ENOLOGIA
L’Apparita di Castello di Ama festeggia 30 annate di eccellenza di Federico De Cesare Viola 29 dicembre 2016
Era il 1985, una grande annata in Chianti, quando veniva imbottigliato e venduto il primo Merlot in purezza prodotto in Toscana, sulla sommità del vigneto Bellavista, a 490 mt. sul livello del mare, da cui “appare” Siena. L’Apparita di Castello di Ama è un gioiello dell’enologia internazionale che festeggia con il 2016 la sua 30ma edizione: non è uscito sul mercato, infatti, solo nel 2002 e nel 2012. Un anniversario che è stato celebrato nei giorni scorsi, al Four Seasons Hotel di Firenze, con una verticale di dieci annate storiche dal 1986 al 2007 e una cena curata dal resident chef Vito Mollica accompagnata da 5 ulteriori annate in formato jeroboam. Una degustazione in cui è emersa tutta l’eleganza, la longevità, l'espressione e riconoscibilità del terroir di questo Supertuscan frutto dell’intuizione e della visione di Marco Pallanti, enologo e anima dell’azienda insieme alla moglie Lorenza Sebasti. Da coup de coeur, in particolare, alcune annate: il 1986, un “anziano arzillo” dalla trama ancora integra; il 1990, esemplare per armonia e maturità; il 1999, vibrante, freschissimo, con fini sensazioni balsamiche, di sottobosco e di frutti rossi; e infine un 2006 quintessenziale di un carattere che non ha mai bisogno di mostrare i muscoli.
«La prima annata de L’Apparita – spiega Pallanti – è nata dalla volontà di far conoscere al mondo le enormi potenzialità dell’area di Ama, nel Chianti Classico, dal desiderio di mettersi alla prova con qualcosa di nuovo e di lavorare con varietà autoctone inesplorate». Già nel 1992, l’Académie du Vin premiava questo Merlot tra i più grandi nomi internazionali della categoria (c'era anche un certo Château Petrus, per dire). A seconda dell’annata, le tre parcelle di quasi tre ettari totali, con terreni ricchi di argilla, garantiscono da 6 a 8mila bottiglie (su una produzione complessiva di 300mila), disponibili sul mercato dopo un affinamento di 18 mesi in barrique: un rosso di razza capace di evocare il senso e lo spirito del luogo. È il genius loci ad aver ispirato anche la collezione d’arte contemporanea site specific di Castello di Ama. Dal 1999, Michelangelo Pistoletto, Daniel Buren, Anish Kapoor, Louise Bourgeois e Hiroshi Sugimoto, tra gli altri, hanno lasciato una traccia nel borgo e nelle vigne di Ama, seguendo il ritmo delle vendemmie. A ottobre si è aggiunto il lavoro di Lee Ufan “Topos (Excavated)”, il primo realizzato con la curatela del canadese Philip Larratt-Smith. L'artista (e filosofo) coreano, sotto la volta in pietra di una delle cantine dell'azienda, ha realizzato un disegno murale – una linea in carboncino su intonaco bianco – e un dipinto che sembra “emergere” dal pavimento di cemento grezzo, incorniciato dal pietrisco in marmo di Carrara. «Mi piaceva questo spazio che profuma di vino – ha raccontato Ufan – e ho avuto grande ispirazione dal luogo per creare l’opera. Il vino è molto di più di qualcosa che semplicemente beviamo, le radici delle vigne scendono in profondità nel terreno e riportano in superficie l'essenza di migliaia di anni di storia. Il vino ha in sé qualcosa di miracoloso e di spirituale, è capace di elevare l’uomo a una dimensione diversa dallo spazio ordinario, ecco perché per me è così speciale». Dell’Italia Ufan ama molto la diversità dei vitigni, apprezza soprattutto i bianchi campani e i supertuscan come l’Apparita. «Trovo molto interessante quello che fanno Marco e Lorenza – prosegue – perché non si limitano a produrre e vendere vini eccellenti ma sono degli autentici appassionati. Ad Ama si può vivere un favoloso incontro tra arte e vino». Per godere appieno dell’esperienza oggi ci sono 5 suite di lusso understated nella settecentesca Villa Ricucci, ognuna distinta dal nome di un’etichetta: Bellavista, La Casuccia e San Lorenzo – come i tre Chianti Classico Gran Selezione -, L’Apparita e la nuova Haiku, in omaggio al blend di Sangiovese, Cabernet Franc e Merlot. All’interno del borgo c’è anche il Ristoro di Ama, che riaprirà al pubblico il prossimo 14 febbraio: nelle tre sale affrescate – una riscaldata da una stufa originale, la seconda più intima con un tavolo da sei e un camino e l'ultima affacciata sulla terrazza con vista sulle vigne - lo chef Giovanni Bonavita mette in tavola un gustoso repertorio della tradizione toscana, dalla pappa al pomodoro ai tortelli di zucca chiantigiani, dai tagliolini al cavolo nero alla faraona in porchetta, piatti comfort da abbinare naturalmente ai vini di questo italianissimo Château.