La Fotografia a Modena. Progetto per la riqualificazione dell'area ex-A.M.C.M.

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Progetto per la riqualificazione dell’area ex-A.m.c.m.

La fotografia a Modena

Luca Caselli - Federica Lodi




In copertina: fotografie di Luca Caselli. Luigi Ghirri, Un piede nell’Eden, in Bizzarri G., Ghirri L., Giardini in Europa, Essegi, Fusignano, 1988.


Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di Laurea Magistrale in Architettura e Disegno Urbano A.a. 2021-2022

LA FOTOGRAFIA A MODENA PROGETTO PER LA RIQUALIFICAZIONE DELL’AREA EX-A.M.C.M.

REL ATORI

CANDIDATI

Prof. Massimo Ferrari Prof.ssa Claudia Tinazzi

Luca Caselli 942954 Federica Lodi 943121

Sessione di laurea del 21 dicembre 2021


Modena, as we see it and live it today, is the result of continuous overwriting. The city’s contemporary shape comes from the constructive process of its urban form and identity with a high historical value. A vast photographic patrimony documents the history of Modena from the appearance of the camera to today. It offers evidence and memory of how much the city’s image, in its historical stratification and its current energies, is rooted in the very consciousness of the Modenese community. Analysing those distinctive signs that define the city’s identity, it was immediate to find, in some shots, places and atmospheres that actually are Modena, that paint Modena as it really is. In this panorama, the area of ex-A.M.C.M. emerges as a characteristic element of the city. Located outside the impassable perimeter of the city walls, from the beginning of the 20th century, it marked a turning point for Modena’s industrial and urban development. The photographic patrimony reveals to be the instrument through which the requalification of abandoned areas, among which the ex-A.M.C.M., becomes an occasion to give new valour to an urban portion and to reaffirm the city’s identity. The research deals with the extension project for the Fondazione Modena Arti Visive, starting from a study on the cultural panorama of Emilia and an urban historical survey on the city of Modena.


ABSTRACT

La Modena che oggi osserviamo e viviamo è il risultato di una continua sovrascrittura, del processo costruttivo di una forma e di un’identità urbana dall’elevato valore storico. Il vasto patrimonio fotografico che documenta la storia di Modena dalla comparsa della macchina fotografica ad oggi si offre come testimonianza e memoria di quanto l’immagine della città, nella sua stratificazione storica e nelle sue energie attuali, sia radicata nella coscienza stessa della collettività modenese. Dall’analisi di quei segni imprescindibili che definiscono l’identità della città è stato immediato il riscontro, in certi scatti, di alcuni luoghi o di alcune atmosfere che dipingono e sono Modena stessa. In questo panorama, l’area dell’ex-A.M.C.M. emerge come un elemento caratterizzante per la città. Posta al di fuori del perimetro invalicabile della cinta muraria, a partire dagli inizi del XX secolo segna un punto di svolta per lo sviluppo industriale e urbano a Modena. Il patrimonio fotografico si offre dunque come lo strumento attraverso il quale la riqualificazione di aree dismesse, tra cui l’ex-A.M.C.M., diventa un’occasione per rivalorizzare una porzione urbana e riaffermare l’identità della città. La ricerca affronta il progetto di ampliamento per la Fondazione Modena Arti Visive, a partire da uno studio sul panorama culturale emiliano e da un’indagine storico urbana sulla città di Modena.



INDICE

Introduzione Capitolo 1

Capitolo 2

Capitolo 3

L’Emilia Morfologia, geologia, idrologia Insediamenti Infrastrutture e mobilità Panorama culturale La fotografia in Emilia

1 3 7 11 15 17

Modena Modena preromana Modena romana Modena tardoantica Modena rinascimentale Modena capitale Modena risorgimentale Modena nel Novecento Modena oggi

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L’identità della città I segni imprescindibili La città e l’acqua Le mura della città nei secoli Piazze e giardini nella città compatta Spazi verdi e spazi urbani

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31 35 43 45 49 53 61

69 73 77 81


Capitolo 4

Capitolo 5

Capitolo 6

La fotografia a Modena Uno sguardo sulla città Modena città di fotografi Fotografi di ieri Fotografi di oggi La Fondazione Modena Arti Visive Le collezioni Gli spazi per la fotografia

85 89 93 101 109 111 117

A.M.C.M. Lo sviluppo industriale a Modena Il ruolo dell’A.M.C.M. L’ex-A.M.C.M. oggi Il progetto Il legame con la città Le piazze L’asse verde Una visione d’insieme Lo spazio espositivo L’archivio La scuola

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Bibliografia Sitografia

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INTRODUZIONE

“In fondo in ogni visitazione dei luoghi portiamo con noi questo carico di già vissuto e già visto, ma lo sforzo che quotidianamente siamo portati a compiere, è quello di ritrovare uno sguardo che cancella e dimentica l’abitudine; non tanto per rivedere con occhi diversi, quanto per la necessità di orientarsi di nuovo nello spazio e nel tempo.” 1 (Luigi Ghirri)

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Ghirri L., Paesaggio italiano, 1989.

Le ragioni che fin dall’inizio ci hanno guidato in questo percorso di tesi provengono da una condivisa volontà di cancellare quello che Luigi Ghirri ha definito sguardo ordinario, con cui quotidianamente abbiamo percorso le strade e le vie di Modena. Guardare quindi con occhi diversi, occhi più maturi, le relazioni che legano la città, che prima avevamo semplicemente visto, al suo territorio per conoscerlo e comprenderlo sia attraverso l’architettura che la fotografia. Nel panorama emiliano la storia e la cultura fotografica sono profondamente radicati, tanto che si può parlare di una vera e propria scuola diffusa e legata ad autori precisi, da Franco Vaccari a Guido Guidi, fino a Luigi Ghirri, e questo sistema trova un suo fulcro proprio nei territori modenesi. Autori come Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Franco Fontana e non solo, diversi per territori di provenienza e vocazione, hanno tramandato alle nuove generazioni una loro visione della città, ritratta mentre I


attraversava l’epoca moderna, il progresso economico e sociale, fino ad oggi. Attraverso i loro scatti è possibile osservare l’evoluzione della Modena di ieri e la condizione di quella di oggi, immaginando allo stesso tempo possibili scenari progettuali per la Modena del futuro. All’interno di questo panorama, la Fondazione Modena Arti Visive opera un’importante azione di raccolta del vasto patrimonio fotografico presente nel territorio modenese, mancando tuttavia di una sede univoca in cui sia il materiale d’archivio che gli spazi espositivi possano confluire. Il tema della fotografia si propone quindi come lente d’ingrandimento per percorrere l’evoluzione della città, i suoi valori e i suoi luoghi identitari, offrendosi allo stesso tempo come strumento per guidare il progetto architettonico. Prima di intraprendere la fase progettuale, il percorso di ricerca è partito innanzitutto da un approfondimento sul territorio emiliano, studiandone la morfologia e l’idrografia, indagandone gli insediamenti lungo la Via Emilia, fino alle principali infrastrutture lungo le quali si snodano, una dopo l’altra, le diverse province. Conoscerne il panorama culturale non è stato di secondaria importanza, in quanto fondamentale per comprendere quanto le città emiliane siano salde tra loro grazie ad una disciplina come la fotografia. Solo così facendo è stato possibile contestualizzare al meglio la complessità di Modena. II


Allo stesso modo, il progetto di architettura non può prescindere dallo studio della città. La lettura e la rielaborazione della cartografia storica sono stati gli strumenti per scavare a fondo nell’evoluzione densa e stratificata di Modena, la quale ha lasciato segni tangibili sul territorio, dalle piazze, ai parchi, ai monumenti e si offre al nostro sguardo attento come un abaco di regole compositive sia dello spazio aperto che di quello costruito. Dalla cartografia, così come dagli scatti fotografici, Modena si indentifica da sempre nel suo centro storico, dal medioevo fino agli inizi del Novecento definito e racchiuso entro le mura difensive. Esse persistono come segno indelebile nella morfologia urbana, rimarcando una separazione piuttosto netta tra quello che viene identificato come nucleo antico, denso e compatto, e la città d’impianto più recente. Qui, l’area dell’ex-A.M.C.M. sorge come un fatto urbano insolito: un luogo dal carattere industriale, a pochi passi dal centro e in un contesto residenziale. Nel raccontare Modena è emerso il solido legame che unisce le ex Aziende Municipalizzate alla città, vincolo che risiede nella capacità di aver garantito per quasi un secolo tutta una serie di servizi ai cittadini, una rete di trasporto pubblico che collegasse la periferia al centro storico, fungendo parallelamente da propulsore per lo sviluppo industriale e urbano. III


Così come per Modena, è stato ugualmente fondamentale percorrere passo dopo passo le vicende storiche che hanno riguardato l’area dell’ ex-A.M.C.M., fino al capitolo conclusivo del nostro percorso che riguarda il progetto per l’ampliamento della Fondazione Modena Arti Visive. “Il passo da fare è di approfondire la storia fino al punto – non sembri un paradosso – di dimenticarla: dobbiamo portare tutta la storia (s’intende quella che fa parte della nostra scelta) nel presente e, con altrettanta responsabilità, tutto il presente nella storia.” 2 Modena è ricca di storia, di segni e di elementi che ne hanno definito e che ne veicolano tutt’oggi il carattere e l’unicità. Il riconoscere questa realtà, le relazioni tra elementi e identità urbana, guida il progetto architettonico nel momento in cui si assume la tradizione, ciò che è memoria, attivamente, “come portare oltre, eliminando in larga misura i luoghi comuni, le nostalgie, le imitazioni.” 3 Proprio per questo, lo studio della città e la progettazione non devono essere letti come due fasi separate e consequenziali, ma come un unico obiettivo attraverso il quale, con uno sguardo stra-ordinario, guardare Modena.

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Rogers E. N., Editoriali di Architettura, 2009, p. 130. 3 Ivi, p. 129.

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L’EMILIA

Per comprendere la complessità e l’unicità che caratterizzano una città come Modena, per apprezzarne la storia e scavare attraverso gli strati della sua forma urbis, è necessario fare un passo indietro e ampliare lo sguardo ad un panorama più ampio, ovvero quello dell’Emilia. Parlando di Emilia è automatico il binomio con la Romagna, due porzioni riconoscibili di un’unica regione tra le venti che l’Italia annovera. Un binomio dalla storia complessa che ha reso questo territorio unico e variegato, ricco di identità culturali differenti e che ha sempre offerto a viaggiatori ed esploratori un’immagine compatta e unitaria. L’oggetto d’interesse in questo nostro percorso di studi ha avuto inizio, in particolare, dai territori emiliani, quelli che gli studiosi definiscono anche “lombardi” poiché si sono inscritti in quella vasta area padana attorno alle città dell’antica via Consolare: da Piacenza, passando per Parma e Reggio Emilia, fino a Modena, proseguendo per Bologna e Rimini. Terra, dunque, dalle origini lontane e incerte, che prende il proprio nome da un’antica strada e si estende per una superficie definita da due limiti fisici indelebili: il Po e la catena degli Appennini. Il paesaggio emiliano, che si distingue per i propri elementi fisici e morfologici, è diventato il soggetto protagonista di racconti, dipinti e fotografie attraverso cui i rispettivi autori hanno cercato di catturarne l’essenza e la peculiarità. 1


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MORFOLOGIA, GEOLOGIA, IDROLOGIA “Modana siede in una gran pianura / che da la parte d’austro e d’occidente / cerchia di balze e di scoscese mura /del selvoso Appennin la schiena algente. “ 1 (Alessandro Tassoni)

A sinistra: l’Emilia con i principali corsi d’acqua (rosso), la pianura con i depositi fluviali (marrone chiaro), gli Appennini e i depositi di rocce ofiolitiche (marrone scuro). Tassoni A., La Secchia rapita, 1622, in Fontana F., Aemilia, 1993.

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L’Emilia si caratterizza per una suddivisione piuttosto netta e lineare del territorio in tre porzioni. È costituita infatti a sud da una parte montuosa, con l’Appennino Ligure e l’Appennino Tosco-Emiliano, una parte collinare e l’altra pianeggiante, conosciuta come Pianura Padana. La pendenza combinata della pianura, da sud a nord e da ovest ad est è ulteriormente enfatizzata dal reticolo idrografico, i cui principali corsi d’acqua hanno origine sugli Appennini, discendono fino in pianura per poi confluire nel principale corso d’acqua che definisce a nord il perimetro regionale, ovvero il fiume Po. Quest’ultimo, che nasce in Piemonte e sfocia nel Mar Adriatico dopo aver attraversato la Pianura Padana, grazie alle sue caratteristiche fisiche e alla posizione geografica, è stato il panorama di numerosi eventi storici, sociali ed economici sin dall’antichità. Il collegamento con il fiume ha interessato la costruzione e la collocazione delle città fin dai primi insediamenti. I romani organizzarono il territorio attraverso la centuriazione e la regolamentazione dei canali. In epoca medievale, tutti i centri emiliani provvedono al collegamento con il Po 3


attraverso la realizzazione dei navigli e dei relativi porti. Il territorio emiliano, in particolare la pianura, si caratterizza per la presenza di due principali categorie di terreni, limosi e argillosi, che si distinguono per la maggiore o minore permeabilità. In questa classe, a differenza di quella dei terreni ghiaiosi e sabbiosi, i depositi superficiali si accumulano formando uno strato dove l’acqua fa fatica ad infiltrarsi e quindi resta in superficie. Questo fenomeno fa sì che il paesaggio emiliano si distingua per fitte nebbie stagionali, che caratterizzano il panorama. In Esplorazioni sulla Via Emilia, uno scritto di Gianni Celati rimarca questo aspetto del territorio emiliano, le cui terre “sono un antichissimo golfo di paludi colmate per lo più da argille, dove le piogge scorrono o evaporano senza essere trattenute dal suolo”. Lo scorrere dei fiumi ha avuto un ruolo fondamentale nella definizione della pianura, la quale deriva infatti dalla sedimentazione di quei materiali rocciosi erosi dalle montagne e che poi le acque hanno trasportato fino a valle. Gli Appennini si compongono principalmente di roccia arenaria, ad eccezione della porzione di appennino nei pressi dei territori piacentini e parmensi, i quali si distinguono per la presenza di sedimentazioni di rocce ofiolitiche, che ha origini magmatiche. La morfologia superficiale di questa parte della Pianura Padana deriva dal concorso di numerose cause di varia natura spesso correlate tra loro: dinamica fluviale, subsidenza 4


naturale, geologia del sottosuolo, terremoti, variazioni climatiche, variazioni del livello del mare e, soprattutto nei periodi più recenti, dalle attività umane. All’interno di questo complesso paesaggio, in un’area strategica racchiusa tra i fiumi, nel 183 a.C. viene fondata Mutina, la colonia romana. Quest’ultima sorge su un territorio prettamente pianeggiante, in quella parte di Pianura Padana che può distinguersi come media pianura, la quale comprende altre città limitrofe come Carpi, Campogalliano, Soliera, Bomporto e San Felice sul Panaro. In particolare, il territorio modenese è lambito da due corsi d’acqua principali: il Secchia e il Panaro. Il Secchia nasce nei pressi del passo Cerreto, sull’Appennino Reggiano, a Sassuolo sbocca in pianura e sfocia in Po nella Provincia di Mantova a nord di Quistello. Ha uno sviluppo totale di 172 km e, una volta raggiunta la pianura, scorre per circa un’ottantina di km. Il Panaro nasce nell’Appennino Modenese dalla confluenza dei torrenti Leo e Scoltenna; raggiunge la pianura nella zona di Vignola e sfocia nel fiume Po nella Provincia di Ferrara a nord di Bondeno. Ha un’estensione totale di 148 km, di cui una settantina percorsi in pianura.

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INSEDIAMENTI “La strada dove Menini abitava passa per alcune città di media grandezza e arriva fino al mare, percorrendo una tra le pianure meno ventilate della terra. È una linea divisoria tracciata non so quanto tempo fa tra terre alte e terre basse, che non presenta mai orizzonti molto lontani, perché è chiusa su un fianco dal profilo collinare e sull’altro da campi coltivati che spuntano quasi ad altezza d’occhio.” 1 (Gianni Celati)

A sinistra: l’Emilia con la ricostruzione della centuriazione romana e la Via Emilia (rosso), le province. Celati G., Esplorazioni sulla Via Emilia. Scritture nel paesaggio, 1986, p.35. Gianni Celati descrive il paesaggio attraversato dalla strada lungo la quale abitava il pittore e amico Emanuele Menini, ovvero la Via Emilia.

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Almeno a partire dal II millennio a.C., l’assetto del territorio ed il popolamento della Pianura Padana sono stati fortemente condizionati dal rapporto con la natura, in particolare con i corsi d’acqua. Per ricavare spazio utile all’agricoltura, il territorio è stato man mano plasmato da grandi bonifiche, regimentando le acque e incanalando l’energia idraulica per alimentare mulini e generare forza lavoro. A partire dalle grandi ristrutturazioni agrarie degli Etruschi e dei Romani arrivando ai giorni nostri, il territorio della medio-bassa pianura Modenese è quasi completamente dedito alle coltivazioni. Sono ancora visibili le tracce del sistema ortogonale della centuriazione romana: la rete viaria, dall’asse della Via Emilia a quelli secondari, e parte dell’idrografia principale sono d’antico impianto. L’organizzazione del territorio da parte dei romani prevedeva infatti due orientamenti definiti dal decumanus e dal cardo. 7


La distanza tra le principali città disposte lungo la Via Emilia, nonché il decumano massimo, è piuttosto regolare e ciò è riconducibile all’antico sistema della “stazione di posta”, caratterizzato da una serie di aree di sosta per corrieri e cavalli. Questo sistema di posta, denominato cursus publicus, risale all’epoca dell’imperatore Augusto. Le tappe erano disposte lungo le maggiori strade a distanze abbastanza regolari di circa otto o dieci miglia. Questo sistema organizzativo era delimitato a nord dall’asse fluviale del Po, via di comunicazione parallela e complementare alla Via Emilia. Il sistema insediativo in Emilia, ancora oggi in gran parte conservato, si fonda dunque proprio su quest’ultimo asse generatore, caratterizzato dalla disposizione in serie delle province, connesse alle altre città dislocate nel territorio con una maglia ortogonale costituita da altre strade e canali. Nel XII secolo, con la crescita della borghesia cittadina e l’istituzione delle realtà comunali, l’organizzazione territoriale, fino a quel momento dettata dalla centuriazione, si stratifica con la sovrapposizione di un nuovo impianto radiale, dettato dalle necessità di espansione dei comuni sul contado. In questo nuovo sistema di insediamento si trovano le basi dei fondamenti delle unità provinciali. La centuriazione del territorio compreso tra Modena e l’altra provincia limitrofa, Bologna, è stata adeguata alla naturale 8


pendenza del terreno. Tuttavia, si ipotizza che lo scorrere veloce di fiumi e torrenti nel territorio tra il Secchia e il Panaro, ai piedi degli Appennini, abbia cancellato le tracce della centuriazione romana. All’interno di questa trama regolare e organizzata è interessante osservare il caso particolare della città di Modena, la quale in origine si inseriva perfettamente in questo disegno geometrico, ma la cui forma urbana risponde oggi ad un altro linguaggio. A differenza di tutte le altre città poste lungo la Via Emilia, Modena è infatti l’unica che non conserva più l’antico nucleo d’impianto romano. Il suo centro storico, che risale all’XI secolo, si caratterizza per la fitta trama urbana medievale in cui gli isolati sono stati scolpiti dal passaggio dei canali e non rispondono ad un vero e proprio disegno regolare. L’unica traccia ancora indelebile dell’antico sistema romano è la Via Emilia, che continua ad attraversare il cuore di Modena mantenendone saldo il legame con le altre città.

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INFRASTRUTTURE E MOBILITÀ “Tanto servì e tanto seppe questa strada, che la gente chiamò infine la regione della strada, non la strada della regione”. 1 (Riccardo Bacchelli)

A sinistra: l’Emilia con il sistema delle infrastrutture e i principali insediamenti. Bacchelli R., Il mulino del Po, in Bizzarri G., Bronzoni E. (a cura di), Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, 1986, p. 1. 2 Riccòmini E., Emilia lombarda, terra di passo; amore del concreto, e dell’eccesso, in Attraverso l’Italia. Emilia Romagna, 1985, p. 9. 3 Bizzarri G., Bronzoni E. (a cura di), op. cit., 1986, p. VII. 1

Il destino dell’Emilia è stato profondamente segnato dal passaggio di un’antica strada, un’importante via di comunicazione che da secoli attraversa il territorio. Non ci si deve dimenticare, infatti, che la regione emiliana è l’unica realtà geografica a livello nazionale che prende il nome da una strada e non viceversa. È inevitabile, descrivendo questo lembo di territorio, non fare un omaggio all’antichissima strada che da sempre ricuce la regione, stabilendo la direzione privilegiata e scandendo il ritmo del viaggio in tappe sempre uguali.2 Lungo il suo tracciato si sono sviluppate numerose civiltà e gli insediamenti che un tempo erano colonie romane, poi borghi medievali, stazioni di posta, si sono oggi evoluti in paesi industriali e grandi città. Il sistema della Via Emilia è stato il principale diffusore di organizzazione ed innovazione industriale all’intero territorio regionale, espandendosi da questo asse man mano verso la pianura e l’appennino.3 Oggi, infatti, l’antichissima strada attraversa la campagna, dove il verde della pianura è ritmicamente interrotto da fabbriche e industrie differenti. Nel dopoguerra, ad esempio, le maggiori imprese industriali 11


si concentravano ormai da tempo lungo l’asse della Via Emilia, ed erano specializzate principalmente nel settore metallurgico, meccanico e alimentare. La Via Emilia, insieme al sistema delle acque, influenza ancora oggi l’orientamento delle infrastrutture e dei sistemi di comunicazione. L’Autostrada del Sole A1 e la ferrovia scorrono parallelamente all’antico asse romano, mentre altre strade provinciali e statali si distribuiscono nel territorio seguendo la direzione della rete idrica e collegando i nuclei abitati secondari. Il principale nodo regionale per il trasporto aereo è l’aeroporto “Guglielmo Marconi” di Bologna, seguito dal “Giuseppe Verdi” di Parma. Con il conurbamento la Via Emilia si popola di nuove coniugazioni tra i segni dell’antico e le nuove forme dello sviluppo economico e urbano, perdendo la sua scansione millenaria e cedendo la funzione di arteria principale all’autostrada che le scorre parallela.4

A destra: Via Emilia, Cesena, Guido Guidi, 1985. 4

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Ivi, p. 2.


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PANORAMA CULTURALE

A sinistra: l’Emilia, il panorama culturale e la fotografia. 1 Bacchelli R., Il mulino del Po, in Bizzarri G., Bronzoni E. (a cura di), Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, 1986, p. 1.

Il territorio emiliano si prospetta dunque agli occhi dell’osservatore cucito insieme dalla strada antichissima e così se ne ha memoria da quando l’uomo si è insediato in queste terre. I canali, le strade e le stazioni di posta hanno contribuito in origine a porre i saldi cardini nella trama della centuriazione e su questa rete si poggiano oggi le importanti vie di comunicazione che collegano con fluidità le province emiliane, da Piacenza a Rimini. La regione della strada, per riprendere le parole di Bacchelli 1, è un unico ecosistema, con la propria identità morfologica, strutturale, un territorio che da tempo affronta il tema della scomparsa graduale del paesaggio, della forte urbanizzazione, dell’inquinamento e della cementificazione che rischia la perdita di identità dei luoghi stessi e delle comunità che vi abitano. Le città che si susseguono lungo la Via Emilia, passando per Reggio Emilia, Modena, Bologna, fanno parte di questo complesso sistema non solo territoriale, ma anche culturale. Dalle rappresentazioni a cui abbiamo fatto riferimento in questo percorso di ricerca è emersa la realtà tanto storicamente strutturata del territorio emiliano, quanto complesso e contradditorio allo stesso tempo, a partire dalla Via Emilia che si pone come intento unificante, fino all’identità culturale delle singole città. Percorrendo la strada sempre dritta, città dopo città, piazza dopo piazza, l’esploratore immaginario incontra siti dichiarati Patrimonio UNESCO, come a 15


Modena con Piazza Grande, il Duomo e la torre Ghirlandina, oppure percorrendo i portici Bolognesi, o ancora visitando il Battistero a Parma. Il territorio emiliano si arricchisce grazie ai resti archeologici che ne raccontano le origini, dagli antichi reperti etruschi in città come Bologna, fino al vasto patrimonio lasciato dalla dominazione romana conservato al Museo Archeologico di Parma. In campo artistico, pittorico, scultoreo e architettonico le città emiliane si distinguono, ciascuna col proprio patrimonio identitario, attraverso i segni dell’epoca bizantina, l’eredità romanica, il Rinascimento dei Ducati e lo splendore Barocco, fino all’epoca moderna e contemporanea. L’Emilia vanta importanti enti museali che raccolgono corpose collezioni artistiche, come la Pinacoteca di Bologna e il Mambo per l’arte moderna, la Fondazione Magnani a Parma, la Collezione Ricci Oddi di Piacenza, o la Collezione Maramotti a Reggio Emilia. All’interno delle principali città emiliane si trovano importanti archivi che conservano un vasto patrimonio di immagini utili per comprendere la storia e l’evoluzione di queste terre: dallo CSAC di Parma, al MiBAC di Bologna, fino alla FMAV di Modena. Nel panorama culturale emiliano, tra le varie discipline, la fotografia ne costituisce un tassello importante e caratterizzante, che troverà nella città di Modena il terreno perfetto per porre solide radici. 16


LA FOTOGRAFIA IN EMILIA “Non è rischioso o presuntuoso decidere di partire per rappresentare un luogo o dei luoghi, come la Via Emilia per esempio. […] La fotografia può porsi in rapporto con questi luoghi con cresciuta consapevolezza evitando apologie, facili critiche, assegnando identità precostituite, impressioni frettolose, le poetiche on the road, topografie precise o visioni private, ma assieme a questa consapevolezza riuscire contemporaneamente a meravigliarsi, o a restare stupiti come se fosse la prima volta che guardiamo questo territorio stracolmo di storie, segni e memorie.” 1 (Luigi Ghirri)

Ghirri L., Fotografie e rappresentazione dell’esterno, in Bizzarri G., Bronzoni E. (a cura di), Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nel paesaggio, 1986, p. XI.

1

La Via Emilia, e la regione stessa, città dopo città, si trasformano in un nuovo soggetto da percorrere, studiare, comprendere e rappresentare, diventando il paradigma di nuove esplorazioni. Il territorio dell’Emilia, le sue città e i paesaggi, a partire dalla comparsa della macchina fotografica, sono stati immortalati da numerosi fotografi italiani, come Luigi Ghirri, Guido Guidi, Giovanni Croce e Olivo Barbieri. Non a caso, sul finire degli anni Ottanta nasce il progetto Esplorazioni sulla Via Emilia, sulla spinta di Luigi Ghirri, al quale partecipano non solo fotografi, ma anche scrittori, urbanisti, artisti e poeti, per dare una personale rappresentazione di questo paesaggio, profondamente legato al proprio passato e alla memoria. Non si tratta infatti di un reportage di stampo neorealistico, quanto piuttosto di un nuovo modo di fare 17


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A sinistra: Via Emilia, Faenza, Guido Guidi, 1984. 2 Valtorta R., Volti della fotografia: scritti sulla trasformazione di un’arte contemporanea, 2005, p. 97. 3 Ibidem.

fotografia che indaga i segni e le ambiguità del territorio con una nuova coscienza critica, osservandone l’immagine. Si parla di una “fotografia di sguardi”, più orientata verso la riflessione sul reale e che impegna l’osservatore in una lettura che richiede tempo.2 Gli autori propongono scatti volti a rappresentare il paesaggio frammentato e stratificato, un tempo contadino, oggi industriale, dalla contemplazione alla denuncia di un ambiente che sta mutando e della “presenza umana, armoniosa, stridente o emblematica, o misteriosa”. 3 Le città emiliane non sono da ricordare solamente in quanto tappe di un viaggio e di un progetto fotografico, ma proprio perché da queste zone provengono i fotografi di nuova generazione, che tra gli anni Sessanta e Settanta hanno segnato l’inizio di una nuova fase nella fotografia italiana, contribuendo ad una spinta verso la contemporaneità. Franco Vaccari, nato e attivo a Modena, ha influenzato le generazioni future di fotografi, emiliani e non, proponendo la ricerca di una “semplificazione” stilistica, dalla ricerca dei soggetti, ai particolari narrativi. Guido Guidi, percorrendo i paesaggi della Via Emilia ne esplora le campagne, i vecchi impianti industriali e si interroga sul modificarsi del mondo. La nuova fotografia italiana, così allora veniva definita, proponeva un rinnovamento che si concretizzava nell’individuare nell’ente pubblico il committente ideale, nell’archivio la destinazione più 19


coerente e, idealmente, nella collettività tutta il pubblico.4 In terra emiliana si anticipa un nuovo tipo di osservazione e di rappresentazione dei luoghi, dei segni della terra, da quelli naturali a quelli culturali, attraverso un atteggiamento concettuale che si serve proprio della fotografia per entrare in relazione con il proprio territorio, le province, le città e i suoi abitanti. Lungo la Via Emilia e in tutta la regione la scuola emiliana di fotografia, un tentativo di definizione dato per la prima volta nel 1997 da Walter Guadagnini in una mostra fotografica così intitolata presso la Galleria Civica di Modena, ha prodotto una fitta continuità creativa fino a creare altri nuovi poli in tutta Italia. 5 Non va dimenticato che proprio la Regione Emilia-Romagna è stata un primo esempio di committenza pubblica, servendosi della fotografia per la catalogazione del patrimonio e dei beni culturali. Negli anni Settanta le città emiliane si sono impegnate non solo in attività di committenza e catalogazione, ma anche in un progetto più ampio di censimento e conservazione del patrimonio fotografico di interesse storico e artistico. Il primo convegno nazionale dedicato alla fotografia si tiene in questi anni, in particolare nel 1979 a Modena, col titolo “La fotografia come bene culturale”. Nella stessa città, l’attività svolta dalla Galleria Civica ha dato vita alla manifestazione “Modena per la Fotografia”, che negli anni Novanta raggiungerà una 20

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Ivi, p. 124. Ivi, p. 250.


risonanza internazionale. Sempre qui, dal 2017, la Fondazione Modena Arti Visive opera nell’organizzazione di eventi culturali e per la conservazione del vasto archivio fotografico. Nel 1981 Bologna ospita nella Galleria d’Arte Moderna la mostra “Paesaggio: immagine e realtà”, con una sezione dedicata alla fotografia. La città, sul finire degli anni Settanta aveva già dimostrato interesse e fiducia per questa disciplina, dedicandole un insegnamento presso il D.A.M.S. della Facoltà di Lettere e Filosofia. Reggio Emilia può vantare una raccolta fotografica storica e contemporanea che, grazie all’attività della Biblioteca Comunale Panizzi, costituisce un cardine per la fotografia nel territorio emiliano, conservando inoltre il fondo Luigi Ghirri. Ancora, a Parma, il Centro Studi e Museo della Fotografia (CSAC), accoglie mostre di fotografia sia italiana che straniera, occupandosi della diffusione di testi e volumi, oltre a dedicarsi alla conservazione e raccolta del materiale fotografico. Si parla dunque di una scuola diffusa e legata ad autori precisi, da Vaccari a Guidi, fino a Ghirri, e ad una filosofia che ha rinnovato il mondo fotoamatoriale, arrivando ad intrecciarsi a scuole ufficiali e ad università. In questo sistema, la Via Emilia ne ha rappresentato l’asse simbolico di diffusione, dotata di un suo fulcro tra Modena e Reggio Emilia, non solo a livello regionale ma nazionale. 21


Emilia, Franco Fontana, 1975.

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Emilia Romagna, Attraverso le Pianure, Giovanni Chiaramonte, 2004.

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Formigine, Paesaggio Italiano, Luigi Ghirri, 1985.

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Esplorazioni sulla Via Emilia, Olivo Barbieri, 1986.

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MODENA MODENA PREROMANA I primi resti archeologici della città di Modena vennero alla luce già a partire dal XI secolo, nel momento in cui l’architetto Lanfranco iniziò la ricerca di marmi antichi per il Duomo della città. Egli infatti, secondo una leggenda, fu ispirato da Dio a cercare sottoterra le vestigia della città romana per poi costruire il suo nuovo tempio. Secoli dopo, con la costruzione delle mura difensive iniziata nel 1300 dal tiranno Passerino Bonaccolsi, vennero portati alla luce ulteriori reperti. Lo stesso accadde nel 1500 con l’espansione erculea e poi nel 1600 con l’ampliamento seicentesco della Piazza d’Armi e della Cittadella. A Modena, ormai verso la fine del XIX secolo cambia l’approccio all’antichità, come manifesta la fondazione del Museo Lapidario Estense, istituito per accogliere i resti monumentali della città e del territorio, seguito dalla nascita del Museo Civico. Dagli inizi del Novecento in poi incrementa notevolmente l’interesse verso l’archeologia e prendono avvio numerosi scavi grazie ai quali è stato possibile ricostruire l’evoluzione della città a partire dai più antichi insediamenti. In merito alle origini di Modena non ci sono tracce sicure. Tuttavia, grazie alle presenze archeologiche non è improbabile che la fondazione della città risalga ad un’epoca preromana, come quella etrusca. Il toponimo stesso con cui la conosciamo oggi ha infatti radici lontane, prima Muthina o Muthuna per gli etruschi, per poi perpetuarsi nella dizione 27


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A sinistra: ricostruzione della colonia romana di Mutina tra il II e il I secolo a.C. Modena dalle origini all’anno Mille: guida alla mostra, 1989, p. 14.

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latina con Mutina, fino al nome attuale. Tra il XVI e il XII a.C., durante l’età del bronzo, comparvero numerosi insediamenti di terramare che furono molto importanti sia per l’area modenese che per la Pianura Padana perché comportarono alcune modifiche del territorio, come disboscamenti per le coltivazioni e opere di bonifica. Secondo gli studi gli insediamenti palafitticoli di terramare, il cui nome deriva da “terra marna” ovvero la terra organica usata per la concimazione, prevedevano un perimetro definito da un argine o fossato.1 Le palificazioni venivano piantate in un bacino artificiale successivamente allagato. La Pianura Padana e in generale il territorio emiliano in cui si è insediata la città si caratterizzano per lo scorrere di numerosi fiumi e canali. Queste prime popolazioni sfruttarono l’idrografia del territorio per costruire i fossati percorsi da acqua imbrigliata dai fiumi vicini. Anni più tardi, il bacino venne colmato e le terramare si trasformarono in villaggi su terraferma. Dal XII sec. a.C. queste tipologie di insediamenti vengono velocemente abbandonate. Segue un periodo di apparente abbandono fino alla prima età del ferro, tra il IX e l’VIII sec., quando gruppi insediativi si stanziarono principalmente sulla destra del fiume Panaro. All’inizio del VI secolo ebbe inizio la colonizzazione etrusca del territorio modenese, il quale venne sfruttato intensamente dal punto di vista agricolo mediante un sistema di fattorie. 29


Anche in questo periodo il sistema delle acque giocò un ruolo importante, facendo sì che la maggior parte degli insediamenti si verificasse vicino ai percorsi fluviali, lungo i quali si erano sviluppate le comunicazioni con l’Etruria vera e propria. Lungo il fiume Po tutti gli insediamenti iniziano un processo di integrazione e, verso la fine del VI secolo, il territorio di Modena è perfettamente integrato nel vasto sistema politico ed economico dell’Etruria Padana, che vedeva probabilmente in Felsina, oggi Bologna, il capoluogo. In questo quadro si inserivano tutta una serie di centri minori, tra cui probabilmente la stessa Modena, e una rete di fattorie. L’organizzazione umana nel territorio della Pianura Padana cambiò solamente con l’arrivo del popolo dei Celti, intorno al 390 a.C.. Grazie ai rinvenimenti archeologici è stato possibile presuppore che questa popolazione si stanziò anche nel territorio modenese dove all’epoca si ipotizza si insediasse un abitato più ampio di semplice fattoria. A tal proposito è suggestivo ricordare che lo storico Livio descrive Mutina nei suoi testi come una città fortificata già prima della deduzione della colonia romana nel 183 a.C.. 2

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Ivi, p. 22.


MODENA ROMANA L’Emilia è attraversata da un importantissimo asse stradale, che è la Via Emilia. Le sue origini, sono molto antiche, ricordiamo infatti che la costruzione della Via Emilia iniziò nel 189 a.C. su volere del console Marco Emilio Lepido per collegare Piacenza a Rimini. È proprio lungo la Via Emilia che, nel 183 a.C., viene fondata la colonia romana di Mutina, che avrà un grande sviluppo civile ed economico in età repubblicana e poi imperiale. Nel 222 a.C. i Galli vennero cacciati dai romani per poi fondare la colonia. Sotto la guida del triumvirato di cui Marco Emilio Lepido faceva parte, venne costruita Mutina, che contava 2000 abitanti. La città viene dunque attraversata dalla Via Emilia e il suo sistema di centuriazione dipende proprio dal decumano massimo, così come accadeva del resto anche per le altre colonie. Nella ricostruzione grafica della città all’epoca della fondazione romana è visibile l’impianto con cardo e decumano e la possibile area su cui si insediò la colonia in epoca repubblicana, intorno al II-I secolo a.C.. Risulterebbe una pianta quasi quadrata, con isolati regolari, scanditi dai cardines, ovvero gli assi perpendicolari alla Via Emilia, e i decumani, gli assi ad essa paralleli. Nel 2009, la costruzione del parcheggio interrato del Parco Novi Sad, ha determinato il rinvenimento del tracciato di una seconda importante strada che si staccava dalla 31


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A sinistra: ricostruzione della colonia romana di Mutina con le sue espansioni tra il I e il III secolo d.C.

Via Emilia poco a Ovest di Mutina e proseguiva poi a Nord in direzione di Mantova. La prima costruzione di questa importante direttrice è probabilmente da collocare tra il II e il I sec. a.C.. Il limite settentrionale della città si trovava a ridosso dell’attuale Piazza Roma, mentre il confine orientale coincideva con l’asse delle Vie Trento Trieste e Ciro Menotti ed era lambito da un antico ramo del torrente Tiepido. A Sud il limite urbano correva probabilmente lungo Via Mascherella, mentre il confine occidentale si trovava lungo il lato Est di Piazza Grande dove, parallelo alle fortificazioni, correva un altro corso d’acqua. È dunque piuttosto evidente come la città romana fosse sensibilmente spostata verso est rispetto all’attuale centro storico. A partire dal 183 a.C., con il sorgere della colonia, il territorio intorno a Mutina viene organizzato in appezzamenti regolari di terreno coltivabile, regimentati dal sistema dei canali e dalla centuriazione. L’area al di fuori della parte fortificata inizia così ad essere densamente occupata da numerosi impianti agricoli che rappresentarono in epoca romana il tessuto economico e produttivo della città. In età imperiale, tra il I e il III secolo d.C., si verificano le prime espansioni. Sempre dalle ricostruzioni grafiche è possibile notare le aree soggette a questo fenomeno: è plausibile che si sia verificata una continuità insediativa verso ovest dall’età 33


antica all’Alto Medioevo, con un ampliamento dell’area urbana che si allarga probabilmente su tre lati, al di fuori della cinta muraria. All’espansione economica, sociale e demografica che si registra a partire dai primi decenni del I secolo d.C. corrisponde anche uno sviluppo urbano di Mutina che assume ora pienamente le caratteristiche di una città romana con grandi edifici pubblici di tipo monumentale e con splendide dimore private. Secondo le fonti storiche, tra la fine dell’età repubblicana e l’inizio di quella imperiale Mutina era una delle città più importanti e ricche della regione Aemilia. Non ci sono molte tracce degli edifici pubblici della città. Si ipotizza la presenza di un anfiteatro nell’area sud-orientale della città. Una grande area porticata, forse un Cesareum, si trovava nei pressi dell’attuale Rua Pioppa. Inoltre, un impianto termale è stato individuato sotto l’odierno Palazzo della Provincia. 3

Modena dalle origini all’anno Mille: guida alla mostra, 1989, p. 25.

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MODENA TARDOANTICA Nel V secolo e, in particolare, alla fine del VI, si verificano alcune disastrose alluvioni che costringono gli abitanti a lasciare Mutina e sigillano gran parte della città romana inglobando i suoi resti in uno spesso strato di argilla e sabbia. È per questo che gli attuali abitanti di Modena non hanno la percezione delle origini romane della città: Mutina è infatti una città sepolta che tuttavia fa la sua comparsa ogni qual volta interventi nel sottosuolo intercettano l’antico impianto urbano a profondità variabili dai 3 ai 9 metri. In molte zone della città i ripetuti episodi alluvionali hanno comportato un incremento dello spessore del deposito. Soltanto una piccola area a ovest della città antica, interessata da un lieve dosso, viene in parte risparmiata dalle alluvioni: qui sorgerà la Cattedrale con la sede vescovile. Si ipotizza infatti che in buona parte del territorio a sud del Secchia, ai piedi degli appennini, la centuriazione romana sia stata cancellata a causa dello scorrere veloce di altri fiumi e torrenti. Il nucleo demografico più consistente doveva distribuirsi intorno alla sede vescovile che era fuori dal perimetro della città romana. Anche le numerose inondazioni contribuirono all’esodo della popolazione, che si spostò sempre di più verso ovest. In età carolingia si ipotizza che l’antica città romana fosse completamente abbandonata e che la parte di città ad ovest di Canal Grande fosse stata inglobata in quella vescovile. L’area al di fuori del fitto insediamento urbano, che in epoca 35


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A sinistra: ricostruzione dell’estensione urbana di Modena nel XI secolo, con la cinta muraria e il Duomo. Ghibellini G. A., Partesotti F., (a cura di), Sviluppo urbano ed edilizio a Modena nei Sec. 17. e 18. : cenni storici, itinerari, schede informative, 1976, p. 5.

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romana si compone di ampi e fertili campi agricoli, in epoca tardo-antica perde progressivamente questi suoi caratteri per assumere quelli di un territorio occupato da ampie aree dedicate al pascolo, a zone boschive e spesso impaludate a causa dell’abbandono della fitta rete di canali. Il perimetro della città medievale è attestato da un diploma dell’Imperatore Guido, re d’Italia, dell’891 in cui si registra che il perimetro della città si colloca a circa un miglio intorno alla cattedrale. La rinascita della città avvenne quindi proprio grazie al Vescovo Leodoino, quando ottenne dall’imperatore Guido il permesso di ricostruire la città in rovina. Questo restauro riguardò solamente la parte di città fuori dalle antiche mura romane che includeva la sede episcopale e gli edifici che dipendevano da essa. Con l’ampliamento voluto dal vescovo Leodoino la città si è estesa all’altezza delle attuali Via Emilia, Carteria, Rua Frati, Mondatora e San Carlo. 4 Una prima espansione di Modena intorno al nucleo di età Leodoiniana avviene nel 1055 in conseguenza alle mutate condizioni politiche ed economiche, nel momento in cui la città si trasforma in una realtà comunale e si assiste all’inurbamento delle popolazioni contadine accompagnato da una ripresa degli scambi commerciali. Tra il 1071 e il 1091 venne eretto il Palazzo Vescovile e la città viene dotata di un nuovo sistema difensivo. I canali vengono così a trovarsi all’interno della cinta muraria, influendo sulla 37


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A sinistra: ricostruzione della città di Modena nel XVI secolo, con la cinta muraria, i principali corsi d’acqua e la rete viaria.

struttura del tessuto urbano che viene scolpito dallo scorrere delle acque. Le strade ne ricalcano oggi il percorso portandone in memoria il nome, come accade in Via Canalgrande, Via Canalino e in Via Canalchiaro. La caratteristica tipologica degli isolati del centro storico modenese deriva proprio dalla presenza dei canali: sono per la maggior parte lunghi e stretti, percorsi longitudinalmente da un piccolo canale sotterraneo. Il canale scoperto si trovava invece sul retro delle abitazioni e serviva da fognatura. Man mano che la popolazione aumentava, i successivi e graduali arretramenti delle case fin quasi a ridosso del canale hanno dato luogo alla formazione di stretti e lunghi cortili o cavedi. Le abitazioni dettavano una scansione regolare dell’isolato, con una dimensione fissa delle facciate di 4-5 m circa. In questo periodo, oltre alla tipologia edilizia abitativa, nascono i primi palazzi nobiliari e i primi conventi. Per quanto riguarda questi ultimi, durante il medioevo a Modena si insediano i primi ordini religiosi che edificano le proprie chiese accanto ai conventi, i quali si caratterizzano solitamente come grandi edifici al cui centro si apre un chiostro. Man mano che il numero di ecclesiastici aumenta, anche gli edifici vengono ampliati con ulteriori corpi di fabbrica a loro volta accompagnati da chiostri e giardini interni. Questi erano elementi indispensabili per il convento, che in questo modo riusciva ad essere un organismo autosufficiente grazie alla coltivazione di orti privati. 39


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A sinistra: Pianta di una parte della città. Zona di Canalchiario, 1621. La carta indica le lottizzazioni sorte nelle immediate vicinanze di Canalchiaro e i canali secondari con funzione di fognatura. In basso sono riconoscibili Piazza Grande e il Duomo.

Tra gli eventi degni di nota in questa fase storica si annovera la costruzione del Duomo nel 1099, ad opera dell’architetto Lanfranco e dello scultore Wiligelmo. La Grande Cattedrale verrà in seguito accompagnata da un altro simbolo per la città, la Torre Ghirlandina, nel 1194. Nello stesso anno ha inizio anche la costruzione del Palazzo Comunale. Nel 1289 prendono avvio i lavori di costruzione del Castello Estense, per volere del Duca Obizzo d’Este, sull’area su cui oggi sorge Palazzo Ducale. Un anno prima, infatti, Modena era diventata ducato di Signoria proprio sotto il marchese Obizzo d’Este, annettendosi al Ducato degli Estensi. A solo un secolo di distanza dal primo ampliamento della città ne segue un secondo, nel 1188, in cui vengono ristrutturate le mura difensive. Ma è sotto il dominio di Passerino Bonacolsi che avviene un’importante e consistente ristrutturazione della cinta muraria, iniziata nel 1324 e conclusa nel 1380. Il progetto dota la città di un solido perimetro difensivo, intervallato da dieci porte d’accesso (Porta Saliceto, Porta S. Pietro, Porta S. Paolo o Saragozza, Porta Redecocca, Porta Baggiovara, Porta Adelarda, Porta di Cittanova, Porta del Soccorso, Porta Ganaceto, Porta Albareto, Porta S. Giovanni del Cantone).

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MODENA RINASCIMENTALE

A sinistra: ricostruzione della città di Modena nel XVII secolo, con la cinta muraria che si espande a nord in relazione all’”addizione Erculea”, i principali corsi d’acqua e la rete viaria. Ghibellini G. A., Partesotti F., (a cura di), Sviluppo urbano ed edilizio a Modena nei Sec. 17. e 18.: cenni storici, itinerari, schede informative, 1976, p. 14.

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La dinastia degli Estense si sussegue di duca in duca, garantendo alla città tutta una serie di interventi pubblici per elevarne l’immagine. Il Duca Ercole II, succeduto nel 1534 ad Alfonso I d’Este, si reca a Modena nel 1545 per sovrintendere alla ristrutturazione delle fortificazioni della città e per sostituire la vecchia cinta di mura risalente al medioevo con una nuova cerchia più larga e adatta alle nuove tecniche di guerra. La nuova cerchia muraria, costruita sotto la direzione dell’architetto Terzi, consente un ampliamento della città a nord, inglobando una notevole porzione di campagna circostante. 5 Questo ampliamento viene chiamato “addizione Erculea”, richiamandone il committente. Rispetto alla precedente cinta muraria medievale, quest’ultima aveva solamente quattro porte di accesso alla città (Porta Bologna, Porta S. Francesco, Porta S. Agostino, Porta Castello), oltre a numerosi bastioni e terrapieni che includevano parte del canale Naviglio, permettendo l’imbarco e lo sbarco delle merci. Un altro importante cambiamento per la città è dettato dalla nuova maglia viaria dell’addizione Erculea, la quale risulta impostata in modo più regolare rispetto a quella medievale: gli isolati sono separati da vie più ampie e spaziose secondo un tracciato quasi ortogonale. La cinta muraria voluta dal Duca Ercole II rimarrà invariata fino all’aggiunta, nel XVII secolo, della città fortificata a nord-ovest di Modena, conosciuta come Cittadella. 43


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MODENA CAPITALE

A sinistra: ricostruzione della città di Modena nel 1754.

Con la morte nel 1598 del Duca Alfonso II d’Este, il quale non aveva eredi diretti, la Chiesa non concede la successione del ducato a Cesare d’Este, poiché non riconosciuto come erede legittimo. Per tale motivo gli Este sono costretti a cedere Ferrara allo Stato Pontificio, facendo di Modena la capitale del ducato. Così ha fine il Ducato di Ferrara-Modena-Reggio, il quale viene sostituito da quello di Modena-Reggio. È con il trasferimento a Modena della corte estense che si assiste ad una vera e propria evoluzione della città, che trasformerà profondamente il tessuto edilizio ed urbanistico. Per portare la città all’altezza delle altre capitali, ha inizio uno straordinario impulso edilizio e vengono restaurate le mura, lastricate vie e piazze, ampliate le strade principali, ricostruite le facciate dei palazzi nobiliari. L’architettura religiosa in questo secolo assiste ad un grande incremento rispetto a quella civile, rinnovando e ampliando chiese e conventi. Nel 1634 vengono avviati i lavori per la costruzione del Palazzo Ducale sulle orme del precedente edificio voluto da Obizzo d’Este. Nonostante Modena venne travolta da tutta una serie di ristrutturazioni, si trattò principalmente di interventi disorganici e non dettati da una vera consapevolezza o direzione politica. Ad ogni modo, la città può vantare due punti focali della vita cittadina, che ruotano attorno alla monumentalità del Palazzo Ducale, oltre al Duomo e al Palazzo Comunale. 45


Sono di questo secolo le prime documentazioni planimetriche di Modena. Del 1684 è la prima pianta completa e abbastanza attendibile della città e delle fortificazioni, disegnata dal Boccabadati e conservata presso l’Archivio storico comunale modenese. Si tratta di un’importante testimonianza che racconta quali fossero le diverse tipologie dell’edilizia cittadina, chiese, palazzi nobiliari, e edilizia minore a “modulo costante”. Il Boccabadati non dimentica inoltre di riportare il percorso dei canali che scorrevano per il nucleo storico. Grazie a questa carta è evidente che il tessuto urbano di Modena fosse oramai ben definito, giungendo fino ad oggi quasi inalterato.6 Si nota inoltre la fortificazione della Cittadella, la quale viene fatta costruire a scopo difensivo da parte del duca Francesco I a partire dal 1635, commissionandola al progettista Carlo Castellamonte e di cui non rimane più traccia. La fortezza, sorta a nord-ovest della città, si componeva di imponenti mura, con cinque bastioni uniti da cinque cortine, circondate dal fossato. All’interno delle mura si trovavano caserme, magazzini, prigioni e successivamente anche la chiesa di Sant’Antonio. Alla fortezza si accedeva tramite ponte levatoio, situato a destra del bastione a sud. Solo nel 1775 si rese praticabile per le carrozze la strada che congiungeva la Cittadella con la città, rompendo quindi l’isolamento fisico e simbolico che separava il complesso militare dall’organismo urbano. 46

Ghibellini G. A., Partesotti F., (a cura di), Sviluppo urbano ed edilizio a Modena nei Sec. 17. e 18.: cenni storici, itinerari, schede informative, 1976, p. 34.

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Dopo essere salito al potere nel 1737, Francesco III commissiona una serie di interventi contribuendo ad arricchire la città. Molti edifici vengono restaurati e hanno avvio le prime opere di abbellimento del Giardino Ducale, fino ad allora trascurato, e che verrà in seguito aperto al pubblico nel 1739. Si tratta di un intervento pubblico importante perché costituisce il primo spazio all’interno del nucleo storico pensato per la socialità e il ristoro degli abitanti. La riforma edilizia avviata dal duca, controllata e progettata, può essere definita come il primo vero e proprio piano regolatore per la città. Modena fino a quel momento aveva pressoché mantenuto inalterato l’aspetto di centro provinciale caratterizzato dalle strette vie cittadine che percorrevano i lunghi e compatti isolati. Attraverso il processo di riorganizzazione della forma urbana, ogni casa o singolo edificio viene coinvolto in un disegno più ampio, entrando a far parte del complesso tessuto urbano. Come nella cartografia del XVII secolo, anche nella planimetria del 1754, realizzata da Gian Battista Guidelli, si percepisce il ruolo del Canale Naviglio. Il corso d’acqua ha avuto grande importanza per i commerci nei secoli XVI e XVII, periodo in cui le vie di comunicazione via terra erano poco efficienti, e nel secolo XVIII. L’attracco delle barche avveniva fuori dalle mura, ma nel 1600 si decide la costruzione di un porto fluviale o Darsena 47


interno alla città, entrato in funzione nel 1650, lungo l’attuale Corso Vittorio Emanuele II, dove il canale, coperto nel percorso cittadino, riemergeva.

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MODENA RISORGIMENTALE Osservando le carte storiche dell’epoca, nel XIX secolo Modena appare ancora racchiusa entro il perimetro delle mura e gli interventi edilizi avvengono sempre in relazione al nucleo storico compatto. È interessante ricordare che nel 1807 si costituisce la Commissione d’Ornato della città per fornire una guida per la costruzione o la ricostruzione degli edifici, definendo le altezze dei fabbricati, delineando gli allineamenti delle vie e la sistemazione delle piazze, in modo da garantire ai cittadini le più idonee condizioni di salubrità. Anche l’istituzione della Commissione d’Ornato può considerarsi come un ulteriore intento di controllare la città dal punto di vista urbanistico. In questo periodo vengono realizzati nuovi edifici pubblici, come il Foro Boario, i cui lavori iniziano nel 1834. Il progetto ad opera dell’architetto Francesco Vandelli, concluso nel 1839, si presentava come un grande portico in Piazza d’Armi per ospitare il mercato del bestiame e immagazzinare le derrate agricole. L’edificio si interfacciava con la Cittadella, dal momento che solo la Piazza d’Armi separava i due corpi. Nello stesso anno della costruzione del Foro Boario, si ordina la chiusura della Darsena all’interno della città. Da questo momento il Naviglio ritorna al di fuori del perimetro urbano. Modena ha ormai raggiunto la sua massima espansione all’interno del nucleo storico e, per la prima volta, viene emesso un editto del Podestà nel 1857 con cui si stabilisce l’estensione 49


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A sinistra: ricostruzione della città di Modena nel 1844.

del Piano d’Ornato al di fuori delle mura. Secondo l’editto, i nuovi fabbricati potevano espandersi per 1 km al di fuori del limite difensivo, seguendo una disposizione regolare. Nel 1865 viene emanata una Legge urbanistica importante per le prime consistenti trasformazioni della città storica, proponendo una serie di interventi finalizzati all’ampliamento del centro urbano, accompagnati dal disegno di nuovi viali di circonvallazione, paralleli alla cinta muraria. Il tutto prevedeva l’inquadramento di nuove prime aree su cui poter edificare, ma senza specificare quali funzioni vi avrebbero trovato sede. È proprio a partire dalla metà del XIX che a Modena si susseguono una serie di proposte urbanistiche per far fronte all’ormai inevitabile espansione della città e all’aumento demografico. Nel 1882 ha inizio la demolizione delle antiche mura difensive in prossimità di Porta Bologna e i lavori proseguiranno con diverse interruzioni fino agli anni ’20 del Novecento. Nel momento in cui Modena perde il proprio ruolo di capitale e assume quello di semplice città di provincia, a seguito dell’allontanamento del duca Francesco V, l’attività edilizia prosegue in maniera più dismessa. Per agevolare la ripresa commerciale e industriale della città viene presentato nel 1875 il progetto per la linea ferroviaria per mettere in comunicazione Sassuolo, Modena e Mirandola. 51


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MODENA NEL NOVECENTO

A sinistra: ricostruzione della città di Modena nel 1913.

All’inizio del 1900 la Darsena, trasferita appena fuori le mura, abbattute per la realizzazione della ferrovia, costituisce ancora un’area di intensa attività commerciale e artigianale, dotata dei primi opifici industriali, delle case dei lavoratori portuali, delle osterie e della guarnigione militare. Con la costruzione della ferrovia e l’inizio dell’epoca industriale la navigazione perde progressivamente importanza e nel 1923 l’ultima barca attraccherà alla Darsena. Il tombamento del canale, già avvenuto fino alla ferrovia, viene completato fino al punto in cui è oggi coperto, e nel 1931 la Darsena verrà definitivamente interrata. Grazie alle testimonianze cartografiche sappiamo che Modena, come per il secolo precedente, anche ad inizio Novecento era ancora racchiusa all’interno del perimetro difensivo che man mano veniva demolito. A causa della crisi, per dare lavoro alla popolazione disoccupata in seguito al primo conflitto mondiale, nel 1918-19 si deciderà di completarne l’abbattimento. Nel 1893 viene proposto il primo Piano Regolatore, che viene però bocciato dal Consiglio di Stato. Nel 1909 se ne propone un secondo, approvato nel 1911, che prende in considerazione anche le parti di città al di fuori delle mura che erano state abbattute solo parzialmente. Il piano prevedeva una serie di strade parallele e perpendicolari alla cinta muraria, per cui se ne progetta il completo 53


abbattimento, per definire blocchi di insediamenti abitativi. Si realizza inoltre una circonvallazione in continuazione a quella già esistente ad est, in corrispondenza di Viale Margherita, a sud della Via Emilia, abbattendo le mura tra Porta San Francesco e il Ponte della Pradella. A nord della città si progettano la concentrazione di mercati pubblici e la costruzione di una strada di collegamento tra la stazione minore Modena-Sassuolo con quella principale. Un punto importante del Piano del 1909 riguarda il risanamento e la demolizione di alcuni isolati per far spazio a nuove piazze e luoghi pubblici all’interno del nucleo storico. Così accade per l’attuale Piazza Mazzini, che viene realizzata nel 1903 al posto dell’isolato tra le vie Blasia e Coltellini; sempre nello stesso anno sorge Piazza XX Settembre tra le vie Zono e Albinelli; anni più tardi, nel 1933 viene demolito il quartiere Armaroli, che si affacciava sulla Via Emilia, per far spazio a Piazza Matteotti. All’inizio del secolo XX la necessità di ricavare aree fabbricabili all’esterno del nucleo storico ha dato avvio a quel radicale processo di trasformazione urbana che ha mutato per sempre la configurazione della città attraverso l’abbattimento sistematico delle mura urbiche, in risposta ad una città in rapida espansione che si sviluppava in tutte le direzioni verso la campagna. Le attività produttive trovano una loro collocazione all’interno del disegno urbano, seguendo le leggi sani54


tarie emanate nel 1907 con cui vengono distinte due classi di industrie insalubri. La prima classe imponeva la collocazione delle industrie ad almeno 200 metri dall’abitato, mentre la seconda prevedeva misure di mitigazione coesistenti con le residenze. Lo sviluppo industriale a Modena riceve un’importante stimolo grazie all’arrivo dell’illuminazione elettrica e, in particolare, dalla comparsa del trasporto pubblico su tram a trazione elettrica. Nel 1912 vengono infatti istituite in città le Aziende Elettriche Municipalizzate, che si occuperanno per quasi un secolo di garantire agli abitanti una funzionale rete di trasporto urbano, energia elettrica e gas. L’area delle AEM, in accordo alle leggi sanitarie, sorge lungo Viale Carlo Sigonio, a pochi passi dal nucleo storico e nella prima fascia di espansione periferica. Facendo sempre riferimento alla cartografia storica, è possibile osservare come Modena si sia espansa sempre più al di fuori del perimetro delle mura difensive dopo il loro definitivo abbattimento, seguendo le direttrici dettate dagli assi stradali. Superate le difficoltà dell’emergenza costruttiva Modena intraprende la strada dell’espansione. L’epoca del dopoguerra costituisce infatti un momento di rapide e profonde mutazioni sia nel sistema degli insediamenti che un’alterazione nella struttura complessiva della città, facendo emergere e consolidando un sistema insediativo metropolitano. 55


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A sinistra: ricostruzione della città di Modena nel 1943. Oliva F., I piani urbanistici del Novecento: il caso di Modena, in Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena., p. 67.

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Nel 1948 viene approvato il piano di ricostruzione che si concentra sulle tre aree maggiormente danneggiate, ovvero quelle industriali a nord della città, quelle residenziali e quelle adiacenti alla Cittadella. Quest’ultimo complesso, infatti, era stato impiegato come campo di prigionia e verrà ufficialmente demolito verso la fine degli anni Quaranta. La forma della città ottocentesca era caratterizzata dall’isolato chiuso, con gli edifici allineati sul filo stradale. Questa forma urbana si consolida fino agli inizi del Novecento quando l’arrivo del Movimento Moderno segna una forte rottura col passato. La città si appella a delle nuove regole per lo spazio aperto e la disposizione dei nuovi edifici, che non si relazionano più ai tracciati viari, ma rispondono a nuovi canoni urbanistici. 7 È in questo modo che già nel dopoguerra Modena si presenta con profonde modifiche rispetto al secolo precedente e l’attività di pianificazione si interfaccia, allo stesso tempo, con la volontà di riedificare una città stravolta dalla guerra. La periferia della città comincia a mostrare un’evidente separazione funzionale che la caratterizzerà per buona parte del secolo. A nord, oltre la ferrovia, si estendono i quartieri industriali, ad est quelli commerciali, mentre a sud si riserva spazio per la zona residenziale. Nel Piano Regolatore Generale del 1958 il disegno della città è facilmente distinguibile. L’intera espansione urbana, che si è sviluppata principalmente verso sud, è circondata dall’a57


nello esagonale della viabilità. Al nuovo anello viabilistico si allacciano tutte le principali direttrici radiali che convergono con ampi viali alberati verso il centro della città. Una particolare attenzione è riservata alla previsione di nuovi spazi pubblici, come i parchi urbani. Gli isolati si mantengono il più possibile aperti, con gli edifici circondati il più possibile dal verde e allineati lungo le strade nelle parti più centrali e dense, mentre nelle aree più recenti sono disposti liberamente secondo le idee del Movimento Moderno. 8 Per citare altri Piani Urbanistici che hanno inciso sulla forma urbana attuale, è utile fare riferimento a quello del 1965, con cui la Via Emilia perde il ruolo di direttrice principale per lo sviluppo della città. Vengono individuate nuove aree direzionali decentrate che permettono il decongestionamento del centro storico, sempre più pedonalizzato. Negli anni Settanta e Ottanta i principali punti su cui si focalizzano i piani urbanistici sono: stabilire nuovi rapporti tra la città e il territorio, qualificare il tessuto residenziale e dei servizi, riqualificare e recuperare gli insediamenti esistenti per poi procedere ad un’espansione. In questo periodo Modena ha ormai consolidato il proprio assetto territoriale. Negli anni Novanta, infatti, il Piano Regolatore si propone di ridimensionare gli insediamenti residenziali e produttivi, limitando l’espansione. Vengono proposti progetti per il recupero delle aree indu58

Oliva F., I piani urbanistici del Novecento: il caso di Modena, in Bulgarelli V., Mazzeri C., (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, p. 72.

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striali dismesse, come quella a nord della città oltre la ferrovia, in cui si trovano le più consistenti aree produttive. È in questi anni, ad esempio, che vengono proposti i primi concorsi di idee per il recupero dell’area dell’ex-A.m.c.m, una volta che l’Azienda trasferisce la propria sede. Sempre più attenzione viene data al disegno di spazi verdi pubblici, concepiti come un elemento unificante dell’intera operazione di riqualificazione della forma urbana. All’inizio degli anni 2000 risalgono invece i progetti di recupero per le grandi ex aree produttive di Modena, come l’ex Mercato del bestiame, l’ex Macello, l’ex Mercato ortofrutticolo, l’ex comparto Consorzio Agrario.

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MODENA OGGI

A sinistra: sviluppo urbano di Modena, oggi. Mazzeri C., Storia Urbana e città industriale, in Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), Città e architetture industriali. Il Novecento a Modena, 2015, p. 16.

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L’assetto urbano è cambiato radicalmente al di fuori del centro storico, a partire dalla fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, con l’inizio dell’industrializzazione. Il territorio dedicato all’agricoltura viene progressivamente sostituito da piccole e grandi aree produttive, che caratterizzeranno la città industriale contemporanea. La modernizzazione economica e sociale della città si concretizza anche nella rottura dei vincoli fisici della città storica: abbattimento delle mura e degli insalubri e più fitti vicoli medievali, ricollocazione esterna delle produzioni inquinanti e nuovi spazi idonei ad ospitare più numerosi, consistenti e avanzati insediamenti industriali. Quasi tutte le maggiori fabbriche si insediano lungo la fascia ferroviaria, costruendo una grande area industriale a nord della città, dove allo stesso tempo si prevedono interventi di riqualificazione e recupero di quelle aree produttive che oggi risultano dismesse. La città del Novecento compie oggi il ruolo di cerniera tra il centro storico, ricco di simboli valoriali e identitari che permeano l’immaginario collettivo, e la periferia che si è espansa rapidamente, caratterizzandosi con parti significative e altre invece da recuperare, riqualificare e rigenerare. 9 Modena, che continua nella sua crescita anche se ad un ritmo più lento rispetto ai decenni precedenti, è protagonista di importanti avvenimenti riguardanti la trasformazione del tessuto urbano. 61


Tra i protagonisti di questa fase storica rientrano proprio i Piani Urbanistici citati in precedenza, che hanno contribuito a determinare l’assetto urbanistico ed edilizio attuale, ma anche a fornire una nuova immagine e una più marcata identità.10 La città contemporanea si riconosce nello spazio pubblico che, a partire dagli anni Sessanta, acquisisce un ruolo fondamentale nell’organizzazione dei quartieri ospitando la rete dei servizi sociali, poli regolatori della trasformazione urbana, collegata alle aree verdi. Piazze, giardini, viali alberati e piste ciclabili diventano il tessuto connettivo della città costruita. 11

A destra: Ducato Estense, Egnazio Danti, 1580-1583. 10 Oliva F., I piani urbanistici del Novecento: il caso di Modena, in Bulgarelli V., Mazzeri C., (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, p. 69.

Mazzeri C., Architettura e spazio urbano come valori sociali, in Bulgarelli V., Mazzeri C., (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, p. 24.

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Pianta della città di Modena con i suoi scoli sotterranei, Gian Battista Boccabadati, 1684.

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Pianta della città di Modena con indicazione delle principali località, A. Zuccagni Orlandini, 1844.

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L’IDENTITÀ DELLA CITTÀ I SEGNI IMPRESCINDIBILI

A sinistra: Modena con i suoi segni imprescindibili quali il sistema delle acque, le mura della città storica, le piazze e i giardini all’interno della città compatta, gli spazi verdi e urbani della Modena contemporanea. Oliva F., I piani urbanistici del Novecento: il caso di Modena, in Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, p. 65.

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L’evoluzione storica densa e complessa di Modena ha lasciato segni tangibili sul territorio, dalle piazze, ai parchi, ai monumenti, fino agli assi viabilistici, e si offre al nostro sguardo attento come abaco di regole compositive sia dello spazio aperto che di quello costruito. Solamente cercando in profondità tra le pieghe del nucleo storico compatto, mutato e sovrapposto, è stato possibile estrapolare il prodotto di ogni singola epoca. La Modena che oggi osserviamo e viviamo è il risultato di questa continua sovrascrittura, del processo costruttivo di una forma e di un’identità urbana dall’elevato valore storico. 1 L’identità di Modena si compone di elementi derivati dall’evoluzione della forma urbis, dalla successione delle epoche, ma anche di quelle parti di città che sono il risultato di più recenti piani urbanistici e regole architettoniche. Si compone di elementi tradizionali, come appunto il centro e i nuclei di antica formazione, che coesistono con manufatti architettonici e urbanistici a servizio della cittadinanza, realizzati nel Novecento, spesso legati alla dimensione sociale. Durante lo studio dell’evoluzione storica della città abbiamo più volte riscontrato alcuni segni ricorrenti che, a nostro parere, ne costituiscono più di altri la vera e propria identità. Sulla base di questi elementi significativi siamo partiti per disporre le basi del progetto all’interno dell’area dell’exA.M.C.M. per l’ampliamento della Fondazione Modena 67


Arti Visive. I segni, che potremmo definire imprescindibili e da cui partire per poter instaurare un rapporto con la città, sono: il sistema delle acque, le mura della città storica, le piazze e i giardini all’interno della città compatta, gli spazi verdi e urbani della Modena contemporanea.

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LA CITTÀ E L’ACQUA “La natura sembra abbia voluto favorire particolarmente la città e il territorio dello Stato di Modena. L’acqua circola dovunque a pochissima profondità, e in quantità sufficienti a sopperire non solo all’agricoltura e agli altri bisogni usuali, ma anche all’abbellimento delle ville che circondano la capitale.” 1 (Giuseppe Gorani)

Gorani G., Da Francesco III a Ercole Rinaldo, in Ricci F. M., Antichi Stati: Ducato di Modena e Reggio (1700-1859), p. 129. 2 Ferretti M., Modena in Attraverso l’Italia: Emilia Romagna. Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, vol. 1, p.199. 1

Il sistema delle acque ha definito per secoli l’assetto della città. La regimentazione della rete idrica ha caratterizzato tutta la storia del lavoro nella pianura emiliana e, più che in altre aree, a Modena, data la sua collocazione altimetrica e la sua posizione racchiusa tra i due fiumi Secchia e Panaro. Ad esempio, proprio i corsi d’acqua e le conseguenti inondazioni hanno fatto sì che il centro medievale traslasse ad ovest rispetto al castrum romano. La maglia viaria perde spesso regolarità e si conforma alla natura del sito e all’andamento dei numerosi canali che lo attraversano, lasciando tracce nella toponomastica corrente.2 Fin dalla sua fondazione, con il sistema delle acque Modena instaura un legame fisico, dal momento che la geografia emiliana dell’acqua, con le sue valenze di scambio e connessioni tra i diversi luoghi, entra nella città dalle sue origini e ne condiziona la struttura, il funzionamento e l’aspetto fino a tutta la prima metà del Novecento, per 69


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poi diventare sempre meno visibile con l’avanzare della modernizzazione dei servizi urbani. La città, grazie alla presenza della rete dei canali, la quale si ipotizza abbia ritardato lo sviluppo dell’acquedotto, mantiene a lungo quei caratteri che potrebbero definirsi agresti. Inoltre, grazie alla sovrapposizione di questi segni, è possibile notare come spesso il sistema delle acque abbia influito e guidato la rete stradale durante l’espansione della città al di fuori della cinta muraria. Nonostante oggi i canali, a seguito del loro progressivo interramento, non attraversino più il cuore di Modena, questi sono ancora percepibili come un segno tangibile nella città. Alcune delle principali vie ne riprendono il nome, da Canal Grande, a Canalino, fino a Canal Chiaro. In altri punti invece, dove un tempo scorreva un canale, oggi un percorso verde ne ricalca il tracciato: così accade per il sentiero ciclabile che dal parco su Via Buon Pastore percorre gli isolati fino a Via Antonio Peretti, interrompendosi alle spalle dell’area ex-A.M.C.M..

A sinistra: la città e l’acqua. Il sistema dei canali fa riferimento alla cartografia storica del 1844.

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LE MURA DELLA CITTÀ NEI SECOLI

A sinistra: le mura della città nei secoli.

I romani fondarono Mutina lungo la Via Emilia, scegliendo quel sito per la posizione strategica sia in campo militare che economico. Per tali ragioni, fin dal 183 a.C. la città è stata racchiusa da una cinta muraria a scopo difensivo. Nei secoli successivi, l’espansione urbana e il ridisegno delle mura si sono verificati di pari passo, dipendendo l’una dall’altro. Nelle carte storiche del 1844 il perimetro difensivo compare ancora nella sua integrità, comprendendo anche la Cittadella. Nei primi anni del XIX secolo i pochi interventi edilizi ed urbanistici avvengono ancora al suo interno. Solo all’inizio del Novecento ha inizio il progressivo abbattimento delle mura, dettato sia da esigenze di espansione edilizia, ma anche per garantire lavoro a molti abitanti e far fronte all’alto tasso di disoccupazione. Per un certo periodo il camminamento sulla mura diventa un luogo di passeggio panoramico annullando, anche se solamente sul piano visivo, la separazione tra città e territorio. Da questo momento in poi le mura della città cessano di essere un limite fisico e concreto e parte del loro tracciato è oggi rimarcato dai viali verdi che cingono il centro storico ad est e a sud. Tuttavia, esse persistono come segno indelebile nella morfologia urbana, rimarcando una separazione piuttosto netta tra quello che viene identificato come centro storico, denso e compatto, e la città d’impianto più recente. Allo stesso tempo, il disegno della cinta muraria ha definito nei primi piani urbanistici un allineamento 73


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A sinistra: Modena, abbattimento delle mura da barriera Garibaldi a baluardo San Pietro (oggi viale Martiri della Libertà), Ferruccio Sorgato e figlio, 1911, Museo Civico d’Arte di Modena. Ferretti M., Modena in Attraverso l’Italia: Emilia Romagna. Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, vol. 1, p.199. 2 Leoni G., Il Novecento a Modena. Le qualità dell’architettura e i processi di ricostruzione della città, in Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, p. 80. 1

per le direttrici con cui ordinare l’espansione urbana. Il piano regolatore approvato nel 1909 prevedeva infatti una serie di strade parallele e perpendicolari alla cinta muraria, al fine di ottenere un reticolo regolare di isolati su cui costruire nuovi fabbricati. Tuttavia, l’andamento piuttosto irregolare delle mura non poteva orientare uno schema di espansione.1 In ogni modo, oltre ad un’apertura visiva della città verso il territorio, l’abbattimento della cinta muraria definisce uno sconfinamento della città in cui da questo momento iniziano a contrapporsi due culture del progetto2: una del futuro, quella dell’espansione, e una del passato, di cui è oggetto la città storica. L’indefinitezza preservata tra le due città, storica e contemporanea, si manifesta nel progetto di trasformazione del sedime delle mura abbattute nei viali verdi, che solo per estensione di senso possono essere definiti come un parco, i quali costituiscono una testimonianza dell’amore che Modena dimostra nei confronti di questo luogo di confine. La città compatta e murata, fino all’Ottocento, costituiva dunque un fatto architettonico dotato di una propria specifica identità. La questione dell’abbattimento delle mura non riguarda soltanto la cancellazione di una forma della città storica, che in fondo è ancora leggibile, ma della rottura di un limite tra ciò che era città da ciò che non lo era.

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PIAZZE E GIARDINI NELLA CITTÀ COMPATTA

A sinistra: le piazze e i giardini nella città compatta, dedotta dalla cartografia storica del 1844.

Modena, a differenza delle altre città poste lungo la Via Emilia, non ha mantenuto il carattere fondativo originario e l’antica centuriazione romana non è oggi più leggibile. Il nucleo della città che si definisce come centro storico è infatti d’impianto medievale, dislocato rispetto alla griglia regolare del castro e del decumano. Ma è proprio questa forma urbana riconoscibile, dal disegno denso e compatto posizionato nel cuore della città, che contribuisce a caratterizzarne l’identità. Definito per secoli dalla cinta muraria e scolpito dal sistema dei canali superficiali e ipogei, è leggibile come una traccia, un segno nella città che tramanda i valori della densità, della rappresentatività e della collettività. Nella fitta trama urbana trovano talvolta spazio le piazze, spazi urbani in cui la popolazione si radunava in eventi di socialità. In relazione a questi spazi si trovano, non a caso, i fatti urbani di Modena, dal Duomo che si affaccia su Piazza Grande, a Palazzo Ducale che fa da sfondo a Piazza Roma. Questi vuoti risaltano come elementi unici e allo stesso tempo insoliti nello snodarsi nelle strette e lunghe vie cittadine. Ed è forse proprio questo binomio, dato dalla fitta trama urbana e i rari vuoti urbani,che caratterizza e contraddistingue il centro storico di Modena. La piazza diventa un segno imprescindibile per la città. Allo stesso tempo, osservando la cartografia del 1844, quando il nucleo storico raggiunge la sua massima espansione all’interno della cinta muraria ancora intatta, è possibile 77


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A sinistra: Modena, Piazza Grande, le bancarelle del mercato, Benvenuto Bandieri, 1917-1931, Archivio Panini, Fondazione Fotografia Modena. Ferretti M., Modena in Attraverso l’Italia: Emilia Romagna. Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, vol. 1, p.199.

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notare come, così per le piazze, anche gli spazi verdi non trovassero una vera e propria collocazione nella città. Si individuano alcuni giardini privati, all’interno dei chiostri dei monasteri e dei conventi, accompagnati da più ampie distese verdi di risulta, dai disegni geometrici, che separano il Foro Boario dalla Cittadella. Infine, nella parte più a nord dell’”addizione Erculea”, trovano spazio i terreni per le coltivazioni. L’unica vera e propria area pensata come luogo di riposo e ristoro per i cittadini è quella dei Giardini Ducali, aperti al pubblico a metà del ‘700 da Francesco III. Tra gli altri elementi riconoscibili nella fitta trama urbana progressivamente formata nel basso Medioevo compaiono le grandi chiese degli ordini monastici, come San Francesco, San Domenico, Sant’Agostino, e le sedi ecclesiastiche, tutti edifici protagonisti dell’attività edilizia del XVII secolo. Nonostante la presenza di questi poli differenti, il centro religioso e civile di Modena rimane ancorato per secoli, oltre che al Palazzo Ducale, al Duomo e alla Ghirlandina. Basti pensare che fu proprio intorno a questi edifici che nacque l’attuale centro storico, sorto sul luogo di sepoltura del patrono della città. In sintesi, Modena si identifica con la piazza, un tempo come punto d’incontro tra l’identità religiosa e il potere politico,1 e che oggi continua ad essere luogo di aggregazione spontanea. 79


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SPAZI VERDI E SPAZI URBANI

A sinistra: spazi verdi e spazi urbani nella Modena contemporanea. Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, 2012, p. 223. 2 Ibidem. 1

Nel momento in cui le mura vengono abbattute e ha inizio lo sviluppo della città, l’espansione urbana si interfaccia costantemente con la volontà di mantenere saldi e ricreare i valori di densità e socialità del nucleo storico e adottare modelli di sviluppo differenti. A partire dalla fine dell’Ottocento, Modena si caratterizza per la comparsa di recenti spazi e architetture dal valore storico. Nel XX secolo hanno inizio alcuni progetti di riqualificazione del centro storico con lo sventramento di isolati per far spazio alle piazze Matteotti, Marconi, Mazzini. Nuovi spazi pubblici e parchi concretizzano le proposte dei piani urbanistici, andando ad integrarsi all’interno dell’antico tracciato urbanistico del centro storico o disponendosi lungo i più recenti tracciati viari. La realizzazione di questi spazi urbani è strettamente legata all’idea di città risanata che domina la scena urbanistica italiana ad inizio Novecento. 1 Per quanto riguarda le aree produttive delle manifatture e delle sedi delle infrastrutture e servizi, come la ex-A.M.C.M., queste si collocano tutte al di fuori del centro storico. Allo stesso modo, altre aree verdi più ampie trovano posto al di fuori e distanti dall’antica cinta muraria, completando gli isolati. Oltre il perimetro difensivo vengono a formarsi larghi varchi, spesso ampi incroci tra i viali alberati che definiscono la città vecchia e delimitano le nuove geometrie della “città giardino”. 2 81


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A sinistra: Ragazzi di Modena, Bruno Marchetti, 1986, Fondazione Fotografia Modena. 3 Oliva F., I piani urbanistici del Novecento: il caso di Modena, in Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), op. cit., p. 66. 4 Ferretti M., Modena in Attraverso l’Italia: Emilia Romagna. Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, vol. 1, p.199.

Con l’estendersi del processo di urbanizzazione, nell’arco del Novecento viene a perdersi infatti la storica antitesi tra città e campagna, dal momento che quest’ultima, industrializzandosi, perde la sua funzione di spazio non artificiale. Sempre a partire da fine Ottocento e a pari passo con l’industrializzazione, l’isolato si propone come forma urbana della città di quel tempo, come porzione di suolo delimitato dalla rete stradale. In questo patrimonio identitario si inseriscono dunque anche tutti quegli elementi prodotti dalla recente attività di pianificazione urbanistica, che contribuiscono ad implementare e migliorare lo spazio pubblico e per la collettività, con il fine di costruire una città sociale forte e riconoscibile.3 È comunque importante sottolineare come i nuovi interventi non abbiano cancellato la coscienza civica di Modena, la quale continua a riconoscersi in Piazza Grande e nelle sue insegne monumentali.4 In sintesi, la città si compone così sia di elementi tradizionali e di antica formazione, come il centro storico, ma anche di una serie di più recenti spazi urbani e architettonici, realizzati nel primo Novecento, legati alla sfera della socialità e che si offrono come nuovi palinsesti del patrimonio urbano.

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LA FOTOGRAFIA A MODENA UNO SGUARDO SULLA CITTÀ Durante questo percorso di ricerca si è rivelato essenziale fare affidamento all’immenso repertorio fotografico che documenta la storia di Modena dalla comparsa della macchina fotografica ad oggi. E questo non solo per un mero senso di malinconia nei confronti di una Modena che è stata, ma anche come testimonianza e memoria di quanto l’immagine della città, nella sua stratificazione storica e nelle sue energie attuali, sia radicata nella coscienza stessa della collettività modenese. Dall’analisi di quei segni significativi e imprescindibili che definiscono l’identità della città è stato immediato il riscontro, in certe fotografie, di alcuni luoghi o di alcune atmosfere che dipingono e sono Modena stessa. Fotografi come Olivo Barbieri, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Luigi Ghirri e non solo, diversi per generazione e vocazione, hanno offerto una loro visione della città, che ha attraversato l’epoca moderna, il progresso economico e sociale senza perdere la volontà di conservare la propria identità. Attraverso i loro ritratti è possibile osservare l’evoluzione della Modena di ieri e la condizione di quella di oggi, immaginando allo stesso tempo possibili scenari progettuali per la Modena del futuro. L’occhio fotografico si fa dunque mediatore del rapporto con la città, restaurando nella coscienza l’idea stessa di città e del panorama urbano, talvolta liso per eccesso di frequentazione. Come scrive Flaminio Gualdoni in una sua introduzione alla raccolta fotografica sul centro storico di Modena, Gli occhi 85


sulla città, non è tanto la tipicità dell’approccio fotografico dei singoli artisti ad essere primariamente importante, quanto la “loro capacità di scavare i segni urbani sino a mostrarne, snudata e forte, la ragione, la storia, la vocazione: l’identità.” 1 Grazie alla fotografia i modenesi possono guardare la città che prima avevano semplicemente visto, scoprendone prima di tutto i simboli.2 Per fare un esempio, solamente nel momento in cui la Torre del Duomo viene immortalata dagli Orlandini, Modena diventa la “città della Ghirlandina”. Per qualche felice e fortuita coincidenza, nel territorio modenese la storia e la cultura della fotografia sono profondamente radicati. A partire dai primi studi fotografici delle famiglie Orlandini e Sorgato, seguite dai Bandieri, gli archivi storici si arricchiscono di precise documentazioni sulla città a fine Ottocento, fino all’avvio alla modernità. L’attività di questi capostipiti è stata poi presa in carico dai fotografi contemporanei appartenenti sempre al territorio modenese o emiliano, come Franco Fontana, figura fondamentale per la nascita della Galleria Civica, Cesare Leonardi, Beppe Zagaglia, fino a figure come Gabriele Basilico che da Milano arriverà a documentare l’iconografia più monumentale e ufficiale della città. Dalle prime immagini ottocentesche, icastiche, asciutte e con una vena pittorica, si passa ad una ricerca di suggestioni ed atmosfere in cui l’autore presta la propria emotività allo spettatore, in una soggettivizzazione violenta e insieme 86

Gualdoni F., Smargiassi M., Franchini R., Gli occhi sulla città. Il centro storico di Modena nella fotografia contemporanea, 1994, p. 9. 2 Ivi, p. 102. 1


straniata dello sguardo.3 Sono famosi gli scatti più recenti di Cesare Leonardi del Duomo, oppure le immagini della città senza persone o automobili di Paolo Monti. Da un lato Luigi Ghirri racconta i paesaggi modenesi con uno sguardo tra meraviglia e metafisica, dall’altro Gabriele Basilico colleziona scatti in bianco e nero della nuova realtà industriale, trasmettendo il fascino di una possibile eternità di quei luoghi. Ugualmente, nelle prime fotografie degli Orlandini vengono rivelati altri tratti caratteristici, come le infinite immagini che ritraggono Piazza Grande in diverse angolazioni, talvolta vuota oppure gremita delle bancarelle del mercato, a testimoniare quanto Modena si identifichi da sempre nelle piazze. Oppure i reportage delle porte della città e delle mura storiche ad opera dei Sorgato, che raccontano di questo limite fisico dal quale Modena fatica a separarsi. Da questo collage di fotografie e racconti emergono la storia e i caratteri di una città complessa come Modena, che proprio nello stratificarsi di immagini, architetture e luoghi urbani conserva la propria identità.

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Ivi, p. 9.

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MODENA CITTÀ DI FOTOGRAFI

A sinistra: facciata del Duomo di Modena, Pellegrino Orlandini, 1898, Archivio Panini, Fondazione Fotografia Modena.

Nel momento in cui Modena perde il proprio ruolo di capitale con la caduta del Ducato Estense e l’inizio del dominio dei Savoia, a seguito dell’Unità d’Italia, ha inizio un periodo di crisi economica e culturale. Tuttavia, nonostante le condizioni critiche di contorno, i modenesi hanno la forza di ritagliare uno spazio per il settore della fotografia, con la volontà di immortalare ricordi familiari e, in seguito, la città stessa. La figura professionale del fotografo, in origine, era rappresentata da ambulanti, pittori e incisori che avevano alle spalle esperienza da artigiani oppure erano appena usciti dall’Accademia Atestina di Belle Arti. A partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, nascono invece i primi studi fotografici con sede fissa e che si stabiliscono nelle vie del centro storico. Un ruolo importante ha avuto in quegli anni la Società d’Incoraggiamento per gli artisti della provincia di Modena, grazie a cui anche in un periodo buio per la città, ha permesso alla cultura di essere un nuovo motore di rinascita e ripresa, organizzando esposizioni triennali per giovani artisti e professionisti. La città evolve nel tempo e allo stesso tempo mutano le modalità con cui rappresentarla. All’interno degli archivi della Fondazione Modena Fotografia compaiono gli scatti dei fotografi di fine Ottocento, con le loro immagini ufficiali della città, in cui i monumenti sono isolati dal contesto e solo occasionalmente vengono inquadrati i passanti. 89


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Negli scatti degli Orlandini viene raccontata invece la quotidianità dei cittadini, che si radunano nelle piazze o nei giardini, cogliendone la rappresentazione più autentica della vita. 1 La storia della fotografia prosegue, e a partire dalla seconda metà del Novecento entrano in scena nuove figure come Cesare Leonardi che, oltre alla professione di architetto, si dedica ad una rappresentazione malinconica della città e del suo quotidiano attraverso scatti studiati e geometrici; oppure Franco Fontana, il quale intraprende la strada degli scatti a colore per immortalare volumi geometrici, spesso volutamente privi di riferimenti facilmente identificabili 2, e luoghi astratti nella città. Negli scatti di Beppe Zagaglia Modena appare invece vissuta e attraversata dalle persone, contribuendo a radicare un grande senso di appartenenza al territorio, mentre, per citarne un ultimo, con Luigi Ghirri cambia nuovamente la riflessione sulla fotografia attraverso gli scatti che danno una nuova dignità ai luoghi di confine, alle periferie e allo stesso paesaggio emiliano. 3

A sinistra: Modena, Luigi Ghirri, 1973. Dall’Olio C. (a cura di), Modena e i suoi fotografi: 1870-1945, 2013, p. 13. 2 Ivi, p. 32. 3 Ivi, p. 34. 1

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FOTOGRAFI DI IERI

A sinistra: Partita interessante, Umberto Orlandini, 1910-1920, Archivio Panini, Fondazione Fotografia Modena.

Precursore della fotografia di nuova generazione a Modena è Pietro Barbieri che nel 1865 ha già uno studio personale affermato in città. Diventa famoso per le commissioni pubbliche che gli vengono richieste e, in particolare, per gli scatti realizzati al Duomo. Nel 1870 i fratelli Angelo e Gaetano Sorgato, che avevano la propria sede a Venezia, aprono uno studio a Modena, detenendo per anni il primato come miglior studio in città da numerosi clienti, da quelli privati, come nobili e borghesi per ritratti di famiglia, fino alle committenze pubbliche. Tra i più illustri committenti pubblici si ricorda l’Accademia Militare, che riconosce l’importanza della fotografia come efficace strumento per l’autocelebrazione. Il figlio di Gaetano Sorgato, Ferruccio, riceve in seguito l’incarico di fotografare tutte le opere esposte alla Galleria Estense, così come la documentazione delle spedizioni archeologiche per il Museo Civico. Il patrimonio fotografico dei Sorgato si divide oggi tra l’archivio di negativi conservato dagli eredi della famiglia, mentre i positivi sono suddivisi tra il Museo Civico d’Arte, Museo del Risorgimento, Biblioteca Estense Universitaria, Poletti, Archivio Storico Comunale e il Fotomuseo Panini. Nel 1873 nasce la società dei Fratelli Federico e Cesare Bozzetti, che si dimostrano essere agguerriti rivali dei Sorgato, non solo nella realizzazione di ritratti famigliari, ma anche nella documentazione della città che sta cambiando e degli 93


avvenimenti che ne popolano le strade. Nel 1881 apre lo Studio Orlandini, il più noto in città, condotto da tre generazioni di fotografi: Pellegrino, Umberto e Carlo Orlandini. Parte come studio senza una bottega fissa con Pellegrino Orlandini, fino all’apertura di uno studio a Modena, in Via Bagni 19, che entrerà anch’esso subito in competizione con la Famiglia Sorgato. Pellegrino Orlandini è da ricordare in quanto è stato il primo fotografo a documentare la provincia modenese viaggiando e uscendo dalle mura cittadine. Gli scatti dei paesaggi, dei ritmi umani e dei luoghi che egli realizza costituiscono una delle più originali ed interessanti operazioni nel quadro della storia della fotografia locale.1 Anche gli Orlandini ricevono incarichi dall’Accademia Militare dopo che questa ha tolto il privilegio ai Sorgato. Ricevono inoltre un importante incarico per la realizzazione di un album fotografico di vedute e dettagli di ville, palazzi ed edifici pubblici realizzati su progetto dell’architetto Vincenzo Maestri. Il ruolo e la fama dello studio vengono ufficializzati quando, nel 1902, Orlandini entra a far parte della Società Fotografica di Firenze, una delle più prestigiose in Italia. Il periodo di maggiore successo è quando lo studio riceve commissioni dal Comune, dall’Accademia Militare e anche dal Partito Fascista. Anche la Curia si dimostra essere un committente importante nel momento in cui prendono av94

Russo R. (a cura di), Modena fin de siècle: fotografie e fotografi a Modena 1864-1900, 2005, p. 11.

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vio le operazioni di restauro del Duomo, affidando sia agli Orlandini che ai Sorgato la documentazione dell’avanzamento dei lavori e per riconferire splendore alla cattedrale come simbolo della città. Umberto Orlandini lascia un segno nella fotografia modenese, immortalando la quotidianità cittadina, frequentando le corse dei cavalli, le inaugurazioni di monumenti, i mercati delle piazze e le parate militari, tutte immagini che racchiudono la partecipazione dei cittadini alla socialità negli spazi urbani. Verso la fine della propria carriera Carlo Orlandini cede una piccola parte del suo archivio allo CSAC di Parma. La parte più consistente è stata invece donata da Maria Grazia Orlandini, figlia di Carlo Orlandini, a Giuseppe Panini nel 1980. Questa importante donazione è confluita prima nell’archivio del Fotomuseo Panini e infine nella Fondazione Fotografia Modena. Nel 1917 Benvenuto Bandieri apre a Modena, in Via dello Zono 8, il suo studio fotografico, non troppo distante dallo studio Orlandini. Si specializza fin dall’inizio dell’attività in un nuovo settore per l’epoca, ovvero in fotografia industriale. Viene affiancato in studio dal figlio William Bandieri. Lo studio prosegue sulla scia degli Orlandini, documentando la città con i suoi palazzi, i nuovi edifici realizzati sotto il Partito Fascista oppure le nuove piazze che si aprono tra le 95


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A sinistra: Modena, antiche case di Piazza Grande, Pellegrino Orlandini e figlio, 1885-1894, Museo Civico d’Arte di Modena.

vie del centro storico. L’archivio fotografico della famiglia Bandieri è oggi consultabile presso la Fondazione Fotografia Modena. Una data importante per la fotografia modenese è il 1931 quando prende avvio la “Gazzetta della Domenica”, il settimanale della “Gazzetta dell’Emilia”, in cui vengono pubblicate regolarmente le immagini fotografiche dei maggiori studi fotografici, tra cui i Sorgato, gli Orlandini e i Bandieri, commissionate dal regime fascista. Pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondale, nel 1947, si ricostituisce il Circolo Fotografico Modenese, a testimonianza che alla fotografia viene nuovamente attribuito un valore artistico. Nel 1954 il Circolo si iscrive alla FIAF, ovvero la Federazione Italiana Associazioni Fotografiche, e organizza in seguito la prima mostra fotografica nazionale, che nel 1956 diventa “Biennale Internazionale di Arte Fotografica”, rassegna a cui partecipano fotoamatori da più continenti. Nel 1959 nasce la Galleria Civica e viene inaugurata la Sala Comunale di Cultura al Palazzo dei Musei. Anche questo è un momento di fondamentale importanza per la fotografia, perché la Sala Comunale di Cultura diventa uno ambiente in cui giovani artisti trovano un proprio spazio per la sperimentazione in campo culturale e intellettuale. Nel 1966 il Circolo Fotografico Modenese tiene la sua ultima “Biennale” alla Sala di Cultura. 97


Piazza XX Settembre, Benvenuto Bandieri, 1917-1931, Archivio Panini, Fondazione Fotografia Modena.

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Contrada Terraglio Est con le mura, Umberto Orlandini, 1910, Archivio Panini, Fondazione Fotografia Modena.

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FOTOGRAFI DI OGGI

A sinistra: Ippodromo, Beppe Zagaglia, 1969. Bulgarelli S., Modena e i suoi fotografi: dal dopoguerra agli anni Novanta, 2014, p. 14. 2 Ivi, p. 15. 1

Tra gli anni Sessanta e Settanta l’ente pubblico cittadino decide di investire molto nei settori dell’istruzione e della cultura, ponendosi come primo sostenitore di attività culturali aperte alla partecipazione dei cittadini 1, facendo della Sala della Cultura il luogo principale della divulgazione artistica. Qui, nel 1968 vengono ospitate le mostre fotografiche di due figure di spicco nel panorama modenese ed emiliano, Franco Fontana e Beppe Zagaglia. Due anni dopo, entrambi espongono al Centro Culturale Pirelli di Milano, presentati da Franco Vaccari. È un fatto significativo, in quanto testimonia che una situazione culturale generata a Modena viene ufficialmente esportata fuori città. Da questo momento in poi le istituzioni manifestano un interesse concreto nei confronti della fotografia, generando in città un ambiente che ha permesso agli artisti modenesi la possibilità di crescita, di sviluppo di una propria poetica e di un linguaggio espressivo unico, lasciando un segno nella fotografia italiana.2 Sempre Beppe Zagaglia e Franco Fontana espongono nel 1972 a Modena dopo l’inaugurazione di una serie di pubblicazioni dedicate alla città, rispettivamente Modena, amore mio e Modena, una città. Insieme a loro anche Luigi Ghirri, presentato da Vaccari con la sua prima personale all’Hotel Canalgrande. Ha così inizio un periodo brillante per la fotografia italiana. 101


L’anno seguente le istituzioni pubbliche compiono un ulteriore passo nel riconoscimento del valore della fotografia, col progetto in Piazza Grande della Sala ex-Sip, detta poi Galleria Fotografica di Piazza Grande, nel cuore della città. La sala viene inaugurata con una mostra di Luigi Ghirri e da questo momento vengono allestite in modo continuativo esclusivamente mostre fotografiche con periodicità mensile. Tra gli anni Sessanta e Settanta lo sguardo culturale, che fino a quel momento si era concentrato principalmente su una realtà più che altro cittadina, si allarga ricercando una connessione col territorio urbano ed extraurbano. È all’interno di questo panorama, ad esempio, che Paolo Monti propone un reportage dei centri storici di Bologna, Forlì e Cesena con l’obiettivo di rafforzare la coscienza del patrimonio culturale.3 Sempre Paolo Monti prosegue il proprio progetto fotografico documentando le zone dell’Appennino Modenese e del centro storico di Modena, contribuendo allo stesso tempo ad un suo graduale recupero, iniziato verso la metà degli anni Settanta. Nel 1985 l’Azienda Municipalizzata del Comune di Modena, che necessita di ampliare i propri spazi, in previsione del trasferimento della sede commissiona un report fotografico a cinque artisti per raccontarne la storia: Gabriele Basilico, Sandro Goldoni, Daniele Mussatti, Marco Ravenna, Ernesto Tuliozi. Anche questa è un’ulteriore prova del ruolo che ormai la fotografia aveva assunto nel cogliere e diffondere il 102

Bulgarelli S., Modena e i suoi fotografi: dal dopoguerra agli anni Novanta, 2014, p. 18.

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valore di determinati spazi urbani all’interno della città. I fotografi modenesi acquisiscono sempre più fama, come testimonia la mostra del 1978 presso la Galleria Olivetti di Parigi, intitolata 3 artistes de l’école de Modène, in cui compaiono gli scatti di Fontana, Ghirri e Leonardi. Nello stesso anno Luigi Ghirri fonda a Modena la casa editrice specializzata in fotografia Punto e Virgola, con cui pubblicherà il suo primo libro dal titolo Kodachrome. Il ruolo della fotografia a Modena è ormai universalmente riconosciuto, tanto che Franco Fontana propone l’istituzione in città di una Fondazione Nazionale della Fotografia Italiana. La proposta non trova un riscontro concreto, ma Fontana contribuisce in maniera significativa in ambito modenese quando nel 1991 dona la sua personale collezione fotografica alla Galleria Civica, dalla quale nasce la Raccolta della Fotografia Contemporanea. Modena negli anni Ottanta si impegna in diverse opere di restauro del centro storico e del duomo, sviluppando un vivo interesse verso l’architettura. Ancora una volta la fotografia diventa uno strumento di divulgazione per questi nuovi progetti. Negli scatti di Luigi Ghirri, il quale più volte si interfaccia col mondo dell’architettura, si ritrovano i riflessi di questi anni. Famosi sono infatti le immagini del Cimitero di San Cataldo, ad opera di Aldo Rossi e Gianni Braghieri. Cesare Leonardi si occuperà invece, nel 1984 di documen103


tare il Duomo della città nel volume Il Duomo di Modena. Atlante fotografico. Nel 1993 nasce “Modena per la Fotografia” con un ricco programma di iniziative e mostre, il cui obiettivo è quello di dare avvio ad una nuova attività sulla fotografia che possa durare negli anni e fare di Modena un punto di riferimento per le attività fotografiche. Viene anche istituito il Premio Oscar Goldoni destinato a segnalare il miglior libro fotografico dell’anno. L’anno successivo si tiene la mostra Gli occhi sulla città nell’ormai ex Galleria Fotografica di Piazza Grande, a cui partecipano figure come Basilico, Barbieri, Fontana, Ghirri, Jodice, Zagaglia e Monti. Ormai è evidente che a Modena sia presente più che mai la volontà di sviluppare iniziative inerenti all’ambito fotografico, e sempre sulle orme di “Modena per la Fotografia” vengono organizzati in città mostre, convegni, dibattiti e workshop, in cui autori italiani e internazionali trovano il proprio spazio per confrontarsi. Nel 1996 muore il collezionista modenese Giuseppe Panini e la sua vasta raccolta viene donata al Fotomuseo Panini, istituito nel 1998 e che si manterrà attivo fino al 2012, i cui fondi si arricchiscono nel tempo attraverso forme di deposito e donazioni da parte di enti pubblici e soggetti privati. Nel 1998 Franco Fontana pubblica il volume Modena Ieri, Modena Oggi, in cui documenta l’evoluzione civile, 104


economica ed estetica della città e di come questa appaia restaurata più che in passato, attraverso una comparazione tra le fotografie di fine Ottocento e i suoi scatti personali. Nel 2007 nasce la Fondazione Fotografia di Modena, centro espositivo e di formazione interamente dedicato alla fotografia e all’immagine contemporanea. Quest’ultima, insieme al Fotomuseo Panini e alla Galleria Civica, confluiscono in un’unica istituzione nel 2017, quando nasce la Fondazione Modena Arti Visive FMAV.

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“Il popolo nostro è un popol del demonio, e non si può frenar con alcun freno” 4

Tassoni A., La Secchia rapita, 1622 in Fontana F., Aemilia, 1993.

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Ferrari Testarossa, Riccione, Franco Fontana,1985.

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Modena, Cimitero di San Cataldo, Luigi Ghirri, 1985.

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LA FONDAZIONE MODENA ARTI VISIVE La Fondazione Modena Arti Visive nasce con l’obiettivo di unificare il vasto patrimonio fotografico presente nel territorio modenese. L’istituzione nasce nel 2017 e si presenta come un distretto culturale impegnato nella valorizzazione del patrimonio di cui dispone, diffondendo l’arte e la cultura visive contemporanee attraverso l’organizzazione di mostre, laboratori, corsi di alta formazione, conferenze ed eventi. Allo stesso tempo FMAV si occupa di altre attività sempre funzionali e fondamentali per il materiale fotografico, attraverso spazi adibiti al restauro, al deposito, alla conservazione e catalogazione delle collezioni. La Fondazione dispone infatti di un archivio climatizzato all’interno del quale vengono raccolte le fotografie delle diverse donazioni, rendendole disponibili per la consultazione e, talvolta, fruibili da parte del pubblico. Le sale per la consultazione sono progettate secondo gli standard ministeriali con archivi climatizzati, con temperature e umidità controllate. Per iniziativa del Comune di Modena, viene istituita per raccoglie l’eredità e il patrimonio culturale degli altri tre enti che sono confluiti in essa: Galleria Civica di Modena, Fondazione Fotografia di Modena, Museo della Figurina.

A sinistra: Esposizione in tempo reale n. 4, Franco Vaccari, Biennale di Venezia, 1972.

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LE COLLEZIONI

A sinistra: Modena, Modena per me, Beppe Zagaglia, 1989.

Le collezioni di fotografia si compongono del materiale raccolto dalla Galleria Civica, con la Raccolta della Fotografia, e dalla Fondazione di Modena, con la Collezione di Fotografia. La Fondazione Modena Arti Visive gestisce inoltre le collezioni di fotografia storica modenese di cinque fondi, che ammontano ad un totale di circa 1.500.000 immagini appartenenti a privati e istituti pubblici. La Galleria Civica del Comune di Modena nasce nel 1959 come istituzione pubblica, affermandosi come uno dei centri di produzione culturale più autorevoli nel panorama nazionale dell’arte contemporanea. La Galleria espone inizialmente presso il Palazzo dei Musei dal 1963 al 1995, quando Walter Guadagnini ne assume la direzione che manterrà fino al 2005, diventando una figura storica per l’istituto. Essa conserva due importanti collezioni permanenti: la Raccolta del Disegno, costituita da oltre 4.000 opere su carta appartenenti ad artisti italiani del Novecento, e la già citata Raccolta di Fotografia Contemporanea. Quest’ultima, in particolare, nasce nel 1991 grazie a Franco Fontana, il quale dona alla Galleria Civica un primo nucleo di 500 fotografie appartenenti alla sua collezione privata, raccolti nel corso della propria carriera. La donazione di Fontana si arricchisce negli anni grazie alle sue continue donazioni, fino alla nascita del Fondo Franco Fontana che conta oggi 1600 fotografie. All’interno della Raccolta confluiscono anche molte delle 111


immagini che sono state presentate alla manifestazione “Modena per la Fotografia”, a partire dal 1993, da autori locali e internazionali, portando a oltre 4000 opere la consistenza complessiva di questa collezione. Nella raccolta sono presenti molti degli artisti che hanno segnato la storia della fotografia moderna, come Eugène Atget, August Sander, Man Ray, Walker Evans, André Kertesz, Weegee, Robert Doisneau fino a William Klein, Minor White, Ralph Eugene Meatyard, insieme a molti altri protagonisti della fotografia contemporanea Lewis Baltz, Mario Cresci, Duane Michals, Joan Fon-tcuberta, Paolo Gioli, Martin Parr, Franco Vaccari, Ugo Mulas, Nan Goldin, Francesca Wo-odman, Nobuyoshi Araki, Elina Brotherus. Non manca la presenza significativa dei principali autori che hanno ridefinito la fotografia italiana di paesaggio come Luigi Ghirri, Franco Fontana, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Olivo Barbieri. L’importanza e l’ampiezza della Raccolta della Fotografia testimoniano quanto questa costituisca un patrimonio culturale di altissimo valore, sia per il territorio modenese ma anche a livello nazionale e internazionale, mantenendo viva la ricerca di nuovo materiale dell’ultima generazione di fotografi contemporanei. La Fondazione Fotografia di Modena nasce nel 2007 per iniziativa della Fondazione di Modena come centro d’arte 112


contemporanea e scuola di alta formazione dedicati alla fotografia e all’immagine contemporanee. Si compone di una collezione di fotografia contemporanea, italiana e internazionale, con un patrimonio di 1375 opere di 219 autori. Comprende una collezione internazionale che conta oltre 650 opere di 135 artisti, strutturata per aree geografiche, e una sezione dedicata alla fotografia italiana. Qui convergono quasi 380 opere di 20 artisti, che testimoniano alcune delle esperienze più significative in Italia dagli anni Settanta ad oggi: Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Franco Vaccari, Paola De Pietri, Walter Niedermayr, e Franco Fontana sono alcuni tra gli artisti coinvolti. A partire dal 2007 la collezione si è arricchita con altre 290 opere di 51 giovani fotografi, favorendo la valorizzazione di nuovi talenti. Inoltre, dal 2011 la Fondazione Fotografia di Modena inizia ad acquisire le opere della mostra annuale “The Summer Show”, a cui partecipano gli studenti più meritevoli della Scuola di Alta Formazione. Per quanto riguarda gli archivi di fotografia storica, la Fondazione di Modena comprende anche le collezioni di cinque fondi che datano dal 1863 agli anni Cinquanta per un totale di oltre 114.000 immagini realizzate da fotografi modenesi, oltre a un importante archivio di oltre 10.000 negativi sulla Biennale d’Arte di Venezia, dal 1948 al 1986 provenienti dall’archivio Cameraphoto. All’interno della sezione storica 113


è confluito anche il patrimonio ereditato dall’ex Fotomuseo Panini che ha raccolto materiale da archivi privati, come la collezione Panini e Sorgato, e da istituti pubblici, tra cui il Museo del Risorgimento, il Museo Civico, la Provincia e il Comune di Modena. In questo modo la Fondazione Fotografia conserva gli scatti che documentano la storia della città dal 1870 al 1990 attraverso l’attività degli studi modenesi Orlandini, Sorgato, Bandieri, Botti e Pincelli, Giberti, per un totale di 1.500.000 immagini. La raccolta di Giuseppe Panini, famoso collezionista e industriale modenese, acquisisce all’inizio degli anni Ottanta gli archivi degli studi Orlandini e Bandieri. Il fondo si compone di oltre 380000 fotografie, tra cui per la maggior parte si trovano lastre e pellicole negative che immortalano la città di Modena, il territorio provinciale, ma anche ritratti eseguiti in studio, oltre ad una significativa documentazione degli eventi pubblici culturali, sportivi, politici. La collezione si arricchisce inoltre con la documentazione cartacea dello studio Orlandini, fatta di corrispondenza privata e commerciale, con immagini realizzate da autori emiliani tra il 1860 e il 1950. Infine, si contano anche i ritratti di autori dell’Ottocento di fama internazionale, che ammontano in totale a circa 2000 pezzi. Lo studio fotografico Botti e Pincelli ha lasciato una raccolta notevole di immagini che ritraggono gli avvenimenti cittadi114


ni dal 1947 fino al 2010, dall’ammontare di circa un milione di scatti, al Comune di Modena, per poi passare ufficialmente alla Fondazione Modena Arti Visive. Infine, la parte storica della collezione si completa con l’archivio fotografico del Museo del Risorgimento e quelli degli artisti Giuseppe Graziosi ed Eugenio Zampighi appartenenti ai Musei Civici di Modena. La Fondazione Modena Arti Visive non conserva solamente il materiale fotografico, ma comprende anche la collezione del Museo della Figurina. Quest’ultimo nasce nel 2006 grazie alla collezione di piccole stampe a colori che nel 1992 era stata donata al Comune di Modena dall’imprenditore modenese Giuseppe Panini, fondatore nel 1961, assieme ai suoi fratelli, dell’omonima azienda. All’interno del Museo della Figurina sono esposti circa 2500 pezzi nella mostra permanente, mentre la restante parte è conservata all’interno dell’archivio ed è consultabile solo su appuntamento. Complessivamente la collezione è costituita da circa 500000 pezzi tra cui non solo figurine ma anche calendarietti tascabili, etichette d’albergo, bolli chiudilettera, notgeld, giornalini per ragazzi, scrap book.

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Ex Manifattura Tabacchi Chiesa di San Nicolò Palazzina dei giardini

Palazzo Santa Margherita

Scuola di Alta Formazione

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GLI SPAZI PER LA FOTOGRAFIA

A sinistra: le sedi della Fondazione Modena Arti Visive (in rosso) e i principali luoghi della cultura a Modena. A sud, l’area dell’ex-A.M.C.M. (in bianco).

La Fondazione Modena Arti Visive è dislocata su più sedi: Palazzo Santa Margherita, Palazzina dei Giardini, ex-Manifattura Tabacchi, Scuola di Alta Formazione. Il Palazzo Santa Margherita si trova nel centro storico di Modena e porta il nome della chiesa che un tempo sorgeva in quel sito. L’edificio nasce infatti dall’unione di più volumi del complesso conventuale, per poi essere restaurato nell’Ottocento assumendo l’attuale configurazione, con la facciata principale ad opera di Francesco Vandelli che si affaccia su Corso Canalgrande. Oggi il palazzo ospita una serie di istituzioni culturali: al piano terra la Biblioteca Antonio Delfini; al primo piano la Galleria Civica dal 1995, con circa 500 metri quadri dedicati a spazi per sale espositive e laboratori; al secondo piano il Museo della Figurina. La Palazzina dei Giardini, edificata nel 1634 su progetto di Gaspare Vigarani e per volere del Ducato Estense, verrà poi utilizzata come serra e deposito di attrezzi nel XX secolo, per poi essere riconvertita oggi in uno spazio culturale per la città. Le sue stanze ospitano infatti le mostre di arte moderna promosse dalla Galleria Civica. In quella che un tempo è stata l’addizione erculea nella città ducale, si trova l’ex-Manifattura Tabacchi, sorta sul sito dell’antico Convento di Santa Maria Maddalena e poi trasformato in edificio per la produzione. Il complesso è stato dismesso nel 2002 e, dopo essere stato riconosciuto di interesse 117


culturale si aggiunge alle sedi in cui la Fondazione Modena Arti Visive allestisce le proprie esposizioni, mostre ed eventi. La Fondazione Modena Arti Visive si compone anche della Scuola di Alta Formazione, in Via Giardini, a sud ovest della città.Istituita nel 2011, la scuola si inserisce all’interno del settore artistico, dedicandosi all’immagine contemporanea, e gode di una prestigiosa fama a livello nazionale e internazionale. L’edificio in questione, suddiviso in tre piani, ospita diversi spazi per gli studenti: una sala per le lezioni tecniche e per il lavoro individuale, attrezzata con dodici postazioni; due ambienti distinti per la camera oscura; una sala posa dove trova spazio lo studio fotografico di circa 40 metri quadri. All’interno della Scuola si trovano anche una biblioteca e una videoteca a disposizione degli studenti. Il materiale conservato è costituito da circa mille volumi di fotografia, dalle monografie ai cataloghi fotografici, sommati a circa centocinquanta videointerviste agli artisti presenti in collezione e a personalità significative nel mondo dell’arte. Al secondo piano è collocata una parte dell’archivio della Fondazione FMAV, ovvero il materiale storico. La Scuola di Alta Formazione si annovera tra uno dei diciotto partner del Parallel-European Photo Based Platform, un progetto co-finanziato dal programma Europa Creativa dell’Unione Europea, il quale ha come obiettivo la formazione di giovani fotografi e di professionisti nella ricerca curato118


riale attraverso un programma di incontri, tutoraggi, scambi e mostre in diverse istituzioni europee. All’interno di questo panorama gli studenti vengono coinvolti in programmi di scambi e progetti sia in Italia ma anche all’estero, e la scuola ospita a sua volta giovani artisti stranieri per brevi periodi di ricerca a Modena. Il materiale conservato dalla Fondazione Modena Arti Visive è vasto, articolato e costituisce un patrimonio fondamentale per la storia della fotografia di fine Ottocento ma anche contemporanea. Tuttavia, specialmente negli ultimi anni, gli ambienti in cui custodire gli archivi si sono rivelati essere insufficienti e per tale ragione il materiale conservato è stato dislocato nelle diverse sedi della fondazione, in particolare nella Scuola in Via Giardini e a Palazzo Santa Margherita. Allo stesso modo, FMAV non dispone di un’unica sede centrale e fissa in cui realizzare mostre ed eventi aperti alla cittadinanza o, ancor più, dove l’archivio, gli spazi espositivi e quelli formativi possano confluire unitamente a rappresentare il ruolo che la fotografia riveste nel panorama culturale modenese.

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A.M.C.M.

A sinistra: collage di fotografie che ritraggono l’A.M.C.M. negli anni, Archivio A.M.C.M.-Hera S.p.A.

La storia delle Aziende Municipalizzate è in larga misura la storia stessa di Modena. Ripercorrendone il lungo cammino, dal 1912 ad oggi, emerge il solido legame che unisce l’A.M.C.M. alla città, vincolo che risiede nella capacità di aver garantito per quasi un secolo tutta una serie di servizi adeguati ai cittadini, dal fornire energia elettrica, al completamento della rete urbana di gas metano fino al disegno di una rete di trasporto pubblico che collegasse la periferia al centro storico. L’area del comparto ex-A.M.C.M. si trova nelle vicinanze del Centro Storico, più a sud dei viali di cintura che lo circondano, nonché nella prima fascia di espansione periferica otto-novecentesca. Si tratta di edifici di proprietà comunale, resi liberi dopo il trasferimento dell’Azienda Municipalizzata in un’altra area della città intorno alla metà degli anni Novanta. La sede viene inaugurata il 22 aprile 1912, in Via Carlo Sigonio e i primi edifici a comporre l’area sono quelli per il deposito dei tram e quelli della centrale elettrica. Fino al 1995 l’A.M.C.M si è occupata della gestione della rete di luce e gas, oltre che dei trasporti comunali. La storia delle Aziende Municipalizzate è ricca e complessa e l’area stessa, con lo stratificarsi delle costruzioni e di nuovi volumi, ne è una testimonianza tangibile. La ricostruzione del passato, della complessa evoluzione di questa istituzione, ha consentito una migliore comprensione del presente e del valore che quest’area, oggi dismessa, ha per Modena. 121


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LO SVILUPPO INDUSTRIALE A MODENA

A sinistra: costruzione della sottostazione elettrica, quartiere Crocetta a Modena, 1958, Archivio A.M.C.M.

Modena è stata per secoli fortemente legata all’attività agricola, così come del resto molte delle città emiliane immerse nella fertile Pianura Padana. Queste città hanno impedito per lungo tempo un risveglio economico e l’ammodernamento delle campagne, dal momento che dal Medioevo fino al XIX secolo hanno mantenuto salda una struttura policentrica con funzione egemonica di centro amministrativo, commerciale e dei consumi collettivi nei confronti del mondo rurale. Solo verso fine Ottocento, con la ridefinizione del rapporto tra la città e la campagna padana circostante ha avvio la spinta motrice per lo sviluppo economico e civile, non solo delle grandi città, ma anche di quelle aree urbane dalla lunga tradizione storica, come Modena. Quest’ultima, che in questa fase vive un aumento demografico e dei beni industriali, prosegue il proprio sviluppo come città industriale, perseguendo come obiettivo principale la salute e l’igiene dei cittadini. A fine Ottocento Modena era ancora una città fortemente legata all’attività agricola e sostava in una situazione di evidente arretratezza. Con l’arrivo del secolo successivo la città compie un cammino di grande cambiamento in ambito infrastrutturale, raggiungendo risultati soddisfacenti che, indubbiamente, hanno reso possibile il grande sviluppo industriale. La città, per rispondere alla necessità di dotarsi di strutture a sostegno dell’economia, consolida e amplia gli insediamenti lungo la fascia ferroviaria e, con i piani urbanistici che arriveranno 123


negli anni Sessanta, lungo la Via Emilia. Ad ogni modo, all’inizio del Novecento a Modena persistevano un alto tasso di disoccupazione, condizioni igienico-sanitarie precarie nelle case e nelle città. In questo panorama di rivoluzione della rete infrastrutturale si inserisce la costituzione delle Aziende Elettriche Municipalizzate (AEM), nel 1911. La collocazione della centrale elettrica, insieme all’arrivo dell’A.M.C.M. e il disegno della rete dei tram, funzionarono da vettori principali di una nuova urbanizzazione, sia industriale che abitativa, spingendo sempre di più verso una successiva rivoluzione urbanistica che avrebbe ampliato e modificato l’assetto di Modena fuori dalle mura. Nel momento in cui i tram a cavallo lasciano posto a quelli elettrici, i sobborghi vengono finalmente collegati più facilmente col centro storico, favorendo a tutti il diritto alla mobilità. Trasporti ed energia diventano fattori di sviluppo e di equità. 1 Negli anni Cinquanta, immediatamente dopo la guerra, la ripresa economica si manifesta anche attraverso l’espansione urbana, con l’esodo delle campagne verso la città, dove le industrie producono ogni tipo di beni di consumo. Inevitabilmente lo sviluppo urbano genera negli abitanti nuove esigenze, con le quali le amministrazioni comunali devono fare i conti. L’espansione urbana, dettata anche da un sempre più celere sviluppo industriale, è direttamente collegata al servizio dei trasporti. Questo, infatti, è stato tra i settori che più hanno risentito 124


dell’aumento della popolazione al di fuori del centro storico. Infatti, il sorgere di nuovi quartieri periferici sempre più lontani necessitava di un’adeguata rete di trasporto pubblico. Dunque, non solo l’area dell’ex-A.M.C.M. ricopre un ruolo di fondamentale importanza nello sviluppo e per la storia di Modena, ma si inserisce allo stesso tempo in un panorama più ampio, ovvero quello industriale. La città si compone infatti di vasti ambiti urbani dediti alla produzione, che dalla cerchia esterna del nucleo storico si espandono fino alla periferia. Tra questi, quelli che ad oggi vivono uno stato di degrado e abbandono si offrono come luoghi da reinventare sia nell’immagine che nella funzione. Proprio lo sviluppo industriale ha infatti offerto uno stimolo per trasformare la forma urbana, costruire nuovi spazi e una nuova idea di città. Le aree produttive diventano nuovi luoghi identitari, e la fabbrica si propone a nuovo spazio patrimonializzato. Nuovi spazi che, una volta dismessi, offrono nel loro valore patrimoniale la possibilità di generare nuovi palinsesti urbani.

Bulgarelli V., Città, cittadini, politiche riformiste e lo spazio urbano a Modena, in Bulgarelli V., Mazzeri C. (a cura di), Città e architetture. Il Novecento a Modena, 2012, p. 51.

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IL RUOLO DELL’A.M.C.M.

A sinistra: Modena con i percorsi della linea tranviaria nel 1913. A sud, l’area dell’A.M.C.M. (in rosso).

Prima della costituzione delle Aziende Municipalizzate, ad inizio del ventesimo secolo, Modena era dotata di alcuni servizi di pubblica utilità, tra cui il sistema di trasporto pubblico a trazione animale che attraversava la città partendo dalle quattro porte per poi incrociarsi al centro. Era presente anche uno stabilimento per la produzione di gas per l’illuminazione urbana che, insieme a quello dei trasporti, rappresentavano i settori che garantivano maggiore occupazione agli abitanti modenesi. A partire dal 1894 era la società franco-belga Union de Gaz che si occupava della produzione ed erogazione del gas sia a Modena che a Bologna attraverso la distillazione del carbone. Per quanto riguarda il trasporto pubblico, questo era affidato alla Società anonima dei Tramways dal 1881. Qualche anno dopo, nel 1900 vengono proposti per la prima volta non solo l’ammodernamento del trasporto pubblico, elettrificando le linee in sostituzione alla trazione animale, ma anche di creare un’unica centrale termo-elettrica ad uso cittadino, assente a Modena. Il primo servizio elettrico per Modena viene appaltato alla privata Società Tavoni-Axerio & Co., che realizza una piccola centrale termoelettrica in città che portava energia elettrica alla cabina tra Via Buon Pastore e Via Carlo Sigonio. Un’altra importante trasformazione che avviene in città ad inizio del secolo è l’approvazione, nel 1903, del “Piano Re127


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A sinistra: evoluzione storica dell’area A.M.C.M.. Ricostruzione del complesso nel 1898 (1), nel 1911 (2), nel 1913 (3), nel 1943 (4).

golatore edilizio e di ampliamento” secondo cui sono previsti non solo il risanamento del centro storico, con l’ampliamento e il riassetto delle vie cittadine, ma anche l’abbattimento dell’antica cinta muraria. Con quest’ultima proposta era dunque inevitabile il collegamento tra la periferia e il centro urbano e sarebbe stato necessario intensificare e ammodernare il trasporto pubblico introducendo la trazione elettrica. La città esigeva una sede per la produzione elettrica, dalla quale dipendeva ormai il futuro del trasporto pubblico modenese. Le nuove linee previste dall’ingegner Panzarasa, a cui venne affidato il progetto per l’impianto tranviario, erano pensate per mettere in comunicazione il centro con i nuovi Mercati disposti al di fuori dell’antico perimetro murario e per servire tutte le parti della città. Allo stesso tempo la comparsa dei tram avrebbe permesso l’espansione urbana, rendendo raggiungibili ed edificabili quei terreni che fino a quel momento non lo erano a causa della distanza dal nucleo storico. Le linee periferiche diventano da questo momento gli assi portanti di una nuova urbanizzazione, sia industriale che abitativa, guidando la città al di fuori delle mura storiche. Il nuovo progetto per la rete tranviaria elettrica e i contrasti sulla qualità del servizio di illuminazione convincono il Comune di Modena ad assumersi la gestione di questi servizi. Così, nel 1911 vengono costituite le Aziende Elettriche Municipalizzate. 129


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A sinistra: evoluzione storica dell’area A.M.C.M.. Ricostruzione del complesso nel 1963 (1), nel 1985 (2), nel 2013 (3), oggi (4). ASMo, Archivio Notarile, Dott. Gaspare Manfredini, n. 1380, vol. 147, 1 aprile 1905, in Verifica preventiva dell’interesse archeologico, area ex sede A.M.C.M.

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Dallo studio della cartografia non sono emerse informazioni significative riguardanti l’area dell’A.M.C.M. prima che questa venisse edificata. Parte del problema è riconducibile al fatto che non esistono cartografie che documentino la città prima del XVII secolo, ad eccezione della carta di Frà Teofilo del 1447. Inoltre, nei documenti disponibili, le aree al di fuori delle mura storiche, che interessano i quartieri periferici e i terreni agricoli, non venivano solitamente riportate. Le uniche informazioni utili e riconducibili all’area dell’A.M.C.M. riguardano il passaggio dei canali, come il corso della Pradella, o dei percorsi stradali. Nelle carte ottocentesche il sito in questione, composto da prati e terreni prevalentemente paludosi, è segnalato e si nota come fosse attraversato a sud dal Canale della Pradella. Agli inizi del Novecento, quando l’area viene venduta alla ditta Tavoni-Axerio & Co., nel rogito di compravendita questa è descritta come “un appezzamento di terreno prativo, disarborato, senza fabbricati”. 1 La costruzione della sede delle AEM, che diventeranno nel corso della guerra le Aziende Municipalizzate del Comune di Modena, coincide con l’elettrificazione delle linee tramviarie e della municipalizzazione del servizio e della produzione elettrica, tutti fatti avvenuti nel 1912. Il progetto iniziale venne affidato ad Alessandro Panzarasa, ingegnere milanese, che propose la costruzione del complesso 131


in Via Carlo Zucchi. La proposta venne però modificata e, sotto le direttive dell’ingegnere Leo Dallari, futuro direttore delle AEM, vennero costruiti i primi edifici su Via Carlo Sigonio. Il primo nucleo comprendeva una palazzina per uffici, la cui realizzazione fu affidata ad aziende cooperative locali, la centrale elettrica AEM e la rimessa dei tram, entrambi a carico dell’azienda modenese Gualdi e Giberti. La palazzina direzionale mantiene inalterata la sua conformazione fino alla Seconda Guerra Mondiale, comprendendo due edifici distinti per uffici e portineria per l’accesso all’area dei tram. La struttura portante è composta da un telaio in cemento armato, mentre in facciata compaiono i paramenti con motivi di ornato caratteristici dell’epoca, come le cornici marcapiano, il sotto gronda e gli architravi delle finestre a tutto sesto. I prospetti sono inoltre intonacati e presentano un basamento con bugnato. Nel Dopoguerra la struttura viene completata con un corpo di fabbrica a ponte di collegamento tra i due volumi preesistenti. La centrale elettrica era destinata alla trasformazione dell’elettricità che arrivava dalla vicina centrale Adige Garda, per l’alimentazione della rete tranviaria. Il volume è formato da un corpo centrale più altri due laterali di servizio, ai quali si aggiunge un serbatoio d’acqua per il raffreddamento degli impianti. L’edificio, nonostante i diversi cambi d’utilizzo, ha 132


mantenuto pressoché invariato il suo aspetto originario. Il deposito dei tram è invece costituito con il capannone per il deposito e la riparazione dei tram, con una palazzina per i servizi e la residenza del personale addetto. L’edificio si caratterizzava per una struttura a telaio con pilastri portanti in calcestruzzo armato e una copertura realizzata con una soletta anch’essa in calcestruzzo armato gettata in opera. Lungo i prospetti i paramenti in muratura e una fascia intonacata, che corre nella parte inferiore, mascheravano la struttura portante. I binari delle linee tranviarie confluivano direttamente da Via Carlo Sigonio, passando accanto alla portineria della palazzina uffici, fino al deposito. L’edificio della centrale venne ampliato nel 1928, per ospitare il terminale dell’elettrodotto della Società Adige-Garda, con un nuovo volume a sud dell’isolato. Questo è stato in seguito in proprietà della Società Emilia, per passare infine sotto la gestione dell’ENEL. Il fabbricato, anch’esso di tipologia industriale, è composto da tre corpi collegati tra loro e con altezze differenti, che all’interno erano a tutto volume. La struttura portante è in pilastri di calcestruzzo armato con travi d’appoggio dei carroponte. I paramenti esterni sono caratterizzati da ampie vetrate e alti portoni chiusi da serrande metalliche, che permettevano lo spostamento su rotaia degli accumulatori. Gli edifici di carattere evidentemente industriale si interfac133


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A sinistra: Arrivo di un serbatoio per il gas alla sede Amcm in Via Carlo Sigonio, foto dello studio Botti & Pincelli, 1960, Archivio A.M.C.M.

ciano con l’architettura residenziale che man mano si diffonde nella prima periferia cittadina, a sud dei viali verdi. Nel 1927 infatti, nel progetto del reticolo stradale per l’espansione urbana, il Podestà afferma la volontà di destinare l’area a sud di Via Carlo Sigonio, tra Via P. Giardini e Via Buon Pastore, a villini e case di tipologia “piccolo-borghesi” da “città giardino” secondo lo schema urbanistico dell’isolato. Vicino alla rimessa, all’inizio degli anni Trenta vengono realizzati altri edifici: l’autorimessa, l’officina, uffici e servizi per i lavoratori, caratterizzati da una struttura portante in cemento armato e tamponamenti in muratura. Nella primavera del 1940 all’interno del lotto, in corrispondenza di quello che era stato il campo da tennis aziendale sul lato est del deposito filobus, viene allestito il cinema all’aperto, dalla capienza di 1500-2000 posti per gli spettatori. Questo comprende una serie di volumi adibiti a ingresso e biglietteria, schermo e la cabina per la proiezione. Dagli anni della guerra il Cinema Estivo è tutt’oggi in funzione. Durante la Seconda Guerra Mondiale l’area dell’A.M.C.M. subisce danni non indifferenti risentendo di gravi difficoltà economiche e finanziarie. Alcune tratte vengono infatti sospese o soppresse, il personale ridotto e il servizio in generale risente dell’influenza della guerra. In quegli anni viene proposto un nuovo piano di ricostruzione della città e un tassello essenziale all’interno di questo disegno generale e per lo 135


sviluppo industriale è proprio la mobilità. Negli anni immediatamente successivi alla fine del conflitto l’Azienda inizia a maturare la necessità di adeguare gli impianti alle nuove necessità degli abitanti, come ad esempio di trasformare la linea dei trasporti da tranviaria ad una costituita da filobus. Allo stesso tempo è fondamentale ricostruire l’Officina Gas così come ristrutturare l’impianto dell’Azienda Elettrica, che occupava il proprio spazio nel lotto già dal 1912. Nella fase di ricostruzione, un’attenzione particolare viene riservata all’impianto elettrico, considerato il polmone dell’Azienda e che era in grado di garantire sollievo ai bilanci aziendali e di rispondere alle esigenze della città in quel determinato periodo. In prossimità della centrale elettrica AEM, adiacente al lato sud e con affaccio su Via Buon Pastore, viene costruita una nuova palazzina per uffici. Per l’Azienda Gas vengono ricostruiti i gasometri e aggiunti dei nuovi forni. Solo un quinquennio dopo la guerra, negli anni Cinquanta, la realtà socio-economica a Modena sembra essere definitivamente mutata e si assiste ad una ripresa edilizia con la città in espansione. In questo contesto, l’A.M.C.M. deve come sempre occuparsi di soddisfare le esigenze dei cittadini, garantendo con funzionalità il servizio di trasporto pubblico. Per queste ragioni si è ritenuto necessario trasformare l’impianto da tranviario a filoviario, che viene ufficialmente 136


inaugurato nel gennaio del 1950, seguito dalla realizzazione dell’Autostazione nel 1953. L’architetto Pucci prenderà parte al progetto di ampliamento, realizzando nuovi volumi per la rimessa della filovia, sempre con affaccio su Via Carlo Sigonio, e per i servizi. Si tratta di un edificio industriale con struttura portante in calcestruzzo armato e tamponamenti in muratura. La copertura è costituita da capriate in calcestruzzo armato che sostengono il lucernario centrale. Il fabbricato compare già nelle carte storiche del 1943, ma il suo completamento è visibile a partire dal 1952 quando viene aggiunto sul lato est il corpo per la verniciatura dei veicoli. Quest’ultimo si presenta come una superfetazione che ha una struttura metallica e copertura a shed prefabbricata. Nel 1950, a seguito dell’ammodernamento del trasporto pubblico che determina la sostituzione del sistema tranviario con quello dei filobus, l’edificio per la rimessa dei tram subisce delle modifiche, come il tamponamento delle pareti esterne e l’installazione di ampi portoni d’accesso. L’impianto viene completato con otto corsie coperte da pensiline in calcestruzzo armato. Nel 2010 anch’esso, come la palazzina uffici di Vinicio Vecchi, verrà demolita. Nel 1955 l’architetto Vecchi si occupa infatti del progetto per la nuova palazzina uffici, addossata alla preesistente. L’edificio, realizzato insieme all’ufficio tecnico dell’azienda, 137


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A sinistra: Rimessa dei filobus. Reparto pulitori, Gino Barbieri, 1951, Archivio A.M.C.M.

si affaccerà su Via Carlo Sigonio per cinquant’anni, fino alla sua demolizione. Il progetto dell’architetto prevede la demolizione del corpo di fabbrica a ponte di collegamento tra i due volumi preesistenti e l’aggiunta del nuovo volume razionalista-funzionalista per ospitare nuovi spazi per uffici, sale per il pubblico. L’ingresso è previsto direttamente su Viale Sigonio, all’esterno del perimetro recintato, per facilitare l’accessibilità al pubblico. Sempre negli anni Cinquanta avviene la dismissione dell’impianto di trasformazione di energia e per tale motivo la Centrale AEM viene trasformata, nella sua parte centrale, in deposito e magazzino, mentre i corpi laterali vengono utilizzati come ulteriori spazi da destinarsi ad uffici. All’interno, l’edificio si caratterizza infatti per la presenza di ballatoi che dagli uffici permettono di affacciarsi sullo spazio centrale a doppia altezza, sormontato dal carroponte originario a struttura reticolare. Il lotto viene man mano completato con la costruzione di nuovi fabbricati dedicati ai servizi aziendali per i dipendenti dell’A.M.C.M., come un ambulatorio medico per l’assistenza sanitaria e un emporio aziendale. Negli anni Sessanta il complesso viene ulteriormente ampliato con altri fabbricati a servizio dei lavoratori e un altro corpo destinato a deposito dei filobus. Dopo il decennio precedente di grande prosperità economica, anche Modena inizia a risentire della crisi economica e del139


la contrazione dell’utenza nei servizi erogati nel settore del trasporto pubblico. Le linee filoviarie che erano state intensificate vengono man mano sostituite dalle autolinee. Il problema del trasporto pubblico mantiene saldo il suo legame con l’espansione della città moderna e con i suoi fenomeni di dilatazione e congestione. 2 Nel 1965 le linee autofiloviarie raggiungono un’estensione di 87 km, quasi raddoppiando i chilometri esistenti nel 1960. Inoltre, il costo del servizio dei trasporti aumenta sempre di più in proporzione al continuo estendersi dell’agglomerato urbano, al decentramento delle attività produttive e alla congestione della circolazione. I cittadini modenesi preferiscono infatti l’uso del mezzo privato, scelta che obbligherà il Consiglio Comunale ad istituire una serie di divieti per gestire la mobilità e allontanare il traffico automobilistico dal centro storico, privilegiando invece il trasporto pubblico. Mentre il settore dei trasporti vive una momentanea crisi, il servizio elettricità e gas registra un aumento di utenza. Negli anni Settanta nell’area dell’A.M.C.M. vengono aggiunti ulteriori fabbricati, del tutto incongrui rispetto all’impianto del complesso, come la tettoia per la rimessa degli autobus e dei filobus. Verso la fine degli anni Ottanta le Aziende Municipalizzate sentono la necessità di costruire una nuova sede che permetta di recuperare le funzionalità della struttura, dal momento 140

Dogliani P., AMCM Energie per la città, 1987, p. 198.

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che la crescita avvenuta con l’espansione dei servizi ha reso insufficiente l’area in Via Carlo Sigonio. Nel 1992 la sede dell’A.M.C.M. si trasferisce ufficialmente, abbandonando l’area. Nel 1994 la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Bologna viene chiamata ad esprimere i propri orientamenti propedeutici al concorso di idee che si voleva bandire per l’area e vengono individuati i fabbricati che devono essere assolutamente salvaguardati. Tra questi compaiono: l’ex rimessa degli autobus, la palazzina uffici, l’ex centrale ENEL e l’ex centrale AEM, il Cinema Estivo, la rimessa dei tram. Nel 1995 viene indetto dal Comune di Modena un concorso internazionale di idee per la riqualificazione dell’area, vinto da Melograni-Fumagalli. Il Piano Particolareggiato stilato dai due nel 1996, insieme a quelli successivi del 2004 e del 2009, non verranno mai attuati. I piani sono tra loro accomunati dalla volontà di recuperare gli edifici tutelati dalla Soprintendenza, dal modificarne le destinazioni d’uso e di ridisegnare gli spazi esterni. In questi anni si decide di collocare la sede del Teatro delle Passioni nell’area, nello specifico all’interno dell’ex rimessa dei filobus. La storia dell’area dell’ex-A.M.C.M. procede nel 2010 con le prime demolizioni di alcuni fabbricati come l’addizione alla Palazzina Uffici, realizzata di Vinicio Vecchi, e la rimessa dei tram. 141


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L’EX-A.M.C.M. OGGI

A sinistra: inquadramento dell’area dell’ex-A.M.C.M. oggi all’interno del sistema delle aree industriali dismesse (in rosso) e attive (in grigio). Nella carta si riportano anche gli spazi pubblici e il sistema del verde.

In seguito alla dismissione dell’area gli edifici sopravvissuti alla demolizione sono stati utilizzati per diversi anni come depositi temporanei del Comune di Modena. Infatti, solo nel 2010 l’Amministrazione Comunale ha deciso di avviare un primo passo verso la riqualificazione di un’area così importante nella storia di Modena. Il piano ha previsto la demolizione dei fabbricati non sottoposti a tutela o vincolati. Per questo motivo, ad oggi, gli edifici che sopravvivono all’interno dell’area sono la palazzina uffici, senza l’ampliamento degli anni Cinquanta ad opera di Vinicio Vecchi; la rimessa dei filobus, sede del Teatro delle Passioni; l’ex centrale ENEL e l’ex centrale elettrica AEM. Gli spazi esterni dell’area ex-A.M.C.M. sono oggi utilizzati come parcheggio pubblico. Nel 2014 viene stilato un nuovo piano di riqualificazione che comporta la demolizione della tettoia per la rimessa dei filobus, a sud della ex rimessa, determinando così un aumento della superficie senza una vera e propria destinazione che inevitabilmente si aggiunge a quella già adibita a parcheggio pubblico. Sempre con l’obiettivo di riconferire all’area dell’exA.M.C.M. un ruolo centrale all’interno della città, nel 2019 viene stilato e approvato il Piano “Parco della Creatività”. In questo panorama progettuale l’area in questione si trasforma in uno spazio dedicato alla sperimentazione, 143


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A sinistra: ingresso all’area dell’exA.M.C.M. oggi, Luca Caselli, 2021.

all’innovazione e alla ricerca in ambito culturale, oltre ad essere inserita in un più ampio disegno urbano. Rispetto ai precedenti, il Piano “Parco della Creatività” propone una riduzione sia degli spazi residenziali che commerciali, incrementando quelli pubblici. Inoltre, le funzioni degli edifici preesistenti si trasformano per accogliere attività culturali. Ad esempio, all’interno dell’ex Enel trova spazio la sede del teatro nazionale Ert, che ospiterà anche il Teatro delle Passioni in una delle due nuove sale previste. Ad oggi, parte del progetto è già stata realizzata, come nel caso dell’ex centrale AEM, dove hanno sede i Laboratori Aperti, all’interno dei quali si sviluppano laboratori artigianali, spazi coworking e sale per esposizioni temporanee. Oltre agli spazi culturali il progetto prevede anche la realizzazione di edifici e funzioni utili alla città, tra cui una nuova palestra per il Liceo Carlo Sigonio che dovrà sorgere alle spalle della preesistente palazzina uffici, tra l’ex centrale AEM e l’ex rimessa filobus. All’interno di quest’ultima, invece, è prevista la riqualificazione per poter ospitare una galleria urbana con spazi commerciali e altri servizi alla cittadinanza, come uffici, un supermercato e ambulatori. Il lotto andrà a chiudersi a sud est, su Via Peretti, con un complesso di residenze. Il Piano “Parco della Creatività” prevede infine un parcheggio seminterrato con 240 posti coperto con piazze e spazi pubblici rialzati, collegati a tutto 145


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ciò che è in quota tramite gradonate, elementi di seduta, aiuole, percorsi ciclopedonali e spazi attrezzati. L’accesso al parcheggio è previsto solo da Via Peretti. Il sistema culturale si propone dunque all’interno delle prospettive d’investimento per il futuro di Modena come un punto di forza per rilanciare il ruolo territoriale della città. Il settore culturale, infatti, coinvolge trasversalmente ulteriori campi, dalla produzione culturale come possono essere l’arte o la fotografia, ai relativi servizi, alle infrastrutture, fino all’industria manifatturiera. Si propone dunque come uno strumento attraverso il quale la riqualificazione di aree dismesse, tra cui proprio l’ex-A.M.C.M., diventa un’occasione per rivalorizzare una porzione urbana e riaffermare l’identità di Modena.

A sinistra: edificio dell’ex-ENEL, Luca Caselli, 2021.

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IL PROGETTO IL LEGAME CON LA CITTÀ “È probabile che questo valore della storia, come memoria collettiva, intesa quindi come rapporto della collettività con il luogo e con l’idea di esso, ci dia o ci aiuti a capire il significato della struttura urbana, della sua individualità, della architettura della città che è la forma di questa individualità.” 1 (Aldo Rossi)

A sinistra: inquadramento dell’area exA.M.C.M. e gli elementi più significativi, quali gli antichi canali (azzurro), le piazze (rosso), gli edifici d’interesse (marrone chiaro), il sistema del verde e i viali alberati. 1

Rossi A., L’architettura della città, 2011.

La storia, l’architettura e le permanenze della città, attraverso lo studio della cartografia e del repertorio fotografico disponibile, hanno avuto un ruolo nel disvelare la complessità di Modena. Esistono spazi, edifici, luoghi, talvolta anche certe atmosfere che simbolicamente costituiscono il fondamento della città stessa, carichi di una loro specifica identità. Il progetto di architettura non può non fare affidamento a questi segni consolidati nei secoli nel tessuto urbano. Ragionando sul passato, sul presente e sul futuro della città, nei capitoli precedenti sono emersi alcuni elementi imprescindibili per Modena, come le mura di cinta, le piazze e il sistema delle acque e proprio su questi sono state poste le fondamenta del progetto per l’area dell’exA.M.C.M.. Questi elementi intimamente legati a Modena persistono non solo nella memoria storica della città, ma anche nella memoria collettiva. Il centro storico, da cui a pochi passi sorge l’ex area industriale, diventa un vero e proprio manifesto di questi segni imprescindibili. 149


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Intervenire per riqualificare il sito in cui un tempo l’A.m.c.m. erogava i servizi ai cittadini, non può quindi ignorare le tracce dettate dalla Modena d’antico impianto. Allo stesso tempo occorre che anche in questa porzione di città si inseriscano nuovi fatti urbani, contestualizzati nel tessuto urbano e in cui la memoria collettiva possa in futuro identificarsi. Il progetto per riqualificare l’area dell’ex-A.M.C.M. si scompone dunque su più livelli dettati da una duplice necessità: ristabilire il rapporto con la città, oltre che con le preesistenze storiche, e disegnare nuovi spazi per la Fondazione Modena Arti Visive, affinché l’archivio e lo spazio espositivo confluiscano in un’unica sede.

A sinistra: l’area dell’ex-A.M.C.M. e gli edifici di progetto.

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LE PIAZZE

A sinistra: assonometria generale.

Nelle pagine precedenti più volte sono emersi il valore e l’importanza attribuiti al patrimonio fotografico riguardante Modena, non solo come materiale di supporto per raccontarne la storia ma anche come strumento per individuare i luoghi identitari della città, in cui i cittadini si riconoscono, e per immaginare nuovi possibili scenari progettuali. La piazza ritorna periodicamente negli scatti di diversi autori, dove Piazza Grande si popola di bancarelle e manifestazioni, oppure Piazza XX Settembre animata dal mercato settimanale, o ancora Piazza Roma dove i passanti sostano per qualche secondo di fronte a Palazzo Ducale. Nella fitta trama urbana questi vuoti emergono come spazi unici e allo stesso tempo insoliti, aprendosi tra i palazzi e le vie, o facendo da palcoscenico per gli eventi della vita quotidiana mentre sullo sfondo si ergono i fatti urbani modenesi: il Duomo, la Torre, Palazzo Ducale. Modena si riconosce e si identifica nella piazza e proprio partendo da questo segno abbiamo posto le basi per il progetto nell’area dell’exA.M.C.M.. Il sito preso in considerazione sorge infatti in una posizione strategica rispetto al centro storico in cui si snoda il sistema delle piazze. Allo stesso tempo emerge come un’area insolita, dal carattere industriale, all’interno del sistema residenziale della fascia urbana a sud dei viali verdi di cintura che definiscono il sistema di accesso al centro cittadino. 153


L’area, in cui attualmente sopravvivono solamente quattro preesistenze storiche, si offre come un ampio spazio vuoto in cui una nuova scomposizione di piazze ha l’occasione di insediarsi. Attraverso la riproposizione di questo sistema riconosciuto dal nucleo storico di Modena e in esso ricorrente, l’area dell’ex-A.M.C.M. si inserisce continuativamente, trasportando al di fuori dell’immaginario confine della cinta muraria un segno e un elemento imprescindibile per la città e nel quale gli abitanti stessi possono identificarsi. Così come Piazza Grande, Piazza XX Settembre o Piazza Matteotti si aprono nella fitta trama urbana, rivelandosi allo sguardo una volta percorso una stretta strada o un vicolo, allo stesso modo accade nell’area ex-A.M.C.M.. La giacitura dei nuovi volumi e le aree verdi disegnano un sistema di piazze al quale si accede da più percorsi che richiamano quelli del centro storico. Su questi nuovi spazi urbani si affacciano le preesistenze, le quali interagiscono con i nuovi edifici. Il corpo dell’ex-AEM e dell’ex rimessa dei filobus disegnano insieme all’edificio dello spazio espositivo e archivio fotografico, oltre alla loggia fredda, una prima piazza, mentre una seconda viene definita dai fronti degli edifici dell’ex-ENEL e della nuova sede per la Scuola di Alta Formazione. Il perimento di questi elementi non è tracciato solamente dai corpi architettonici ma anche dal sistema del verde che è stato trattato anch’esso come un vero e proprio volume. 154


L’accesso alle nuove piazze avviene sia a nord da Via Carlo Sigonio, sia a sud da Via Antonio Peretti, come ad ovest da Via Buon Pastore. I due elementi, piazze e percorsi, si chiarificano e distinguono ulteriormente grazie alla differente pavimentazione, il cui cambio di posa segna il passaggio da un percorso allo spazio urbano.

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L’ASSE VERDE

A sinistra: planivolumetrico.

Un altro segno imprescindibile per il progetto è stato quello del sistema delle acque. La rete dei canali ha infatti avuto un ruolo basilare nello scolpire gli isolati del nucleo storico, determinando la caratteristica struttura urbana modenese, fino a diventare oggi una traccia, quasi una guida, su cui il sistema del verde si è posato con parchi e viali alberati, una volta che Modena ha raggiunto l’espansione attuale e, dal Novecento in poi, i canali sono stati man mano interrati. Questo è quello che è accaduto per il sentiero ciclabile e alberato che dal parco su Via Buon Pastore percorre gli isolati fino a Via Antonio Peretti, interrompendosi alle spalle dell’area ex-A.M.C.M.. Nello scenario progettuale questo percorso alberato, che parte da sud, giunge e sfocia nell’area come un ampio spazio verde. Prosegue attraversando longitudinalmente tutta l’area, per congiungersi infine con i viali alberati che da Via Carlo Sigonio arrivano ai viali verdi di cintura del centro storico. Così come un tempo i corsi d’acqua dalla campagna, dopo aver superato le mura facevano ingresso in città, oggi l’asse verde ne imita il percorso, attraversando e collegando il nuovo sistema di piazze, con i diversi poli culturali, al centro storico di Modena. Non interrompe mai il proprio percorso, trasformandosi in una galleria urbana nel momento in cui incontra l’edificio dell’ex rimessa. Non solo il sostare, ma anche l’attraversare si annovera come parola chiave per guidare il progetto. 157


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UNA VISIONE D’INSIEME

A sinistra: attacco a terra con indicati gli accessi (rosso) agli edifici di progetto.

In un’ex area industriale come l’A.M.C.M., il progetto non poteva non confrontarsi con le preesistenze storiche. All’interno dell’isolato dalla forma irregolare anche la giacitura dei volumi esistenti non risponde a dei veri e propri allineamenti, ad eccezione del fronte ovest dell’ex-AEM che si posa parallelamente a Via Buon Pastore, dettando tuttavia un proprio orientamento rispetto agli altri corpi. Nel perseguire l’obiettivo di disegnare un nuovo sistema di piazze, gli edifici di progetto si inseriscono nell’area allineandosi a queste preesistenze. Attraverso un modulo e un passo ricorrente, la scuola e l’archivio ritagliano nello spazio due ampie piazze tra loro comunicanti attraverso un sistema di percorsi che si rifanno ai vicoli cittadini. Così, l’edificio della Scuola di Alta Formazione dialoga con l’ex-ENEL, al cui interno si inserisce la nuova sede del Teatro delle Passioni, richiamandone le dimensioni in larghezza e lunghezza e riproponendone il modulo strutturale. Allo stesso modo e con ugual passo i volumi dell’archivio e dello spazio espositivo seguono il fronte nord dell’ex-ENEL e si interrompono in corrispondenza dell’asse verde. Il ridisegno dell’area attraverso i vuoti gioca con i fronti degli edifici, immaginando che quello che era un tempo il retro dell’ex-AEM possa oggi diventarne il prospetto principale. L’archivio e lo spazio espositivo si presentano al piano terra come tre volumi distinti, per collegarsi al piano interrato 159


in un unico corpo. L’ingresso si trova in corrispondenza dell’elemento centrale, da cui ha inizio il percorso espositivo che, una volta raggiunto il piano sottostante, si dirama nei piani superiori. Sempre dal piano interrato si accede ai volumi laterali nei quali un sistema regolare di pilastri racchiude l’archivio fotografico. Frontalmente ad esso, uno spazio espositivo permanente e freddo chiude a nord la piazza su cui si affaccia anche il fronte dell’ex-AEM, al cui interno si inseriscono laboratori artigianali e uno spazio espositivo temporaneo. Nella loggia espositiva, che si sviluppa su due piani, il setto centrale e inclinato racconta attraverso scatti fotografici la storia dell’ex-A.M.C.M.. L’idea di uno spazio centrale pubblico ritorna nella dimensione architettonica per quanto riguarda il progetto della scuola. A piano terra, infatti, il ritmo regolare dei pilastri disegna un atrio centrale, che talvolta si trasforma in atelier, al quale si accede sia dalla piazza a sud che dall’asse verde. La relazione tra gli edifici di progetto e i volumi preesistenti si concretizza dunque nella ricerca di un modulo, di un ritmo compositivo, con cui dettare la giacitura e gli allineamenti dei nuovi corpi all’interno del più ampio disegno dello spazio urbano il quale, attraverso una scomposizione di piazze, ristabilisce il legame dell’area dell’ex-A.M.C.M. col centro storico. 160


LO SPAZIO ESPOSITIVO Più volte è stata riaffermata la necessità di instaurare un dialogo con le architetture preesistenti, non solo attraverso la giacitura dei volumi ma anche nelle scelte stilistiche e compositive. La struttura, composta da pilastri in calcestruzzo, riprende il ritmo regolare dell’ex-ENEL e dell’ex-AEM, esplicitandolo con chiarezza nella scansione verticale dei prospetti, divisi orizzontalmente dalle travi di bordo. Trovandosi nell’area dell’ex-A.M.C.M., lo spazio espositivo e l’archivio, così come la scuola, si rifanno ai canoni dell’architettura industriale, come il funzionalismo e l’essenzialità. Per garantire la maggior flessibilità possibile negli ambienti interni, i sistemi di distribuzione si trovano nelle testate dell’edificio, completamente cieche in facciata. Così facendo, sia il piano primo che il secondo presentano una pianta libera e versatile per esposizioni di diverso genere. Il corpo dedicato alle esposizione funge, allo stesso tempo, da punto d’incontro per i due volumi dell’archivio. Seppur in superficie si presentino come tre elementi distinti, nel piano interrato si fondono in un unico sistema che mantiene saldo l’intero complesso. All’interno, il corpo centrale ricerca più volte un contatto con l’archivio, inaccessibile ai visitatori, ma che ritorna in più momenti durante l’esposizione. Il laboratorio di restauro posto al piano interrato è un primo punto di contatto tra la dimensione pubblica propriamente museale e quella più 161


privata della conservazione. Allo stesso modo, la piattaforma per il trasporto del materiale dall’archivio al piano primo rappresenta un secondo strumento di collegamento tra le due diverse funzioni. Funzionalità e versatilità sono due costanti all’interno del progetto. All’interno dello spazio espositivo vero e proprio, che ha inizio al primo piano, un sistema di pannelli sospesi e mobili compone lo spazio a doppia altezza, generando ambienti differenti a seconda delle necessità espositive. Questi elementi, insieme ad una passerella in acciaio che taglia longitudinalmente l’ambiente, sono appesi tramite tiranti in acciaio alle travi del solaio, disegnando uno spazio flessibile e non intervallato da pilastri. L’ambiente che si sviluppa a doppia altezza è illuminato dall’alto dai lucernari che tagliano la copertura seguendo il ritmo dei pilastri e lo stesso sistema ritorna nella piazza per illuminare le funzioni ipogee. Il dualismo che si ripropone periodicamente nel progetto, nell’alternarsi di spazi per la collettività e socialità, a momenti più individuali, si legge anche nei prospetti. Il rivestimento in policarbonato, che ritorna nei volumi dell’archivio, racchiude lo spazio espositivo separandolo dal contesto esterno. Il piano terra, invece, mantiene una maggiore permeabilità attraverso il sistema di serramenti vetrati che rimarcano la continuità tra gli ambienti interni collettivi e le piazze. 162


L’ARCHIVIO Il progetto per l’archivio non risponde solamente alla necessità di ampliare e unificare gli spazi attualmente a disposizione della Fondazione Modena Arti Visive, quanto alla volontà di monumentalizzare il vasto patrimonio che questa conserva. Proprio per questo i due corpi che fungono da archivio si affacciano direttamente sulle piazze, esposti quotidianamente allo sguardo dei passanti. L’intero edificio è concepito come un unico contenitore che racchiude a sua volta gli scaffali per l’archiviazione. I due volumi sono inquadrati da due spalle laterali cieche e in calcestruzzo che sostengono idealmente le collezioni. All’interno lo schema si ripete e la serie di scaffalature si distribuisce parallelamente, sostenuta da voluminosi pilastri rossi che attraversano l’edificio nella sua interezza. La scelta di utilizzare una grata metallica per la struttura dei solai enfatizza l’idea di trasparenza e di continuità tra i vari piani. L’archivio diventa uno spazio monumentalizzato, un nuovo fatto urbano all’interno dell’ex-A.M.C.M., che nega tuttavia l’accesso al pubblico. Cela il contenuto schermandosi con dei pannelli in policarbonato ma, allo stesso tempo, ne lascia trasparire alcuni elementi dichiarando la vastità del materiale conservato. L’accesso ai due volumi interamente dedicati alla conservazione è possibile attraverso il piano interrato. I corpi rispondono alle stesso ritmo compositivo dello spazio espositivo e 163


ripropongono in facciata la scansione strutturale di travi e pilastri, in questo caso però di acciaio. I due volumi si differenziano per il numero di campate, scelta dettata dagli allineamenti con le preesistenze, e per la tipologia di scaffalature: il corpo ad ovest contiene infatti stampe, negativi e la collezione di figurine; quello ad est conserva invece fotografie o stampe con cornici voluminose. Al piano interrato si trovano invece gli archivi climatizzati per i materiali più sensibili. Sempre su questo livello sono collocati anche la sala per la consultazione e il laboratorio di restauro, dal quale le opere vengono direttamente posizionate su una piattaforma che, tramite un sistema di binari, attraversa l’intero edificio nella sua verticalità, permettendo così un facile e agile trasporto di qualunque tipo di materiale dall’archivio agli spazi espositivi.

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LA SCUOLA Come per i progetti precedentemente descritti, anche quello della scuola si basa su un’architettura elementare che segue le necessità dettate dalle funzioni. L’intero edificio si compone seguendo un alternarsi di pieni e vuoti, di spazi illuminati da lucernari e ambienti con luce controllata a seconda delle funzioni che si svolgono nei vari ambienti. La regolarità del modulo strutturale è leggibile nei prospetti, sempre attraverso l’incastro tra travi e pilastri in calcestruzzo. A differenza dell’archivio e dello spazio espositivo, nella scuola la scansione ritmica della copertura ritorna in facciata e si caratterizza per un alternarsi di campate cieche ad altre in cui le vetrate generano tagli di luce verticali. Al piano primo, gli spazi collettivi come l’atrio centrale e le aule sono illuminati sia dai lucernari in copertura sia dai tagli trasparenti in facciata; gli ambienti più privati, come i servizi e i magazzini non ricevono invece luce dall’alto, ma vengono illuminati artificialmente. Lo stesso accade al piano terra, in cui spazi come la sala posa o i laboratori di stampa e sviluppo necessitano di un’illuminazione controllata, pertanto qualunque luce proveniente dall’esterno ne ostacolerebbe le funzioni. Al contrario, l’atrio centrale si presenta come un’ambiente collettivo e luminoso, una sorta di corte interna da cui si dirama una scala elicoidale che collega i due livelli della scuola. Questo ampio spazio si trasforma in un atelier per esporre le opere degli studenti, modulandosi in base 165


alle necessità attraverso un sistema di pannelli in griglia metallica. La scelta di disegnare una corte centrale all’edificio della scuola richiama, come per la piazza, un modello ricorrente nel tessuto storico di Modena. Quelli che un tempo erano i chiostri privati dei conventi e dei monasteri, oggi si ripropongono invece come i giardini interni di scuole, biblioteche e università. Nella Scuola di Alta Formazione la corte centrale, punto d’incontro tra la piazza e l’asse verde, non delimita uno spazio accessibile ai pochi, ma diventa il punto di contatto tra il mondo della fotografia e la città.

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Pianta piano terra e piano interrato.

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Pianta piano primo e sezione della scuola.

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Pianta piano secondo e sezione dello spazio espositivo e degli archivi.

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Prospetti.

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Lo spazio espositivo, l’archivio e la loggia.

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La Scuola di Alta Formazione.

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Angela Vettese (a cura di), Olivo Barbieri. Site specific Modena 08, Damiani, Bologna, 2009. Beppe Zagaglia, Modena per me, Artioli Editore, Modena, 1989. Beppe Zagaglia (a cura di), Un libro di pietra. Il Duomo di Modena, Artioli Editore, Modena, 1997.

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SITOGRAFIA

Geoportale Regione Emilia-Romagna: https://geoportale.regione.emilia-romagna.it/ Patrimonio culturale dell’Emilia Romagna: https://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/ Censimento delle raccolte fotografiche in Italia: http://www. censimento.fotografia.italia.it/ Atlante storico ambientale urbano di Modena: http://www.cittasostenibile.it/Atlante/atlante.html Raccolta della cartografia storica del centro di Modena: https:// urbanistica.comune.modena.it/prg/qc/cartastorica/index_CartaStorica.html Fondazione Modena Arti Visive: https://www.fmav.org/ Scuola di Alta Formazione: https://scuola.fmav.org/ Archivio Biblioteca Panizzi e Decentrate: http://panizzi.comune.re.it/Sezione.jsp?titolo=Archivi&idSezione=57

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Al professor Massimo Ferrari e alla professoressa Claudia Tinazzi, per l’attenzione e la passione che ci hanno riservato in questo percorso. Ai nostri genitori, al loro fondamentale sostegno e alla loro pazienza va il riconoscimento più grande. Non ultimi, a tutti i nostri affetti, che ci hanno supportato e sopportato in questo lungo viaggio ricco di soddisfazioni.

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“Alla fine, al di là di tutte le spiegazioni possibili, resta il dato fondamentale di questo sentimento di grande affetto e amore per questi luoghi, domestici, o monumentali non importa, ma dove è ancora possibile percepire e nutrire questo sentimento semplice e stupefatto di appartenenza. Un luogo che da sempre è il sinonimo di una miracolosa sintesi tra spazio e tempo, natura ed artificio, sogno di costruire l’Eden sulla superficie del Mondo.” Luigi Ghirri


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