e postmetropoli” (Einaudi, Torino, 2011), sostiene l’idea che la città sia una narrazione storica grazie alla giustapposizione di figure urbane insediatesi in diverse epoche; A. AYMONINO e V.P. FOSCO in “Spazi Pubblici Contemporanei.Architettura a volume zero (Skira, Milano, 2006) presentano nuovi fenomeni architettonico-spaziali che, pur senza un volume, danno carattere e forma ad uno spazio. Ai nuovi fenomeni, però, si affiancano anche quelli più consolidati, famiglie tipologiche urbane che da sempre configurano uno spazio aperto. Da C. SITTE ( L’arte di costruire le città : l’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, a cura di Daniel Wieczórek, Jaca Book, Milano, 1981) che, attraverso svariati esempi di città europee, di strutture urbane, strade, piazze e luoghi pubblici, evidenzia l’importanza di una buona progettazione dei luoghi di vita collettiva e comunitaria delle città storiche, a K. LYNCH (L’immagine della città, Marsiglio Editore, Venezia, 1969) che cerca di individuare una metodologia moderna per il disgno della città a partire dalla sua immagine, da ciò che si vede quando la si osserva, in quanto sequenza di elementi- tipo che, relazionati l’uno all’altro, danno un senso

all’insieme. Anche B. KRIER (Lo Spazio della città, Clup, Milano, 1975) nel il concetto di spazio urbano, presenta le tipologie di spazi che caratterizzano una città attraverso schizzi ed esempi significativi che possano aiutare nella lettura e nel progetto di uno spazio “pubblico”, carattere (a suo parere) perduto. La stessa visione nostalgica è quella che anima Costruire le città di M. ROMANO (Skira, Milano, 2004) che, come V. GREGOTTI, crede in una storia delle città come successione di eventi e azioni antropologiche, tutte riconducibili a forme originarie e persistenti in tutti i secoli; lo spazio urbano si configura come una successione di tanti “temi collettivi” caratterizzati da costanti regole grammaticali che consentono l’identificazione di categorie tipologiche della città. Anche F. MANCUSO (La piazza nella città europea: luoghi, paradigmi, buone pratiche di progettazione, Il Poligrafo, Padova, 2012), indagando le esperienze più significative europee di rivitalizzazione delle piazze, cerca di definire le buone pratiche della progettazione urbana attraverso ca-


tegorie non di tipologie urbane ma di macrotemi che analizzano la forma, il valore, i caratteri peculiari dello spazio pubblico. Al contrario M. TRISCIUOGLIO in Scatola di Montaggio (Carocci, Roma, 2008) presenta gli elementi architettonici che caratterizzano il costruito come elementi archetipi compositivi, così come in questo lavoro di ricerca si analizza lo spazio urbano, non costruito, per individuare le figure urbane che lo caratterizzano, definendone un abaco.

Verso nuovi strumenti di visualizzazione L’idea di creare nuovi strumenti di visualizzazione deriva dalla volontà di riformulare il processo progettuale di uno spazio urbano grazie alla creazione di ambienti virtuali che permettono una maggiore interazione e connessione tra cittadino e luogo; il capofila di questi studi può essere individuato in W. J. MITCHELL, visionario architetto del MIT, che già a partire dalla fine del XX secolo inizia a teorizzare, nei testi City of Bits: Space, Place, and the Infobahn (MIT press, Cambridge, 1996) e High Technology and Low-Income Communities (MIT press, Cambridge, 1998), i concetti base per la ridefinizione del rapporto tra spazio urbano e nuovi sistemi tecnologici. Il nuovo rapporto tra spazio materiale ed immateriale viene successivamente studiato ed approfondito da S. MCQUIRE in The Politics of Public Space in the Media City (2006), mentre è grazie a L. MANOVICH, con The poetics of augmented space (2002), testo incentrato sulle arti visive ed i nuovi rapporti tra il digitale e l’uomo, che si inizia a parlare di una convergenza tra i due spazi, materiale ed immateriale, in uno nuovo, definito aumentato. Proprio in virtù di questi nuovi spazi secondo R. LOZANO-HEMMER nascono nuove possibilità di generare architettura, definita come architettura relazionale, basata non solo sulla forma ma anche sull’uso di nuovi sistemi tecnologici per connettere in maniera sempre più completa gli utenti agli spazi. La concezione della metodologia BIM e delle sue potenzialità di applicazione è affrontata da A. OSELLO, Il futuro del disegno con il BIM per ingegneri e architetti ( D.Flaccovio, Palermo, 2012), mentre approfondimenti sulla realtà aumentata e sul-


Bibliografia di riferimento

la realtà virtuale sono argomentati nella tesi di Dottorato in Innovazione Tecnologica per l’Ambiente Costruito XXVI ciclo di D. DALMASSO, Il Building Information Modelling e nuovi campi di applicazione , e da P. WEIBEL e G. FLACHBART in Disappearing Architecture (Birkhäuser, Basilea, 2005).

Ripensare il progetto dello spazio urbano Per indagare il concetto di architettura corale, un’architettura della partecipazione e della condivisione è utile partire dagli studi di P. GEDDES e dal suo testo Cities in Evolution edito nel 1915, che può essere considerato tra i testi fondanti di questa nuova pratica progettuale. Successivamente sarà G. DE CARLO a riprendere l’argomento della progettazione partecipata come proprio oggetto di studio e ricerca, con i numerosi scritti degli anni ‘70 riproposti da S. MARINI in L’architettura della partecipazione (Quodlibet, Macerata, 2015). La rielaborazione di S. MARINI testimonia l’attualità del tema della partecipazione, affrontato anche da D. CIAFFI, A. MELA in Urbanistica Partecipata, modelli ed esperienze (Carocci editore, Roma, 2011) e dai numerosi contributi teorici di C. RATTI tra i quali Architettura Open Source, Verso una progettazione aperta (Einaudi editore, Torino, 2014), Ecco che a progettare la città arriva l’architetto corale (articolo online, La repubblica, 20/03/2016) e Archistar addio: quando progettare diventa un’attività “corale” grazie al web (articolo online, Il fatto quotidiano, 08/12/2015).



Bibliografia

Testi Anselmi Alessandro, Piazze e Spazi Urbani, Jaka, Milano, 1999 Aymonino A., Mosco V. P ., Spazi Pubblici Contemporanei.Architettura a volume zero, Skira, Milano, 2006 Augè Marc, Non-lieux, 1992, trad. it. di Rolland D., Nonluoghi. Introduzione a un’antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2005 Bobbio Norberto, Stato,governo,società. Frammenti di un dizionario politico, Einaudi, Torino, 1985 Boschi A.,Bonacci A., Huet B., Questione di forma urbana: la composizione dello spazio pubblico nel rinnovo della città, Alinea, Firenze, 1999 Cerasi Maurice, Lo spazio collettivo della città- Costruzione e dissoluzione del sistema pubblico nell’architettura della città moderna, Mazzotta, Milano, 1976 Ciaffi D., Mela A., Urbanistica partecipata: modelli ed esperienze, Carocci, Roma, 2011 Ciaffi D., Mela A., La partecipazione: dimensioni, spazi, strumenti, Carocci, Roma, 2006 Cicalò Enrico, Spazi pubblici: progettare la dimensione pubblica della città contemporanea, FrancoAngeli, Milano, 2009 Cortesi Isotta, Il progetto del vuoto : public space in motion 2000-2004, Alinea, Firenze, 2004 Crotti Sergio, Figure architettoniche: Soglia, Unicopli, Milano, 2000


De Carlo Giancarlo, L’architettura della partecipazione, a cura di Sara Monaci, Quodlibet, Macerata, 2013 De Carlo Giancarlo, Questioni di architettura e urbanistica, a cura di Paolo Ceccarelli, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2008 Dell’Osso Riccardo, Spazi pubblici contemporanei, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna, 2014 Falco Luigi, Gli standard urbanistici, Edizioni delle Autonomie, Roma, 1978 Gabellini Patrizia, Tecniche urbanistiche, Carocci, Roma, 2001 Gregotti Vittorio, Architettura e postmetropoli, Einaudi, Torino, 2011 Hardt Michael, Negri Antonio, Comune. Oltre il privato e il pubblico, Rizzoli,Milano, 2010 Krier Rob, Lo Spazio della città, Clup, Milano, 1975 Lynch Kevin, L’immagine della città, Marsiglio Editore, Venezia, 1969 Mancuso Franco, La piazza nella città europea: luoghi, paradigmi, buone pratiche di progettazione, Il Poligrafo, Padova, 2012 McQuire Scott, The politics of public space in the media city, 2006 Mitchell William J., High technology and Low-Income Communities, MIT press, Cambridge, 1998


Bibliografia

Osello Anna, Il futuro del disegno con il BIM per ingegneri e architetti, Dario Flaccovio, Palermo, 2012 Piroddi Elio, Le regole della ricomposizione urbana, FrancoAngeli, Roma, 2000 Ratti Carlo, Architettura Open Source, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2014 Romano Marco, Costruire le città, Skira, Milano, 2004 Romano Marco, La piazza europea, Marsilio, Venezia, 2015 Secchi Bernardo, Un Progetto per l’urbanistica, Piccola Biblioteca Einaudi, Torino, 1989 Sitte Camillo, L’arte di costruire le città : l’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, a cura di Daniel Wieczórek, Jaca Book, Milano, 1981 Trisciuoglio Marco, Scatola di montaggio, Carocci, Roma, 2008

Articoli su rivista Aravana Alejandro, Prove d’architettura partecipata, in “Il Sole 24 Ore”, n° 542, 2016 Bianchetti Cristina, Un’architettura sfumata, Recensione online per la rivista Domus, www.domusweb.it, 2006 Bianchetti Cristina, Sampieri Angelo, Spazi della condivisione, in “Mulino”, n°4, MESE, 2014, PP. Carmona Matthew, The Place-shaping Continuum: A Theory of Urban Design Process, in “Journal of Urban Design”, vol. 19, 2-36, London, 2014


De Carlo Giancarlo, Corpo memoria e fiasco, in “Spazio e società”, n°4, 1978 Floridi Luciano, Il digitale è partecipazione, in “Il Sole 24 Ore”, n° 538, 2014 Gregotti Vittorio, Il disegno degli spazi aperti, in “Casabella”, n° 597/598, 1993 Inghilleri Paolo, Verso un’architettura dei beni comuni e dell’identità, in “Lotus”, n°153, 2014 Mazzanti Giancarlo, Lo spazio pubblico come luogo collettivo, in “Lotus”, n°153, 2014 Monti Guglielmo, Passerelle Pedonali, in “Convegno Footbridge”, Venezia, 2005 Mora L., Bolici R., Top-down o bottom-up?, in “Città e Territorio”, 2014 Secchi Bernardo, Progetto di suolo, in “Casabella”,n° 520-521, 1986 Schumacher Patrik, La città parametrica, Abitare, n° 511, 2011 Treu Marina Cristina, Il bordo e il margine componenti dello spazio pubblico urbano, in “Territorio”, n°28, 2004


Sitografia

Sitografia Bandiera Rudy, Che cos’è il web 3.0?, 03/01/2014, Blog Rudy Bandiera, <http:// www.rudybandiera.com/web-3-0103.html> Biennale dello Spazio Pubblico (2013), “Carta dello Spazio Pubblico”, II Biennale dello Spazio Pubblico, Roma, 2013, <http://www.inu.it/wp-content/uploads/CARTA_SPAZIO_PUBBLICO.pdf> Bossi Laura, Le molte vie di David Chipperfield, Domusweb, 07/05/2012, <http:// www.domusweb.it/it/architettura/2012/05/17/le-molte-vie-di-david-chipperfield.html> Chipperfield David, Common Ground, La Biennale, Archivio, Architettura, 2012, <http://www.labiennale.org/it/architettura/archivio/mostra-13/chipperfield/> Deugenio Simone, Progettazione partecipata dello spazio pubblico, Arketipo Magazine, 13/05/2011, <http://www.arketipomagazine.it/it/progettazione-partecipata-dello-spazio-pubblico/> Giufrè Maurizio, L’Architetto?Meglio corale, Quotidiano Comunista Il Manifesto, 09/12/2014, <http://ilmanifesto.info/larchitetto-meglio-corale/> Iasparra Giuseppe, Torino, Borgo Campidoglio punta ad essere un pezzo di “smart city”, Eco dalle Città, 29/09/2011, <http://www.ecodallecittà.it/notizie/108484/ torino-borgo-campidoglio-punta-ad-essere-un-pezzo-di-smart-city/> Lazzarin Giacomo, Dal web 2.0 al web 3.0 .Ma cos’è?, 13/07/2014, <http://www. mezzo-pieno.it/comunicazione-scritta/dal-web-2-0-al-web-3-0-ma-cose.html> Ratti Carlo, Ecco che a progettare la città arriva l’architetto corale, La Repubblica, 20/03/2016, < http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016-


03/20/ecco-che-a-progettare-la-citta-arriva-larchitetto-corale44.html> Ratti Carlo, Archistar addio”: quando progettare diventa un’attività “corale” grazie al web, in “Il fatto Quotidiano” di Davide Turrini, 08/02/2015, <http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/08/archistar-addio-quando-progettare-diventa-corale-grazie-allinterazione-web/1322796/> Ripamonti Valentina, Tra le architettura di Luis Barragan a Città del Messico, in “The Italian Magazine”, 15/02/2016, <http://www.theitalianmagazine.com/luis-barragan-a-citta-del-messico/2> Servadio Leonardo, Intervista. Carlo Ratti: se l’architettura diventa corale, 19/05/2015, < https://www.avvenire.it/agora/pagine/corale-> Rifugio antiaereo di Piazza Risorgimento, <http://www.museotorino.it/view/s/ a1503f78a84740e78412fefeed6fa74d> Il rifugio antiaereo di Piazza Risorgimento, <http://www.museoarteurbana.it/ il-rifugio-antiaereo-di-piazza-risorgimento-torino/>


Info Matteo Emil Valente | matteo.valente@libero.it +39 3479983368 Carlotta Valentino | carlotta.valentino@libero.it +39 3893414892


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