Alla ricerca del gene perduto

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Alla ricerca del gene perduto - La scienza è straordinaria. Lo è per la portata delle scoperte che ha raggiunto e che raggiungerà ancora per l’umanità e perché lavora nel solo e inviolabile interesse di tu; noi. Lo è per il suo metodo che impone il tacito ma non negoziabile impegno a raccontare le cose che si scoprono così come sono, a>enendosi alla prova dei fa;, lontani da interessi di parte e manipolazioni. Lo è perché parla di trasparenza e accessibilità ai da@ e perché insegna l’importanza di essere ones@ e rigorosi, nei confron@ del proprio lavoro e di quello degli altri. Ma la scienza è straordinaria anche perché perme>e di verificare la forza e il coraggio delle idee, compreso quello di acce>are il fallimento quando l’idea è sbagliata. Ma ciò che amo veramente della scienza è la sua insopprimibile libertà che tale deve essere per tu;, affinché ogni idea razionale e teorizzabile possa essere messa a confronto per vedere emergere la migliore, nell’interesse della colle;vità. Non riuscirei a vivere da scienziato senza rivendicare, ogni giorno, il diri>o a questa libertà che altro non è se non l’impegno nel ricercare per conoscere e, poi, sperare di curare e di porre ogni mia idea, insieme ad ogni altra, nell’arena della sfida conosci@va su quel che è ancora ignoto. Studiando una mala;a, questa libertà mi ha portato a viaggiare nel tempo, per vedere cose accadute milioni di anni fa, potendole oggi addiri>ura studiare. Ed è proprio in questo viaggio nel tempo, alla caccia di un gene e delle sue le>ere, che voglio accompagnarvi. Si tra>a di un viaggio lungo 800 milioni di anni. È il viaggio che il gene mutato che causa la Corea di Hun@ngton, mala;a gene@ca degenera@va che studio da oltre vent’anni, ha fa>o per arrivare fino a noi. Dapprima quel gene non con@ene le le>ere che provocano la mala;a. Poi, durante l’evoluzione, quelle le>ere compaiono e diventano sempre più numerose ma, entro un limite soglia, non sono dannose. Nel malato superano quel limite soglia. Come conseguenza, muoiono i neuroni della corteccia e del corpo striato, cioè delle aree celebrali che controllano il movimento e alcune funzioni cogni@ve. Si tra>a perciò di un viaggio sicuramente doloroso, perché racconta della sofferenza di migliaia di persone (in media si parla di un individuo malato ogni 10mila persone in Europa e nel con@nente americano) - mol@plicato per le famiglie che spesso finiscono per essere l’unico sostegno per il malato. Ma è anche un viaggio enormemente importante perché quel gene ci accompagna lungo tu>a l'evoluzione umana e con quelle sue le>ere, evidentemente importan@ ma pericolose, ci indirizza, forse, verso nuove conoscenze dello sviluppo e della funzione del sistema nervoso fino alla speranza di capire le origini della mala;a. Questo viaggio ha tan@ protagonis@, anche molto lontani fra loro, nel tempo e nello spazio. Voglio iniziare da Nancy Wexler, una neuropsicologa pioniera degli studi sull’Hun@ngton e presidente dell’Hereditary Disease Founda0on. Nancy, nel 1978, raccolse 58 scienzia@ da tu>o il mondo e da is@tu@ differen@ e li invitò a seguirla in Venezuela alla ricerca del gene che causa l’Hun@ngton. E precisamente sul lago Maracaibo, nel villaggio in cui agli inizi del 1900 visse un'altra donna che ha un ruolo fondamentale in questa storia: Maria Concep@on Soto. Sembra, infa;, che sia stata una sorta di capos@pite della mala;a in quell’area e che, a par@re da lei, il gene malato si sia poi diffuso nella zona arrivando a interessare fino a ven@mila discenden@. Ancora oggi, quel villaggio è uno dei pos@ con più alta densità di mala@ di Hun@ngton del mondo: se>e individui su mille sono colpi@ dalla mala;a. Tu>o parte, quindi, dall'invito di Nancy, da un suo "Let's go to Venezuela!" e da un'idea che si rivelò essere quella giusta. Nancy riuscì a conquistare prima la fiducia di quei colleghi che la seguirono in un’impresa quasi al buio, in un posto veramente lontano da ogni ro>a, ma con un'incredibile concentrazione di mala@ che vivevano segrega@ da ogni civiltà – come purtroppo succede ancora oggi. Poi Nancy conquistò anche la fiducia degli abitan@ del villaggio che si resero disponibili ai prelievi perché, spiegò, lo studio del loro sangue e del loro Dna avrebbe permesso di iden@ficare la causa della mala;a che provocava quei movimen@ così scompos@. Tra i gene@s@ coinvol@ da Nancy c’erano anche David Housman, Jim Gusella, Marcy MacDonald di Boston. Anche loro regalano un contributo immenso a questa storia straordinaria con un’idea: “tagliare” il Dna raccolto sul lago Maracaibo con opportuni enzimi di restrizione (forbici) che riconoscono sequenze-le>ere

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specifiche, per poi confrontare i frammen@ o>enu@ da persone sane con quelli di persone malate per cercare un frammento (quindi un taglio) che si presenta associato ai sintomi di mala;a. Questo avrebbe significato che quel frammento provocato da quell’enzima è “vicino” alla zona in cui è localizzato il gene malato. Non una cosa facile, sopra>u>o allora. I colleghi di Boston u@lizzarono degli enzimi di restrizione – ma ne avevano pochissimi disponibili a quei tempi - per “tagliare” il Dna, poi iniziarono a cercare frammen@ che si ripresentassero nelle persone che mostravano i sintomi della mala;a. E lo trovarono! Era il 1983 quando riuscirono a riconoscere un frammento di Dna che “co-segregava” sempre con la mala;a. Significava avere messo una “bandierina” che marcava l’area prossima al gene responsabile della mala;a. In altre parole, lungo un’autostrada che passa per l’intera Europa, significava comprendere che il gene era localizzato tra Zurigo e Milano. Ma dove esa>amente? Per la scoperta del punto esa>o e quindi del gene servirono altri dieci anni. Nel 1993, infa;, si scoprì che esso si trova all’apice del cromosoma qua>ro e con@ene tre le>ere CAG (i nucleo@di citosina, adenosina, guanina) che si ripetono un certo numero di volte, CAGCAGCAGCAG…. Tu; noi abbiamo quel gene ma nella forma sana quella triple>a CAG è presente fino a un massimo di 35 volte, mentre oltre le 36 causerà, purtroppo, la mala;a. Nel nostro laboratorio all’Università Statale di Milano abbiamo iniziato a studiare questo gene nel 1995. Abbiamo pensato che se abbiamo quel gene sano nel nostro corpo servirà a qualcosa. È stata questa l’idea che ci ha portato a scoprire nel 2001 che quel gene, nella sua versione sana, s@mola la produzione di una neurotrofina che si chiama BDNF, importan@ssima per i nostri neuroni striatali, cioè per gli stessi neuroni che muoiono nell’Hun@ngton. Il gene malato, invece, al contrario provoca una riduzione di BDNF. Se ne perde il 50%. Questo vuol dire che il gene sano ha un ruolo fondamentale nelle aree celebrali colpite dalla mala;a. Ma in laboratorio ci siamo chies@ anche perché l’evoluzione abbia conservato in tu; noi questo gene sano nonostante il rischio che, nelle generazioni future, le ripe@zioni di CAG potessero superare la soglia limite di 35 e causare la mala;a. E per trovare la risposta abbiamo iniziato a cercare l’origine del gene andando indietro nel tempo, convin@ che la sua storia evolu@va ci avrebbe raccontato di più di lui e aiutato a trovare una risposta. Così abbiamo conosciuto un altro importante protagonista di questa storia: il Dictyostelium. Un'ameba che nasce 800 milioni di anni fa e rappresenta il primo organismo pluricellulare che compare sulla terra (prima di lei, nell'evoluzione, c'era il lievito che è un organismo unicellulare). È a questo punto dell’evoluzione che compare anche il gene dell'Hun@ngton, anche se ancora privo delle le>ere CAG. Successivamente al Dictyostelium l’evoluzione si è divisa in due rami: i protostomi (inse;, formiche, molluschi, api) e i deuterostomi, da cui hanno origine i vertebra@ cioè i mammiferi, i prima@ e, infine, l’uomo. In entrambi i rami con@nuiamo a trovare il gene ma no@amo che è solo nel ramo dei deuterostomi che compare il CAG nel gene. La prima volta è nel riccio di mare. Il gene Hun@ngton nel riccio di mare con@ene due CAG ripetu@, CAGCAG, in quel punto del gene. Il riccio di mare, tra l’altro, è molto importante nella storia dell’evoluzione perché per la prima volta in esso compare anche un anello primi@vo di sistema nervoso. Abbiamo studiato il Dna di specie via via più evolute perché abbiamo iniziato a chiederci se ci fosse una qualche relazione tra il numero di triple>e, cioè di CAG, e l’evoluzione del sistema nervoso. Perché l’evoluzione non fa passi falsi: tramanda solo le le>ere che hanno un vantaggio per la specie. Siamo arriva@ così all’anfiosso, un animale marino. Siamo le>eralmente anda@ a pescarlo in Florida perché è lì che vive, in buche scavate nella sabbia. Dallo studio del suo Dna è arrivata una nuova conferma: il CAG non è scomparso e il sistema nervoso si è evoluto. L’anfiosso, infa;, è la prima specie nell’evoluzione ad avere un sistema nervoso cefalizzato, cioè localizzato, così come il nostro, nella parte anteriore.

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E così a seguire: nel pesciolino zebra abbiamo trovato qua>ro CAG, il topo ne ha se>e, la pecora dieci e la scimmia circa 15. L’uomo ha tra le 9 e le 35 triple>e. Più con@nuavamo a viaggiare nel tempo, avvicinandoci all’uomo, più il sistema nervoso si evolveva e di pari passo aumentava il numero di CAG. Il gene sano nell’uomo, poi, è polimorfico, vale a dire che il numero di triple>e CAG nel gene varia da individuo a individuo, appunto tra 9 e 35. Uno studio di colleghi tedeschi ha inoltre pubblicato uno studio di risonanza magne@ca nucleare condo>o su circa 300 individui sani per il gene dimostrando che, coloro che hanno un numero maggiore di CAG nel gene sano hanno anche più materia grigia in una zona basale del cervello. I nostri interroga@vi hanno iniziato a farsi sempre più puntuali: la presenza del CAG nel gene è forse stata necessaria per la comparsa e/o l’evoluzione del sistema nervoso? C’è qualche correlazione funzionale tra il numero di CAG e la funzione del sistema nervoso? È possibile che questa tragica mala;a si sviluppi per il con@nuo tenta@vo dell’evoluzione di compiere ancora qualche passo per creare, con più CAG, il “prossimo” sistema nervoso ancora più funzionale? Su queste basi, un’ipotesi che s@amo studiando è che i mala@ di Hun@ngton siano oggi i protagonis@ sfortuna@ di un’evoluzione ancora in divenire, che mira ad aggiungere sempre più CAG nel gene, e certamente non portatori di uno “s@gma” che per tan@ anni ha significato vergogna, isolamento e incomprensione. Ma non esiste ancora un tra>amento per questa mala;a. Nel nostro laboratorio, come in mol@ altri nel mondo, lavoriamo in tante direzioni con la speranza che possa arrivare il giorno in cui nessuno morirà più di Hun@ngton. Il silenziamento genico, le strategie per ridurre gli aggrega@, per proteggere i neuroni e le possibilità del trapianto cellulare sono strade messe in campo da anni e che cominciano a dare alcuni risulta@ sperimentali importan@ in modelli animali di mala;a. Il silenziamento genico, in par@colare, sperimentato con successo in animali di piccola e grossa taglia è ora già in sperimentazione clinica nell’uomo. É un primo tenta@vo, ma una seconda generazione di molecole per silenziare il gene malato sono già in proge>azione e studio. La storia della ricerca sulla mala;a di Hun@ngton e il viaggio nel tempo di quel gene an@co che giunge a tu; noi, ci raccontano come la sola idea di poter vincere sfide impossibili riesca a dare forza e dignità a una mala;a e a coloro che ne soffrono. Non molto tempo fa ho ascoltato pronunciare da un caro amico inglese, Tom Isaacs, colpito molto giovane da un’altra terribile mala;a neurodegenera@va, il Parkinson, queste parole: “un giorno saremo capaci di dire “avevo” il Parkinson”. É verso questo obie;vo che procedo anch’io nel mio campo di studio, nel mio laboratorio, insieme ai colleghi e ai tan@ collaboratori con cui ogni giorno affronto questa sfida. Elena Ca>aneo Docente dell’Università di Milano Senatrice a vita Tra>o dalla rivista WIRED n. 77 - Estate 2016 (uscito il 1° giugno 2016)

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