CORPO CIRCUITO

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Jacopo Pagin

Kensuke Koike

Ĺ pela Volcic

Matteo Valerio

Ryts Monet

Roberta Busechian

Ana Cigon

TomaĹž Furlan



U

n circuito di segni. Superficie multiidentitaria, stratificata, soggetta ad una costante trasformazione e ad una infinità di mutazioni e possibilità. Un territorio di iscrizione di eventi, un corpo umano come circuito e costrutto culturale e sociale, un infinito divenire che è da sempre territorio di discorso e un “luogo da esplorare”, un concetto da interpretare o una realtà da rappresentare. Il concetto di corporeità in ricerca di definizione, attraverso questa mostra, non può avere un significato univoco. Nella misura in cui il corpo è da sempre stato implicato in ogni tipo di circuito sociale, e dunque profondamente inserito anche all’interno della ricerca artistica, ho cercato di unire percorsi artistici assai diversi tra di loro, per esprimere come il discorso sulla corporeità dell’uomo contemporaneo abbia un’articolazione davvero complessa e non possa comunque prescindere dalla società come evoluzione. Alla scelta di sviluppare questo tema, così complesso e vasto di interpretazioni, Michel Foucault e le sue teorie hanno contribuito in maniera non indifferente, così come la suggestione che lo stesso luogo espositivo suscitava. La scelta infatti di approfondire l’interesse verso il corpo dell’uomo inteso come costrutto sociale moderno e contemporaneo, “gettato” in una società della quale subisce l’impianto, indiscutibilmente legato alla lettura delle teorie foucaultiane, si è dunque ben conciliata con una fondamentale rivisitazione storica che ha il proprio luogo privilegiato nel Bunker, emblema tipico della condizione di uomo sottomesso alla violenza della guerra e della sua esasperata necessità di rifugio dal mondo. Le scelte curatoriali di questo percorso espositivo sono nate quindi quasi spontaneamente, come un naturale incontro di più interessi e di più esigenze, come la volontà di destinare un luogo della memoria in luogo di contemporaneità. Neppure la volontà di richiamare all’ordine artisti giovani, che stanno emergendo nella scena artistica nazionale ed internazionale, è nata per caso. Ecco che il corpo di quegli uomini diviene ancora territorio di discorso, di confronto, tramite il dialogo tra artisti che hanno una grande capacità di osservare a fondo il mondo nel quale viviamo, e indagano sul

A

circuit of signs. A multi-identitary surface, stratified, subject to continuous transformation and to an infinite mutations and possibilities. A territory of inscription of events, the human body as a circuit and as a social and cultural construction, an endless becoming which has always been a territory of discussion and a “place to explore”, a concept to intepret or a reality to represent. The concept of corporeity searching for a definition cannot have, through this exhibition, a univocal meaning. In as much as the body has always been implied in every type of social circuit, and therefore deeply inserted into artistic research, I've tried to bring together artistic pathways which are very different one from another, in order to express how the discussion on the corporeity of the contemporary man has a truly complex articulation and cannot, in any case, leave aside society as evolution. To the choice of developing a theme so complex and full of interpretations Michel Foucault and his theories have given a signicant contribution, and so has the fascination aroused by the site of the exhibition itself. In fact, the choice of thoroughly analyising the interest towards the man's body (in the meaning of a modern and contemporary social construction, “thrown” into society and undergoing its framework - an interest unquestionably related to the reading of Foucaldian theories), has combined well with the essential historical re-examination of the Bunker, a typical emblem of both the condition of the man subjugated by the violence of war and of his extreme necessity of shelter from the world. The curatorial choices of this exhibition itinerary were therefore born almost spontaneously, as a natural joining of different interests and needs, as a will of turning a place of memory into a contemporary place. The will of calling to order young artists, who are emerging onto the national and international artistic scene, was not born casually either. There, the body of those men becomes again a territory of dicussion, of confrontation, through the debate among artists who have got a great ability of deeply observing the world in which we live, and who indagate the concept of corporeity by trying to open the way to


concetto di corporeità cercando di aprire nuove interpretazioni, nuove definizioni, nuovi orizzonti, nuovi spunti e ricerche che nella loro eterogeneità offrono un quadro complesso di cosa significhi avere (o essere) un corpo nella società odierna. Il percorso espositivo proposto non si propone dunque di stabilire una definizione, né di fornire lo spettatore di un’unica visione della tematica. Cerca invece di proporre al pubblico diverse strade di interpretazione per un “circuito di discorso” di una tematica così vasta e discussa, rendendolo partecipe e consapevole della diversità delle nuove ricerche artistiche in atto nell’ambito dell’arte contemporanea internazionale, sottolineando nel contempo come il corpo diventi per l’arte un luogo da esplorare e un infinito divenire soggetto a continue scomposizioni e ricostruzioni.

new interpretations, definitions, horizons, sparks and searches which, in their heterogeneity, offer a complex picture of what having (or being) a body in modern society means. Therefore, the exhibition itinerary proposed here does not intend to establish a definition, nor to supply the viewer with a unique vision on the theme, rather, it tries to offer the public different paths of interpretation of a “circuit of discussion” on such a vast and debated theme, making them acquainted with and aware of the variety of the new artistic researches taking place in the field of international contemporary art, higlighting in the meantime how the body becomes, for art, a place to explore and an endless becoming, subject to continuous breakdown and recontruction.

“Chi altri conosce al mondo qualcosa come il corpo? È il prodotto più tardivo della nostra vecchia cultura, quello che è stato più a lungo depurato, smontato e rimontato”. Jean-Luc Nancy

“Does anyone else in the world know anything like 'the body'? It's our old culture's latest, most worked over, sifted, refined, dismantled and reconstructed product.” Jean-Luc Nancy

Carolina Ongaro

Carolina Ongaro


Nota curatoriale: Corpi esposti: scomposti, rifigurati, frammentati, riplasmati, ricostruiti, rimodellati.

Curatorial note: Exposed bodies: dismantled, re-depicted, fragmented, re-shaped, reconstructed, re-modelled.

“..da sempre il corpo è superficie di scrittura, atta a ricevere il testo visibile della legge che la società detta ai propri membri, marchiandoli (…)” Umberto Galimberti

“... the body has always been an inscribing surface, fit to receive the visible text of the law which society dictates to its members, branding them (...)” Umberto Galimberti

Avere un corpo, essere un corpo. Corporeità significa letteralmente carnalità, tangibilità, consistenza corporea, natura. La sua caratteristica primaria è il carattere di esperienza vissuta dal corpo, la sua presenza nel mondo come essere. Ma come l’arte riesce ad esprimere questo concetto di corporeità? L’arte moderna ha da sempre cercato di indagare la figura di essere umano nel mondo, andando a rappresentare corpi come quella superficie attraverso la quale la condizione vissuta venisse espressa, comunicata: corpi feriti, corpi nauseati, corpi mascherati, o corpi svelati nella loro verità e purezza. L’artista, in quanto uomo, non può mai prescindere dal corpo come teatro dell’agire, luogo in cui la profondità del sé di ognuno emerge e si manifesta, ma contemporaneamente luogo di assorbimento di tutti gli stimoli esterni che a loro volta si trasmettono a ciò che è più intimamente racchiuso. Ecco perché la figura umana ha da sempre importanza fondamentale in ogni attività artistica: il suo essere indivisibile dal sentimento la fa essere il veicolo ideale per ogni tipo di rappresentazione. Dal realismo più fedele, passando per l’espressionismo più crudo, fino ad arrivare all’arte performativa della Body Art: ciò che fa da cardine è proprio questo essere/avere un corpo. L’indagine non è quindi nuova, ma non può prescindere dal luogo espositivo stesso. Il Bunker è elemento importante all’interno dell’indagine di artisti che si confrontano sopra un’idea di corporeità soggetta a particolari condizioni storiche e sociali. Un’umanità che durante la Seconda Guerra Mondiale ha vissuto questi ambienti, cercando un modo per difendersi dagli attacchi di atroce violenza che attaccava i corpi, li colpiva, li segnava,

To have a body, to be a body. Corporeity means literally carnality, tangibility, corporeal consistency, nature. Its main feature is the character of being the experience lived by the body, its presence in the world as a being. But how is art capable of expressing this concept of corporeity? Modern art has always tried to indagate the figure of the human being in the world, representing bodies as the surface through which the experienced condition is expressed, communicated: wounded bodies, sickened bodies, disguised bodies, or bodies unveiled in their truth and purity. The artist, being a man, can never leave aside the body as the scene of the action, a place in which the depth of each one's self emerges and reveals itself, but at the same time a place which absorbs all external stimuli which, in their turn, are transmitted to what is most intimately enclosed. This is why the human figure has always had crucial importance in every artistic activity: the fact that it cannot be divided from sentiment makes it the ideal vehicle for any type of representation. From the most faitfhul realism, going through the harshest expressionism, to the performatory Body Art: the cornerstone is exactly the fact of being/having a body. The research thus is not new, but it cannot leave aside the site of the exhibtion itself. The Bunker is an important element in the research of artists who confront on an idea of corporeity subject to particular historical and social conditions. A mankind that, during World War II, has experienced these environments, searching for a way to defend itself from the assaults of a ferocious violence which attacked the bodies, hitting them, marking them, submitting them to the events and to history, and at the same time making them annul themselves inside the so-


li rendeva dei sottomessi agli eventi e alla storia, portandoli al tempo stesso ad annullarsi all’interno del corpo sociale. L’idea di Corporeità che emerge è quella di corpo che vive una particolare esperienza sulla propria superficie, quella della violenza e del potere. Corpi soggetti allora al potere delle istituzioni totali, un potere che usa la violenza come modo per lasciare il proprio marchio sull’essere umano e per annientare il singolo individuo. Le istituzioni totali sono, usando le parole di Foucault, luoghi etero topici, luoghi in cui “l’insieme delle manifestazioni vitali, organiche e psichiche di un individuo sembrano implodere in uno spazio esistenziale pienamente codificato”1. Sono luoghi attraverso i quali il potere può agire efficacemente sui corpi, sugli individui, marchiandoli e imprimendo dei segni. È una condizione umana soggetta ad un potere che dirige i corpi come marionette, come pupazzi, privandoli delle proprie libertà di azione e decisione e rendendoli dei sottomessi, dei vinti; pedine agli occhi della storia, non più di semplici oggetti. “La storia del corpo, gli storici l’hanno avviata da tempo. Hanno studiato il corpo nel campo di una demografia o di una patologia storiche; l’hanno esaminato come sede di bisogni e appetiti, (…) Ma il corpo è anche direttamente immerso in un campo politico: i rapporti di potere operano su di lui una presa immediata, l’investono, lo marchiano, lo addestrano, lo suppliziano, lo costringono a certi lavori, l’obbligano a delle cerimonie, esigono da lui dei segni. Questo investimento politico del corpo è legato, secondo relazioni complesse e reciproche, alla sua utilizzazione economica.”2 (M. Foucault) Il corpo che emerge, dalla storia come dalla realtà contemporanea, è un corpo ancora soggetto al potere dell’intero sistema culturale, che vive in funzione dei corpi, agisce direttamente sopra e dentro di essi, li manipola e li costituisce come territori da colonizzare, da incidere e da costruire. È un campo di relazioni di potere, che passa materialmente attraverso lo spessore stesso dei corpi, i quali si rivelano come veri e propri costrutti, come forme che non sono definibili indipendentemente dalla società e dalla realtà in

cial body. The idea of Corporeity that emerges is that of the body going through a particular experience on its surface, that experience being violence and power. Bodies that are thus submitted to the power of total institutions, a power which uses violence as a way to leave its brand onto the human being and to annihilate the individual. Total institutions are, in Foucault's own words, heterotopic places, places in which “the ensemble of the vital, organic and psychic expressions of an individual seem to implode in a fully codified existential space”. They are places through which power can efficiently act onto bodies, onto individuals, branding them and imprinting marks. It is a human condition submitted to a power that manipulates bodies as if they were marionettes, puppets, depriving them of their freedom of action and decision and turning them into subjugated, vanquished beings; tokens in front of history, nothing more than mere objects. “Historians long ago began to write the history of the body. They have studied the body in the field of historical demography or pathology; they have considered it as the seat of needs and appetites, (…) But the body is also directly involved in a political field; power relations have an immediate hold upon it; they invest it, mark it, train it, torture it, force it to carry out tasks, to perform ceremonies, to emit signs. This political investment of the body is bound up, in accordance with complex reciprocal relations, with its economic use.” (M. Foucault) The body which emerges, both from history and from the contemporary reality, is a body still submitted to the power of the whole cultural system, which lives as a function of bodies, acting directly onto and into them, manpulating them and establishing them as territories to colonize, to carve into and to build onto. It's a field of power relations, which physically goes itself through the thickness of bodies, bodies which reveal themselves as actual constructions, shapes, that cannot be defined aside from the society and nature in which they live. The cultural system as a “production of knowledge” deeply controls bodies, operating onto them through actual force relations, which always imply power relations. Again Foucault, who talks about “bio-po-


cui si trovano a vivere. Il sistema culturale come “produzione di saperi” disciplina in profondità i corpi, intervenendo in essi attraverso veri e propri rapporti di forza che implicano sempre una relazione di potere. Ancora Foucault, che parla di bio-potere, un potere somatico: la cultura razionalizza i corpi, il che significa utilizzarli, servirsi di essi, disciplinarli. Si tratta di quei micro poteri in atto a livello del quotidiano, ovvero degli effetti che il potere genera nella società nelle forme della cultura e del sapere. E proprio l’uomo, dentro il circolo di scienza e potere, non è padrone assoluto di sé, signore della storia di cui crede di conoscere inizio e fine; non è soggetto trascendentale e razionale, ma è oggetto, prodotto attraverso relazioni di potere e pratiche disciplinari ed istituzionali, che gli fissano una, molteplici identità. La corporeità come campo di relazione e di espressione è quindi intrisa di norme, costrizioni, saperi. E il corpo diventa un limite, una facciata che tutto deve sopportare; gli uomini della società odierna, formata dalla cultura dei mass media e da un potere impersonale ed onnipresente che opera tramite meccanismi anonimi, vivono di per se stessi nei propri bunker, profondamente inseriti in un ambiente culturale che standardizza gli individui e le menti, rendendo le relazioni sociali ancora più complicate, sempre più dure da concretizzarsi, e portando l’individuo stesso a crearsi il proprio luogo sicuro e protetto. “Il corpo umano è diventato il luogo nel quale vengono riflessi tutti gli sconvolgimenti che la mente e la psiche sono costretti a sopportare, e il corpo è colonizzato, occupato, privato del suo proprio potere”3. Così scrive Francesca Alfano Miglietti, che del corpo nell’arte ha fatto un verso e proprio percorso critico e di ricerca. Sono quelli presentati, corpi intrisi di significati, di simboli, di istinti di ribellione, di apatia più totale, di incapacità di agire e di emergere diverso; un corpo come prodotto globale che ha perso la propria individualità finendo ad essere uno tra tanti, indossando la maschera delle convenzioni sociali per non sentirsi diverso, per non soffrire di più. A partire da questa idea di corporeità, l’arte permette di prendere atto di un corpo usato, violentato, segnato, e andare oltre. L’arte può

wer”, a somatic power: culture rationalises bodies, which means to utilize, to use, to regulate them. It's about those micro-powers that act on the daily level, that is, the effects that power creates inside society in the forms of culture and knowledge. And the man himself, in the scientific and political circle, is not an absolute master of himself nor of history, whose beginning and end he believes to know; he is not a trascendental and rational subject, but he is an object, produced through power relations and disciplinary and institutional practices that set him with numerous identities. Therefore, corporeity as a field of relations and expressions is steeped in rules, laws, constrictions, knowledge. And the body becomes a limit, a façade which has to endure everything; the man of modern society, shaped by the mass-media culture and by an impersonal and omnipresent power that operates via anonymous means, lives in his own bunker, deeply inserted in a cultural environment which standardizes individuals and minds, making social relations even more complicated and harder to become concrete, leading the individual himself to create his own safe and sheltered place. “The human body has become the place in which there are reflected all the upsettings that the mind and psyche are forced to endure, and the body is colonized, occupied, deprived of its own power”. So writes Francesca Alfano Miglietti, whose critical pathway of research is exactly on the body inside art. Those presented here are bodies filled with meanings, symbols, rebellion instincts, with complete apathy and inability to act and emerge as something different; a body as a global product which has lost its individuality, ending up to simply be one of the many, wearing the mask of social conventions in order not to feel different or suffer. Starting from this idea of corporeity, art allows one to take note of a body which is used, violated, marked, and to go beyond it. Art is able to represent a corporeity which tries to free itself from the weight of rules and constrictions, of power and violence, in order to retrieve its own nature. Recalling Deleuze's answer to Foucault's profound submission of the individual to society, artists imagine the body as a territory fighting against restrictions and po-


rappresentare una corporeità che tenta di liberarsi di pesi di norme e costrizioni, di poteri e di violenza, per andare a recuperare una certa propria natura. Riprendendo la risposta di Deleuze alla profonda sottomissione dell’individuo alla società di Foucault, gli artisti immaginano il corpo come quel territorio che lotta contro le restrizioni, contro il potere, cerca di liberarsi dalle catene che fissano la propria identità, dalla gabbia in cui la società l’ha perfettamente rinchiuso. Il “Corpo senza organi” di Deleuze è proprio quel corpo che si libera da questi schemi sociali e dai poteri dominanti e che sperimenta finalmente su se stesso le proprie volontà e i propri flussi, vivendo della propria natura, dei propri istinti e desideri. È qui che gli artisti possono intervenire, dimostrando lo sdegno dell’uomo, la sua incapacità di vivere così e la sua volontà di reagire e andare contro. L’arte, attraverso media diversi, diventa quel luogo dove gli uomini immaginano di liberare se stessi dalla gabbia in cui sono stati rinchiusi e si riappropriano dei propri corpi, diventando di nuovo se stessi, recuperando il rapporto con la propria sessualità, con le proprie passioni, con i propri istinti, con la propria natura. Consapevoli di ciò che il corpo è diventato nella società del consumismo, si allontanano da un tipico atteggiamento di denuncia per rappresentare corpi multiformi, corpi che si incontrano e si scontrano; figure frammentate, legate ai propri sogni, ai propri istinti. La profondità nello sguardo degli otto artisti presentati in mostra rivela tutta la loro capacità di comprendere appieno i fenomeni della nostra realtà contemporanea, proponendo di contro del colore e dell’ironia, ricerca, libertà. Considerando questo, appare chiaro il perché si vuole unire più percorsi accomunati da questo fulcro: come un faro il corpo è guida nella ricerca di senso, nell’abbandono al piacere, nel riconoscimento della paura, nel vivere quotidiano. In questa luce indugiamo tutti, nelle mani degli artisti é ciò che può far luce sull’origine di questa luce, mostrarne i perché, sviscerarne le armonie, evidenziarne i contrasti, svuotarla di ogni senso.

wer, trying to free itself from the chains that keep it fixed to its identity, from the cage in which society has enclosed it. Deleuze's “Body without organs” is exactly that body, which frees itself from social schemes and dominating powers and which finally experiences its own wills and fluxes, living of its own nature, of its own instincts and wishes. This is where artists are able to intervene, showing the man's indignation, his incapability of living the way he does and his will of reacting and going against things. Art, through different medias, becomes the place where men imagine to free themselves from the cage in which they have been enclosed and retake possession of their body, becoming themselves again, retrieving the relation with their sexuality, with their passions, with their instincts, with their nature. Being aware of what the body has become in the society of consumerism, artists move away from the typical attitude of condemnation in order to represent multishaped bodies, bodies that meet and clash; fragmented figures, related to their own dreams and instincts, They answer with consciousness and irony, with a clear view of things and with spontaneity. The depth of the look of the eight artists presented at this exhibition reveals their ability to fully understand the phenomenons that characterize contemporary reality, proposing in opposition to them colour and irony, research, freedom. Considering this, it is clear why different pathways, having in common this keypoint, are brought together: like a guiding light, the body is a guide in the search for a meaning, in the abandon to pleasure, in recognizing fear, in everyday living. We all indulge in this light, and artists hold in their hands what can reveal the origing of this light, show its reasons, deeply analyse its harmonies, highlight its contrasts, deprive it of any sense.

M.Foucault, Poteri e Strategie – l’elemento sfuggente, a cura di P. dalla Vigna, op.cit. p.9: Foucault nel testo delinea quelle strutture istituzionali che circondano il corpo da ogni parte . L’ “eterotopia” di cui conia il termine fa riferimento a «quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano». Sono “luoghi non-luoghi” o “spazi altri”: spazi privilegiati, sacri dove il tempo assume connotazioni diverse. In “poteri e strategie” Foucault presenta il sistema carcerario come tipico esempio di luogo eterotopico. 2 Michel Foucault, Sorvegliare e punire, 1976 e 1993, Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino. Foucault parla di microfisica del potere delle istituzioni sugli uomini come esseri sociali: il corpo rappresenta una forza lavoro e dunque è forza utile “il corpo diviene forza utile solo quando è contemporaneamente corpo produttivo e corpo assoggettato. Questo assoggettamento non è ottenuto coi soli strumenti sia della violenza che dell'ideologia; esso può assai bene essere diretto, fisico, giocare della forza contro la forza, fissarsi su elementi materiali, e tuttavia non esser violento; può essere calcolato, organizzato, indirizzato tecnicamente, può essere sottile, non fare uso né di armi né del terrore, e tuttavia rimanere di ordine fisico”. 3 Francesca Alfano Miglietti, Nessun tempo nessun corpo, 2002, Skira Editore. 1



Nasce a Vicenza nel 1989. Laureatosi nel Febbraio 2013 in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dipinge però da sempre. Espone in personali fra Venezia, Vicenza, Milano e Torino. Jacopo si esprime con la pittura, la calcografia, il disegno, la fotografia. Le immagini che produce sono spesso considerate critiche e ambigue, da una società della quale egli stesso vuole rappresentare le pulsioni, gli aspetti più intimi e racchiusi, irritanti o surreali per stimolare psichicamente l’osservatore sollecitando dubbi e riflessioni su questioni e temi quotidiani non sempre accettati.

He was born in Vicenza on December 25, 1989. He graduated in February, 2013 in Painting at the Academy of Fine Arts in Venice, but has always painted. He has exhibited in solo shows in Venice, Vicenza, Milan and Turin. Jacopo expresses himself through painting, copperplate engraving and photography. The images he produces are often considered critical and ambiguous by the society of which he wants to represent the pulsions, the most intimate and enclosed, irritating or surreal aspects in order to psychically stimulate the viewer, raising doubts and reflections on daily matters and themes which are not always accepted.

“Corpo sono io in tutte e per tutto, e null’altro; e anima non è altro che una parola per indicare qualcosa del corpo”. Così Nietzsche parla della sua nozione di corporeità che oltrepassa la “follia del corpo” di Platone e la “maledizione della carne” della religione biblica. Il primato del corpo nel soggetto ha assunto una dimensione importante all’interno della nostra società. Come la vedi tu, in quanto artista, si tratta di essere un corpo o avere un corpo? Noi siamo un corpo fatto di carne, ma “l’idea di corpo” spesso non combacia con questa realtà. Nessuno può avere un’idea precisa del proprio corpo in quanto lo vive da dentro. Il corpo si lascia interpretare come oggetto solo dall’altro, cioè colui che lo può cogliere esternamente. Il linguaggio parlato dal corpo è immediato, è con la presenza fisica del nostro proprio corpo che possiamo comunicare il messaggio più grande: la nostra presenza. Siamo sempre stati ossessionati dal corpo in un modo o nell’altro. Oggi ci stiamo liberando dalle folli restrizioni religiose riappropriandoci della carne. Questo porterebbe a farci rendere più conto di noi stessi anche se questo sembra ancora molto complicato

“Body am I entirely, and nothing more; and soul is only the name of something about the body.”: so Nietzche defines his notion of corporeity, which goes beyond Plato's “madness of the body” and the “damnation of the flesh” of the Biblical Religion. The supremacy of the body of the subject has gained an important role in this society of ours. What is your point of view, as an artist, is it about being a body or having a body? We are a body made of flesh, but the “idea of body” often doesn't coincide with this fact. No one can have a precise idea of their body, as they live it from the inside. The body can be interpreted as an object only by another subject, someone who can understand it from the outside. The language spoken by the body is immediate, it is through the physical presece of our own body that we can convey the greatest message: our presence. We've always been obsessed with the body, in a way or another. Nowadays we are freeing ourselves from crazy, religious constrictions, regaining possession of the flesh. This should lead us to gain more consciousness of ourselves, although it still seems very complicated.

Come affronti la pittura, pensi di doverla utilizzare in qualche modo per veicolare agli spettatori un messaggio di liberazione del corpo dalle censure

How do you deal with painting? Do you think you must use it to somehow convey to the viewers a message of liberation of the body from censure and social constrictions, or more as an exercise of liberation and expression, in line with your personal experiences?


e costrizioni sociali, o più come un esercizio di liberazione ed espressione individuale, in linea con le tue esperienze personali? Penso di non volere lanciare messaggi. La mia è una ricerca individuale che si esprime anche con l’esercizio della pittura. I miei soggetti nascono dalla fantasia, questo è certamente connesso alle mie esperienze ma non posso calcolare in quale misura; sono sempre in parte estraneo al mio lavoro anche se lo faccio per me. Guardare un mio lavoro è la concessione di guardare me stesso da fuori, e da dentro… è normale capirci poco: posso tentare di psicanalizzare, di indagare ma capire è un altro discorso. Un’interpretazione si può dare, è libera e personale, ognuno può averne una sua originale. Penso che fare arte sia soggettivo tanto quanto il goderne.

I don't think I want to send any message. My research is individual and it expresses itself also through the exercise of painting. My subjects take origin from imagination, this is surely related to my experiences but I can't say in what measure; I'm always partly extraneous to my work, even if I do it for myself. Looking at a piece of work of mine is the concession of looking at myself from the outside, and from the inside... it is normal not to understand much: I can try to psychoanalyse, to indagate, but understanding is quite another matter. An interpretation can be given, it is free and personal; everyone can have its own, original one. I think that making art is subjective just as much as enjoying it.

Quello che più mi colpisce dei tuoi lavori è la carica altamente ironica, liberatoria ma al tempo stesso aggressiva e provocatoria che utilizzi per parlare della posizione dell’individuo all’interno di una società che sembra spesso estranea al concetto di corporeità nella sua accezione naturalistica, che rinchiude, che attenua gli istinti e i naturali flussi corporali, per non dire carnali. La raffigurazione di pulsioni viscerali tipicamente umane e l’associazione di immagini che nel pensiero collettivo vengono considerate negative, lasciano trasparire una tua presa di posizione dell’uomo come carne nel e del mondo. Qual è il tuo rapporto con le immagini del mondo di oggi? Il mondo delle immagini? Oggi è impressionante, siamo pieni di immagini devastanti! Nella mia pittura impulsiva tutto è fatto di carne, ogni figura è costruita con la stessa materia lucida e soffice, tutto si potrebbe tagliare, affettare, ma sono fattezze psicologiche, pesanti o leggere, le mie sono forme fantastiche nate dal gioco, dal mio gioco che non ha scopo. Anche questa società, come la mia arte, è il prodotto di immagini irreali. Ma è per lo scopo che immagini fantastiche sono ostinatamente vendute per realtà. Oggi l’immagine si sostituisce alla realtà. Anche l’esperienza è diventata virtuale, noi cresciamo assieme alla tv e gli altri supporti digitali che ormai sono protesi del nostro corpo. Scappiamo dallo scontro fisico con il mondo, o meglio, crediamo di poter scappare dallo scontro fisico con il mondo e ci rifugiamo nella fantasia , nell’immaginario

What strikes me most of your works is the highly ironic potential, liberating but at the same time aggressive and provocative, which you use to talk about the position of the individual inside a society which often seems extraneous to the concept of corporeity in its naturalistic meaning, which shuts, which weakens the instincts and natural bodily, not to say carnal, fluxes. The depiction of typically human visceral pulsions and the association of images that are opposite in the public mindset betray your stance on the man as flesh in the world and of the world. What is your relationship with the images of nowaday's world? The world of images? Nowadays it's impressive, we are full of devastating images! The artist nowadays has to be radical if they want to compete with this worldly, more and more emotional and violent imagery. In my impulsive painting everything is made of flesh, each figure is built with the same lucid and soft matter, everything could be cut, sliced, but they are psychological features, heavy or light, my shapes are imaginary, born from amusement, from my amusement which has no purpose. Even this society, like my art, is the product of unreal images. But it is for purpose that imaginary images are persistently sold as reality. Nowadays the image is taking the place of reality. Even experience has become virtual, we grow up together with tv and other digital devices which by now are prosthesis of our body. We are escaping from physical clash with the world,


di qualcun altro. I corpi di questo immaginario sono stati resi liberi e poi sono stati sfruttati come ami dall’industria. Quella concezione più naturalistica di cui parli sembrava si potesse affermare con gli anni sessanta/settanta , oggi quell’idea sta evaporando lasciando ipocrisie e qualche rimpianto. E’ stato un inganno, dobbiamo riflettere: cos’è libertà? Cos’è un corpo libero? Oggi i corpi sono stati distorti dalle nostre nuove ideologie. Ossessionati da un corpo per niente naturale, digitalizzata o siliconata la nostra carne finisce per essere disprezzata o idolatrata. Dovremmo imparare ad avere un rapporto sano e felice con il nostro corpo e con quello di tutti gli altri, questo vorrebbe dire veramente cominciare ad amare. La tua visione erotica e aggressiva ti avvicina in qualche modo all’opera di Carol Rama, grande artista italiana che insiste su immagini “sporche”, anche se la sua presa di posizione si soffermava in particolare sulla sensualità femminile. Si può dire di scorgere in lei una qualche fonte di ispirazione? Anche io sono attento alla sensualità femminile! Carol Rama è stata una grande scoperta, perché mi sono ritrovato in lei e ho ritrovato parti di lei in me, Rama è un’artista stupenda sempre contemporanea. Non si deve confondere la sconcezza con la libertà con cui Carol Rama aveva sempre il bisogno di esprimersi. Una volta disse: “Dipingo per curarmi”: le sue immagini mi hanno aiutato a capire meglio il mio lavoro. Parlami della tua tecnica e dei media che prediligi nel tuo lavoro. Oltre alla Pittura e il disegno lavoro con l’incisione, il digitale e la fotografia. Con Francesco Todescato produco e mi esibisco da tre anni con il progetto di ricerca video-sonora Raskol’nikov,. Questo progetto è integrato al mio lavoro di artista figurativo, ad ogni mia mostra mettiamo in piedi una performance. Mi piace il nostro lavoro con l’happening, tra tutte le espressioni è quella che ha più a che fare con il corpo, nei nostri eventi unici viene investita tutta la mia persona, è un aprirmi all’altro. Anche nelle performance di Raskol’nikov uno dei caratteri principali è l’istintività, per questo non posso sapere cosa proporremo a questa mostra. Sarà una sorpresa per tutti.

or, better, we think we can escape from it and we seek comfort in imagination, in someone else's imagery. The bodies of this imagery have been set free and have then been utilized as weapons by industry. It seemed like that more naturalistic idea that you mentioned could impose itself in the 1960s/'70s; nowadays that idea is vanishing, leaving hypocrisies and some regrets. It was a deception, we must think it over: what is freedom? What is a free body? Nowadays bodies have been distorted by our new ideologies. Obsessed by a not at all natural body, digitalized or siliconized our flesh ends up being despised or idolized. We should learn to have a healthy and happy relationship with our body and with everyone else's, this would mean truly beginning to love. Your erotic and aggressive vision brings you near the work of Carol Rama, great Italian artist who insisted on “dirty” images, although her position dwelled particularly upon feminine sensuality. Can one say you found in her some sort of source of inspiration? I too pay attention to feminine sensuality! Carol Rama was a great discovery, because I've found myself reflected in her and I've found parts of her reflected in me. Rama is an amazing artist, always contemporary. One must not confuse indecency with the freedom that Carol Rama always needed to express herself. She once said: “I paint to cure myself”: her images have helped me to better understand my work. Tell me about your technique and the media you prefer in your work. Besides painting and drawing I work with engraving, digital and photography. With Francesco Todescato I've been producing and performing for three years with the video-sound research program “Raskol'nikov”. This project is integrated in my work as a figurative artist: at every exhibition of mine we put up a performance. I like our work with happening, out of all forms of expressions it's the one that has to do the with the body the most; in our unique events my whole person is invested, it is an opening of myself to the other. In “Raskol'nikov”'s performances also one of the main features is instinctiveness, therefore I don't know what we'll offer at this exhibition. It will be a surprise for everyone.

“D.I.Y.”, 2013, Tecnica Mista su tela



Nasce nel 1980 a Nagoya, Giappone. Studia prima all’Accademia delle Belle Arti di Venezia, e poi Allo Iuav di Venezia, Arti Visive. Realizza le sue opere utilizzando soprattutto fotografia e video, mezzi che egli trova più idonei a rappresentare la realtà e le sue possibili incongruenze. La sua arte è una continua ricerca all’insegna dell’ironia. Cerca nelle sue opere di innescare una sorta di rovesciamento della realtà, per accentuare il senso di sorpresa e di scoperta.

He was born in 1980 in Nagoya, Japan. He studied Visual Arts at the Academy of Fine Arts in Venice, and later at the Iuav (Institute of Architecture) in Venice. He carries out his works using mostly photography and video, means which he finds more suitable to represent reality and its possible contradictions. His art is a continuous research marked by irony. In his works he tries to trigger a sort of reversal of reality, in order to accentuate the sense of surpirse and discovery.

La tua operazione è di “strappare, tagliare, sporcare e bruciare” immagini di una persona o animale, per poi proseguire con un attento assemblaggio di pezzi che ti porta alla creazione di immagini altre, differenti. Un’operazione molto interessante, che in questo caso, ben si concilia con l’idea della mostra di corpi di persone che, all’interno di un sistema sociale, vengono “smontati” e “rimodellati” a piacere. In sintesi, ogni uomo possiede un’identità in divenire, che non è mai definita ma può sempre essere modificata, passare da uno stato all’altro, organismo perennemente in trasformazione; proprio come un collage. Mi parleresti della tua scelta di utilizzare questa tecnica e, brevemente, del tuo modo di lavorare sulle immagini? Ogni persona o ogni cosa ha il proprio lato nascosto. È un po’ come la TV o il teatro, che trasmettono immagini che scelgono di far vedere al pubblico. Quel dettaglio che noi vediamo fa parte della realtà, ma noi non possiamo mai sapere cosa ci sia dietro quel dettaglio e dobbiamo scoprirlo usando la nostra immaginazione. Questo può essere interpretato anche nel momento più banale. Non serve che una cosa, o un aspetto sia invisibile per poter immaginare; anche le cose visibili nella realtà possono essere modificate se abbiamo

Your operation is to “tear, cut, make dirty and burn” images of a person or an animal, and then to go on with a careful assemblage of pieces which leads you to the creation of other different images. A very interesting operation, which, in this case, reconciles well with the idea of this exhibition on bodies of people which, in a social system, are “disassembled” and “reshaped” to one's liking. In brief, each man possesses an identity in becoming, which is never defined but can always be modified and pass from one state to the other, an organism continuously transforming; just like a collage. Would you tell me about your choice of using this technique and, briefly, about your way of working on images? Each person or thing has its hidden side. It's kind of like TV or theatre, which convey images that they choose to show the public. That detail that we see is part of reality, but we never know what lies behind that detail and we have to discover it using our imagination. This can be interpreted even in the most banal moment. It's not necessary for a thing, or an aspect, to be invisible in order to imagine; even things that are visible in reality can be modified if we have the habit of seeing things in the way they can be looked at from another side. What's beautiful can become


l’abitudine di vedere le cose come possono essere osservate da un altro lato. Il bello può diventare brutto, e il chiaro può diventare buio, il buono cattivo: tutto dipende da come noi osserviamo e prendiamo in considerazione la realtà. Io lavoro spesso con la fotografia, perché era comunemente conosciuto come il mezzo che ritraeva la realtà. Anche se al giorno d’oggi, è più facile manipolarla, grazie alla nuova tecnologia. La mia operazione consiste proprio nella semplicità che possiamo ritrovare nel modificare la realtà. Siamo così abituati ad essere esposti ad immagini, che rappresentano la realtà, o meglio una realtà ideale. Io voglio spostarla solo di poco, o anche solo qualche suo piccolo aspetto, giusto per dare vita ad una “possibile” realtà parallela. Quello che mi colpisce delle tue opere è la forte carica ironica e il grande effetto di sorpresa che le tue composizioni fanno scaturire. Sembra che attraverso i tuoi lavori ci si renda conto che la realtà possa essere vista sotto molti aspetti e forme diverse, una sorta di infiniti mondi ed esseri possibili che partono dal presente che abitiamo per fornirci una realtà alternativa. Qual è il tuo rapporto con il mondo di oggi, con le immagini che ci circondano? Come funziona il tuo processo di rielaborazione del reale, che molte volte porta alla creazione di umani che escono dal quotidiano per diventare creature “mostruose”? Mi hanno sempre fatto paura le creature mostruose. Ma è una paura che ho superato facendo uno studio su come la gente nel passato abbia usato la propria immaginazione per creare quegli esseri così mostruosi. Credo fortemente che la nostra immaginazione sia sempre limitata da ciò che vediamo realmente. Questo succede anche nel mondo del sogno. Tutte le anomalie del mondo, nel sogno, possono essere spiegate. Io ho iniziato a creare le creature mostruose come erano descritte nel vecchio libro, facendo vedere che quelle creature erano il frutto di una combinazione della realtà. Poi quando ho capito che era così veramente, ho cominciato a creare io stesso degli esseri mostruosi, “irreali”, inventati da me, ma sempre basandomi sulla realtà (usando la fotografia).

ugly, what's clear can become dark, what's good can become evil: it all depends on how we look at and consider reality. I often work with photography because it was commonly known as the means to portray reality, although nowadays it's easier to manipulate it, thanks to new technology. My operatiion consists exactly in the simplicity that one can find in modifying reality. We are so used to being exposed to images that represent reality, or better an ideal reality. I want to move it just a little bit, or move even just some little aspects of it, just to give life to a “possible” parallel reality. What strikes me about your works is the strong ironic potential and the great surprise effect that your compositions arouse. It seems that through your works one realises that reality can be seen through many aspects and different forms, in a sort of infinite worlds and possible beings that take start from the present in which we live to supply us with an alternattive reality. What is your relationship with nowaday's world, with the images that surround you? How does your process of revising what's real, which often leads to the creation of humans that exit everyday's life to become “monstruous”, work? I've always been afraid of monstruous creatures. But it's a fear I've overcome by studying how people in the past used their imagination to create such monstruous beings. I strongly believe that our imagination is always limited by what we see in reality. This happens also in the world of dreams. All the anomalies of the world, in dreams, can be explained. I started creating monstruous creatures as they were described in the old way, showing that those creatures were the product of a combination of reality. Then, when I understood that it actually was like that, I myself started creating monstruous beings, “unreal”, invented by me, but always basing myself on reality (using photography).


Oltre alla fotografia e collage, lavori anche con il video. Cosa scegli di raccontare tramite quest’ultimo mezzo, rispetto ai due precedenti? Non ho nessuna preferenza nella tecnica. Ma quando voglio raccontare un mio pensiero, devo scegliere il mezzo più adatto. Quindi se ho scelto il video, significa che gli altri medium, come la fotografia o il disegno, non potevano raffigurare così bene il concetto che volevo rappresentare, cosa che in questo caso il video può fare.

Besides photography and collage, you also work with video. What do you choose to tell through the latter means, in comparison to the former? I've got no preference when it comes to technique. But when I want to talk about a thought of mine I have to choose the most suitable means. So if I've chosen video, it means that the other media, like photography or dawing, couldn't depict as well the concept I wanted to represent, while, in this case, video could.

No One Knows No.1, 2011 Gelatin Silver Print (Contact Print) 25 x 20 cm



Dopo gli studi a Ljubljana nel 2004 si trasferisce a Milano dove prosegue la formazione presso CFP Riccardo Bauer. Durante i quattro anni lavora presso studi fotografici e d’artista come assistente e stampatrice professionale. Nel 2009 si trasferisce a Venezia, finisce gli studi di Arti visive e dello Spettacolo presso Università IUAV di Venezia, vince una borsa di merito presso Ministero della cultura Slovena. Attualmente è artista in residenza preso Fondazione Bevilacqua la Masa a Venezia. Le sue opere sono state esposte in mostre collettive e personali in Italia e all’estero. Spela utilizza come mezzo d’espressione immagine fotografica, che spazia dall’osservazione di passaggio fino al ritratto e visioni scultore stil life in studio. La sua ricerca si focalizza sui collegamenti concettuali ai quali accosta un suo forte punto di vista poetico e visivo. L’artista s’interessa ai meccanismi d’interazione, propone una forma di fotografia pura, rigorosa e diretta; al tempo stesso il suo lavoro è ideato d’immagini composite di dittici/trittici o immagini in serie.

After her studies in Ljubljana in 2004 she moved to Milan, where she continued her education at CFP Riccardo Bauer. During these four years she worked at photographers and artist studios as an assistant and professional printer. In 2009 she moved to Venice, finished her studies in Visual Arts and Performing Arts at IUAV University of Venice, she won a scholarship at the Ministry of Culture of Slovenia. She is currently an artist-inresidence at Fondazione Bevilacqua la Masa in Venice. Her works have been exhibited in solo and group exhibitions in Italy and abroad. Spela uses photographic images as a means of expression, ranging from the observation of transition to the portrait and sculptor still life visions in the studio. Her research focuses on the conceptual links which combines such a strong point of view and poetic vision. The artist is interested in the mechanisms of interaction, proposes a form of pure photography, rigorous and direct; at the same time her work is conceived of composite images of diptychs / triptychs or images in series.

Il tuo è un lavoro fortemente poetico, che fa riferimento ad una dimensione certamente cerimoniale che fa parte della modalità di condivisione di una casa, una comunità, e dunque delle forme di vita comune. Si caratterizza come una documentazione di un atto, che potremmo definire quotidiano, di creazione condiviso. Questo lavoro parte da un’esperienza personale che riguarda le relazioni che ho stretto con i personaggi fotografati, con i quali ho convissuto per un certo periodo a Milano. Mi piace pensare che le relazioni riguardano uno scambio nel quale lo scopo è di stringere delle relazioni sempre più unificanti: “Tutto va e viene come se vi fosse scambio costante di una sostanza spirituale comprendente oggetti e uomini” (Mauss). In questo caso l’elemento base del sopra citato “scambio costante” è stato il pane, che innescava i nostri rapporti. La fotografia avviene solo nell’ultimo

Yours is a strongly poetic work, which refers to a certainly ceremonial dimension that is part of the ways of sharing a house, being part of a community, and thus of the forms of community life. It is characterized as a documentation of a shared, everyday-life act of creation. This work starts from a personal experience on the relationships that I've tied with the photographed characters, with whom I've lived for a period in Milan. I like to think that relationships are about an exchange in which the aim is to tie relations that are more and more unifying: “Everything comes and goes, as if there were a 'constant exchange of spiritual matter, including things and men' (...)” (Mauss). In this case, the basic element of the above-mentioned “constant exchange” was bread, which triggered off our relationships. The photograph is taken only in the last moment because its intent is not to document the process, but the final act of making bread.


momento perché non documenta il processo, ma l’atto finale della preparazione del pane. Il corpo in relazione all’altro, il concetto di interazione, è un aspetto che tocca in profondità la mia ricerca, soprattutto all’interno di questo progetto. “(…) il mio corpo è la mia prigione immaginaria. Il tuo corpo, la cosa che ti sembra la più reale, è certamente la più fantasmatica. Forse addirittura è solo fantasmatica. Si ha bisogno dell’altro per liberare il corpo; (…) non posso spingere il mio corpo fino all’estremo di se stesso se non con un altro(…)” (Barthes 1981c, p.356). È l’idea di corpo che si definisce per quello che è solo nel momento di contatto con l’altro, con il mondo esterno; un “essere-nel-mondo” che ha bisogno di relazionarsi ad uno o più individui. C’è qui l’idea di corpi e pane in quanto artefatti scultorei che divengono forme, le quali agiscono l’una sull’altra; si stabilisce una interazione quasi poetica tra la forma del pane e la forma del corpo della persona che l’ha realizzato. Si incontrano al loro limite. Ciò che colpisce del tuo lavoro “Panis Nostrum” è la presenza di una forte diversità e singolarità che caratterizza ciascuna delle sette figure ritratte, ma al tempo stesso la sensazione di una forte connessione ed uguaglianza fra di esse, che le accomuna su uno stesso piano, suggerita soprattutto dalla medesima luce, medesime tonalità di colore, dal simile impasto del pane. Mi parleresti di questo aspetto dell’opera? Il lavoro “Panis Nostrum” è un lavoro coerente e ripetitivo. I personaggi variano, sono tra loro diversi e così varia anche il pane che ciascuno di loro ha preparato, impastando gli ingredienti in modo diverso, con metodi diversi così come diverse sono le mani che l’hanno creato.. Ho voluto ritrarre sette persone diverse, provenienti da sette diverse nazioni Europee: ognuno di loro dunque con background diversi, culture diverse, abitudini diverse. Elementi di diversità che però diventano elementi forti quando si convive in una stessa casa, come in una sorta di comunità. Persone diverse tra loro dunque, che però hanno scelto di vivere sotto lo stesso tetto, per condividere, per imparare gli uni dagli altri. Ho dunque considerato molto importante soprattutto l’aspetto di integrazione dell’individuo, e delle forme di vita comune che sono appunto rappresentate dalla preparazione del pane

The body in relation with others, the concept of interaction, is an aspect that touches deeply my research, especially inside this project. “(...) my body is my imaginary prison. Your body, the thing that seems most real to you, is certainly the most phantasmic. Maybe it even is only phantasmic. One needs the others to free their body; (…) I cannot push my body to its extreme if not with someone else (...)” (Barthes 1981, It. Translation p. 356). It's the idea of a body that defines itself only for what it is when it's in contact with others, with the external world; a “being-in-the-world” that needs to relate to one or more individuals. Here there is the idea of bodies and bread as scupltural artefacts that become shapes which act one onto the other; there is an almost poetic interaction established between the shape of bread and the shape of the body of the person who has made it. They meet at their limit. What is striking about your work is the presence of a strong diversity and singularity that characterizes each of the seven depicted figures, but at the same time there is a feeling of a strong connection and equality among them, which joins them on a common level, suggested especially by the same lighting, same colour shades, similar bread dough. Would you tell me something about this aspect of your work? The work “Panis Nostrum” is a coherent and repetitive work. The characters vary, they're different one from another and in the same way the bread each one of them has made varies, mixing the ingredients in different ways, with methods that are different as the hands that have created them are. I wanted to depict seven different people from seven different European countries: each one of them, thus, with different backgrounds, cultures, habits. Elements of diversity that become strong elements when you live in the same house, like in a sort of community. Different people, so, who have nonetheless decided to live under one roof, in order to share, to learn one from another. I have therefore considered very important the aspect of the integration of the individual and the forms of community life that are, in fact, represented by the making of bread as a typical everyday-life food. Diversity and equality at the same time, interaction and sharing: I wanted to document an act of creation


come tipico alimento quotidiano. Diversità ed egualità al tempo stesso, interazione e condivisione: ho voluto qui documentare un atto di creazione che viene condiviso da tutti. Cosa rappresenta la nudità dei corpi ritratti, qual è quell’ulteriore affinità che lega insieme i quattro ritratti appartenenti a ciascuna serie, oltre all’azione di impastamento e preparazione di un alimento principale della quotidianità di ogni persona? I ritratti sono nudi, spogli di vestiti. Sono dunque corpi spogli di qualsiasi classificazione di tipo sociale e culturale. La loro provenienza è l’unico elemento che li rende qui diversi; abbigliamento e oggetti comportano sempre una classificazione, mentre in questo modo ho voluto ritrarre corpi “nudi e crudi”, così come il pane che li rappresenta. Si presentano dunque come corpi generici, si può dire che tocchino quasi l’androgino. I loro volti, i loro sguardi come il proprio pane sono la qui la principale caratteristica di ogni singola personalità. Torna in questo senso l’analogia che qui si stabilisce tra i soggetti rappresentati: il corpo rappresentato nella sua essenzialità rimanda inevitabilmente al pane come elemento essenziale, entrambi elementi rappresentati nella loro pura semplicità che rimanda, senza pretese, anche ad una dimensione spirituale che vede nel pane quell’elemento che rappresenta il corpo, il Corpo di Cristo.

that is shared by everyone. What does the nudity of the portrayed bodies represent? What is the additional affinity that binds together the four portraits of each series, besides the action of mixing and preparing a food that has an essential role in every person's everyday life? The portraits are naked, undressed; they are therefore lacking in any type of social and cultural categorization. Their origin is the only element that makes them different; clothing and objects always imply a categorization, and by avoiding them my intent was to depict bare, plain bodies, just like the bread that represents them. Therefore, they appear as generic bodies, you could say that they're almost androgynous. Their faces, their looks, just like their own bread, are the major characteristic of each single personality. Again there emerges the analogy between the represented subjects: the body, depicted in its essentialness refers inevitably to bread as an essential element, both represented in their mere simplicity which, in its turn, refers, without any pretensions, also to a spiritual dimension with the bread being the element that represents the body, the Body of Christ.

“Panis Nostrum”, 2006, 28 images 50x50 in a square of 100x100, cotton paper Hannemuhle Bright White



Matteo Valerio nasce a Tampa, Florida nel 1989. Dopo essersi diplomato all’Istituto Boscardin di Vicenza con specialistica in scultura si trasferisce per un anno a Canino, nella Tuscia, dove ha restaurato l'interno di un appartamento in tufo nel centro storico. Si trasferisce quindi in Perù e in Bolivia per sei mesi, dove per la prima volta viene a contatto con i trattamenti naturali per colorare i tessuti. Si iscrive quindi all’Accademia di Venezia dove attualmente studia. L’arte di Matteo deriva direttamente dalle sue passioni e dai suoi interessi personali: egli cerca infatti di usare il disegno e l'incisione per alimentare il suo proprio interesse verso qualsiasi cosa. Usa inoltre la tela come studio per superare certi blocchi, cercando in questo modo di scremare la propria individualità.

Matteo Valerio was born in Tampa, Florida in 1989. After graduating from the high school “Boscardin” in Vicenza, with a specialization in Sculpture, he moved for a year to Canino, in Tuscia, where he restored the interior space of a flat made of tuff in the historical centre. He then moved for six months to Perù and Bolivia, where he came in touch for the first time with natural techniques for colouring textures. He finally enrolled at the Academy in Venice where he studies at the moment. Matteo's art is directly derived from his passions and personal interests; he in fact tries to use drawing and engraving to nourish his interest towards anything. Moreover, he uses the canvas as a study to overcome certain blocks, thus trying to skim his individuality.

Da dove prendi questo tuo interesse per i corpi, in molti dei tuoi lavori disegnati come fossero manichini, forme geometriche, quasi vuote al loro interno? come decidi di rappresentarli? Questo interesse lo prendo in primis da me stesso come corpo, come contenitore; poi non è un tema che ho deciso, è nato in modo quasi indipendente. Io cerco di crearmi lo stato psicologico necessario per essere aperto davanti a cose che scopro facendo. Penso che il cercare di creare arte sia come un fiume, ha bisogno di tante sorgenti per arrivare al mare. Quello che cerco di fare è essere frizzante, cerco di tirar fuori; ma non sono io, è il mio lavoro precedente che tira fuori quello successivo. Sto inoltre attento a determinare quello che faccio: non voglio che il mio lavoro diventi il limite, il preconcetto del lavoro successivo. Voglio potermi contraddire un domani. Al momento sto lavorando ad una serie che chiamo “Uomini grandi che mangiano uomini piccoli” (oppure “sardine”): già il titolo vuole avere un carattere di dislessia, per essere in contrasto con il solito modo di chiamare l'arte con nomi altisonanti. Penso che

Where does this interest for bodies, which in many of your works are drawn as if they were mannequins, geometrical shapes, almost empty on the inside, come from? How do you decide to represent them? This interest comes firstly from myself as a body, as a container; it isn't a theme that I've decided, it was born almost in an independent way. I try to create in myself the psychological state necessary to be open to things that I discover while I'm doing them. I think that the act of trying to create art is like a river, it needs many sources to get to the sea. What I try to do is to be brisk, I try to draw things out; but it isn't me, it is my previous work that draws out the following. I'm also careful in determining what I'm doing: I don't want my work to become the limit, the preconceived idea of the following work. I want to be able to contradict myself in the future. At the moment I'm working on a series that I call “Big men eating small men” (or “sardines”): the title itself wants to convey the idea of dyslexia, in order to be in contrast with the usual way of calling art with pompous names. I think we should learn to read art with the free creativity of a child, not with the typically adult rational


dovremmo imparare a leggere l'arte con la creatività libera di un bambino,non con i concetti razionali tipicamente adulti; passiamo più tempo a descriver la vita piuttosto che viverla.. Per quanto riguarda il mio mondo esso è solo all'inizio spero, sto cercando di creare un mondo semiimmaginario che come le fiabe coesiste con la realtà, una dimensione che cerca di funzionare anche a livello compositivo sulla carta, sullo zinco, ecc. Pittura ed incisione: queste le pratiche artistiche che più di rappresentano, che più senti tue. Si può dire che ci siano determinati soggetti, concetti o idee che preferisci rappresentare attraverso l'incisione piuttosto che attraverso la pittura, e viceversa?qual è il tuo approccio nei confronti di entrambe le pratiche artistiche? Non saprei, penso di voler riproporre lo stesso soggetto in entrambe le forme proprio per farlo muovere, per creare un'atmosfera più completa: un giorno un mondo grafico (chiaro) in bianco e nero, un'altro un mondo più veloce, confusionario, annebbiato, rappresentato tramite la pittura. Entrambe le pratiche artistiche hanno per me un grande valore, e sono inoltre un utilissimo strumento con cui mi trovo a lavorare e con cui mi confronto: la tela, ad esempio, rappresenta per me una superficie preziosa, che mi aiuta anche personalmente a superare blocchi individuali, cercando in questo modo di scremare la mia individualità. Spesso all'interno delle tue tele, di contorno alle "figure" che rappresenti, si ritrovano parole, frasi, simboli, macchie di colore, fiori, oggetti, mentre gran parte della superficie della tela rimane intaccata dal colore. C'è una spiegazione per queste scelte, fai ricorso a frasi o oggetti che fanno parte della tua memoria o delle tue esperienze? Non penso di aver interesse verso qualche cosa di specifico da rappresentare, dipende dal conteso in qui mi trovo, dalle domande che mi sto ponendo e sopratutto da come il mio occhio mi guida per il risultato visivo dell'opera. Spesso i lavori servono ad alimentare il mio interesse nei confronti di qualsiasi cosa, quindi utilizzo la tela come blocco degli appunti dopo aver risolto i miei quesiti. Il non finito mi è sempre piaciuto, secondo me tra le

concepts; we spend more time describing life rather than actually living it. With regard to my world, it is only at the beginning I hope; I'm trying to create a semi-imaginary world which, just like fairy tales, coexists with reality, a dimension which tries to function also on a compositional level on paper, on zync, etc . Painting and engraving: these are the artistic practices that represent you the most, that you mostly feel to be yours. Can one say that there are certain subjects, concepts or ideas that you prefer to represent through engraving rather than through painting, and viceversa? What is your approach towards both artistic practices? I can't really tell, I think I want to repropose the same subject in both forms exactly in order to make it move, to create a more complete atmosphere: one day a (clear) graphic world in black and white, the other day a faster, confusionary, foggy world, represented by painting. Both artistic practices have for me a great value, and are also a useful tool with which I am working and when I compared: the canvas, for example, is for me a precious surface, which also helps me personally to overcome blocks individual, in this way trying to skim my individuality. Often in your canvases, surrounding the “figures” you represent, one can find words, sentences, symbols, colour stains, flowers, objects, while most of the surface of the canvas remains “nicked” by colour. Is there an explanation for these choices? Do you use sentences or objects that are part of your memory or experiences? I don't think I have an interest towards something specific to represent, it depends on the context in which I find myself, on the questions that I'm asking myself and especially on how my eye guides me to the visual result of the piece of work. Works often serve to nourish my interest towards anything, so I use the canvas as if it were a notepad after I resolve my questions. I've always liked the non-finished, I believe it is one of the most important expressions of nature in art, the non-finished has to be casual: in fact Rodin's non-


più importanti espressioni della natura in arte, il non finito deve essere caso: non è paragonabile infatti il non finito di Rodin (non finito voluto, quindi finito) rispetto quello di Michelangelo). Non intendo a caso, ma devono trasparire quegli elementi che sono in tutto come la gravità, la velocità, il tempo, la confusione,il materiale. Noi possiamo scegliere se nascondere o

finished (which is willingly non-finished, thus becoming finished) is not comparable with Michelangelo's one. I don't mean it in a random way, but the elements that are in everything such as gravity, velocity, time, confusion, matter have to shine through. We cannot decide whether to hide or leave...

“Untitled”, 2011, Tecnica mista su tela



Nato a Bari nel 1982, ha conseguito la laurea triennale in Arti Visive all'Università IUAV di Venezia, e la laurea specialistica in Comunicazioni Visive Multimediali presso la Facoltà di Design e Arti del medesimo istituto. Nel 2010 è stato artista in residenza presso la Fondazione Claudio Buziol di Venezia. Nel 2011 ha partecipato alla residenza-workshop tenuta da Adrian Paci presso Rave East Village a Trivignano Udinese. Nel 2011 ha partecipato alla 15th Tallinn Print Triennial e a un evento performativo presso Osloo Floating Pavillion per il Padiglione Danimarca alla 54. Biennale di Venezia. Ryts ha svolto la residenza alla Fondazione Bevilacqua la Masa, Venezia, con uno studio a Palazzo Carminati. È stato poi selezionato per prendere parte al programma di residenza per l’anno 2013 all’Istituto d’Arte Contemporanea e di Scambio Culturale Internazionale a Tokyo. Graffitista e amante del disegno, prende spunto per le sue opere da tutto ciò che gli sta intorno, che sta intorno agli uomini: i suoi lavori parlano di consumismo, cristianesimo, libertà. Egli assorbe ogni aspetto della realtà quotidiana, e lo rigetta in forma d’arte.

Born in Bari in 1982, he completed a three-year degree in Visual Arts at the IUAV University of Venice, and a Masters in Multimedia Visual Communications at the Faculty of Art and Design at the same institution. In 2010 he was the artist in residence at the Claudio Buziol Foundation in Venice. In 2011 he took part in the residence/workshop held by Adrian Paci at the Rave East Village in Trivignano Udinese. In 2011 he took part in the 15th Tallinn Print Triennial and a performance event at the Osloo Floating Pavilion for the Denmark Pavilion at the 54th Venice Biennale. Ryts Monet is currently an artist-in-residence at the Bevilacqua La Masa Foundation, Venice, with a studio in Palazzo Carminati. He has recently been selected to take part in the 2013 residency program of the Institute of Contemporary Art and International Cultural Exchange in Tokyo. Graffiti artist and design lover, in his works he gets ideas from anything he founds around himself, around human beings: his works speak about consumerism, Christianity, freedom. Everything he absorbs from the daily life, he rejects into art form.

Vorrei che mi parlassi dell’installazione che presenti alla mostra: gli elementi che la compongono, assemblati, tracciano quello che è stato il tuo percorso di ricerca, che partendo dall’analisi dell’immaginario visivo utilizzato dai Black Flag, band punk-hardcore, ti ha portato a parlare dell’attuale situazione dell’uomo contemporaneo. Qual è stato il percorso da te seguito? È un’operazione che ha uno scopo, vuole sollevare interrogativi? Il tema è molto delicato, tratta un triste primato quello del 2012, che ha visto la regione Veneto prima in classifica in Italia per il maggior numero di imprenditori che si sono tolti la vita a causa della crisi economica. Ho associato questo gesto di reazione estrema all’Hardcore-Punk dei Black Flag, due ingredienti all’apparenza molto distanti tra loro ma legati da un ambito comune. Ho scelto gli imprenditori, perché identificano i trainanti dell’economia Veneta, persone che hanno dedicato la vita alla propria attività inseguendo un sogno, un sogno dove però qualcosa è andato storto trasformandosi in un incubo.

I'd like you to tell me something about the installation you're presenting at this exhibition: the elements that compose it, assembled together, trace the pathway of your research, which, starting from the analysis of the visual imagery utilized by the anarcho-punk band Black Flag, has brought you to talk about the current situation of the contemporary man. What was the itinerary you followed? Is it an operation with a purpose, does it want to raise questions?. The theme is very delicate, it's about a sad record of 2012: Veneto was the number one region in Italy for the highest number of entrepreneurs that committed suicide because of the economic depression. I've associated this act of exteme reaction to the Black Flag's hardcore-punk, two apparantely distant ingredients but that are bond by a common environment. I've chosen the entrepreneurs because they represent the drivers of the economy of Veneto: people who have dedicated their life to their actitvity, pursuing a dream, dream in which though something has gone wrong, thus becoming a nightmare.


Vedo il gesto del suicidio come un gesto estremo, sintomo evidente di un malessere generale e di persone stanche, che vivono in un Paese assente e in uno stato di caos. La cosa più triste è che credo sia solo la punta dell’iceberg. Ho trent’anni, sono anch’io una persona con dei sogni, ma l’Italia sta diventando un Paese senza speranze: il nostro Paese è come la bandiera presente in mostra, che è parte del mio lavoro, un tricolore senza più colori. Ascoltando i vecchi dischi dei Black Flag ho ritrovato la stessa atmosfera in opposizione a una grinta incredibile! Come se trent’anni fa sapessero esattamente ciò che sarebbe accaduto qui oggi. I generi musicali nascono in contesti specifici e li ho sempre considerati come una reazione precisa a quel contesto. I testi e le copertine dei vecchi dischi dei Black Flag, argomentano pessimismo e critica sociale, ma il suono hardcore-punk in opposizione, è carico di energia e potenza vitale. Oggi sento spesso parlare di Revival musicali, forse perché i generi si stanno frammentando, perdendo la propria identità, i “leader musicali” stanno scomparendo, così vengono riproposti musicisti e generi anacronstici. Anch’io, nel mio Revival, ho fatto la stessa cosa a Venezia, producendo una Tribute-band dei Black Flag e contestualizzandola. All’interno della tua installazione ritroviamo le fotografie da te scattate di abitazioni appartenenti a quegli imprenditori veneti che hanno visto nell’abbandono di se e di tutto dalla vita, la soluzione. L’abbandono della casa significa abbandono della propria famiglia, un simbolo di tutto ciò che nella vita si è riusciti a costruire, degli affetti dei quali la casa si è riusciti a colmare. Che cosa ti ha colpito di più di queste case fotografate? All’apparenza sembrano case come tante più o meno caratteristiche di quei luoghi, potrebbe essere la casa di chiunque, ma in quasi tutte quelle fotografie si possono scorgere dei piccoli dettagli dove si percepisce abbandono e decadenza, sono la fine del “sogno”. Sono quasi tutte ville e villette simboli di proprietà privata e di una borghesia in decadenza, sono il posto dove quelle persone hanno vissuto, ciò che lasciano

I consider the act of suicide as an extreme act, an evident symptom of a general discomfort of tired people, who live in an absent-minded country in a state of chaos. The saddest thing is that, I believe, this is just the tip of the iceberg. I'm thirty, I am, too, a person with dreams, but Italy is becoming a hopeless country: our country is like the flag exposed at this exhibition, which is part of my work, a colourless “Tricolore”. Listening to the old Black Flag records, I found the same atmosphere in contrast with an incredible grit! As if thirty years ago they knew exactly what would happen here nowadays. Musical genres are born in specific contexts and I've always considered them as a precise reaction to those same contexts. The lyrics and covers of the old Black Flag records are about pessism and social criticism, but the hardcore-punk sound in opposition is full of energy and vital power. Nowadays I often hear about musical Revivals, maybe beacuse the different genres are splitting apart, losing their identity; “musical leaders” are disappearing, so anachronistic musicians and genres are coming up again. I too, in my Revival, have done the same in Venice, producing and contextualizing a Tribute band to Black Flag. In your installation one finds the photographs you took of houses that belonged to the Venetian entrepreneurs who saw a solution in giving up everything, including their own life. Abandoning one's home means abandoning one's family, a symbol of everything that one has built in a lifetime, of the loved ones whom that home was filled with. What struck you the most of these houses you photographed? To all appearances they seem houses like many other ones, typical of those places; they could be anyone's house, but in almost every one of those photographs one can glimpse small details in which abandon and decay can be perceived, they're the end of the “dream”. Almost all of the houses are villas and small villas, symbols of private property and of a middle class in decay; they are the place in which those people have lived, they're what they're leaving to the posterity. When I think of death I always think about the ones who


ai posteri. Quando penso alla morte penso sempre a chi rimane in vita: quelle case resteranno li, congelate chissà per quanto tempo, come macchie, come dei monumenti. Sono case di italiani come tanti, costretti all’angolo da quell’economia e da quel sistema in cui probabilmente una volta credevano. Che tipo di messaggio vorresti che venisse recepito? Non posso dire a parole che tipo di messaggio o di atmosfera vorrei trasmettere, questa è una cosa che preferisco lasciar fare a chi scrive di professione, comunque considero la mia Opera come un ritratto di un periodo storico preciso e credo che parli da sola: “When you look into the mirror, tell me what you see. When you see yourself then you'll see me” (Black Flag "Best One Yet" 1985) Sicuramente vorrei che gli italiani reagissero, c’è un male che si sta allargando, é il male di persone che hanno perso fiducia nel proprio Paese e in chi li governa, il male di persone, disoccupati, imprenditori e di giovani già stanchi: possiamo abbassare la testa e sperare che questo male non ci colpisca, oppure reagire, nella mia opera ci sono due reazioni provocate dallo stesso contesto.

remain alive: those houses will remain there, frozen for who knows how long, like stains, like monuments. They're houses belonging to Italians like many others, cornered by that same economy and system in which they once probably used to believe in. What type of message would you like people to acknowledge? I can't say in words what type of message or atmosphere I'd like to convey, that's something I prefer to leave up to those who write as a professioon; anyways, I consider my Work as a portrait of a precise historical period and I believe it speaks for itself: “When you look into the mirror, tell me what you see. When you see yourself then you'll see me” (Black Flag, “Best One Yet”, 1985) For sure I'd like the Italians to react; there's a pain that's widening, it's the pain of people who have lost faith in their country and in those who govern them, the pain of people, unemployed, entrepreneurs and young poeple who are tired aleady: one can either lower their head and hope that this pain won't affect them, or react; in my work there are two different reactions triggered by the same context.

“Black Flag Revival”, 2012, Installazione: Incisione su vinile e stampa digitale su carta, DVD in loop, televisore a tubo catodico, stampa digitale su seta,19 fotografie digitali su diapositive, proiettore Kodak Carousel.



Nata a Trieste il 28.01.1990, si forma presso l’Università IUAV di Venezia, con l’indirizzo Arti Visive e dello Spettacolo. Al momento vive e lavora tra Venezia e Berlino, dove sta implementando il suo ultimo progetto sul sonoro. Nella sua ricerca si occupa principalmente di musica sperimentale, sound design e registrazioni sonore, sia di produzione visiva che attraverso il disegno e la performance. La sua ricerca tratta il corpo umano come una sorta di architettura che si avvicina di più alla coscienza umana come accumulo di simboli e significati. Il suo interesse per i corpi in questo senso si rivolge da un lato nelle sue composizioni di figure di organismi “macchine”, funzionali, e dall’altro lato nell’utilizzo e sperimentazione di un sonoro che ha a che fare con l’organicità e la fisiologia.

Born in Trieste on January 28th, 1990, she was educated at IUAV University in Venice, studying Visual and Performing Arts. At the moment she lives and works between Venice and Berlin, where she's implementing her latest project on sound. In her research she deals mainly with experimental music, sound design and sound recording, but also visual production through drawing and performing. Her research deals with the human body as if it were a sort of architecture that approaches the human conscience as a stack of symbols and meanings. Her interest for bodies in this sense is turned on one hand into her compositions of shapes of “machine”functional organisms, and on the other hand into the use and experimentation of a sound that deals with organicity and physiology.

Vorrei partire parlando dell’interessante installazione sulla quale stai lavorando a Berlino, e che presenterai dunque alla mostra. Mi piace molto l’idea che sviluppi nei tuoi lavoro, legata ai suoi sperimentali, allo spazio in cui presenti un lavoro e alle immagini, i disegni. Puoi raccontare com’è nato questo progetto, qual è stato il punto di partenza della tua ricerca? Il linguaggio ha sempre fatto parte della mia ricerca;lo studio di esso, della produzione orale per la sua musicalità, ritmicità e vocalità ha confluito spesso in ricerche dal punto di vista etnologico e storiche, nel tentativo di rendere documentazioni scritte, popolari o tradizionali palpabili, udibili, vive. Esse trovano spesso un forte significato in relazione agli spazi e alle personalità-necessità da cui sfociano. Il mio spostamento a Berlino fu guidato dall’interesse per il possibile proseguimento della ricerca nell’ambito specifico della “Klangkunst” (Sound art) e per il proseguimento di un progetto iniziato un’anno fa, quello di un catalogo sonoro, da cui si sviluppa l’idea di un reportage acustico. Il progetto perciò nasce dapprima come proseguimento di una definizione per esempi di reportage acustico senza frenare la crescente sintonia tra la documentazione sonora e le situazioni in cui essa diventa necessaria e “pericolosa”.

I'd like to start by talking about the interesting art installation that you're working on in Berlin, and which you're presenting at this exhibition. I like the idea that you develop in your works, in relation to its experimentations, to the space in which you present a work and to the images and drawings. Could you tell me how this project was born? What was the starting point of your research? Language has always been part of my research; the study of language, of oral production, because of its musicality, its rhythm and vocalities has often come together with ethnological and historical reseacrches, in the attempt to turn written, popular or traditional documentation into something palpable, audible, lively. It often finds a strong meaning in relation to the spaces and personalities-necessities from which it emerges. My decision to move to Berlin was guided by the interest for the possible prosecution of my research in the specific field of the “Klangkunst” (Sound art) and for the continuation of a project started a year ago of a sound catalogue, from which the idea of an audio reportage develops. The project is thus born at first as the prosecution of a definition, for example, of audio reportage, without stopping the growing harmony between sound documentation and the situations in


Pericolosa nel momento in cui la linea che va dalla mera registrazione, per una successiva composizione diventa sempre più sottile se dall’altra parte c’è una necessità nel mantenerla così com’è, un documento, una dichiarazione di uno stato. Per esempio cosa fare quando ci si trova in mezzo ad una protesta, da parte di centinaia di cittadini e forse curiosi, che si oppongono alla distruzione di ciò che resta del muro di Berlino. Qual’è il limite del documento, quando esso può diventare manipolabile, e quando può essere impressione acustica di un evento o situazione? Tutto viene alimentato dal fatto che le documentazioni sono spesso intrecciate dal ritmo e i suoni del linguaggio, che è indispensabile anche in questo caso per una contestualizzazione dello spazio o dell’evento ed per una ricerca prettamente musicale-sonora, che adoro chiamare sugli impulsi sonori. La corporeità è una dimensione sempre presente all’interno del tuo lavoro, dai numerosi disegni, agli esperimenti con il sonoro, alle performance che sono un intrecciarsi di composizione musicale e corpi che in prima persona compiono l’azione. Penso ai disegni “Antinomie”, disegni a metà tra organismo e macchine, delle complesse strutture, e all’uso del corpo e del sonoro nei lavori come “Macrofagos”, “modulazioni analitiche” e “Innatural”. Qual è il rapporto che istauri tra pratica visiva e sperimentazione del suono? E, anche in relazione al tema della mostra, vorrei chiederti qual è la definizione di corpo che nella tua ricerca tenti di indagare e di rappresentare. Vorrei premettere che non mi è possibile attualmente fare una distinzione, nel momento in cui le due cose confluiscono nello stesso spazio, tra disegno e suono. Quello che potrei chiarire, è che spesso i miei disegni sono ciò che precede l’approccio diretto con lo spazio (architettonico e non) in cui decido di intervenire su o registrare un elemento sonoro; essi sono quasi delle proiezioni della temperatura, del carattere, del linearità o non linearità che ricerco successivamente nel suono stesso e nella sua composizione. Non vorrei descriverli come partiture, ma come appunti su una situazione, spesso su un simbolo, o sull’aggressività con cui è necessario manipolare una situazione. Il corpo in questo caso è strumento, sia nelle performance,

which the documentation itself becomes necessary and “dangerous”. Dangerous in the meaning that the line that starts from the mere recording becomes, for the following composition, thinner and thinner if, on the other side, there is a necessity of keeping it the way it is, a document, a declaration of a state. For instance, what to do when you find yourself in the middle of a protest by hundreds of citizens and maybe curious people who take position against the destruction of what remains of the Berlin Wall. What is the limit of the document, when can it become manipulable and when can it be an audio impression of an event or situation? Everything is fueled by the fact that documentations are often intertwined with rhythm and the sounds of language, which is essential also in this case for a contextualization of space or of the event and for a mainly musical-sound research, which I love to consider to be on “sound impulses”. Corporeity is a dimension which is always present inside your work, from the many drawings to the experiments with sound and the performances which are an intertwining of musical composition and bodies that perform an action in first person. I'm thinking of the drawings “Antinomie”, complex structures halfway between organisms and machines, and of the use of the body and sound in works such as “Macrofagos”, “analytical modulations” and “In-natural”. What is the relationship that you establish between visual practice and sound experimentation? And, also in relation to the theme of this exhibition, I'd like to ask you what definition of body you try to indagate and represent in your research. I'd like to start by saying that at the moment it's impossible for me to make a distinction, considering that the two things come toghether into the same space, between drawing and sound. What I could explain is that my drawings are often what comes before the direct approach to the space (both architectural and not) which I decide to intervene on, or record a sound element in; they are almost a projection of temperature, character, linearity or nonlinearity that I then search for in the sound itself and in its composition. I don't want to describe them as scores, but rather as notes on a situation, often on a


nei concerti e anche nei disegni stessi. Non si tratta di strumento musicale, bensì di architettura, cavità, mezzo. Ma più di tutto il corpo come strumento significa movimento. Ed è esattamente per questo motivo che il disegno e il suono spesso non possono essere da me distinti: il disegno con la sua staticità è spesso dubbio, semantico, la composizione e il suono stesso sono movimento, trasformazione e metamorfosi del simbolo e del significato sia linguistico che puramente acustico. Parlando di questo ultimo progetto, vorrei capire che tipo di legame hai instaurato tra il sonoro e l’immagine, tra installazione sonora ed installazione visiva. Come vieni a descrivere i singoli corpi sociali, in relazione ad una collettività? In questo progetto, non parlerei di legami tra sonoro e immagine, ma di chirurgia nelle immagini come di proiezioni visive di ciò che precede l’accadimento vero e proprio nello spazio. Come accennato precedentemente i disegni sono l’archeologia del l’evento, in questo caso etnografia dell’evento. Si tratta infatti di nuclei sociali, coloro che prendono vita e voce nello spazio, nuclei che vengono ben definiti all’interno della documentazione colta in ambito berlinese, popolare (con uno sguardo a ciò che è, ora come ora il significato del popolare). Dall’altra parte sono anche nuclei creati meccanicamente ed artificialmente, che vanno ad emulare testimonianze reali, in una finzione che utilizza un linguaggio semplice, ritmico ed orecchiabile. La collettività si crea e si presenta nella performance stessa in cui più gruppi e più documenti che riguardano lo stesso principio, quello di uno stato autonomo dei documenti acustici, diventa quasi storiamovimento di dati e documenti udibili ma equivocabili nella loro decontestualizzazione e nella chirurgia e realtà della loro presenza.

symbol, or on the aggressiveness which is necessary to manipulate a situation. The body in this case is an instrument, both in performances and concerts and in the drawings themselves. It's not a musical instrument, but it's architecture, it's a cavity, a means. But most of all the body as an instrument means movement. And it's exactly for this reasion that drawing and sound often cannot be separated by me: drawing, with its stillness, is often doubtful, semantic, while composition and sound itself are movement, transformation and metamorphosis of the symbol and of the meaning, both linguistically and merely acoustically. Speaking about this last project, I'd like to know what type of bond you established between sound and image, between sound installation and visual installation. How do you describe the single social bodies, in relation to a community? In this project I woudn't speak about bonds between sound and image, but rather of surgery in then images as if they were visual projections of what comes before the actual event in space. As I previously mentioned, the drawings are the archaelogy of the event, in this case ethnography of the event. In fact, they are social clusters, those who take life and voice in the space, clusters that are well defined inside the cultured documentation in the Berlin field, popular (with an eye on what, at this moment, the concept of “popular” means). On the other side they are also clusters created mechanically and artificially, which emulate actual evidence, in a fiction that uses a simple language, rhythmic and catchy. The community is created and presents itself in the performance itself, in which several groups and documents on a same principle, that of an independent status of sound documents, become almost a history-movement of data and documents, audible but equivocal in their decontextualization and in the surgery and reality of their presence.

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Ana Cigon, classe 1982, vive e lavora a Stanjel e Ljubljana, Slovenia. Le idee che sviluppa nei suoi progetti hanno un vasto campo tematico. Queste molte volte includono questioni basate sulla parità dei sessi, si interrogano su temi come le aspettative sul comportamento sessuale, lo sforzo per raggiungere la felicità, o la percezione e la riconsiderazione di valori sociali in generale. Tutte le tematiche sono legate al soggetto umano e alla sua posizione all’interno della società. Utilizza diversi media che spaziano dalla pittura alla video-art. Recentemente ha focalizzato la propria attenzione sull’uso del corpo per esprimere i concetti sopra elencati, e in particolare con l’uso della performance.

Ana Cigon, born 1982, lives and works in Stanjel and Ljubljana, Slovenia. The ideas developed in her projects deal with a broad thematic field. These many times include gender based issues, question themes such as the expectations on sexual behaviour, the struggle to achieve happiness, or the perception and reconsideration of social values in general. All are linked to the subject and its position in society. She uses different types of media to present her ideas. They range from video and painting to including new media. Lately, however, she has been shifting her focus to the body and performance.

Nel tuo lavoro parli spesso della percezione e della posizione della donna all’interno della società: penso in particolare al tuo importante e complesso progetto “Dear Ladies, Thank You”, nel quale hai dedicato una performance multimediale alla difficile vita di alcune artiste donne del passato. Come vedi le donne all’interno della nostra società, e come vuoi rappresentarle attraverso il tuo lavoro? Penso ci siano ancora molti aspetti nella nostra società che buttano la donna in una posizione inferiore o comunque ineguale rispetto agli uomini. Non possiamo comunque parlare di ineguaglianza in generale. La posizione di un individuo all’interno della società non dipende esclusivamente dal genere; vi sono anche altri aspetti sociali che definiscono le nostre vite. Ad esempio: stato sociale, razza, preferenze sessuali, e così via. Per questa ragione nella società di oggi dobbiamo considerare tutti questi parametri insieme. In “Dear Ladies, Thank You” ho indirizzato la questione della donna e della sua invisibilità all’interno della società dal punto di vista della storia dell’arte. Le donne artiste sono sempre state pressenti, ma spesso trascurate e dimenticate. Il problema consiste nell’ideologia della stessa storia dell’arte che privilegia gli artisti bianchi, uomini, nella società occidentale. Questo non sarebbe un problema, se al tempo stesso questa storia dell’arte (occidentale) non si fosse percepita come oggettiva e neutrale. Fortunatamente vi sono stati cambiamenti in questo campo, ma i problemi persistono. Le donne artiste, ad esempio,

In your work you often discuss about the perception and the position of the female in the society: I’m thinking especially about the important and massive project “Dear Ladies, Thank you”, in which you dedicated a multimedia performance to the hard life of female artists from the past. How do you see in particular the women within our society, how do you want to represent them through your work? I think that there are still many things in our society that put women in an inferior or unequal position towards men. We however can not talk about an inequality in general. A person’s position in society does not depend exclusively on gender there are other social positions that define our lifes too. For example: social status, race, sexual preferences and so on. For this reason in today society we have to look at all of these parameters at once. In “Dear Ladies, Thank You” I addressed the issue of the female in the society from the point of view of art history. I addressed the issue of invisibility of women artists in art history. Women artists have been present but are many times neglected and forgotten. The problem is in the ideology of art history itself which privileges white male artists from western society. This would not be a problem, if at the same time this art history would not perceive itself as objective and neutral. Fortunately there have been some changes in this area, but problems are still present. Women artists are for example selling much less, the prices of their work are much cheaper etc. A similar situation could


stanno vendendo molto meno, i loro lavori sono molto più economici, ecc. Una situazione simile potrebbe essere vista se guardiamo al numero di artisti neri o artisti provenienti dall’est Europa presenti nei libri di storia dell’arte, quanto riescono a vendere i propri lavori e a quale prezzo. Essere presenti all’interno di libri di storia dell’arte è importantissimo, perché questi sono standard che creano una sorta di linea continua di sviluppo e se certi gruppi di persone (donne, artisti est europei, gay/lesbiche..) non vi compaiono, questo potrebbe diventare il territorio di discriminazione nel futuro. Nel mio lavoro voglio dunque rappresentare le donne come parimenti creatrici di cultura e società, e dar spazio alle tematiche che discutono se questa uguaglianza sia già stata raggiunta o no e come si potrebbe agire per raggiungerla. Parliamo ora dei tuoi video, ed in particolare del lavoro “Perspective”; questo può sembrare apparentemente connesso al lavoro precedente, “One More Kick”. Quali sono le differenze, trovi una continuità tra di loro? Nella video installazione “Perspective” e “One More Kick” mi sono occupata di soggettività. La mia idea era di provare a rappresentare un soggetto come entità separata rispetto a qualcosa ad esso esterno. Entrambi i video hanno questo aspetto comune e sono anche simili nella performance. In entrambi inoltre vi è come soggetto una persona che cerca fisicamente di superare le restrizioni che le/gli stanno attorno. In entrambi i casi il tema del lavoro è venire lentamente spiegati, rivelati. Lo spettatore che guarda il lavoro penserà probabilmente in un primo momento “per quale motivo la persona di questo video si ostina a sbattere contro un muro? Cosa c’è dall’altra parte del muro? Per cosa vale la pensa provare questo dolore?”. In “One More Kick” la risposta era “per raggiungere la felicità”; ma l’obiettivo non viene in realtà mai raggiunto. Dopo questi calci non riusciti il video ricomincia con il titolo One More Kick che promette sempre di raggiungere l’obiettivo fino a quando ul altro calcio viene fatto – ma questo ancora non succede. Il soggetto è dunque bloccato in un loop continuo di perpetuo movimento, sempre cercando e mai riuscendo a raggiungere l’obiettivo. In “Perspective” vi è ancora un ciclo continuo. Qui

be seen if we checked how many black artists or artists from eastern Europe are in art history books, how well their art peace sell and for how much money. Being in art history books is important because this are standards that create a kind of continues line of development and if some groups of people (women, eastern European artists, gay / lesbian artists…) are missing in it, this can also be the ground for discrimination in future. In my work I therefore want to represent women as equal creators of culture and society and give space to the themes that question if this equality has already been reached or not and how could this be done. Let’s talk about your videos, and particularly about “Perspective”; this can be seemingly connected to the previous work “One More Kick”, what are the differences, do you see a continuity between them? In the video installation Perspective and One More Kick I deald with subjectivity. My idea was to try to represent a subject as a separate entity in relation to something outside of it. Bothe videos have this in common and are similar also in the performance. In both there is a subject a person that is physically trying to overcome the restrains around her (him). In both cases the theme of the work is being slowly unfolded. The viewer that sees the work will in first moments probably think the following “Why is the person in the video kicking into the wall? What is on the other side of the wall? What is worth such a pain?” In One More Kick the answer is “To reach happiness”, but the goal is actually never reached. After the unsuccessful kicks the video starts again with the title One More Kick that always promises to reach the goal as long as one more kick is made – still this never happens. The subject is therefore stuck in a continuous loop a perpetum mobile. Always trying and never reaching the goal. In Perspective we also have a continuous loop. Here the goal is again positioned outside of the reach of the subject, but the goal is not clearly defined as in One More Kick. The goal is not happiness but the contact with another subject. In Perspective two subjects are constantly trying to reach each other, to communicate, but they never succeed. Not only because there is a wall between them, but also because their actions are read differently depending on the view point of the exhibition visitor.


l’obiettivo è di nuovo posizionato esternamente alla portata del soggetto, ma il fine non è chiaramente definito come nel precedente video. L’obiettivo non è infatti la felicità ma il contatto con un altro soggetto. In “Perspective” due soggetti stanno continuamente cercando di raggiungersi l’un l’altra, per comunicare, ma non riescono mai. Non solo perché vi è un muro che li divide, ma anche perché le loro azioni vengono lette in modo diverso, in relazione al punto di vista dello spettatore. In “Perspective” vi sono tre proiezioni, così che da un lato dell’installazione si vedono due persone che cercano di raggiungersi l’un l’altra, mentre dal lato opposto sembra che stiano lottando. In questo caso, l’esterno di un soggetto è un soggetto altro che con la propria percezione, il proprio punto di vista – la propria prospettiva. L’installazione video “Perspective” tratta dunque delle relazioni tra persone, l’incapacità di queste di percepire il mondo nello stesso modo, e al tempo stesso è un invito al visitatore a cercare di percepire le problematiche del mondo da una diversa prospettiva. Sebbene non vi sia una relazione diretta fra i performers e il pubblico, vista l’incongruità fra spazio e tempo, si stabilisce una forte connessione tra di loro. Infatti la comprensione delle note di entrambi gli attori del video dipende dalla prospettiva dalla quale scegliamo di guardare il video. In cosa ti focalizzi prevalentemente, il corpo degli attori o il corpo dello spettatore? L’installazione “Perspective” coinvolge lo spettatore a camminare intorno all’installazione stessa, ad essere attivo e cercare risposte, cambiando posizione. Questo continuo camminare intorno all’installazione, questa attività, è il messaggio centrale del lavoro come metafora degli sforzi continui nel cercare prospettive differenti, che ci aiuterebbero a meglio comprendere il mondo nel quale viviamo. Mi focalizzo quindi sul corpo dello spettatore e sul suo movimento. Da un lato è l’organizzazione particolare dell’installazione a creare una drammaturgia dello spazio e come verrà scoperto, e dall’altro lato il corpo degli attori – le loro azioni e il dolore che può essere trasmesso attraverso immagine e suono – che stabilisce il punto centrale del lavoro.

In Perspective three projections are positioned so that from one side of the video installation we see two people trying to reach each other, while from the other side it looks like they are fighting. This outside of the subject is another subject with its own perception, own view point – own perspective. The video installation Perspective is therefore about the relations between people, the inability of these to perceive the world in the same way and at the same time an invitation to the visitor to trying to perceive the world any problematic from different perspective. Even if there’s no direct relation between the performers and the public, since there’s an incongruity of time and space, a strong connection between them is created. In fact, the understanding of the notes of both actors in the video depends on the “perspective” we choose to view the video from. Where’s your focus on, the actors’ bodies or the spectarors’? The installation Perspective engages the viewer to walk around the installation, be active and look for answers by changing position. This continuous walk around the installation, this activity is the main message of the work a metaphor for continuous effort in looking for different perspectives which would help us understand the world. My focus is therefor on the spectators’ body and its motion. It is on one side the special organization of the installation that creates a dramaturgy of the space and how it will be discovered and on the other side the body of the performers – their activity and the pain that can be felt through the image and sound - that is enabling this focus.

Perspective, 2010, video installation, loop.



Nasce a Kranj nel 1978. Studia all’Accademia di Belle Arti di Lubiana e si laurea in scultura. Il suo lavoro si basa sull’uso del video come strumento volto a mostrare l’utilizzo dei suoi dispositivi, “estensioni” del corpo creati da lui per un determinato scopo. Gli “abiti” di cui si riveste sono da lui usati spesso con humor per mostrare come la nostra routine stia diventando sempre più automatizzata e standardizzata: le sue azioni ci rendono consapevoli dei paradossi dei nostri comportamenti quotidiani. Tomaz vive a Ljubljana e lavora nel suo studio nel centro culturale autonomo Metelkova City di Ljubljana.

Nella serie “Wear”, attraverso semplici ma particolarmente efficaci video performance, sei capace di centrare appieno il tema sul quale questa mostra si basa, il fatto cioè che il corpo dell’uomo contemporaneo appaia come una superficie attraverso la quale subiamo e assorbiamo ogni tipo di potere e processo derivante dalla società e dalle sue strutture contemporanee di base quali la tecnologia, i media, e i loro strumenti. Potresti dirmi qual è il tipo di corpo che scegli di rappresentare bei tuoi progetti, e qual è l’immagine che cerchi di rappresentare e trasmettere di individuo all’interno di una società? Voglio rappresentare lui! Tanto per partire. Il processo di creazione della serie “Wear” non è né previsto in precedenza né ha una costruzione teorica alla sua base. Viene progettato in studio dall’inizio alla fine in un processo più o meno sperimentale; il risultato della narrazione della video performance riguarda soprattutto la mia esperienza personale. Comunque, la mia personale esperienza riguarda soprattutto il fatto di essere coinvolto all’interno di un lavoro fisico. Dal mio punto di vista, della mia esperienza, il corpo del quale stiamo parlando è come combustibile per la società. Quello che più mi colpisce delle tue “Wear series”

Born in Kranj in 1978. He studied at the Fine Arts Academy and graduated in sculpture. His work is based on the use of video as a tool to illustrate the use of its devices, “body extensions” made by himself for certain purposes. The “clothes” he wears are used with humor to show how our daily routine is becoming more automated and standardized: his actions make us aware of the paradoxes of our daily behavior. Tomaz lives in Ljubljana and works in his studio in the autonomous cultural center Metelkova City in Ljubljana

In the “WEAR” series, through very simple but absolutely efficient video performances, you are able to perfectly center the central topic of this exhibition, the fact that the modern human body appears like a covering through which we suffer and absorb any kind of power and process within the society and its primary structures like technology, medias, and apparatus. Could you tell me which kind of body you choose to represent in your works, and what’s the image of the individual within the society you attempt to convey? Him! Just for start. Process of creating Wear series is not preplanned or has theoretical construction. It is designed in studio from beginning to end in more or less experimental process. , the narrative outcome of video performance is about my personal experience. Anyway my personal experience is mostly about being involved in physical work. From my experience the body we’re talking about is like a fuel to society. Something that really strikes me of your Wear series is the perfect combination of different artistic media within your work: installation, sculpture, performance, video, sound installation, which support each other to create a clear image with an intuitive message. Which one do you consider the best your work among all these kind of practices? Is your principal aim to perform and create a


è la perfetta combinazione all’interno del tuo lavoro di media artistici differenti: installazione, scultura, performance, video, installazione audio; questi si supportano e collaborano a vicenda per creare una chiara immagine di ciò che vuoi rappresentare, con un messaggio intuitivo. Quali di questi media consideri più adatti al tuo lavoro? Qual è il tuo scopo, esibirti ed esibire un messaggio stabilendo così una connessione con il pubblico, o semplicemente creare e riprodurre un video e trasmettere un messaggio allo spettatore? Mostrare il video e trasmettere un messaggio al fruitore è più che sufficiente per me. Inoltre, non ho mai considerato una pratica artistica che uso più o meno importante rispetto alle altre. Quindi non ho mai deciso quale di queste preferisco. Tramite il processo creativo considero le pratiche artistiche come strumenti per esprimere un messaggio. Tutto ciò riempie il mio bisogno di fare fisica come scultore ed ingegnere, e anche tutta la gioia di eseguire e creare da esso nuovi media. Gli “oggetti interattivi” all’interno dei tuoi lavori non sono così “contemporanei” dal momento che non hanno niente a che vedere con le nuove tecnologie intelligenti, i supporti high tech, ecc. Non sembrano infatti così utili come dovrebbero essere, dato che i movimenti e le azioni del corpo appaiono come forzate. In particolare, mi viene in mente Merleau Ponty che parlava del corpo come il generale mezzo per possedere il mondo poiché tramite le nostre attività fisiche possediamo e posizioniamo gli oggetti nel mondo stesso. Sono questi oggetti “ornamenti” utili a stabilire la nostra presenza nel mondo, o vuoi comunicare, tramite i tuoi lavori, che viviamo in una società fatta di non-libertà e di auto-tortura, nella quale anche gli oggetti ci dominano? Cosa essi rappresentano in relazione al corpo? Nei miei lavori, ma non solo, in relazione al corpo le macchine rappresentano la società. Simboleggia un “modo di vivere” che non ho nessuna intenzione di correggere o offrire una migliore soluzione. Da parte mia, “Wear” rappresenta con sarcasmo la vita ordinaria. Il corpo umano è ancora il carburante di base per il gigantesco apparato sociale. Non c’è niente di specifico che voglio dire! L’interpretazione

connection toward the public, or simply showing a video and transmitting a message to the spectator? Simply showing the video and transmitting the message to spectator is more than enough to me. I never recognized art practices I use as more or less important to me. So I had never decided what I prefer. Through a creative process I find practices as tools towards expressing a message. It fills my need to create physical as a sculptor and engineer and also all the joy of performing and creating media out of it. The “interactive objects” in your works are not really contemporary since they have nothing to share with the new smart technologies, high tech devices, etc. They don’t seem as helpful as they were supposed to be, since the body’s movements and actions appear constrained. In particular, Merleau Ponty referred to the body as a general medium for possession of the world because through our bodily activities we position objects within the world itself. Are the objects, “garments”, helpful to establish our body in the world, or you want to say that we live in a society of non-freedom and self-torture, in which even the objects are enslaving us? What do they represent in relation to the body? In relation to body, machines represent society. It is a symbol of “way of life” which I have no intention to correct or offer a better solution. From my position Wear is sarcasm of regular everyday life. The body of human is still a basic fuel for the gigantic apparatus of society. There is nothing specifically I want to say! Interpretation is open to everyone. My trying is towards finding basic end elementary happening, that’s allowing spectator to identify himself. I’ve had the great opportunity to be invited inside your studio in Metelkova, Ljubljana, in which I could assist to the “artist’s chaos” of old furniture, objet trouvé of your city. Can you explain synthetically your approach to your work and the process that leads you to find an abandoned object needful for your sculptures? I have managed to find a space for studio in a surrounding of chaotic and extremely creative part of my town. Squat Metelkova mesto is full of all kind of useful materials and objects. Creating is experimental


è aperta a tutti. Il mio tentativo è verso la ricerca di eventi basici ed elementari, che portino lo spettatore ad identificarsi in quelle azioni. Ho avuto l’onore di essere invitata nel tuo studio in Metelkova City, a Ljubljana, dove ho potuto assistere al “caos d’artista” contenente vecchi mobili, ferraglie, object trouvé della tua città. Puoi spiegarmi in breve il tuo approccio al lavoro ed al processo che ti porta a considerare un oggetto a prima vista inutile, utile per le tue sculture? Sono riuscito a trovare uno spazio per lo studio in un’area della parte più caotica ed estremamente creativa della mia città. Lo squat “Metelkova Mesto” straborda di materiali utili e di oggetti. Creare è un processo sperimentale; il mio studio è pieno di cose abbandonate e per questo utili. Le uso per ispirazione. Costruire e distruggere nuovi oggetti costituisce un’ infinita possibilità: questa è la parte fondamentale del mio processo sperimentale. Anche il fatto di riciclare e ri-utilizzare materiali aiuto nella creazione di oggetti e di situazioni che sono meno sintetiche e distanti dalle persone. Ho trovato importante creare macchine da materiali riciclati e crudo di tratti “modaioli”, allontanandomi in questo modo da una rappresentazione legata solo al visivo o al design. Sto cercando infatti di esprimere una “storia intrinseca”, libera da ogni perfezione visiva.

process. My studio is full of all kind of abandoned and useful staff. I use it as inspiration. It is a never ending possibility to construct or deconstruct new objects. That is a fundamental part of my experimental process. Also the fact of recycling and reusing material is helping in creating objects and situations that are less synthetic and distant from a person. I found important to create machines out of recycled material and in raw fashion so I would not engage in a field of design or just visual representation. I’m trying to express “inside story” freed from visual perfection.

Wear VI, 2008, videoperformance (foto Dejan Habiht 2008)



Guardiamo al corpo come a una superficie da modellare, adattare, definire secondo i dettami della moda sociale che così ci stigmatizza, per lasciare una traccia indelebile e al contempo a elevato grado di mutevolezza nel tempo. Guardiamo al corpo, tuttavia, anche come meravigliosa superficie che parla di ciò che siamo, di quanto abbiamo vissuto e che lascia trasparire ora in modo più marcato, ora in modo meno decifrabile, le ansie e le paure che viviamo nell’intimo. Il corpo ha da sempre stimolato attenzione, azione e l’Arte non si è mai esentata dall’indagare e trarre da questi circuiti corporei ispirazione per parlare dello stato sociale del suo tempo.

We look at the body as a surface to mould, adapt, define, according to the dictates of a social trend which stigmatizes us, in order to leave a permanent trace but, at the same time, highly changeable in time. Nonetheless, we also look at the body as a wonderful surface that talks about what we are, what we have lived and that reveals, now more evidently, now in a less decipherable way, the anxiety and fears that we live in our depths. The body has always aroused attention and action, and Art has never got out of investigating and gaining inspiration from these “corporal circuits” to talk about the social condition of its time.

Oggi porsi in modo più forte a fianco dell’Arte per sostenere chi propone nuovi punti di vista, o provocazioni capaci di ripristinare uno sguardo sovente distaccato dal reale, è dimostrazione di consapevolezza verso una tematica tanto tradizionale quanto sempre arricchita di nuove sfumature, utili a comprendere la società in cui viviamo. Sostenere e affinare la coscienza del rapporto con il proprio corpo significa promuovere in primo luogo una crescita con profondi riflessi sulla percezione di sé, che potrà successivamente incidere sul delicato equilibrio che ognuno ha con il modo esterno. Parte del Progetto culturale per il 2013 del Gruppo Vignato, in cui la Fondazione Vignato per l’Arte rientra, è dedicato a indagare l’alterato rapporto con il proprio mondo orale, “luogo” della nostra corporeità ad elevato valore simbolico, che implica una profonda indagine su se stessi per affrontare ciò che irrazionalmente ci spaventa, portando a un disequilibrio che solo l’analisi e la conoscenza permettono di ripristinare. Ecco dunque che i punti di contatto tra Scienza e Arte ancora una volta emergono nella comune e costante ricerca di ciò che si nasconde nella superficie del reale, aggiungendo alla scientificità del metodo la componente insostituibile e più aleatoria del possibile.

Nowadays, standing alongside Art in a stronger way, in order to support those who propose new points of view or provocations able to restore a look often detached from reality, is a demonsration of awareness towards a theme that is as traditional as always enriched with new nuances, useful to understand the society in which we live. Supporting and improving the awareness of the relation with one's body means to promote, first of all, a growth with deep repercussions on one's perception on themselves, which can then affect the delicate balance that each one has with the external world. Part of the “Cultural Project for 2013” by the Vignato Group (in which the Vignato Foundation for Art is included) is dedicated to looking into the altered relation with one's own oral world, a “place” in our corporeity with a high symbolic meaning, which implies a deep investigation on ourselves in order to face what irrationally frightens us, leading to a disequilibrium that can be restored only with analysis and knowldge. There, the points of contact between Science and Art again emerge in the common and constant search for what hides behind the surface of reality, adding to the scientific nature of method the irreplaceable and more uncertain element of possibility.

Elisa Paiusco Direttore Fondazione Vignato per l’Arte

Elisa PaiuscoW Director Vignato Foundation for the Arts


Si ringraziano gli Artisti per la loro partecipazione: Jacopo Pagin: www.jacopopagin.tumblr.com Kensuke Koike: www.kensukekoike.com Špela Volcic: www.spelavolcic.net Matteo Valerio: matteovalerio@gmail.com Ryts Monet: www.rytsmonet.eu Roberta Busechian: robertabusechian@gmail.com Ana Cigon: www.anacigon.si Tomaž Furlan: tomaz.furlan@yahoo.com

Un sentito ringraziamento al Sindaco di Caldogno e all’Assessore alla Cultura del Comune di Caldogno che hanno patrocinato l’ evento permettendo la realizzazione della mostra all’ interno della Galleria d’ Arte Bunker nel complesso palladiano di Villa Caldogno. www.comune.caldogno.vi.it Si ringrazia inoltre AreaArte e Fondazione Vignato per la preziosa collaborazione e gli sponsor, senza i quali questo progetto non sarebbe stato realizzabile.

La Curatrice: Carolina Ongaro carolongaro@gmail.com


Galleria d’ Arte Bunker Caldogno (VI)


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