Politecnico di Torino FacoltĂ di Architettura II Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione Territoriale, Urbanistica e Ambientale A.A 2008-2009
Tesi di Laurea
La capitalizzazione delle esperienze di progettazione integrata territoriale in Sicilia
Relatore: Prof. Cristiana Rossignolo Correlatore: Prof. Ignazio Vinci
Candidata: Caterina Daniela Impastato
Indice
Introduzione PARTE PRIMA Politiche di sviluppo nel Mezzogiorno e territorialità
La svolta degli anni Novanta: la territorializzazione delle politiche di sviluppo in Italia 1. L’orientamento territoriale delle politiche comunitarie 1.1 Le prime tappe della regionalizzazione delle politiche comunitarie 1.2 Il consolidarsi della politica di coesione comunitaria: dall’Atto unico alla nuova programmazione 2000-2006 2. Le premesse del cambiamento nel contesto nazionale 2.1 L’esperienza della programmazione negoziata 2.2 I fondamenti teorici della «Nuova programmazione» 2.3 La dimensione territoriale nella programmazione dei fondi strutturali 2000 - 2006 e l’introduzione dei PIT 2.4 Le lezioni della nuova politicha di sviluppo 2.5 La strategia della programmazione 2007-2013 3. Il dibattito sullo sviluppo locale in Italia 3.1 Un altro punto di vista: l’approccio territorialista allo sviluppo
PARTE SECONDA Dalla teoria alla pratica: l’esperienza della progettazione integrata territoriale in Sicilia
1. Metodologia della ricerca 2. La stagione della progettazione integrata in Italia 2.1 I PIT nei documenti di programmazione 2000-2006 2.2 Un quadro di insieme 2.3 I modelli di territorializzazione e di gestione delle Regioni Obiettivo 1 3. I Pit in Sicilia 3.1 Le caratteristiche del modello siciliano 3.2 La lettura trasversale del bando di selezione dei PIT della Regione Sicilia 3.3 Confronto con la programmazione 2007-2013 4. L’analisi critica di alcuni progetti 4.1 La lettura ex-post della dimensione territoriale 4.2 La costruzione della griglia di lettura 4.3 La scelta dei progetti 4.3.1 PIT 19 Alto Belice Corleonese 4.3.2 PIOS 20 Valle dell’Ippari
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4.4 4.5
4.6 4.7 4.8
4.3.3 PIT 33 Nebrodi Lezioni di continuità: i PIT come tracce di un percorso di sviluppo territoriale Quanto territorio e quanta integrazione: un rapporto dei tre casi studio 4.5.1 Alto Belice Corleonese: una “costruzione artificiale” 4.5.2 Dal PIOS Valle dell’Ippari alla Pianificazione Strategica 4.5.3 PIT Nebrodi: il Parco coordina Partnership a diverso spessore Quadro normativo – istituzionale, governance e progettazione locale Verso la pianificazione strategica
Conclusioni Bibliografia Allegati
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La capitalizzazione delle esperienze di progettazione integrata territoriale in Sicilia
Introduzione Gli anni Novanta in Italia hanno rappresentato un banco di prova per la sperimentazione di politiche di sviluppo per il Mezzogiorno basate sull’azione endogena dei territori. Durante questa stagione le politiche intraprese per lo sviluppo delle aree del Sud Italia sono state sottoposte ad una profonda revisione che ha portato all’adozione di strategie e di strumenti improntati sulla territorializzazione dello sviluppo, ovvero sull’instaurazione di azioni di sviluppo locale condivise che nascono al livello dei territori, in cui soggetti locali interagiscono, rivestono nuove responsabilità e valorizzano risorse e specificità dei luoghi. Ciò che ha caratterizzato questa fase di riflessione sulle politiche di sviluppo e sugli strumenti è un riacceso interesse per il territorio, riconoscibile attraverso l’introduzione di nuove parole chiave: approccio “bottom-up” allo sviluppo, la centralità del territorio, la concezione multidimensionale, integrata e intersettoriale delle politiche, la negoziazione fra gli attori e la contrattualizzazione formale dei diversi interessi presenti (Governa 2008). Il superamento della Cassa per il Mezzogiorno1 ha segnato, non solo simbolicamente, un passaggio fondamentale tra politiche per concezione nettamente diverse, sostituendo man mano l’azione di natura fortemente centralizzata dello Stato e una modalità di finanziamento degli investimenti “a pioggia”, con politiche per la promozione dello sviluppo locale volte alla valorizzazione della dimensione territoriale. Il nuovo approccio, ha rappresentato a tutti gli effetti una modalità alternativa di affrontare la Questione meridionale, un passaggio forte che ha segnato peraltro il cosiddetto “rientro in agenda” (Donolo, 2002) dopo anni di intervento straordinario con i relativi effetti distorsivi che questo approccio ha avuto per le economie e le società meridionali. Queste politiche, quindi, assumono un significato particolare per il Mezzogiorno, perché nelle regioni del Sud concentrano i maggiori sforzi finanziari e sono investite da una specifica missione generale di promozione diffusa dello sviluppo. Con la fase di programmazione dei Fondi comunitari per il periodo 2000-2006 si è formalizzato questo nuovo modello di programmazione territoriale coinvolgendo le sette Regioni Obiettivo 1 del Mezzogiorno in un profondo processo di sperimentazione. In realtà, oggi, è accesa una discussione critica sulle politiche di promozione dello sviluppo locale per il Mezzogiorno, che è ancora del tutto aperta nella fase di transizione tra i periodi di programmazione 2000-2006 e 2007-2013, in cui si rimette in discussione l’intero impianto che ha caratterizzato le politiche di questa stagione a causa di un effettivo parziale raggiungimento degli obiettivi. Si assiste dunque ad un indebolimento di quel ripensamento dell’azione politica e delle tracce del 1
La Cassa per il Mezzogiorno era l’istituzione straordinaria dello Stato che ha guidato la strategia di sviluppo per il Mezzogiorno dalla sua istituzione nel 1951 fino alla sua abolizione nel 1992. La sua azione era basata su politiche assistenzialistiche tramite finanziamenti “a pioggia” e principalmente rivolta alla infrastrutturazione e industrializzazione del Sud.
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rinnovamento culturale intorno sullo sviluppo “dal basso”. La causa di questa crisi è data dai risultati inferiori alle attese che le politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno hanno ottenuto in termini di riduzione del divario tra il Nord e il Sud, ancora persistente nonostante l’imponente impiego di risorse pubbliche. Ad alcuni anni dalla conclusione di questa stagione di sperimentazione, si è avviata una fase di valutazione dei risultati che ha alimentato il dibattito ancora in atto in Italia e che vede schierarsi autori su posizioni contrastanti (Barca, 2006; Rossi, 2005, 2007; Viesti, 2003, 2007; Donolo, 2002, 2008). Un excursus sulle diverse posizioni sostenute rivela un diverso approccio al problema da parte degli autori, e lascia emerge oltre tutto anche un diverso modo si vedere il Sud, da territorio omologato a fonte di innumerevoli diversità. In un breve accenno, nella visione scettica (Rossi), dato l’elevato impiego di risorse pubbliche rispetto ai risultati ottenuti si auspica l’interruzione di questa strategia in quanto fonte di eccessivi sprechi di fronte ad un persistente divario che si registra tra il Nord e il Sud. E di fronte soprattutto all’impossibilità di definire strategie di sviluppo coerenti ed efficaci attraverso le azioni dei governi locali, contro una più decisa manovrabilità dall’alto. Posizioni più propositive ritengono invece che la strada intrapresa rappresenti un vero e proprio punto di svolta e che sia da continuare nella prospettiva futura delle politiche di sviluppo, mantenendo dunque continua e ordinaria la sperimentazione avviata negli ultimi anni. Le acquisizioni dei governi locali, che pur vengono mese in dubbio, hanno un peso maggiore rispetto ad alcuni risultati discutibili e soprattutto i processi sono lunghi per potere approntare una valutazione credibile. E stato un totale fallimento? Bisogna ritornare ad una gestione centralizzata delle politiche? Il governo locale al Sud non è credibile? Oppure si è giunti ad vero e proprio punto di svolta da cui ricominciare? Le critiche alla precedente stagione di promozione dello sviluppo autoindotto hanno messo fortemente in crisi il ruolo delle politiche di sviluppo locale sperimentate nel Mezzogiorno e indebolito le prospettive di una nuova stagione di sviluppo “dal basso” soprattutto in un momento in cui si prestava ad essere formalizzata la nuova fase di programmazione dei Fondi Strutturali 2007-2013. Una valutazione più ampia, che all’insieme delle esperienze di programmazione negoziata e di progettazione integrata passate, lascia emergere diverse acquisizioni socio-istituzionali oltre ai suddetti limiti. I cambiamenti sono tanti, i soggetti locali si sono trovati a doversi confrontare tra di loro e a confrontarsi con le politiche di sviluppo, ad assolvere ruoli di responsabilità e maggiore autonomia. Si è assistito al consolidamento e all’apprendimento di competenze e pratiche e alla costruzione di nuove forme di governo multilivello che hanno coinvolto i governi locali in processi di sviluppo a livello globale. A questo punto riprendere il discorso da “zero”, come alcuni autori suggeriscono2, vorrebbe dire non raccogliere questa eredità accumulata, o peggio ancora attribuire alle regioni del Sud l’incapacità di non aver raggiunto gli esiti sperati per una incompetenza tutta meridionale di non riuscire a fare buone pratiche. In realtà sappiamo che le pratiche al Sud come al Nord possono essere sia positive che negative (Viesti, 2007), e che è necessario partire da quello che si è realizzato per fornire spunti utili alla nuova programmazione 2007-2013. 2
In particolare la posizione di N. Rossi è estremamente critica sulla programmazione 2000-2006 per il Mezzogiorno vedi N. Rossi (2005).
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Rintracciare le redici dell’affermazione del nuovo approccio adottato necessita di indagare alcuni cambiamenti nelle condizioni di contesto sia a scala europea che nazionale. Il riferimento è sia al generale processo di ridefinizione degli assetti istituzionali avviato alla fine degli anni’80 rivolto alle decentralizzazione delle competenze in linea con il principio di sussidiarietà3, sia al ruolo di sperimentazione dell’Unione Europea nella promozione di politiche territoriali e urbane che aprono nuove prospettive al livello locale. Sotto l’azione delle nuove condizioni politicoistituzionali verificatesi simultaneamente in Europa e in Italia, infatti, anche nel nostro paese è mutata la percezione del contesto locale portando all’apertura di una prospettiva incentrata sulla dimensione territoriale delle politiche. L’Unione Europea ha rivestito un ruolo decisivo nel cambiamento, fattori come il consistente dispiegamento di risorse e l’influenza che i programmi e i fondi comunitari, hanno contagiato le pratiche territoriali nazionali e ne hanno costituito l’imprinting culturale. Si è assistito ad una graduale istituzionalizzazione di strumenti per l’attuazione dello sviluppo locale in ambiti diversi, dai programmi urbani complessi agli strumenti della programmazione negoziata4, fino a consacrare la così detta «Nuova programmazione» come occasione per sperimentare diffusamente e in maniera organica i nuovi orientamenti. Il tema dello sviluppo locale in quegli anni, infatti, non era solo al centro di un dibattito teorico, ma ha influenzato ampiamente le politiche e le pratiche che hanno richiamato spesso il territorio e la territorializzazione delle azioni nei documenti. L’impostazione data al nuovo metodo di programmazione per il periodo 2000-2006 più che in altre esperienze si basava sulla dimensione territoriale seguendo gli orientamenti dei regolamenti comunitari per quel periodo di cui tra l’altro se ne enfatizzavano i caratteri nel caso italiano. La strategia pensata per le regioni meridionali avrebbe dovuto innescare una “rottura”, un inversione di tendenza degli andamenti, portando ad una modifica permanente del contesto, attraverso “l’obiettivo strategico di attirare e trattenere nell’area (aumentandone la convenienza) le risorse mobili (capitale e lavoro specializzato e imprenditoriale), attraverso la valorizzazione permanente delle risorse immobili (la terra, le tradizioni, il patrimonio naturale e 3
La fase di decentramento avviata in Italia con le Leggi Bassanini (legge-delega n. 59/1997 e successivo decreto legislativo n. 112/1998) è conseguenza del recepimento del principio di sussidiarietà introdotto con il Trattato sull’Unione Europea nel 1992 (secondo questo principio le strutture amministrative sovraordinate devono occuparsi solo delle funzioni che non possono essere svolte al livello locale svolgendo quindi una funzione sussidiaria). 4 Un esempio di questo rinnovamento è rappresentato dalla diffusione degli strumenti della programmazione negoziata. Con questa stagione si segna il superamento dell’orientamento delle politiche di tipo assistenziale e man mano la nascita di un processo di graduale istituzionalizzazione dello sviluppo locale che, nonostante i suoi limiti, per mezzo di nuovi strumenti e metodologie di promozione dello sviluppo si è validato fino ad avere il suo picco nella programmazione dei fondi strutturali per il periodo 2000-2006. Gli strumenti di programmazione negoziata sono stati pensati per accompagnare il superamento dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. La L. 662/96 li definisce come “l'accordo, promosso da enti locali, parti sociali, o da altri soggetti pubblici e privati relativo all'attuazione di un programma di interventi caratterizzati da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale”. Gli strumenti specifici della programmazione negoziata sono: le intese istituzionali di programma, gli accordi di programma quadro, i patti territoriali, i contratti di programma, i contratti di area e i progetti integrati territoriali.
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culturale, le risorse legate alla posizione geografica, il capitale umano fortemente localizzato)”5, attribuendo responsabilità ai soggetti locali nella piena attuazione del principio di sussidiarietà e del decentramento. La scelta compiuta portò ad affidare la massima rilevanza strategica alla progettazione integrata territoriale come modalità privilegiata di attuazione del Quadro Comunitario di Sostegno per le regioni dell’Obiettivo 1, lo stesso li definiva come « un complesso di azioni intersettoriali, strettamente coerenti e collegate tra di loro, che convergono verso un comune obiettivo di sviluppo del territorio e giustificano un approccio attuativo unitario»6. I PIT7 sono stati chiamati a “territorializzare” la programmazione dei Fondi strutturali europei. L’esperienza è stata di grande impatto, sette regioni del Sud hanno investito un terzo delle risorse finanziare da programmare nel quadro dei Programmi Operativi Regionali (POR) sull’implementazione di 1588 Progetti Integrati Territoriali identificati. Integrazione e riferimento territoriale sono i principi alla base dell’intera esperienza che affidava ai PIT la ricomposizione di un attuazione unitaria di azioni provenienti da assi e misure diverse e che dovevano essere riferiti a precisi ambiti territoriali e a specifiche risorse ambientali, sociali, culturali ecc. Entrando nel merito di questa grossa sperimentazione una lettura critica delle esperienze intraprese deve guardare alle diverse cause che hanno portato ad un parziale risultato. Prima di tutto esistono dei problemi legati alle pratiche, un limite intrinseco nella stessa possibilità di istituzionalizzare lo sviluppo locale e di trasferire modelli di successo da luogo all’altro, poca chiarezza teorica su cosa rappresenta un processo di sviluppo locale e su come il territorio viene inteso, difficoltà delle amministrazioni chiamate a delineare un sentiero di sviluppo (Governa, 2008). Si toccano infatti numerosi aspetti, che vanno analizzati, contestualizzati e trattatati congiuntamente per poter restituire un quadro il più possibile vicino alla realtà dei contesti locali.
Obiettivi della ricerca Il salto logico che si effettua alla luce delle numerose questioni da affrontare, è quello che i PIT rappresentano una cartina tornasole dello stesso risultato della politica di sviluppo nel quadro della programmazione 2000-2006. Il presupposto su cui verte questa indagine è che un processo di sviluppo come quello intrapreso per mezzo dei PIT ha sicuramente condotto ad esiti che vanno letti in maniera critica. Sicuramente con risultati differenziati nelle diverse regioni e nei diversi territori, in alcuni casi di successo l’esperienza dei PIT ha contribuito ad affermare la tendenza verso una lettura integrata delle risorse e verso la costruzione di un sistema di governance locale efficace (Vinci, 2006) evidenziando la presenza di 5
Piano Strategico del Mezzogiorno pag. 72. QCS pag. 246 7 I PIT possono essere considerati gli strumenti che chiudono il cerchio della programmazione negoziata e dei programmi complessi, rappresentano la naturale prosecuzione dei Patti territoriali, ma allo stesso tempo presentano sostanziali differenze e rientrano nel quadro della programmazione comunitaria 2000-2006 anche nel finanziamento. 8 Dati Formez. 6
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un interessante e vivace quadro della progettazione intercomunale. Un giudizio che ovviamente necessità di essere scomposto nei suoi criteri e che deve guardare anche alla prospettiva temporale degli effetti che permangono. Perché intraprendere adesso un’indagine sulla Progettazione Integrata Territoriale? Quella dei PIT è sicuramente un esperienza di grande interesse nel quadro del rinnovamento degli strumenti di sviluppo avviato in Italia che seguono i principi e gli obiettivi della programmazione 2000-2006. In un certo senso sono considerati come gli ultimi progetti sperimentati rivolti alla integrazione di un approccio economico e uno di sviluppo locale, e il terreno sul quale si gioca il destino dell’esperienza della nuova programmazione italiana e della stagione di politiche di sviluppo avviate negli anni Novanta (Pasqui, 2003) e per questo motivo fortemente caricati di aspettative. Ma sono anche e prima di tutto strumenti che permettono di mettere in moto e in rete soggetti, risorse, che impegnano le amministrazioni in azioni rinnovate e condivise rispetto alle prassi ordinarie, inducono all’apprendimento e alla creazione di valore aggiunto sotto diversi aspetti. In una fase temporale in cui l’esperienza può considerarsi conclusa, in cui i progetti per l’appunto sono in fase di attuazione e completamento, è possibile fare un bilancio in chiave territoriale di cosa ha lasciato nei contesti locali che si sono cimentati nei progetti di territorio. La lettura che si è intrapresa è stata guidata da una serie di domande: E’stato solo spreco e uso opportunistico di risorse finanziarie, oppure il riferimento al territorio posto al centro della politica di sviluppo in questione ha dato qualche risultato? Come si sono comportate le amministrazioni locali e le regioni impegnate nella sperimentazione, è cambiato qualcosa nel loro modo tradizionale di operare? E il territorio è stato interpretato opportunamente? E infine la questione che ha guidato l’impostazione metodologica dell’analisi: esiste un modo per rispondere a queste domande distaccandosi per un momento dalle retoriche con cui il tema viene trattato sia dagli operatori che dagli studiosi delle politiche di sviluppo territoriale? La scelta è ricaduta sia sulla ricostruzione teorica dell’esperienza, sia sull’analisi pratica di alcune realtà che hanno affrontato l’esperienza dei PIT. Per raggiungere questo obiettivo si è scelto di effettuare una rilettura in chiave territoriale di alcuni Progetti Integrati Territoriali attuati in Sicilia. Alla luce di queste riflessioni si è deciso di incentrare la ricerca sull’esperienza della progettazione integrata territoriale in una delle regioni Obiettivo 1, la Sicilia, in una fase in cui si avvia al completamento ed è possibile trarre importanti elementi di valutazione per capire cosa può aver significato per una delle regioni che ha speso più energie e risorse in questo processo. La verifica è rivolta alla constatazione di alcuni effetti dati dagli esperimenti compiuti, ad esempio verificare se sono stati in grado di generare un rinnovamento nelle pratiche, se hanno consentito la generazione di processi creativi, se hanno generato capitale sociale da spendere nelle trasformazioni territoriali. In altre parole si entrerà nel merito delle trasformazioni che la programmazione 2000-2006 si auspicava di avviare, toccando il caso pratico di una regione meridionale. Le risorse immobili che l’obiettivo strategico del PSM si prefiggeva di valorizzare possono essere considerate come il “capitale territoriale” di un area, quindi un progetto è “territorializzato” se punta alla valorizzazione delle risorse date, e la misura della sua territorializzazione è data dal “valore aggiunto territoriale” prodotto sia dalla
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trasformazione in valore di risorse immobili potenziali, sia dall’accrescimento di risorse mobili e immobili di un territorio (Dematteis, 2003). L’ipotesi di partenza è che i contesti locali, i comuni chiamati a interagire e ad attivarsi, abbiamo appreso da questa stagione di cambiamenti. L’esperienza è sicuramente segnata da aspetti positivi e negativi, che in parte sono già emersi dalle valutazioni parziali dei risultati forse di tipo più quantitativo, in questa sede vogliamo concentrarci sugli aspetti qualitativi. E’ sull’incremento del capitale territoriale dei luoghi, sulla creazione e valorizzazione di risorse latenti che vengono spese e rese disponibili nel processo di sviluppo grazie alla rete degli attori formatasi nel luogo e alle esperienze che questi hanno maturato attraverso i PIT che si concentrerà l’indagine. L’utilità di questa valutazione critica ha senso soprattutto per la possibilità di trovare elementi che contribuiscono a rendere continue le esperienze di sviluppo in corso, per capire quali sono i presupposti per la futura programmazione partendo dai difetti riscontrati nelle pratiche, nelle interpretazioni dei significati e nella gestione amministrativa da parte dei soggetti locali. Quello che infatti si considera in questa indagine come “capitale” è la chiave, non è il risultato, la misura della riuscita del processo di sviluppo, è bensì il punto di partenza, la risorsa per l’azione (Palermo, 2003). Considerando un processo di sviluppo in un orizzonte temporale più lungo l’effetto positivo è dato dalla capacità dei soggetti, degli attori locali di non lasciar deperire il bene accumulato o il “capitale”, ma reinvestirlo proprio come si intende nel linguaggio economico. A questo punto non sarà solo compito dei governi locali spendere energie per il raggiungimento degli obiettivi, ma sarà anche compito dei governi regionali e nazionale di dare continuità e credibilità a quello che si fatto, in poche parole di credere nel modello e riproporlo apportando le necessarie correzioni.
Articolazione della ricerca Parte prima La prima parte dell’elaborato si è incentrata sulla dimensione nazionale italiana dell’esperienza. Inizialmente si propone una ricostruzione del quadro di contesto a livello comunitario e nazionale che hanno favorito le nuove acquisizioni. Si pone l’obiettivo di contribuire a ripercorrere le principali tappe della riflessione sullo sviluppo locale attraverso l’individuazione dei momenti di rottura nella concezione dello sviluppo locale. Si descrivono le strategie e gli obiettivi della linea politica proposta per il Mezzogiorno ricostruendo il ragionamento critico sulle politiche di sviluppo locale che hanno portato all’affermazione della territorialità come approccio alla base della programmazione 2000-2006. Si procede attraverso l’analisi dei principali documenti di programmazione e seguendo le fila del dibattito portato avanti negli ultimi anni da autori che appoggiano posizioni contrastanti in merito. Successivamente si sono aggiunti nuovi elementi all’analisi a partire da una riflessione che rimette in discussione il ruolo e il significato dello sviluppo locale. Data la scarsa chiarezza che ruota attorno a termini come sviluppo locale e territorio all’interno dei documenti ufficiali, si cerca di individuare il ruolo della dimensione
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territoriale nei processi di sviluppo facendo riferimento alla lettura territorialista dello sviluppo locale (Dematteis, Magnaghi). Parte seconda La seconda parte si focalizza sull’esperienza pratica della progettazione integrata territoriale siciliana seguendo un percorso logico di approfondimento. Prima di tutto si ricostruisce il quadro della stagione della progettazione integrata in Italia attraverso la descrizione di alcuni temi generali per poi concentrare l’interesse sui PIT in Sicilia. Successivamente, passando quindi dalla teoria alla pratica, si valuta l’esperienza dei PIT nella Regione Sicilia a partire dalla lettura del bandi Bando Regionale per la selezione dei progetti. Da una prima lettura trasversale si sono individuate le parole chiave per un interpretazione che parte dalle richieste dei documenti nazionali e regionali che ha permesso di costruire delle linee guida per la valutazione da utilizzare anche nel confronto con i nuovi obiettivi proposti nella programmazione per il periodo 2007-2013. Si effettua quindi una prima valutazione analitica dei contenuti del bando, per chiarire quali sono state le richieste di partenza della Regione nei confronti dei territori da attivare per permettere successivamente, guardando ai territori locali, di capire se sono stati in grado di affrontare le richieste regionali e costruire uno schema di lettura in grado di allontanarsi da una lettura acritica e retorica. A partire da questo punto si analizzano alcune esperienze concrete di PIT anche attraverso una serie di interviste rivolte ad attori qualificati. La scelta dei PIT da analizzare è ricaduta su tre esperienze molto diverse: PIT Nebrodi, PIT Alto Belice Corleonese e PIOS Valle dell’Ippari.
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"malato
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