UN PASSO DI PACE! Il 21 SETTEMBRE INSIEME CONTRO LE GUERRE, A FIRENZE ABBIAMO BISOGNO DI INCONTRARCI, ANCORA UNA VOLTA, RICORDANDO CHE PER QUALCUNO SARÀ LA PRIMA E DEVE SENTIRE IL NOSTRO GUSTO DI FARLO. Di: Andrea Bigalli, Alessio Gramolati, Gianluca Mengozzi.
Se ci si consente uno sguardo attento, e lo si rivolge al contesto di cui siamo parte, non si può non entrare nelle spire di riflessioni amare. Il coraggio della paura, sperando di vivere quella intelligente, guidata dal pensare, ci spinge a guardare oltre oggi, senza dimenticare la necessaria lucidità storica nel ricordare. E quanto vediamo, intorno a noi e oltre, è un mondo che soffre una disillusione maturata lungo 25 anni, nata quando nel 1989 abbiamo ceduto al fascino dell’idea che un mondo non più diviso in due radicalmente diverse aree di riferimento si preparasse a vivere finalmente una stagione di pace, o quantomeno di controllo del conflitto. Le guerre che si è preteso di stroncare con altre guerre, magari di segno “democratico”, sono covate sotto quella pacificazione a cui abbiamo creduto solo perché ci mancavano informazioni essenziali; le dittature cadute sono state sostituite da altre, certo non meno feroci; i luoghi del pianeta in cui, per intreccio di interessi economico finanziari, conflitti culturali e\o religiosi, si combatte con furore omicida restano fondamentalmente gli stessi, nonostante l’apparente transito di poteri diversi al governo del mondo. Quanto si è messo in atto per porre mano a questa situazione non sembra aver consentito progressi significativi: hanno fallito di certo i modelli dello sviluppo economico capitalista e quelli del socialismo reale, le chiese e le religioni in genere lanciano appelli che non lasciano segno perché le loro componenti fondamentaliste (ognuna presenta le proprie) paiono in grado di far risuonare più chiaramente la propria voce di chi si richiama all’unicità di Dio nella varietà dei nomi, nomi che comunque trovano un senso unico nella norma del rispetto di vita e dignità degli esseri umani. Il pensiero umano teorizza su dinamiche che non può contrastare, in
parte del suo articolarsi tornano alla luce le aberrazioni del razzismo, della violenza di genere, dell’omofobia, del darwinismo sociale, del disprezzo codificato e diffuso della diversità, la fragilità, la povertà. Povertà; quella sembra trionfare. Cresce il numero di coloro che ne sperimentano le conseguenze sulla pelle. Le differenze sociali si accrescono sembra senza limiti e il lavoro non pare più un diritto, ma il prodotto del favore e del privilegio o addirittura lo strumento di innumerevoli ricatti. Eppure, non è del tutto vero che niente è servito, che tutta la storia si traduce “in una serie interminabile di sconfitte”, come scrive Albert Camus in un suo libro molto prezioso, “La peste”. Molta dell’esperienza concreta di donne e uomini che hanno lottato contro la cultura della guerra e le sue orrende concretizzazioni non è certo stata inutile, ha generato i suoi buoni frutti. Chi ha insegnato la buona lezione dello spirito critico propositivo; promosso diritti e dignità delle persone; testimoniata la com\passione verso ciò che soffre, viene oppresso, è marginalizzato; chi ha fatto la cooperazione internazionale senza arricchirsi e nella reciprocità culturale e non; chi non ha preteso di giudicare le culture, ma semmai di discutere, con vigore quando serve, su alcuni dei loro aspetti che non rendono ragione della dimensione che dovrebbero promuovere; chi ha fatto arte, cinema, letteratura, della denuncia e del valore del dialogo e della conoscenza; chi ha difeso l’ambiente; e tutto ciò, purtroppo, spesso pagando di persona ai vari livelli a cui questo accade, fino a quello intollerabile della morte subita, evento tutt’altro che raro: ecco, tutte e tutti loro avrebbero da comunicarci, con grande credibilità che ha senso, eccome, continuare a teorizzare nella pratica una cultura di pace. Continuano ad insegnarci che se vogliamo la pace dobbiamo preparare la guerra, ma noi non ribattiamo a sufficienza che non abbiamo mai, più di tanto, preparata la pace, piuttosto. I mercanti di armamenti continuano i loro affari per lo più fuori dai circuiti dell’illegalità, attraverso la terribile legalizzazione della speculazione sul genocidio, buona parte del nostro sistema economico prevede il sostegno fattivo alle dinamiche della guerra, da creare con tutti i mezzi a disposizione, inclusi da tempo quelli in cui speriamo ancora in positivo, quelli del sistema mediatico digitale. Se passiamo dalla strada di queste testimonianze non ha certo senso l’idea di arrendersi. Soprattutto a chi è più giovane – senza smettere di continuare a ricordarlo a noi stessi – bisogna offrire la contaminazione con le idee della ribellione positiva, della reazione all’ingiustizia, della tutela della propria dignità attraverso quella degli altri. L’idea che tutti hanno diritto a quell’idea di vita buona a cui ognuno aspira; se cerco di praticarla a scapito di altri ne avveleno il senso.
Abbiamo bisogno di razionalità, di competenza, di studiare; abbiamo bisogno di continuare a fare rete, e farla crescere di continuo e renderla sempre più forte e propositiva; abbiamo bisogno di nuovi strumenti del diritto, un accesso reale all’informazione, alla cultura, alla salute di base, ai beni essenziali; abbiamo bisogno di una politica che si pensa su basi di altre logiche. Abbiamo bisogno soprattutto di capire che la responsabilità è comune anche quando i profitti sono di pochi: e che questa responsabilità ci abilita a divenire soggetti di evoluzioni possibili, se la rassegnazione non ci ha inquinato occhi e cuore. E, ancora, abbiamo bisogno di rammentare che si perde quando si vince con gli strumenti violenti e si può vincere quando tutto dice la tua sconfitta. Abbiamo bisogno di dire con chiarezza che chi ci taccia di ingenuità condanna tutti ad una realtà di cinismo in cui tutto è permesso, un mondo infernale. E che i sogni restano l’unico modo per non essere sconfitti dalle peggiori dinamiche della storia. Penso che abbiamo bisogno di incontrarci, ancora una volta, ricordando che per qualcuno sarà la prima e deve sentire il nostro gusto di farlo. Abbiamo bisogno di fare un’altra manifestazione? In tanti siamo convinti di si. Basta essere consapevoli che da lì bisogna partire, senza sapere quando ci potremo fermare, ma sapendo bene che vogliamo andare in un’altra direzione rispetto a molti. Una direzione indicata e sancita dal rispetto e dalla tenerezza verso l’umano. Abbiamo bisogno di incontrarci il 21 settembre e ridirci la rabbia e combattere la paura, e ripensare l’una e l’altra con intelligenza e speranza. Convertendola in prassi nuove e piste, o addirittura strade, verso nuovi mondi. Possibili e quindi da fare. Ci tocca. A tutti noi, che continuiamo a crederci: nelle persone e nel loro valore. Andrea Bigalli, Alessio Gramolati, Gianluca Mengozzi.