UniversitĂ di Palermo - FacoltĂ di Architettura Dottoratto di ricerca in Progettazione Architettonica Anno 2004 - 2009. Ciclo XIX
Caterina Avitabile Tutor: Prof. Ludovico Maria Fusco
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PER UN’IPOTESI DI RIQUALIFICAZIONE DELLA FUNIVIA POSILLIPO – MOSTRA D’OLTREMARE Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
Indice
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Introduzione
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Riorganizzazione urbana e frammenti della funivia. Note
Capitolo Primo
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
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Il valore dell’opera Il valore del contesto e i materiali di progetto Il “sistema” della funivia: La stazione di rinvio come elemento del nuovo sistema di accesso alla Mostra d’Oltremare Il “tracciato” della funivia come vuoto da riqualificare nel Rione Cavalleggeri La stazione motrice come “porta” al sistema collinare di Posillipo Note
Capitolo Secondo
Il progetto della funivia La stazione di rinvio di Viale Kennedy La stazione motrice di Via Manzoni I cavalletti nel quartiere Cavalleggeri D’Aosta Conclusioni Note
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Capitolo Terzo
Lo stato di fatto
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Le modificazioni del contesto dal 1940 al 1961 La stazione di rinvio come appare oggi Le manomissioni subite dalla stazione di via Manzoni Note
Capitolo Quarto
Il progetto di restauro
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Rimettere in funzione una parte della vecchia funivia Gli obiettivi del restauro e la scoperta di valori aggiunti Il senso nuovo dell’infrastruttura e del percorso aereo Operazione di “anamnesi� per il restauro della stazione motrice Recupero e riuso della stazione motrice Il progetto di suolo per i cavalletti della funivia
Conclusioni
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APPENDICE I: Giulio De Luca e il progetto del moderno a Napoli APPENDICE II: La funivia nella vicenda della Mostra d’Oltremare APPENDICE III: Documenti e materiali di archivio relativi alla funivia
Bibliografia Tematica Sulla Funivia. Sulla vicenda di Giulio De Luca e Mostra delle Terre d’Oltremare. Sugli impianti di risalita e attraversamenti pedonali. Sull’ Arena Flegrea. Sul restauro del moderno nel Regno Unito. Sulla cultura del progetto.
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Introduzione
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Riorganizzazione urbana e i frammenti della funivia
Luglio 2006, nel capoluogo campano si torna a discutere delle stazioni della funivia di Giulio De Luca
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che nel 1940 collegavano, attraverso una delle
primissime teleferiche dell’epoca, Viale Kennedy e la Mostra d’Oltremare con via Manzoni e la collina di Posillipo (2) . In quegli stessi mesi l’Ente Mostra d’Oltremare, proprietaria di un terzo dell’intero impianto, mette in vendita la stazione motrice e il suolo di pertinenza, tra dubbi e accenni di polemiche politiche, culminate nelle interrogazioni presentate da consiglieri regionali e comunali. Nonostante il posto splendido - è sempre uno dei luoghi più panoramici della città di Napoli - il problema principale per la Mostra e per i possibili acquirenti è quello di restaurare le due stazioni mediante una nuova funzione, vista l’impossibilità di rimettere l’intero impianto di nuovo in esercizio. Questa tesi di restauro del moderno tende a dimostrare, in alternativa, che ri – disegnare le tracce della funivia, ri - collocandole nel tessuto urbano, può ridimensionare l’annosa questione della destinazione d’uso. Ricucire attraverso il progetto dà un significato nuovo a stazioni e piloni posizionati nelle trame delle relazioni d’uso dell’area Occidentale di Napoli. Esso, inoltre, innesca un meccanismo di trasformazione che modifica l’assetto dell’intera area che va dalla Mostra d’Oltremare, attraverso il quartiere Cavalleggeri fino al viale Manzoni lungo la collina di Posillipo. Lo scopo ultimo è unire i punti della tratteggiata al fine di fare della linea della funivia una nuova maglia nella fitta rete dell’archeologia moderna che si svolge lungo la piana Flegrea. Nel progetto di riconversione e ri- significazione della linea e delle sue parti, si enfatizza il valore architettonico e spaziale delle stazioni, motrice e di rinvio, (3)
e dei piloni nel vuoto urbano del Rione Cavalleggeri, fino a mettere in
secondo piano le future destinazioni d’uso che, considerata la flessibilità degli spazi esistenti, potrebbero essere molteplici. La trattazione non ha pretese di completezza vista la difficoltà di reperire documenti e grafici relativi al progetto originario delle stazioni di Giulio De Luca, architetto napoletano tra i maggiori protagonisti della nascita del progetto del moderno a Napoli.
Riorganizzazione urbana e frammenti della funivia
Di lui ancora manca una ricostruzione completa di tutta l’opera e l’assenza di archivi dai quali attingere rende, ad oggi, impossibile tracciare un quadro esaustivo dell’uomo e della sua opera. Nelle pagine che seguono ho voluto mettere al centro della trattazione il progetto di restauro e riuso non solo inteso come strumento di riconoscimento del valore del singolo oggetto architettonico e della salvaguardia del bene stesso, ma anche come motore di una strategia unitaria di riqualificazione urbana dell’area occidentale di Napoli. L’intenzione che ha animato la stesura di questo lavoro è stata dimostrare che sebbene stazioni e cavalletti appartengano a tre diversi ambiti urbani, il progetto di restauro si possa basare, in maniera unitaria e coerente, sull’idea di ristabilire il percorso e l’attraversabilità, secondo la funzione di collegamento che aveva l’infrastruttura in origine. (4) L’ operazione progettuale, intesa come studio e indagine dell’esistente, mi ha consentito di individuare non solo i principi architettonici sottesi all’architettura ma anche i valori aggiunti nella funivia. Pensare a tutto il sistema in maniera unitaria consente di legare strettamente i progetti all’unico filo conduttore che fino al 1960, anno della dismissione, collegava la stazione di rinvio alla motrice. Anche se durante il mio lavoro di indagine è stata spesso forte la tentazione di sviluppare ciascuno dei progetti di restauro in maniera autonoma, emergeva sempre anche la necessità di ritrovare un senso urbano nell’intervento di recupero e di dare, quindi, omogeneità compositiva alle tre parti del sistema. Le stazioni sono sottoposte a vincolo ai sensi della 1089 / 39 ma il fatto che siano tutelate non le salva dal deterioramento materico e strutturale. Ad oggi manca un organico progetto di restauro che possa rimettere l’architettura a servizio delle comunità dei quartieri di Fuorigrotta, Cavalleggeri e Posillipo oltre che portare profitti economici all’Ente Mostra, legittimo proprietario dell’immobile. Infine la trattazione di un’opera ancora poco conosciuta di Giulio De Luca, è stata l’occasione per cominciare a parlare in maniera più diffusa del suo autore cominciando dalla produzione giovanile.
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Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica Ciclo XIX - Caterina Avitabile
Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
Purtroppo Giulio De Luca è un autore non studiato e restituito alla critica, vista l’assenza di archivi che raccolgano disegni originali e testimonianze della sua lunga carriera di architetto e professore presso l’Università di Architettura di Napoli. Per non parlare del fatto che neanche lo stesso De Luca, quando era ancora in vita, si è mai premurato di mettere ordine nell’immensa quantità di elaborati grafici prodotti in oltre settanta anni di carriera. Replicando a quanto già affermato da Gerardo Mazziotti
, Alessandro
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Castagnaro (6) in un articolo apparso sul Mattino del 6 luglio 2002, avalla la tesi relativa al recupero della funivia e delle sue stazioni rientrando in una tematica di grande attualità che coinvolge sia il mondo accademico che quello professionale più progredito: il restauro del moderno. Questo spinge a riflettere sull’opportunità o meno di ri – significare l’infrastruttura, provando prima a rimettere in uso l’impianto per intero o perseguendo piuttosto, l’ipotesi di ripristinare il tratto finale della funivia da Campegna a Posillipo. L’ ipotesi relativa al ripristino in funzione è stata valutata rispetto alle indicazioni della Variante per la Zona occidentale al PRG (8), ovvero alla ancora attuale necessità di collegare la piana alla collina sovrastante. La questione del restauro dell’impianto della funivia ed il tipo di approccio da avere, una volta valutata l’ipotesi più ovvia e ragionevole del ripristino funzionale, evidenzia questioni compositive e di metodo comuni a tanta parte dell’architettura moderna, che seppur catalogata e tutelata per legge, resta difficile da recuperare e riutilizzare. Vista l’impossibilità di mettere in funzione la macchina dopo 50 anni, le architetture e il vuoto urbano vanno progettati e re - inventati. Il caso studio della funivia Posillipo - Mostra d’Oltremare esplora le ragioni di valore ed eccezionalità delle sue architetture in un contesto urbano di singolare interesse. In questa tesi si sperimenta una metodologia di recupero e restauro del moderno in cui il progetto è effettivamente strumento di conoscenza dell’architettura “dimenticata”. Si arriva a proporre una possibile nuova riconversione degli spazi, lasciando però campo libero a soluzioni alternative diverse da quella proposta. Il principio stesso delle teleferica di Posillipo è da catalogare e restaurare prima ancora delle architetture poiché il sistema risulta essere
Riorganizzazione urbana e frammenti della funivia
ancora più eccezionale delle stazioni in sé. Dunque, a prescindere dal funzionamento di argano motore e carrelli, il senso della funivia è nel suo essere percorso che partendo dalla Mostra d’Oltremare, attraverso i rioni di Fuorigrotta e Cavalleggeri, finisce ai margini della collina di Posillipo.
Note (1)
Giulio De Luca nacque a Napoli nel 1912 da Luigi De Luca (Napoli, 1857 – Na-
poli, 1938) , noto scultore napoletano e allievo dello scultore Stanislao Lista, Giulio dimostra di avere passione per le arti e soprattutto in architettura. Dopo la maturità classica si iscrive alla Real Scuola Superiore di Architettura di Napoli e qui entra in contatto con il nascente idealismo fascista partecipando inizialmente ai GUF, ma prese le distanze successivamente con il Fascismo. Negli anni accademici diviene il pupillo di Marcello Canino col qual si instaura un rapporto di ammirazione e amicizia. Sempre in questi anni De Luca partecipa alle manifestazioni GUF del quale realizzerà alcune sculture in creta. Si laurea architetto nel 1933 e da questo momento intraprende una prolifica carriera da architetto che esplode nella ricostruzione post-bellica. In questi anni si occupa dei padiglioni della Mostra d’Oltremare insieme a figure di spicco del razionalismo italiano come Carlo Cocchia, Luigi Piccinato, Stefania Filo Speziale ed altri. Con il progressivo distacco dal fascismo, De Luca è arrestato e deportato in Germania nel 1943. Contemporaneamente alla carriera professionale si affianca quella di collaboratore e professore. Agli inizi era il collaboratore di Adriano Galli presso la cattedra di Meccanica Razionale e Statica Grafica e successivamente collaboratore di Alberto Calza Bini in Composizione Architettonica; nel 1937 vinse il concorso nazionale alla cattedra di Composizione come collaboratore. De Luca esegue in quel periodo anche disegni di stampo ingegneristico come ponti o tecnologie da sviluppare nella realizzazione di edifici, così brevettò anche un nuovo metodo per realizzare le fondazioni. Nel Dopoguerra partecipa ai concorsi universitari per l’assegnazione delle cattedre universitarie per Elementi di Composizione Architettonica e Architettura e Composizione Architettonica. I suoi seminari svolti negli anni sessanta coinvolsero numerosi docenti e allievi. Diresse l’Istituto di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti. In questo periodo dopo la guerra si occupa insieme a molti altri architetti della ricostruzione di Napoli insieme a Cocchia, Piccinato, Francesco Di Salvo, Luigi Cosenza, Francesco Della Sala, Stefania Filo Speziale.
(2)
Tra le infrastrutture e le attrazioni realizzate nel 1940 nell’ultima fase del regime
fascista a Napoli, c’era anche la funivia che collegava la Mostra con Posillipo. In quel
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
periodo Fuorigrotta e Bagnoli non arrivavano a 35 mila abitanti e sulla collina di Posillipo, all’epoca totalmente verde, risiedevano circa 10 mila napoletani. Al tempo doveva essere un’opera di notevole interesse se il Dizionario Enciclopedico Treccani riporta la foto di “una cabina della funivia Posillipo-Campi Flegrei. (3)
La funivia di De Luca è un impianto bi - funi perché dotato di due tipologie di
funi, una con funzione portante, l’altra con funzione di trazione ovvero fune portante e fune traente; entrambe sono tenute tese a mezzo di contrappesi di estremità. Le vie di corsa delle cabine sono costituite da una fune portante su cui scorrono le cabine della capacità di 20 persone, trainate da un anello di due funi (traente superiore e traente inferiore) mosso da un argano sito nella stazione motrice di Posillipo. Oltre al vano che ospita l’Ancoraggio Cavo mosso dall’argano principale nella stazione motrice si trovano la sala macchine con i quadri elettrici, la terrazza di manovra, la sala d’aspetto dove approdano le vetture e la biglietteria su via Manzoni. La stazione Mostra è quella di Rinvio in cui sono posizionati i due tamburi - carrelliere di ancoraggio delle funi portanti, i contrappesi della fune traente e della fune portante a cui corrispondono i pozzi contrappeso. Il contrappeso dell’anello traente, oltre a tenere tesa la fune ne garantisce l’aderenza sulla puleggia motrice. Anche nella stazione di rinvio si trova la sala d’attesa all’approdo delle vetture e la biglietteria su Viale Kennedy.
(4)
Il contenitore viene restaurato e rimodellato in modo da poter essere adattato, in
maniera flessibile, ad una vasta gamma di nuove funzioni, a seconda delle nuove esigenze sociali e dei futuri utili che un’operazione di restauro e riuso dovrebbe offrire agli investitori o ai proprietari degli edifici stessi.
(5)
(Corigliano Calabro 1924)
Architetto di origini calabresi, si laurea alla Federico II con una tesi su un velodromo coperto, con questa tesi vincerà il premio CONI, entrerà subito nello studio di Carlo Cocchia dove realizza la ri - progettazione del Padiglione del Nord America nella Mostra d’Oltremare e assistente alla progettazione dello Stadio San Paolo. Nel corso degli anni ‘50 progetta poche opere architettoniche, collabora nella progettazione del Rione La Loggetta insieme a Carlo Cocchia e Giulio De Luca, la Residenza Giordani oggi Ostello della gioventù e case a schiera per l’INA - Casa a Pozzuoli. Negli anni ‘70 diviene il direttore dei Servizi Tecnici dell’IACP di Napoli nel quale progetta alcuni palazzi nel nascente quartiere Scampia. Tra il 1970 e il 1980 progetta un complesso scolastico a Marianella dove vengono espressi a nudo le strutture portanti con l’ ausilio del curtain wall.
Riorganizzazione urbana e frammenti della funivia
(6)
(Napoli 1959) Alessandro Castagnaro insegna Storia dell’architettura contempora-
nea presso la facoltà di architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e presso il corso di architettura degli interni della facoltà di architettura di Roma «La Sapienza». Presidente dell’Aniai Campania, associazione ingegneri ed architetti della Campania, e direttore della pubblicazione trimestrale «Rassegna Aniai». Redattore della rivista «Op. cit..», selezione della critica di arte contemporanea, diretta da Renato De Fusco. Scrive su varie riviste di architettura e sulla pagina culturale del «Corriere del Mezzogiorno». È autore di: Schede critiche, in P. Belfiore, B. Gravagnuolo, Napoli, Architettura e urbanistica del Novecento, Laterza, Roma-Bari 1997; Architettura del Novecento a Napoli. Il noto e l’inedito, E.S.I., Napoli 1998; Il Cinquecento, in R. De Fusco (a cura di), Topo - cronologia dell’architettura europea dal XV al XX secolo, Zanichelli, Bologna 1999; Gnosis Architettura, sovrastrutture. Interventi in archeologia, museografia, arte contemporanea, Electa Napoli 2002. (7)
Variante per la zona occidentale al PRG approvato con D.M. 1829/1972. p. 71
(…) Sono da ricercare poi soluzioni di collegamento con funicolari, funivie e ascensori, tra la collina di Posillipo e le aree di Fuorigrotta, Cavalleggeri, Cordoglio. Si propone di realizzare una funicolare tra la stazione di Leopardi FS e via Manzoni con ingressi da via Giulio Cesare e da via Campagna. A via Manzoni la stazione d’ingresso può essere localizzata tra la via Villanova e il parco flory per poter usufruire di un’area libera per parcheggio d’ interscambio a servizio dell’ utenza di via Manzoni. Un altro collegamento può essere previsto tra il terminale Atan sul piazzale iniziale della discesa di via Coroglio e la base del costone, formando un interscambio con la nuova linea della Cumana. Altri collegamenti tra le stazioni FS di Mergellina, Campi Flegrei, Cavalleggeri, e via Manzoni, via Petrarca, via Posillipo sono stati indicati negli studi per il piano comunale dei trasporti effettuati nel 1993 e possono essere esaminati e approfonditi nell’ambito del nuovo sistema su ferro da progettare.
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Capitolo Primo
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Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
la Mostra d’Oltremare e stazione di rinvio in primo piano, Napoli 1952
Il valore dell’opera. “Se pensiamo ad un fatto urbano determinato ci rendiamo conto più facilmente di questo e subito si dispongono di fronte a noi una serie di problemi che nascono dall’osservazione di quel fatto; (…) esse si riferiscono alla qualità, alla natura singolare di ogni fatto urbano”. (1) Nell’indagare come restaurare il fatto urbano della funivia, tra stazioni e cavalletti, le questioni principali nel riconoscimento di valore e qualità delle architetture e del principio del collegamento aereo, sono luogo e funzione. “Il progetto di architettura si radica in un luogo. Assume e conferisce senso ad un luogo. Assume le condizioni del luogo in cui si colloca, che siano le regole della costruzione urbana o i caratteri del paesaggio naturale”. (2) Il progetto delle stazioni della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare si confonde tra i numerosi frammenti di architettura moderna di innegabile valore che caratterizzano i luoghi dell’area occidentale di Napoli. Le architetture di Giulio De Luca, compresi i piloni di sostegno delle funi, assumono le condizioni del luogo e dello specifico ambito urbano in cui si collocano. Da un lato la stazione di rinvio su viale Kennedy lega a sé le regole della frammentarietà degli interventi architettonici moderni della conca flegrea, dall’altro la stazione motrice su via Manzoni, immersa nel verde della collina di Posillipo, si integra con continuità nel contesto naturale. Vista la posizione strategica e centralissima dell’ex infrastruttura, i suoi edifici partecipano al processo di trasformazione del sistema territoriale. Anche
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
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quando la macchina smette di funzionare, il suo stesso principio compositivo è la condizione stessa di questi luoghi ovvero legare la piana alla collina, la costruzione urbana al luogo naturale. Il progetto di restauro della linea della funivia prende le mosse e si intreccia ai due principali assi viari, paralleli, del viale Kennedy e via Diocleziano. (3) “Via Diocleziano riunisce gli elementi del contesto geografico ed urbano riportandoli ad una reciproca vicinanza; diventa centro di un ambito omogeneo delimitato a
viale Kennedy e il recinto della Mostra, Napoli 2007
nord dalla Mostra d’Oltremare e a sud dalla linea ferroviaria.(…) Di contro, il ruolo che il Viale Kennedy (…) non viene più inteso come percorso lungo il recinto ma come parte integrante dell’impianto formale della Mostra”. (4) Nella frammentarietà degli interventi architettonici moderni della Conca Flegrea, spicca il complesso espositivo della Mostra d’Oltremare nella duplice lettura proposta dall’architettura dei singoli edifici alla complessa articolazione degli spazi aperti. (5) Il recinto che chiude questo “frammento urbano”, nel progetto di restauro e riuso della funivia, diventa permeabile. Si assume quindi come ipotesi iniziale del racconto progettuale quanto proposto da Ludovico Maria Fusco nel suo progetto di Riqualificazione urbana della zona di Via Diocleziano. (6) La stazione della funivia di viale Kennedy segna dunque il nuovo ingresso laterale al sistema urbano della Mostra. Nell’ottica di voler restituire al complesso espositivo, con le sue architetture, l’originario valore di parco attrezzato, la stazione superiore immersa nel verde di Posillipo diventa a sua volta, anche se solo visivamente, il prolungamento di quella componente naturale che è intrinseca di questi luoghi e ri – ammaglia così la piana flegrea al margine della verde collina. Se dunque il luogo è fondamentale nel processo di riconoscimento di valore dell’architettura delle stazioni, non ci si può certo esimere dal considerare altro elemento determinante la questione relativa alla specifica funzione per cui l’opera stessa è stata realizzata. “Intesa in questo modo la conoscenza della funzione richiede grande sapienza. (...) Quanto più questa è considerata nella sua particolarità, tanto più si cadrà nel funzionalismo povero e meccanicista; quanto più è considerata nella sua generalità, tanto più ci avvicineremo alla conoscenza di ciò cui dobbiamo dare forma e di cui la forma sarà evocativa”.
(7)
il vuoto antistante la stazione di rinvio e il recinto “permeabile”
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Attraverso il processo di analisi conoscitiva dei manufatti delle stazioni, indagando grafici e materiali di archivio, si mette in luce il valore della forma oltre la funzione specifica per cui queste architetture sono state realizzate. Lo studio degli spazi tecnici evidenzia sì un’architettura modellata attorno alla sua funzione specifica, ma più di tutto la qualità e la natura singolare del fatto urbano. In questo senso sebbene sia logico pensare di restaurare gli edifici secondo la loro funzione originaria, appare anche più evidente che edifici di questo tipo possano contenere una pluralità di funzioni a loro volta del tutto indipendenti dalla forma. Essa è infatti evocativa della funzione ma ad essa viene anche riconosciuto il valore dell’elemento in sé a prescindere dalla specifica classificazione. “L’individualità pende senz’ altro dalla sua forma più che dalla sua materia, anche se questa vi ha grande parte; ma dipende anche dall’essere la sua forma complicata e organizzata nello spazio e nel tempo ”. (8) Nel caso delle stazioni la materia sono lo schema distributivo tra spazi tecnici e aperti al pubblico, dimensionamento e misura degli ambienti interni, diagramma dei percorsi che dall’ingresso sul viale principale portavano i passeggeri alla piattaforma da cui si saliva alle cabine. La domanda: “ A cosa servono? ” finisce per dar luogo a una semplice giustificazione bloccando un’analisi del reale. (9) La funzione non può essere l’unica ragion d’essere delle stazioni se non si vuole cadere in quello che Aldo Rossi definisce funzionalismo ingenuo. Concependo il fatto urbano come un mero problema di organizzazione, esso non avrebbe né continuità né individualità. Dunque la funzione è utile al processo di classificazione e di scelta attraverso il progetto dei manufatti da restaurare ma non può essere l’unica chiave di lettura. Nel riconoscere valore all’ opera di Giulio De Luca, il tema della macchina e la fine della sua specifica funzione, è solo una delle questioni valutate quando si è deciso che fosse utile e doveroso consegnare alle generazioni future le forme della funivia e il suo essere testimonianza di un’epoca. Sono il principio stesso dell’infrastruttura, il ruolo simbolico del monumento attraverso gli episodi delle stazioni e dei cavalletti, l’essere primissima testimonianza del progetto del moderno a Napoli e della produzione architettonica di un giovanissimo Giulio De Luca a giustificare la scelta dell’opera come utile da restaurare e ri - significare.
il pilone attiguo i binari della metro, Napoli 2007
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
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Il valore del contesto e i materiali di progetto. Essendo luogo e funzione le ragioni del valore del fatto urbano, è fondamentale che il sistema venga considerato nella sua territorialità. Questa tesi mira a dimostrare che ha senso restaurare continuità e unicità dell’infrastruttura funivia, ri - posizionando le sue architetture nella più ampia trama delle relazioni urbane dell’area occidentale di Napoli. Il lavoro di sintesi dell’area è consistito nell’ evidenziare il peso dei vuoti urbani cui appartengono gli elementi architettonici di tutto il sistema perché sono proprio i vuoti a fare da legante tra i numerosi episodi di architettura moderna e archeologie industriali che affollano la Conca Flegrea. Si è esteso il dominio dell’architettura da restaurare, allargando il territorio di indagine dalla scala urbana a quella territoriale. Uno degli aspetti del percorso di ricerca è strutturare l’intervento di restauro non tanto affrontando le singole parti una ad una, ma lungo tutto il percorso della funivia, rafforzare il senso di continuità della linea di attraversamento e di collegamento tra la piana e la collina. Prima di arrivare ad una soluzione progettuale per le singole parti, viene ipotizzato un progetto su scala urbana di ri - cucitura delle tracce della funivia come connessione tra gli ambiti urbani di appartenenza e disegno dei vuoti. Si tratta di un intervento che riguarda l’intera linea del collegamento aereo, con l’intento di restituire qualità urbana alle aree toccate dall’intervento che non è solo di restauro del moderno ma soprattutto di riqualificazione urbana. “ E’ necessario, cioè porre grande attenzione non solo ai singoli oggetti architettonici, ma alla relazione tra loro, alle sequenze, alle scale, alle gerarchie tra le parti ”.(10) Il soggetto preminente in questa operazione di restauro e riuso è la relazione tra le parti e, ad una scala più ampia, tra queste e il sistema territoriale della Conca Flegrea, allo scopo di ricostruire l’urbano della città futura, ovvero un intervento che tenga in conto i futuri scenari dell’area occidentale tra progetti, ipotesi e Variante al Piano Regolatore Particolareggiato. L’area di studio è dunque definita dai quattro principali episodi urbani dell’area industriale dismessa di Bagnoli, la Mostra delle Terre d’Oltremare, il quartiere Cavalleggeri e la corda della collina di Posillipo.
la stazione motrice e il crinale di Posillipo, Napoli 2007
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La piana flegrea e il Rione Cavalleggeri, Napoli 1961
Si possono poi estrapolare da un contesto così ampio, elementi detti materiali esistenti - che si relazionano concretamente al progetto di restauro della linea e materiali geografici presenti sulla scena urbana con cui il progetto si deve misurare. (11) Nel tracciare l’area di intervento, sono stati individuati tre distinti ambiti urbani e con essi una serie di elementi presenti sul territorio, disposti ad instaurare relazioni con il testo (la funivia) al fine di creare un potenziale sistema testo - contesto. (12) Gli ambiti tematici spaziali sono dunque tre: 1.
Mostra D’ Oltremare - via Diocleziano
2.
Cavalleggeri D’ Aosta
3.
Posillipo
Nel primo ambito gli elementi che dialogano con la stazione di rinvio sono: i binari della Cumana (13) a Sud della stazione. I binari, essendo preesistenti alla realizzazione dell’edificio, rappresentano oggi come cinquanta anni fa, quando Giulio De Luca realizzò il progetto, un limite fisico col quale misurarsi materialmente nel progetto di recupero. Non è certo un caso che l’ avan - stazione sia stata realizzata a sbalzo, sorretta da due sottili pilastri in cemento armato. la misura dei blocchi edilizi compresi nello spessore del viale Kennedy e via Diocleziano
. La stazione di rinvio si confonde tra la massa di costruito
(14)
limitata dai due assi viari paralleli.
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
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L’operazione di recupero del testo considera l’opportunità di liberare la porzione di suolo, antistante l’ avan - stazione, ad oggi occupata da un brutto capannone che va a riempire esattamente il vuoto lasciato dalla traccia della funivia tra la Cumana e via Diocleziano. il viale Kennedy nell’accezione di elemento strutturante il sistema del verde e degli spazi vuoti (15) della Mostra D’ Oltremare, viene assunto come materiale di progetto. Esso non viene più considerato percorso lungo il recinto, ma piuttosto viale alberato lungo il quale accadono degli episodi tra cui il vuoto urbano antistante l’ingresso alla stazione inferiore. Ad oggi il suolo è occupato da una pompa di benzina e dalle serre di pertinenza del fioraio De Luca. il varco nel recinto della Mostra d’Oltremare A Nord della stazione di rinvio si trova uno degli ingressi secondari allo spazio espositivo, punto da cui si percorre il viale che passa tra il Cubo d’Oro e il Teatro Mediterraneo. Nel secondo ambito il testo dei cavalletti nel Rione Cavalleggeri ha come materiali di progetto: i binari della Metropolitana Linea 2 (16) Essi, sopra - elevati rispetto alla quota stradale, rappresentano una forte rottura nella continuità spaziale tra il primo e il secondo pilone. Un sottopassaggio connette via Diocleziano al viale Cavalleggeri d’Aosta. Dopo aver superato un leggero dislivello, si accede alla stazione della metro che si affaccia Nei tre schemi a lato viene illustrato il percorso di “analisi e sintesi” condotto nell’area flegrea attraverso l’individuazione di punti nevralgici e vuoti urbani che a livello territoriale si relazionano con il sistema complesso della funivia. L’analisi ha tenuto conto dello stato di fatto ma anche delle prossime trasformazioni che interessano la piana, dal nuovo parco urbano delle archeologie industriali di Bagnoli agli interventi previsti nella Variante al Piano Regolatore per l’area occidentale di Napoli.
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proprio sullo slargo del secondo cavalletto di sostegno delle funi. Questo vuoto urbano, ad oggi spazio di risulta e parcheggio di fortuna, può diventare il nucleo di un intervento di riqualificazione urbana volto alla valorizzazione dei suoli di Cavalleggeri. il viale Cavalleggeri d’Aosta e assi viari secondari che tagliano il vuoto della funivia in direzione est – ovest. Il viale, che scorre parallelamente alla traccia della funivia, è infatti la spina portante di tutto il rione, in cui ben si distinguono gli edifici posizionati secondo l’asse elio – termico, a loro volta collegati da alcune vie secondarie. (17) i fronti degli edifici del rione Cavalleggeri. Si tratta di edilizia popolare di scarsa qualità, palazzacci o edilizia spazzatura che ai piani terra, lungo il vuoto lasciato dalla funivia, alternano ai vani scala di ingresso ai condomini, i tanti retro bottega di pertinenza degli esercizi commerciali presenti sul viale principale. i cancelli e ringhiere che impediscono di percorrere con continuità il vuoto urbano tra i piloni. Con la presenza delle numerose auto parcheggiate lungo tutta la sua lunghezza, essi rappresentano un limite e un interessante materiale
i binari della Cumana e sullo sfondo la stazione di rinvio, Napoli 2007
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di progetto. il quartiere su via Giacinto De Sivo, realizzato nel 1952. Esso viene tirato dentro il processo di riqualificazione urbana che dal vuoto della traccia della funivia va ad irradiarsi tra gli spazi urbani spesso di risulta che si mostrano ad oggi in stato di degrado ed abbandono, tra i palazzi alti 40 metri di Cavalleggeri e le villette a due piani del quartiere De Sivo.
la stazione, gli assi paralleli di via Diocleziano e Kennedy e i binari, Napoli 2007
Nel terzo ed ultimo ambito il testo della stazione motrice dialoga con i seguenti elementi: il parco del Virgiliano o parco della Rimembranza che sorgendo con un sistema di terrazze sulla sommità del capo Posillipo, instaura un legame visivo - percettivo con la stazione superiore.
il viale Kennedy e lo spazio ad oggi occupato dalle serre De Luca, Napoli 2007
Percorrendo via Virgilio si incrocia via Giovanni Boccaccio che da questo punto in poi diventa Via Manzoni.
Nell’ambito Mostra d’Oltremare la stazione di rinvio si relaziona a destra col viale Kennedy e il recinto dell’impianto espositivo, a sinistra con il capannone che chiude la parte iniziale del vuoto urbano, il primo cavalletto cui si attaccava la rete di protezione ed oggi demolito, via Diocleziano e i due piloni di sostegno delle funi alti 40 mt e posizionati a cavallo dei binari della metropolitana
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
la via Manzoni si svolge lungo tutto il bordo collinare che delimita la piana di Bagnoli fino ad arrivare al Vomero. La strada, il marciapiede, il filare di alberi lungo il percorso, tutti si relazionano fortemente e in maniera diretta con l’ingresso alla stazione motrice. la discesa di Coroglio che, sottoposta alla quota di via Manzoni, entra in relazione con il testo anche se a distanza. Potendo percorrere da questo punto in poi, una corda, appoggiata ad uno dei terrazzamenti della collina di Posillipo, seguendo un andamento analogo a quello di via Manzoni, si raggiunge la stazione superiore ad una quota inferiore rispetto a quello dell’avan - stazione. I materiali geografici presenti sulla scena urbana e disposti a relazionarsi col sistema funivia sono: il salto tra la quota stradale di viale Kennedy i binari della Cumana in corrispondenza della stazione di rinvio. il salto di quota tra il vuoto urbano della funivia nel quartiere Cavalleggeri d’Aosta e l’omonimo viale. Lungo il “corridoio” spaziale il suolo presenta un andamento irregolare caratterizzato da una quota iniziale di + 17,00 mt in corrispondenza del pilone attiguo la stazione della metro ai + 12,00 mt dell’ ultimo cavalletto presente alla fine della “traccia” della funivia.
i binari della Metropolitana, il cavalcavia e il primo dei piloni alti 40 mt sullo sfondo, Napoli 2007
la vista panoramica sulla piana di Bagnoli. ci troviamo in uno dei luoghi più panoramici della città: da questo punto si vedono in lontananza Ischia e Procida, il Golfo di Pozzuoli, tutto il quartiere Fuorigrotta in cui spicca la sagoma inconfondibile dello stadio San Paolo. il salto di quota della collina di Posillipo che si caratterizza per i terrazzamenti che degradano fino alla corda di via Campegna. il vuoto urbano di Cavalleggeri segnato dal fronte degli edifici e usato come parcheggio per i residenti, Napoli 2007
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
Il sistema della funivia La stazione di rinvio come elemento del nuovo sistema di accesso alla Mostra d’Oltremare. Nell’impianto urbanistico del 1939 della Mostra delle Terre d’Oltremare i varchi di ingresso principale, ubicati perimetralmente al complesso, erano tutti caratterizzati architettonicamente configurandosi come precisi segni urbani;
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L’ambito del Rione Cavalleggeri è caratterizzato dalla presenza del vuoto urbano della “traccia” della funivia e dai due piloni che ne segnano l’inizio e la fine. Il segno urbano nasce dallo slargo della stazione della metro Cavelleggeri D’Aosta e continua fino all’ultimo dei tre piloni che si distingue dagli altri per l’assenza delle “braccia aperte” dove si agganciavano le reti di protezione della Direttissima
molti furono progettati da alcuni dei migliori giovani architetti dell’epoca, da Marcello Canino, autore del monumentale ingresso principale su piazzale Tecchio a Stefania Filo Speziale, che curò la realizzazione dell’ingresso nord, a Vittorio Amicarelli e Luigi Piccinato autori di alcuni accessi a sud dell’area; tutti gli ingressi concorrevano all’identificazione di uno spazio fortemente celebrativo. (18) Questo è quanto riportato nella relazione di accompagnamento per il concorso a partecipazione ristretta del 23/11/2006 indetto dall’Ente Mostra d’Oltremare per la “riqualificazione di alcuni accessi” allo stesso complesso espositivo. Gli obiettivi generali del bando di concorso erano sviluppare un progetto di razionalizzazione e di riqualificazione di due varchi d’ingresso, strategici per la mole e la complessità delle attività che attualmente si svolgono in Mostra.
cancelli e recinzioni che interrompono la continuità del vuoto urbano di Cavalleggeri, Napoli 2007
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
I due ingressi sono il varco su via Terracina, prospiciente l’ospedale San Paolo e il varco su viale Kennedy prospiciente proprio la stazione inferiore della Funivia. Prendendo spunto dalle indicazioni del bando che avvalorano la mia ipotesi iniziale, cioè considerare la stazione di rinvio nell’ambito Mostra d’Oltremare, premessa la permeabilità del recinto dell’impianto espositivo che potrebbe addirittura scomparire in alcuni punti del Viale Kennedy, il recuperato edificio di Giulio de Luca diventa nuovo segno urbano di ingresso e lo spazio
Scorcio del quartiere De Sivo, si intravede sullo sfondo uno dei piloni Napoli 2007
antistante ri – pensato alla luce delle richieste del bando di concorso: -
ingresso ai parcheggi interrati
-
accesso carrabile all’area di parcheggio a raso
-
ingresso e controllo automezzi
-
ingresso pedonale
La stazione tra il filare di alberi di viale Kennedy è il segnale della presenza di un varco laterale di ingresso alla Mostra, valorizzata e ri- significata, assume la stessa dignità delle più prestigiose biglietterie di Amicarelli o Canino. Il senso e la forma della biglietteria cambia perché va ripensato il perimetro dell’impianto espositivo. Esso attualmente è costituito per lo più da muri di cinta in tufo, di altezze e tipologie disparate, oggetto di sopra - elevazioni e di rimaneggiamenti successivi, che impediscono generalmente la vista del parco e si presentano diffusamente degradati. In alcuni tratti, come nel caso del confine lungo il viale Kennedy a ridosso dei padiglioni 5 e 6, realizzati nel 1993, il confine è costituito da un muro basso con una recinzione soprastante in ferro. Tutto il perimetro della Mostra andrebbe trattato come materiale di studio e riqualificato parte per parte allo scopo di caratterizzare i varchi non solo come semplici interruzioni della cinta muraria ma come pezzi di un racconto progettuale complessivo che da piazzale Tecchio arriva alla stazione di rinvio passando per il recinto e il viale Kennedy. Il “tracciato” della funivia come vuoto da riqualificare nel Rione Cavalleggeri Giganti con le braccia alzate in segno di resa, sono i monumentali piloni che un tempo sostenevano la metallica rete di protezione e consentivano alla cabina della funivia di Posillipo di scavalcare il fascio di binari della «Direttissima»
via Manzoni e i terrazzamenti del sistema collinare di Posillipo, Napoli 2007
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
e atterrare davanti all’ingresso laterale della Mostra d’Oltremare. (19) Essi si stagliano imponenti tra gli edifici popolari del Rione Cavalleggeri. Ad oggi fatiscenti, i cavalletti per molti abitanti del posto sono nella memoria collettiva pezzi di un’infrastruttura che ai tempi era assolutamente avveniristica e moderna, ma per tanti altri rappresentano solo un voluminoso “soprammobile” di cui si libererebbero volentieri. Volendo salvarli definitivamente da abbandono e degrado, sembra però debole l’idea di affidarli unicamente al decoro di un artista. Lucio Morrica (20)
infatti, dalle pagine del Corriere del Mezzogiorno, propone di indire
un concorso fra artisti napoletani per i giganti della funivia, allo scopo di levarli dallo stato di fatiscenza degli ultimi anni. Certo è innegabile il fascino esercitato da questi moderni totem, ma è anche evidente che essi, intesi come segno urbano perdano forza se separati dal corridoio continuo che li collega tra i palazzacci di Cavalleggeri. Riconoscere questo come un vuoto urbano da costruire o quanto meno da ri - significare, significa andare oltre il valore della memoria dell’oggetto in sè, ma considerare i piloni un’opportunità per affrontare in maniera consistente il progetto della striscia di suolo lungo la “traccia” e di ri - disegno degli spazi pubblici che gravitano attorno ad essa. Disegnare l’area attorno agli elementi puntuali dei cavalletti disposti lungo la linea della funivia, significa rendere continuo un tratto della rete delle archeologie del moderno allo scopo di dare un senso nuovo a questi oggetti. Il progetto dello spazio urbano attorno ai piloni riguarda un suolo più ampio e si irraggia da questi fulcri come pretesto per riqualificare altre aree del quartiere popolare. L’ idea per i piloni, come d’altronde per le stazioni di rinvio e motrice, nasce dalle ragioni del restauro dell’infrastruttura ma diventa pretesto per riqualificare e ri - disegnare parti del tessuto urbano di Fuorigrotta e Cavalleggeri, attraverso interventi volti a ri - ordinare e ri - ammagliare i punti di sconnessione tra i vari ambiti urbani. La stazione motrice come “porta” al sistema collinare di Posillipo L’edificio posto a sbalzo lungo il salto di quota, si pone quale telescopio che guarda la piana di Bagnoli da una posizione privilegiata, strategica e preziosissima. Sulla posizione dell’architettura in questione, sul ruolo che essa gioca
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
nel sistema territoriale della funivia e sul senso nuovo che può assumere una volta restaurata, ruota l’idea di ri-significazione e ri-uso. La motrice mostra di essere fortemente influenzata dall’andamento della collina che degrada verso la piana fino alla “corda” di via Campegna. Il sistema collinare si svolge secondo terrazzamenti, dall’ andamento analogo a quello della “corda” ma lungo quote diverse. La stazione si aggancia a via Manzoni e supera il salto di quota tra la strada e il terrazzamento che da qui arriva dritto alla discesa di Coroglio. La stazione motrice viene rivisitata nel suo essere legante tra quote diverse, dunque attraversabile da un livello all’altro, trait d’ union tra la realtà di via Manzoni e la naturalità della collina. In questo senso essa, oltre a mantenere il suo ruolo originario di cannocchiale sul paesaggio, luogo di sosta e punto di vista privilegiato su Fuorigrotta, sembra prestarsi ad una duplice lettura degli spazi interni e dell’attacco al suolo. Si passa infatti, attraverso la stazione sia in un senso, da Via Manzoni per uscire sui terrazzamenti di Posillipo ma anche nel senso contrario: risalire la collina fino a giungere ai piedi della stazione e attraversarla per ritrovarsi alla quota stradale. Da questo nasce la volontà di rendere questo passaggio più fluido, ripristinando quella attraversabilità propria di questa particolare tipologia di edificio. L’ edificio di De Luca nel progetto originario funzionava da tramite tra l’ ingresso dell’avan - stazione e la stazione propriamente detta dove approdavano le cabine della funivia. Il percorso funzionava in tutti e due i sensi essendone uno dei principi compositivi; l’idea principe per la stazione da restaurare è quella di intenderla sempre come “porta” al percorso, ripristinata nel suo senso originario ma anche valorizzata e potenziata. Attraverso la motrice si esce nel verde della collina ma essa rappresenta anche il punto di arrivo dopo aver percorso la corda di Campegna e risalito il sistema collinare, per passare oltre la porta, risalire le scale longitudinali e ritrovarsi sull’ultima corda di Posillipo che porta la Parco del Virgiliano.
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
Note )
In Aldo Rossi, L’ Architettura della città, Città Studi Edizioni, Torino 2004, p. 21
(2)
In Antonio Monestiroli, La Metopa e il Triglifo, Editori Laterza, Bari 2004, p. 30
(3)
Ludovico Maria Fusco scrive a questo proposito: L’arteria più a nord, Viale Kennedy,
è definita da un lato dal recinto della Mostra d’Oltremare e dall’altro da edilizia residenziale frammista a vuoti poco configurati; l’altra via Diocleziano, è delimitata su entrambi i lati, da una cortina di edilizia di speculazione a blocco dalla dimensione variabile. Ludovico Maria Fusco, Architettura studi e progetti, Officina Edizioni, Roma 2005, p. 117 (4)
Ivi p. 121
(5)
Nel 1955 Carlo Cocchia scriveva: Nel dopoguerra, si pensò di riattare la Mostra con
un “nuovo contenuto”; furono ri - sistemati gli edifici danneggiati, i viali; le strade, i giardini, le fontane; l’esposizione sul “Lavoro Italiano nel Mondo” fu aperta nel 1952. Ma
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
il complesso, nato per i fini propagandistici di un regime dittatoriale e, senza presupposti economici, era destinato alla ,bancarotta. Cosa fare?’ Si è proposto: a) di demolire gli edifici e alienare le aree, come se queste avessero un valore altissimo; b) di trasformare la Mostra in Fiera, come se una fiera esigesse un impianto così oneroso; c) di farne una città universitaria, come ,se le scuole potessero adattarsi in piscine, teatri, ristoranti e padiglioni; d) di mutarla in una cinecittà napoletana, come se l’industria cinematografica non richiedesse attrezzature specializzate. Vi sono state naturalmente numerose proposte per nuovi “contenuti” della Mostra, ma è chiaro che la maledizione che ha colpito tutte le iniziative finora tentate discende proprio dalla cervellotica ricerca di un “contenuto”, Il problema va risolto in modo affatto diverso. [..,] L’intero patrimonio della Mostra deve essere messo a disposizione di tutti; la rete viaria, i giardini vanno resi pubblici; il Palazzo degli Uffici, il teatro coperto per mille spettatori, quello scoperto per diecimila, due ristoranti, la piscina olimpionica, l’acquario, le serre botaniche, la chiesa, devono essere permanentemente utilizzati
il vuoto urbano di Cavalleggeri occupato da parcheggi per i residenti, Napoli 2007
dalla cittadinanza. Intorno a questo centro di edifici pubblici sorgeranno uffici, negozi, aziende, banche. In poche parole, l’aggregato anormale della” Mostra” va trasformato in un normale complesso urbano. [...] Riconosciamo questa straordinaria circostanza: il centro di un quartiere di espansione è stato costruito prima del quartiere stesso. Sfruttiamo questa fortunata occasione ,convertendo un’inutile mostra “triennale” nel cuore di un nucleo cittadino già pulsante di iniziative. (6)
Ludovico Maria Fusco scrive a questo proposito: Nella parte più bassa e adiacente al
limite della Mostra d’Oltremare, un filare di alberi delimita un pista ciclabile per sottolineare l’appartenenza al sistema della Mostra, dove potrebbe eliminarsi l’attuale recinto. Ivi p. 121 (7)
in Antonio Monestiroli, La Metopa e il Triglifo, Editori Laterza, Bari 2004, p. 45
(8)
in Aldo Rossi, L’ Architettura della città, Città Studi Edizioni, Torino 2004, p. 22
(9)
Ivi p. 36
(10)
in Vittorio Gregotti, L’Architettura del realismo critico, Editori Laterza, Bari 2004,
p. 69 (11)
in Brigida Santangelo, Ri – valorizzazione del Mercato Ittico di Luigi Cosenza a
Napoli. Un caso studio tra metodologia e progetto, p. 81 (12)
(13)
Ivi, op.cit. p. 80 Nel 1883 nasce a Roma la “Società per le Ferrovie Napoletane”. A questa società
il “braccio” di uno dei cavalletti della funivia, Napoli 1952
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
sarà affidato il compito di costruire e gestire la Ferrovia Cumana, ovvero una ferrovia economica che da Napoli arrivi sino a Torregaveta passando per Pozzuoli e Cuma. La linea Cumana entrò in esercizio nel 1889. Questa segue un tracciato costiero di circa 20 km ed unisce il popoloso quartiere di Montesanto, ovvero il centro urbano della città di Napoli, con la località di Torregaveta nel comune di Bacoli: La linea partendo appunto da Montesanto attraversa il tessuto urbano della città di Napoli con le stazioni di Corso Vittorio Emanuele, Fuorigrotta, Mostra, Bagnoli ed inoltre passa per i popolosi centri di Pozzuoli, Arco Felice, Baia, Fusaro fino al capolinea di Torregaveta. Nel 1938 subentrò alla precedente società la “Società per l’Esercizio di Pubblici Servizi Anonima”, la S.E.P.S.A., la quale iniziò importanti lavori per il potenziamento ed ammodernamento della linea. La linea Cumana a Torregaveta si congiunge con la linea Circumflegrea, costituendo un anello chiuso e consentendo così di servire l’intera area flegrea rapidamente da una doppia linea ferroviaria. (14)
Ludovico Maria Fusco scrive a questo proposito: Lo spessore tra le due strade, discon-
tinuo ed anonimo, non unifica ma separa. Ludovico Maria Fusco, Architettura studi e progetti, Officina Edizioni, Roma 2005, p. 117 (15)
Ivi Op. cit. p. 121
(16)
Il passante ferroviario di Napoli è una linea a doppio binario che congiunge la linea
per Roma all’altezza di Villa Literno con quella per Salerno nei pressi della stazione di Napoli Gianturco. Tale passante è utilizzato sia dai servizi della metropolitana di Napoli, sia dai treni per servizi regionali, nazionali e internazionali. Nonostante i lavori inizino nel 1909, l’inaugurazione avverrà il 20 settembre 1925. (17)
via Ruffo di Calabria e via Divisione Siena.
(18)
estratto dal documento preliminare alla progettazione preliminare per la
“Riqualificazione di alcuni accessi della Mostra d’Oltremare di Napoli”, DTA Prot. 6163, Napoli 23.11.2006 (19)
dal Corriere del Mezzogiorno, Napoli 25.07.2006, “Un concorso di idee per i gi-
ganti della funivia. Stazione all’asta e da Architettura arriva una proposta per i piloni” (20)
Lucio Morrica (Napoli 1937), architetto, ha collaborato con Carlo Cocchia, prima
come assistente volontario e poi dal 1975 come assistente ordinario e successivamente
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
con Giulio De Luca. Dal 1982 è professore associato di Progettazione architettonica presso la Facoltà di Architettura di Napoli. Dal 2004 dirige il corso di perfezionamento in Conservazione integrata del “Patrimonio Architettonico, Urbano e Ambientale”; Università Federico II con sede ad Atripalda (Av). Sperimenta in ambito professionale la ricerca delle possibili relazioni fra architettura contemporanea e contesti storici. In questo ambito vanno visti i progetti e le realizzazioni, oltre a numerosi nuovi edifici pubblici, di molti interventi di restauro e riqualificazione di edifici storico monumentali, tra i quali la ricostruzione del Ponte Real Ferdinando sul Garigliano e i più recenti Biblioteca e Archivio di Stato a Sassari.
Le ragioni del progetto di restauro della funivia di Giulio De Luca
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Capitolo Secondo
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Il progetto della funivia
La stazione di rinvio di Viale Kennedy L’edificio, al limite del sistema finito dei padiglioni espositivi, si pone quale porta – riferimento visivo fuori lo spazio espositivo. Da principio, nella prima edizione del 1940, essendo il luogo di approdo per i visitatori che venivano dalla collina di Posillipo, la stazione era collegata tramite una leggera pensilina alla biglietteria, opera di Vittorio Amicarelli, posta all’ingresso laterale della Mostra in corrispondenza del teatro coperto Mediterraneo. (1) Da “ L’Architettura Italiana “ aprile – maggio 1942 del n° XX, p. 85.: “ l’ ingresso al teatro coperto Mediterraneo è situato sulla via Domiziana: si affaccia in modo da dare non solo una nuova visuale e da rompere la monotonia, ma anche da servire – indipendentemente dall’ingresso principale – il teatro e le macchine che affluiscono per portare gli spettatori. Infine serve ancora per il pubblico che accede dalla funivia. La pensilina a forma di T, oltre a servire al controllo di entrata e di uscita, comprende altresì una piccola biglietteria per l’ingresso al Teatro ”.
Dunque, la misura del vuoto antistante la stazione inferiore, che si pone oggi quale slargo del viale Kennedy, è la stessa della pensilina che nel 1940 serviva ai passeggeri della funicolare aerea come ingresso alla Mostra d’Oltremare. La funivia era già prevista nel piano di Piccinato (2) e il posizionamento della stazione di rinvio tra la vecchia via Domiziana e i binari della Cumana era dunque obbligato. Di conseguenza Giulio De Luca dovette escogitare un modo per scavalcare il fascio di binari della Cumana e realizzare così liberamente l’avan - stazione (3)
Piante, sezioni e prospetti realizzati ridisegnando i grafici relativi alla stazione inferiore reperiti presso l’archivio della Mostra d’Oltremare. Il ri - disegno della stazione di rinvio ha tenuto del rilievo dello stato di fatto che non mostra sostanziali modifiche rispetto a come si presentava l’edificio nel 1952
Il progetto della funivia
per l’approdo delle vetture. La stazione di rinvio è un edificio in cemento armato a pianta rettangolare (14,00 mt x 15,80 mt) sul quale si innesta, a monte, il volume destinato all’approdo delle cabine della funivia che misura 12,15 mt x 14,85 mt. Nonostante i cambi di destinazione d’uso, è rimasta inalterata la dissimetria dell’impianto, con la scala di collegamento principale, che collega la biglietteria alla sala d’attesa, addossata alla parete destra della stazione mentre in posizione centrale si trovano ancora scala e vano ascensore tra le due carrelliere di ancoraggio delle funi portanti a cui sono addossati i rispettivi vani di alloggio dei contrappesi.La composizione e la misura di questa architettura nasce essenzialmente dal suo funzionamento. L’ingresso alla stazione e il corpo scala longitudinale che conduceva i viaggiatori in terrazza, si trova sul lato più vicino alla biglietteria del teatro Mediterraneo. Infatti la parte centrale dell’edificio è occupata dal blocco carrelliere – contrappesi – collegamenti verticali di servizio, che si sviluppa per tutta l’altezza della stazione. Ragioni unicamente funzionali davano a questo blocco una misura precisa; a cui si somma 2,80 mt di larghezza del corpo scala longitudinale a doppia rampa e la larghezza di un corridoio di servizio. Si arriva così alla misura complessiva del lato su viale Kennedy di 14,00 mt. Anche l’altezza dell’edificio, pari a 21,10 mt, è dettata dalla necessità di assolvere al meglio la sua funzione specifica, visto l’andamento della linea della funivia, il dislivello e la distanza complessiva che dovevano coprire le vetture per raggiungere la collina di Posillipo. Il piano terra è svuotato e alla quota + 3,00 mt si incastra il volume di un pia-
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
Stazione Inferiore Prospettiva della stazione inferiore dal lato dei binari della Cumana Napoli 1952 Pianta del piano terra reperita presso gli archivi della Mostra d’Oltremare Napoli 1952
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Il progetto della funivia
no intermedio caratterizzato da un ampia vetrata; resta così libero un fronte quadrato di lato 14,00 mt che, al momento dell’inaugurazione della funivia, nel maggio del 1940,(4) era caratterizzato da un’ affresco che raffigurava le terre di conquista dell’ impero fascista. Dunque la misura della funzione è anche la misura dell’ornamento, ornamento che sembra essere l’ultimo ricordo di quel monumentalismo dal quale la generazione dei giovani architetti napoletani stava prendendo sempre più le distanze. Dato che le vetture approdavano alla quota + 12,95 mt, i passeggeri dovevano percorrere tutto l’edificio per guadagnare la quota 0,00 del Viale Kennedy. L’intero edificio è attraversabile e l’affaccio alla quota + 3,00 mt rappresenta una pausa prima di arrivare alla terrazza dalla quale si gode dello splendido panorama flegreo verso la collina di Posillipo. L’avan - stazione è l’unico punto dal quale si instaura la relazione visivo percettiva con la stazione motrice su via Manzoni e con i piloni di sostegno delle funi traenti e portanti, perfettamente distinguibili nel vuoto del Rione Cavalleggeri. Come nella stazione motrice, anche nella stazione di rinvio il principio cardine della composizione architettonica è il percorso attorno al quale è costruito l’edificio. Restaurarla significa ripristinarne la percorribilità e caratterizzarne principalmente l’inizio e la fine ovvero l’ingresso da via Kennedy e l’emozione e la sorpresa del panorama su Cavalleggeri e Posillipo dall’avan - stazione. La scelta della nuova funzione per la stazione di rinvio dipende principalmente dalla necessità di renderne tutti gli spazi percorribili, caratterizzare fortemente il passaggio da una quota all’altra ovvero la verticalità del percorso e la continuità dello spostamento. L’idea è quella di rendere talmente fluido il passaggio dal vuoto del viale Kennedy alla terrazza di apStazione Inferiore Sezione longitudinale reperita presso gli archivi della Mostra D’Oltremare Napoli 1952
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prodo delle vetture - e viceversa - che chi la percorre quasi non si accorga di entrare ed uscire dall’edificio.
La stazione motrice di via Manzoni Quando la funivia funzionava, la stazione motrice comprendeva, oltre ai locali destinati a sede d’aspetto e servizi vari per il pubblico, l’avan - stazione e la stazione propriamente detta. Nei locali addossati al salto di quota si trovava l’alloggio del custode al quale ancora oggi si può accedere dalla strada, attraverso un corpo scala esterno, senza dover passare dall’ingresso principale su via Manzoni. L’avan – stazione era costituita dalla tettoia che copriva lo spazio destinato al ricovero delle vetture e alle operazioni di imbarco e sbarco dei passeggeri. Le cabine scorrevano dentro fosse di lunghezza tale da permettere l’arresto in caso di frenatura automatica. Tali fosse impedivano alle vetture ogni movimento laterale.
(5)
La stazione superiore, detta motrice perché ospitava l’argano
motore, da un lato si incastra nell’elemento naturale a favore dell’affaccio panoramico verso la piana di Bagnoli, dall’altro diventa uno degli episodi lungo l’asse di via Manzoni collegato, a sua volta, al viale del Parco Virgiliano.
Schizzi di sintesi della stazione inferiore, piante e sezione. In basso i vuoti che gravitano attorno alla stazione, il senso dei binare e del viale Kennedy.
Il progetto della funivia
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Vista sulla linea della funivia dalla stazione motrice, Napoli 1952
La stazione si amalgama perfettamente all’elemento naturale e alla strada a cui essa stessa appartiene. Con il vicino Parco della Rimembranza, via Manzoni e le ville e i palazzetti arrampicati sulla collina, la stazione fa parte di un sistema urbano fortemente caratterizzato. Alla luce di queste considerazioni circa il rapporto tra edificio ed ambito urbano, si comprende perfettamente cosa intendeva De Luca quando diceva un’opera di architettura è intimamente legata al luogo in cui sorge, e inserendosi nell’ambiente che la circonda, vi apporta la sua presenza, stabilisce con esso una relazione. Non è concepibile un’architettura in astratto, valida per se stessa, e quindi avulsa dal suo ambiente. (6) L’edificio presenta un unico piano fuori terra rispetto alla quota della strada, essendo per il resto costruito a ridosso del muro di sostegno, così come dettato dal forte declivio della collina. Verso valle la stazione prospetta con un fronte simmetrico, svuotato al centro per raccogliere le cabine in partenza ed arrivo. L’ edificio è costruito lungo il percorso che dalle fosse di approdo delle vetture guadagnava la quota di via Manzoni o viceversa, una volta fatto il biglietto, si percorreva indistintamente uno dei due corpi scala per raggiungere la cabina in partenza. La stazione è attraversabile e dunque fruibile in maniera simmetrica così da garantire la migliore funzionalità dell’impianto. I due percorsi paralleli sono tangenti alla sala argano motore, che resterebbe chiusa tra quattro muri cechi se non fosse per il ritmo delle bucature quadrate
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lungo i due lati lunghi. Questa sala non è accessibile al viaggiatore ma è praticabile solo per gli operatori addetti alle manovre di guida della funivia. (6) Il passaggio da una quota all’altra è scandito da giochi di luci e ombre, così
Prospettiva della Stazione Motrice da via Manzoni, sullo sfondo si intravedono i piloni e la stazione di rinvio con gli edifici della Mostra d’ Oltremare Napoli 1952
che alla penombra delle scale longitudinali fa eco il bagliore della terrazza dell’avan – stazione. Giulio De Luca, infatti, sceglie di accompagnare la discesa e la salita con una fila di bucature quadrate, posizionate simmetricamente ai lati dell’edificio subito sotto il solaio di copertura a cui corrispondono le stesse bucature nei muri di chiusura della sala argano.
Alcuni grafici relativi la stazione motrice e l’argano motore, in seguito all’intervento di ristrutturazione dell’impianto realizzati dalla Ceretti e Tanfani nel 1952.
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Il progetto della funivia
Non privo di sorpresa ma forse con un significato diverso è il percorso nella direzione opposta, ovvero passare dalla luce, lo spazio e la panoramicità della terrazza, percorrere in penombra le scale longitudinali per guadagnare infine la quota di via Manzoni, trovarsi a pochi passi dal Parco Virgiliano e percorrere il dorso della collina mentre si gode della una vista mozzafiato. Come già avviene nella stazione inferiore, anche per la stazione motrice le dimensioni del corpo centrale che ospita l’argano motore, sono dettate da ragioni di carattere puramente funzionale, ovvero larghezza 10,00 mt per una lunghezza di 8,00 mt per la sala macchine a cui si sommano i 6,30 mt per la sala di ancoraggio cavo. Dalla sala macchine si accedeva alla terrazza di manovra tramite una scala – passerella interna. Al nucleo centrale di dimensioni 10,00 mt x 14,00 mt si accostano ai lati, simmetricamente, due scale longitudinali larghe 1,80 mt, sul lato corto, verso via Manzoni, il blocco biglietteria e scale di accesso all’abitazione del custode mentre su lato verso la piana di Bagnoli, il volume della avan - stazione con le due fosse di approdo delle vetture. Questa parte della stazione si caratterizza per il vuoto centrale e per le due chiusure laterali vetrate che corrispondono, simmetricamente, agli spazi della direzione e sala d’aspetto. Le due fosse sono separate da una gradinata che accompagnava l’arrivo dei passeggeri ed era utile a guadagnare la quota dell’avan - stazione. Come per la stazione di rinvio, in cui l’attraversamento e il percorso cominciano ancora prima di entrare nell’edificio anche nella stazione motrice, la passeggiata comincia molto prima di entrare e, una volta raggiunta l’avan - stazione, continua visivamente verso Cavalleggeri e ancora oltre, fino ai padiglioni della Mostra d’Oltremare. In qualche modo si entra nella stazione già
Piante della Stazione Motrice recuperate presso l’archivio della Mostra d’Oltremare, Napoli 1952.
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lungo il marciapiede di via Manzoni, percorrendo il quale si accede a questa sorta di galleria simmetrica che incastrata nella collina, regala ai suoi visitatori una vista assolutamente unica. E’ questo sicuramente il valore eccezionale ed impagabile di questo edificio, che nel rapporto con un ambiente di straordinaria bellezza trova la sua principale ragion d’essere. Ancora una volta il passaggio dall’esterno all’interno avviene in maniera così fluida da non essere denunciato, anzi è in favore di questa continuità che il restauro della stazione è anche il restauro della stessa via Manzoni nel senso più generale di passeggiata lungo il dorso della collina di Posillipo.
La linea della funivia tra i cavalletti nel Rione Cavalleggeri Lungo la linea della funivia erano presenti 5 cavalletti per il sostegno delle funi portanti e traenti e di ancoraggio delle reti di soccorso. Subito dopo la stazione motrice, il primo sostegno si incontra solo all’inizio del Rione Cavalleggeri. (7) E’ il cavalletto n° 1, posto ad una distanza di 971,70 mt dalla stazione di Posillipo, che ha un’altezza complessiva di 40-42 mt, quindi, ad una distanza di 362 mt, sorge il cavalletto n° 2 – bis alto circa 4,50 mt, subito dopo il cavalletto n° 2 che a sua volta dista dal precedente 44,5 mt ed ha un’altezza di 34,50 mt, il cavalletto n° 3, che dista dal precedente 129,45 mt ed ha un’altezza di 33 mt, ed infine il cavalletto 3 bis, che dista dal precedente 162,30 mt ed ha un’altezza di 9,5 mt. Quest’ultimo cavalletto dista solo 21 metri dalla stazione di rinvio della Mostra d’Oltremare e ad oggi è l’unico dei sostegni ad essere stato demolito. I binari della metropolitana passano proprio in mezzo ai cavalletti n° 2 e n° 3 che, data la particolare posizione, reggevano anche le reti di protezione. Le braccia alzate in segno di resa avevano proprio la funzione di sostenere le reti di soccorso che erano a loro volta agganciate anche ai cavalletti bis. Di fatto la presenza delle braccia rende questi piloni molto più imponenti e monumentali rispetto al cavalletto n° 1 che, senza le sue braccia, sembra, in qualche modo, assorbito dai vicini palazzi nella parte terminale del Rione Cavalleggeri, in un punto in cui il tessuto edilizio va a diradare. I cavalletti sono tutti costruiti completamente in cemento armato e sulla parte superiore portano montate le grandi scarpe in ferro per il sostegno della fune portante
Schizzi di sintesi della stazione superiore, piante e sezione. In basso schizzi relativi a come doveva essere la copertura della sala argano caratterizzata da travetti in acciaio e da una particolare intelaiatura.
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e i rulli di guida della fune traente e di quella di segnalazione e di soccorso. Il cavalletto n° 2 è collocato proprio all’inizio del quartiere, in prossimità della stazione della metropolitana “Cavalleggeri d’Aosta”, linea 1, ed è separato dal cavalletto n° 1 dal vuoto dei palazzacci del quartiere popolare. Se non fosse per cancelli e recinzioni, il vuoto tra il piloni sarebbe percorribile e consentirebbe di avere una strada parallela a via Cavalleggeri però pedonale e dal carattere più privato. Praticare questa strada dalla stazione della metropolitana per arrivare fino all’ultimo dei cavalletti ed oltre, dà il senso dell’attraversamento del rione e la possibilità di coglierne scorci inediti. Per ragioni di natura funzionale i piloni sono cavi ed è possibile accedere, tramite scale interne, alla quota di scorrimento delle funi da cui si può ovviamente godere di visuali e panorami, molto simili a quelli che allietavano i passeggeri nei sei minuti di viaggio in funivia. I cavalletti alti 40 mt sono interessanti punti di vedetta oltre che moderni totem nel consolidato tessuto edilizio di Cavalleggeri. Vista sulla linea della funivia dalla loggia interna alla stazione motrice, Napoli 1952
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Conclusioni L’architettura delle stazioni rappresenta un momento di rottura nel generale immobilismo della produzione napoletana degli anni ’30 e ’40. Molto presto il giovane De Luca prende le distanze dall’atteggiamento comune di quegli anni nel fare architettura, nelle prime esperienze, successive alla laurea, rimaste solo su carta, per poi concretizzarsi nell’opera realizzata più prestigiosa e nota dell’Arena Flegrea e in quella meno conosciuta e per molto tempo dimenticata delle stazioni della funivia. La composizione di questi edifici è la prova di quell’atteggiamento eversivo che accomunava i giovani architetti napoletani rispetto al classicismo littorio di stampo monumentale di gran parte della coeva produzione architettonica napoletana. Ma è anche la prova di un razionalismo funzionale che se da un lato consente a De Luca di sfuggire al monumentalismo, dall’altro diventa la chiave di lettura privilegiata per la sua primissima produzione architettonica. Di fatto la precisa funzione pratica di questi edifici è anche un limite rispetto a quella che può essere una reale comprensione delle intenzioni progettuali. Spazi e misure sono dettate dalla necessità di far funzionare la macchina nel miglior modo possibile. Dunque la lettura critica dei progetti delle stazioni non può avvenire senza considerare che queste come qualsiasi altra stazione per impianti di risalita, devono avere spazi utili per carrelliere, argani, contrappesi, macchine, avan stazione con relative fosse di approdo delle vetture e così via. Vista la difficoltà reale nel reperire materiali relativi al progetto originario e l’assenza di archivi e materiali utili a ricostruire la metodologia progettuale di un giovanissimo Giulio De Luca, il progetto di restauro tenta di risalire all’idea cardine alla base dell’esistenza di queste architetture. Considerato però valore e qualità della infrastruttura, ovvero emesso un giudizio di valore, essa merita di essere restaurata per sopravvivere alla sua stessa funzione, nonostante l’impossibilità di risalire all’iniziale idea progettuale. La valutazione dell’esistente e la comprensione del senso complessivo dell’opera è già esso stesso progetto di restauro. Nel caso della stazione motrice la cattiva stratificazione non ha diritto di esistere ma ha piuttosto senso riportare alla luce le forme originarie. Questo non significa ripristino fine a se stesso ma
Come si presentava la linea della funivia, Napoli 1940
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piuttosto trasformare il monumento in qualcosa di diverso e di conseguenza ri - significare il vuoto tra un pilone della funivia e l’altro. Tutto il sistema è oggetto di un ragionamento complessivo, unitario, in cui i frammenti sono assunti come permanenze da preservare nel tessuto urbano.
Vista di uno dei piloni di sostegno delle funi portanti e rete di protezione Napoli 1940
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La linea della funivia in uno dei grafici reperiti presso gli archivi della Mostra D’Oltremare, Napoli 1952
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Note (1)
Sul Teatro Mediterraneo
(2)
Il piano urbanistico per Napoli di Luigi Piccinato viene approvato nel 1939 ma già
adottato nel 1937. (3)
dalla Relazione tecnica e descritta della stazione di rinvio della Ceretti e Tanfani.
L’avanstazione che costituisce la tettoia per il ricovero delle vetture e per l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri, è costruita al di sopra della linea ferroviaria Cumana così da costituire protezione alla linea stessa. (4)
quanto emerge da un filmato dell’Istituto Luce. “Giornale Luce C0035” del
23/05/1940 sull’Inaugurazione della Funivia Mostra – Posillipo. (5)
dalla Relazione tecnica e descritta della stazione motrice della Ceretti e Tanfani.
Le vetture scorrono dentro fosse di lunghezza tale da permettere l’arresto in caso di frenatura automatica. Tali fosse impediscono alle vetture ogni movimento laterale. Le funi portanti leviate da apposite scarpe in resina poste nella parte anteriore della stazione propriamente detta, si ancorano tramite morsetti a travi di ferro infisse nel blocco posteriore della stazione stessa, previo avvolgimento su tamburo in cemento armato rivestito in doghe in legno. (6)
Ivi.
La stazione motrice è provvista di un posto di comando per il manovratore, così situato da consentire la visione della linea. Ivi si trovano i controllori dei motori elettrici, i comandi dei freni a mano ed automatici, l’indicatore di velocità, l’indicatore di posizione delle vetture, gli apparecchi elettrici di controllo, il telefono per le comunicazioni con le vetture e con la stazione di rinvio. (7)
dal saggio sui Problemi del teatro di massa ( 1939 ) Giulio De Luca scrive a proposito del
rapporto architettura - luogo nell’edificio coevo dell’Arena Flegrea (…) l’aspetto più interessante dell’Arena consiste nel rapporto che in essa si viene ad instaurare tra il teatro e il luogo dove esso sorge. Nonostante infatti l’edificio si confronti con una pendenza del terreno degradante – anche se molto lievemente – in senso opposto rispetto a quello richiesto dal teatro greco canonico, riesce comunque a recuperarne l’intimo e necessario rapporto con il terreno attraverso la particolare sagoma che caratterizza la sua sezione. La mancanza di una situazione orografica adeguata viene infatti brillantemente risolta nel progetto mediante la conformazione dell’intera fascia circolare, immediatamente antistante l’Arena, secondo una gradinata continua che, con una profondità di circa 27 m, solleva la quota di accesso al teatro di 8,50 m rispetto al livello del viale esterno.(…)
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dalla Relazione tecnica e descritta della linea della Ceretti e Tanfani.
E’ stato scelto questo tracciato come quello che, permettendo la costruzione delle due stazioni in zone assai opportune per il collegamento fra la Mostra e il Parco della Rimembranza, riduce al minimo le difficoltà di attraversamento di linee ferroviarie e tranviarie ed evita in modo completo il sovrapassaggio di costruzioni esistenti. La planimetria mostra infatti come fra l’altro si passi in posizione intermedia fra la Caserma di Cavalleria e il Poligono di Tiro. Lungo la linea sono disposti in posizione opportuna tre cavalletti in cemento armato sui quali sono montate le scarpe di sostegno delle funi portanti e i rulli di guida della fune traente e di quella di segnalazione di soccorso.
Grafici dei piloni e della linea della funivi reperiti presso l’archivio della Mostra d’Oltremare, Napoli 1940
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Capitolo Terzo Lo stato di fatto
La funivia viene dismessa agli inizi degli anni ’60 e da allora in poi, prima il conseguente stato di abbandono poi il cambio di destinazione d’uso, ne hanno determinato le manomissioni e i danni che sono ad oggi sotto gli occhi di tutti. Solo il vincolo ai sensi della 1089/39 ha impedito che la più malconcia, la stazione motrice, venisse demolita. L’infrastruttura smetteva di funzionare perché nell’arco di poco più di un decennio le condizioni al contorno cambiavano radicalmente e il contesto urbano dentro cui era stata pensata e realizzata subiva cambiamenti tali per cui non era pensabile continuare a tenere l’impianto in funzione. Dal ’52 in poi un intero quartiere cresceva attorno ai piloni, cambiando completamente le relazioni di appartenenza delle parti del sistema ai relativi ambiti urbani. Dunque, a dare un senso nuovo alla funivia sono prima di tutto le manomissioni subite dall’ambiente circostante che, secondo questa tesi, hanno finito per dare alle sue architetture un senso diverso che ci consente di pensare ad un restauro e riuso che vada oltre il ripristino in funzione della macchina. Indagando sull’evoluzione del contesto dell’architettura in questione, posto che la comprensione del luogo è già un evento architettonico, si comprende come dall’evoluzione del tessuto urbano, il progetto di restauro possa attingere dei valori aggiunti. Per esempio, nel caso della stazione motrice, non si tratta soltanto ripristinare la spazialità originaria valorizzandone i principi compositivi, ma di ri - considerare il rapporto col contesto, col suolo della collina di Posillipo e il marciapiede della via Manzoni. In questo senso si comprende perché, nel corso del ragionamento portato avanti da questa tesi, seppur l’eventuale cambio di funzione rappresenti un passaggio importante, passa in secondo piano rispetto alla necessità di re-inventare e ri – contestualizzare la funivia e le sue tracce nel tessuto urbano dell’area flegrea.
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Vista di uno dei piloni di sostegno dalla cabina della funivia, con in primo piano la rete di protezione della Direttissima, sullo sfondo la stazione di rinvio e la pensilina che la collegava all’ingresso laterale alla Mostra d’ Oltremare Napoli 1940
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Le modificazioni del contesto dal 1940 al 1961. Il conflitto mondiale investì la tranquilla e ancora ridente area di Bagnoli che con la presenza dell’ ILVA, le grandi strade di comunicazione con Roma, la struttura espositiva della Mostra e i centri militari, era ricca di possibili obiettivi per le incursioni degli alleati. Tutta la zona e la stessa Mostra d’Oltremare fu oggetto di ripetuti e violenti attacchi. Le maggiori distruzioni si ebbero a seguito del violentissimo bombardamento del 24 agosto 1943, quando crollarono numerosi edifici a via Enea, via Eurialo e via Messina. Il giorno successivo furono centrati i tunnel della Cumana, viale Campi Flegrei ed il nuovo Rione di Agnano. Un mese dopo l’incursione di agosto la città fu liberata. Negli anni del conflitto la popolazione di Bagnoli era rimasta sostanzialmente invariata: il censimento del 1944 fa registrare infatti 14.991 abitanti contro i 13.779 del 1936. Il dato tuttavia non è significativo in quanto strettamente legato agli eventi bellici e infatti in tutte le zone periferiche della città si ha un arresto dello sviluppo. Invece nei primi anni dopo la fine della guerra, la crescita della popolazione nell’area flegrea è vertiginosa e di conseguenza, l’intera zona si trova a dover riprendere il processo di urbanizzazione, in maniera spesso disordinata e con una rinnovata richiesta di abitazioni soprattutto popolari. Quest’area in quegli anni, a parte l’ILVA e le attrezzature di Agnano e della Mostra d’Oltremare, si presenta a macchia di leopardo, con una serie di insediamenti edilizi (prevalentemente popolari) realizzati tra le due guerre, intervallati da grande distese di terreno agricolo e vaste aree militari, in gran parte inutilizzate. Quello degli spazi militari è un ulteriore ostacolo alla urbanizzazione razionale di quest’area, per secoli praticamente deserta e nel volgere di pochi decenni destinata ad assumere una piena dimensione urbana, senza quasi passare per la fase intermedia della periferia tradizionale. A dieci anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, questa parte della conca flegrea è caratterizzata dal disordine estremo della disposizione dei singoli edifici e dei complessi edilizi man mano realizzati. I complessi più grossi di abitazioni economiche e popolari, realizzati in questo ultimo decennio, risentono dei provvedimenti legislativi adottati in ogni città a favo-
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re della consistenza edilizia. Nella zona di Fuorigrotta, i complessi più vasti sono quelli delle case ultrapopolari di via Campegna, quello di via Cavalleggeri d’Aosta, detto “Duca d’Aosta” ( ampliamento di un nucleo di abitazioni popolari preesistente ), quello del viale Giulio Cesare, e quello del viale Augusto. Il rione Cavalleggeri si caratterizza per l’edificazione a corpi lineari, secondo l’asse elio - termico con una serie di edifici paralleli fra loro. Dunque le cabine della funivia, che passavano sospese su una parte della conca flegrea che nel ’40 era pressoché deserta e destinata per intero a colture agricole, si trovano a viaggiare, all’inizio degli anni ’60, su un nuovo quartiere popolare strutturatosi in soli 10 anni ma denso e compatto attorno ai cavalletti di ancoraggio delle funi portanti. Ricordo a questo proposito ancora le parole dello stesso Giulio De Luca: “La progettazione di un edificio viene dunque considerata completamente in rapporto al problema dell’ambiente, l’esperienza diretta della progettazione non fa che porre in termini precisi di sintesi la nuova unità ambientale che viene a costituirsi e rende possibile l’apertura di un nuovo discorso sul tema del rapporto tra edificio ed ambiente, esaminato questa volta non “a posteriori”. (1) Per quanto sia utile sapere che è proprio all’inizio degli anni ’60 la funivia viene dismessa per l’impossibilità di tenere l’impianto in condizioni di sicurezza vista la pericolosa vicinanza ai palazzi popolari di Cavalleggeri, risulta significativo sottolineare come fosse cambiato in 10 anni il rapporto tra le architetture delle stazioni e dei cavalletti con l’ambiente circostante.
Vista sulla piana flegrea dalla cabina in movimento. Fotogramma dal filmato dell’Istituto Luce, Napoli 1940
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In questo senso, è utile superare la questione strettamente funzionalista, visto che le stazioni non avrebbero più assolto alla funzione per cui erano state formate e misurate, per affrontare il modo in cui le relazioni a margine con il nuovo contesto urbano diano a queste architetture un carattere diverso. La stazione motrice è l’unica parte del sistema funivia che, nel tempo vede invariato il suo rapporto con l’ambiente circostante, per quello che riguarda il suo essere parte integrante della collina di Posillipo oltre che pausa – evento lungo la via Manzoni. Sicuramente non è più lo stesso il panorama da Posillipo Alto dopo il boom edilizio degli anni 60 che cambia completamente l’immagine della piana flegrea e dei quartieri di Bagnoli e Fuorigrotta. Il fenomeno di urbanizzazione riguarda invece da vicino i piloni di Cavalleggeri e la stazione di rinvio su viale Kennedy. Essa infatti, che nel 1940 si relazionava unicamente con la città espositiva della Mostra d’Oltremare e i binari della Cumana, si poneva come volume puro, isolato e non inglobato nella cortina edilizia, adesso è parte integrante dell’edilizia a blocco tra via Diocleziano e la Cumana, letteralmente fagocitata dalle alte palizzate e nascosta tra le alberature del viale Kennedy. Destino analogo è toccato al pilone e cavalletto al di là dei binari della direttissima e agli altri due piloni al di qua, completamente assorbiti nell’edilizia disordinata del Rione Cavalleggeri. Il rapporto tra i cavalletti e i palazzi alti 40 metri è inedito, assolutamente non previsto nei piani di progetto di Giulio De Luca che certo non si aspettava che l’infrastruttura venisse assorbita in questo modo dal tessuto urbano in questo modo. Dunque il diverso rapporto con il costruito diventa nuovo materiale di progetto nello studio su restauro e riconversione dell’infrastruttura e delle sue parti. L’ambiente circostante cambia assieme alla funzione di questi oggetti; dunque diventa indispensabile leggerli e re - interpretarli rispetto all’ambito urbano a cui ad oggi ognuno di essi appartiene.
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La stazione di rinvio come appare oggi. La stazione Mostra, sede attualmente di un’attività commerciale, si presenta per quello che riguarda l’involucro esterno in condizioni di avanzato degrado materico delle superfici in cemento, con molte zone soggette a fenomeni di dilavamento e distacco di ampie superfici di intonaco. I danni sostanziali riguardano le finiture – tanto che in più parti sono visibili perfettamente i ferri di armature dei solai – mentre tutti gli infissi sono stati sostituiti da chiusure in P.V.C. o comuni cancellate in ferro. La facciata su viale Kennedy oltre ai fenomeni di dilavamento e distacchi di intonaco, mostra l’assenza dell’affresco che adornava la superficie quadrata leggermente concava - come si vede nel filmato dell’Istituto Luce del 1940 girato il giorno dell’ inaugurazione della funivia - posizionata subito sopra la loggia vetrata su cui oggi campeggia la scritta centro giardinaggio. Dietro l’insegna si intravedono le bucature del secondo livello poste in asse con le aperture della loggia di cui in origine avevano esattamente la stessa altezza. Le facciata laterali mostrano diffuso degrado materico nella superficie esterna di intonaco, le finestre quadrate dell’ avan - stazione mostrano la ormai totale assenza di infissi. I fronti sono chiusi da un lato, quello verso la Mostra d’ Oltremare, dalla presenza delle serre di pertinenza dell’ esercizio commerciale e della pompa di benzina, dall’altro lato da cancellate poste a tutela dello spazio laterale la stazione oggi
Vista sulla piana flegrea dalla stazione superiore, Napoli 2007
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destinato a deposito. I cancelli chiudono anche l’ingresso ad un centro estetico realizzato proprio a ridosso della stazione, quasi incastrato tra i piloni in cemento su cui poggia il volume dell’ avan - stazione. Se sui fronti laterali la stazione è soffocata dalla presenza di costruzioni minori, ancora più evidente è come palazzacci e capannoni industriali pur con altezze modeste abbiano riempito il vuoto che fronteggia l’avan - stazione, laddove comincia la “traccia” della funivia. La distribuzione degli spazi interni della stazione, nonostante il cambio di destinazione d’uso e il lungo periodo di inattività, si presenta piuttosto fedele all’impianto planimetrico originario, mantenendo la sua dissimetria con la scala di collegamento principale che collegava la biglietteria alla sala d’attesa addossata alla parete destra della funivia mentre in posizione centrale si trovano ancora scala - vano ascensore tra le due carrelliere di ancoraggio delle funi portanti a cui sono addossati i rispettivi vani di alloggio dei contrappesi. Sulla terrazza di approdo delle vetture è ancora presente, in avanzato stato di
Lo stato di fatto della stazione inferiore Napoli 2007
degrado, una delle cabine da venti posti della funivia.
Le manomissioni subite dalla stazione di Via Manzoni L’immobile è ubicato nel quartiere Posillipo, è costituito da un fabbricato e relativo suolo di pertinenza, con accesso da via Manzoni, della consistenza di mq. 1800. (2) L’edificio della stazione ha una consistenza di circa mq. 789, si articola su tre livelli (S1 - S2 - S3). Il livello S1 individuato come piano terra, presenta la quota di calpestio coin-
Stazione inferiore pianta del piano terra reperita presso gli archivi della Mostra D’Oltremare, Napoli 1952
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Fotogrammi della stazione di rinvio dal filmato dell’Istituto Luce. Napoli 1940
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cidente con la quota di marciapiede di via Manzoni. Al di sotto di tale livello, conformandosi alle pendenze degradanti della collina di Posillipo verso la piana di Bagnoli, sono presenti altri due livelli con quote di calpestio sottoposte le une alle altre. Al livello S2 sono presenti l’alloggio del custode e i locali accessori, mentre al livello S3 vi è un piccolo deposito. L’immobile, riportato al N.C.E.U. alla Sez. CHI foglio 33 particella 225, dal punto di vista urbanistico ricade in area nE, sotto - zona nEb (3) della Variante Occidentale al PRG. L’immobile è altresì sottoposto a vincolo storico – artistico ai sensi della Legge n. 1089/39 e successive modificazioni come da Decreto della Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali della Campania n. 8476 del 26/11/2003. L’alloggio del custode sito al livello S2, composto da due camere e servizi, è attualmente occupato da un nucleo familiare contro il quale sono in corso procedimenti giudiziari tesi al rilascio della piccola porzione di fabbricato. A seguito del lungo periodo di quasi completo abbandono l’immobile
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si
presenta in condizione di estremo degrado. A ciò ha contribuito l’incendio sviluppatosi durante il periodo di utilizzo della stazione per attività di ristorazione, determinandone di fatto la cessazione. L’incendio ha distrutto quasi per intero le sovrastrutture e compromesso la stabilità del solaio di copertura del fabbricato. Le strutture portanti sono state realizzate, per la quasi totalità, in calcestruzzo armato. Fa eccezione la copertura realizzata invece con travi in ferro a traliccio e soprastante orditura. Tale componente è quello che risulta più danneggiato dall’incendio di cui innanzi. Pur presentando consistenti danni, l’intera struttura portante della stazione motrice è, nel complesso, recuperabile con un insieme di opere di manutenzione di pilastri, travi e travetti grazie alle usuali tecniche di integrazione di armatura metallica e ripristino copri - ferro e/o incremento della sezione resistente. Completamente da sostituire o da ricostruire è il solaio di copertura. Le strutture murarie, tompagnature e tramezzature, sono realizzate con differenti modalità (in murature di tufo e laterizio). Completamente deteriorati intonaci, pavimentazioni ed impianti. Per il recupero funzionale dell’immobile è necessario effettuare un completo intervento di manutenzione sulle
Lo stato di fatto
strutture murarie nonché il rifacimento per intero degli impianti. Allo stato attuale è possibile accedere alla quota sotto - stante il piano di Via Manzoni solo percorrendo quello che resta della scala longitudinale sul lato sinistro della stazione. L’altro corpo scala simmetrico è stato murato e al momento impraticabile perché occluso da solaio realizzato nel periodo in cui questi spazi ospitavano l’attività di ristorazione. Va senza dire che la realizzazione di questa partizione orizzontale ha completamente falsato la spazialità originaria della stazione motrice. Sorte analoga è toccata alle fosse di approdo delle vetture che ad oggi sono state chiuse e inglobate nel solaio del livello S2. L’accesso da via Manzoni è impedito da pannelli e cancellate che sbarrano il passaggio e occludono la vista del fronte principale. Parte della pannellatura si estende anche sul fronte laterale a valle. Quando l’impianto della funivia era ancora in funzione e prima che la stazione venisse manomessa per i successivi cambi di funzione, l’edificio comprendeva, oltre ai locali destinati a sede d’aspetto e servizi vari per il pubblico, l’avan - stazione e la stazione propriamente detta. Restaurare l’avan - stazione significa ripristinare la panoramicità di questo spazio, ristabilendo la consistenza del vuoto centrale e, laddove approdavano le cabine, riproporre il vuoto delle fosse che possono diventare un punto di vista privilegiato da cui si può godere del panorama sulla piana flegrea. In questo modo viene ri – significato il segno delle fosse di approdo delle vetture. Le consistenti manomissioni subite dall’edificio negli ultimi decenni hanno compromesso prima di tutto il principio della simmetria dell’impianto e di conseguenza lo hanno privato di quella percorribilità degli spazi
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che è elemento fondante in questo progetto di De Luca. E’ stata chiusa una delle scale longitudinali che conducevano dalla quota di via Manzoni all’avan – stazione e con essa sono state tompagnate o eliminate molte delle bucature che ne caratterizzavano i prospetti laterali. L’intervento di restauro ha lo scopo primario di recuperare la simmetria perduta eliminando il solaio realizzato sull’ aula – argano motore e restaurando le scale longitudinali chiuse tra due setti caratterizzati da bucature corrispondenti. Quando la stazione funzionava a pieno regime, i passeggeri, percorse le due scale simmetriche longitudinali, raggiungevano direttamente l’avan – stazione da via Manzoni. Uno degli effetti delle manomissioni è proprio l’aver reso la stazione non più percorribile e attraversabile per come era stata pensata nella sua versione originaria. L’arrivo con affaccio sulla piana flegrea o la partenza dalla via Manzoni non è più fluido e diretto come l’impianto simmetrico suggeriva. La stazione motrice era anche provvista di un posto di comando per il manovratore, così situato da consentire la visione della linea. Ad oggi ne è rimasta traccia in quello che rimane di una leggera passerella in acciaio che portava dalla sala argano alla postazione del macchinista. Dato
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lo stato attuale di degrado, gli spazi destinati alla sala argano sono in parte murati, non raggiungibili e coperti di macerie. La causa prima della dismissione della stazione e dell’intera infrastruttura è la perdita della sua funzione specifica ed è da questa che gli eventi successivi del cambio d’uso e dell’incendio hanno tratto maggiore efficacia distruttiva. Gli interventi di restauro e le scelte progettuali assicurano la vita all’archeologia ritrovata recuperando e valorizzando i principi della panoramicità e attraversabilità. In questo senso, pensando ai visitatori che ne percorrono gli spazi e si meravigliano di fronte a panorami mozzafiato, si è pensato di destinarla a galleria espositiva. Ma a questo punto, in questa fase di analisi e restauro, la scelta della funzione diventa solo un fatto accessorio, non determinante nel processo di ri - significazione dell’impianto e delle sue parti. La re – invenzione degli spazi della stazione motrice avviene tenendo sempre a mente il nuovo rapporto con la collina e la traccia della linea ancora riconoscibile tra i palazzi, affacciandosi dall’avan –stazione. Il vuoto che prima riguardava una superficie ben più ampia, oggi è solo una linea dentro Cavalleggeri. Esso è un nuovo materiale di progetto prodotto dal tempo e dallo spazio che ha cambiato il volto e l’architettura di questi luoghi e dà ragione ad un segno forte nel costruito, progettato tenendo conto dell’attraversabilità e panoramicità oltre che della misura prodotta dalla funzione.
Note (1)
Scrive Giulio De Luca relativamente ai contenuti del suo corso di Elementi di
Composizione Architettonica nella pubblicazione di Franco Jossa a trent’anni dalla fondazione della Facoltà. (2)
estratto dal Bando di Gara informale di vendita con incanto dell’ immobile di pro-
prietà’ della Mostra d’Oltremare s.p.a., Napoli 7.7.2006 (3)
La zona nE tutela le attività culturali ed il paesaggio agrario e nelle diverse sottozone
(nEb) è consentito l’intervento diretto per la manutenzione ed il restauro di edifici già esistenti, destinati ad abitazioni o ad attività compatibili (agriturismo, artigianato, produzione e commercializzazione di prodotti agricoli). (4)
L’immobile rientra nel perimetro del centro edificato, individuato con delibera con-
Lo stato di fatto
siliare del 04.07.1972 ai sensi dell’art.18 della legge 865/71. Lo stesso rientra nel perimetro delle zone vincolate dal decreto ministeriale 24.01.1957 emesso ai sensi della ex legge 29.06.1939 n. 1497 “protezione delle bellezze naturali”, tuttora valido a tutti gli effetti del decreto legislativo 29.10.1999, n. 490, “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, a norma dell’art. 1 della legge 8 ottobre 1997. n. 352, titolo II, ai sensi dell’art. 160, rientra in quello delle zone vincolate dal decreto ministeriale 28.03.1985 emesso ai sensi della stessa legge in conformità dell’art. 2 del decreto ministeriale 21.09.1984 (decreto Galasso) e richiamate all’art. 1 quinquies della legge ministeriale 14.12.1995 in particolare è sottoposta al regime della zona P.I. protezione integrale, rientra nella perimetrazione definitiva del parco regionale dei Campi Flegrei, approvato con delibera della giunta Regione Campania n. 8648 del 12.11.1997, ed in particolare è sottoposto al regime della zona B – area di riserva generale orientata e di protezione. Il suolo su cui sorge l’immobile entrò nella disponibilità dell’Ente Mostra in periodo pre bellico la fine della realizzazione di una funivia sulla scorta della Convenzione n. 178 del 18/01/1940 stipulata con il Ministero delle Comunicazioni – Ispettorato generale ferrovie, tranvie e automobili. Tale convenzione prevedeva la concessione di costruzione ed esercizio di una funivia di collegamento tra la zona dei Campi Flegrei e quella di Posillipo Alto.
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Capitolo Quarto Il progetto di restauro
Rimettere in funzione una parte della vecchia funivia.
Sarà anche possibile ripristinare la funivia da via Boccaccio a viale Kennedy, che, quando funzionava, ha sviluppato un ottimo servizio di collegamento, chiudendo un circuito turistico di grande interesse. Sono parole dello stesso Giulio De Luca, pronunciate e scritte nel 1987, quando la funivia era fuori uso da decenni. Il professore De Luca invitava ad intervenire con piani di recupero sull’orrendo Rione Cavalleggeri, sulla fascia edilizia di via Nuova Bagnoli..., concetto ribadito in un’altra intervista apparsa su Paese Sera il primo Luglio 1987. L’eccezionalità del fatto urbano e la memoria o idea che di esso ne ha la collettività spinge questa tesi ad indagare la possibilità di rimettere in funzione la macchina. Non è quindi il funzionalismo ingenuo a spingermi a riflettere sul ripristino in funzione poiché il senso di questo tipo di intervento non nega il valore della forma ma anzi ne vuole restaurare la singolarità e il senso autonomo dell’architettura. E’ stata quindi considerata fino in fondo la possibilità di recuperare questa infrastruttura viste le attuali condizioni dei quartieri di Bagnoli, la necessità ancora attualissima di collegarli a Posillipo e al Vomero e l’attuale normativa
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per gli impianti bi - fune. Non credo esistano problemi sostanziali che possano fare da ostacolo a questa possibilità - commenta Antonella Cammardella, presidente della circoscrizione Bagnoli intervistata per un articolo scritto da Gerardo Mazziotti sul “Mattino” - nè dal punto di vista degli insediamenti abitativi, nè sotto il profilo dell’impatto ambientale. La funivia, secondo il mio parere, non aggiungerebbe nulla di rivoluzionario alla mobilità cittadina. Potrebbe costituire, però, un elemento catalizzatore non indifferente per il turismo. Ad oggi il ripristino in funzione dell’ infrastruttura significherebbe andare a servire un numero di utenza molto basso, privilegiato, che dal viale Kennedy potrebbe spostarsi direttamente a Posillipo viaggiando sulle sole due cabine da venti posti per cui è dimensionata la funivia. Non sarebbe mai un mezzo di trasporto con una grossa ricaduta sul sistema della viabilità ma piuttosto un’attrattiva turistica da inserire nel piano di valorizzazione del sistema urbano Mostra d’Oltremare. Così come nel 1940 la realizzazione di questo nuovo mezzo di trasporto, oltre a rientrare nelle strategie simboliche del Regime fascista, aveva lo scopo primario di realizzare uno sbocco rapido verso la parte occidentale della città, Posillipo e quindi il Vomero, anche oggi nella Variante per la zona occidentale al PRG viene ribadita la necessità di questo collegamento tramite ascensori, funivie e funicolari. Recuperare e far tornare viva la funivia, aggiungerebbe un tassello importante in un piano più complessivo di mobilità verticale di cui fanno la proposta per una nuova funicolare tra via Manzoni e via Leopardi, una funicolare o funivia tra Capo Posillipo e Bagnoli; una funivia o un’ascensore inclinato tra il ponte di Posillipo e Marechiaro. In questo caso specifico, l’ideale sarebbe rimettere in funzione l’impianto per intero dalla stazione motrice a quella di rinvio. Ma ad oggi, le condizioni al contorno sono tali che è impensabile far viaggiare le cabine della funivia su palazzi alti 40 metri e paurosamente vicini ai cavalletti che sostengono le funi portanti. La quasi totale assenza delle condizioni minime di sicurezza ha spinto questa tesi a pensare di rimettere in funzione la sola stazione motrice collegando la collina di Posillipo alla via Campegna che è anche il limite fisico del quartiere Cavalleggeri d’Aosta. Praticare questa ipotesi mette comunque in evidenza il rischio di rompere la
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continuità del fatto urbano che verrebbe quindi affrontato per parti lasciando aperta la questione su come affrontare secondo il principio della continuità e attraversabilità la stazione inferiore e il vuoto tra i piloni di Cavalleggeri. Secondo l’attuale normativa in fatto di impianti bi - fune, le luci tra due sostegni non dovrebbero superare il centinaio di metri sia per limitare le inflessioni del cavo sia per adattare il percorso alla tipologia dei luoghi. Nel caso specifico il percorso Mostra – Posillipo è rettilineo ma le distanze tra i cavalletti superano abbondantemente i cento metri anzi il primo dista dalla stazione motrice 971,70 metri. Quindi nell’ipotesi di mettere in collegamento aereo la collina non più con la stazione Cederna - così come previsto nel piano esecutivo alla Variante al PRG per l’area occidentale- ma con la stazione successiva, stazione Campegna, posizionata lungo la linea ideale della vecchia funivia, sarebbe necessario costruire dei nuovi appoggi sotto la collina e ai margini del quartiere Cavalleggeri. In questo modo però, almeno una parte della linea aerea tornerebbe in funzione, col beneficio di far tornare alla funzione originaria la stazione motrice di Posillipo, connettendosi anche alla futura stazione Campegna lungo la costruenda linea metropolitana 8. Campegna, nell’idea di ripristino funzionale, diviene non solo la stazione del-
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lo sport ma è posizionata in un punto strategico del quartiere Cavalleggeri: i viaggiatori si trovano di fronte ai piloni della vecchia funivia che dall’alto svettano imponenti sul quartiere e a terra disegnano il suolo di un nuovo percorso tra i palazzi. In questo modo la futura stazione delle linea metropolitana ( Campegna ) potrebbe essere anche stazione di rinvio della nuova funivia che potrebbe collegare la piana di Bagnoli alla collina di Posillipo, sfruttando la restaurata stazione motrice che rinnovata nella struttura, diviene nuovo catalizzatore del flusso di viaggiatori. Il baricentro della collina si sposta dal parco del Virgiliano verso l’architettura ritrovata, che ri - acquista la funzione per cui era stata realizzata, torna ad avere un senso e un valore forte, non solo nella memoria ma nella complessa rete di percorsi della nuova Bagnoli. Per quanto affascinante sia praticare questa ipotesi il problema principale contro cui ci si è scontrati è l’ adeguamento strutturale a cui sarebbe sottoposto l’edificio della funivia, visto che in quasi 70 anni gli spazi che prima erano sufficienti per il posizionamento delle macchine motrici, risultano ad oggi assolutamente insufficienti. Dopo aver valutato la consulenza tecnica, gentilmente concessaci dagli inge-
Il ri - disegno dell’intera linea della funivia nell’ipotesi di rimettere in funzione la stazione motrice realizzando un nuovo impianto di collegamento aereo tra la stazione di progetto della metro Linea 8 Campegna e la collina di Posillipo, interpretando in questo modo le indicazione della Variante al PRG dell’area occidentale di Napoli. La stazione motrice viene ripristinata nella sua funzione originaria.
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Estratto alla Variante al PRG dell’area occidentale con in evidenza in rosso la linea della funivia. Viene evidenziata anche la nuova linea 8 della metropolitana, con la stazione di Campegna posizionata in prossimità della traccia del collegamento aereo per Posillipo.
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gneri specializzati della Ceretti e Tanfani, è stato appurato che le modifiche da apportare all’impianto originario della stazione della funivia sarebbero state tanto invasive e consistenti da risultare dannose quanto le manomissioni apportate all’immobile negli anni dovuti al cambio d’uso.
Gli obiettivi del restauro e la scoperta di valori aggiunti. Gli interventi di restauro della stazione motrice e dei piloni nel Rione Cavalleggeri si pongono quali esempi scelti tra i temi progettuali individuati lungo il sistema territoriale complesso della linea della funivia. L’ipotesi guida, a prescindere dalle soluzioni specifiche a cui approda questa tesi per risolvere le questioni del cambio di destinazione d’uso della stazione e di ri – significazione dei cavalletti, è che ha senso recuperare il segno della funivia e delle sue parti nel nuovo significato che esse assumono rispetto all’ambito urbano a cui ognuna di esse appartiene. Dunque, una volta individuate le questioni compositive e gli ambiti di intervento, così come è stato fatto per gli esempi di seguito riportati, si potrebbe entrare nello specifico del tema della riconversione della stazione di rinvio su Viale Kennedy, della ri - significazione del pilone di via Diocleziano, della progettazione della stazione metropolitana di Campegna e del nuovo sistema pensilina ascensore collinare che collega la piana alla collina di Posillipo. Ognuno di questi temi potrebbe diventare oggetto di un concorso di idee fermo restando il filo conduttore della funivia dismessa che lega tutte queste parti come tracce di un’infrastruttura ormai scomparsa. Le questioni generali, sulla base di un discorso più urbano relativo al ri -posizionamento e la ri – significazione del sistema, trovano riscontro pratico nei due interventi progettuali che in comune hanno i seguenti obiettivi: – ruolo di stimolo per aree degradate divenendo punti di riferimento nuovi e concreti nei rispettivi ambiti urbani a cui appartengono. La stazione diventa infrastruttura culturale e punto panoramico sulla via Manzoni e in continuità con il Parco del Virgiliano. Il nastro costruito nel vuoto tra i cavalletti diventa attrezzatura di quartiere, a servizio di una parte della città da riqualificare e valorizzare.
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– restaurare i principi dell’attraversabilità e panoramicità che in varia misura caratterizzavano l’intera infrastruttura quando ancora funzionava. Ripristinare la percorribilità degli spazi della stazione e del vuoto tra i cavalletti del rione popolare a favore della componete naturale che caratterizza fortemente questa parte della zone flegrea. – ri - disegnare i suoli che ruotano attorno alle architetture ritrovate perché nel disegno urbano dell’area trova forza il singolo intervento di restauro o di costruzione ex - novo. Di conseguenza ogni progetto per le parti del sistema, si lega nella funzione e nella forma all’ambito urbano su cui l’oggetto architettonico insiste seppur faccia capo ad un discorso complessivo ed unitario che riguarda l’intera tratteggiata progettuale della funivia. Si vuole dimostrare che a prescindere dalla funzione specifica è possibile tenere insieme queste parti all’interno di un sistema territoriale più vasto in cui i punti fanno capo ad un filo ideale che nel vuoto di Cavalleggeri diventa un nuovo pieno.
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Il senso nuovo dell’infrastruttura e del percorso aereo. Nel progetto del percorso terrestre, sviluppato per punti e parti di un sistema territoriale, la stazione di rinvio diventa una nuova porta alla Mostra d’Oltremare, i piloni segnano l’estremità del progetto del vuoto urbano di Cavalleggeri e infine la stazione motrice diventa punto di arrivo del percorso che dai piedi della collina, grazie ad un nuovo ascensore collinare collegato all’architettura restaurata e ri - significata su via Manzoni. L’idea del percorso terrestre comincia restaurando quindi il vecchio ingresso alla Mostra d’Oltremare. Il vuoto antistante l’edificio di De Luca, sul viale Kennedy, viene valorizzato e progettato nel senso di un ingresso alternativo agli spazi espositivi. Si realizza così un elemento nuovo sulla traccia della pensilina originaria, da connettere materialmente e volumetricamente all’ingresso laterale del Teatro Mediterraneo. In questo modo entrare nella stazione, e uscirne, avviene in continuità con l’esterno come quando si percorrono gli spazi interni per
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raggiungere la terrazza di approdo delle cabine che, ad oggi, è il punto in cui meglio si coglie il vuoto tra i piloni e subito dietro, in lontananza, la stazione superiore immersa nel verde della collina di Posillipo. Il secondo cavalletto e gli altri due piloni sono parte dell’ambito Cavalleggeri, e si stagliano imponenti come moderni totem, tra gli edifici popolari. Il progetto del vuoto urbano attorno ai piloni riguarda un suolo più ampio e si irraggia da questi fulcri come pretesto per riqualificare intere aree del quartiere Cavalleggeri. Posti a cardine di tutto il sistema i principi compositivi dell’attraversamento e della panoramicità, l’idea di progetto è quella di creare un segno forte nel quartiere Cavalleggeri che si misura sulla distanza tra i due cavalletti di sostegno delle funi e diventa una passeggiata tra gli edifici alla quota +5,00 e parcheggio – area commerciale per i residenti alla quota 0,00. Si tratta di un percorso alternativo, un nastro costruito, in cui è forte il legame visivo – percettivo con i piloni e la collina. Questo elemento, fortemente riconoscibile, si interrompe in corrispondenza del boulevard - previsto dalla Variante al PRG - orientato secondo il quadrato
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del Poligono di Tiro, e si raccorda alla rete urbana della Linea Metropolitana 8 in corrispondenza della nuova Stazione Campegna. I viaggiatori, che ri - emergono in superficie dalla linea metropolitana, si trovano in un punto della piana estremamente suggestivo: da un lato i piloni della vecchia funivia che svettano nel vuoto tra i palazzi di Cavalleggeri e dall’altro la meravigliosa collina di Posillipo. Nell’idea complessiva di restauro del percorso terrestre, da questo punto raggiungere la Stazione superiore sarà possibile percorrendo un sorta di pensilina in acciaio e vetro che si infila nella collina per diventare ascensore collinare con fermate alle quote +80,00 Mt e +110,00 Mt. Dalla prima fermata del nuovo ascensore, alla quota +80,00 Mt, è possibile percorrere il crinale della collina e raggiungere la nuova stazione della funivia prevista dalla Variante al PRG, che si collega alla stazione Cederna da realizzare vicino alla grande Acciaieria nella piana dell’ex – Italsider di Bagnoli. Dalla seconda fermata, invece, si raggiunge, tramite un sistema di rampe e terrazzamenti, l’ultimo livello della restaurata stazione motrice di Giulio De Luca. Ancora una volta l’attraversamento e la panoramicità sono elementi cardine anche nel progetto di recupero degli spazi di pertinenza della stazione superiore che diventano percorso inedito lungo il crinale della collina. In questo modo la stazione si apre, da un lato, alla via Manzoni, da cui si accede direttamente costeggiando il panorama sulla piana flegrea, dall’altro alla collina di Posillipo che si percorre liberamente fino a raggiungere gli spazi della ritrovata sala argano.
Operazione di anamnesi per la stazione motrice Vista l’impossibilità di reperire grafici relativi al progetto originario di Giulio De Luca che provino in maniera certa tutte le modifiche subite dalla stazione di Posillipo fino agli anni della dismissione e data la difficoltà di realizzare in loco un rilievo dettagliato dello stato di fatto, si indaga la possibilità di condurre il restauro senza redigere un vero e proprio progetto. Come già avvenuto in altri ben più famosi esempi di restauro del moderno, l’idea sarebbe quella di affidare la riuscita dei lavori esclusivamente alla capacità di scoprire, sotto le parti aggiunte o murate, tracce o frammenti sopravvissuti
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della materia originale. In questo senso l’operazione cui viene sottoposto l’edificio della stazione motrice è di anamnesi. Si ipotizza dunque, visto lo stato attuale dell’edificio e l’assoluta assenza di materiale che possa consentire un’indagine storica completa, di realizzare in fase di cantiere delle vere e proprie operazioni di scavo alla stregua di un restauro archeologico. Il rinvenimento di parti originali renderà dunque attendibili le operazioni di ripristino e ricostruzione che non sarebbero altrimenti possibili non esistendo né disegni del progetto originario o di dettaglio, che comprovino forma e dimensione dell’edificio, ancora meno disegni esecutivi o schizzi originali del progettista. Le operazioni di scavo non prescindono dalla ricostruzione di come doveva essere l’impianto originario della stazione motrice, visto quanto riportato nei disegni tecnici e elaborati reperiti presso gli archivi della Mostra d’Oltremare e della Ceretti e Tanfani. In questo senso, pur non disponendo di schizzi autografi di Giulio De Luca, trattandosi di un edificio costruito attorno alla sua specifica funzione e visto il prezioso contributo di foto e filmati storici, si è potuto risalire con relativa certezza a come doveva apparire la stazione in origine. Dalle testimonianze dell’epoca si conclude che la stazione nel due edizioni del 1940 e del 1952 non subisce modifiche alla struttura esterna ma solo interventi volti a rimettere in moto l’argano motore ristabilendo il normale esercizio della funivia dopo l’interruzione conseguente ai bombardamenti che interessarono l’area flegrea solo un anno dopo aver messo in collegamento la piana con la collina. Uno volta stabilito quali stratificazioni vanno rimosse ovvero tutte le aggiunte e manomissioni realizzate all’unico scopo di incrementare la superficie utile della stazione, si interviene per riportare alla luce la forma originaria e le spazialità ad oggi del tutto perdute. Il ripristino filologico della stazione superiore richiede delle soluzioni costruttive analoghe alle originali e materiali affini, ma di produzione corrente. Tale prassi muove da considerazioni secondo cui essendo l’edificio moderno un prodotto industriale, possa essere modificato nelle sue parti e nella sua materia senza che ciò infici realmente la sua autenticità. Diventa però velleitario pensare ad una ricostruzione filologica in tutte le sue parti mentre più fattibile è pensare di attuare nel restauro della stazione mo-
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trice solo quelle operazioni in cui si è potuto interpretare con assoluta certezza e fedeltà gli elaborati tecnici relativi all’impianto. Ma un’altra questione emerge a questo punto: tutti gli interventi di ripristino, delle bucature o degli infissi, sono contestabili dato che nessuna prova materica ne giustifica ridimensionamento e riposizionamento. Donde sembra opportuno domandarsi se, per certi aspetti, queste operazioni potrebbero valicare quel tanto discusso limite di intervento: dove finisce il restauro e dove comincia il progetto del nuovo? In tal senso corre in aiuto del restauratore l’innesto di nuove funzioni ben calibrate e compatibili che in questo caso specifico giustificano e danno forza all’intervento di ripristino e progetto del nuovo. Più ancora l’intervento ha senso nel suo essere parte di un ragionamento più complessivo in cui l’architettura è saldamente legata alla collina e ad essa si lega una volta liberata da aggiunte e manomissioni.
Recupero e riuso della stazione motrice Accanto alle necessarie ed indispensabili operazioni di consolidamento statico volte a rinforzare la struttura portante e alla sostituzione del solaio di copertura, diventano essenziali le demolizioni di alcune superfetazioni e parti aggiunte che hanno completamente falsato la spazialità interna. Il restauro prevede l’ abbattimento del solaio che ad oggi rompe la doppia altezza dell’antica sala argano e la relativa liberazione di uno dei due corpi scala longitudinali simmetrici. Detta demolizione si accompagna alla chiusura tramite tramezzature dello spazio centrale, così come si presentava il livello alla quota di via Manzoni nel 1940. In questo modo la sala torna ad essere chiusa dall’ingresso di via Manzoni e chi voglia accedere all’avan - stazione deve necessariamente percorrere le rampe longitudinali simmetriche. Alla sala argano, ripristinata la doppia altezza, si può accedere solo dall’avan – stazione: si percorre una nuova rampa realizzata tra quelle che erano le due fosse di alloggio delle vetture, a ridosso del muro portante, e si arriva su una passerella inserita ex - novo nell’aula rettangolare. Questa passerella si affaccia nella rinnovata sala motore che si sviluppa per tutta l’altezza dell’edificio tor-
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nando ad essere il cuore pulsante dell’architettura restaurata. Nel volume puro della sala motore viene inserita un sistema nuovo fatto da scala - passerella e mezzo solaio che affaccia sulla doppia altezza dell’aula ritrovata. La nuova struttura in acciaio del solaio – passerella – rampa, in quanto concepita come fatto nuovo e a se’ stante, si stacca dalle pareti dell’aula argano motore, per sottolinearne la sua assoluta indipendenza ed estraneità al costruito restaurato. In realtà, quando la funivia funzionava, la stazione motrice, laddove nel progetto di restauro viene realizzata la nuova rampa di accesso all’aula, era provvista di un posto di comando per il manovratore, così situato da consentire la visione di tutta la linea. In un certo senso il progetto di restauro recupera il segno e la presenza della postazione di manovra, ri - significando la passerella e la scala da cui si accede anche all’ultimo livello seminterrato. Da qui si può uscire direttamente su uno dei terrazzamenti di pertinenza della stazione, facenti parte del nuovo disegno di suolo da cui trae forza il progetto di restauro. Il valore aggiunto nella stazione restaurata è poterla percorrere da via
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Manzoni ai terrazzamenti di Posillipo in maniera fluida, senza interruzioni, dalle scale longitudinali alla rampa tra le fosse dell’avan - stazione, lungo scale che portano al livello seminterrato per uscire sui terrazzamenti dei suoli di pertinenza della stazione motrice. I tre livelli sono serviti anche da un nuovo doppio ascensore collocato all’entrata della stazione dove prima si trovava la biglietteria e il collegamento verticale per il sottostante alloggio del custode. La sala dell’argano motore con la sua doppia altezza, scarsamente illuminata dalle bucature quadrate, risulta particolarmente adatta a realizzare un nuovo sistema di illuminazione artificiale da progettare in funzione di eventuali allestimenti nel caso in cui la stazione voglia essere ri - usata come aula per esposizioni di opere d’arte. L’aula presenta delle spazialità che si prestano alle funzioni più disparate e gli spazi recuperati della vecchia casa del custode offrono l’opportunità di avere locali di servizio comunicanti con la sala argano, sottoposti alla quota di via Manzoni ma con aperture che collegano i locali direttamente con l’esterno. I locali di servizio presentano punti di accesso e ingressi a parte. Il progetto di restauro consolida il rapporto diretto della stazione con via Manzoni, le scale longitudinali possono essere percorse da tutti liberamente, perché torna ad essere bene comune lo splendido panorama offerto dall’avan – stazione. Il valore del panorama e l’opportunità di potersi fermare nell’avan - stazione a goderne tutto il tempo, è enfatizzato dalla presenza delle gradonate realizzate nella misura delle fosse di approdo delle cabine della funivia. Esse diventano sedute speciali per quei visitatori che vogliono fermarsi a godere della splendida vista sulla piana flegrea. Il rapporto con il contesto viene consolidato tanto che le rampe simmetriche vengono percepite quasi come il prolungamento del marciapiede di via Manzoni. Solo il gioco di luci e ombre delle finestre quadrate lungo le due rampe simmetriche media il passaggio dall’ area della stazione propriamente detta all’avan - stazione e il panorama su Bagnoli. Tutto l’intervento di restauro è volto a ripristinare e rafforzare l’attraversabilità dell’edificio nella sua accezione di porta - accesso al sistema collinare di Posillipo e al contrario anche nel suo essere punto di passaggio dai terrazzamenti alla via Manzoni.
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Il progetto di suolo per i cavalletti della funivia L’ambito di progetto è quello del Rione Cavalleggeri mentre la misura del nuovo attraversamento è il vuoto compreso tra il pilone vicino la stazione della Linea Metropolitana 1 e l’ultimo pilone prima della nuova fermata della Linea Metropolitana 8 prevista dalla Variante al PRG. I piloni vengono ri - annodati da un segno forte, che si isola dai palazzi vicini e diventa, sotto forma di elemento costruito, il filo che prima collegava i cavalletti della funivia. L’idea è quella di recuperare visivamente la suggestione della rete di protezione che una volta collegava i piloni posti ai lati dei binari della direttissima. In molte foto d’epoca - affianco viene riportata l’immagine di uno dei piloni pubblicata su un Corriere di Napoli del 1940 in cui di vede bene la rete di protezione e alcuni tecnici che la percorrono - la rete appare in primo piano aumentando così il fascino dei cavalletti e ponendo in nuce l’opportunità di collegarli tra loro. Il segno morbido della rete nel progetto di suolo di Cavalleggeri diventa un corridoio in quota dall’andamento sinusoidale che si svolge al centro del vuoto urbano. La possibilità dell’ attraversamento è affidata ad una piastra che sfrutta il salto di quota di 3,50 mt tra la piazza del primo pilone e la “traccia” tra gli edifici. Essa si svolge tra i palazzi andando a coprire quegli spazi che oggi in maniera anonima sono per lo più dedicati a parcheggio privato. Ma il nuovo suolo che poi diventa piastra comincia ancora prima, ovvero laddove nel ri - disegno della piazza di pertinenza della stazione metropolitana. La quota del Viale Cavalleggeri è la stessa del piano di posa del pilone ma sottoposta di 2,50 mt rispetto a quella dello slargo della stazione metro. In questo punto il salto di quota viene trattato come un taglio attorno alla base del cavalletto, scava il basamento della piazza per aprire la prospettiva sul cavalletto più piccolo, quello di 4,50 Mt, una volta utilizzato per l’attacco a terre della rete di soccorso. Nel ri - disegno della piazza della stazione della metro si sviluppa un nodo urbano da cui parte un più vasto disegno dei vuoti, volto a riqualificare gli edifici e il suolo circostante. Potrebbe essere per esempio, una buona opportunità per riqualificare i vuoti urbani del quartiere De Sivo, fortemente degradati
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e ormai lasciati da tempo in uno stato di totale abbandono. A partire da questo primo fulcro si sviluppa il nastro di progetto dall’andamento sinusoidale, caratterizzato da una piastra larga 8 metri che dista 4 – 5 metri dai palazzi vicini. Il progetto del vuoto urbano diventa passeggiata al livello superiore, offrendo prospettive inedite verso l’ultimo pilone di Cavalleggeri e la stazione della funivia di Posillipo, mentre alla quota 0,00 lo spazio sottostante ospita funzioni diverse tutte a servizio del quartiere. Come nel caso della stazione la scelta della funzione è stata strumentale al
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dimensionamento di certe spazialità ma è evidente che vista la tipologia di intervento, il segno urbano si presta ad un’ampia gamma di usi. Si può passare senza problemi dal parcheggio coperto all’attività commerciale o di quartiere, tutto all’insegna di un’estrema varietà e flessibilità a seconda delle esigenze specifiche dei residenti di Cavalleggeri. Dunque alla continuità della passeggiata in quota si contrappone alla divisione in parti e differenziazione funzionale del livello sottostante. Si potrebbe pensare di porre alle due estremità della nuova piastra, tra i piloni, due parcheggi a servizio dei residenti, vista anche la destinazione d’uso che ad oggi ha questo vuoto urbano, e realizzare al centro un’attrezzatura di quartiere destinata ad ospitare una delle numerose attività commerciali che animano il quartiere. In questo modo la destinazione d’uso e la forma del costruito assolvono all’obiettivo di integrare l’elemento nuovo in questa parte di città: la nuova infrastruttura rappresenta un’ opportunità di riqualificazione e uno stimolo per le aree più degradate. Si tratta di un edificio - strada, con un sotto e un sopra, su cui si cammina, si incontrano elementi seriali, di illuminazione o di seduta, di collegamento e risalita. Il riferimento per l’edificio - strada nel vuoto di Cavalleggeri sono da un lato i “Terreni Artificiali” di Le Corbusier dalla proposta per Rio De Janeiro del 1929 dall’altro le vie sopra elevate così frequenti sulla nostra scena urbana. I viadotti suggeriscono la dicotomia tra la via di transito e la linea di terra, ma anche tra l’opportunità di porre a quote diverse pubblico e privato. Con i progetti per l’America Latina e per lo sviluppo di Algeri, Le Corbusier aveva già affrontato questa tematica più di mezzo secolo fa; mediante un esperimento di de - territorializzazione domestica o viceversa di addomesticamento delle infrastrutture, l’architetto francese aveva individuato una strategia di intervento che sintetizzava sinergicamente moto e quiete, pubblico e privato, romanticismo e razionalità in un’operazione totale. L’idea della piastra nella “traccia” della funivia enfatizza questa dicotomia nel progetto della nuova infrastruttura. In corrispondenza dell’ultimo pilone di Cavalleggeri il nastro mantiene la sua unitarietà scavando il suolo intorno al cavalletto fino a portarne alla luce la fondazione. E’ questo il flesso dopo l’ultimo nodo: lo slargo che fa angolo tra la via Cavalleggeri d’Aosta e via Siena.
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Anche questa come la precedente diventa un’occasione: il nastro si avvolge su se stesso e diventa punto di ristoro, nuova attrezzatura di quartiere e elemento terminale dell’attraversamento in quota nel quartiere popolare. La nuova attrezzatura di quartiere, sia essa bar o ristorante, si pone come elemento tutto proteso verso l’ultimo dei cavalletti e la vista verso Posillipo.
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Nel tirare le somme del lavoro svolto da questa tesi di dottorato, vorrei evidenziare gli obiettivi raggiunti ma soprattutto le questioni ancora aperte. Aver studiato l’opera prima di un’autore come Giulio De Luca, protagonista della nascita e diffusione dell’architettura moderna a Napoli, ha messo in luce le problematiche che nascono da una non completa conoscenza dell’architetto in esame. Mancano infatti archivi o studi specifici che abbiano raccolto la produzione di un autore così prolifico, grazie ai quali se ne possa tracciare un profilo completo e tali da poter gettare piena luce sulla sconfinata produzione architettonica di oltre settanta anni di carriera. Cominciare a esaminare alcune delle opere realizzate in gioventù è solo il volano verso una ricerca da estendere anche ai decenni successivi per capire come il suo linguaggio si sia adeguato a tempi e modi. Sarebbe importante che questo primo studio potesse essere seguito da altre ricerche intorno a De Luca, che diano maggiore scientificità alle ipotesi fatte in partenza e volte ad avvalorare ancora di più la tesi del restauro del sistema e principio della funivia. E’ invece innegabile il peso che potrebbe avere un intervento che si ipotizza, sin dall’inizio, unitario e continuo da una stazione all’altra, lineare, consistente e riconoscibile tra gli episodi di architettura moderna così concentrati nell’area occidentale di Napoli, da Fuorigrotta a Bagnoli. Si dovrebbe solo verificare se l’ intervento sulla “traccia”, apparentemente fattibile sulla carta, si possa misurare materialmente con la realtà di questi luoghi, per diventare a tutti gli effetti un segno nuovo e al tempo stesso ordinatore nella moltitudine dei fatti urbani che movimentano, in maniera spesso disordinata e frammentaria, il paesaggio urbano flegreo. Anche la “traccia” partecipa al processo di straficazione e trasformazione dell’area, la funivia si inserisce infatti in un momento storico preciso, segna uno strato temporale e un’epoca e come tale va preservata e caratterizzata secondo un senso nuovo, contemporaneo. Il progetto della traccia nasce sia dall’esigenza di restaurare le architetture dismesse delle stazioni che dalla volontà di riqualificare la periferia dell’area Occidentale di Napoli. La zona, infatti, sarà presto oggetto di interventi importanti quali la bonifica dell’area ex Italsider e la realizzazione del nuovo parco urbano di 120 ettari. Questa ampia parte della piana di Bagnoli resasi disponibile al processo di
Conclusioni
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trasformazione, in seguito alla dismissione della fabbrica, promette di essere la spinta al processo di rilancio e riqualificazione urbana di tutta l’area occidentale e del quartiere popolare di Cavalleggeri d’Aosta in particolare. Il progetto della funivia è in linea con tutta una serie di operazioni previste nella Variante al Piano Regolatore che promette di trasformare questa periferia in una nuova centralità per Napoli.
Appendice I
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E’ alla fine dei primi dieci anni di vita della Facoltà di Architettura di Napoli – ovvero dall’istituzione della “Reale Scuola di Architettura” (1930) all’entrata dell’Italia in guerra (1941) - che si consolida il progetto del moderno in ambito partenopeo. A Napoli le opportunità per mettere in pratica gli insegnamenti relativi alla costruzione della città moderna non mancano di certo ma vengono spesso malamente sprecati. All’epoca sono pochi i professionisti napoletani che svolgevano la loro attività nel campo dell’edilizia. La maggior parte non dimostrava di avere, almeno in nuce, la tendenza ad aggiornare le proprie capacità compositive in modo da introdurre nella realtà edilizia locale una più aggiornata produzione di arte compositiva che almeno non si discostasse molto dalle più aggiornate tendenze che in altre città italiane già da tempo si evidenziavano. A Napoli era un vuoto assoluto anche nel campo dell’edilizia cittadina. La “ri - sistemazione del Rione Carità” – attuata demolendo un’intera parte del tessuto edilizio preesistente – realizzava la nuova cittadella direzionale partenopea. La Variante al vecchio piano di bonifica del Rione è approvata nel 1928, il rinnovamento del tessuto storico è affidato a nuovi e grandi edifici pubblici: il palazzo delle Poste di Giuseppe Vaccaro e Gino Franzi, quello della Provincia di Marcello Canino (1934) e dal 1933 in poi la sede degli Uffici Finanziari e dell’ Avvocatura di stato dello stesso Canino. A quelli citati si aggiungono fra gli altri, il Palazzo dell’ INA (1933 – 38) e il palazzo della Standa, costruito nel 1936. Pur non potendo definire le immagini dei nuovi edifici sbrigativamente retoriche e monumentali, è pur vero che in esse era riconoscibile uno stile fascista modernamente declamatorio, allestito con la semplificazione più o meno accentuata degli ordini classici e della veste decorativa, oscillante tra monumentalità romana e modernità italica o mediterranea. (1) Se si escludono l’edificio delle Poste di Vaccaro e Franzi ( 1933 – 1936 ), e i precedenti di Luigi Cosenza con il Mercato del Pesce ( progetto 1929 ) e le Ville Oro ( progetto 1934 ) e Savarese ( progetto 1936 ) - sicuramente le uniche opere realizzate a Napoli di respiro autenticamente europeo, ma firmate, non a caso, da personaggi estranei all’ambiente accademico napoletano - il ritardo della metropoli “porto dell’Impero” è da ascrivere ad un ritardo com-
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plessivo nei primi dieci anni di vita della neonata Facoltà. Si dovrà attendere il 1939 per un’effettiva inversione di tendenza in alcuni degli edifici maggiormente rappresentativi nell’impianto monumentale della Mostra Triennale delle Terre d’Oltremare: il Ristorante con Piscina, le Serre Botaniche e l’Acquario Tropicale di Carlo Cocchia, l’Arena Flegrea e le stazioni della funivia di Giulio De Luca, la Torre delle Nazioni di Venturino Ventura, il Padiglione della Marina e dell’Aeronautica di Bruno La Padula. A differenza di quanto accadrà a Roma con l’E 42, la Mostra è disposta ad accogliere il razionalismo divenendo palestra del moderno per la generazione di giovani architetti appena laureati tra i quali figurano proprio Giulio De Luca, Carlo Cocchia, Stefania Filo Speziale e Vittorio Amicarelli. La scuola napoletana si proietta troppo nella vita della città tanto che Pagano nel ’42 rintraccia proprio in “quella pigra accettazione accademica che pesa su questa meravigliosa città” la causa fondamentale dei ritardi della cultura architettonica napoletana. I programmi e gli orientamenti sono direttamente mutuati dalla scuola romana diretta da Giovannoni, nella quale l’allora preside della scuola di architettura di Napoli, Alberto Calza Bini, ricopriva la carica di consigliere amministrativo, puntando così a formare i giovani architetti secondo un linguaggio improntato allo storicismo giovannoniano, assai sensibile alla conservazione del patrimonio storico – artistico ma poco attento a quanto stava avvenendo negli ambienti della cultura architettonica europea. (2) Il mondo universitario partenopeo di questi anni si caratterizza per il vuoto di idee, ricerca ed iniziativa, nel quale la cifra caratteristica è data dall’indifferenza alla politica. Le cariche accademiche vengono affidate a figure secondarie dal punto di vista culturale e talvolta provenienti da fuori, ma di sicura fede fascista. Traspare così una nota dominante di grigiore e conformismo. La scuola di Architettura è retta dal “pendolare” Alberto Calza
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Bini che
sebbene avesse coinvolto nella didattica personaggi del calibro di Piccinato e Samonà, riesce a conformare in tutto e per tutto gli insegnamenti della scuola ai principi che aveva fissato Gustavo Giovannoni a Roma. Così tutti i docenti di Napoli – Chierici, Canino, Chiaromonte, Pane, Pantaleo fino allo stesso Samonà e De Renzi – sono d’accordo con Piacentini nel richiama-
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re all’ordine le intemperanze dei giovani razionalisti nel suo “In difesa dell’architettura italiana” apparso sul “Giornale d’Italia” del 2 maggio 1931. Alberto Calza Bini, ( già direttore della “Real Scuola Superiore” dal dicembre 1930) fu preside della Facoltà dal 1935 al 1941 e chiamò per le discipline compositive uomini di grande valore: Giuseppe Samonà per la Composizione Architettonica per i primi tre anni, Mario De Renzi per l’Architettura degli Interni, Arredamento e Decorazione, Luigi Piccinato per l’Urbanistica, Marcello Canino per i Caratteri Distributivi degli Edifici, Giovan Battista Ceas per Elementi di Composizione, Vittorio Pantaleo per gli Elementi Costruttivi. Si avvalse anche di elementi napoletani come Roberto Pane per la Storia e Stili dell’Architettura, ed in seguito di Ferdinando Chiaromonte per Esercitazioni di Geometria Descrittiva. Dopo solo pochi mesi di attività come Direttore della Scuola, Calza Bini si rendeva conto che non erano i docenti del gruppo storico e meno ancora quelli del gruppo scientifico che non davano affidamento, ma i docenti del gruppo compositivo. E’ vero che nei primi anni egli assumeva giuridicamente la responsabilità di dirigere l’insegnamento biennale di Elementi di Architettura e Rilievo di Monumenti e quelli di Composizione nel Triennio successivo, ma poiché egli a Napoli veniva di solito una volta a settimana aveva nominato per Elementi di architettura del 1° anno il prof. Sanarica come aggiunto ed al 2° anno il prof. Roberto Pane (...) Giulio De Luca nell’anno accademico 1929 – 1930 si iscrive alla Scuola di architettura, frequenta il corso di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti al 1° anno tenuto dal prof. Sanarica mentre al 2° anno il corso Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti tenuto dal prof. Pane. Giulio De Luca dice del corso di Sanarica: Per due mesi circa da tavole stampate che egli ci passava copiammo a matita rozza sagome di gole dritte e rovesce, , tori, echini ecc… .Passammo poi a riprodurre a penna, su cartoncino bristol, fotografie di monumenti. A me toccò l’arco di Tito (Ah! Quei capitelli). Infine progettammo una scala in un giardino. Non ricordo quale fu il tema d’esame. Io ebbi 25/30. Giulio De Luca dice del corso di Pane: Prima di tutto dovetti copiare ingranden-
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dola a lapis “Wolf ” una fotografia dell’interno dell’abbazia di Fossanova. Il resto dell’anno fu dedicato ad un’esercitazione consistente nel portare “variazioni” a famosi palazzi fiorentini. A me capitò il Palazzo Rucellai… Le variazioni consistettero nell’usare mattoni a faccia vista anziché pietra serena. All’esame facemmo un ex tempora sul tema: “Stazione per autotreni su di una strada razionale”. Ricordo una orribile prospettiva a grafite. Ebbi 25/30.(4) Nell’anno accademico 1931 – 1932 Giuseppe Samonà, che insegnava a Palermo, si trasferì a Napoli dove ebbe il corso di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti al primo anno. Nell’anno 1932 – 33 il primo corso fu affidato a Canino, il secondo a Samonà che resterà ad insegnare a Napoli Elementi di Architettura per sei anni. Grazie al grande architetto e docente alla scuola comparvero per la prima volta le opere migliori di Terragni, Pagano, Libera, Figini, Pollini, Pediconi, Carminati, Lingeri ed tanti altri. Ricorda Sirio Giametta in “ Dialogo a tre sulla nascita della Facoltà di Napoli e sull’architettura”: A volte Samonà illustrava con grande semplicità e chiarezza le opere di Mendelsohn, Wright, Neutra, Gropius, Le Corbusier, Bohm, Hoffmann, con i suoi schizzi interpretativi alla lavagna, cosa che aveva già fatta con grande impegno, illustrando e ragionando sull’architettura di Borromini, a cui dava eccezionale importanza. Samonà era poi anche un grande disegnatore: introdusse ed insegnò una nuova tecnica grafica, quella della grafite. Era la tecnica grafica che tutti gli architetti di avanguardia adoperavano nelle illustrazioni dei progetti, specialmente per i concorsi nazionali che via via venivano banditi per grandi opere pubbliche, e che nel corso degli anni ’30 furono assai numerose(…). (5) Le sue lezioni, sui vari stili dell’architettura e le elaborazioni estemporanee che gli allievi dovevano eseguire resteranno indimenticabili per il contatto umano e cordiale che egli prodigava nei confronti degli allievi, con i quali stabiliva un rapporto fondato sull’esperienza e maturità di architetto, che trasfondeva in questi contatti. Alberto Calza Bini affidò la composizione architettonica del IV anno e del V anno a Marcello Canino che già insegnava caratteri distributivi degli edifici. Canino è un monumentalista seppure in maniera moderata e venata di dubbi; tanto è vero che in qualche sua opera dimostra di incominciare a rendersi conto delle novità che sorgono in Italia, ma anche fuori. In effetti dopo episodi architettonici come quelli nei dintorni di piazza Carità, egli persegue una sua
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idea di monumentalismo, che nella Mostra d’Oltremare si manifesta chiaramente ispirata ad architetture nordiche, come l’influenza espressa nel palazzo degli uffici, dove si ritrovano stilemi che risalgono allo svedese Asplund. (…) Nel centro direzionale del rione Carità, appare il moderato monumentalismo di Canino nel palazzo della provincia. (6) Anche a Napoli si manifestano sia pure in forte ritardo, quelle inquietudini e insofferenze che indussero a Roma molti allievi della scuola di Giovannoni a rivendicare autonomia e libertà di azione fuori dagli schemi e dagli ideali piacentiniani. Eppure vivevamo in un’epoca di rapida evoluzione delle forme architettoniche specie per opera di alcuni architetti che, allontanandosi dalle forme tradizionali, non esitavano a creare nuove forme architettoniche in connessione alle esigenze sia della nuova tecnica del cemento armato, sia di quelle forme razionali che si andavano affermando in Europa. La cosa certa è che anche noi studenti ci sentivamo attratti dalle forme create da questo sparuto gruppo di innovatori e non esitavamo a classificare con parole di disprezzo tutte le forme antiquate. (7) La nuova generazione di brillanti progettisti, tra cui i più promettenti sono Carlo Cocchia, Vittorio Amicarelli, Sirio Giametta e il nostro Giulio De Luca, soprattutto con la venuta di Samonà, - che poi lascerà Napoli per raggiungere Venezia nel 1937 - si liberano dell’ormai obsoleta architettura neoclassica fondata sui colonnati. A questo proposito Massimo Rosi nel citato “ Dialogo a tre sulla nascita della Facoltà di Napoli e sull’architettura” ricorda che Giulio De Luca dopo aver sottoposto un progetto razionalista all’attenzione dell’allora preside della Scuola Alberto Calza Bini, si sentì dire da quest’ ultimo “non cominciamo con questi piroscafi!”. E l’allusione era chiaramente indirizzata a Le Corbusier. In quel periodo, l’insegnamento del principale docente di Composizione, Marcello Canino, probabilmente viene assunto più come un riferimento con il quale confrontarsi dialetticamente che come un indirizzo culturale da perseguire in maniera acritica. Così da un lato accade, come in tutte la scuole di architettura, che si verifichi una sempre più profonda spaccatura tra docenti e giovani leve dall’altro, sia alla Scuola superiore di architettura prima che alla Facoltà di architettura poi,
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i docenti andavano ognuno avanti secondo le proprie idee senza omologare i propri apporti didattici in un alveo unitario. Giulio De Luca ( 1912 – 2004 ) si laurea a Napoli nel 1935 e sostiene l’esame di stato a Firenze nello stesso anno. E’ tra i primi laureati della neonata Facoltà di Architettura. Dall’anno accademico 1934 – 1935 è assistente volontario presso il corso di Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti. Quella di De Luca è la nuova generazione di architetti nata intorno al 1910 alla quale appartengono personalità quali Franz Di Salvo, Giantristano Papale, Vittorio Amicarelli, Francesco Della Sala, Stefania Filo Speziale e il più anziano Carlo Cocchia, approdato agli studi di architettura con ritardo dopo un’esperienza di pittore nei primi anni del ventennio fascista. Questa nuova generazione di progettisti promuove un rinnovamento dell’architettura italiana ed in particolare meridionale, contro il monumentalismo e classicismo accademico allora imperante. L’opera di De Luca sin dalle prime esperienze professionali, appena laureato, vede la componente razionale prevalere fortemente sul monumentale. Subito dopo la laurea vince il concorso organizzato nella sezione “Architettura” della Mostra Prelittoriali d’Arte allestito a Napoli dal G.U.F. “Mussolini” sul finire del 1935, che mette in luce il talento di questo giovane architetto. Vince il concorso con un progetto firmato in collaborazione con Silvio Manzi. In un articolo apparso sul quotidiano “Il Corriere di Napoli” del 31 gennaio 1936, si fa il bilancio dei Prelittoriali del G.U.F. napoletano: il tema affidato alla sezione architettura è vasto e complesso, ma vivo e vissuto dai giovani, che inquadrati nei ranghi del Regime e dell’esercito lo hanno profondamente sentito. Progettare una caserma, dare quindi alloggio al soldato italiano, già cresciuto nel clima storico del Fascismo, è ragione di orgoglio per gli universitari, i quali prima di essere studenti sono soldati al servizio della Patria e del Regime. Essi si sono però lanciati con tutta la loro giovanile freschezza, ed è bello constatare che hanno mostrato di essere pari al tema proposto, e di averlo brillantemente risolto. I giovani hanno inteso la caserma quale deve essere e quale è realmente: la casa, la palestra, la scuola dei soldati; la caserma che nei suoi
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elementi tipici è un complesso pulsante e vivo regolato nei minimi particolari, come una macchina, ma grande macchina di guerra. Edificio funzionale ed utilitario, non monumentale, accademico e freddo. Vittorio Amicarelli analizza i progetti partecipanti – i progetti partecipanti si raggruppano secondo due spiccate tendenze. La prima riunisce gli elementi costitutivi (uomini, materiali, quadrupedi) in singole cellule, ognuna delle quali costituisce in elemento completo ed autonomo. La seconda tendenza preferisce disporre in padiglioni separati i diversi servizi (..) Di questi alcuni seguono un concetto di perfetta simmetria assiale, suddividendo la caserma in due elementi perfettamente identici ed autonomi, altri invece spingono il criterio di accentramento all’esterno, riunendo in un unico gruppo di padiglioni le unità singolari. (8) Lo stesso Amicarelli dice a proposito del progetto vincitore di Giulio De Luca e Silvio Manzi: la felice distribuzione delle cellule e dei servizi in pochi corpi di fabbrica gravitanti sul cortile centrale, alla cui testata, in posizione dominante, è il comando. Organismo, dunque, unitario e massa unitaria, linearmente definita e perciò romana. In tutto qui domina la gerarchia di valore. Aree equilibrate, volumi classicamente ritmati. (9) Al di là di un linguaggio incline a suggestioni retoriche dell’epoca, la “romanità” che qui Amicarelli individua come cifra qualificante del progetto di De Luca, non è considerata come il prodotto di modi e forme tratte dal lessico del classicismo littorio che informa buona parte dell’architettura monumentale anche napoletana degli anni Trenta, ma è funzione della più mediata ricerca di un linguaggio asciutto, privo di ogni enfasi, nel quale l’accento è posto sull’equilibrio e il ritmo più che sulla citazione romana e littoria, tracciando ipotesi di ricerca quindi alternative a quelle delineate da Canino e Pane. (10) E’ un atteggiamento, questo, pienamente condiviso da molti altri dei primi laureati di Napoli, da Sirio Giametta a Giovanni Sepe, da Renato Avolio De Martino a Michele Crepella, da Enzo Gentile a Filippo Mellia, da Paolo Platanìa a Carlo Cocchia. Nel 1938 Cocchia e De Luca in occasione della “Mostra di pittura napoletana del ‘600 ‘700 ‘800” elaborano un singolare ed innovativo progetto di padiglione temporaneo poi non eseguito. I grafici dei due giovanissimi architetti raffigurano un articolato padiglione esterno agganciato al rivellino della Torre Oro, a ridosso delle antiche mura e a cavallo del fossato, con bassi e stereometrici volumi di impronta razionalista
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rivestiti dalle stesse bugne delle basi delle torri, in ossequio alla necessità di “ambientamento”. La concezione del complesso espositivo con due piccoli spazi aperti nella parte centrale, manifestava contemporaneamente un carattere organico, sia perché tendeva a negare soluzioni di continuità con il monumento, sia per il libero dispiegarsi dei volumi stereometrici e per la varia inclinazione dei fronti, sia, infine per il trattamento decorativo di questi ultimi, che, nel rispetto delle esigenze di accostamento tra antico e nuovo, conferivano un carattere di storicità ad una costruzione temporanea. I corpi stereometrici sollevati da terra su piastrini racchiudono un inedito sistema di illuminazione con superfici curve che avrebbero indirizzato la luce naturale. Tra il 1938 e il 1940 Giulio De Luca, ricevuto l’incarico direttamente dal presidente Vincenzo Tecchio, si occupa del progetto e costruzione del teatro “Arena Flegrea” nell’area nord della Mostra d’Oltremare alle spalle del ristorante con piscina progettato da Carlo Cocchia. Doveva essere il primo teatro stabile all’aperto capace di contenere circa 12.000 spettatori. L’Arena
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pur con un accento retorico perché destinata alle grandi masse,
può considerarsi la prima opera con intenti razionali, senza considerare il valore pittorico del mosaico a figurazioni di Nicola Fabbricatore che tradisce il senso unitario della grande fascia di prospetto. Come narra Cocchia, sin dal suo primo approccio con l’incarico, De Luca si preoccupa di volgere la platea verso nord conquistando la collina dei Camaldoli per questo motivo modifica la iniziale posizione del teatro che presentava l’asse di simmetria in direzione est – ovest per cui al pomeriggio gli spettatori si sarebbero trovati ad avere il sole negli occhi. La soluzione definitiva appare a tutti eccellente per l’eleganza ellenica della forma costruita in armonia col paesaggio. Nelle pagine di “Casabella” Giuseppe Pagano elogiò la raffinatezza logica del disegno, segnalando polemicamente anche la distanza linguistica che separava le armonie razionali dei giovani allievi dalle “cacofonie accademiche” dei sedicenti maestri. Nel saggio sui Problemi del teatro di massa ( 1939 ) – del quale ci è pervenuto un manoscritto corredato di schizzi autografi – Giulio De Luca motiva la sua
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scelta di risalire alle fonti classiche per superare i limiti tipologici del teatro aristocratico sette – ottocentesco e, dunque, per assicurare l’unità degli spettatori davanti alla scena. L’evocazione della classicità si diluisce insomma nell’estrema modernità, in un’ irripetibile sintesi poetica. (…) l’aspetto più interessante dell’Arena consiste nel rapporto che in essa si viene ad instaurare tra il teatro e il luogo dove esso sorge. Nonostante infatti l’edificio si confronti con una pendenza del terreno degradante – anche se molto lievemente – in senso opposto rispetto a quello richiesto dal teatro greco canonico, riesce comunque a recuperarne l’intimo e necessario rapporto con il terreno attraverso la particolare sagoma che caratterizza la sua sezione. La mancanza di una situazione orografica adeguata viene infatti brillantemente risolta nel progetto mediante la conformazione dell’intera fascia circolare, immediatamente antistante l’Arena, secondo una gradinata continua che, con una profondità di circa 27 m, solleva la quota di accesso al teatro di 8,50 m rispetto al livello del viale esterno.(…) A completamento dell’opera concorrono le due torri sceniche, poste ai lati del palcoscenico curvilineo, plasmato da una quinta simile alle vitruviane scene di pietra dei teatri romani. Scrive Giulio de Luca nei “Problemi del teatro di massa”: Mentre gli altri edifici sono sorti e continuano a sorgere per rispondere a precise funzioni dettate da esigenze ben determinate, il teatro di massa pur nascendo come prodotto di una sentita necessità, è determinato da una funzione sociale a cui non fa riscontro un corrispondente sviluppo dei repertori. Marcello Canino fu il regista dell’intera operazione urbanistica della Mostra d’Oltremare in cui lavorarono fianco a fianco maestri e giovani laureati alla Facoltà di Architettura napoletana e dove, da parte di alcuni, si potè concretizzare come opportunamente nota Siola il desiderio manifesto di ricollegarsi alla grande esperienza in corso del razionalismo europeo, (…) soprattutto in quegli edifici in cui la definizione di una precisa funzione pratica era in grado di costituire un alibi per sfuggire almeno in parte all’ intenzionalità celebrativa della manifestazione. Tra il 1936 e il 1940 Giulio De Luca nella stessa essenziale estetica razionalista dell’Arena Flegrea progetta le stazioni della funivia di collega-
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mento della collina di Posillipo con la Mostra d’Oltremare. Fuori dalla fiera, in prossimità dell’ingresso laterale, è la stazione di partenza che collegava direttamente la nuova area urbana con il Parco della Rimembranza e con la vicina ed esclusiva via Manzoni dove si colloca invece la stazione motrice costruita seguendo analoghe regole architettoniche. Anche in questo episodio il giovane De Luca rinuncia ad esibizionismi monumentali perché la rispondenza a istanze di carattere funzionale si traduce in un linguaggio improntato a una limpida e razionale essenzialità. Il lessico delle stazioni della funivia, in cui l’intervento minimo ignora consapevolmente la teatralità più o meno romana presente in altri edifici della Mostra, si collega fortemente a quello di Vittorio Amicarelli per i tre ingressi all’intero complesso: l’ingresso autoveicoli, l’ingresso al Teatro Mediterraneo, l’ingresso al Parco dei Divertimenti. La funivia e dell’Arena Flegrea vengono inaugurate il 4 maggio 1940 e l’anno dopo Giulio De Luca realizza Villa Piscitelli a Napoli. Nato come residenza privata, l’edificio di matrice razionalista era costituito da due bassi volumi tra loro sfalsati, di cui il maggiore risultava allineato al filo stradale, mentre il minore era arretrato rispetto ad esso; il vano scala rappresentava ad un tempo una cesura tra i due appartamenti d’affitto del pianterreno e una cerniera di connessione fra i due blocchi al primo livello che risultavano così unificati nella casa padronale. Il fronte principale era articolato secondo uno schema emisimmetrico: al lungo porticato architravato posto dinanzi al corpo di fabbrica più interno faceva da contraltare una loggia aperta la primo livello del volume più esterno; le valenze cromatiche e di superficie, estremamente semplificate, erano affidate esclusivamente al contrasto materico e di lastre di travertino. Dello schema di progetto oggi non riamane molto; il sistema volumetrico risulta variato, mentre l’impianto planimetrico è rimasto pressoché inalterato: sono ancora leggibili infatti il portico aperto al pianterreno, lo sfalsamento fra i due blocchi e il loro raccordo tramite il corpo scala emergente dal fronte principale.
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Negli anni del secondo dopoguerra Giulio De Luca è pro-
tagonista di primissimo piano nel dibattito architettonico ed urbanistico. Con il carisma che gli derivava dall’essere uno dei primi docenti ordinari della Facoltà ( la sua prima cattedra fu in Elementi di Architettura e Rilievo dei
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Monumenti ), De Luca prende parte alle altalenanti vicende che vanno dalla edificazione dei quartieri popolari negli anni della ricostruzione post – bellica fino alle ultime esperienze progettuali della fine del Novecento. Nel dopoguerra fa parte dell’ A.P.A.O. , l’Associazione Per l’Architettura Organica fondata da Bruno Zevi nel 1945. La sua architettura si sviluppa da un approccio razionale e funzionale , lo supera con una appassionata ricerca linguistica caratterizzata da un plasticismo dinamico libero su cui si innesta la matrice organica , esaltando il rapporto con l’ambiente e lo spazio antropizzato. Nell’anno accademico 1957 – 1958 il prof arch. Giulio de Luca è incaricato ed aiuto al corso di Elementi di Composizione Architettonica del terzo anno con il dott. arch. Giuseppe Bruno, dott. arch. Renato De Fusco, dott. arch. Achille Mazzola, tutti loro in qualità di assistenti volontari. Scrive Giulio De Luca relativamente ai contenuti del suo Corso nella pubblicazione di Franco Jossa a trent’anni dalla fondazione della Facoltà: Il tema principale intorno al quale si sviluppa il Corso di Elementi di Composizione Architettonica deve ricercarsi nella relazione tra ambiente ed architettura, argomento questo tra i più importanti e dibattuti da chi sia preoccupato di ritrovare un linguaggio che affondando le radici nella nostra cultura e nella nostra tradizione, le sviluppi e le estrapoli proiettandosi verso l’avvenire.(…) Più delle arti figurative che possono anche esprimersi e concludersi in se stesse, direttamente determinando un colloquio tra l’oggetto e chi lo osserva, un’opera di architettura è intimamente legata al luogo in cui sorge, e inserendosi nell’ambiente che la circonda, vi apporta la sua presenza, stabilisce con esso una relazione. Non è concepibile un’architettura in astratto, valida per se stessa, e quindi avulsa dal suo ambiente. Nello sviluppo del corso di Elementi di Composizione, mi propongo di esaminare tale rapporto, sia in relazione ad elementi naturalistici che a preesistenti elementi architettonici(…). Ed è a questo punto che devo osservare come la soluzione dei problemi architettonici per quanto elementari possano essere, non può fondarsi che su basi di cultura storico – critica, che sono a fondamento di qualsiasi linguaggio espressivo (...). Verrà posto l’accento sul rapporto tra architettura e natura, e sul diverso modo di intendere tale rapporto attraverso gli esempi delle varie epoche.(…) (13) Tra le opere principali ricordiamo il concorso vinto nel 1954 per la realiz-
Giulio De Luca e il progetto del moderno a Napoli
zazione della nuova Stazione Centrale di Napoli ( insieme a Carlo Cocchia, Bruno Zevi, Luigi Piccinato, Giuseppe Vaccaio, Pier Luigi Nervi ed altri ); il Nuovo Ospedale Domenico Cotugno (1955 – 58); Rione INA-Casa “ La Loggetta “ con Chiesa parrocchiale a Napoli; edificio per la balneo – fango - terapia per le Terme di Agnano; l’Albergo a Punta Molino, Ischia, Napoli (1962-64) e il Terminal della Circumvesuviana in Corso Garibaldi (1972 – 75) in collaborazione con Arrigo Marsiglia.
Note (1)
G. Sepe, Storia e Cronache della facoltà di architettura di Napoli vol. I 1917 – 1955,
Napoli, Op. cit. p. 181 (2)
C. De Seta, Architettura a Napoli tra le due guerre, Sagep Editrice, Genova 1987
p. 31 (3)
Su Alberto Calza Bini si veda: L. Quadroni, In memoria di Alberto Calza Bini, in
“Urbanistica” n° 23 1958; F. Mangone Alberto Calza Bini in C. De Seta L’architettura a Napoli tra le due guerre Sul rapporto di Calza Bini e la Facoltà di Architettura di Napoli: G. Sepe Op. cit. e anche i vari Annuari della Reale Scuola Superiore di Architettura di Napoli. (4)
Storia e Cronache della facoltà di architettura di Napoli Op. cit., p. 83
(5)
Ivi p. 53 S. Giammetta, M. Rosi e A. L. Rossi, Dialogo a tre sulla nascita della Facoltà di
(6)
Napoli e sull’architettura, in Massimo Rosi (a cura di) Sirio Giammetta. Una testimonianza ed. Giannini, Napoli 1997 Dialogo a tre sulla nascita della Facoltà Op. cit., p. 100
(7)
(8)
G. Sepe, Storia e Cronache della facoltà di architettura di Napoli Op. cit. p. 157
(9)
Corriere di Napoli: Corriere del Mattino, 31 gennaio 1936.
(10)
G. Menna, Vittorio Amicarelli architetto 1907 – 1971, ed. Scientifiche italiane,
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
Napoli 2000 (11)
L’Arena Flegrea di Giulio De Luca è stata oggetto di un restauro singolare nel suo
genere: a distanza di quasi 50 anni dalla realizzazione, l’opera è stata prima demolita per poi essere ricostruita dal suo stesso autore che ha potuto riproporre il progetto originario, conservando pressoché inalterata la struttura compositiva, modificando però alcuni elementi originari, forme e rapporti dimensionali e spaziali. Riconosciuta come una delle soluzioni migliori al tema del “teatro di massa” si colloca nell’ambito dello straordinario complesso fieristico della “Mostra d’Oltremare e del Lavoro italiano nel mondo”, voluta a Napoli dal Fascismo, nel quartiere Fuorigrotta, nel 1940. Dopo i bombardamenti del ’42 la mostra viene restaurata nel 1950 per cadere dagli anni ’60 in poi in uno stato di degrado che finirà con la demolizioni di molti padiglioni tra cui l’Arena Flegrea stessa. Negli anni ’50, 10000 posti a sedere con un palcoscenico di 800 mq collocavano l’Arena al primo posto tra gli edifici moderni destinati a pubblici spettacoli all’aperto. Agli inizi degli anni ’90, l’Ente Mostra D’Oltremare si trova di fronte alla necessità di prendere una posizione chiara circa la costruzione di un nuovo teatro di massa che sostituisse l’Arena demolita, e che si relazionasse con le stesse condizioni ambientali e spaziali che avevano guidato il progetto di Giulio De Luca ormai quasi 60 anni prima. Nel programma di rilancio complessivo della città espositiva del 1999, ri - scoperto il valore simbolico e monumentale di tutti gli edifici che costituivano il vasto sistema espositivo, si decide di ricostruire la struttura secondo il progetto originario ed affidando l’incarico al suo stesso autore ormai ultraottantenne. Riconfermata la posizione del teatro rispetto al sistema di assi ortogonali del recinto fieristico, il progetto restaurato presenta lo stesso rapporto con il suolo e il principio insediativo. Anche la struttura tipologica è la stessa, sul modello del teatro greco, ovvero impianto assiale in cui la platea in cerchi concentrici riduce il distacco dalla cavea “a paletta” che in pianta presenta una forma a settore circolare. Lo sfondo dei Camaldoli contribuisce a sancire lo stretto legame dell’architettura all’elemento naturale, sia nell’effetto prospettico esterno che internamente, dove la collina, inquadrata dalle torri che delimitano il boccascena, diviene parte integrante della costruzione scenica costituendo la continuazione del palcoscenico adagiato, a mezzo di gradoni, al pendio del terreno. Nonostante i cerchi concentrici del palcoscenico abbiano proporzioni e dimensioni diverse rispetto al progetto originario, essi restano disposti su più livelli per ovviare nel modo migliore, al limite di una visione bidimensionale peculiare dei teatri organizzati su di un asse longitudinale. La mancanza di una situazione orografica adeguata alla tipologia del teatro greco, che si adagiava e modellava al declivio della montagna, viene brillantemente risolta nel
Giulio De Luca e il progetto del moderno a Napoli
progetto mediante la conformazione dell’intera fascia antistante l’Arena, secondo un sistema di gradinate che con una profondità di 17,50 m, solleva la quota di accesso al teatro di 7,90 m rispetto al livello del viale esterno. Il restauro di De Luca si discosta a tal punto dal primo progetto dell’Arena da non risultare assimilabile ad altri esempi di ricostruzione di edifici ex-novo, restauro stilistico, né tanto da essere considerato un progetto completamente nuovo, privo di legami con l’architettura che lo ha preceduto. Le principali variazioni sono prodotte non solo dal necessario adeguamento dell’Arena agli standard attuali di sicurezza e accessibilità – come nel caso della ricostruzione del Padiglione di Arte Contemporanea a Milano da parte del suo stesso autore, Ignazio Gardella, in seguito alla distruzione dell’edificio prodotta dall’attentato mafioso del 1993 – ma anche dalla moderna concezione di flessibilità degli spazi dello spettacolo che spingono De Luca a ripensare il suo teatro. Ipotizza addirittura di coprirlo con tiranti d’acciaio e di rompere così, il rapporto di continuità tra le collina e la scena che era stata alla base della sua originaria idea di teatro di massa all’aperto. Anche se allo stato attuale la copertura non è stata più realizzata, in considerazione di questa fondamentale modifica, De Luca, nel ricostruire l’Arena, non racchiude più la platea tra due alte pareti loggiate per raggiungere l’acustica ottimale ma tra due setti più bassi dal taglio trasversale che finiscono nelle due alte torri laterali destinate a contenere gli impianti tecnologici per l’illuminazione, il suono, le riprese televisive, e sedici ambienti per gli attori, oltre a vari locali per i servizi allo spettacolo e al pubblico. Le altre differenze tra il vecchio e nuovo progetto dell’Arena sono: proporzioni e geometria della pianta; andamento della sezione della platea che non si sviluppa più lungo una curva logaritmica ma secondo delle spezzate; posizionamento degli ingressi e sistema della scala di accesso, per non parlare della riduzione di 4000 unità dei posti a sedere e la realizzazione di 430 camerini per le comparse. L’Arena è solo parzialmente un caso di ricostruzione dov’era com’era in quanto, mantenuta invariata la posizione, il progetto originario subisce modifiche importanti; non si tratta pertanto neanche di restauro stilistico, dato che solo parzialmente viene ripristinata l’immagine originaria. Con la restituzione dell’Arena, De Luca vuole documentare il valore di permanenza che essa ha nel complesso della Mostra e dell’avvenuta consapevolezza che anche le architetture con solo qualche decennio di vita, possono essere considerate patrimonio da conservare ed essere assunte come matrice di riferimento per la trasformazione della città futura. (12)
(13)
Architettura a Napoli tra le due guerre, Op. cit. p. 130 F. Jossa, La Facoltà di Architettura di Napoli, Napoli 1959, Op. cit. p. 122
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Appendice II
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La funivia nella vicenda della Mostra d’Oltremare
La costruzione della Mostra delle Terre d’Oltremare rappresentava l’ultimo atto di un fitto programma di trasformazione urbanistica della zona occidentale di Napoli, iniziata nei primi anni del secondo decennio del secolo che si proponeva di integrare l’area flegrea al contesto urbano del centro città. In quegli anni Fuorigrotta e Bagnoli non arrivavano a 35 mila abitanti e sulla collina di Posillipo, all’epoca totalmente verde, risiedevano circa 10 mila napoletani. Nel piano urbanistico di Piccinato, approvato nel 1939, ma adottato già nel 1937, la sistemazione dei quartieri di Bagnoli e Fuorigrotta prevedeva, nella zona più vicina alle gallerie, una edificazione a carattere “intensivo” e “semintensivo”, distinguendo tra edifici a fronte unico - per contornare piazze e alcuni confini stradali - e palazzine. Per la zona di Bagnoli invece si prescriveva un intervento edilizio di tipo estensivo, con soli villini. Tra i due quartieri “nel bel settore pianeggiante in leggero declivio” il piano sistemava un enorme area verde “una zona per esposizioni, mostre, fiere, che verrà a costituire un centro di grande attrattiva ed interesse”. Nel giro di tre anni fu eseguita la bonifica ed attuato il nuovo piano urbanistico di Fuorigrotta, la Via Giulio Cesare, il Viale Augusto; l’abbassamento in galleria e la nuova stazione della Cumana; restaurata la galleria della Laziale ed allargata quella allora tranviaria; la Via Domiziana; la Via Claudio; la Caserma della Polizia sul Viale Augusto e quella dei Vigili del Fuoco sulla Domiziana; la scuola di equitazione (oggi la Staffa); la funivia; tutti i sotto - servizi; le alberature stradali nonché tutto il complesso della Mostra con i suoi allestimenti ed impianti; realizzato il giardino zoologico ed il Parco dei divertimenti; fu imposto il vincolo di non edificabilità sulla collina che formava fondale alla fontana dell’ Esedra. (1) Il “ Nuovo Piano del Rione Fuorigrotta” approvato con R.D.. 15/11/1938 fu redatto in correlazione con tale nuova opera, una volta stabilito che la Mostra stessa avrebbe contribuito alla trasformazione di tale comprensorio. Il contenuto innovativo del piano di Piccinato verrà deformato dalle strategie simboliche del Regime. L’attuale viale Augusto, concepito nei precedenti studi urbanistici come l’asse portante della espansione occidentale, si trasformò in un asse monumentale che conduceva chi proveniva dalla città direttamente all’immenso
La funivia nella vicenda della Mostra d’Oltremare
piazzale della Mostra . (2) La relazione di accompagnamento al progetto di Risanamento del Rione Fuorigrotta, redatto dal comune di Napoli, sosteneva che uno dei problemi urbanistici napoletani più gravi fosse quello di dare possibilità di espansione metropolitana alla popolazione, allo scopo di diradare gli ingorghi esistenti nella densità cittadina, e di permettere lo sfociare di masse umane verso nuove zone urbanistiche da risanare e bonificare. La relazione sul risanamento di Fuorigrotta alla quale si è fatto cenno, ri - affermava “essere la città di Napoli mortificata e ristretta alle spalle delle colline e ad oriente, dalla cortina continua costituita dalle zone industriali e dalle reti ferroviarie statali e secondarie” ed escludeva pertanto la possibilità di una espansione alle spalle o verso oriente, stabilendo che l’unica zona di espansione non avrebbe potuto che ricercarsi se non nelle aree occidentali della città, oltre il diaframma della collina di Posillipo. Inoltre, con la costruzione di una funivia, che il Piano della Mostra prevedeva, e che in effetti fu realizzata tra uno dei suoi ingressi sulla via Domiziana e la collina di Posillipo, si apriva uno sbocco rapido verso la parte occidentale della città e verso il Vomero. (3) La realizzazione ( 1938 – 1940 ) del complesso fieristico della “Mostra d’Oltremare e del lavoro italiano nel mondo”, ideato e voluto da Mussolini in persona, per esaltare l’impero nato con le conquiste coloniali dell’ultima ora e per sviluppare i rapporti con gli stati africani e mediterranei, racchiude in sé l’anima complessa della produzione architettonica del fascismo napoletano. Tra gli edifici predomina da un lato lo storicismo monumentale ispirato per lo più all’ esotismo coloniale che al mito littorio del pressoché coevo quartiere espositivo dell’ Eur a Roma. Dall’altro lato però non mancano esempi di architettura razionale prodotti dalla giovane generazione dei primi laureati alla neonata facoltà di architettura di Napoli: la funivia di Posillipo e l’Arena Flegrea di Giulio De Luca, i Padiglioni della Silvicoltura, della Caccia e dell’ Elettrotecnica di Stefania Filo Speziale e il Ristorante con Piscina, l’acquario Tropicale e le Serre Botaniche di Carlo Cocchia. I trentasette edifici espositivi ubicati su un’area di circa 1.100.000 mq (in effetti ne furono occupati solo 642.187, riservando la restante parte ad una
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Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica Ciclo XIX - Caterina Avitabile
Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
futura mostra dedicata al “Lavoro degli Italiani d’Oltremare”) manifestano il desiderio, di maestri e giovani laureati alla Facoltà di Architettura di Napoli, di ricollegarsi all’esperienza in corso del razionalismo europeo. Ciò fu possibile soprattutto in quegli edifici – come per le stazioni della funivia di De Luca – in cui la definizione di una precisa funzione pratica era in grado di costituire un alibi per sfuggire, almeno in parte, all’intenzionalità celebrativa della manifestazione. In definitiva il risultato di tale complessa operazione urbanistica ed architettonica riproponeva nel concreto le differenze e le ambivalenze riscontrabili nella cultura disciplinare di quegli anni. La funivia realizzata su progetto di Giulio De Luca viene inaugurata il 9 maggio del 1940, contemporaneamente all’apertura al pubblico della Mostra delle Terre d’Oltremare. Prevista nel piano di attuazione dell’Esposizione, rappresenta uno sbocco verso le alture di Posillipo, verso la parte occidentale della città e il Vomero. Collega uno degli ingressi della Mostra, sulla via Domiziana, attuale via Kennedy, al parco della Rimembranza, sull’attuale via Manzoni, sottolineando la volontà di configurare la Triennale come una grande attrezzatura a livello territoriale. Essa è destinata non solo a servire l’importante complesso espositivo ma anche ad assolvere una più vasta funzione nel campo dei trasporti urbani. La zona di Posillipo alto con lo splendido panorama che da essa si ammira, col riposante Parco della Rimembranza, coi suoi ritrovi estivi, costituisce, certo, uno dei settori turisticamente più importanti della città e si può facilmente valutare l’apporto che alla sua valorizzazione, verrà dato con il nuovo, moderno mezzo di comunicazione. (4) Dalla navicella in funzione, la traversata è quanto mai suggestiva poiché allo sguardo dei viaggiatori si offre una visione incantevole di tutto il paesaggio flegreo nonché una visione panoramica di tutto il complesso della Triennale. La Mostra nella notte splende e risuona, è luce e musica... con la funivia ce ne andammo a guardarla dall’alto di Posillipo, ora che è tutta splendida e sonora. Via via che salivamo, sospesi nell’aria e ci allontanavamo, la Triennale d’Oltremare si impiccioliva, si raccoglieva in una sola gemma... affacciati dalla stazione superiore della funivia non scorgemmo che un enorme alone, una polvere incandescente fra cui vibrava alta la Torre del Partito. A occidente a specchio del mare, i bracieri dell’ Ilva mandavano saluti di fiamma alla nuova città. (5)
La funivia nella vicenda della Mostra d’Oltremare
La funivia di Posillipo Alto fu poi lasciata in disuso dopo la prima fugace edizione della Mostra nel 1940 e subì gravi danni per l’abbandono e gli eventi bellici. L’impianto venne costruito dalla Ceretti e Tanfani, - società di Milano allora specializzata nella realizzazione di teleferiche, funivie, funicolari, sciovie e slittovie - e dagli stessi rimesso in funzione nel 1953. I lavori di ripristino furono diretti dall’ingegnere Salvatore Ruiz. La funivia aveva uno sviluppo in lunghezza di 1630 metri diviso in tre campate, una delle quali di 970 metri.( si tratta dell’ultima prima di arrivare alla stazione superiore su via Manzoni ). Il dislivello tra la quota della stazione inferiore e quella della stazione superiore è di circa 100 metri. Il servizio della funivia veniva disimpegnato da due vetture. Ogni vettura aveva una capacità di 20 passeggeri. Il fatto che la stazione sorgesse sulla via Domiziana (nuovo tramite di comunicazione con Roma ) e che quella superiore si trovasse in prossimità di una zona notevolmente sviluppatasi negli anni del dopoguerra sotto il profilo edilizio, conferiva una vasta funzione di utilità pubblica alla moderna installazione. E averne curato il ripristino nel 1953, va iscritto a merito dei dirigenti di allora della Mostra d’Oltremare, i quali nella ricostruzione del complesso non vollero far mancare la rimessa in efficienza di questo importante e utile impianto Si riporta di seguito la relazione dell’ Ing. Adriano Recupito responsabile della Ceretti e Tanfani per i lavori di ristrutturazione della funivia: “Nei mesi scorsi è entrata nuovamente in funzione la Funivia della Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo a Napoli. L’impianto venne da noi costruito nel 1940 per il trasporto dei passeggeri da Posillipo al centro della Mostra stessa la quale occupa una vasta area dei Campi Flegrei ( gli antichi Campi Ardenti) situati ad Ovest di Napoli fra la collina di Posillipo, il Monte Procida e la Rocca di Cuma. Dall’alto delle vetture che correvano silenziose lungo i cavi d’acciaio si poteva ammirare tutta la vasta superficie accennata. Con la guerra la funivia fu gravemente danneggiata e Napoli venne così a perdere un mezzo di trasporto unico nelle città italiane, del quale potevano usufruire turisti e cittadini oltre a quanti avessero interesse particolare per quel centro di raccolta del lavoro che la Mostra d’Oltremare aveva saputo creare. Riaprendo quest’ anno i propri padiglioni al pubblico in una suggestiva cornice di prati e di fontane, la “Mostra d’Oltremare e del Lavoro Italiano nel Mondo”
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
ha voluto dare nuovamente vita a questa caratteristica attrazione ed il compito è stato affidato ai nostri Tecnici. L’attuale impianto è del tipo con fune di segnalazione di soccorso e frenatura automatica di emergenza sulla portante ed il percorso, di circa 1630 metri con dislivello fra le stazioni di circa 104 metri, viene superato in 5 minuti e 50 secondi. Le funi hanno un diametro di mm. 47,5. Le due vetture che si muovono nei due sensi, ciascuna sulla propria via di corsa, possono trasportare 20 passeggeri oltre al conduttore e sono munite di telefono per comunicare con la stazione motrice oltre ai normali mezzi di sicurezza da noi normalmente impiegati. L’impianto comprende tre motori elettrici: due uguali fra di loro, uno di riserva all’altro, per il servizio normale; un terzo più piccolo, mediante il quale la linea può funzionare a velocità ridottissima, per permettere una ispezione meticolosa della fune portante Ciascuno dei due motori elettrici principali può essere alimentato sia dalla linea trifase che da un gruppo elettrogeno. Quest’ultimo non esisteva nell’originale impianto del 1940. Tutto l’impianto è dotato dei più moderni mezzi atti ad aumentare la sicurezza dei viaggiatori e la regolarità del servizio e sufficienti a neutralizzare non solo qualsiasi guasto ai comandi, ma anche ogni errore di manovra da parte del personale. Oltre che i freni a mano ed elettromagnetici, l’argano è dotato di apparecchi automatici di sicurezza che impediscono gli eccessi di velocità, ed arrestano le vetture pure automaticamente nel caso in cui esse entrino in stazione a velocità non sufficientemente ridotta. Infine il così detto apparecchio di fine corsa interviene bloccando la linea qualora la vettura dovesse oltrepassare, anche di pochissimo, la prestabilita posizione di arresto. L’impianto è stato felicemente collaudato alla fine di giugno ed è entrato in funzione, inaugurandosi l’assieme delle opere destinate a dare nuovi impulsi ad una zona in continuo fervore di attività e in aumento di popolazione, perché costituisce lo sfogo naturale dell’operosa vita napoletana.” (6) Dopo il ripristino del 1953, la funivia continuò a funzionare ancora per pochi anni fino ad essere dimessa definitivamente nei primi anni ’60. Tra il 1952 – 1979 veniva realizzato per parti il Rione Cavalleggeri, ed anche se esisteva il divieto di costruire edifici di altezza superiore ai 40 metri vicino
La funivia nella vicenda della Mostra d’Oltremare
a cavi della funivia e in prossimità dei piloni, presto palazzine popolari, di scarsa qualità edilizia, finirono per addossarsi ai cavalletti lasciando appena il vuoto tra un pilone e l’altro. Sin dalla fine degli anni ’50 cominciavano a venir meno le condizioni di sicurezza necessarie per tenere la struttura in funzione e venne, per queste ragioni, definitivamente dimessa.
Note (1)
G. Caterina e M. Nunziata, Carlo Cocchia, Cinquant’anni di architettura 1937-
1987, Sagep Editrice, Genova 1987, p. 86 (2)
C. Cocchia, L’edilizia a Napoli dal 1918 al 1959, Società per il Risanamento, Napoli
1990, p.66 (3)
A. M. Puleo, Piano Regolatore e progetti architettonici alla Mostra Triennale delle
Terre Italiane d’Oltremare, “ArQ”, n°3, giugno 1990, p. 74. (4)
Il Mattino, Napoli 20 giugno 1953.
(5)
Il Mattino, Napoli 10 maggio 1940.
(6)
Ing. Adriano Recupito, Relazione descrittiva dall’Archivio Storico CT
( Ceretti&Tanfani ) Crane Team srl.
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Appendice III
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Documenti e materiali di archivio relativi alla funivia
La funivia Posillipo Alto – Campi Flegrei, che è una delle tante attrattive della Triennale d’Oltremare, è pronta a funzionare: ieri l’altro infatti, è stata effettuata l’ultima prova di collaudo e lo stesso Commissariato della Triennale ha compiuto un viaggio di andata e ritorno nella comoda vetturetta capace di venti posti. La fotografia che pubblichiamo, mostra appunto la navicella in funzione: la traversata è quanto mai suggestiva poiché allo sguardo dei viaggiatori si offre una visione incantevole di tutto il paesaggio flegreo nonché una visione panoramica di tutto il complesso della Triennale. Il pubblico potrà fruire della funivia nel giorno inaugurale della Mostra: il 9 maggio. (1) Una delle caratteristiche più interessanti della Triennale d’Oltremare è indubbiamente rappresentata dalla Funivia che allaccia il centro della Mostra con Posillipo Alto, all’inizio del famoso Parco della Bellezza, frequentato dai turisti per la sua meravigliosa vista sul mare e sulla Zona Flegrea. La Funivia – elemento di attrazione nuovissima per Napoli – permette di raggiungere la Mostra da Posillipo in appena sei minuti, coprendo un percorso di mille e seicento metri, durante il quale si ha la possibilità di ammirare dall’alto, come dalla carlinga di un aeroplano, non soltanto le innumerevoli bellezze della plaga flegrea, ma anche le imponenti costruzioni della Triennale d’Oltremare. Mezzo di trasporto, quindi, e di attrazione, la funivia risolve brillantemente il problema delle comunicazioni rapide con i quartieri elevati della città e offre a tutti i visitatori la possibilità di compiere un vero volo al di sopra di uno dei paesaggi più interessanti e suggestivi d’Italia. (2) Come si è detto, è stata inaugurata la funivia Posillipo Alto – Mostra. Ideata e costruita da una società specialista, la funivia ha un impianto dotato dei più moderni mezzi atti ad assicurare la regolarità del servizio e il conforto dei viaggiatori con freni a mano e freni elettromagnetici, apparecchi automatici di sicurezza che impediscono gli eccessi di velocità. (3) “La Mostra delle Terre d’Oltremare è allacciata a Posillipo alta da una moderna e ardita funivia su un percorso di 1630 metri essa ne supera 104 di dislivello permettendo ai passeggeri di ammirare il maestoso complesso di edifici della Triennale.” (4)
Documenti e materiali di archivio relativi alla funivia
Essa è destinata non solo a servire l’importante complesso espositivo ma anche ad assolvere una più vasta funzione nel campo dei trasporti urbani. La zona di Posillipo alto con lo splendido panorama che da essa si ammira, col riposante Parco della Rimembranza, coi suoi ritrovi estivi, costituisce, certo, uno dei settori turisticamente più importanti della città e si può facilmente valutare l’apporto che alla sua valorizzazione, verrà dato con il nuovo, moderno mezzo di comunicazione. (5) La funivia di Posillipo Alto progettata dall’architetto prof. Giulio de Luca fu lasciata in disuso dopo la prima fugace edizione della Mostra nel 1940 ed aveva subito poi gravi danni per l’abbandono e gli eventi bellici. L’edizione del 1953 dell’Oltremare vede ora ricostruito anche quest’ultimo impianto grazie al quale dai Campi Flegrei si potrà raggiungere Posillipo Alto con un percorso di soli 6 minuti. I lavori di ripristino sono stati diretti dall’ingegnere Salvatore Ruiz. La funivia ha uno sviluppo in lunghezza di 1630 metri diviso in tre campate, una delle quali di 970 metri.( si tratta dell’ultima prima di arrivare alla stazione superiore su via Manzoni ). Il dislivello tra la quota della stazione inferiore e quella della stazione superiore è di circa 100 metri. Il servizio della funivia verrà disimpegnato da due vetture. Ogni vettura ha una capacità di 20 passeggeri. La sicurezza del servizio è stata garantita con misure che danno il massimo affidamento. All’indomani della cerimonia inaugurale la funivia inizierà la sua attività. Il fatto che la stazione sorga sulla via Domiziana ( nuovo tramite di comunicazione con Roma ) e quella superiore si trovi in prossimità di una zona notevolmente sviluppatasi negli ultimi anni sotto il profilo edilizio conferisce una vasta funzione di utilità pubblica alla moderna installazione. E averne curato il ripristino va iscritto a merito dei dirigenti della Mostra, i quali nella ricostruzione del complesso non hanno voluto far mancare la rimessa in efficienza di questo importante e utile impianto. (6) Da ieri sera alle ore 18 è nuovamente in funzione la ricostruita funivia Mostra d’Oltremare – Posillipo Alto. Nel corso della cerimonia inaugurale il prof. Luigi Tocchetti presidente della Mostra, ha ricordato le ragioni che inspirarono in origine il progetto della funivia e cioè congiungere una zona turistica come quella di Posillipo con i Campi Flegrei che proprio allora, per la presenza della
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Per un’ipotesi di riqualificazione della funivia Posillipo – Mostra d’Oltremare Il progetto di restauro delle stazioni e dei cavalletti di sostegno delle funi
Mostra tornavano a nuova vita…. Dopo il prof. Tocchetti ha preso la parola il Cardinale Mimmi. Egli pronunciate brevi ed efficaci parole augurali ha benedetto le vetture ed i locali. Quindi la Sig. ra Origo ha tagliato il nastro e la prima vettura con a bordo le maggiori autorità cittadine ha iniziato il suo viaggio inaugurale dalla Stazione dei Campi Flegrei, sotto la ripresa dei televisori R.A.I. Erano presenti alla cerimonia il Dott. Donadoni, in rappresentanza del Prefetto, il Sen. Artiaco, S. E. Petraccone, l’ing. Ivo Vanzi, l’ing. Origo, l’ing. Tortorelli, in rappresentanza dell’Ispettorato della Motorizzazione, l’ing. Borgstrom, l’ing. Adriano Galli, il Vescovo Cerasuoli in rappresentanza di Mons. Castaldi Vescovo di Pozzuoli, i dirigenti dell’Ente Mostra – l’ avv. Giuseppe Russo, segretario generale, l’ing Sasso, capo dell’ufficio tecnico, il dott. Giacomardo, direttore amministrativo e numerosi funzionari…. (7) Estratti dalla relazione descrittiva della funivia e grafici esecutivi degli archivi della Ceretti e Tanfani. (8) LINEA (…) La stazione superiore a quota 144,10 (fune), è situata a valle della strada di Porta Posillipo in posizione che dista solo alcuni minuti di cammino dal grande ponte monumentale del Parco della Rimembranza sul promontorio di Posillipo. La stazione inferiore a quota 40 (fune) è situata nella zone della Mostra, in fregio alla “Strada Sud” e fra questa e la nuova sede della ferrovia Cumana. L’ avan - stazione è posta a cavallo della ferrovia stessa a cui forma così protezione. E’ stato scelto questo tracciato come quello che, permettendo la costruzione delle due stazioni in zone assai opportune per il collegamento fra la Mostra e il Parco della Rimembranza, riduce al minimo le difficoltà di attraversamento di linee ferroviarie e tranviarie ed evita in modo completo il sovrapassaggio di costruzioni esistenti. La planimetria mostra infatti come fra l’altro si passi in posizione intermedia fra la Caserma di Cavalleria e il Poligono di Tiro. Lungo la linea sono disposti in posizione opportuna tre cavalletti in cemento armato sui quali sono montate le scarpe di sostegno delle funi portanti e i rulli
Documenti e materiali di archivio relativi alla funivia
di guida della fune traente e di quella di segnalazione di soccorso. I cavalletti 2 e 3 servono ancora per il sostegno di una rete di protezione in corrispondenza dell’attraversamento della strada di Coroglio e della direttissima Roma – Napoli delle FF.SS. Le funi portanti della funivia, uno per ciascun lato della linea, sono ancorate alla stazione superiore motrice (M) e tese mediante contrappesi alla stazione inferiore di rinvio (R).(…) L’impianto è del tipo con frenatura automatica d’emergenza delle vetture sulla fune portante; vale a dire che nel caso di rottura o di normale diminuzione di tensione nella fune traente o zavorra i freni dei carrelli agiscono automaticamente serrando le mascelle sulla fune portante e rendendo le funi solidali a questa. Nello stesso tempo a mezzo apposito comando posto sui carrelli ed attraverso la fune di segnalazione viene arrestato l’argano. Il moto alternato è comunicato alle vetture dalla fune traente che è fissata a monte dei due carrelli e che si avvolge alla stazione motrice sulle pulegge dell’argano. La fune di zavorra è fissata a valle dei due carrelli stessi e si avvolge alla stazione inferiore sulle pulegge di rinvio montate su telaio a contrappeso, che impartiscono la necessaria tensione iniziale alle funi motrici. Si ha infine la fune di segnalazione destinata a funzionare anche da fune di soccorso. Essa è isolata elettricamente, chiusa in anello e tesa fra la stazione motrice e quella di rinvio. Alla stazione motrice si avvolge sulle pulegge dell’argano di soccorso (completamente distinto dall’argano principale) mentre alla stazione di rinvio si avvolge su apposite pulegge a contrappeso che le impartiscono la necessaria tensione. In condizioni di esercizio normale la fune è ferma e funziona come linea di segnalazione. Essa mediante sistema di rulli isolati posti sui carrelli, è sempre in contatto elettrico con le vetture e serve, oltre che alle comunicazioni telefoniche fra le vetture stesse e la stazione motrice, a trasmettere il comando di arresto dell’argano delle vetture sia automaticamente in caso di rottura della traente che a mano da parte del fattorino. ( …) LA STAZIONE MOTRICE La stazione superiore comprende oltre ai locali destinati a sede d’aspetto e a servizi vari per il pubblico, l’avan - stazione e la stazione propriamente detta.
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L’avan - stazione costituisce la tettoia per il ricovero delle vetture e per l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri. Le vetture scorrono dentro fosse di lunghezza tale da permettere l’arresto in caso di frenatura automatica. Tali fosse impediscono alle vetture ogni movimento laterale. Le funi portanti leviate da apposite scarpe in resina poste nella parte anteriore della stazione propriamente detta, si ancorano mediante morsetti a travi in ferro infisse nel blocco posteriore della stazione stessa, previo avvolgimento su tamburo in cemento armato rivestito in doghe in legno. L’avvolgimento ha lo scopo di ridurre la tensione che deve essere sopportata dai morsetti e di consentire una riserva per far scorrere la fune lungo la linea. L’apparato motore è piazzato nella parte inferiore della stazione. Le funi traente e di segnalazione – soccorso arrivando dalla linea vengono deviate dalle pulegge di ingresso per avvolgersi poi su quelle dei rispettivi argani. L’argano della fune traente è costituito da una puleggia motrice a due gole rivestite di cuoio del diametro di 2500 mm. e da una contro puleggia folle pure a due gole rivestite di cuoio e anch’essa del diametro di 2500 mm. La puleggia motrice è calettata all’estremità dell’albero principale all’altra estremità del quale è calettata una ruota a dentatura diritta che può ingranare con l’uno o con l’altro di due pignoni spostabili rispettivamente su due alberi secondari. Ciascuno degli alberi secondari prende il comando da un riduttore di velocità ad ingranaggi comandato da un motore elettrico asincrono trifase.( …) Una robusta intelaiatura in ferro sostiene gli alberi della puleggia e della contro puleggia nonché i sopporti dei due alberi secondari. L’argano della fune di segnalazione – soccorso è pure del tipo a puleggia e contro puleggia, con gole rivestite di cuoio. Sull’albero principale di questo argano è calettata la puleggia motrice e su questa, mediante accoppiamento a flangia, sono fissate una fascia freno e una ruota a dentatura diritta. Questa ultima ruota ingrana con un pignone calettato su di un albero ausiliario sul quale è pure calettata una ruota dentata che deriva il movimento rispettivamente da uno e dall’altro dei due motori principali. L’accoppiamento con i motori avviene mediante pignoni calettati rispettivamente sull’asse lento dei due riduttori principali e galoppini intermedi sfollabili fra tali pignoni e la ruota dentata.(…)
Documenti e materiali di archivio relativi alla funivia
La stazione motrice è provvista di un posto di comando per il manovratore, così situato da consentire la visione della linea. Ivi si trovano i controllori dei motori elettrici, i comandi dei freni a mano ed automatici, l’indicatore di velocità, l’indicatore di posizione delle vetture, gli apparecchi elettrici di controllo, il telefono per le comunicazioni con le vetture e con la stazione di rinvio. (…) LA STAZIONE DI RINVIO La stazione di rinvio è quella inferiore ed è posta nella zona della Mostra in fregio alla grande strada Sud. Come la stazione motrice essa comprende, oltre ai locali destinati a sale d’aspetto e a servizi vari per il pubblico, l’avan stazione e la stazione propriamente detta. L’avan - stazione che costituisce la tettoia per il ricovero delle vetture e per l’imbarco e lo sbarco dei passeggeri, è costruita al di sopra della linea ferroviaria Cumana così da costituire protezione alla linea stessa. Al piano l’imbarco, dell’avan - stazione sono ricavate le fosse entro cui scorrono le vetture e che impediscono loro ogni movimento laterale. Le funi portanti appoggiano su apposita scarpa all’ingresso della stazione propriamente detta per venire poi leviate su una scarpa a carrelliera del raggio di 7500 mm. e collegarsi in seguito al contrappeso, mediante attacco a testa fusa. La carrelliera è formata da una catena di elementi mobili ciascuno dei quali è costituito da un carrellino a due ruote su cuscinetti a sfere che scorre su due rotaie comuni a tutta la serie di carrellini; la fune si adagia su questi carrellini che portano ciascuno un cuscino di legno duro formando nel loro complesso una superficie di appoggio pressoché continua sulla quale la pressione viene uniformemente distribuita. Il contrappeso di ciascuna fune portante è costituito da una solida intelaiatura in ferri profilati nella quale trova posto la zavorra sotto forma di blocchi di calcestruzzo. Ogni contrappeso è opportunamente guidato da guide in ferro applicate alle pareti della stazione. Le funi zavorra e di segnalazione - soccorso all’ingresso e all’uscita della sala dei macchinari sono leviate di 90° da pulegge di diametro opportuno. Gli apparecchi di tensione di tali funi sono costituiti ciascuno da due pulegge di diametro uguale a quello delle rispettive pulegge di leviazione, montate su un
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telaio che opportunamente zavorrato forma il contrappeso. Tutto il complesso è scorrevole verticalmente lungo apposite guide. I CAVALLETTI Dei tre cavalletti disposti lungo la linea per il sostegno delle funi quelli contraddistinti coi numeri 2 e 3 servono anche per il sostegno della rete di protezione sulla direttissima Roma – Napoli delle FF. SS., sulla strada di Coroglio e sulla strada di Bagnoli. I cavalletti sono costruiti completamente in cemento armato e sulla parte superiore portano montate le grandi scarpe in ferro per il sostegno della fune portante e i rulli di guida della fune traente e di quella di segnalazione – soccorso. Sull’asse di ogni cavalletto è inoltre disposta la piccola scarpa per il sostegno della fune telefonica fra le due stazioni. LE VETTURE Ogni vettura è composta di tre parti: carrello, sospensione, cabina. Il tipo di carrello adottato è quello con frenatura sulla portante. Il freno – come detto nella relazione di calcolo – è contenuto nella cassa centrale del carrello. L’azione del freno si esplica o per comando a mano da parte del fattorino dall’interno della vettura o automaticamente quando la tensione della fune traente e nella fune zavorra scende al di sotto di un determinato limite. Il carrello è provvisto di otto ruote montate a bilanciere così da ripartire il carico totale uniformemente su tutte; esse hanno la gola rivestita di gomma.
Documenti e materiali di archivio relativi alla funivia
Note (1)
Il Mattino, Napoli 3 maggio 1940.
(2)
I Mostra delle Terre Italiane d’Oltremare .Documentario. Mostra d’Oltremare, Na-
poli 9 maggio – 15 ottobre 1940. (3)
Il Mattino, Napoli 12 maggio 1940.
(4)
Giornale Luce C0035 del 23/05/1940.
(5)
Il Mattino, Napoli 20 giugno 1953.
(6)
Il Mattino, Napoli 1 luglio 1953.
(7)
Il Mattino, Napoli 5 luglio 1953.
(8)
Relazione descrittiva, 29 febbraio 1952 dall’Archivio della CERETTI & TANFA-
NI, Milano
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Bibliografia Tematica
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