SOMMARIO Editoriali 2 I soldi della Bce e gli investimenti in grandi opere pubbliche: così l’Italia può ripartire (ma nella legalità) di Francesco De Dominicis 3
La corruzione spuzza. Occorre cambiare di Gaspare Sturzo
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Che cosa Luigi Sturzo può insegnarci nella nostra società attuale? di Rocco Gumina
Politica 3.0 4 Dopo Todi, è ancora attuale la presenza politica dei cattolici? di Gian Paolo Vitale
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Risorgimento Roma, quando i corpi intermedi vogliono rifare la faccia della città, e... alla politica di Davide Guarente
Soldi, fisco e finanza 10 Oneri aggiuntivi e benefici introdotti dalla legge di stabilità 2015 di Filippo De Lucia Lumeno 16 19 21
Stress test banche di Sergio Maria Battaglia
Caratteri e criticità del nuovo assetto del capitale della Banca d’Italia di Francesco De Pasquale La tecnologia, evoluzione e cambiamenti: impatto sull’individuo e sulle imprese di Alessia Scalese
Leges et iura 24 Il senso della legge per la giustizia di Francesco Punzo 25
Mala bestia mafiosa e ipocrisia italica di Gaspare Sturzo
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Sicurezza e terrorismo, come le stagioni, non sono più quelle di una volta di Giampiero Cardillo
Città e società 27 Riprende vigore il dibattito sul ponte di Davide Gambale
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Il via a... “La buona scuola” di Eleonora Mosti
Un teatro necessario per una comunità civile di Salvatore Aricò
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Quel capitale invisibile che fortifica una società (I parte) di Stefania Aristei
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Introduzione all’incontro UCID - CISS con Riccardo Ruggeri di Massimo Maniscalco
Idee e dibattiti 37 Commercialisti e uomo tra crisi e speranza di Gian Carlo Paracchini 40 41
La finestra della libertà. Frontiera per un’altra Europa di Giuseppina Di Stasi e Renato Mazzei
Servire, non servirsi. La prima regola del buon politico (Prefazione) di Giovanni Palladino
Voce agli studenti 43 Riflessioni su Il Fedone di Platone di Carlotta 46 48
La società dei sogni di Valerio
L’emarginazione nelle periferie di Mirko
RInascimento POPolare Anno XI - Giugno 2015 Rivista politico-culturale Organo Ufficiale del C.I.S.S. Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo Via Pietro Cavallini, 24 - 00193 Roma www.centrosturzo.it ciss.segreteria@gmail.com Distribuito gratuitamente ai soci del CISS Direttore responsabile Francesco De Dominicis Registrato al Tribunale Civile di Roma al N. 100/2013 del 13/05/2013 Ascone Domenico - Novara Attività editoriale di natura non commerciale ai sensi previsti dall’art. 4 del D.P.R. 26/10/2972 n. 633 e successive modifiche. Editing e impaginazione Sophia - Società Cooperativa Stampa Pixartprinting S.p.a. Finito di stampare: Maggio 2015
Editoriali
I soldi della Bce e gli investimenti in grandi opere pubbliche: così l’Italia può ripartire (ma nella legalità) di Francesco De Dominicis
Francesco De Dominicis
Ma serve soprattutto la legalità, quella per la quale anche il CISS si batte da tempo e si impegna sul territorio.
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on è (ancora) la svolta. E l’uscita dal tunnel è assai lontana. Eppure qualcosa si muove. Comincia a esserci un po’ di liquidità in circolazione, pronta per essere impiegata in investimenti significativi. Liquidità a cui potrebbero aggiungersi massicci capitali in arrivo un po' da tutto il mondo. Le borse hanno assorbito, e assorbiranno, soltanto parte dei capitali disponibili. Le banche offrono rendimenti irrisori o perfino negativi. Il real estate offre opportunità, ma fatica a riprendersi e, tutto sommato, continua a giustificare qualche prudenza. La conseguenza, dunque, che il denaro disponibile sulle principali piazze finanziarie internazionali dovrà fioco forza trovare altre destinazioni. Non solo. A livello europeo la spinta verso investimenti nelle infrastrutture è tangibile. Così proprio le infrastrutture stanno diventando una sorta di nuova frontiera. Tanto più che è atteso al decollo il piano voluto dal presidente della Commissione europea, JeanClaude Juncker. Il risultato è che banche d'affari e consulenti hanno acceso i riflettori sugli investimenti nelle infrastrutture anche in Italia, perché garantiscono vantaggi non trascurabili. Sono investimenti di lungo periodo, che danno la possibilità di pianificare progetti pluriennali. Permettono redditività interessante e certa nel tempo. Sono graditi al governo sia perché in molti casi creano le condizioni per recuperare ritardi
cronici, sia perché possono rappresentare l'occasione per razionalizzare interi settori o attività. Adesso è partita la caccia ai dossier. E, almeno sulla carta, c'è soltanto l'imbarazzo della scelta. Basti pensare agli aeroporti, che rappresentano un esempio di assoluta frammentazione e incongruenze, a partire dal loro numero. Ha senso che un Paese come l'Italia ne conti oltre 100? Certamente c'è spazio per poli di maggior impatto e razionalizzazioni. Altrettante opportunità, sia pure di tipo diverso, offre la rete autostradale. Ci sono progetti importanti per l'economia che attendono di essere completati e rifinanziati,
come per esempio la Pedemontana, che deve ultimare il collegamento tra Varese, Como, Bergamo, in un'area produttiva di forte impatto. Almeno quanto il Nord Est, un'altra zona del Paese che richiede razionalizzazioni e accorpamenti per arrivare a gestioni ottimali. Da tempo si moltiplicano i progetti all'ordine del giorno, ma richiedono investimenti importanti e coordinati. Ma serve soprattutto la legalità, quella per la quale anche il Ciss si batte da tempo e si impegna sul territorio. La lotta alla corruzione è lontana dal raggiungere il suo obiettivo e le recenti indagini delle procure di quasi tutta Italia hanno squadernato una situazione drammatica. Senza una svolta seria, la nuova stagione di grandi opere pubbliche potrebbe diventare la tomba del Paese.
Editoriali
1992 - 2015 La corruzione spuzza. Occorre cambiare di Gaspare Sturzo, Presidente del CISS
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Gaspare Sturzo Presidente del CISS
embra il titolo di un film. In realtà, è la combinazione dell'amara realtà denunciata da Papa Francesco, una travolgente epopea del malaffare da sequel televisivo. La corruzione spuzza e' la frase pronunciata dal Papa a Scampia. Ma questo è anche il luogo per eccellenza del fallimento delle politiche di recupero delle classi sociali più deboli, che è sulla scena politica nazionale da tantissimi anni. Il laboratorio degli effetti di sintesi tra malaffare nella cosa pubblica e dominio della malavita organizzata. Li' dove lo Stato ha smesso di garantire ordine e sicurezza per i cittadini, cultura e formazioni per i giovani, leva produttiva per imprese e lavoratori, credito per l'economia locale. Lo spazio lasciato dalla ritirata degli organismi istituzionali, pubblici e privati, produttivi di Bene Comune è stato riempito dalle mafie, dai traffici illeciti su persone e cose, grandi volumi di affari che, con enormi margini di guadagno e bassi rischi di repressione, sembrano imperare su quel territorio. Ciò vale per Scampia come per molte altre periferie e centri delle grandi città italiane. Dobbiamo osservare che non c'è alcuna maledizione storica contro il popolo italiano, se non quella di una classe dirigente e politica debole, culturalmente incapace di reagire con progetti validi al cambiamento. Ciò vale anche nel campo della costruzione delle condizioni per investire sui fattori dello sviluppo economico, per agganciare la ripresa mondiale, per realizzare progetti di stabilizzazione dei Paesi mediterranei o di solidarietà ai migranti. Se l'Italia conta poco in Europa e nulla nel
mondo, è conseguenza di queste criticità. Contro questo modello e' sceso in campo anche il Presidente della Repubblica Mattarella nel discorso d'insediamento affermando che: "La corruzione favorisce le consorterie, penalizza gli onesti e i capaci". Come sappiamo noi studiosi della dottrina sociale cristiana e politica del popolarismo sturziano, questo vuoto di classe dirigente non si riempie né con i sermoni e, tantomeno, con gli articoli sui giornali. A cambiare dobbiamo essere noi cittadini italiani nell'esercizio dei nostri doveri (prima) e diritti (dopo). Per i laici cristiani occorre la metamorfosi da spettatori a promotori del Bene Comune. Per i cattolici impegnati la rivoluzione dell'amore sociale, dall'astratto di comode teorie da convegno a concreti attuatori. È necessario prendere le distanze dai tronisti della politica, dai lobbisti degli affari, allontanare gli "infedel servant" della cosa pubblica e i parassiti delle mafie. Siamo consapevoli che la lista delle cose da fare per ridare moralità pubblica e privata a questo Paese e' lunghissima. Da soli, come sappiamo noi popolari sturziani, non si può. Ancor meno con quelli che il Papa ha definito: "Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini". La soluzione è legata alla scelta delle persone con cui cooperare. Travolgendo l'idea del compromesso al ribasso, del trasformismo, dell'alibi pragmatico, occorre affermare che la collaborazione in politica si deve basare sulla forza dei valori, la purezza degli ideali, la coerenza dei fatti. La speranza passa per la via della verità. 3
Politica 3.0
Dopo Todi, è ancora attuale la presenza politica dei Cattolici? Intervista a Ernesto Preziosi deputato del PD di Gian Paolo Vitale, giornalista Presenza politica dei cattolici”: una messa a fuoco che non poteva mancare nell’ incontro di Assisi del 17-19 aprile “Povertà e potere”, promosso dall’ Associazione “Argomenti 2000”. “Povertà della Chiesa, povertà della politica”, all’insegna di “una critica radicale delle strutture di potere nelle loro molteplici forme e a tutti i livelli dell’agire umano, favorendo la crescita di uno stile diverso dove “povertà” non è solo una questione materiale bensì anche di essenzialità, sobrietà. libertà”. Ernesto Preziosi, oggi parlamentare Pd con un lungo curriculum di studi e incarichi nell’ associazionismo nazionale e internazionale, a tre anni dall’ esperienza infruttuosa di Todi, risponde alle nostre domande, in una conversazione nel Transatlantico di Montecitorio, più volte interrotta dalle urgenze del voto in Aula. Tra pochi giorni arriva la battaglia finale (?) sull’ Italicum, la legge elettorale che dovrebbe/potrebbe configurare un vero e proprio “partito della Nazione”. Che ne pensa il politico Preziosi? Ritengo che, come ogni modello astratto che si applichi ad una data situazione, vada considerato. Personalmente accanto ad alcune opportunità vedo il rischio di una eccessiva semplificazione del quadro istituzionale. Non annuncio automaticamente derive leaderistiche e quindi potenzialmente poco de4
mocratiche, ma sarebbe necessario curare meglio il sistema dei pesi e contrappesi. Lo spostamento del baricentro, appunto, al centro deve peraltro essere riempito di contenuti...ecco, ad Assisi, ad esempio, abbiamo parlato di promozione di una redistribuzione delle risorse e del potere, oggi in mano a ristretti gruppi economici e politici. Come si caratterizza oggi il cattolicesimo democratico e cosa
resta della tradizione cattolicodemocratica? Il filone del cattolicesimo democratico in realtà non è mai stato univoco, bensì plurale, oggi risulta disperso in piccoli rivoli per lo più ininfluenti sullo scenario politico nazionale. E questa irrilevanza a mio avviso è motivata, accanto ad altre cause generali, anche dalla volontà di mantenere separata questa tradizione ergendosene a custodi ed evitando ogni contaminazione. Per
Politica 3.0 questo un tema urgente è proprio quello di come risvegliare quella tradizione sapendo che dobbiamo scontare molte difficoltà. Due fra tante: la frammentarietà del mondo cattolico organizzato e la debolezza di riflessione culturale dei cattolici e della Chiesa stessa, e questo nonostante gli ingenti mezzi economici investiti nel Progetto culturale della Cei.
Quali le questioni maggiori sulle quali i cattolici che si riconoscono in questo filone culturale si sentono maggiormente interpellati? La tradizione cattolica democratica ci dice che l’interesse politico deve essere rivolto ai temi generali della politica e quindi del vivere insieme. Un tema oggi da privilegiare è quello del futuro della democrazia e delle forme di partecipazione democratica, tra cui i partiti (e la relativa attuazione dell’articolo 49 della Costituzione!), comunque siano gli strumenti che consentono ai cittadini di partecipare. Poi i grandi temi della politica interna a partire dal lavoro e dallo sviluppo economico, dalle riforme necessarie in campi essenziali della vita del cittadino, fino alla necessità di un fisco più giusto, di una migliore redistribuzione del carico fiscale, oggi insostenibile. Allo stesso tempo abbiamo a cuore anche i grandi temi di politica internazionale...l’Europa che, o sarà più politica con un passo avanti deciso in questa direzione, oppure sarà difficilmente difendibile perchè le persone verranno attratte dagli euroscetticismi che cavalcano ed enfatizzano i problemi.
I partiti...torniamo alla formula di quello cosiddetto ‘unico’, e prima
ancora crede sia possibile far rinascere un partito di esplicita ispirazione cristiana? Per quanto riguarda il partito...identitario, ritengo che, così come a ben vedere non è mai esistito nei fatti un partito fatto solo da cattolici, dobbiamo riflettere sul fatto che i partiti sono una risposta contingente ad una determinata situazione storica: pertanto come non esisteva il dogma dell’unità politica dei cattolici, così non può esistere un dogma della divisione...Si tratta di valutare di volta in volta, nelle diverse circostanze, cosa può essere più utile per un servizio al bene comune del Paese. Non si tratta di fare un dibattito in astratto, bensì di guardare con attenzione al panorama concreto che si delinea nelle varie stagioni.
Come si pongono i cattolici democratici rispetto ad una serie di questioni inedite, vedi bioetica e questione antropologica? Da un lato dobbiamo essere capaci di offrire mediazioni possibili in un quadro di laicità, contribuendo a leggi che riconoscano diritti individuali senza snaturare istituti fondamentali per la società come la famiglia. Non è un percorso facile...Poi credo che vada allargato lo spettro dei temi cosiddetti eticamente sensibili, non limitandosi al campo bioetico, pur importantissimo. Penso alla questione carceraria, al contrasto alle povertà, alla prevenzione dalle nuove dipendenze (vedi limitazione dei giochi d’azzardo), eccetera. Sto seguendo l’iter parlamentare della proposta di legge sulle unioni civili, un testo che suscita perplessità, equivoci.
Abbiamo parlato di tradizione...ma le nuove generazioni spesso ignorano l’origine e il contesto mutuante dei problemi. Qualcuno ha parlato di un fiume carsico che possa far scomparire per ‘dispersione’ il cattolicesimo democratico. E’ un rischio, può portare alla incapacità di una nuova fioritura, di tipo popolare e non elitario. Mi spiego: alcune matrici che si identificano in questo filone rischiano di cadere in un elitarismo che, magari per mantenere il seme...incontaminato, decide di conservarlo in un ipotetico frigo. E’ necessario oggi un cattolicesimo democratico non museale o nostalgico per pochi, ma si deve contaminare con i nuovi temi, con un movimento di base capace di coinvolgere con disponibilità e apertura di dialogo, tante forme di esperienze, forse spurie e imprecise, ma spesso virtuose, presenti sul territorio e fatte di servizio amministrativo, liste civiche, ecc. I credenti devono aprire una nuova strada che guardi al futuro, con tanta passione e una buona dose di creatività. Richiamandosi anche alla storia (vedi la prima parte del mio volume “Una sola è la città. Argomenti per un rinnovato impegno politico dei credenti, Ed. Ave). Per creare un nuovo movimento di opinione sociale e politico occorre una visione, un progetto, una programmazione puntuale e attenta alle coperture economiche, e infine un gruppo dirigente e una leadership: il tutto con passione e impegno. Mi permetto di aggiungere: per Servire, non servirsi: buona e non cattiva o mediocre politica. 5
Politica 3.0
Che cosa Luigi Sturzo può insegnarci nella nostra società attuale? di Rocco Gumina, Presidente associazione culturale “Alcide De Gasperi”
Per realizzare quest’ultima operazione, occorre in primo luogo contestualizzare la figura di Sturzo nei vari orizzonti sociali, politici e culturali – che questi ha vissuto – i quali si discostano profondamente dalle dinamiche del nostro tempo. Luigi Sturzo è stato fra i principali interpreti teorici e operativi dell’enciclica sociale Rerum novarum di Leone XIII
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el pomeriggio di sabato 28 febbraio, è stato presentato a Caltanissetta il volume Servire e non servirsi. La prima regola del buon politico (Rubbettino 2015) che raccoglie alcuni articoli e interventi di Luigi Sturzo. L’iniziativa, organizzata dal Centro Studi “A. Cammarata”, ci permette di riflettere sull’attualità del messaggio e della testimonianza politica di una delle più grandi figure del cattolicesimo italiano del XX secolo. Anzitutto, è bene chiarire che si può tornare a discutere di Sturzo per almeno tre validi motivi. Il primo è legato alla ricerca scientifica ovvero alla comprensione sempre più oggettiva del suo pensiero;il secondo si allaccia alla necessità di ricordare. Infatti, è molto utile ripassare nella propria mente e nel proprio cuore la vicenda e le idee di uno dei padri della politica nazionale; il terzo motivo, quello che mi pare il più profondo e il più significativo, consiste nella prospettiva del trarre dal pensiero sturziano degli insegnamenti per l’attuale situazione socio-politica. 6
scritta in un frangente storico caratterizzato, per i cattolici, sia dal non expedit sia da una fase, in uscita, di scontro molto duro con la modernità. Successivamente, il sacerdote calatino fondò il Partito Popolare Italiano in un orizzonte sociale e religioso a maggioranza cristiano-cattolica nonostante lo sviluppo sempre più marcato del socialismo, del comunismo, del laicismo e dell’anticlericalismo. Poi ci fu l’avvento del fascismo con la privazione della libertà. Finita la guerra, Luigi Sturzo tornò dall’esilio in un’Italia contraddistinta da una situazione socio-politica alla ricerca di un ordine nuovo dopo il crollo del vecchio mondo liberale che per la sua debolezza aveva prodotto il totalitarismo fascista. In questi anni di ricostruzione, che diedero vita al boom economico, la società italiana si avviava a divenire sempre meno cristiana con una presenza dei credenti che dalla maggioranza della popolazione diveniva minoranza. Interpretare Luigi Sturzo nel suo contesto ci permette di trarre, dalla sua lezione, alcuni insegnamenti validi per il nostro tempo. Fra questi, a mio parere, ne emergono su tutti dieci: 1 E’ impossibile ipotizzare teoricamente e praticamente la scissione fra morale e politica. Ciò induce al rifiuto di ogni macchiavellismo nella prassi politica; 2
Netta formulazione della laicità e dell’aconfessionalità circa la partecipazione dei cattolici alla società attraverso aggregazioni partitiche. Dunque distinguere, una volta per tutte, il piano religioso dell’unità fra i cattolici da quello politico contraddistinto dalla pluralità di opzioni operative;
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Tendere sempre al primato di Dio nell’azione politica.
Politica 3.0
ogni giorno la bibbia e il giornale, ma – oltre a ciò – occorre impegnarsi nell’amplissima dimensione della politicità che prevede l’attività per la tutela dell’ambiente, contro la criminalità organizzata, per la promozione culturale, per la conoscenza e il mantenimento del patrimonio artistico italiano, per i lavoratori, per la ricerca del bene comune, per il rinnovamento dei partiti e dei sindacati ecc.;
Infatti, il credente impegnato per la ricerca del bene comune non può dimenticare che Dio è il fine assoluto della propria azione. Di conseguenza, la politica raffigura un mezzo naturale per giungere a tale fine; 4
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Distinzione fra Chiesa e Stato. Per Sturzo la società umana è caratterizzata dalla diarchia di poteri rappresentata dalla Chiesa che ricerca il fine spirituale e dallo Stato il quale tende al bene comune. Pertanto, la Chiesa non potrà occupare lo Stato con l’integrismo. Viceversa, la comunità politica non dovrà distruggere la Chiesa con il laicismo. Queste istituzioni, invece, devono concorrere ciascuna secondo le proprie finalità al miglioramento delle condizioni di vita degli uomini; Rifiuto di qualsiasi forma di totalitarismo esplicito o implicito poiché la politica non è tutto. Ciò significa tendere a istituzioni politiche che sappiano rispettare e garantire il giusto equilibrio fra individuo e comunità. Difatti, se si privilegia troppo l’individuo si giunge ad un liberalismo politico ed economico liberticida; se, invece, si considera esclusivamente la comunità si tende al totalitarismo esplicito o implicito;
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La libertà, compresa come fattore intimo della persona umana, ha una naturale propensione alla responsabilità sociale. Quindi, si tratta di interpretare la libertà tra autonomia, intesa come ricerca legittima della piena realizzazione personale, e responsabilità, contraddistinta dal pieno rispetto e riconoscimento dell’altro;
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Netta critica verso ogni tentativo di concretizzare un partito cattolico. Infatti, la cattolicità appartiene al piano religioso per il quale tutti gli uomini potenzialmente possono essere cristiani. Il partito, invece, è una parte del sistema politico-sociale che si incontra e scontra con altre parti della comunità;
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I cattolici devono essere sempre più attenti alle dinamiche del mondo sociale, economico e politico. Ormai nel nostro tempo, non si tratta più di leggere
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Comprendere la politica come una dimensione del vivere umano che è in continua riforma. Pertanto, il politico non tenderà alla realizzazione in terra della Gerusalemme celeste ovvero ad una città perfetta e immutabile, ma dovrà sforzarsi di costruire una legislazione e delle istituzioni capaci di leggere, di prevenire e di limitare i problemi sociali;
10 L’azione politica contiene in sé un fine, oltre l’evidente e il temporaneo, che supera ogni possibile positività dell’iperattivismo del “fare”. I dieci insegnamenti per l’oggi della nostra politica che ci vengono dalla lezione sturziana conducono ad alcune riflessioni su come e dove investire tale positiva e attuale eredità. Innanzitutto, il pensiero di Luigi Sturzo ci invita a rinverdire la nostra democrazia. Essa non può essere interpretata nella prospettiva utopica, credulona e implicitamente totalitaria di un certo modo di intendere la partecipazione democratica. Inoltre, la testimonianza di Luigi Sturzo sollecita a prendere in considerazione la questione dei cattolici chiamati a ritornare in modo decisivo ad occuparsi e a produrre cultura politica. Difatti, i credenti non possono limitarsi al semplice orizzonte del “fare” pratico, ma sono interpellati a fondare quei contenitori in grado di produrre pensiero e formazione per le future generazioni. Infine, Luigi Sturzo si configura come una sorta di “memoria pericolosa” per la cattolicità italiana, poiché la sua testimonianza pone seri interrogativi alle comunità credenti italiane sulla formazione religiosa e politico-sociale dei cristiani nei decenni passati e nel presente. 7
Politica 3.0
Risorgimento Roma, quando i corpi intermedi vogliono rifare la faccia della città, e ... alla politica di Davide Guarente, Presidente di Risorgimento Roma
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irca un anno fa alcuni residenti e professionisti di un noto quartiere romano, il rione Prati, hanno deciso di smettere i panni degli osservatori inerti e si sono rimboccati le maniche per contribuire a risolvere alcuni dei problemi di una zona unica nel suo genere: quello spicchio di Roma che affaccia sulla straordinaria bellezza di San Pietro e dei Musei Vaticani. Dal loro impegno è scaturito un progetto, per realizzare il quale hanno deciso di costituire una inedita realtà associativa. Giocando con la toponomastica, i promotori dell’associazione hanno scelto il nome significativo di “Risorgimento Roma”. L’obiettivo dell’associazione è la riqualificazione del distretto urbano che ha il suo centro nella nota piazza Ri8
sorgimento, ma, come il nome lascia presagire, lo sguardo si allarga a evocare una rinascita per la Città intera. Non a caso uno degli slogan che promuove il progetto è “una piazza nuova, per una nuova Città”. Ciò che distingue Risorgimento Roma da uno dei molti comitati di quartiere sparsi un po’ dovunque è la scelta positiva e propositiva che i soci fondatori hanno compiuto: non una aggregazione di cittadini che fanno muro, si battono contro una discarica, una centrale o qualche discussa opera pubblica, piuttosto una organizzazione che dal basso, attraverso lo scambio orizzontale di informazione coi cittadini e l’interlocuzione verticale con gli am-
Politica 3.0 ministratori, propone soluzioni coerenti e a portata di mano per i problemi specifici di quel territorio. Dal punto di vista metodologico i punti chiavi del modello “Risorgimento Roma” sono due: Suscitare il risveglio di tante persone che pur avendo sinceramente a cuore il bene comune hanno optato per un ripiegamento nel loro “piccolo mondo”. Impiegare queste energie personali nello svolgimento di azioni “di fatto politiche”, che non richiedano però di operare dall’alto di incarichi politici, tanto meno partitici. Qui sta il tratto innovativo della proposta: fare politica del territorio non dal posto tradizionale della politica, ma dal lato della gente, dal lato dei cittadini, dal lato chi ha diritto - un diritto da affermare con ogni mezzo - a che le cose, semplicemente, si facciano. Ogni luogo in cui viviamo o lavoriamo presenta potenzialità inespresse e problemi definiti o nascosti. Il processo di pensiero attivato con Risorgimento Roma è consistito nel chiedersi come fosse possibile realizzare le potenzialità e risolvere i problemi dell’area strategica di piazza Risorgimento, rione Prati, I Municipio, Roma. Questo concentrare lo sguardo sul ter-
ritorio ha dato luogo a risposte non generiche, ma studiate, vagliate da esperti, dettagliate, con soluzioni rispondenti a pochi, semplici criteri: vantaggio per l’ambiente, per la cittadinanza, per il lavoro, contemperando i diversi interessi in gioco e puntando al fattore dell’innovazione. Ecco, di seguito, alcuni dei principali problemi rilevati in zona: congestione del traffico veicolare, passaggio disordinato di folle di pedoni (un numero compreso tra 30.000 e 50.000 persone attraversano la piazza ogni giorno, in direzione san Pietro, o di ritorno verso la fermata Metro), carenza di infrastrutture di accoglienza per i turisti, cronica penuria di parcheggi, diffondersi di svariate forme di insensibilità civica e proliferazione del mercato clandestino di merci e venditori di ogni specie. Interventi mirati e limitati sarebbero stati sufficienti al più a tamponare le emergenze, non certo a risolvere in maniera definitiva le criticità esistenti. Piazza Risorgimento esigeva insomma un ripensamento globale. Occorrevano soluzioni di ampio respiro per restituire alla piazza la sua primaria funzione di spazio sociale, uno spazio a misura di “persona”, di comunità e di polis; uno spazio che, per la sua singolare collocazione, realizzasse la sua vocazione di ponte, di cerniera tra la Roma “laica” dei palazzi del potere e la Roma “della Fede”: quel Vaticano che con l’avvento al soglio pontificio di papa Francesco ha ulteriormente accresciuto la sua capacità di attrazione di fedeli da tutto il mondo. Perché come afferma proprio papa Francesco nella sua esortazione apostolica “Evangelii gaudium (n. 210) «sono belle le città che, anche nel loro disegno architettonico, sono piene di spazi che collegano, mettono in relazione, favoriscono il riconoscimento dell’altro!». E’ nato così un progetto che è stato diffuso e condiviso capillarmente sul territorio, nonché portato all’attenzione di tutte le amministrazioni coinvolte, dal Campidoglio (il Sindaco Marino ha convocato una riunione alla presenza di ben cinque assessorati per discutere la proposta) al I Municipio. Certo, la strada per vedere realizzato il nostro sogno è ancora lunga. Nulla poi è scontato in una città come Roma. Occorrerà affrontare il nodo dei finanziamenti, le questioni tecniche relative a mobilità e urbanistica, le opposizioni dei professionisti della critica. Crediamo però che la determinazione dei promotori possa giocare un ruolo vincente nella partita per una piazza e una città più belle e più vivibili. 9
Soldi, fisco e finanza
Oneri aggiuntivi e benefici introdotti dalla legge di stabilità 2015 di Filippo De Lucia Lumeno
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ell’anno 2014 la pressione fiscale si attesta al 43,3%. Nel 2015 si abbasserà di un punto decimale al 43,2%. Nel biennio 2016-2017 si stabilizzerà al 43,6%. Così si è pronunciato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, nel corso di un suo intervento presso la Commissione Bilancio della Camera per illustrare la legge di stabilità1. Di fatto, tali dichiarazioni sembrano confermare le impressioni ricavate da una prima analisi del disegno di legge redatto dal governo Renzi: a fronte di alcune diminuzioni del gettito fiscale, nel corso del prossimo triennio si verificherà un significativo incremento della pressione, in particolare nei confronti dei lavoratori dipendenti e delle partite IVA. Lo stesso premier, in prossimità della fine del 2014 e dell’approvazione del testo della legge, aveva affermato: «La legge di stabilità per la prima volta mette più soldi in tasca agli italiani e non li toglie». In realtà, alcuni provvedimenti finiranno per incidere negativamente sul reddito dei cittadini e delle imprese. 10
Liquidazione mensile del TFR – Art. 1, commi 26-34 La legge di stabilità ha introdotto, in via sperimentale e temporanea, la possibilità, per i lavoratori dipendenti del settore privato che beneficino di un rapporto professionale con il medesimo datore di lavoro da almeno 6 mesi, di optare per il versamento mensile nella propria busta paga della quota di TFR maturata nel periodo che decorre tra marzo 2015 e giugno 2018. Tale adesione, del tutto volontaria, potrebbe risultare poco appetibile e conveniente per il lavoratore: la retribuzione integrativa, infatti, andrebbe ad incrementare il reddito complessivo percepito, aumentando la base imponibile IRPEF e riducendo così le possibili detrazioni per lavoro dipendente e per carichi familiari spettanti al dipendente; a ciò va aggiunto non solo che a tale retribuzione “supplementare” verrebbe applicata un’aliquota ordinaria IRPEF (che potrebbe risultare di gran lunga superiore rispetto a quella media applicabile al TFR liquidato al termine del rapporto, portando lo Stato a guadagnare, già dal 2015, 2,2 miliardi di euro), ma
Soldi, fisco e finanza soprattutto che, a prescindere dalla richiesta del versamento mensile della quota maturanda del TFR da parte dei dipendenti, tutte le imprese vengano assoggettate ad un incremento dall’11 al 17% dell’aliquota dell’imposta sostitutiva dovuta sulle rivalutazioni del TFR. La tassazione della rivalutazione del TFR dovrebbe, secondo le stime esposte nella relazione tecnica, portare nelle casse dell’Erario circa 140 milioni di euro. Credito di imposta R&S – Art.1, comma 35 Viene decretata la disciplina del credito d’imposta riconosciuto alla generalità delle imprese per le spese di investimento in ricerca e sviluppo riguardante i periodi di imposta che vanno dal 2015 al 2019; nello specifico, si dispone che esso venga misurato a partire dalle spese in eccesso rispetto alla media fatta registrare, per la stessa tipologia di investimenti, nel corso degli anni 2012, 2013, 2014. Sono previste due aliquote, a seconda della tipologia di investimento effettuato: - 25% per le spese in macchinari e attrezzature di laboratorio e per competenze tecniche e private industriali; - 50% per le spese di personale (solo altamente qualificato, ossia in possesso di laurea magistrale conseguita in discipline tecnico-scientifiche o titolare di un dottorato di ricerca) e per le spese relative a contratti di ricerca stipulati con le università, e/o gli enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese comprese le start-up innovative. Per accedere al beneficio, è necessario aver operato spese in misura non inferiore a 30.000 euro. Il provvedimento presenta alcune problematiche non di secondo ordine. Innanzitutto, il fatto che il credito venga misurato sulla base degli investimenti incrementali rispetto alla media degli anni passati finisce per penalizzare quelle imprese che, nello scorso triennio, hanno comunque provveduto a realizzare investimenti, impiegando ingenti quantitativi di risorse; oltre a ciò la norma ha natura puramente temporanea e strutturale, rende complessa la misurazione dello stesso credito d’imposta tramite la previsione di aliquote differenti a seconda della categoria di spesa, e risulta poco chiara nella sua applicazione escludendo dall’ambito degli investimenti in ricerca e sviluppo quegli interventi volti al miglioramento dei prodotti e delle linee di produzione già esistenti.
Il nuovo regime dei cc.dd. “minimi” - Art. 1, commi 54-89 Grande scalpore ha suscitato la decisione del governo di
rivedere la legislazione in merito alle partite IVA che fatturano meno, vale a dire i cosiddetti “minimi”. Viene difatti introdotto un regime di tassazione forfetaria, di cui potranno usufruire solo gli imprenditori individuali ed i professionisti che siano in possesso di specifici requisiti. Se in precedenza nelle fasce più basse di fatturazione si potevano osservare due categorie forfettarie (i minimi, che corrispondevano un’aliquota del 20%, e i giovani imprenditori, a cui si richiedeva il versamento di un’aliquota pari al 5%), d’ora in poi ve ne sarà una sola, in cui rientreranno tutte le partite IVA con fatturati da 15.000 a 40.000 euro l’anno, le quali corrisponderanno l’imposta commisurata su un’aliquota del 15%. In questo modo, i “minimi” vedranno ridursi l’imposizione del 25% (in termini relativi), mentre i giovani imprenditori la vedranno innalzarsi del 200%. Tuttavia, questa nuova categoria sarà “permanente”, ovvero mentre le partite IVA in regime agevolato per i giovani imprenditori duravano al massimo cinque anni o comunque fino al 35mo anno d’età, dal prossimo anno si potrà rimanere nel regime a tempo indefinito. In ogni caso, sembra che l’incremento dell’imposizione fiscale che ne deriverà risulterà nettamente superiore rispetto ai benefici che dovrebbe generare. Basandosi sui numeri annunciati dal Primo Ministro (900.000 partite IVA coinvolte), si giunge a stimare che i giovani imprenditori subiranno una perdita media netta del 12%, mentre coloro che rientravano in precedenza nella categoria dei “minimi” beneficeranno al massimo di un incremento pari al 6% mensile. Va tuttavia sottolineato come lo stesso Matteo Renzi abbia aperto alla rettifica di tale norma al fine di penalizzare in misura inferiore i giovani professionisti, per i quali il carico previdenziale aumenterebbe notevolmente. Tassazione dei fondi pensione – Art. 1, comma 621-624
Viene disposto un incremento dell’aliquota di tassazione dei rendimenti netti maturati annualmente da parte delle cosiddette forme di previdenza complementare, quali i fondi pensione, con un innalzamento dell’aliquota di tassazione dall’11,5% al 20%. Inoltre, il comma 624 stabilisce che l’aumento dell’aliquota al 20% divenga operativo per gli esercizi d’imposta successivi al 31 dicembre 2014, disponendo al contempo che il calcolo dell’imposta complessivamente a carico di tali enti venga effettuato adottando l’aliquota del 20%, attribuendo così alla norma carattere retroattivo. Nel caso in cui, nella gestione di tali fondi, rientrino titoli di Stato italiani o esteri o titoli ad essi 11
Soldi, fisco e finanza
equiparabili, essi continueranno a godere del regime fiscale agevolato previsto in caso di possesso diretto del titolo pari al 12,5%. Questo intervento dovrebbe garantire, sulla base delle previsioni contenute nella relazione tecnica del DDL, un recupero di gettito di 340 milioni su base annua. Stesso destino viene riservato alle casse di previdenza private, le cui rendite finanziarie vengono assoggettate ad un’aliquota del 26% (dal 20% previgente), secondo quanto già previsto dal D.L. 66/2014 (che era stato successivamente emendato tramite un correttivo che stabiliva un credito d’imposta del 6%; tale credito tuttavia, non è stato in alcun modo confermato dalla legge di stabilità e va pertanto considerato abrogato). Tali disposizioni sono in parte mitigate dalla previsione di un credito d’imposta (commi 91-95) sia per i fondi pensione che per le casse di previdenza private, che tuttavia ne potrebbero beneficiare solo dinanzi all’eventualità che l’utile assoggettato alle ritenute e imposte sostitutive sia investito in attività di carattere finanziario a medio o lungo termine individuate con apposito decreto del Ministro dell’economia e delle finanze. Il governo ha inoltre specificato che tale credito d’imposta sarà limitato a 80 milioni di euro a partire dal 2016. Riapertura termini per la rivalutazione - Art. 1, commi 626-627 La norma prevede la riapertura dei termini per la rivalutazione delle partecipazioni non negoziate in mercati re12
golamentati e dei terreni edificabili e con destinazione agricola, non detenuti in regime d’impresa. E’stato previsto il raddoppio dell’imposta sostitutiva sui valori di acquisto di: - partecipazioni non negoziate in mercati regolamentari (incremento dal 4% all’8%); - terreni edificabili e con destinazione agricola (incremento dal 2% al 4%). Si stima che la nuova misura dovrebbe generare un maggior gettito di circa 150 milioni di € per l’anno 2015 e di 75 milioni di € rispettivamente per gli anni 2016 e 2017. Proventi degli enti non commerciali – Art. 1, commi 655-
656 Con la nuova legge di stabilità, gli enti non commerciali residenti vedono aumentare la quota imponibile del valore dei propri dividendi: se prima, infatti, l’imponibile era pari al 5% del loro ammontare, il DDL lo eleva fino al 77,74% retroattivamente dal 1° gennaio 2014, decretando così l’applicazione di un’aliquota effettiva IRES del 21,38% (in luogo dell’attuale 1,375%). Contestualmente, al fine di compensare parzialmente tale incremento di tassazione, verso i medesimi soggetti viene riconosciuto un credito d’imposta pari alla maggiore IRES dovuta per il solo 2014, esigibile obbligatoriamente in 3 annualità a partire dal 2016, per un importo complessivo di 255,5 milioni. In presenza di un’imposizione dei proventi al 75% l’andamento di cassa per lo Stato sarebbe il seguente:
Soldi, fisco e finanza
Cassa
IRES
2015
+447,2
2016
+255,5
2017
+255,5
Con tale intervento normativo si mira, di fatto, ad equiparare i proventi degli enti non commerciali a quelli delle persone fisiche. Polizze di assicurazione sulla vita – Art.1, commi 658-659 La legge 190/2014 prevede che i proventi finanziari (ossia le plusvalenze) originati dalle polizze di assicurazione sulla vita non sono più oggetto di esenzione IRPEF, se non per la quota di essi riconducibile al rischio demografico (consistente nella differenza tra la durata della vita dell’assicurato e quella della vita media della popolazione); la componente non più esente sarà assoggettata ad un’imposizione del 26% o del 12,5% a seconda del tipo di investimento sottostante la polizza. L’intervento in questione dovrebbe contribuire al flusso fiscale in entrata per circa 150 milioni annui (137,5 milioni per il 2015). Aumento (potenziale) aliquote IVA e accise - Art. 1, commi 718-719 A partire dal 1° gennaio 2016 gli italiani potrebbero assistere ad un notevole incremento delle aliquote IVA, in virtù della clausola di salvaguardia contenuta in questi due commi. In particolare, il comma 718 dispone: - l’aumento dell’aliquota IVA ridotta del 10% di due punti percentuali dal 1° gennaio 2016 e di un ulteriore punto percentuale (vale a dire fino al 13%), dal 1° gennaio 2017; - l’aumento dell’aliquota IVA ordinaria del 22% di due punti percentuali a decorrere dal 1° gennaio 2016, di un ulteriore punto percentuale a decorrere dal 1° gennaio 2017 e di ulteriore 0,5 punti percentuali dal 1° gennaio 2018 (vale a dire fino al 25,5 %); - l’aumento dell’aliquota dell’accisa sulla benzina e sulla benzina con piombo, oltre che dell’aliquota dell’accisa sul gasolio usato come carburante, fino al raggiungimento di un ammontare di nuove e maggiori entrate nette pari o superiori a 700 milioni di € per l’anno 2018 e per ciascuno degli anni successivi. Tali incrementi delle aliquote IVA non si verificheranno o verranno attuati solo parzialmente nel caso in cui lo Stato riesca a recuperare il medesimo ammontare di gettito fiscale previsto dall’applicazione della norma per mezzo di
altri provvedimenti che garantiscano maggiori entrate o corrispondenti decrementi di spesa conseguenti ad un processo di razionalizzazione e revisione della spesa pubblica. Gli effetti in termini di gettito fiscale generati dall’innalzamento delle aliquote IVA sono calcolati essere pari a circa 12,4 miliardi di € per il 2016, 17,8 miliardi di € per il 2017 e 21,4 miliardi di € per 2018 (a cui vanno aggiunti 700 milioni di € dallo stesso anno dovuti all’incremento delle accise). Vi sono poi provvedimenti, alcuni dei quali ampiamente noti e citati dall’attuale governo come simbolo del cambiamento, che pur apportando benefici in termini di guadagno o risparmio da parte dei cittadini, presentano delle criticità, delle “zone d’ombra” che necessitano una maggiore e tempestiva definizione. Irap - Art. 1, commi 20-25
Seppure tale norma stabilisca la deducibilità completa dalla base imponibile IRAP del costo complessivo sostenuto per il personale dipendente con contratto di lavoro a tempo indeterminato, il comma 22 abroga la riduzione del 10% delle precedenti aliquote IRAP sancita dal D.L. 66/2014, incrementando anzi le aliquote adoperate nella determinazione del tributo: – dal 3,5% al 3,9% per la generalità delle imprese e degli esercenti arti e professioni soggetti all’IRAP; – dal 3,8% al 4,2% dell’aliquota applicata da parte di società di capitali ed enti commerciali titolari di concessioni per la gestione di servizi e opere pubbliche, diverse da quelle aventi ad oggetto la costruzione e la gestione di autostrade e trafori; – dal 4,2% al 4,65% dell’aliquota applicata dalle banche e dagli altri soggetti finanziari; – dal 5,3% al 5,9% dell’aliquota applicata dalle imprese di assicurazione; – dall’1,7% all’1,9% dell’aliquota prevista ai fini della determinazione del tributo da parte dei soggetti che operano nel settore agricolo e delle cooperative di piccola pesca e loro consorzi. Si ricorda, infine, che le Regioni possono variare l’aliquota ordinaria fino ad un massimo dell’1%. Inoltre, il comma 21 prevede un credito d’imposta del 10% per i medesimi soggetti che godono delle deduzione, nel caso in cui non si avvalgano di personale dipendente. Tale norma presenta la peculiare problematica che quanto più elevata è la produzione netta, tanto più l’im13
Soldi, fisco e finanza presa ha convenienza a non assumere, dal momento che il vantaggio derivante dal credito d’imposta è superiore al vantaggio IRAP derivante dalla deducibilità del costo del lavoro (evento che si verifica in egual misura nel caso di assunzione di personale a basso costo, cioè nel caso in cui il costo del lavoro risulti inferiore al 10% della produzione netta). Bonus IRPEF - Art.1, commi 12-15 La misura sperimentale del credito di 80 euro mensili per i lavoratori dipendenti e per i titolari di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente introdotta precedentemente dal D.L. n. 66/2014 diviene strutturale; continuano a rimanere esclusi dal percepimento del bonus i contribuenti “incapienti” (vale a dire coloro il cui reddito non è sufficiente a rientrare nella soglia di imponibilità) ed i pensionati. Il credito complessivo di 960 euro su base annuale sarà usufruibile per tutti i contribuenti con reddito complessivo fino a 24.000 euro; tuttavia risulta complesso riuscire a quantificare l’ammontare dei benefici generati da tale provvedimento nel corso del 2014, unico anno in cui è stato finora in vigore. L’Ufficio Politiche di Bilancio (UPB), partendo dai dati della Banca d’Italia sui redditi e sui consumi delle famiglie, sottolinea come solo il 39% delle famiglie comprese nel decile di popolazione più povero abbia effettivamente accesso al bonus; il numero dei beneficiari sale tra il 43% ed il 47% per le famiglie nelle altre fasce. Per quanto concerne l’effetto sui consumi, dal rapporto si evince che la propensione marginale al consumo delle famiglie che percepiscono il bonus di 80 € sia sostanzialmente in linea con il dato medio (46%); da ciò si desume che il bonus non sembra essere in grado di dare luogo a shock positivi di domanda da parte di coloro che lo percepiscono. Nonostante tali limiti ed incertezze, il bonus di 80 € dovrebbe dare origine nel 2015 ad un flusso di maggiori consumi per 4,5 miliardi di euro che, a sua volta, dovrebbe condurre ad un incremento della domanda interna di 0,2 punti di PIL. Appare tuttavia necessario porre in rilievo alcune criticità della misura, quali, ad esempio, il fatto che il bonus sia accessibile solo a determinate categorie di soggetti (essendo esclusi pensionati, autonomi e incapienti) e che non sono previsti correttivi che tengano conto del reddito
del nucleo familiare (ad esempio, una considerazione dell’ISEE avrebbe consentito di non penalizzare le famiglie monoreddito con figli). 14
Reverse charge – Art. 1, commi 629-633 Sono previste alcune modifiche in merito alle modalità di versamento dell’IVA, tramite l’ampliamento dell’ambito di applicazione della cosiddetta inversione contabile (“reverse charge”): tale meccanismo di assolvimento dell’imposta è contraddistinto dal fatto che l’importo da versare in virtù dell’Imposta sul Valore Aggiunto a seguito della cessione di un bene o della prestazione di un servizio non ricade in capo al cedente/prestatore, ma spetta al soggetto che ha effettuato l’acquisto. Questo meccanismo viene esteso ad ulteriori ambiti del settore edile, energetico e della grande distribuzione. Le ipotesi di reverse charge introdotte hanno carattere temporaneo essendo applicabili per un periodo circoscritto a quattro anni a partire dal 2015. La relazione tecnica della legge prevede che da questo ampliamento derivino maggiori entrate fiscali recuperate dal gettito evaso per complessivi 1,628 miliardi di € annui, a decorrere dal 2015. In attesa dell’autorizzazione da parte del Consiglio dell’Unione Europea, il governo ha previsto una clausola di salvaguardia degli obiettivi di bilancio la quale comporta l’incremento dell’aliquota delle accise sui carburanti per autotrazione in misura tale da conseguire un gettito di 728 milioni di € annui. Ideata con l’intento di porre un freno alle frodi IVA, questa norma inciderà pesantemente sugli operatori chiamati a porre in essere tale meccanismo, costringendoli a sottoporsi ai tempi lunghi che usualmente contraddistinguono le operazioni di erogazione di rimborso dei crediti IVA. Si può, inoltre, osservare come il governo Renzi abbia, a partire da aprile, data di pubblicazione del DEF (Documento di Economia e Finanza), rivisto le stime dei vari indicatori per il quadriennio 2015-2018 in più di un’occasione. Se ad aprile, infatti, si prevedeva un rapporto deficit/PIL per il 2014 ed il 2015 rispettivamente di 2,6 e 1,8 punti percentuali, a settembre, nella Nota di aggiornamento al DEF presentata al Parlamento, entrambe le stime erano state oggetto di un notevole incremento, soprattutto quella relativa al dato 2015, con l’indebitamento netto che dovrebbe attestarsi al 2,9% del Prodotto Interno Lordo. Aumento simile a quello fatto registrare anche per il 2016, dove il dato divulgato in primavera (- 0,9%) è raddoppiato nel giro di 6 mesi (- 1,8%).
Soldi, fisco e finanza Come spiegato nella stessa nota di aggiornamento tra gli indicatori di finanza pubblica, l’aumento per il 2015 e gli anni ad esso successivi è determinato essenzialmente dalla previsione all’interno delle legge di stabilità 2015 della clausola di garanzia precedentemente citata, che ipotizza l’incremento delle aliquote IVA e su altre imposte di tipo indiretto a partire dal 1° gennaio 2016. Sulla base 2014 INDEBITAMENTO NETTO
Nota agg. - 3,0 DEF DEF
- 2,6
2015
2016
2017
2018
- 2,9
- 1,8
-0,8
-0,2
- 1,8
-0,9
- 0,3
0,3
delle simulazioni effettuate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, una simile misura provocherebbe annualmente una riduzione dello 0,7% del PIL, a causa della contrazione dei consumi e degli investimenti che essa inevitabilmente comporterebbe. Anche il debito pubblico dovrebbe diminuire, secondo i recenti dati, a tassi nettamente inferiori rispetto a quelli ipotizzati lo scorso aprile, con un aumento di circa 3 punti percentuali nel solo 2015. Con riguardo alla stessa pressione fiscale, con l’eccezione del solo 2015 dove si verificherà una riduzione dello 0,1%
DEBITO
Nota agg. DEF DEF
2014
2015
2016
2017
2018
131,6
133,4
131,9
128,6
124,6
134,9
133,3
129,8
125,1
120,5
(dal 43,3 al 43,2), a partire dal 2016 e per tutto il 2017 essa dovrebbe attestarsi sul 43,6%, circa 4 punti percentuali al di sopra delle media comunitaria a 29 Paesi e di 3 punti percentuali rispetto alla media dell’area euro. Le variazioni rispetto ai dati esposti nella nota di aggior-
namento al DEF sono minimi, ma ciò che può suscitare maggiore interesse è che il totale delle entrate tributarie derivante dall’imposizione diretta ed indiretta e il totale dei contributi sociali dovrebbero crescere rispettivamente di 40 e 15 miliardi nel corso dei prossimi 4 anni; l’eventuale diminuzione (ma solo in termini percentuali e soprattutto rispetto al PIL) del cuneo fiscale si avrebbe pertanto grazie ad un incremento del PIL, stimato dal governo essere pari a 0,6% nel 2015 (essenzialmente in linea con il dato fornito dalla Commissione Europea, ma nettamente superiore rispetto allo 0,2% preventivato
dall’OCSE) e circa 1% nel 2016. Al di là delle inevitabili revisioni che questi dati sono de(mln di euro) 2014 Totale 487.585 entrate tributarie Imposte 238.241 dirette Imposte 247.997 indirette Contributi 216.398 sociali Contributi 212.224 effettivi Contributi 4.174 figurativi
2015
2016
2017
2018
493.793
507.990
519.108
531.677
243.521
251.110
255.144
261.364
249.122
255.725
263.026
269.367
218.922
222.995
227.560
233.426
214.692
218.713
223.220
229.022
4.230
4.282
4.340
4.404
stinati a subire in virtù del verificarsi di eventi esogeni, quali le oscillazioni del prezzo del petrolio e gli andamenti del mercato valutario, si può facilmente comprendere come la politica di fondo dell’attuale governo non rispecchi le dichiarazioni ed i numeri parziali (e spesso anche arbitrari) che vengono divulgati. Le previsioni riportate nei documenti ufficiali si fondano su aspettative fin troppo ottimistiche (non essendo finora state supportate da alcun segnale o fenomeno concreto che le confermasse) di ripresa dell’economia italiana, con stime del PIL talvolta eccessive, e che negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, sono state oggetto di rettifiche al ribasso decisamente significative, con l’imposizione fiscale che, al contrario, veniva frequentemente innalzata. “Tasse meno 18 miliardi (80 euro, irap, bebè, contr.temp.ind) Si può fare di più. Ma dopo anni intanto x la prima volta meno tasse #Buon2015”, twittava Matteo Renzi il 2 gennaio. Se, da un lato, la legge di stabilità ha provato a porre rimedio ad evidenti iniquità perpetrate nei confronti delle imprese e delle famiglie, dall’altro ha posto una serie talmente corposa di requisiti e criteri da adempiere per avere accesso ai benefici disposti da annullare le misure positive ideate; a tutto questo, va poi aggiunta la previsione di nuove imposte, dirette ed indirette, che non fanno presagire un futuro roseo per i contribuenti italiani. Appare perciò palese che certe dichiarazioni e annunci hanno scarsa attinenza con la realtà economica e politica e che la legge di stabilità pubblicata in Gazzetta Ufficiale gli ultimi giorni dello scorso anno delinea un quadro, sulla base dei dati a disposizione, molto più fosco di quanto ci venga fatto credere. 15
Soldi, fisco e finanza
Stress test banche
di Sergio Maria Battaglia, Segretario Generale del CISS
I
l 26 ottobre scorso, a Francoforte, la Banca Centrale Europea ha presentato i risultati degli esami condotti, nei dodici mesi precedenti, sui bilanci al 31.12.2013 delle 130 maggiori banche dell’eurozona. Tale operazione, detta “stress test”, serve a valutare la salute delle banche europee e quanto siano pronte ad affrontare una eventuale nuova crisi. La valutazione complessiva della Bce (Comprehensive Assessment) viene realizzata su due fronti. Da un lato, viene effettuata, con la partecipazione delle autorità nazionali competenti e l’ausilio di consulenti indipendenti, una revisione approfondita della qualità degli attivi delle banche (Asset Quality Review). Dall’altro, viene effettuato uno stress test che valuta la tenuta dei bilanci agli shock economico-finanziari in uno scenario di base e in uno particolarmente avverso nel periodo 2014-2016. Viene analizzato quanto capitale proprio, non prestato, possiede la banca e che può essere utilizzato, per poter assorbire le perdite derivanti da un’eventuale ed improvvisa nuova crisi economica. La soglia di capitale minimo da raggiungere per superare gli stress test è fissata da una percentuale, calcolata tenendo conto di tutte le attività della banca, pesate per il rischio. Al momento le banche devono avere in capitale, una somma pari al 5,5% di tutte le attività, pesate per il rischio. Entro il 2016, questa quota dovrebbe raggiungere l’8%. I test sulla tenuta delle banche europee sono considerati una delle tappe fondamentali nella realizzazione del 16
progetto di “Vigilanza Unica Europea”, nato con l’intento di salvaguardare la stabilità finanziaria, riducendo al minimo, il costo dei fallimenti delle banche. Gli istituti italiani sottoposti a valutazione sono stati 15: Carige, Mps, Credito Valtellinese, Bper, Bpm, Popolare Sondrio, Popolare Vicenza, Banco Popolare, Credito Emiliano, Iccrea Holding, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Unicredit, Ubi, Veneto Banca. A fine 2013, 25 banche dell’Unione Europea non avevano
passato i test, presentando una carenza di capitale pari a 25 miliardi. Tra queste, ben nove gruppi italiani (Banco Popolare, Bper, Bpm, Popolare di Sondrio, Popolare di Vicenza, Carige, Creval, Mps e Veneto Banca), non avevano i requisiti richiesti dalla Bce, con un ammanco di 9,7 miliardi di euro. Nel corso del 2014, tuttavia, sono state 12 le banche che, grazie ad un aumento di capitale per circa 15 miliardi di euro, hanno se pur a fatica, superato l’esame della Bce. Al termine della valutazione complessiva, per quanto riguarda gli istituti italiani, solo 2 sono stati definitivamente bocciati: Monte dei Paschi di Siena, che dovrà raccogliere 2,11 miliardi e Banca Carige che necessita di 810 milioni.
Soldi, fisco e finanza Le banche italiane, in percentuale sui loro attivi ponderati per il rischio, sono quelle che pagano il prezzo più alto in Europa. Da una parte, per svalutazione degli attivi dopo l’asset quality review - i risultati ottenuti dall’analisi sui 15 istituti nazionali, evidenziano la necessità di effettuare ulteriori accantonamenti sui crediti per circa 12 miliardi di euro - il doppio rispetto ai 6,7 miliardi della Germania e ai 5,6 miliardi della Francia e quattro volte i 3 miliardi della Spagna; dall’altra, per impatto degli stress test sui bilanci al 2016, che nello “scenario avverso” si porta via un fardello da 35 miliardi. Non c’è troppo da stupirsi: il tributo di sofferenze sui crediti, triplicate a 180 miliardi in Italia, è già il primo problema degli istituti. Come lo sono, sul fronte di “stress”, la mancata crescita del Pil ed il peso dei titoli di stato nelle tesorerie bancarie. Le altre banche europee che non hanno passato l’esame sono le greche Eurobank, National Bank of Greece ed Hellenic Bank, la portoghese Banco Commercial, l’irlandese Permanent Tsb, l’austriaca Oesterreichischer Volksbanken, la belga Dexia e le slovene Nova Kreditna Maribor e Banca di Lubiana. Mentre a fine 2013, e senza gli interventi successivi, sarebbero state respinte anche Cooperative Central Bank, Bank of Cyprus, Piraeus Bank, Muenchener Hypo, Axa Bank Europe, Crh e Liberbank. LE BANCHE BOCCIATE CHE DOVRANNO PRESENTARE ALLA BCE UN PIANO DI RICAPITALIZZAZIONE BANCA
CARENZA DI CAPITALE (miliardi di euro)
dell’economia che “accoglie con favore l’elevata trasparenza resa possibile dalla pubblicazione dei risultati che, insieme all’accuratezza dell’esercizio, sono senza precedenti. La maggiore trasparenza dovrebbe rassicurare i mercati e tutti i portatori di interessi sulla qualità dei bilanci delle banche e l’adeguatezza dei livelli di capitale”. I risultati, prosegue la nota del Ministero,”confermano l’accresciuta capacità di tenuta del settore bancario nell’Unione Europea, come testimoniato sia dal coefficiente medio iniziale di capitale di base di classe 1 (CET1 capital
ratio) e da quello finale, dopo la prova di stress, sia dagli sforzi compiuti dalle banche europee a partire dal 31 dicembre 2013 per aumentare il coefficiente”.
Ai nostri occhi, probabilmente inesperti, questi risultati non sembrano molto confortanti; eppure, secondo Bankitalia, viene comunque confermata la solidità complessiva del sistema italiano, nonostante i ripetuti choc subiti dall’economia italiana negli ultimi sei anni. Il processo di rafforzamento del capitale delle banche iniziato dopo la crisi ha assorbito e assorbe molte delle risorse del sistema. La necessità di affrontare le verifiche della Bce e l’esigenza di eliminare dai bilanci il rischio dei prestiti inesigibili, hanno indotto le banche ad una maggiore prudenza nel far credito. C’è stata una restrizione dei prestiti, che si è aggiunta all’inasprimento delle condizioni, causato dalla recessione e dal deterioramento della domanda. La Bce ha assicurato che ora, messo il sistema in trasparenza, il credito ricomincerà a defluire verso imprese e famiglie. Ma come hanno reagito i mercati finanziari a questi risultati?
BANKA MARIBOR NOVA LJUBLIJANSKA BANKA HELLENIC BANK
Non molto bene. Durante l’attesa, il clima era di nervosismo e volatilità, soprattutto sui titoli bancari. Dopo la pubblicazione dei dati, si sono rilevati ribassi del 20% circa, sulle due banche italiane bocciate, ed un decremento generalizzato di tutto
ITA
DEXIA BANCA CARIGE
ITA GRE POR GRE AUS IRL
FRA/ BEL CIP SLO SLO
PAESE
Soddisfazione è stata espressa da parte del Ministero
PERMANENT TSB OESTERREICHISCER VOLKS V. NATIONAL BANK OF GREECE BANCO COMERCIAL PORTUGUES EUROBANK MONTE PASCHI SIENA 0
0,5
1
1,5
2
2,5
il settore bancario.
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Soldi, fisco e finanza Per il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, “il mondo bancario è solido e pronto a sostenere la ripresa”. Ma a qualche giorno dalla pubblicazione dei risultati ufficiali, sulla stampa cominciarono ad emergere nuove notizie. Da uno studio effettuato dagli analisti di Keefe, Bruyette & Woods e del Danish Institute for International Studies, e riportato da Bloomberg, risulta che gli stress test effettuati dalla Bce non siano del tutto attendibili. Si sostiene che, se la Bce avesse applicato le nuove regole in vigore a partire dal 2015, molte più banche non avrebbero sufficienti capitali per far fronte ad una crisi uguale a quella del 2008. Gli stessi colossi, Deutsche Bank e BNP Paribas, promossi a pieni voti, dovrebbero raccogliere ulteriori capitali, per un valore di circa 66 miliardi di euro. Figuriamoci i nostri istituti che hanno passato i test con una ristretta sufficienza! Stesso risultato si sarebbe ottenuto se gli stress test della Bce, come sostiene l’economista Giuseppe Montesi dell’Università di Siena, avessero seguito i criteri utilizzati dalla Fed per le banche degli Stati Uniti. Il ministro Padoan, sul sito del ministero dell’Economia, difende il nostro Paese, sottolineando che l’italia ha concesso alle proprie banche il più basso contributo statale, tra i Paesi dell’eurozona. Tra i Paesi che hanno concesso cospicui aiuti ai propri istituti, si trovano la Germania con 247,4 miliardi, la Gran Bretagna con 136,5 miliardi e la Spagna con 56 miliardi.
L’italia ha sostenuto le proprie banche con un contributo di circa 4,1 miliardi che per il 75%, è stato già restituito con un tasso di interesse pari al 9%. Gli alti vertici del nostro Paese sembrano, quindi, tutti soddisfatti. Nessuno però si sofferma a spiegare il perchè l’Italia, non abbia seguito l’esempio di Germania e Spagna. Forse perchè non potevamo permettercelo? Le finanze del nostro “bel Paese” non sono certo in grado di erogare fondi anche gli istituti bancari, che sono sempre 18
stati tenuti in piedi, nonostante la consapevolezza di bilanci sempre meno adeguati.
La fotografia dell’Italia, che ogni giorno ci viene presentata, illustra un Paese in piena crisi. Il tasso di disoccupazione è pari al 13,2%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 1,0 punti nei dodici mesi; le piccole e medie imprese arrancano e spesso sono costrette alla chiusura; le famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese. Allora, qual è la verità?
Il nostro futuro possiamo solo immaginarlo e sperare di riuscire a viverlo, ma viene spontaneo chiedersi: non è che ci troviamo di fronte ad una nave che affonda - augurandoci tutti di saper nuotare - mentre sulla scialuppa, sale solo il “comandante”?
Altro dubbio, non meno inquietante, è in che misura il nostro Istituto Centrale abbia sostenuto e consigliato le banche italiane in difficoltà ad adeguarsi ed a prepararsi – anche attraverso valide società di consulenza – agli stress test della BCE. Visti i risultati positivi registrati, ad esempio, in Spagna e Francia sono stati più accorti e più bravi di noi nelle loro strategie di preparazione?
E’ un interrogativo legittimo, dal momento che a nessun italiano credo faccia piacere – ancora una volta – vedere, in tale caso con riferimento al proprio sistema bancario, essere raffigurato come la pecora nera dell’eurozona! Chi ha letto la stampa francese in quella triste domenica di fine ottobre, si è reso conto dell’opinione negativa che circolava sul nostro sistema bancario uscito malconcio dall’esame della BCE.
Soldi, fisco e finanza
Caratteri e criticità del nuovo assetto del capitale della Banca d’Italia di Francesco De Pasquale, già dirigente della Banca d’Italia
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on la rivalutazione delle quote della Banca d’Italia, avvenuta con il decreto legge n.133 del 30.11.2013 convertito nella Legge n. 5 del 29.1.2014, il capitale originario di 300 milioni di lire, in base al valore stabilito con la Legge Bancaria del 1936, corrispondente a un valore attuale di 156.000 euro, è stato aggiornato a 7,5 miliardi di euro, con la contestuale limitazione al 3% del capitale per ogni azionista. Ciò allo scopo di evitare che grosse quote possano costituire una potenziale interferenza con l’autonomia della Banca Centrale. La nuova legge prevede, inoltre, che possa essere distribuito un dividendo annuo fino al 6% del valore di ogni singola quota; infine, l’Istituto Centrale può, onde assicurare il rispetto del limite del 3%, acquistare temporaneamente, nella sua qualità di compratore di ultima istanza, le proprie quote con modalità tali da assicurare trasparenza, parità di trattamento e salvaguardia del patrimonio della Banca d’Italia, con riferimento al presumibile valore di realizzo. La plusvalenza che si realizza, a seguito della rivalutazione, è assoggettata alla tassazione del 12,5% prevista per i titoli di Stato. L’iniziativa legislativa arrivata a defi-
nizione con la conversione del decreto legge nasce dall’esigenza di riformare il capitale e l’azionariato della Banca Centrale manifestata nella Legge n.262 del 28.12.2005, con cui era già stata modificata la governance dell’Istituto rimandando a un momento successivo l’intervento normativo sul capitale. In particolare, la legge del 2005 prevedeva che venissero riacquistate dalla mano pubblica le quote nella disponibilità
delle banche, tra cui quelle maggiori rimanevano di pertinenza di Intesa Sanpaolo e UniCredito Italiano (42,5% e 22,1%), all’epoca detentrici di parte del capitale della Banca Centrale nella loro qualità di Banche di interesse nazionale e quindi appartenenti alla sfera pubblica, e poi restate per consuetudine titolari del diritto anche quando, alla fine degli
anni ’80, la categoria delle banche di interesse nazionale era scomparsa a seguito dell’avvenuta privatizzazione del settore bancario. Le altre quote superiori al 3% appartengono a Assicurazioni Generali, Cassa di Risparmio di Bologna, INPS e Banca Carige, nelle misure, rispettivamente , del 6,3%, 6,2%, 5% e 4%. L’assetto originario della proprietà deriva dalla Legge bancaria del 1936, con cui venne determinata la natura di istituto di diritto pubblico della Banca d’Italia, mantenendo le strutture societarie preesistenti e disciplinando i diritti dei soggetti legittimati a detenere le quote del capitale. L’obiettivo che si voleva raggiungere con la nuova disciplina della proprietà della Banca d’Italia era quello della tutela della sua indipendenza a più di trent’anni di distanza dal divorzio con il Tesoro. Per ottenere lo scopo prefissato è stato necessario procedere all’aumento del capitale, determinato in un valore di 7 miliardi e 500 milioni di euro, il che ha prodotto un ridimensionamento corrispondente delle riserve statutarie della Banca Centrale. Dal canto loro, i soggetti detentori delle azioni si vedono rivalutate le loro partecipazioni nel capitale a seguito delle plusvalenze formatesi. La legge pre19
Soldi, fisco e finanza vede, inoltre, il riconoscimento di dividendi ai possessori delle partecipazioni, a valere sugli utili netti, fino ad un massimo del 6% del capitale; la modulazione dei dividendi avrà effetti poi sulla quota degli utili di spettanza dello Stato. La revisione della partecipazione al capitale è stata realizzata cercando di preservare le attività istituzionali da influenze esterne. Per far ciò si è mantenuto, contrariamente a quanto prospettava la legge n.262 del 2005, un assetto contraddistinto dalla proprietà privata del capitale che, unitamente alla struttura di governance, ha a lungo garantito l’indipendenza della Banca Centrale, sulla falsariga di quanto avviene anche per Istituti centrali di altri Paesi. Al contempo, alcuni gruppi bancari, grazie ai processi di fusione e incorporazione succedutisi negli anni, hanno visto aumentata considerevolmente la propria partecipazione al capitale della Banca d’Italia: di qui il rischio, non sufficientemente attenuato dalle consuetudini applicative di funzionamento della struttura decisionale, di un’influenza degli azionisti di maggior peso sul governo dell’Istituto, cui si è posto rimedio con la fissazione della soglia limite e la conseguente facoltà di riacquisto delle quote in eccedenza in vista di una successiva rivendita. Quanto alla contabilizzazione nei bilanci degli azionisti delle nuove quote, molto dipenderà dall’atteggiamento delle autorità nazionali ed europee: mentre la Consob, nel suo intervento nei confronti delle banche quotate, non ha posto a tutt’oggi vincoli di contabilizzazione, l’Esma, l’organismo che riunisce i re20
golatori di mercato dei Paesi UE, sta valutando se favorire l’inserimento delle plusvalenze già nel conto economico ovvero soltanto nel fondo accantonamento crediti, il che potrebbe avere qualche effetto sulla corresponsione dell’imposta sulle plusvalenze a favore dello Stato, anche se ciò appare scongiurato dalla Legge di stabilità 2014 laddove prescrive il riallineamento dei maggiori valori civilistici ai fini fiscali tramite il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive e di eventuali addizionali pari al 12% del differenziale tra il valore nominale e quello fiscale. Dal canto loro, la Banca d’Italia e l’Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni, sono anch’esse intervenute, dopo la Consob, nei confronti di tutte le banche e le compagnie d’assicurazione, emanando un comunicato congiunto in cui vengono riproposte le osservazioni della Consob, lasciando quindi il campo libero per l’inclusione delle quote nel conto economico del bilancio 2013. Le modalità e i tempi di contabilizza-
zione delle partecipazioni inducono a porsi il problema della natura giuridica delle stesse: il rispetto in via generale dei principi contabili, richiamato dalle autorità di controllo, è in linea con l’interpretazione per cui non si tratta delle vecchie quote rivalutate, bensì di azioni nuove, come tali da iscrivere a bilancio. Non è esclusa, in linea di principio, la possibilità di acquisizione delle partecipazioni da parte di investitori di altri Paesi, come accade per alcuni Istituti Centrali, ma il meccanismo procedurale introdotto, attraverso l’acquisto preliminare di quote in eccedenza al limite prefissato e la susseguente rivendita, rimette comunque alla Banca d’Italia la decisione finale sugli assetti proprietari. In conclusione, l’operazione posta in essere presenta aspetti forse criticabili per i tempi e le modalità di deliberazione, ma offre altresì ai diversi interlocutori in gioco (lo Stato, la Banca Centrale, i soggetti privati) alcune convenienze rispettive, assicurando nel contempo una governance che risponde a criteri di ragionevolezza adeguati per il futuro.
Soldi, fisco e finanza
La tecnologia, evoluzione e cambiamenti: impatto sull’individuo e sulle imprese di Alessia Scalese
vano crescere la comitiva. Per ottenere informazioni su una persona la si osservava e dai suoi comportamenti, si cercava di capire la sua estrazione sociale, chi erano i genitori, se studiava o lavorava e quali luoghi frequentava. Il corteggiamento avveniva tramite sguardi, parole sussurrate all’orecchio, lettere, appostamenti fatti solo per poter vedere, anche da lontano, la persona che faceva battere il cuore.
L’
avvento e l’evoluzione della tecnologia ha condizionato tutti gli aspetti della nostra vita e le reazioni ai cambiamenti sono state varie e diverse a seconda dell’età degli utenti finali, oltre che degli ambiti in cui essa viene utilizzata. Cominciando ad analizzare i vari aspetti influenzati da tale evoluzione, vediamo come si è sviluppata la comunicazione e come la tecnologia ha cambiato l’individuo. Sembrano ormai tempi passati, quando gli appuntamenti con gli amici si prendevano durante l’ultimo incontro o, al massimo, tramite rapide telefonate, effettuate dal telefono fisso di casa, che i nostri genitori tenevano sotto controllo per risparmiare sulla bolletta. Quando per parlare con qualche amico lontano, si cercava la cabina telefonica più vicina, si cambiavano i soldi in gettoni e le parole scorrevano con il rumore di sottofondo delle monete che scivolavano e che scandiva il passare del tempo. Quando il bello di leggere un libro o un giornale, stava anche nello sfogliare le pagine. Si cresceva nel quartiere, la sera si rientrava in casa, correndo a perdifiato per non fare tardi; non esistevano i cellulari per avvisare che si era in ritardo e i nostri genitori ci aspettavano preoccupati guardando fuori dalla finestra. Le persone si conoscevano a scuola, in ufficio, nella parrocchia sotto casa, in piazza...amici degli amici che face-
Con l’avvento di internet e dei nuovi dispositivi tecnologici, sempre più avanzati, tutto questo è diventato un ricordo lontano. Ora per tutto c’è il computer, il tablet, il telefonino; basta premere un tasto e tutte le nostre azioni vengono sostituite con un semplice gesto. Oggi i ragazzi si conoscono non solo nei luoghi comuni, ma anche e forse soprattutto, tramite internet. Con l’avvento del web è nato un nuovo concetto di amicizia, di rapporti sociali, che vengono veicolati da social network come Facebook, Twitter, Instagram o da blog e forum di discussione. Tutto ciò ha comportato una perdita sostanziale nei rapporti interpersonali; i ragazzi hanno perso la capacità di comunicare e mostrare le proprie emozioni, guardando negli occhi il proprio interlocutore. Lo sguardo fisso sul telefonino, migliaia di messaggini che volano in rete, l’utilizzo di un linguaggio scarno e sgrammaticato; una generazione di soldatini che camminano a testa bassa e che spesso non comunicano verbalmente, pur stando uno di fronte all’altro. Nelle scuole si tende sempre più a sostituire con gli ebook i vecchi e buoni libri, pagine e pagine di carta stampata, sulle quali le vecchie generazioni apprendevano e formano il proprio background; si custodivano con cura, le mamme li foderavano per evitare che si rovinassero e si stava attenti che non si formassero “le orecchie”. Tutto questo oggi sembra fantascienza, i ragazzi guardano ai libri come fossero mostri; a loro basta digitare una parola 21
Soldi, fisco e finanza
ed ecco che internet fa tutto per loro. Non hanno lontanamente l’idea di come si faccia una ricerca, di come si trovi una parola sul dizionario, sfogliandolo in base all’ordine alfabetico. L’importante è il risultato, perchè sforzarsi e usare la testa??? L’11° rapporto del Censis/Ucsi sulla comunicazione, presentato ad ottobre 2013, analizza dettagliatamente, grazie ai dati derivanti dalle indagini a campione effettuate nel nostro paese, lo sviluppo dei nuovi strumenti di comunicazione ed il loro utilizzo da parte degli italiani. Circa due terzi della popolazione giovane del nostro paese, utilizza assiduamente gli smartphones, i cellulari di nuova generazione capaci di intrecciare le funzioni di base di un telefonino tradizionale, a quelle di un vero e proprio strumento in grado di connettersi con il mondo. La percentuale di individui che utilizzano internet è pari al 65% (un aumento del 1,4% rispetto all’anno precedente). Tra i giovani il dato cresce in maniera esponenziale, attestandosi intorno al 90,4%!!! L’Adsl è la tipologia di connessione più utilizzata; ne usufruisce il 63% dei soggetti, mentre il 40% della popolazione frutta la rete wi-fi.
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Il motore di ricerca più utilizzato nel nostro Paese, come del resto negli altri Paesi Europei, è Google, utilizzato dal 43% degli italiani per informarsi. Questi dati ci mostrano come la società moderna sia altamente sviluppata in termini di tecnologia e che i giovani sono sempre più al passo con i tempi (ma sono migliori sotto un profilo di cultura e sensibilità???). Ma come reagiscono le vecchie generazioni? Arrancano, non riescono ad impiegare questi piccoli e tanto infernali strumenti di comunicazione. Solo il 9,2% degli anziani è iscritto o utilizza un social network e unicamente il 6,8% degli over 65 adopera uno smartphone. E’ innegabile che l’evoluzione della tecnologia è venuta in soccorso dell’uomo, ma è necessario sottolineare come un utilizzo eccessivo della stessa, faccia perdere il contatto con la realtà, non facendo spesso apprezzare la bellezza di ciò che ci circonda. Si tende a sostituire l’azione umana, innescando un meccanismo nel quale, per il raggiungimento di un determinato obiettivo, si perde la capacità di utilizzare le proprie conoscenze, esperienze, e capacità di ragionamento. Sotto questo aspetto, le vecchie generazioni possono ritenersi fortunate; avendo vissuto gran parte della loro esistenza, anche senza alcuno strumento tecnologico, sono in grado di valutarne i vari aspetti, riuscendo a gestire le diverse situazioni in modo appropriato. I giovani essendo nati nel pieno dell’era tecnologica invece, dovrebbero essere educati ad un uso consapevole di questa molteplicità di strumenti, per dar loro la possibilità di capirne pregi e difetti, limiti e potenzialità. Lo sviluppo di nuove tecnologie non ha avuto effetto solo sulla
Soldi, fisco e finanza sfera delle comunicazioni. I suoi riflessi hanno condizionato anche il mondo delle imprese. Innanzitutto, va considerato l’utilizzo della tecnologia, che permette di svolgere alcune funzioni a basso costo. Se da una parte questo è un notevole vantaggio per l’azienda, dall’altra non bisogna sottovalutare l’aspetto umano; rispetto al costo della manodopera, gli impianti automatizzati sono più razionali, con la naturale conseguenza di una notevole riduzione dell’occupazione. Pensiamo anche a quante attività, prettamente manuali, sono andate scomparendo; nel campo dell’artigianato, ad esempio, arti e mestieri tramandati di padre in figlio, attraverso le innumerevoli generazioni, oggi non esistono più. Manufatti unici, sostituiti da prodotti commerciali, confezionati in catene di montaggio e tutti uguali “con gli occhi a mandorla”. Uno dei vantaggi, invece, è sicuramente l’aumento dell’uso dei personal computer che ha rivoluzionato il lavoro d’ufficio. Un maggiore utilizzo dell’e-mail, attraverso le quali, un’impresa può aumentare la sua efficienza per il rapido invio delle comunicazioni e dei documenti tra i vari reparti, rami dell’azienda ed interlocutori esterni. Come al solito però, si arriva sempre all’eccesso. Ormai le e-mail sono utilizzate per ogni cosa e spesso le informazioni che vengono inviate, non vengono nemmeno lette dal destinatario. Milioni di messaggi che volano nel web, intasando spesso la rete, e che in parte sono completamente inutili. Ma ormai siamo schiavi e avere il telefonino che riceve email e messaggi, tenendoci costantemente legati al resto del mondo, è diventato uno status. Non c’è luogo nel
quale non si osservino individui incollati allo schermo, intenti a leggere informazioni, che spesso nemmeno interessano. Quante volte è capitato che squilli un telefonino e automaticamente tutti i presenti sfoderino il proprio apparecchio nella speranza che sia il loro a suonare. Necessità, mania, ossessione, chiamatela come volete, ma dove è finito il senso della misura??? Negli ultimi tempi le imprese hanno cominciato a valutare i profili dei candidati all’assunzione attraverso il reperimento di dati e informazioni presenti sui social network,
effettuando in maniera rapida e veloce una prima scremature di coloro, i cui comportamenti, risultano lontani dagli standard aziendali. Inoltre, se è pur vero che la rete permette lo sviluppo di nuovi canali di vendita, con costi sicuramente più contenuti, non dobbiamo sottovalutare il rovescio della medaglia; la diminuzione dell’utilizzo della manodopera, la conseguente e inevitabile eliminazione di quell’aspetto fondamentale che sono i rapporti tra negoziante e acquirente, oltre che l’accurata valutazione del prodotto che si vuole acquistare. Molteplici sono state le novità tecnologiche che, nel corso degli anni, sono entrate prepotentemente nella nostra vita: il telefono, la radio, la televisione, i computer, i cellulari, fino ad arrivare ad Internet. Quest’ultimo, utile mezzo di comunicazione e informazione nello studio e nel lavoro, ottimo strumento di evasione, è amato e odiato; certo è che qualunque sia la nostra opinione in merito alla sua utilità, fa ormai parte della nostra vita e difficilmente si può riuscire a rimanere indifferenti alla sua presenza. Ogni epoca porta con sè cambiamenti e innovazioni e come sempre le opinioni sono contrastanti; da un lato, c’è chi è disposto ad accettare i cambiamenti, dall’altro chi resta ancorato, al passato. In ogni modo, il progresso - sarà progresso? - va avanti e noi non abbiamo altra scelta che accettarlo, imparando quanto meno, a conviverci. 23
Leges et iura
Il senso della legge per la giustizia di Francesco Punzo, responsabile CISS sezione Palermo Convegno del 14 Febbraio 2015
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abato 14 Febbraio si è svolta al Castello Utveggio di Palermo, sede del CERISDI, promossa e organizzata dal CISS, insieme all’UCID, al CERISDI, con la collaborazione della rivista Le Nuove Frontiere della Scuola, una giornata di studi dedicata alla verifica dell’ impegno per il Valore Giustizia nel momento in cui incontra la Legalità. Il convegno, che è stato occasione d’incontro tra esperti di diritto, magistrati, avvocati, sociologi, imprenditori, economisti, parlamentari, ha avuto come punto centrale l’attenzione per la necessità di far tendere la legalità verso la Giustizia. Soltanto con questa tensione, le regole, in quanto piene di moralità, come afferma Gaspare Sturzo, presidente del CISS, moderatore del convegno, saranno vive. L’auspicio che ha unito gli interventi dei relatori è stato quello di un’azione legale caratterizzata per il riconoscimento della dignità della persona, della verità e della fraternità. Senza questi caratteri le regole non potrebbero portare mai al Bene Comune, e non si potrebbe avere risposta positiva alla domanda fondamentale rivolta ai relatori e a tutti partecipanti al convegno: ”E’ possibile che la legge sia, come deve essere espressione di giustizia, sintesi d’interessi comuni, strumento reale di crescita umana dei singoli e della società?” Il convegno è stato incentrato sulla verifica dell’impegno per la Giustizia; suddiviso in due parti, condotto sotto i profili, del contrasto alla criminalità , in particolare nuove e vecchie mafie, dei principi e valori della Dottrina Sociale della Chiesa nella concretezza dell’agire, analizzando, grazie agli interventi dei relatori, i vari aspetti della realtà, economico e finanziario, giuridico, politico, sociale. I magistrati Giovanni Conso, autore del libro MAFIE, La Criminalità Straniera alla conquista dell’Italia, Giusto Sciacchitano e Maurizio De Lucia, hanno testimoniato il loro impegno nell’attività di contrasto alla criminalità organizzata. Azione continua di bene comune certamente diventa la speranza delle persone per bene, come afferma Giovanni Conso, nel rompere la collusione tra mafia, imprenditori e politici corrotti, e bloccare così l’impoverimento del paese Un contesto, come ha sottolineato Giusto Sciacchitano, dove l’ambito europeo sta ormai stretto alla criminalità organizzata, che ha assunto una 24
così vasta dimensione d’internazionalità da richiedere obbligatoriamente forti interventi politici per promuoverne la repressione in qualsiasi parte del mondo. Giancarlo Abete e Beppe Salerno, hanno manifestato l’esigenza dell’etica nell’attività imprenditoriale tramite comportamenti leali e trasparenti, con immissione di persone che abbiano la consapevolezza di agire in tale dimensione. Il Dott. Michele Cattaneo, presidente Assofiduciaria, ha messo in rilievo l’importanza e l’esigenza di una corretta finanza per lo sviluppo dell’economia. Il senatore Corradino Mineo ha analizzato l’aspetto criminale e sociale del contrasto alla mafia, rilevando quanto al primo, come sia sicuramente efficace l’attività di repressione svolta dai magistrati e dal quotidiano lavoro delle forze dell’ordine, mentre circa il secondo, il fenomeno ormai diffuso su tutto il territorio nazionale con forme illecite d’intermediazione e di assistenza, richiederebbe interventi più efficaci da parte della politica. Una forte testimonianza di giustizia sociale è stata data dal sacerdote Paolo Solidoro, cappellano militare impegnato nell’operazione “Mare Nostrum”, nel raccontare, suscitando viva emozione, le operazioni di salvataggio, svolte con modalità che manifestano effettiva accoglienza, rispetto della dignità che spetta a ciascuno come persona. Il Prof. Antonio La Spina, docente di sociologia del diritto, ha compiuto un attento esame del rapporto legalità-giustizia. Il Prof. Salvatore Sammartino, ordinario di diritto tributario, ha trattato il delicato tema della giustizia fiscale, rilevando come sarebbe utile premiare il corretto comportamento del contribuente, da parte dell’Amministrazione Finanziaria. Importante l’aspetto dell’etica professionale trattato dall’Avv. Ninni Reina, avvocato penalista e presidente della commissione distrettuale disciplina, circa il ruolo dell’operatore del diritto in un contesto di regole comportamentali. Ha concluso il convegno il Prof. Salvatore La Rosa, direttore del CERISDI e della rivista Le Nuove Frontiere della Scuola, cogliendo e collegando tra loro i punti essenziali degli interventi di ciascun relatore, manifestando compiacimento per il contributo dato dalla giornata di studi alla comprensione del significato della legalità quale mezzo per la giustizia, e all’educazione alla legalità che richiede per prima cosa dare esempi di vita corretta.
Leges et iura
Mala bestia mafiosa e ipocrisia italica di Gaspare Sturzo, Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, Presidente del CISS
zione. In sostanza, stringere tutto nelle mani di una “morsa” auto legit-
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ochi ricordano che nel 1900 don Luigi Sturzo scrisse il dramma “La mafia”. In quel testo, richiamato da Sciascia nel noto articolo “I professionisti dell’Antimafia”, il prete sociale siciliano faceva dire al boss Accarano come questi un giorno avrebbe avuto tutto il potere nelle sue mani. Spiegava il capo mafia ai suoi picciotti che ciò sarebbe accaduto perché aveva preso il controllo del Comune e della Prefettura, aveva nelle sue mani il candidato Sindaco e il deputato nazionale, gestiva gli appalti comunali, l’assegnazione delle terre e la distribuzione delle acque nelle campagne. Era soltanto il 1900 e l’anno prima era stato ucciso, per mano di sicario mafioso, il presidente del Banco di Sicilia, circostanza che don Luigi non aveva paura a richiamare nella sua opera teatrale. Soltanto nel 1982 la Legge Rognoni- La Torre faceva entrare nell’ordinamento giuridico il delitto di associazione a delinquere di stampo mafioso e solo di recente ha visto la
luce il delitto di scambio politico mafioso. Questi ritardi hanno fatto della MALA BESTIA MAFIOSA un mostro fortissimo, capace di cambiare spesso pelle, ma rimanendo sempre affamato delle libertà dei cittadini. Qualsiasi giornale oggi ci spiega come poco sia cambiato nel metodo, modello criminale e strategia di accaparramento del potere da parte delle mafie. Certamente, si susseguono i diversi nomi dei criminali e delle loro associazioni, gli affari illeciti che organizzano, il saccheggio delle risorse pubbliche e il male comune che costruiscono sulle spalle dei cittadini. Com’è noto, la responsabilità penale è personale. Anche la costruzione di metodi, modelli, strategie e associazioni mafiose, avviene per opera di persone. Al centro c’è il potere delle persone sulle persone, o meglio il controllo di queste e della “robba”. Oggi questa è gestione delle attività economiche e finanziarie, delle istituzioni pubbliche e private, delle associazioni e della coopera-
timante, costruita violando tutte le regole di legalità, imposta agli altri mediante la paura e il peso del silenzio. Un sistema che s’impone come cappa oscurantista sullo sviluppo dei territori e delle persone, distrugge le ricchezze locali e impone alle migliori risorse umane di abbandonare i luoghi natii, consentendo alla “zona grigia” di mettere a disposizione di questo potere delle persone sulle persone nuova linfa umana. Se le indagini penali hanno dimostrato qualcosa, dalle istruttorie di Chinnici prima e del pool di Falcone dopo, è che al servizio del modello criminale mafioso c’è sempre una struttura di “intellighenzia” civile, imperniata sul perbenismo, sul politicamente corretto, che frequenta i salotti buoni. Di giorno recita il mantra del bene comune e di notte traffica negli affari illeciti. Adesso anche capace di assumere in modo gattopardesco le sembianze dell’anti mafia. Le risorse necessarie per tenere in vita questa MALA BESTIA sono oggetto di valutazioni con cifre stratosferiche. Vengono sempre dalla droga, dal mercato delle contraffazioni, dalle frodi comunitarie, dalla gestione illecita degli appalti pubblici e dalla spartizione dei territori con le speculazioni edilizie e con il traffico dei rifiuti. Da questo punto di vista, gli ingenti profitti illeciti, transitando per i bilanci delle imprese, sono reinvestiti in beni e servizi che sono vicini a noi gente comune più di 25
Leges et iura quanto si possa immaginare; magari lì la mattina dove prendi il caffè, o dove fai la benzina, la spesa, acquisti il tuo abbigliamento, vai con la famiglia in vacanza, tieni i tuoi risparmi. Tutto ciò si chiama riciclaggio di capitali illeciti che sono investiti intestandoli a prestanome, o meglio, ancora una volta la “zona grigia”, quelli al di sopra di ogni sospetto. Tecnicamente la nostra legislazione conosce un’arma formidabile quale le misure di prevenzioni patrimoniali con i sequestri e le confische, che una volta appresa la ricchezza illecita mostra diverse criticità nel restituirla alle comunità. Però, se è vero che la responsabilità penale è personale, ciò che deve essere combattuto è il fattore umano che rigenera le mafie nella loro sete di potere. O meglio, oramai abbiamo poco da difendere, quanto al rischio di svuotamento delle virtù sociali, delle capacità culturali e delle responsabilità democratiche, da parte di attori che non sono più solo uomini con la coppola in testa, ma vivono dentro a elegantissimi doppi petti, non solo siciliani o calabresi, ma russi, cinesi, georgiani, o meglio il mercato mafioso globale. Da magistrato non dispero, anche se a volte sembra che la Giustizia italiana sia una ridotta alle porte del deserto. Da cittadino credo che occorra reagire; non basta più essere testimoni, più o meno distratti. Occorre essere produttori di bene comune e riconquistare quegli spazi di mercato civile e democratico che, sistematicamente, ci sono sottratti. La doppia catena dei diritti e dei doveri che ci legga tutti deve es-
sere rinsaldata guardando a interventi tecnici lì dove si annida il cancro del malaffare delle bestie fameliche. O meglio, rendere impossi26
bile il mercato illecito dei poteri pubblici, spesso pilastro essenziale per controllare i diritti delle persone. La strada è quella di ripercorrere anche per gli illeciti penali del potere pubblico e quelli del potere economico e finanziario, la scelta organizzativa coordinata del modello giudiziario anti mafia, della Procura nazionale e distrettuale antimafia. Quanto alle indagini, occorre concentrare le forze di polizia giudiziaria ad alta specializzazione secondo il modello della Direzione Investigativa Antimafia. Poi, avere il coraggio di dare una corsia preferenziale ai processi con termini perentori assai brevi entro cui gestire tutti gradi del giudizio e rinunciando all’oralità del processo, lasciandola sopravvivere per le prove a discarico della difesa.
Quindi, e non da ultimo, escludere in caso di condanna, per questi incensurati di lungo corso, gli sconti di pena, il beneficio della sospensione condizionale della pena, gli effetti della Gozzini e la riabilitazione, applicando l’interdizione perpetua obbligatoria dagli uffici pubblici, della direzione d’imprese, arti e professioni. Il timore dell’efficacia ed effettività della sanzione avrà certamente maggior effetto che le piume e pailette dell’innalzamento di pene per reati che, in questo stato di cose della giustizia, hanno scarso rischio di essere accertati. Insomma, introdurre l’idea del consumo critico dei diritti e dei doveri, nuova garanzia di effettività del principio di eguaglianza e di differenziazione tra chi compie il proprio dovere e chi no.
Riprende vigore il dibattito sul ponte
Città e società
di Davide Gambale, giornalista Messina
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ella società “Stretto di Messina”, dopo il decreto di liquidazione rimane ben poco, oltre la sede un commissario liquidatore. L’ultimo bilancio, depositato a maggio 2014, presenta un attivo di quasi 196mila euro. Sulla Spa grava il peso delle penali previste dal contratto d’appalto per la realizzazione di un’opera che, per il momento, non rientra fra le priorità del governo nazionale. Probabilmente il motivo per il quale nessuno fino ad oggi, ha preso la drastica decisione di chiudere la “Stretto di Messina”, sta proprio nel rischio per lo Stato di dovere pagare un autentico salasso. La cifra stabilita nel disciplinare di gara è di 900 mln di euro, ma fra interessi e rivalutazioni non è azzardato affermare che l’importo possa superare il miliardo di euro. Cifre iperboliche che continuano a mantenere in vita l’idea di un’immensa infrastruttura che i governi di destra hanno sempre sostenuto. La “Impregilo”, leader mondiale per la realizzazione di mega infrastruttura, sta ancora aspettando lumi dal governo perché “ballano” – è proprio il caso di dirlo – le penali. La gara, com’è noto, è stata aggiudicata, ma con la “caduta” del Governo-Berlusconi, fervente sostenitore dell’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, la fase esecutiva ha subìto uno stop. L’apertura della “Impregilo” Pietro Salini, a margine dell'assemblea degli azionisti della Impregilo,
ha affermato: “Il Ponte sullo Stretto sarebbe una vetrina per il mondo intero, significherebbe far vedere cosa è capace di fare l'industria italiana ci piacerebbe che questo progetto, insieme agli altri, potesse essere all’attenzione del governo. Mettere in moto l'occupazione significa fare le cose concretamente” ed ancora “Siamo disponibili a rinunciare alle penali per il risarcimento dei danni, dopo la cancellazione del contratto, in caso di realizzazione dell'opera. Spero, mi auguro che Matteo Renzi riapra il dossier”. Se lo Stato rinunciasse al Ponte perderebbe un gettito fiscale potenziale da 4,5 miliardi, derivante dagli oltre 40mila posti di lavoro che si creerebbero, poi dovrebbe sborsare i soldi delle penali,
dopo che il governo del “tecnico” Mario Monti ha deciso di liquidare la “Stretto di Messina”. A conti fatti, pagare le penali equivarrebbe quasi a realizzare la grande infrastruttura. Infatti, nel caso di costruzione del Ponte lo Stato dovrebbe mettere dalle proprie casse appena 1,5 miliardi, il resto sarà a carico dei privati. E se si considera che le penali si aggirano intorno ai 900 milioni di euro è evidente che il governo l’argomento nei prossimi mesi dovrà, giocoforza, inserirlo nella propria agenda. Lo stop di Mario Monti L’allora premier Mario Monti, prima di passare il “testimone” ad Enrico Letta, ha apposto la sua firma al de27
Città e società creto di scioglimento della società “Stretto di Messina”. Una scelta politica compiuta da un governo tecnico. Correva l’anno 2013, e appena quindici giorni prima di lasciare la guida del suo governo, sanciva la fine di un “sogno” chiamato Ponte sullo Stretto. Il professore Vincenzo Fortunato, ordinario di diritto amministrativo, ha avuto assegnato il compito di “liquidare” la società costituita nel 1981 con l’obiettivo di realizzare la mega infrastruttura che per oltre 30 anni ha animato il dibattito politico nazionale. Un’idea rimasta solo tale – almeno per ora – che è costata alla collettività parecchi soldi. La “Spa” da due anni, di fatto, come etto, è “ibernata”, in attesa che qualcuno possa riproporre il tema che ha diviso l’opinione pubblica e sul quale si sono “costruite” diverse campagne elettorali. Le ragioni dell’attualità Il tema-Ponte è tornato di stretta attualità dopo che i siciliani hanno compreso che le Ferrovie dello Stato hanno deciso di tagliare i servizi in nome della “spending review”. Circostanza negata dai vertici delle Ferrovie. Il diritto alla continuità territoriale, sancito anche dalla Carta costituzionale, torna ad essere invocato a gran voce dai cittadini che temono di subire l’isolamento. E allora, se da un lato i mezzi di trasporto si dimezzano, dall’altro serve qualcosa che possa consentire ai siciliani di varcare lo Stretto per giungere nel Continente. Il giorno di San Valentino a Messina ha sfilato il popolo della “continuità territoriale”, animato dai sindacati che temono, tuttavia, ulteriori riduzioni delle unità di personale. La “continuità” secondo alcuni è stato il pretesto 28
perché, in fondo, i messinesi hanno compreso che il diritto costituzionale potrebbe essere garantito da una struttura che possa unire le due sponde in maniera stabile. Spezzare l’isolamento e creare nuove opportunità La novità del dibattito, che sta animando conferenze e incontri pubblici, ruota attorno alla convinzione che la Sicilia solo attraverso la grande infrastruttura può evitare l’isolamento. I messinesi e i siciliani si sentono sempre più emarginati dal resto del mondo, perché i tra-
sporti navali non funzionano, a causa della vetustà dei mezzi e, soprattutto, per via della mancanza di investimenti da parte delle Ferrovie. Le stesse che hanno già tagliato la Sicilia dai treni a lunga percorrenza. Il nuovo avvio darebbe forza anche alla assoluta necessità di verificare lo stato delle strade e autostrade siciliane, in funzione dell’auspicato aumento dei flussi turistici e commerciali, incentivati a visitare la Sicilia anche dalla realizzazione della nuova opera e dal completamento della Salerno – Reggio Calabria.
Città e società
Sicurezza e terrorismo, come le stagioni, non sono più quelli di una volta di Giampiero Cardillo, già Generale dei Carabinieri, socio CISS Roma
“I
l terrorismo è l’uso della violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzare o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei o simili”(Enciclopedia Treccani). Il diritto internazionale contemporaneo definisce il terrorismo come comportamento individuale gravemente lesivo dei diritti umani fondamentali, che si qualificano come crimini internazionali, in base ai trattati in vigore (Treaty Crimes), ma non per diritto consuetudinario(core crimes). Fin dal 1937 si tentò a Ginevra di adottare una Convenzione per la prevenzione e la repressione del terrorismo e di creare una Corte penale internazionale, senza successo. I tempi non erano maturi. Gli Stati nazionali erano allora più forti di qualsiasi organizzazione internazionale. Nel secondo dopoguerra, è stato adottato un modello normativo cui deve conformarsi la legislazione degli Stati che partecipano. Si introduce l’obbligo di considerare crimini, negli ordinamenti statali, quelli considerati tali nelle singole convenzioni internazionali. Inoltre, si prevede di affermare il principio “aut dedere aut judicare”, cioè o si consegna il terrorista sospettato allo Stato-vittima o lo si giudica nel proprio per il reato commesso. Infine, si contempla l’introduzione di disposizioni sull’assistenza giudiziale e la prevenzione nell’ordinamento nazionale. La percezione del terrorismo come minaccia alla pace globale si fa invece risalire all’attentato di Lockerbie del 1988, che provocò la prima Dichiarazione ONU di condanna dei criminali, e la successiva dichiarazione di New York del 1999, per la repressione del finanziamento del Terrorismo, applicabile anche al di fuori delle singole convenzioni internazionali fra gruppi di Stati. Dal punto di vista percettivo globale è l’attentato alle Torri Gemelle del 2001 quello ha prodotto il massimo dell’emozione collettiva mondiale, mai registrata in precedenza in materia di terrorismo. Una emozione cui è seguita una serie di conseguenze di straordinaria grandezza, che
hanno fatto dire già allora, più che a ragione: “nulla sarà come prima”, come in effetti è accaduto. Per inciso, in Italia, in materia penale, il 270bis del c,p, prevede il delitto di associazione con finalità di terrorismo internazionale a carico di chiunque promuova, costituisca, organizzi, finanzi o diriga associazioni che si propongano atti di violenza su persone o cose o di eversione dell’ordine democratico. La pena prevista è di 7-15 anni. La sola partecipazione prevede la pena di 5-10 anni. Nel 2005, con dl n. 144 (L. 155/2005) si sono molto potenziati gli strumenti di indagine e di controllo. In generale, nella lunga storia del terrorismo come arma di lotta politica negli Stati e fra Stati, etnie, gruppi religiosi o come lotta economica e per il predomino militare, si evidenziano gli scopi riguardanti soprattutto la secessione di territori, l’anticolonialismo e il rafforzamento del potere di governo. Dal 20mo secolo in poi le cose cambiano e si complicano. Si nota il coinvolgimento sempre più grave della popolazione nei fatti di terrorismo, prima circoscritti, perlopiù, a obiettivi specifici più ristretti. Ai nostri tempi, appare esaltato su scala globale il meccanismo “Azione-Reazione- Soluzione”, tipico dell’azione terroristica di ogni tempo. Un meccanismo che ha dato al terrorismo moderno una più grande possibilità di generare fenomeni molto complessi, fondati su altrettanto complesse pianificazioni e programmazioni, coperte da una molteplice schermatura di sicurezza e riservatezza. Il paradosso maggiore dei nostri giorni sta, forse, proprio nella difficoltà di penetrare tale cornice di “sicurezza” di cui appare godere l’azione terroristica. Molto più di quanto si sia in grado di scorgerne nelle rispettive azioni preventive e reattive contro quelle azioni terroristiche. Il meccanismo Azione (terroristica)- Reazione(emotiva)-Soluzione (pre-ordinata) appare sempre in qualche modo inarrestabile e vincente, rispetto al dispiegarsi dei dispositivi di contrasto su scala nazionale o internazionale. E questo accade nonostante l’apparente facilità di accedere, per le Istituzioni e, in ridottissima misura, per il singolo cittadino, a informazioni organizzate o disorganizzate su scala globale. Si ha la sensazione che il complesso decrit29
Città e società tato dei “big data” sia disponibile, ordinato e comprensibile, solo per grandissime organizzazioni, che sono perlopiù multinazionali private. Informazioni dalle quali appaiono escluse, in parte, anche Istituzioni di difesa e reazione. D’altro canto, nel nostro mondo così totalmente “connesso”, appare sempre più inverosimile un esercizio terroristico compiuto al di fuori di una protezione di potenti istituzioni e di grandi concentrazioni di risorse finanziarie e militari. Risorse che sono tipiche anche di molta Criminalità Organizzata, che, molto spesso, si costituisce come organizzazione di secondo livello, incaricati, a volte, di ruoli operativi all’interno di pianificati, obiettivi terroristici molto complessi, che a volte implicano il controllo, anche per un lungo tempo, di territori sottratti, di fatto, alla sovranità completa degli Stati. Il moderno dispositivo informativo globale, in sostanza, consente di monitorare ogni singola azione materiale o immateriale dei cittadini di un mondo molto “inter-connesso” e ricomprende, necessariamente, anche l’azione preparatoria di eventuali singoli atti terroristici. Ciò dovrebbe vanificare, già sulla carta, molte possibilità reali di successo delle azioni terroristiche programmate. Appare, perciò, assai difficile poter sfuggire, dopo un tempo ragionevole di indagine, all’identificazione, se non alla repressione giudiziaria dei responsabili, ancorché soggetti a volontaria compartimentazione. Ma questo non ha evitato e non evita l’accadere di fatti che sconvolgono la vita di molti nei luoghi più disparati, dai meno “protetti”, a quelli più potentemente sorvegliati. In altre parole, il progressivo trasferimento di poteri dagli Stati alle potenti e numerose organizzazioni, finanziarie, commerciali, sanitarie, militari, d’intelligence, tutte di diritto privato e con struttura sovranazionale, ha lasciato in
pratica agli Stati le sole competenze repressive, magari più sofisticate dal lato delle indagini, a fronte di un dispositivo generale di contrasto che non ha più la necessaria forza informativa, non solo per prevenire l’evento terroristico globalizzato, ma, soprattutto per comprenderne, giudizialmente, le vere finalità. Ciò ha consentito il fiorire, confusionario e inarrestabile, di un genere letterario, la “congettura”, “populista” e “complottista” globale, che ci sommerge, per quanto sia veicolata da ogni tipo di media disponibile. A causa di questo fenomeno ipnotico globale, che esalta drammaticamente gli effetti dell’azione terroristica, non 30
si percepisce alcuna possibile fonte di sicurezza vicina e dalla parte del cittadino, che si sente sempre più vittima indifesa, diretta o indiretta, di un moderno sistema terroristico globalizzato basato sul meccanismo Azione- Reazione- Soluzione. Se non sei obiettivo dell’Azione, lo sei sicuramente della Reazione e, ancor di più della Soluzione preordinata, vero obiettivo dell’atto terroristico. Questo è un sentimento comune, molto diffuso in Rete, facilmente riscontrabile. Si ha la sensazione, in altre parole, che l’Azione terroristica, induttiva di una Reazione non coercibile, faccia subire ai cittadini, senza difese possibili, una Soluzione preordinata. Si teme e si crede sempre di più che tali obiettivi possano essere oggi appannaggio esclusivo solo di grandi concentrazioni di poteri sovranazionali, che cospirano per la generica “rovina dei popoli” e che appaiono incoercibili dalla troppo debole capacità reattiva dei dispositivi di sicurezza degli Stati. Naturalmente si è portati, perciò a credere nella funzionale “connivenza istituzionale” con i “Poteri Forti” mondialisti, capaci di imporre “un nuovo ordine mondiale.” Questo sentimento rende perciò vano ogni tentativo di diffondere sentimenti di sicurezza nelle popolazioni, nonostante le proposte di modifiche incrementali e implementali dei dispositivi di contrasto ai fatti terroristici. Questo vanifica, in gran parte lo sforzo organizzativo contro il devastante fenomeno, allontanando la popolazione anche dalla collaborazione e dall’auto difesa. Giampiero Cardillo
Architetto e Generale B.(r)nei Carabinieri. Ha servito nell’Arma e presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, occupandosi di edilizia, impianti, safety e security. E’ Presidente del Comitato Nazionale dei Garanti nel Partito dei Popolari Liberi e Forti, d’ispirazione Sturziana. E’ membro del Comitato Tecnico-Scientifico dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto, del quale presiede anche il Dipartimento Progettazione per la Pianificazione e lo Sviluppo del Territorio. Associa a queste attività impegni a carattere didattico (Unicalabria) e di saggistica su alcuni siti on- line.
Il via a... “La buona scuola”
di Eleonora Mosti, Associazione Maestri Cattolici Italiani (AIMC)
I
l Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Stefania Giannini, il 3 marzo 2015 ha presentato al Consiglio dei Ministri le linee guida della riforma che prende il nome di “La Buona Scuola”. Matteo Renzi ha annunciato che il governo ha deciso di varare solo un disegno di legge, chiedendo la sua approvazione in tempi rapidi, escludendo però l’annunciato decreto legge riferito all’assunzione di 120 mila precari. Motivazione? “L’esecutivo vuole dare un messaggio al parlamento e coinvolgere le opposizioni nello spirito delle dichiarazioni del presidente della Repubblica”. Ma il centro della
riforma scolastica non doveva essere “Mai più precari?”come proclamato dal premier qualche giorno fa dal palco del PD a Roma? Con il decreto legge, il Miur avrebbero potuto infatti cominciare subito a lavorare per l’assunzione dei precari della scuola già dal primo settembre. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo il “Tesoro” in fondo al mare… e non solo. Ma quali sono gli obiettivi della Buona Scuola? Per gli studenti, rafforzare le loro competenze con flessibilità nei programmi, potenziando inclusione e integrazione. Avere un organico funzionale e rafforzare l’offerta formativa. I dirigenti scolastici
Città e società
diventano leader educativi con strumenti e personale adeguati per il miglioramento dell’offerta formativa. Gli organi collegiali dovranno essere più efficaci e rappresentativi. Importante sarà il tema della valutazione, della formazione e della carriera degli insegnanti. La novità sarà un rapporto più stretto e stabile fra scuola e lavoro con alternanza obbligatoria nell’ultimo triennio delle superiori. Per quanto riguarda l’edilizia scolastica si vuole procedere con bandi per la costruzione di scuole altamente innovative, creare un’anagrafe dell’edilizia che sia trasparente sugli immobili della scuola. Aumentano le risorse, si semplificano le procedure per costruire nuove strutture. Si procederà verso una scuola digitale con un nuovo piano nazionale che metta al centro formazione dei docenti e competenze degli studenti. Infine dare vita ad una scuola che goda di una semplificazione amministrativa. Da non sottovalutare poi altri aspetti inseriti nella Buona Scuola che potrebbero essere importanti, uno è riferito alla riforma dell’Infanzia, come unico percorso educativo da 0 a 6 anni, l’altro riguarderebbe il capitolo delle scuole paritarie con la proposta della detrazione fiscale per le famiglie che le scelgono come itinerario formativo per i propri figli. La scuola pubblica italiana è composta sia dagli istituti statali sia da quelli paritari. Scuole che, oltre a concorrere al pluralismo dell’offerta 31
Città e società educativa, contribuiscono a far risparmiare lo Stato nella spesa per l’istruzione. Anche se si tratta solo di un inizio è importante che si cominci ad andare verso una reale parità scolastica a tutela della libertà di scelta educativa. Don Francesco Macrì, presidente di Fidae, la federazione che riunisce le scuole cattoliche italiane, in una sua intervista, afferma che “Noi saremmo per un mix di interventi a sostegno della libertà di scelta educativa, che vadano dal finanziamento diretto, come previsto dalla legge 62/2000, alla detassazione o defiscalizzazione delle spese, oppure il bonus sul modello del Buono scuola; purché il finanziamento pubblico alla scuola paritaria, però, avvenga con regole certe e criteri di trasparenza assoluta e senza escludere nessuno, soprattutto le fasce più deboli… perché l’istruzione pubblica, in Italia è quella cui concorrono le scuole paritarie e statali insieme. A meno che qualcuno, anziché credere nella democrazia e nella sussidiarietà dei corpi intermedi, preferisca ancora un modello di scuola fortemente omologato e statalizzato, tipico dei liberalismi autoritari ottocenteschi oppure dei regimi comunisti che sopravvivono
ormai soltanto in pochissimi Paesi al mondo”. Si deve in gran parte al sottosegretario Gabriele Toccafondi l’inserimento di questo aiuto alle famiglie, che senz’altro non risolve il difficile momento economico che stanno attraversando le scuole paritarie e leggiamo direttamente da una sua intervista le ragioni di questo provvedimento fiscale. 32
“È un dato di fatto che la scuola italiana, dopo la Legge Berlinguer del 2000, è un mondo unitario che cammina su due gambe: le realtà statali, che comprendono 9 milioni di bambini e ragazzi, e gli istituti paritari, che contano 1 milione di studenti. Visto che siamo in una fase di riforma, è necessario far correre entrambe le gambe, che fanno parte dello stesso corpo. Fornendo un aiuto indiretto alle scuole paritarie, che operano entro regole pubbliche ben precise e non possono essere assimilate ai diplomifici privati”. A farsi portavoce degli istituti non statali, anche 44 deputati della maggioranza di governo che hanno rivolto il loro appello al Presidente del Consiglio Matteo Renzi. “Il Piano per la ‘Buona Scuola’ è il più importante tentativo di riformare globalmente la scuola italiana dall’epoca della riforma gentiliana”, scrivono i deputati di diversi partiti. “Proprio per questo lo slancio riformatore che il governo sta portando avanti in molti campi non può perdere un’occasione irripetibile per avviare nei fatti lo storico gap della scuola italiana in tema di pluralismo e libertà di educazione. Un sistema fondato sulla detrazione fiscale, accompagnato dal buono scuola per gli incapienti, sulla base del costo standard, potrebbe essere un primo significativo passo verso una soluzione di tipo europeo”. “Lo Stato moderno, si sottolinea
nella lettera, a prima firma G.Luigi Gigli, dovrebbe saper trasformarsi da gestore in controllore e garante della qualità formativa di tutta l’offerta pubblica…Come parlamentari della maggioranza che sostiene il governo, siamo convinti che lo slancio riformatore che esso sta portando avanti in molti campi debba tradursi in opere concrete anche a favore del pluralismo e della libertà di scelta educativa per le famiglie, senza ulteriori inaccettabili discriminazioni per quelle che intendono avvalersi delle scuole pubbliche paritarie. Si tratta semplicemente di ottemperare a quanto previsto già dalla Risoluzione del Parlamento Europeo approvata a Bruxelles il 14.3.84 e ribadito di recente nella Risoluzione del 4-10-12”. Ricordando al premier che l’adeguamento all’Europa non passa solo per il versante economico del nostro Paese, né può essere circoscritto a tematiche sulla valutazione della scuola in termini di sfide sui saperi, attendiamo le prossime azioni di governo come prova tangibile di voler camminare in avanti verso un’autentica trasformazione del Sistema scuola, per il bene soprattutto del Paese e perché no, per divenire modello di cultura per gli altri Stati europei.
Città e società
Un teatro necessario per una comunità civile di Salvatore Aricò, responsabile CISS Cultura
nel secolo precedente il settecentesco Teatro Valle di Frascati detto “al-
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a nostra antica e affascinante Frascati è tra le più amate e conosciute nel mondo, con due millenni di storia che la rendono un patrimonio dell’umanità per cultura, arte, enogastronomia e ambiente.
Un Bene comune che dobbiamo proteggere nella sua virtuosa bellezza, aggredita dall’incuria, dalla speculazione del territorio, dalla dispersione delle tradizioni, dalle rovinose politiche dei governi degli incolti e dagli sfregi ambientali subiti e omologati da tutte le precedente amministrazioni locali. Le testimonianze del suo glorioso e creativo passato rivivono oggi nel ricordo della nostra memoria attraverso un valore prezioso pubblico colpevolmente sottratto alla società ed alle nuove generazioni o ancor peggio demolito dagli uomini che invece di costruire il futuro hanno distrutto le radici del passato. Dal Teatro e Accademia di Cice-
rone del Tuscolo del I° secolo a.C., all’Anfiteatro romano del II° secolo d.C. collocati in una tra le più importanti ed estese aree archeologiche d’Europa, alle abbandonate Ville Tuscolane, allo spettacolare Teatro delle Acque di Villa Aldobrandini al Teatro di Villa Mondragone ed alla Teatrale Esedra di Villa Lancellotti, alla cancellazione di opere architettoniche mirabili, sono solo il risultato del passaggio degli odierni predatori della politica. Esemplare di questa grandiosità rimane l’amore castellano del cardinale Enrico Stuart Duca di York, protagonisti della leggendaria epopea shakesperiana, che alla fine del ‘700 fece erigere all’interno dell’Istituto il Teatro del Seminario tuscolano, non a caso simboleggiato da un affresco di Taddeo Gunz “La Conoscenza e L’Ignoranza” che rappresenta un ammonimento ai posteri Da ultimo il caso di Arene teatrali sorte tra il 1875 e gli anni ’50 o come
l’Italiana” con tre ordini di palchetti eretto in legno da “ li signori impresari del Teatro Valle di Roma” nel quartiere Spada, grazie alla mecenate principessa russa Maria Wolkonskij e successivamente dopo un periodo di decadenza ricostruito nel 1875 da Gaetano Livi, da cui prese il nome Teatro Livi e nel 1876 il Teatro York costruito dall’Impresa “York & Co” per promuovere la ferrovia Roma-Frascati-Campitelli che aveva realizzato. Di un Teatro Sociale si legge nel 1907 in un verbale del Circolo cattolico “Studio e Arte” e ricordiamo ancora l’antico e grazioso Teatrino Wilson , situato nell’attigua Villa o “Casino Francese” risalente alla fine dell’800, presso l’Hotel omonimo e altri due edifici di spettacolo costruiti nel dopoguerra di cui uno ancora visibile ma occupato da un supermercato ed un secondo il Teatro Moderno, intuibile nei pressi di Piazza Marconi anch’esso struttura commerciale, mentre il Teatro Bernardini dell’ex Istituto Maestre Pie Filippini, edificio risalente al 1735 immobile acquistato dall’Amministrazione municipale castellana è stato inspiegabilmente trasformato in un deposito comunale di attrezzi. A ricordo e testimonianza di queste remote ma non lontane tradizioni Tuscolane rimangono attualmente 33
Città e società
due nobili Sale religiose private : Il Teatro di Capocroce che vide il debutto del frascatano e indimenticabile Tino Buazzelli e Villa Sora, mentre si sono perdute le tracce del Teatrino dell’Asilo Orfanotrofio Micara, quello del Sacro Cuore del Teatrino delle Immacolatine, del Teatrino delle Monache di S.Carlo di Nancy, del Teatro di San Filippo Neri, delle moniche Cappelloni situato nel Ricreatorio e fonti letterarie e studiosi della storia di Frascati ci parlano anche di altri due palcoscenici : la Sala Frascesco e la Sala Vittori, dove agiva la celebre filodrammatica di Capocroce. Ma la stessa Cattedrale di San Pietro ci dicono, fu adibita a palcoscenico Teatrale negli anni’70 per l’allestimento di Sacre Rappresentazioni. Infine negli anni più recenti la mannaia anticulturale raggiunge il suggestivo Teatro delle Acque di Villa Torlonia, ed entra nell’oblio il Bernardini, mentre viene abbattuta 34
l’Arena Cocchi, e nel tempo il sipario calerà definitivamente anche sull’imponente, magnifico e popolare Teatro Politeama Tuscolano e l’Eden Tuscolano, che ospitava la lirica e la grande prosa, uno tra i pochi e preziosi esempi italiani di architettura Liberty, trasformato in multisala. Palcoscenico quest’ultimo visitato da Gabriele d’Annunzio, allora in via del Politeama, a sottolineare quanto la popolazione tenesse a questo locale e accomunati dallo stesso destino: chiuso il Teatro, viene cancellata anche la strada. Un accenno storico, seppur di complessa ricostruzione, va fatto sulla Cappella dell’Istituto Ecclesiastico dei Padri Mercedari, (attuale Villa Mercede), dei primi ’50 o ’60 in stile modernista oggi sconsacrata e trasformata in una provinciale “Las Vegas” , di fronte al Liceo di Villa Sora, ma che agì come luogo di culto e allestimenti religiosi e successivamente fu utilizzata come galleria
espositiva e di rappresentazioni artistiche. L’Ordine della Mercede fu fondata in Spagna nel 1218 ed ebbe tra i suoi più illustri religiosi e maestri nel 1601, la figura di Gabriel Telles, ovvero Tirso De Molina il maggiore autore drammatico spagnolo della letteratura e del teatro di cui i Padri Mercedari celebravano nei loro riti sacri e culturali il suo talento creativo. In questo deserto artistico, privo di sentimenti, è andato in scena il cemento ed il consumo di massa. Vogliamo invece contrastare attraverso i valori del Palcoscenico l’economia di mercato, essere vicini all’infanzia, alla gioventù e agli anziani, per sconfiggere l’emarginazione culturale, la rassegnazione, la solitudine, la monotonia domestica indotta da quel consumo televisivo che priva ognuno di noi di una sana coscienza critica e dei più elementari e poetici luoghi d’incontro: la ribalta del sapere e della conoscenza dal vivo, dal vero e insieme agli altri per un nuovo Rinascimento Popolare.
Quel capitale invisibile che fortifica una società (I parte)
Città e società
di Stefania Aristei, responsabile CISS sezione Bologna
Le origini ed il percorso di ricerca
Nonostante sia divenuto popolare solo negli ultimi anni, il concetto di Capitale Sociale era già
stato abbozzato quasi un secolo fa da Lydia Hanifan (1916, 1920), sovrintendente del sistema scolastico della Virginia (USA). Nel 1961
il concetto viene ripreso e rielaborato ad opera di Janet Jacobs. L’autrice si riferisce al Capitale Sociale come ai network sociali che si formano all’interno delle
città (Jacobs, 1961). Una prima teorizzazione organica si deve al teorico francese Pierre Bourdieu
e risale ai tardi anni ’60. Anch’egli collega il capitale sociale al possesso di una rete di relazioni sta-
bili. E’ tuttavia James Coleman (1990) a elaborare una vera e propria teoria, compiuta e solida, di
Capitale Sociale ed è Robert Putnam (Putnam et al., 1993; Putnam 2000) con i sui provocatori lavori sul rendimento istituzionale delle
regioni italiane e sull’aumento del disimpegno dei cittadini americani dalla vita pubblica a proiettarne con forza il concetto in un
dibattito di livello mondiale. Fondamentale è stato anche il contributo di Francis Fukuyama che con Trust, ipotizza l’esistenza di un le-
game tra la prosperità economica di un paese e la fiducia diffusa nella sua società.
Leonardo Becchetti (Avvenire, 13 agosto 2014)
L
a ricerca sociale ed economica hanno evidenziato molti dubbi non chiariti relativi al rapporto tra cultura e struttura e in particolare la fondatezza della priorità della cultura rispetto alla struttura .Tuttavia fornendo una visione sufficientemente convincente negli anni ‘50 del XX secolo compaiono alcuni lavori di
teorie dello sviluppo di tipo culturale , in particolare lo studio di Banfield sul familismo amorale nel
Mezzogiorno. In questo volume, Banfield spigava perché il paese su cui aveva condotto una ricerca sul
campo era povero. La ragione non riguardava la politica del governo o la scolarita’ media, ma la cultura della stessa popolazione locale.
Banfield recuperava in effetti le tesi presenti nel lavoro sugli Stati Uniti di Alexis de Tocqueville nella prima metà del XIX secolo; lavoro in
cui si affermava che la democrazia degli USA aveva una matrice culturale; e che in particolare gli USA si distinguevano dall’Europa per la
propensione dei cittadini all’associazionismo e alla cooperazione .Tocqueville riteneva che, mentre in
Francia dietro ogni iniziativa pubblica si poteva individuare lo Stato e in Gran Bretagna un signore feu-
dale, negli USA vi era un’associazione volontaria tra cittadini.
Alcuni anni dopo le pubblicazioni di Schultz e Becker, Bourdieu indica nel capitale sociale una risorsa del-
l’individuo dipendente dalla vastità della rete duratura di relazioni so-
ciali da esso posseduta e dalla qualità di tali relazioni. Tale qualità è determinata, a sua volta, dal volume di
capitale materiale, culturale e sociale posseduto dagli individui con cui si è in relazione. Ne consegue che il capitale sociale non è un qual-
cosa di dato in sé, ma è il prodotto di un lavoro di socializzazione e di scambi svolto dall’individuo o ereditato tramite la famiglia. Come per il
capitale culturale, anche il capitale sociale è, almeno in parte, prodotto di una conversione di altre forme di capitale, specialmente di capitale materiale
Una importante svolta per la definizione e l’analisi del concetto di capitale sociale avviene comunque alla
fine degli anni ‘80, quando James Coleman introdurrà il concetto di capitale sociale nel dibattito internazionale.
J. Coleman osserva che l’azione sociale di un individuo è stata usualmente descritta partendo da due
concezioni diverse. La prima concezione è quella in cui l’individuo si muove nei confronti della realtà so-
ciale in modo del tutto indipendente rispetto alla società, ed egoistico rispetto agli altri, sulla base al princi-
pio di massimizzazione dell’utile personale. Si tratta della concezione propria dell’economia marginalista o neoclassica, . La seconda conce-
zione è quella tipicamente sociologica, in cui l’attore si muove secondo i principi guida forniti dalla società e dal suo sistema di valori. La prima 35
Città e società concezione è realistica nella sua esaltazione del fattore-base costituito dall’interesse personale, ma è irrealistica nel non considerare la forza dei valori e dei legami sociali. La seconda concezione tiene conto dei valori e dei legami, ma fornisce una visione dell’uomo senza interessi personali ma solo sociali. Secondo Coleman, facendo riferimento ad un concetto capace di fondere i due livelli di interpretazione dell’azione sociale ,e’possibile far convergere i due orientamenti nel concetto di capitale sociale, che è una forma di capitale che ha come caratteristica la capacità di facilitare l’azione dell’individuo nel contesto delle strutture sociali Coleman descrive 3 dimensioni del capitale sociale:
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come fiducia, e che può essere immaginato come un credito che un individuo detiene in quanto titolare di una obbligazione morale nell’ottica di una relazione di reciprocità;
come potenziale di informazioni che può derivare dalle relazioni sociali che si sono intessute;
come esplicita adesione al principio di agire a favore dell’interesse del gruppo, mettendo in secondo piano il proprio interesse personale.
In questi stessi anni Il new republicanism, nel delineare i caratteri ideali di un sistema politico democratico-moderno, fa riferimento alla necessità di avere quella che oggi definiremmo una democrazia parte-
cipativa, come auspicava Machiavelli. La grandezza della Roma repubblicana si basava – secondo 36
James Coleman Machiavelli – su:
1) diretta e vasta partecipazione dei comuni cittadini alla determinazione delle decisioni politiche,
2) condivisione di una cultura di virtù civili, orientata alla difesa del
bene comune (res pubblica) contro ogni tentativo di usare il potere per interessi personali.
Idee e dibattiti
Commercialisti e uomo tra crisi e speranza di Gian Carlo Paracchini, Commercialista, socio CISS Novara
L
a crisi ha coinvolto anche la categoria dei Commercialisti, almeno la maggioranza di loro, soprattutto i più giovani. Essi esercitano la professione con un disagio interiore non indifferente, la vivono sotto un duplice aspetto, sia sul piano personale che come servizio alla collettività. Da una parte devono pensare a se stessi ed alle loro famiglie, dall’altra sostenere il cliente sia dal punto di vista economico (ritardi o mancato introito del giusto corrispettivo) che psicologico (il ricordo di momenti drammatici della crisi è tutt’ora presente, rimane solo la speranza che non vi siano più vittime della crisi o del fisco).
stione lavoro: è il punto chiave”. Il tema “lavoro” in ogni sua qualificazione, intellettuale o manuale che sia, è legato alla crescita economica, questa è legata alle politiche nazionali ed europee. Esse non appaiono al momento idonee a farci uscire dalla crisi senza un rinnovamento forte dell’economia; peraltro, ritengo che la recente riforma del lavoro non porterà a creare nuovi posti di lavoro, a breve.
In questo scenario, dall’osservatorio della mia professione, anche se limitata a poche Regioni (Piemonte e Lombardia), peraltro ritenute “fortunate” nel contesto nazionale, la crisi non fa sconti e consente di interpretare la situazione dell’intero territorio, sebbene con differenze più o meno accentuate.
L’inizio dell’anno 2015 si presenta con una economia ancora in forte difficoltà: il PIL è in continua discesa, i consumi sono fermi, la disoccupazione non accenna a fermarsi, le forze produttive e commerciali del paese (piccole e medie aziende, artigiani, commercianti e piccoli imprenditori) sono in continua regressione, i fenomeni di corruzione non accennano a diminuire, le disuguaglianze aumentano, l’armonica stabilizzazione dei beni è una chimera.
Prendo spunto dall’intervento di Papa Francesco al XIX Congresso Mondiale dei Commercialisti che si è svolto a Roma nei giorni 10-13 Novembre 2014, e sulla Sua esortazione di andare incontro alle persone facendo valere “le ragioni della dignità umana di fronte alla rigidità della burocrazia”, nonchè sollevando il grande tema: “La que-
E’ naturale che da tale situazione discendono preoccupazioni, incertezze e paura, che potrebbero portarci alla miopia, incapaci di guardare il futuro con ottimismo; ma è nostro dovere reagire con determinazione, di riacquistare quell’ottimismo che ci porta alla fiducia ed alla speranza, non possiamo permetterci di assuefarci alla 37
Idee e dibattiti
recessione, di lasciarci prendere dall’indolenza e dall’individualismo. E’ il momento delle responsabilità condivise, di rinnovare le nostre coscienze, di promuovere delle azioni e di riscatto. Gli attori economici dovranno misurarsi con la centralità del lavoro che dovrà essere al primo posto nel rinnovamento forte dell’economia; il lavoro, deve essere l’obiettivo fondamentale, non solo per la ripresa dei consumi, ma anche per evitare conflitti sociali. Il diritto al lavoro è un dettato della nostra Costituzione che non deve essere disattesa (art. 1 – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro .. omissis ..); la stessa dignità della persona è strettamente correlata al lavoro e, la persona, asse portante di ogni sistema, dovrà essere privilegiata nella costruzione del futuro. La partecipazione dei lavoratori nella gestione d’impresa non potrà essere continuamente disattesa, molto è stato scritto e molto si scriverà, ci vuole il “salto di civiltà”, come sostiene il collega Marco Vitale (“L’IMPRESA RESPONSABILE - NELLE ANTICHE RADICI IL SUO FUTURO -” Edizioni Studio Domenicano). L’economia dovrebbe essere portata al servizio dell’uomo, ed è in questo obiettivo il convincimento che il superamento della crisi socio-economica, dovrebbe attingere dalla stessa “etica” sociale di ispirazione cristiana, come altrettanto, ai principi della Dottrina Sociale della 38
Chiesa. Per uscire dalla crisi l’UOMO, indipendentemente della sua qualificazione (libero professionista, scienziato, economista, filosofo, politico, ecc.), dovrà lavorare con pragmatismo e senza ideologie, per individuare una “economia giusta”, a forte intensità morale, basata su istituzioni economiche che puntino a una crescita senza disuguaglianze eccessive e che ricompongono quella dicotomia fra sfera economica e politica del progresso sociale che ha causato la catastrofe (Bernardo Bortolotti: CRESCERE INSIEME PER UNA ECONOMIA GIUSTA – Editore Laterza). Ma la crisi economica è strettamente correlata alla crisi politica ed il rinnovamento dell’economia non potrà realizzarsi senza affrontare anche le questioni di “etica politica”. La politica non ha tuttavia, bisogno soltanto di un rinnovamento etico, esige l’individuazione di un progetto culturale che la faccia uscire dalle secche di un arido tecnicismo e la metta in grado di ripensare in un’ottica rinnovata, categorie quali bene comune, partecipazione, potere e ideologia, arricchendole di contenuti nuovi, in un confronto serrato con le istanze emergenti dalla società attuale” (Don Giannino Piana: MORALE SOCIALE E POLITICA – Cittadella Editrice ). Questi brevi considerazioni mi portano necessariamente a questa conclusione: “LA SPERANZA E’ UN DOVERE” (Don Luigi Sturzo)
Introduzione all’incontro UCID - CISS con Riccardo Ruggeri di Massimo Maniscalco, socio CISS Palermo Riccardo Ruggeri, operaio, figlio e nipote di operai Fiat, è stato AD di molte aziende Fiat, ultima New Holland, quotata a Wall Street nel ‘96. Imprenditore ed editore, tiene una rubrica giornaliera su “Italia Oggi”.
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uesto interessante incontro è il secondo che UCID, sezione CISS di Palermo, Gruppo Sicilia propone, dopo quello del 14 Febbraio scorso, sul valore della giustizia. Il nostro proposito da uomini e donne dell’UCID: dovremmo impegnarci non come singole persone o rappresentanti di gruppi di interesse, ma come “comunità” tesa alla costruzione del “bene comune”, partendo dai propri valori. Con questo spirito, anche quest’anno UCID ha invitato Riccardo Ruggeri a presentare a Palermo, nella prestigiosa cornice dell’Auditorium Rai, un suo libro molto intrigante. Lo ha invitato per ragioni soggettive ed oggettive. Soggettive perché Riccardo è dimostrazione vivente del tipo di persona che UCID vuole portare all’attenzione per testimoniare l’assunto “Se si vuole, si può” e lo ha dimostrato da manager, imprenditore, editore, opinionista, scrittore, piacevole conversatore. Perché Riccardo è colui il quale, da sensibile, colto, acuto opinionista, per fare solo un esempio tra gli innumerevoli che si potrebbero fare, il giorno 29 Gennaio 2015, 2 giorni prima dell’elezione del Presidente della Repubblica, ha preconizzata l’elezione del Giudice Costituzionale Sergio Mattarella sulla base di un ragionamento che si è dimostrato molto azzeccato. Oggettive, una attenta lettura del libro, narra una interessante storia vissuta, che ci offre uno spaccato molto interessante della vita imprenditoriale italiana in un arco temporale lungo, ci consente di parlare di modelli economici del futuro, nonchè di approfondire il tema della industrializzazione deindustrializzazione e conseguente
Idee e dibattiti
crisi dell’attività manifatturiera e dell’innovazione del nostro Paese dal dopoguerra a questi giorni. Inoltre, fornisce l’occasione di parlare sul ruolo delle Classi Dirigenti nella storia economica, di verificare lo stato dei rapporti tra le grandi imprese e le piccole e medie imprese italiane nel mercato globalizzato, di verificarne gli effetti sulla indispensabile ed auspicabile crescita, con la speranza di aver suscitato un dibattito vivace e costruttivo. Auspichiamo che con il dibattito che si è sviluppato la nostra capacità di discernimento sull’intera tematica ne sia uscita rafforzata nei suoi più significativi risvolti.
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Idee e dibattiti
La finestra della libertà Frontiera per un’altra Europa Storia degli internati ebrei di Campagna di Giuseppina Di Stasi, responsabile CISS Salerno
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l testo, suddiviso in tre capitoli, tratta degli avvenimenti accorsi nel settembre del Campagna, cittadina della provincia di Salerno, dopo lo sbarco degli Alleati, quando le truppe tedesche cercano di rastrellare e deportare gli ebrei che in gran numero affollano il campo di internamento dell’ex convento di San Bartolomeo, ma non vi troveranno nessuno: erano tutti riusciti a fuggire da una finestra e nascondersi sui vicini monti Picentini. Il libro è incentrato sul percorso umano dei suoi protagonisti che diventa il canovaccio per raccontare la storia di un’ Europa allora ancora lontana, tuttavia già “presente” nei desideri e nell’operato di queste persone umili ma grandi, le quali hanno saputo vivere mettendo al centro della propria esistenza il rispetto e la dignità degli esseri umani. Nel primo capitolo è stato introdotto il contesto storico italiano, concernente l’emanazione delle leggi razziali e dei conseguenti provvedimenti, soffermandosi sull’istituzione dei campi di internamento: a tal proposito è stato descritto quello di Campagna. Nel secondo capitolo, puramente documentario, sono state riportate le pagine del diario di Eugenio Lipschitz che racconta, in modo particolareggiato, come si svolgeva la vita nel campo. Oggetto del terzo capitolo sono le vicende eroiche di due bravi e valenti medici: Chaim Pajes e Maks Tanzer i quali, con il proprio operato e organizzando in tutta fretta una improvvisata sala operatoria, salveranno molta gente ferita a causa del bombardamento. La finestra, cui è dedicato il titolo del libro, indica l’apertura alla speranza: il varco invisibile che separa l’umanità dalla disumanità e rende possibile il prosieguo della vita per tutti i presenti nel campo d’internamento, assicurando a ciascuno di loro e, contestualmente, all’intera umanità la possibilità di un mondo migliore. Mentre l’Europa, dunque, in altri campi di concentramento e annientamento moriva, in quanto offesa nella propria ragion d’essere, a Campagna, invece, viveva attraverso il suo valore più alto: la solidarietà, principio in grado di accomunare tutti gli uomini, oltre ogni barriera. 40
AUTORI: Giuseppina Di Stasi - Renato Mazzei Copertina flessibile: 120 pagine Editore: EdUP (29 gennaio 2015) Collana: Studi & saggi ISBN-10: 8884212731
ISBN-13: 9788884212733
Idee e dibattiti
Servire non servirsi.
La prima regola del buon politico
di Giovanni Palladino, Segretario Nazionale Popolari Liberi e Forti Pubblichiamo la Prefazione del libro LUIGI STURZO, Servire non servirsi. La prima regola del buon politico, Ed. Rubbettino, 2015. € 9,00.
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uesto libro è stato scritto da don Luigi Sturzo, tranne il titolo, ma sono sicuro che il sacerdote di Caltagirone lo avrebbe approvato. Contiene il testo di un suo intervento al Senato, di tre lettere e di 12 articoli scritti tra il 1946 e il 1959. Tutti riguardano la “questione morale”. Ben 4 articoli hanno praticamente lo stesso titolo, che invita alla moralizzazione della vita pubblica, condizione che don Sturzo riteneva indispensabile per la soluzione dei problemi politici, economici e sociali di qualsiasi Paese.
pensiero sturziano. Se lo avesse fatto, certamente l’Italia non si troverebbe nelle drammatiche condizioni attuali. Molti imputano gli errori agli ultimi 20 anni, ma in realtà la “malattia” - curabile con le “ricette” di Sturzo – è iniziata sin dagli anni 50. Il 12 novembre 1992 venne inaugurato a Caltagirone un monumento a Luigi Sturzo, pro-sindaco della città dal 1905 al 1920. Per l’occasione il Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, inviò il seguente messaggio al Sindaco:
Il libro ha l’obiettivo di ricordare una verità storica dimenticata e di ricordare una opportunità storica perduta. Entrambe possono essere utili ai lettori di oggi e sopratutto ai giovani, per fornire loro quei fondamenti di buona cultura necessari per alimentare la speranza di risanamento morale, politico ed economico dell’Italia.
“Lo sa Iddio se mi costa non essere con voi alla inaugurazione del monumento che ricorda don Luigi Sturzo. È dinanzi a noi, vivo, questo grande Prete, che fu sempre e sopratutto Prete; Prete nella sua assidua e fedele vita di preghiera; Prete nella sua missione di totale dedizione agli altri; Prete nel consumarsi per i diritti dell’uomo, privilegiando sempre i più poveri, i più abbandonati, i più sofferenti per la giustizia. Fu ed è il Maestro, maestro nel nome di Dio; maestro di verità, testimoniata a ogni costo; maestro di giustizia, proclamata in faccia ai potenti e ai prepotenti; maestro di libertà, figlio della verità. Per questi valori spese ogni giorno della sua vita, ogni palpito del suo cuore di uomo e di Sacerdote. E fu maestro nell’insegnare ai cattolici il dovere di interessarsi della cosa pubblica, il dovere di impegnarsi di persona, il dovere di testimoniare i principi cristiani anche nella politica, il dovere di servire, mai di dominare, di saper amare, mai di seminare divisione e odio. E fu statista, se statista vuol dire avere visione strategica della vita del proprio popolo; statista, se vuol
La verità storica dimenticata è che il gravissimo problema della “questione morale” non fu sollevato per primo da Enrico Berlinguer all’inizio degli anni 80, bensì da Luigi Sturzo sul finire del 1946, poche settimane dopo il suo ritorno dall’esilio di 22 anni impostogli dal fascismo. E per tutti gli anni 50, sino al suo ultimo giorno di vita, egli combattè con grande forza, purtroppo invano, contro le tre “malebestie” (lo statalismo, la partitocrazia e lo sperpero del denaro pubblico), ben sapendo quanto fossero pericolose per la salute morale, politica ed economica del nostro Paese. L’opportunità storica è stata perduta dalla Dc, che non ha saputo né voluto seguire la grande modernità del
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Idee e dibattiti dire avere dello Stato una limpida concezione laica, come della casa di tutti, statista, se vuol dire avere, insegnare e vivere il senso dello Stato, che è il senso degli altri, della libertà, della giustizia anzitutto per gli altri. Solo pensando a Sturzo si è spinti, si deve essere spinti a un profondo esame di coscienza. Studiarlo, meditarlo, amarlo, seguirlo: questo è il vero monumento a don Luigi Sturzo”. È un messaggio molto bello, ma l’amara verità è che gran parte dei cattolici in politica non hanno studiato, non hanno meditato, non hanno amato, non hanno seguito il pensiero e l’azione del fondatore del Partito Popolare Italiano. E non hanno fatto alcun “profondo esame di coscienza”. Lo dimostra quanto avvenuto prima e dopo il messaggio di Scalfaro. Infatti nei tre decenni antecedenti al 1992 abbiamo visto la schiacciante vittoria, tanto temuta da Sturzo, delle tre “malebestie”. Una vittoria realizzata con il dilagare dello Stato imprenditore, un ruolo che Sturzo giudicava pericoloso, per le tante tentazioni che un forte afflusso di denaro in mani politiche avrebbe potuto creare e per la sicura inefficienza della sua gestione. Dopo, nel gennaio del 1994, abbiamo assistito a una “scorrettezza politica e storica” (1) con il cambiamento del nome della Dc in Ppi, e nel marzo del 2002 alla fine del secondo Ppi, ma con la promessa di mantenere vivi i valori del popolarismo sturziano. La verità è che questi valori non sono mai stati mantenuti vivi dal vertice della Dc e in particolare dalla sua ala sinistra, che in coerenza con la sua cultura statalista non ha mai portato il pensiero sturziano alla base del partito, né ha fatto una politica ispirata dal popolarismo.
Negli anni 50 il fondatore del Ppi levò centinaia di volte la sua voce contro l’apertura a sinistra da parte della Dc, perché temeva la concorrenza costosa e sleale dello Stato imprenditore (costosa per l’Erario e sleale nei confronti del settore privato dell’economia), temeva la diffusione della corruzione politica, lo strapotere dei sindacati (coniò la parola “sindacatocrazia”) e la perdita del potere d’acquisto della lira. Ma sopratutto temeva la scristianizzazione del Paese, con la ragione morale calpestata dalla ragione politica ed economica. 42
Dalle pagine di questo libro emerge la grande importanza che Sturzo poneva nella funzione pedagogica della buona politica. Egli credeva in una specie di causa-effetto: la politica è utile se è buona ed è tale se sostenuta dalla buona cultura. Questa si acquisisce con lo studio del vero e del bene, studio a cui il cristianesimo ha dato un fondamentale contributo. È tempo che inizi a “fare scuola”, direbbe oggi Sturzo. La buona cultura è importante, anche perché esiste (ed è spesso prevalente) la cattiva cultura, che siu potrebbe definire - per chi è in buona fede – come lo studio di ciò che si ritiene vero ed è invece falso, e come lo studio di ciò che si reputa un bene ed è invece un male. Poiché gli esseri umani hanno ricevuto per diritto naturale il grande dono della libertà, sono liberi di seguire il bene e di seguire il male; di fare cose giuste e di fare errori. Come dire che la libertà può essere usata bene, cioè in modo responsabile, razionale e morale. E può essere usata male, cioè in modo irresponsabile, irrazionale e immorale. Quasi sempre il male e gli errori vengono fatti per mancanza di buona cultura o per abbondanza di cattiva cultura (è molto raro che una persona dotata di buona cultura possa rubare). Ne consegue che per Luigi Sturzo una delle più importanti forme di istruzione era l’educazione al buon uso della libertà, compito da svolgere ovunque, nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e persino nello svago. Ebbene per lui l’uso responsabile della libertà dipendeva in gran parte dal prevalere della buona cultura sulla cattiva cultura. Tutta la sua vita è stata un insegnamento e una testimonianza di buona cultura. Anche per questo egli merita che il suo esilio intellettuale finisca. Tutti noi - a sinistra, al centro e alla destra – ne abbiamo un gran bisogno.
Prefazione di Giovanni Palladino Giudizio del Prof. Giuseppe Palladino, esecutore testamentario di Luigi Sturzo, contenuto in una lettera del 23 novembre 1993 inviata all’on. Mino Martinazzoli e nella quale egli cercava di convincere il Segretario della Dc a non riprendere il nome del partito fondato dal sacerdote di Caltagirone. Nel 1946 Sturzo, al ritorno dal suo esilio, si definì “il capo di un partito disciolto”.
Riflessioni su Il Fedone di Platone
Voce agli studenti
di Carlotta, III Liceo Classico Villa Flaminia
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l Fedone (in greco Φαίδων Phàidōn) è uno dei più celebri dialoghi di Platone. Ultimo dialogo della prima tetralogia di Trasillo, sembrerebbe un dialogo giovanile del filosofo, anche in considerazione del contesto in cui si svolge (la morte di Socrate). Lo studio stilistico dell’opera, tuttavia, più narrativa che dialogica, motiva alcuni studiosi ad assegnare l’opera al periodo della maturità. L’accordo sulla datazione (386-385 a.C.) dipenderebbe principalmente da due elementi: il forte condizionamento pitagorico della discussione, che fa pensare a una composizione prossima al primo viaggio siciliano e ai contatti con la comunità pitagorica di Archita da Taranto, ma anche l’assenza di esplicite intenzioni pedagogiche che spinge a ritenere il dialogo precedente alla fondazione dell’Accademia. Echecrate, membro della scuola pitagorica di Fliunte, chiede a Fedone di narrare a lui e ai suoi allievi le ultime ore di Socrate, poiché le notizie
giunte da Atene al riguardo sono poche e vaghe. Fedone, presente al momento dell’esecuzione, accetta di buon grado, e inizia a narrare ciò che accadde quel giorno, riportando i discorsi intrattenuti da Socrate con i due filosofi tebani Simmia e Cebète. Il dialogo si svolge, per l’appunto, a Fliunte, presumibilmente nella famosa scuola pitagorica della città. Argomento centrale è l’immortalità dell’anima, in base alla quale Platone porta quattro diverse argomentazioni: la palingenesi, la dottrina della reminiscenza (più dettagliatamente esposta nel Menone), la differenza sostanziale fra l’anima e il corpo e la constatazione che l’idea della morte non può risiedere nell’anima, che è partecipe invece dell’idea della vita.
Le obiezioni di Cebete: l’anima come un vecchio tessitore. Nel Fedone, si assiste – tra l’altro alla presentazione, da parte di Cebete (filosofo greco antico-fine V se-
colo-IV secolo A.C.) di alcune obiezioni. Cebete attacca i primi due argomenti, quello dei contrari e quello della reminiscenza. Cebete parla di un’analogia tra l’anima e un vecchio tessitore. Nei due casi, si suggerisce che l’anima non sia affatto imperitura, anzi. Echecrate, membro della scuola pitagorica di Fliunte, chiede a Fedone di narrare a lui e ai suoi allievi le ultime ore di Socrate, poiché le notizie giunte da Atene al riguardo sono poche e vaghe. Fedone, presente al momento dell’esecuzione, accetta di buon grado, e inizia a narrare ciò che accadde quel giorno, riportando i discorsi intrattenuti da Socrate con i due filosofi tebani Simmia e Cebète. Il dialogo si svolge, per l’appunto, a Fliunte, presumibilmente nella famosa scuola pitagorica della città. Dopo un mese di prigionia, è infine giunto per Socrate il giorno dell’ese43
Voce agli studenti cuzione, momento per lungo tempo rimandato, poiché dovevano far ritorno le navi che ogni anno venivano mandate a Delo in onore di Apollo, per ringraziarlo di aver aiutato Teseo a liberare Atene dal pericolo del Minotauro. Il dialogo di Platone è l’unica fonte che riporta notizie circa questa leggenda, attraverso le parole di Fedone: gli ateniesi avevano fatto voto ad Apollo di mandare, ogni anno, a Delo una ambasceria sacra se le sette coppie di ragazzi e fanciulle, portati a Creta da Teseo per liberarla dal Minotauro, si fossero salvati. D’allora tutti gli anni adempivano quel rito e avevano istituito una legge, secondo la quale dall’inizio della cerimonia (il momento in cui il sacerdote cingi di corone la poppa della nave ) la città si sarebbe dovuta conservare pura, bandendo le esecuzioni capitali e le guerre fino alla fine della cerimonia (ritorno della nave dal viaggio verso Delo). Solitamente il viaggio aveva la durata di un mese, ed è per questo che Socrate dovette attendere un mese prima che la condanna venisse eseguita. Appresa la notizia dal messo degli Undici, Critone, Fedone e gli altri allievi della cerchia socratica si riuniscono attorno al maestro in car-
cere, per passare insieme a lui le ultime ore. Scena emblematica a cui si trovano di fronte è la tranquillità d’animo del filosofo, il quale - dietro invito di Apollo, apparsogli in sogno - ha iniziato a comporre poesie, mettendo in musica i propri insegnamenti). In questo senso, Platone ci informa che il Fedone sarà il «canto del cigno» di Socrate, come Socrate stesso ammetterà. Dopo tanti discorsi, viene però il mo44
mento per Socrate di abbandonare questa vita. La scena descritta da Platone, tuttavia, non è tragica: l’intero dialogo ha infatti dimostrato che all’uomo buono, che ha esercitato la filosofia per tutta la vita, non può succedere nulla di male né in vita né in punto di morte. Si viene così delineando l’immagine di Socrate come anti-eroe tragico, e il Fe-
done risulta in questo modo l’anti-tragedia per eccellenza. Si consuma, pertanto, quella che Nietzsche ne La nascita della tragedia definisce la morte del tragico e dell’elemento dionisiaco in esso contenuto, ad opera dell’apollineo Socrate. Socrate, con la propria morte, dimostra nella pratica ciò che era andato spiegando durante la propria vita: non può succedere che il saggio soffra senza colpa a causa del proprio destino, ma anzi, gli dèi non gli imputeranno dolore e sofferenza. Questo è il più puro insegnamento che il logos socratico ci ha lasciato, la certezza, secondo ragione, che chi vive una vita morigerata, dedita alla filosofia e alla cura della propria anima, non deve temere alcun male.
Giunta l’ora, Socrate abbandona i propri allievi per congedarsi dai parenti, quindi si lava e, date le ultime raccomandazioni ai suoi cari, ribadisce a Critone che gli sta appresso di non preoccuparsi per la propria sepoltura, poiché la sua anima verrà liberata dal carcere in cui è stata rinchiusa per tanto tempo. Dopodiché, preso il pharmakon (la tradizione vuole fosse cicuta, ma i sintomi descritti hanno indotto alcuni interpreti a mettere in dubbio tale notizia), trangugiatolo tutto d’un fiato - non prima di aver chiesto se fosse possibile offrirne in libagione
agli dèi - Socrate muore. Si riporta di seguito la celeberrima conclusione del dialogo, nella «classica» versione di Manara Valgimigli: “E oramai intorno al basso ventre era quasi tutto freddo; ed egli si scoprì - perché s’era coperto - e disse, e fu l’ultima volta che udimmo la sua voce: - O Critone, disse, noi siamo debitori di un gallo ad Asclèpio: dateglielo e non ve ne dimenticate”. Sì, disse Critone, sarà fatto: ma vedi se hai altro da dire. A questa domanda egli non rispose più, passò un po’ di tempo, e fece un movimento; e l’uomo lo scoprì; ed egli restò cogli occhi aperti e fissi. Critone, veduto ciò, gli chiuse le labbra e gli occhi.Questa, o Echècrate, fu la fine dell’amico nostro: un uomo, possiamo dirlo, di quelli che allora conoscemmo il migliore; e senza paragone il più savio e il più giusto”. I Miti Il primo mito che viene trattato nel Fedone è quello relativo al destino delle anime. Socrate spiega ai suoi discepoli che quelle che hanno vissuto seguendo le passioni del corpo senza mai regolarsi o avere un controllo, si sono legate, in tale maniera, alla dimensione corporea dalla quale non riescono più a staccarsi. Una volta morte, si aggirano come fantasmi intorno alle tombe dove il loro corpo giace sepolto. Il desiderio che nutrono del corporeo le fa immediatamente ricadere in una nuova vita terrena, reincarnandosi in animali che hanno, come caratteristiche, quegli stessi appetiti materiali che esse accolsero nella vita precedente. Le anime, invece, di coloro che hanno vissuto secondo la virtù usuale comune del buon cittadino, si
Voce agli studenti reincarnano in animali mansueti, oppure anche in uomini giusti. Solamente le anime di coloro che hanno praticato la vera virtù – quella virtù legata alla conoscenza e alla vita filosofica – riescono a rompere il legame con il corpo e a sottrarsi al ciclo fatale delle reincarnazioni raggiungendo gli Dei.Dunque, la vera vita etica è la vita del filosofo, perché essa è la sola che sappia liberare l’anima dal sensibile e dal corporeo; invece la falsa vita è quella che segue i piaceri e le passioni del corpo, ed è falsa in quanto inchioda l’anima a quest’ultimo e la snatura. Il secondo mito che viene presentato all’interno di quest’opera platonica, invece, presenta la raffigurazione della terra non dal punto di vista geografico e scientifico, ma dal punto di vista dell’interesse escatologico. Socrate non intende descrivere l’architettura del mondo seguendo una geografia, ma facendo apparire le diverse zone del mondo come luoghi e, allo stesso tempo, come forme espressive del destino delle anime. La terra viene dipinta come una gigantesca sfera distinta in tre parti. In primo luogo, vengono caratterizzate le zone abitate dagli uomini, che sarebbero delle cavità o bacini di cui è cosparsa
la superficie della terra, ripieni di acqua e di aria. In queste cavità gli uomini vivono attorno all’acqua, così come ranocchi attorno alle paludi. Al di sopra di queste cavità e dell’aria si erge la vera terra, che svetta nell’etere puro, ed è incontaminata, purissima e bellissima: ha isole di etere, mari di etere, pietre, piante, animali bellissimi. Nelle viscere della terra, invece, si apre il Tartaro dove scorrono fiumi giganteschi di acqua
fredda, fango e fuoco. Dopo la morte, le anime scendono sotto terra per essere giudicate, e, a seconda della vita che esse hanno condotto, ricevono la corrispondente sorte. Alcune sono condannate a rimanere per sempre nel Tartaro (le anime che commisero malvagità inguaribili), altre restano in diversi modi a purgare le loro colpe sottoterra; infine, quelle dei buoni ricevono il premio che consiste in una vita sulla vera “terra”, o, in un luogo ancora più splendido e indescrivibile. È opportuno, però, non credere ai dettagli del mito, bensì al suo gene-
rico senso: bisogna semplicemente credere che per i buoni ci sia un premio per i malvagi un castigo. “Questa è la grande speranza che ciascuno deve nutrire, anche se tale speranza resta pur sempre un rischio: è però il più splendido rischio dell’esistenza dell’uomo”. Possiamo affermare che lo scopo di Platone è, dunque, quello di persuadere gli uomini, attraverso le parole di Socrate, a rendersi conto del significato e valore, quasi sempre negativo, della loro condotta conforme ai comuni concetti e a ricercare l’ideale etico al fine di attuarlo praticamente. 45
Voce agli studenti
La società dei sogni
di Valerio, V Istituto Tecnico Aeronautico “Santa Maria”
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n questo momento di profonda crisi, economica, sociale e soprattutto
morale, ognuno di noi sogna il mondo perfetto. Noi adolescenti, spesso presi dai nostri pensieri ed intenti a vivere in un mondo tutto nostro, non ci rendiamo forse conto di quanto ci accade intorno. La sera, riuniti intorno al tavolo mentre ceniamo e guardiamo il notiziario, non sentiamo altro che parlare di crisi, guerre, famiglie in sofferenza, violenza fuori e dentro le mura domestiche...ma poi osserviamo le immagini, e quello che vediamo è la nostra classe politica, la stessa che dovrebbe aiu-
tarci, mandare avanti il nostro paese, risolverne i problemi, farlo crescere e prosperare, litigare e farsi “dispetti” come bambini. Nelle aule della Camera e del Senato, i nostri governanti, invece di occuparsi di mandare avanti il nostro paese, passano il tempo a guardare il telefonino, leggere il giornale, usare il pc o ad accusarsi uno con l’altro. Beh, l’immagine che ne viene fuori, non è certo confortante e soprattutto non è sicuramente un buon esempio. E’ vero, noi giovani adolescenti siamo cresciuti un po’ nella bambagia, sentiamo lamentare i nostri genitori, ed 46
i giovani, che sono già in età per lavorare, sono eternamente insoddisfatti e frustrati perché non ci sono le risorse, il lavoro non si trova, e non si riesce a crearsi un futuro; ma la colpa sta’ tutta da una parte? Certo la scuola non è più quella di una volta, le istituzioni sono pressoché assenti e i giovani non vengono aiutati e sostenuti; ma qual’è il nostro ruolo in tutta questa gran confusione? Se ci guardiamo intorno, difficilmente si vedono ragazzi senza un cellulare in mano, pub e cinema sono pieni il sabato sera ed i vestiti sempre firmati ed alla moda. Siamo una generazione, fondamentalmente viziata...i nostri genitori
fanno i salti mortali per far si che non ci manchi nulla e forse, noi abbiamo perso un po’ la capacità, di dare il giusto valore alle cose. Non abbiamo voglia di adattarci, siamo abituati ad ottenere ciò che vogliamo senza sforzo, non ci abbassiamo a fare lavori che non sono alla “nostra altezza”, non abbiamo l’umiltà di fare la famosa “gavetta”, quella che tanto serviva per imparare e crescere. Certo studiamo e vorremmo mettere a frutto i nostri sforzi, ed è giustissimo; ma la strada per arrivare al traguardo è lunga e tortuosa e bisogna attraversarla, se si vuole arrivare in fondo, superando ostacoli, cadendo e rialzandosi e sopratutto, rimboccandosi le maniche, al di là che ci si sia impegnati o meno nello studio.
Voce agli studenti Gran parte di noi, invece, vuole tutto e se non riesce ad ottenerlo subito e senza fatica, preferisce restare al calduccio - alle spalle di mamma e papà - che, pur di non farci soffrire, continuano a far crescere e mantenere il c.d. popolo dei bamboccioni. Quando la mamma fa la predica, sui sacrifici che la loro generazione ha dovuto fare per comprare una casa, su quante volte hanno lavorato, sottopagati e trattati male, sulle mille difficoltà affrontate per cercare di conquistare un traguardo e soprattutto, di come le cose venivano fatte anche solo per la semplice soddisfazione personale, non nego che un pò mi fa riflettere. E’ vero, la crisi c’è ed è evidente, nessuno può negarlo. I soldi pubblici vengono spesi per il benessere di una ristretta casta, invece di andare ad incentivare le imprese, affinché facciano riprendere l’economia; ragazzi che cercano in altri paesi quelle opportunità che qui sembrano mancare, portando fuori un patrimonio culturale ed economico che invece, dovrebbe restare nel nostro paese. D’altro canto non possiamo far finta di non vedere che ormai molti lavori non è più disposto a farli nessuno e che gli extracomunitari stanno riempiendo tutti quegli spazi, che noi non siamo più disposti ad occupare. Persone disponibili anche a fare i lavori più umili e sottopagati, che poi prendono i soldi e li portano nel proprio paese, non permettendo alla nostra economia di ripartire. Insomma, un gatto che si morde la coda ed una matassa di cui non si trova il bandolo.
Forse dovremmo farci tutti un esame di coscienza e cominciare a rimettere i piedi per terra, contribuendo, ognuno per la sua parte, a ridare vigore e splendore al nostro paese. A volte nei film, durante i concorsi di bellezza, la domanda che viene posta alle candidate è: “cosa vorresti nella vita?” con la relativa classica risposta: “la pace nel mondo!” Beh, se mi ponessero lo stesso quesito, sapete cosa risponderei? Mi piacerebbe svegliarmi la mattina e sentire alla radio che le famiglie non soffrono più per arrivare a fine mese, pagare il mutuo o sostenere gli studi dei propri figli. Sarebbe musica per le mie orecchie sapere che, tutti gli sforzi fatti da tanti ragazzi, per studiare, approfondire, trovare rimedi alle malattie, rimanessero in Italia, invece di dover fuggire all’estero per essere apprezzati. Apprendere che il tasso di disoccupazione scende, perché anche le nuove
generazioni hanno ripreso a comprendere il valore del lavoro e del sacrificio per ottenere ciò che si desidera, magari portando avanti tutti quei lavori artigianali, frutto dell’impegno di tante generazioni passate. Non vorrei più assistere alle pagliacciate della politica, che ormai, diventata teatrino di una società rovinata e corrotta, ci ha trasformato in spettatori impotenti della nostra stessa distruzione. La fine della fame, delle guerre assurde, sostenute e alimentate da tutti i Paesi per i propri interessi interni, portate avanti in nome di qualsiasi sia il proprio Dio e che sono portatrici solo di morte e distruzione. Purtroppo la nostra società si trova in un baratro, dovrebbe essere auspicio e compito di tutti salvarla, ma si sa - i sogni son desideri - e spesso purtroppo, non corrispondono alla realtà. 47
Voce agli studenti
L’emarginazione nelle periferie di Mirko, I Istituto Alberghiero
L
a definizione di periferia è l’insieme delle zone di una città al di fuori del suo centro storico. Nate dalla necessità di trovare una soluzione al fenomeno di migrazione, iniziato nel periodo della rivoluzione industriale, quando intere popolazioni abbandonavano le campagne e si riversavano verso la città alla ricerca di un lavoro e di quel tanto sospirato benessere, sono oggi diventate parte integrante della nostra comunità. Si sviluppano così interi quartieri alle porte della città, pronti ad ospitare i nuovi arrivati; negli anni sessanta la crescita delle periferie urbane viene interpretata come un atto di progresso ed integrazione delle classi meno abbienti, per una crescita sociale del nostro paese. Ma si sa sulle necessità altrui, c’è sempre chi è pronto a speculare ed arricchirsi. Nascono così intere costruzioni, attente più alla quantità che alla qualità. Quartieri dormitorio, palazzoni alveare, costruiti con materiali scadenti e senza badare troppo all’aspetto esteriore. Luoghi, dove intere famiglie si sono trasferite e nei quali si sono “nascoste” per una naturale vergogna, rispetto al contorno dorato della bella città.
Ecco che si sviluppa la povertà e la miseria. Interi quartieri che diventano terra di nessuno, che le stesse autorità tendono ad evitare e dove si preferisce guardare dall’altra parte. Il concetto di periferia perde, così, il suo significato originale per far spazio al disagio, dovuto alla lontananza dal centro, alla mancanza di mezzi di comunicazione e di infrastrutture adeguate. Spazi dove la delinquenza, la droga e lo sfruttamento, diventano pane quotidiano. Nasce così l’emarginazione, bambini che non vanno a scuola perchè obbligati a lavorare o, peggio ancora, a rubare. Ma non è solo questo che rende la periferia un luogo simbolo di degrado per le grandi città. Ormai anche il fenomeno dell’immigrazione, contribuisce a dare un’immagine di abbandono del nostro “bel paese”. Gruppi di minoranze etniche, extracomunitari scappati 48
dal loro luogo natio, nella speranza di trovare una vita migliore, e che invece, si ritrovano ai margini di una società abbandonata a se stessa. Pensiamo ai campi rom, comunità intere che vivono nei campi attaccati alla periferia, bambini che non vanno a scuola, persone che rubano, costrette o non - ognuno può avere la sua opinione in merito - ma che spaventano e che contribuiscono ad alimentare quella netta separazione, che fonda le sue radici nella storia più antica. Sicuramente non è semplice colmare certe lacune familiari e culturali. I bambini/ragazzi che crescono in contesti sociali e familiari così devastati, sono difficili da integrare. Perché diciamocelo francamente, la scuola insegna a tutti la stessa cosa, ma poi è il contesto in cui si vive la quotidianità e gli esempi che ti vengono dati, che ti fanno crescere e ti fanno essere quello che sei. Come tutte le cose, però, non bisogna fare di tutta un’erba un fascio. Molte periferie si trovano nel degrado più totale, ma comunque ci sono posti, ai margini delle grandi città, dove sicuramente la qualità della vita è nettamente più apprezzabile ed anche all’interno delle cosiddette “periferie emarginate”, ci sono tante persone che, con dignità ed onestà, vivono giorno dopo giorno situazioni difficili, ma che comunque portano avanti la loro vita, andando sempre a testa alta.
Purtroppo condizioni portate all’esasperazione, trascendono in situazioni come quelle accadute poco tempo fa a Roma, nel quartiere di Tor Sapienza, dove ormai, a causa del disinteresse e del totale abbandono, il tasso di tolleranza da parte dei residenti è arrivato ai livelli minimi ed ha fatto scattare una vera e propria guerriglia urbana. L’accoglienza è sicuramente un valore importante e fondamentale per una società evoluta, che va insegnato e tramandato alle generazioni future, ma sono necessari volontà, mezzi e capacità per gestire tutto ciò che comporta il processo di integrazione. In un paese dove probabilmente, non siamo in grado di gestire nemmeno i nostri problemi interni, come pensiamo, anche solo lontanamente, di poter far fronte a tutto questo ed aiutare anche gli altri?
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