Federiamoci

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EDITORIALE DI GIANFRANCO FINI

w ww. f aref u t u rofondazione.it

Federiamoci

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa,contribuirealsuoprocessodiintegrazione, affermareunanuovaevitalevisione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientifica edell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private. Presidente

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Coordinatore organizzativo Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

mellone@farefuturofondazione.it

filipporossi@farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno II - Numero 12 - ottobre 2008

Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste italiane s.p.a. Spedizione in abboonamento D.L. 353/003 (conv. in L. 7/0/004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (Roma)

Segretario amministrativo

FEDERIAMOCI Mensile della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno II - n. 12 - ottobre 2008 - Euro 8 Direttore Adolfo Urso

Le buone regole di una riforma essenziale Siamo alla vigilia di una svolta cruciale nell’assestamento “unitario” dell’intero sistema costituzionale disegnato dal Titolo V che, fino a ora, si è evoluto, nei diversi comparti, secondo una logica differenziata per ciascuna politica pubblica. Al riguardo, sono convinto che, in Parlamento, si svilupperà una discussione ampia e dettagliata sul disegno di legge del governo per l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Quella che vivremo sarà una grande prova di democrazia all’altezza della portata delle scelte che governo e Parlamento sono chiamati a compiere nell’interesse esclusivo del paese. Il federalismo fiscale, del resto, oltre a essere una riforma necessaria, è anche una riforma possibile. Non sempre, però, le riforme necessarie sono riforme possibili. Nel caso del federalismo credo che esistano tutte le condizioni sociali e politiche per una sua attuazione. La prospettiva dell’approdo a un compiuto sistema di federalismo fiscale implica, tuttavia, necessariamente, la profonda consapevolezza dell’esistenza di alcuni limiti invalicabili il cui rispetto è alla base della nostra convivenza democratica. La nuova architettura Ci sono alcuni limiti istituzionale dovrà perciò essere in invalicabili il cui rispetto grado di sostenere, in un quadro di asè fondamentale soluta unità e indivisibilità della Reper la nostra convivenza pubblica, il pieno svolgimento dei princìpi contenuti negli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione che costituiscono un’ossatura portante mai messa in discussione da nessuna parte politica e che, tuttavia, è rimasta per troppo tempo quiescente, in attesa di un innesco rappresentato ora proprio dall’attivazione dell’articolo 119. Al riguardo, un ruolo fondamentale lo rivestiranno le procedure di coordinamento della finanza pubblica alle quali è demandato il compito concreto di far evolvere il sistema evitando il rischio paradossale che all’aumento dell’autonomia si accompagni una ulteriore concentrazione in capo allo Stato delle decisioni più rilevanti in materia finanziaria e nelle singole politiche. L’autonomia fiscale dovrebbe invece portare il nostro paese verso l’approccio maggiormente cooperativo adottato nei paesi a più avanzato grado di decentramento amministrativo. Nella comparazione internazionale risulta, infatti, che i Paesi caratterizzati da maggiore cooperazione tra i li-


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

ASOLO

Quale federalismo

Federiamoci

Venerdì 7 e sabato 8 novembre La fondazione Farefuturo insieme con la fondazione

WASHINGTON

MONTREAL

Tocqueville and the Iiea of rational control. L’American enterprise institute approfondisce il pensiero di Tocqueville. Lunedì 3 novembre

La privatisation d’Hydro-Québec: une source d’enrichissement pour les citoyens du Québec. Seminario dell’Institut économique de Montréal per la privatizzazione dell’energia idrica. Mercoledì 12 novembre

Italianieuropei ha organizzato un workshop sul tema

Le buone regole di una riforma essenziale GIANFRANCO FINI

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86 GIANFRANCO MORRA

del Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2 ADOLFO URSO

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92 IDA NICOTRA

partendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare il

Per una politica dell’amicizia - 8 MARIO CIAMPI

è tutta questione di competenze - 102 ALDO LOIODICE

Non esiste autonomia senza unità vera - 13 FELICE GIUFFRÉ

Un processo incompiuto - 120 LUCA MEZZETTI

Nania, e l’onorevole Luciano Violante.

Il patto che salva le differenze - 22 AGOSTINO CARRINO

Una Camera alta per le autonomie - 124 STELIO MANGIAMELI

ROMA

tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-

MILANO

lisi approfondita della questione federalista

Tra neuroscienze, psicologia ed economia: il paradigma neuro economico. Seminario dell’Istituto Bruno Leoni. Lunedì 3 novembre

focus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato. Parteciperanno il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il presidente di Italianieuropei, Massimo D’Alema, il vicepresidente del Senato, Domenico

FRANCOFORTE

Pdl: under construction Lunedì 17 novembre

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34 INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme alle altre fondazioni politiche del panorama di centrode-

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42 ITALO BOCCHINO

stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolo della libertà under construction”. Il seminario ha

Per un federalismo del bene comune - 52 EUGENIO GUCCIONE Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60 INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

come obiettivo quello di dettare per il neo partito

Preis Soziale Marktwirtschaft 2008. L’assegnazione annuale da parte della Konrad Adenauer Stiftung del premio a un personaggio che si è distinto nel lavoro per l’economia sociale di mercato. Interviene il ministro dell’Economia, Michael Glos. Mercoledì 5 novembre

WASHINGTON

INTERVISTA CON

In guardia dalle forze centrifughe - 66 LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Modelli di Foedus - 134

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78 PAOLO FELTRIN

Federalismo: la forza degli Usa - 139

BUDAPEST

ROMA Lo Stato in Länder - 144 Dal franchismo al regionalismo - 148

Expo 2015: per l’Italia Mercoledì 19 novembre Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il cooperatisvismo carioca - 152

Morality and the rule of law in a market economy. Convegno internazionale dell’Acton institute sull’etica nell’economia globalizzata. Mercoledì 8 novembre

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta l’Italia per crescere e farsi conoscere.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

PARIGI

Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com

Les discriminations du travail liées à l’âge. Seminario della Fondation pour l’innovation politique sulle discriminazioni nel lavoro. Mercoledì 19 novembre

sua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Why did welfare caseloads collapse? The mystery of diversion. Convegno dell’American enterprise institute sull’esito delle riforme del sistema assistenziale Usa negli anni Novanta. Venerdì 14 novembre

un’agenda politico-culturale che possa servire per la

STRUMENTI

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

BUENOS AIRES Operación Traviata. Presentazione presso la Fundacíon Libertad del libro omonimo del giornalista Ceferino Reato che offre una interpretazione diversa dell’assassinio nel 1973 del leader sindacalista José Ignacio Rucci. Giovedì 20 novembre

PARIGI

LONDRA

Choix européens : qui doit décider? Tavola rotonda della Fondation pour l’innovation politique sul processo decisionale comunitario. Mercoledì 12 novembre

The new political economy: how change in local communities is altering priorities for MPs and election candidates. Workshop del Bow group sulle nuove priorità negli enti locali. Mercoledì 26 novembre

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca.

Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Elise group s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

ASOLO

Quale federalismo

Federiamoci

Venerdì 7 e sabato 8 novembre La fondazione Farefuturo insieme con la fondazione

WASHINGTON

MONTREAL

Tocqueville and the Iiea of rational control. L’American enterprise institute approfondisce il pensiero di Tocqueville. Lunedì 3 novembre

La privatisation d’Hydro-Québec: une source d’enrichissement pour les citoyens du Québec. Seminario dell’Institut économique de Montréal per la privatizzazione dell’energia idrica. Mercoledì 12 novembre

Italianieuropei ha organizzato un workshop sul tema

Le buone regole di una riforma essenziale GIANFRANCO FINI

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86 GIANFRANCO MORRA

del Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2 ADOLFO URSO

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92 IDA NICOTRA

partendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare il

Per una politica dell’amicizia - 8 MARIO CIAMPI

è tutta questione di competenze - 102 ALDO LOIODICE

Non esiste autonomia senza unità vera - 13 FELICE GIUFFRÉ

Un processo incompiuto - 120 LUCA MEZZETTI

Nania, e l’onorevole Luciano Violante.

Il patto che salva le differenze - 22 AGOSTINO CARRINO

Una Camera alta per le autonomie - 124 STELIO MANGIAMELI

ROMA

tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-

MILANO

lisi approfondita della questione federalista

Tra neuroscienze, psicologia ed economia: il paradigma neuro economico. Seminario dell’Istituto Bruno Leoni. Lunedì 3 novembre

focus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato. Parteciperanno il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il presidente di Italianieuropei, Massimo D’Alema, il vicepresidente del Senato, Domenico

FRANCOFORTE

Pdl: under construction Lunedì 17 novembre

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34 INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme alle altre fondazioni politiche del panorama di centrode-

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42 ITALO BOCCHINO

stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolo della libertà under construction”. Il seminario ha

Per un federalismo del bene comune - 52 EUGENIO GUCCIONE Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60 INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

come obiettivo quello di dettare per il neo partito

Preis Soziale Marktwirtschaft 2008. L’assegnazione annuale da parte della Konrad Adenauer Stiftung del premio a un personaggio che si è distinto nel lavoro per l’economia sociale di mercato. Interviene il ministro dell’Economia, Michael Glos. Mercoledì 5 novembre

WASHINGTON

INTERVISTA CON

In guardia dalle forze centrifughe - 66 LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Modelli di Foedus - 134

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78 PAOLO FELTRIN

Federalismo: la forza degli Usa - 139

BUDAPEST

ROMA Lo Stato in Länder - 144 Dal franchismo al regionalismo - 148

Expo 2015: per l’Italia Mercoledì 19 novembre Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il cooperatisvismo carioca - 152

Morality and the rule of law in a market economy. Convegno internazionale dell’Acton institute sull’etica nell’economia globalizzata. Mercoledì 8 novembre

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta l’Italia per crescere e farsi conoscere.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

PARIGI

Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com

Les discriminations du travail liées à l’âge. Seminario della Fondation pour l’innovation politique sulle discriminazioni nel lavoro. Mercoledì 19 novembre

sua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Why did welfare caseloads collapse? The mystery of diversion. Convegno dell’American enterprise institute sull’esito delle riforme del sistema assistenziale Usa negli anni Novanta. Venerdì 14 novembre

un’agenda politico-culturale che possa servire per la

STRUMENTI

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

BUENOS AIRES Operación Traviata. Presentazione presso la Fundacíon Libertad del libro omonimo del giornalista Ceferino Reato che offre una interpretazione diversa dell’assassinio nel 1973 del leader sindacalista José Ignacio Rucci. Giovedì 20 novembre

PARIGI

LONDRA

Choix européens : qui doit décider? Tavola rotonda della Fondation pour l’innovation politique sul processo decisionale comunitario. Mercoledì 12 novembre

The new political economy: how change in local communities is altering priorities for MPs and election candidates. Workshop del Bow group sulle nuove priorità negli enti locali. Mercoledì 26 novembre

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca.

Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Elise group s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


EDITORIALE DI GIANFRANCO FINI

Le buone regole di una riforma essenziale Siamo alla vigilia di una svolta cruciale nell’assestamento “unitario” dell’intero sistema costituzionale disegnato dal Titolo V che, fino a ora, si è evoluto, nei diversi comparti, secondo una logica differenziata per ciascuna politica pubblica. Al riguardo, sono convinto che, in Parlamento, si svilupperà una discussione ampia e dettagliata sul disegno di legge del governo per l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Quella che vivremo sarà una grande prova di democrazia all’altezza della portata delle scelte che governo e Parlamento sono chiamati a compiere nell’interesse esclusivo del paese. Il federalismo fiscale, del resto, oltre a essere una riforma necessaria, è anche una riforma possibile. Non sempre, però, le riforme necessarie sono riforme possibili. Nel caso del federalismo credo che esistano tutte le condizioni sociali e politiche per una sua attuazione. La prospettiva dell’approdo a un compiuto sistema di federalismo fiscale implica, tuttavia, necessariamente, la profonda consapevolezza dell’esistenza di alcuni limiti invalicabili il cui rispetto è alla base della nostra convivenza democratica. La nuova architettura istiCi sono alcuni limiti tuzionale dovrà perciò essere in grado invalicabili il cui rispetto di sostenere, in un quadro di assoluta è fondamentale unità e indivisibilità della Repubblica, per la nostra convivenza il pieno svolgimento dei princìpi contenuti negli articoli 114, 117 e 118 della Costituzione che costituiscono un’ossatura portante mai messa in discussione da nessuna parte politica e che, tuttavia, è rimasta per troppo tempo quiescente, in attesa di un innesco rappresentato ora proprio dall’attivazione dell’articolo 119. Al riguardo, un ruolo fondamentale lo rivestiranno le procedure di coordinamento della finanza pubblica alle quali è demandato il compito concreto di far evolvere il sistema evitando il rischio paradossale che all’aumento dell’autonomia si accompagni una ulteriore concentrazione in capo allo Stato delle decisioni più rilevanti in materia finanziaria e nelle singole politiche. L’autonomia fiscale dovrebbe invece portare il nostro paese verso l’approccio maggiormente cooperativo adottato nei paesi a più avanzato grado di decentramento amministrativo. Nella comparazione internazionale risulta, infatti, che i Paesi caratterizzati da maggiore cooperazione tra i livelli


che i paesi caratterizzati da maggiore cooperazione tra i livelli di governo sono anche quelli a maggior rendimento fiscale. L’Italia, quindi, non può certo sottrarsi a questa competizione. Se torniamo all’articolo 119 della Costituzione, troviamo conferma di quanto l’attuazione del federalismo fiscale non diminuisca, ma anzi aumenti le responsabilità dei diversi soggetti istiIl federalismo fiscale tuzionali nel processo di governance di aumenta le responsabilità un sistema che necessariamente si fa più istituzionali nel processo articolato. Si pensi, per esempio, in di governance linea con quanto stabilisce il comma 3 dell’articolo 119, alla necessità di attribuire allo Stato centrale la potestà di accertare, da un punto di vista tecnico, le sussistenza di quei “criteri” che rilevano ai fini dell’istituzione di un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per le Regioni con minore capacità fiscale per abitante. Del resto, a tale specifica questione è collegata direttamente l’attuazione dell’articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione (in materia di livelli essenziali delle prestazioni), che impone allo Stato di garantire, su tutto il territorio nazionale, i diritti costituzionali fondamentali, il che può avvenire soltanto attraverso il ricorso a meccanismi diversi da quelli che non consentono allo Stato stesso di fungere da autentica “camera di compensazione”. Il federalismo fiscale, quindi, non può essere disgiunto dal federalismo istituzionale giacché è su questa “convergenza non solo procedurale” che poggia l’obiettività e la condivisione dei metodi, nonché la stessa garanzia dell’unità giuridica ed economica della nazione, che la nostra Costituzione sancisce agli articoli 5 e 120. Si tratta ora di passare al momento della scrittura Riscriviamo le “buone delle “buone regole” le quali devono regole” che devono vivere nella democrazia e per la demovivere per la democrazia crazia, altrimenti né le une, né l’altra nella democrazia avrebbero le caratteristiche di elementi fondanti della convivenza: credo che questo accadrà, credo che questo debba accadere per far fronte a una reale esigenza di cambiamento che tutti avvertiamo come sentita e profonda.

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L’urgenza di una politica bipartisan per le riforme

Né destra, né sinistra per una svolta “REPUBBLICANA” DI ADOLFO URSO

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IL SEMINARIO Adolfo Urso

L

’incontro di novembre ad Asolo, promosso dalle fondazioni Farefuturo di Gianfranco Fini e Italianieuropei di Massimo D’Alema, è il tentativo di iniziare un percorso inclusivo, aperto al contributo di tutti, perché occorre porre le basi culturali comuni del nuovo impianto costituzionale L’incontro di Asolo promosso dalle fondazioni Farefuturo e Italianieuropei credo sia particolarmente importante per tre ragioni: primo, perché si ripromette di creare le basi di un comune approccio culturale alle riforme istituzionali, che per loro natura non dovrebbero essere né di destra né di sinistra ma “repubblicane” (per utilizzare la terminologia francese); in seconda istanza, perché si rivolge ai giovani, in quello che speriamo diventi un appuntamento annuale di formazione e approfondimento per la nuova classe dirigente del paese, all’interno di un percorso che dovrebbe segnare l’intera legislatura; infine, perché mette insieme la riforma del federalismo fiscale, che il governo ha appena presentato, con le riforme istituzionali necessarie per fornire un quadro organico e completo. Tre linee di intervento che sicuramente saranno al centro del dibattito conclusivo tra Gianfranco Fini, presidente di Farefuturo, e Massimo D’Alema, presidente di Italianieuropei, nella loro duplice veste, istituzionale e politica. Peral-

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tro, Fini e D’Alema furono anche me prevede peraltro il testo Cali protagonisti della commissione deroli-Fitto. Di questo e di altro, bilaterale sulle Riforme istituzio- discuteremo insieme ad Asolo, in nali che nella prima legislatura quello che speriamo diventi una della Seconda Repubblica giunse school permanente delle due fona un passo dall’accordo sistemico, dazioni, nel cuore del Veneto, che poi improvvisamente fallito. Fu a sua volta è il cuore del federaliquello senz’altro il tentativo più smo. Un percorso inclusivo e non concreto, forse anche l’ultimo certo esclusivo aperto ai contrinello spirito bipartisan. Le rifor- buti di tutti, perché si tratta di me istituzionali realizzate succes- costituire le fondamenta culturali sivamente furono infatti compiu- comuni del nuovo impianto istite a colpi di maggioranza e con- tuzionale. tro l’opposizione: dal centrosini- In questo contesto, alcuni contristra nel 2001, nelle ultime ore buti. La riforma del federalismo della legislatura, con il pasticcio fiscale va innestata in una riforma istituzionale che ha confuso il che differenzi il ruolo dello Stato e Abbiamo cinque anni ruolo delle due Cadelle Regioni; dal mere; e in tal procentrodestra nel per realizzare insieme posito utile appa2006, con un im- e in modo completo iono proprio i due pianto più organimodelli europei co, poi rigettato il lungo processo nel referendum delle riforme istituzionali c h e p o n i a m o a confronto in queconfermativo. Ora, abbiamo cinque anni davan- sto fascicolo di Charta: quello teti a noi per realizzare bene e in desco e quello spagnolo. Anche modo completo, ci auguriamo in- noi dovremo realizzare un Senato sieme, il percorso delle riforme federale rappresentativo di Reistituzionali di cui la riforma del gioni ed Enti locali a fronte di federalismo fiscale è un aspetto una Camera dei deputati che doprioritario, certamente significa- vrà svolgere le funzioni politiche tivo. Essa può essere realizzata in e legislative. È inoltre necessario tempi brevi, perché trattasi di affrontare le tematiche inerenti legge ordinaria, ma va certamen- ai poteri del presidente del Conte innestata in un impianto costi- siglio, oggi paradossalmente mituzionale omogeneo. Per questo, nori rispetto a quelli esercitati da è assolutamente necessario che sindaci e presidenti di Regioni, parta anche il treno delle riforme per esempio per quanto riguarda istituzionali, il quale ha per sua la nomina e la revoca dei ministri natura un percorso più lungo in e il potere di sfiducia del Parlatermini parlamentari ma che può mento. Decisivo è poi semplifigiungere insieme, al termine del- care i livelli istituzionali dello la legislatura, con la piena attua- Stato, altrimenti il federalismo zione del federalismo fiscale, co- fiscale sarà un elemento di di-


IL SEMINARIO Adolfo Urso

spersione e non di razionalizzazione delle risorse. Oggi esistono in Italia sette livelli istituzionali elettivi, tutti in varia misura ampiamente retribuiti: è l’unico caso in Europa. Nella maggior parte dei nostri partner sono quattro. Credo che si possa avviare la discussione su come abolire le Province, ripartendo le loro competenze tra le Regioni (in materia stradale e di circolazione) e i Comuni (in materia di formazione), senza creare scandalo, ma anzi risparmiando 18 miliardi di euro e semplificando i processi amministrativi e quindi la vita dei cittadini e delle imprese. Era nel nostro programma di governo sottoposto agli elettori, anche la Lega dovrà discuterne. E insieme alle Province crediamo utile cancellare i Consigli di quartiere in gran parte delle realtà (e comunque tornare al principio della delega) e le Comunità montane, mantenendo inalterate le risorse destinate alle popolazioni che vivono in territorio di montagna, con la possibilità di istituire l’Unione dei Comuni per condividere competenze e amministrazione di risorse, secondo i principi della semplificazione e della ottimizzazione; così come appare necessario cancellare tutti quegli organi intermedi, come gli Ato, che sono spesso strumenti farraginosi e comunque più nocivi che utili. Si tratta di interventi largamente popolari e soprattutto di straordinaria efficacia, che comunque danno maggiore risalto a Comuni e Re-

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gioni sui quali va articolata la struttura federale. Un altro elemento assolutamente necessario riguarda la riforma del Titolo V della Carta costituzionale, per semplificare la ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni, riducendo al minimo la conflittualità che dal 2001 a oggi ha esasperato il rapporto istituzionale paralizzando il processo decisionale. Vanno ridotte al minimo essenziale le materie a legislazione concorrente: per esempio restituendo allo Stato la competenza esclusiva in materia di grandi reti infrastrutturali e di energia; così come si possono affidare alle Regioni le competenze in materia di formazione. Infine, un’altra questione ci appare preminente proprio nell’ottica del federalismo fiscale ed è quella della liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Molto si è scritto e detto e spesso con scandalo di come in questi anni il sistema pubblico si sia esteso de facto nei mercati locali, a scapito delle qualità dei servizi e della casse pubbliche e certamente anche delle imprese private, soprattutto delle medie imprese che sono il tessuto connettivo del nostro sistema produttivo. L’emendamento approvato in Parlamento al testo del governo rappresenta una toppa peggiore del buco. Occorre procedere con una riforma seria, anche questa speriamo bipartisan, partendo proprio dai disegni di legge presentati da sinistra e da destra: dall’ex ministro Lanzillotta e dal senatore Giovanni Collino. E speriamo

che proprio la Lega sia disponibile al confronto. Su Province e servizi pubblici locali si misura la capacità di rendere sostenibile la riforma del federalismo fiscale. Senza di esse si corre il rischio che tutto si impantani. È un terreno difficile ma necessario e soprattutto solido per trovare quella grande intesa che naufragò a metà anni Novanta.

L’Autore ADOLFO URSO Già viceministro alle Attività produttive nella XIV legislatura, attualmente è sottosegretario allo Sviluppo economico del governo Berlusconi. È il segretario generale di Farefuturo.


PubblicitĂ eni

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Il termine “federalismo” viene da foedus (patto, alleanza), che a sua volta deriva da fides (fiducia, fede). La federazione sussiste solo quando persone, associazioni e istituzioni stringono un patto e sono pronte a rispettarlo in virtù della fiducia che lega le une alle altre. È questo il nucleo più intimo del federalismo: esso è certa-

mente la teoria di un determinato tipo di Stato, ma è anche, e prioritariamente, un sistema di valori e una dottrina sociale. Su questa accezione più profonda, quindi, ci sembra opportuno dirigere la riflessione, nell’imminenza di riforme istituzionali che con ogni probabilità daranno un’impronta definitivamente federalista alla


L’ANALISI Mario Ciampi

Antropologia del federalismo

Per una politica dell’AMICIZIA Alla base del processo c’è una concezione sociale pluralistica e policentrica che ruota sull’autonomia della persona e sulla sua libertà responsabile. Ma senza la solidarietà con la comunità nazionale potrebbero prendere piede le frammentazioni

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DI MARIO CIAMPI

nostra forma di Stato. Il federalismo non è soltanto un fatto di strutture e di funzioni, né può essere ritenuto semplicemente una risposta a una situazione di inefficienza o di corruzione della macchina statale. Forse in Italia è stato presentato con questa finalità, in una sorta di bilancio consuntivo dello Stato unitario. Ma è in-

negabile che la soluzione federale abbia ricevuto negli ultimi tempi una molteplicità di contributi e di consensi che, a oggi, ne fanno una proposta solida e ampiamente condivisa. Da più parti e con argomenti convincenti, si avverte la necessità di una revisione dell’organizzazione politica dei poteri: stretto tra le


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spinte contrapposte del globali- na e sulla sua libertà responsabismo e dei diversi localismi, lo le. Il personalismo comunitario è Stato contemporaneo deve spo- il sistema di valori del federalistare il punto di equilibrio più smo, la sua antropologia. È del vicino al territorio e alle sue esi- personalismo infatti promuovere genze, ricalibrando le sue funzio- quella socialità umana che possa ni in modo da mantenere la sua evitare alla persona di oscillare natura “armonizzante”. L’attuale tra l’intimismo della vita privata organizzazione statale del potere e la freddezza dei rapporti istitunon è più adeguata per risponde- zionali e burocratici. Il problema re alla straordinaria pluralità del- semmai è quello di conciliare la le forme di convivenza economi- vita comunitaria con il senso etico-sociale, così come risulta in- co delle istituzioni. Esse sono insufficiente la sola rappresentanza dispensabili per assicurare il pastradizionale costruita sulle orga- saggio dall’uomo privato all’uonizzazioni partitiche. Il federali- mo pubblico, dall’individuo alla smo è quindi una scelta in linea società, dall’amicizia interpersonale all’amicizia con le evoluzioni civile. Questo della cittadinanza e La comunità superiore passaggio richiedelle sue articolazio- deve intervenire solo de che venga ni territoriali, che creata una fedemodificano profon- quando quella razione, che è pur damente la rappre- inferiore non riesce sempre qualcosa sentanza e la legittidi artificiale, mità del potere po- nelle proprie funzioni un’invenzione litico. Va detto però che le evoluzioni della cittadi- umana sollecitata da bisogni, innanza sono molto diverse a secon- teressi, opportunità particolari. da del territorio che si ha come L’artificialità della costruzione feriferimento. Diventa allora neces- deralista viene peraltro confermasario prevedere un significativo ta nelle due forme tipologiche adeguamento della pubblica am- con le quali si manifesta: quella ministrazione locale, che si trove- del federalismo per aggregazione rà ad applicare nel concreto una di Stati indipendenti e quella del riforma epocale, basata su modi- federalismo per scomposizione di fiche strutturali della stessa orga- uno Stato unitario. nizzazione dei pubblici poteri e Diventa essenziale, quindi, stabidella loro interazione con la so- lire una coerenza tra la dimensione comunitaria e quella istituziocietà civile. Per comprendere appieno la por- nale, tra l’aspetto naturale e queltata di una riforma federale, basti lo artificiale della soluzione fedeconsiderare la sua concezione so- ralista. In altri termini, al fine di ciale: si tratta di una concezione garantire l’instaurazione delpluralistica e policentrica, che fa l’amicizia civile, è necessario troperno sull’autonomia della perso- vare un principio che adegui la


L’ANALISI Mario Ciampi

costituzione federale al patto federativo. Questo principio è quello della sussidiarietà: ogni comunità di ordine superiore deve evitare di intromettersi nelle vicende di una comunità di ordine inferiore riconoscendone la competenza originaria, e deve intervenire invece quando la comunità inferiore si trova nell’impossibilità o nell’incapacità di adempiere alle funzioni che le sono proprie. Le istituzioni subentrano in via sussidiaria e il più vicino possibile ai singoli e alle loro associazioni naturali. In questo modo, viene esaltato il valore dell’amicizia civile e vengono preservate l’autonomia e la responsabilità delle persone e dei corpi intermedi. Il principio di sussidiarietà viene di recente integrato con quello di exate adéquation: ciascuna comunità deve ricevere competenze ma anche possibilità finanziarie per risolvere le questioni che possono essere risolte

solo a quel livello. Non si tratta di un decentramento amministrativo. Nel decentramento, il potere locale non è mai originario e rappresenta soltanto una delega del potere centrale, che resta l’unico sovrano bodinianamente inteso. Con la sussidiarietà, invece, il livello locale delega alle comunità superiori solo le responsabilità che non può assumersi, e la sovranità spetta a quel livello di potere che, nel caso concreto, dispone delle più ampie capacità di decisione. Lo Stato sussidiario è l’esatto contrario dello Stato provvidenza: nel primo, la base di tutto l’ordinamento sta nella libertà dei cittadini singoli o associati; nel secondo, invece, l’ordinamento è la risultante delle disposizioni statuite da uno Stato sovrano che è la sola fonte di ordine nelle relazioni intersoggettive. Da una parte, un uomo che è capace di dare il suo contributo al bene co-

LA CITAZIONE «È vero certamente e ben dimostrato dalla storia, che, per la mutazione delle circostanze, molte cose non si possono più compiere se non da grandi associazioni, laddove prima si eseguivano anche dalle piccole. Ma deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle». Papa Pio X Quadragesimo Anno, n°80

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mune agendo liberamente e responsabilmente; dall’altra, l’homo homini lupus di hobbesiana memoria, incapace di bastare a se stesso e pertanto portatore di continue pretese. Senza un’adeguata applicazione del principio di sussidiarietà, il federalismo si presta a diversi errori. Per esempio, può rovesciarsi in un regionalismo lesivo delle autonomie sottostanti: se si intende la Regione come un piccolo Stato-nazione, si rischia di favorire una maggiore inquisizione amministrativa invece di promuovere l’amicizia civile e la partecipazione. Un vizio ancora più pernicioso si avrebbe se l’appartenenza a una comunità territoriale fosse avvertita in senso particolaristico ed egoistico. Senza un patto di solidarietà con la comunità nazionale e con lo Stato, il federalismo potrebbe consentire frammentazioni e separatismi. Se non si vuole correre il rischio di circoscrivere la politica dell’amicizia in un raggio di azione troppo angusto, il foedus deve estendersi, per il tramite della mediazione istituzionale, anche a chi non è strettamente “prossimo”. In questo senso, è opportuno che il federalismo abbia il cosmopolitismo come una sorta di ideale regolativo. L’amicizia può propagarsi al di là dei confini di una comunità concreta: essa tende a oltrepassare il confine degli Stati e a estendersi alla relazione universale tra le persone, in virtù dell’umanità che le accomuna. La teoria federalista sarebbe quindi intimamente legata al tema classico dell’unità

del genere umano, da questo prenderebbe le mosse e in questo troverebbe la sua giustificazione più profonda. Un federalismo di questo tipo coniuga un certo realismo legato alle singole identità territoriali con un anelito alla concordia universale, l’ottimismo per le capacità della persona e delle comunità di ordine inferiore con l’intervento sussidiario delle comunità di ordine superiore, l’amicizia civile con il senso delle istituzioni. In definitiva, la chiave di volta di un federalismo autentico è un principio che non ha il carattere di una regola formale, un principio che possiamo definire pre-politico. La logica della sussidiarietà richiede la virtù della prudenza, più che il governo delle leggi. Il federalismo è quindi solo in parte un problema di competenze e di sovranità, di aggregazioni e di disaggregazioni, almeno se lo si vuole prendere sul serio.

L’Autore MARIO CIAMPI Coordinatore organizzativo della Fondazione Farefuturo. Studioso di dottrina sociale cattolica, è autore di numerosi articoli e saggi di etica politica e di teoria democratica. Si è occupato di istruzione superiore europea e di diritto allo studio universitario. Ha ricoperto dal 2002 al 2007 gli incarichi di responsabile dell’organizzazione e di coordinatore della scuola di formazione politica di An.


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Non esiste autonomia senza unità vera Privo di limiti a difesa delle esigenze di coesione, il rapporto tra entità territoriali non rispetterebbe l’imprescindibile e basilare dialettica unità-autonomia DI FELICE GIUFFRÈ

Il dibattito sulle riforme istituzionali in materia di decentramento politico territoriale, avviatosi nel nostro paese agli inizi degli anni Novanta, in coincidenza con il consolidamento della presenza leghista nel sistema politico italiano, si è svolto sullo sfondo di una presunta irrisolvibile

tensione tra il principio di unità della Repubblica e le istanze dell’autonomia. In questo quadro, le rivendicazioni volte a ottenere una differente distribuzione territoriale del potere tra Stato, Regioni e minori enti locali sono state spesso percepite come un pericoloso germe


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capace di mettere in discussione la trama di valori e principi istituzionali su cui si regge l’organizzazione politica della nazione italiana. Tuttavia, pur non sottovalutando i rischi propri di tutte le transizioni istituzionali – e, segnatamente, quelli che si presentano se si mettono in discussione i meccanismi di riparto di competenze, funzioni e risorse finanziarie – per affrontare le questioni poste dal lento percorso di avvicinamento della nostra Repubblica a un modello di decentramento politico-territoriale “spinto”, occorre muovere da una fondamentale premessa: quella secondo cui non si può discutere di autonomia, in senso giuridico, senza riferirsi a un ordinamento unitario, atteso che solo rispecchiandosi in quest’ultimo la medesima autonomia può ritrovare i propri contorni definitori. Se è così, i limiti costituzionali posti a garanzia dell’unità dell’ordinamento o, se si preferisce, dell’interesse nazionale costituiscono, rispetto al principio autonomistico, il rovescio di una stessa medaglia. Senza un solido sistema di limiti posti a presidio delle istanze unificatrici, infatti, il rapporto tra ordinamenti territoriali non potrebbe essere declinato nei termini della dialettica unità-autonomia, ma soltanto come relazione tra istituzioni politiche sovrane e, dunque, reciprocamente indipendenti. La questione dell’interesse nazionale nel nuovo ordinamento della Repubblica riguarda, quindi, non


L’ANALISI Felice Giuffrè

tanto l’an, quanto, piuttosto, le dunque, come custode esclusivo modalità prescelte per la sua ga- degli interessi unitari della Reranzia, atteso che proprio sulla pubblica. Di più: lo Stato, anche base di queste ultime si può co- negli svolgimenti normativi del gliere il carattere più o meno plu- vecchio Titolo V e nella interpreralista della forma di Stato, alme- tazione della Corte costituzionano sotto il profilo della distribu- le, era identificato completamente con la Repubblica, mentre Rezione territoriale del potere. Alla luce dei presupposti appena gioni e minori enti locali erano considerati occorre sottolineare intesi quali semplici ripartizioni come la riforma del Titolo V, ap- territoriali del primo. provata con la legge cost. n. 3 del Nel quadro appena delineato, il 2001, non abbia affatto eliminato legislatore e il giudice delle leggi dall’ordinamento gli strumenti elaborarono un complesso di istidi garanzia delle istanze unitarie tuti e di tecniche giuridiche che e ciò nonostante la scomparsa di – ben al di là delle previsioni costituzionali – assiogni riferimento letterale al concet- La riforma del Titolo V curavano la prevalenza degli indito di interesse narizzi politici e amzionale, che era, in- aveva fatto salvo vece, espressamen- l’interesse della nazione ministrativi dello Stato rispetto a te con templato quelli degli altri nella formula ori- che la Costituzione ginaria della Costi- aveva sancito nel 1948 livelli di governo. Tale indirizzo era tuzione del 1948. appena temperato nel progressivo Al riguardo, le vecchie disposizioni degli artt. 117 e 127 Cost., emergere del principio di leale in cui l’interesse nazionale era collaborazione tra i diversi livelli individuato come limite alla po- di governo, nel segno dei modelli testà legislativa delle Regioni, di decentramento politico terrirecavano soltanto taluni possibi- toriale di carattere cooperativo e li svolgimenti del principio di solidale. In ogni caso, i principi e unità della Repubblica, che era gli strumenti della cooperazione (ed è), invece, previsto in termi- interistituzionale non sono mai ni generali dall’art. 5 Cost., qua- riusciti a neutralizzare completale termine dialettico del princi- mente i riflessi statalisti che la cultura politica e la dottrina giupio di autonomia. Tuttavia, l’attuazione del disegno ridica italiane hanno proiettato regionale, nei primi cinquant’an- sulle formule di attuazione del ni della Repubblica, è stata se- disegno regionalista della Costignata dal permanere di una visio- tuzione del 1948. ne dello Stato quale istituzione Con la riforma costituzionale del politico-territoriale gerarchica- 2001 il legislatore costituzionale mente sovraordinata agli altri li- ha, dunque, mutato gli strumenti velli territoriali di governo e, di tutela dell’interesse nazionale,

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per adeguarli a una rinnovata de- Regioni e gli altri enti locali, con clinazione del pluralismo istitu- incisive refluenze anche sulla fizionale; ma non ha eliminato – sionomia degli strumenti di tutené, d’altra parte, avrebbe potuto la dell’interesse nazionale. farlo – le istanze unificatrici, che Questa impostazione, tuttavia, meritano di essere preservate at- non poteva essere considerata del traverso meccanismi idonei a tutto armonica con i principi conciliare i due termini del rap- proclamati nell’art. 5 Cost., porto dialettico tra unità e auto- nemmeno nel vigore dell’originomia prefigurato nell’art. 5 nario Titolo V. Tale conclusione Cost. Il mutamento di prospetti- era evidente già sotto il profilo va a cui si è appena fatto cenno, si letterale, considerato che i Coè manifestato, innanzi tutto, nella stituenti avevano mostrato di dinuova definizione costituzionale stinguere lo Stato dalla Repubdel termine Repubblica. La ri- blica, prescrivendo in modo spescrittura dell’art. 114 Cost. dimo- cifico alla seconda di attuare “nei servizi che dipenstra, infatti, come attraverso la rifor- La Carta costituzionale dono dallo Stato il più ampio decenma del Titolo V il tramento amminilegislatore costitu- prefigurava un assetto strativo”. zionale non abbia pluralistico in cui ogni Si comprende, alinteso soltanto atlora, la ragione per t r i b u i r e n u o v e ente locale recepiva cui nel corso dei competenze alle le esigenze territoriali lavori preparatori Regioni e ai minori enti territoriali, ma abbia pun- delle legge cost. n. 3 del 2001 tato a ricostruire su basi nuove sia stato sottolineato l’intento l’articolazione territoriale dell’or- specifico di assegnare pari dignidinamento, sia pure nel quadro tà politico-costituzionale agli dei principi di unità e autonomia enti territoriali contemplati nel nuovo testo dell’art. 114 Cost. affermati nell’art. 5 Cost. Nella formula originaria dell’art. Come si evince, infatti, dalla re114 Cost. – laddove si prevedeva lazione di maggioranza presenla ripartizione della Repubblica tata alla presidenza della Camera in Regioni, Province e Comuni – l’11 novembre 1999 sul progetera manifesta la sovrapposizione to di legge di revisione costituconcettuale tra lo Stato e, appun- zionale, la “scelta contenuta nel to, la Repubblica, sicché il primo nuovo art. 114 Cost. (…) appare poteva configurarsi come ente in asse con l’impostazione origipresupposto e, perciò, genetica- naria della nostra Carta costitumente sovraordinato alle autono- zionale quale espressa nel princimie territoriali. Il disegno trova- pio fondamentale di cui all’art. va, allora, coerente sviluppo nella 5, scelta già allora consapevole già considerata concezione gerar- nel pensiero dei Costituenti, che chica dei rapporti tra lo Stato, le viene qui ribadita, estesa, raffor-


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zata, in una visione massima- solvere la contraddizione tra mente pluralistica dell’ordina- l’art. 5 Cost. ed i suoi svolgimenti nell’originario Titolo V, idenmento” (A.C. 4462). Alla luce dei principi fondamen- tificando la locuzione Repubblitali della Carta del 1948 la nozio- ca con l’ordinamento generale, ne di Repubblica sembrava già ovvero con l’istituzione nella suscettibile di riassumere i carat- quale – con le parole del giudice teri di una istituzione complessa delle leggi – “gli enti territoriali di cui lo Stato, le Regioni e i mi- autonomi sono collocati a fianco nori enti territoriali costituivano dello Stato (…) quasi a svelarne, altrettante componenti, nessuna in una formulazione sintetica, la completamente coincidente con comune derivazione dal princil’ordinamento generale. Ciò se- pio democratico e della sovranità gnava una decisa soluzione di popolare” (Corte cost., sent. n. continuità rispetto alla concezio- 106 del 2003). ne gerarchica e accentratrice dello Nel senso riferito, dunque, occorre distinguere Stato-persona di l’ordinamento derivazione otto- Serve un’istituzione della Repubblica centesca, prefigudall’ordinamento rando un assetto di in cui la suddivisione dello Stato. Il sepluralismo istitu- delle competenze sia condo è, infatti, zionale in cui ciasolo una composcun ente autono- duttile e partecipativa nente del primo, mo avrebbe dovuto ma garante dell’unità insieme a quello contribuire alla cura delle istanze delle comunità dei Comuni, delle Province, delterritoriali, rappresentate nel le Città metropolitane e delle quadro degli interessi unitari del- Regioni, nonché – secondo la vil’intera comunità nazionale. Il sione di Feliciano Benvenuti – potere pubblico, pertanto, distri- delle altre soggettività “che cobuito tra i differenti livelli di go- stituiscono in un determinato verno, avrebbe dovuto essere ar- momento storico la comunità namonizzato nella complessiva isti- zionale e che sono nel loro insietuzione repubblicana, non attra- me i soggetti dell’ordinamento verso l’imposizione dell’indirizzo complessivo ivi compreso anche politico dello Stato sugli enti au- lo Stato-persona”. Il nuovo riferitonomi, bensì in forza del princi- mento alla Repubblica sembra, pio di leale collaborazione tra il quindi, potersi ricostruire nei termini di una “istituzione comprimo ed i secondi. Ebbene, la nuova formulazione plessa”, articolata secondo un dell’art. 114 Cost., secondo cui modello pluralista che implica, “la Repubblica è costituita dei proprio in vista della piena gaComuni, dalle Province, dalle ranzia dei valori unitari, un criCittà metropolitane, dalle Re- terio di riparto delle competenze gioni e dallo Stato”, sembra ri- flessibile e partecipativo.

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La nuova formula organizzatoria, in definitiva, evoca la celebre ricostruzione di Hans Kelsen, per il quale nei sistemi federali tanto la federazione, quanto gli Statimembri sono componenti paritari del cosiddetto ordinamento totale e sono ordinati secondo una relazione che non è di gerarchia, bensì di coordinazione istituzionale. La ricostruzione appena richiamata, segnata da un pluralismo istituzionale tendenzialmente paritario, è gravida di conseguenze per le relazioni tra gli enti territoriali, ponendo i presupposti strutturali per una declinazione dei loro reciproci rapporti improntata ai canoni della leale collaborazione, della solidarietà e della sussidiarietà. Ne consegue, innanzi tutto, che anche laddove i momenti di emersione degli interessi “nazionali” risultino incardinati nell’ambito di attribuzioni proprie di organi statali, questi ultimi agiranno non come organi dello Stato, bensì quali strumenti del complessivo ordinamento repubblicano. Ma affinché tale ricostruzione non si risolva in una finzione e possa, invece, assumere portata sostanziale, è necessario che anche nell’esercizio di attribuzioni propriamente statali e, tuttavia, strumentali alla tutela di interessi unitari, lo svolgimento della relativa funzione preveda momenti di partecipazione degli enti territoriali interessati. In altri termini, gli strumenti di garanzia degli interessi unitari dovranno rispondere a una logica

procedimentale, al cui interno le molteplici istanze dell’ordinamento possano trovare una prospettiva di sintesi, secondo quella visione integrata dei differenti livelli di interesse che è propria della logica collaborativa. Invero, già tra le norme del testo costituzionale, come riformulato dalla legge cost. n. 3 del 2001, si rinviene, almeno in parte, la traccia dell’impostazione appena richiamata. Al riguardo, assume valenza paradigmatica, innanzi tutto, la previsione dell’art. 120, II co., Cost., laddove si prescrive che il potere sostitutivo del governo dovrà essere esercitato nel rispetto dei principi di sussidiarietà e leale collaborazione. La medesima impostazione sembra, inoltre, presente nella norma di cui all’art. 11 della legge cost. 3 del 2001, in base alla quale “i regolamenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica possono prevedere la partecipazione di rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali alla Commissione parlamentare per le questioni regionali”. Come è noto, la Commissione integrata dovrebbe essere chiamata a esprimere il proprio parere in ordine ai disegni di legge che rientrano nei campi materiali di cui agli artt. 117, III co., e 119 Cost., costringendo le Camere a deliberare a maggioranza assoluta nel caso in cui le rispettive Commissioni referenti si determinassero a non raccogliere le indicazioni espresse nel parere della cosiddetta “Bicamerale integrata”.


L’ANALISI Felice Giuffrè

Ancora, l’istanza partecipativa e la leale collaborazione sono state poste dalla Corte costituzionale – con gli articolati argomenti sviluppati a partire dalla sent. 303 del 2003 – quali condizioni per una legittima assunzione in sussidiarietà, da parte dello Stato, di funzioni amministrative che reclamano un esercizio unitario, nonché delle presupposte competenze legislative, di guisa che – secondo il giudice delle leggi – i due richiamati principi si configurano come necessari corollari del canone della sussidiarietà. In termini ancor più generali, infine, l’esigenza del raccordo e della cooperazione tra i diversi livelli di governo si manifesta nel consolidamento, già a Costituzione invariata, del cosiddetto “sistema delle Conferenze”, in base al quale le Regioni e gli altri enti territoriali sono chiamati a partecipare –secondo lo schema previsto dal d.lgs. 281 del 1997 e con gli strumenti delle intese, degli accordi e dei pareri – “a tutti i processi decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale” (art. 2). Le previsioni appena richiamate nonostante l’apparente carattere rigido e garantista del meccanismo di ripartizione degli ambiti della competenza normativa disciplinato dall’art. 117 Cost. – confermano l’accoglimento di un principio di tendenziale flessibilità delle competenze tra i diversi enti territoriali. Del resto, il processo di “flessibilizzazione” delle competenze, anche a prescindere dal dato testuale, corri-

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sponde a un paradigma generale degli odierni modelli di decentramento territoriale, laddove ci confronta con le ragioni dello Stato sociale o con le esigenze di indirizzo dell’economia. Come dimostrano le indagini di diritto comparato, infatti, nemmeno negli Stati federali a originaria e più forte vocazione “competitiva” (come gli Stati Uniti d’America) è possibile oggi mantenere una rigida separazione delle competenze normative tra la Federazione e gli Stati membri. Così, laddove la ripartizione della funzione normativa primaria prevista nella Costituzione federale non prevede in modo espresso la possibilità della Federazione di intervenire, disciplinando una materia nel cui ambito rilevano esigenze di carattere unitario – attinenti ai diritti costituzionali di cittadinanza, ovvero all’indirizzo economico federale – la competenza normativa è stata sempre in qualche modo “ritrovata” in via di interpretazione, ricamando tra le pieghe dello stesso ordinamento federale, magari con l’ausilio di principi generali che, esplicitamente o implicitamente, presiedono al Patto federativo (es.: doveri di lealtà, collaborazione, solidarietà nell’esperienza europeo-continentale; commerce clause, grants in aid, spending power federale nel caso degli Stati Uniti). Sulla scia anche dell’attuale ordinamento costituzionale italiano, la previsione di strumenti di cooperazione – integrando, sul piano organizzativo e funzionale, tutti

gli enti territoriali che compongono la Repubblica – varrebbe a confermare la necessaria organicità tra la Costituzione dei diritti e la Costituzione dei poteri e, in ultima analisi, la tenuta della ispirazione solidale del principio autonomista. Con ciò, evidentemente, non si nasconde il rischio che il sostanziale abbandono di un sistema di rigida separazione delle competenze possa tracimare nella riesumazione, sotto mentite spoglie, del principio gerarchico. Tuttavia, posto che la Costituzione continua a riconoscere a organi dello Stato la funzione di assicurare, in ultima istanza, il “pieno soddisfacimento” dell’istanza unitaria, il rischio di un nuovo centralismo sarebbe probabilmente scongiurato con la riforma dell’attuale sistema bicamerale e con la creazione di una Camera realmente rappresentativa degli enti territoriali in seno all’istituzione parlamentare. In quest’ultimo caso, infatti, anche quando gli organi statali fossero chiamati alla tutela degli interessi unitari, agirebbero sempre come organi della Repubblica e non quali semplici articolazioni del più vasto e comprensivo tra gli enti che la compongono. L’Autore FELICE GIUFFRÈ Associato di Diritto costituzionale nell’università di Catania, autore di monografie come La solidarietà nell’ordinamento costituzionale (Milano 2002) e Il principio unitario nella Repubblica delle autonomie (Catania 2008).


Il principio di sussidiarietà come garanzia

Il patto che salva le DIFFERENZE

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Il federalismo realizzato, quello costituzionale, deve permettere di ipotizzare istituzioni che assicurino la duplice esigenza di unità, il foedus, da un lato, e, dall’altro, la sopravvivenza e il rispetto delle differenze DI AGOSTINO CARRINO


L’ANALISI Agostino Carrino

Il dibattito sul federalismo in Italia esige ormai una preliminare convenzione sui termini usati. Detto con più chiarezza, sarebbe ora di mettersi d’accordo sulle parole e sul loro significato. Non è più pensabile che si impieghino termini il cui senso va in una certa direzione per esprimere concetti che vanno nella direzione contraria. Cosa significa “federalismo”? Rivolgiamoci, per una prima definizione, al Dictionnaire international du fédéralisme curato da Denis de Rougemont. Il federalismo, si legge sotto la voce omonima per la penna di Ferdinand Kinsky, è «un processo di conciliazione dell’unità con la diversità in una struttura di checks and balances, in cui ogni potere è un potere relativo limitato dal peso e dal controllo di diversi contro-poteri»1. Come si vede, una definizione rigorosa non può fare a meno, per essere tale, di fare riferimento alle strutture politiche e giuridiche entro le quali il federalismo agisce. Si ammette generalmente che il federalismo possa andare non soltanto dalla pluralità verso l’unità, ma anche dall’unità verso la pluralità, nel senso che un potere unitario si può suddividere in più poteri particolari. In realtà, questo secondo processo deve più correttamente essere definito come “devoluzione”, o “decentralizzazione”, a seconda anche del grado della forza in cui questo secondo movimento viene immaginato. In effetti, il Grande dizionario della lingua italiana della Utet (vol. V, p. 786), alla voce “federa-

lismo”, si limita a recitare, in maniera del tutto corretta: «Dottrina o movimento politico che propugna l’unione in uno Stato federale degli Stati che hanno comuni tradizioni e comuni interessi». Quando il libertario Giuseppe Compagnoni2 accusava i Francesi di aver portato in Italia «sciaguratamente colla libertà (…) tutti i mostri della loro rivoluzione», annoverava tra questi mostri esattamente il federalismo inteso in senso proprio, come unificazione delle diversità. Il termine, del resto, viene dal latino “foedus”, ovvero “alleanza, trattato, patto, convenzione, impegno, unione, associazione”. Il significato profondo del termine è poi tra i più nobili, perché, sul piano dei privati, richiama la lealtà, il mantenimento della parola data: dare foedera per divos significa in Tibullo giurare fedeltà; per Ovidio contra data foedera significa venir meno alla parola data; i coelestia foedera sono ancora in Ovidio i “maritaggi degli dèi”. Così i latinisti traducono il termine “federalismo” come sociandarum civitatum doctrina, rafforzando il significato più autentico del concetto, che ha sempre a che fare con l’unirsi, lo stare insieme secondo un vincolo di lealtà e di collaborazione. In altri termini, il federalismo, in tutte le sue versioni sempre però conformi al senso etimologico proprio, implica una preesistente pluralità di soggetti che, nel campo politico e giuridico che qui ci interessa, ha a che fare con il mettere insieme parte delle proprie competenze (o

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sovranità) per poter raggiungere insieme fini e scopi con un profitto maggiore di quanto accadrebbe se ognuno si muovesse in solitudine. Di qui, anche, l’origine propriamente militare del termine: si “associano” eserciti per difesa o per conquista, perché l’unione, come dice il proverbio, “fa la forza”. Si comprende, quindi, che negli ultimi cinquant’anni la parte più rilevante dei discorsi relativi al federalismo abbia riguardato l’Europa, cioè il progetto di dar vita a una “unione europea” a partire dalla pluralità degli Stati nazionali esistenti3. Chi a favore, chi contro, chi più chi meno, ci si è espressi tutti su questo “venire a unità” delle realtà nazionali esistenti e date appunto nella loro pluralità. Nella modernità il termine federalismo ha naturalmente dovuto prendere senso a partire dalla forma specifica che “il politico” si è data nelle guerre di religione e poi con la pace di Westphalia, ovvero in relazione con lo Stato, questa specifica macchina distinta dalla società civile e che la gestisce (nel bene e nel male) dall’alto della sua “separatezza”. Così il problema delle sociendarum civitatum si è trasformato, già a partire da Altusio4, in quello delle “forme di Stato”: unitario, federale, regionale, confederale, a seconda del punto sulla scala, tra un massimo di centralizzazione e un massimo di decentralizzazione, sul quale si colloca il potere sovrano, o, se si vuole, la decisione su un eventuale stato di eccezione. Ciò signifi-


L’ANALISI Agostino Carrino

ca, in altri termini, ovvero in quelli propriamente giuridici, che il tema “federalismo”, sottratto ai discorsi ideali (e certamente a quelli ideologici), si traduce in una semplice domanda: qual è la scelta migliore per un popolo o una pluralità di popoli: uno Stato unitario, uno Stato regionale o delle autonomie, uno Stato federale o una Confederazione? Se il caso della Confederazione – nonostante l’esempio della Svizzera – è quello meno interessante, oggi, perché un legame “tenue” non è di fatto mai produttivo di realtà storicamente positive, in quanto incapace di gestire la mutevole e spesso drammatica contingenza delle cose, l’alternativa si mantiene tra lo Stato unitario e lo Stato federale. Senonché, lo Stato federale, come sanno i costituzionalisti, è anch’esso sempre e solo una forma particolare dello Stato unitario, che è il modo di manifestazione dello Stato moderno, in quanto soggetto che deve “portare la pace” e garantire la pace. Ma in tal modo si vede che l’ideale federalista è analogo all’ideale democratico; così come la democrazia si trasforma non appena passa dal mondo delle idee e dei princìpi a quello della realtà5, così il federalismo, non appena si trasporta dal piano delle aspirazioni ideali, dei valori, del “dover essere”, a quello della realtà, delle cose concrete, delle competenze e del loro esercizio, cambia aspetto e colore, perdendo tutte le sue sovrastrutture ideologiche per diventare un problema relativo a

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una semplice domanda: qual è il riferici per comodità dei sottopogrado di centralizzazione, e ri- sti, ma che gli uffici locali abbiaspettivamente di decentralizza- no tanta libertà di decisione, nelzione, su cui collocare i momenti la loro sfera di competenza, quandella decisione? Come si vede, si ta ne hanno gli uffici centrali neltratta di una questione di oppor- le materie esplicitamente riservatunità storica e politica e molto te alla loro attività; che gli organi periferici, in via di principio, siaspesso economica. Del resto, lo Stato unitario non no sottratti alla potestà di coha mai rinunciato a prospettare, mando e di coercizione degli orpur in quanto tale, un’articolazio- gani amministrativi centrali; che ne interna di se stesso in direzio- siano vincolati alle regole del dine delle istanze plurali della “pe- ritto ma non agli ordini e alle diriferia”. La Repubblica italiana rettive, e alla influenza degli ornasce come Stato unitario e indi- gani centrali; che i provvedimenvisibile, eppure l’art. 5 della Co- ti degli organi periferici siano “definitivi” nel stituzione dichiara senso tecnico della che la Repubblica Il decentramento espressione e siano “riconosce e prosottoposti al conmuove le autono- permetteva di evitare mie locali; attua che lo Stato, da com’era, trollo successivo degli organi di nei servizi che digiustizia amminip e n d o n o d a l l o venisse trasformato strativa e non a Stato il più ampio in macchina mostruosa quello preventivo e decentramento amministrativo; adegua i princi- direttivo degli organi centrali di pi ed i metodi della sua legisla- amministrazione attiva»6. Questo zione alle esigenze dell’autono- commento risale al 1954, a più di mia e del decentramento”. mezzo secolo fa, e dimostra come Già Carlo Esposito, nel suo com- già allora una corretta interpretamento a questa norma fondamen- zione della Costituzione e una sua tale dell’ordinamento costituzio- attuazione virtuosa e anche una nale, osservava che il decentra- sua revisione, se e quando necesmento, quale contemplato nel- saria, avrebbero potuto rendere la l’art. 5 Cost., «non ha solo fini vita politica del paese più “noramministrativi»: «Esso è oramai male” e più rispettosa dei princìun principio costituzionale del pi e dei valori più schietti che nostro Stato, che vuole che alla agivano dietro il patto costituziopluralità degli uffici statuali cor- nale del 1948. La via del decenrisponda, nella più ampia misura, tramento, specificamente, serviva la indipendenza di decisione; che a evitare, ancora nelle parole di non solo vi siano uffici al centro e Esposito, che lo Stato si trasforalla periferia (il che è inevitabile masse, per un eccesso di attività e in ogni Stato, per accentrato che di funzioni, in «una mostruosa sia) e che vi siano molti uffici pe- macchina»7. Significativamente


L’ANALISI Agostino Carrino

egli concludeva, legando il prin- plesso funzionasse in maniera cipio contenuto nell’art. 5 con il adeguata alle finalità che il costifine che si volle raggiungere san- tuente e il popolo italiano si eracendo la libertà di iniziativa eco- no dati e si danno: la creazione e nomica, che si trattava di «evita- la conservazione di una società re, nel momento in cui si affidano nel suo complesso libera, giusta, allo Stato numerosi compiti, che ricca, culturalmente progredita, il principio della vita dello Stato fondata sul principio della sovrasia concentrato nello Stato, e che nità popolare e che quindi ricoil principio della vita dello Stato nosceva la necessità che i singoli sia concentrato in pochi organi. potessero partecipare direttamenSi spera così di ottenere attraver- te alla vita politica dello Stato sin so un sistema complesso, dai dalle sue articolazioni più origimolti centri di vita, che non sia narie. In Costituzione il principio eliminato, ma solo disciplinato, di sussidiarietà non c’era, ma il lo slancio vitale degli uomini, de- suo significato traspariva da una serie di norme, sogli organismi e pra tutto quelle delle istituzioni Nella Costituzione che allora si chiaumane»8. mavano “proEsposito coglieva del ’48 la sussidiarietà grammatiche”. nella centralità non c’è, ma traspare Ciò significa che dell’art. 5 Cost., le idealità devono ovvero in un prin- in una serie di norme saper interagire cipio che attraverso dette programmatiche con il potere e con il riconoscimento delle autonomie (che in quanto le istituzioni, per vivificarle senza “riconosciute” si presupponeva violentarle o lasciarle marcire che preesistessero allo Stato stes- nella indifferenza alle evoluzioni so, il che era certamente vero per della società e dell’economia. Il quanto riguarda i Comuni) dava nostro sistema giuridico, che gaimpulso alla spontanea attività rantiva l’idealità politica deldelle forze sociali agenti sui loro l’unità nazionale, è sempre stato propri territori, il motore di una aperto a concetti niente affatto alinterpretazione dinamica dell’or- ternativi al federalismo, ove fosdinamento costituzionale, che sero stati fatti valere in maniera avrebbe dovuto in tal modo ade- adeguata, senonché l’idea stessa guarsi alle trasformazioni della della tutela della differenza per società in quanto forza viva e in troppi anni è stata soffocata daltrasformazione. Non si trattava l’ideologia dello Stato padrone di imporre allo Stato una visione dell’economia e regolatore uni“federalistica”, perché tale lo Sta- versale, al punto che lo Stato – to italiano non era ed ancora non com’è noto – giunse a occupare è, ma si trattava, allora come og- tutti i gangli vitali della società e gi, di fare in modo che la compa- dell’economia, soffocando gli imgine istituzionale nel suo com- pulsi vitali della libera iniziativa,

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IL PERSONAGGIO

De Rougemont, pioniere del federalismo

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Tra gli intellettuali più acuti del 20esimo secolo, Denis de Rougemont, è noto soprattutto per i suoi scritti sulle radici culturali della civiltà europea e per la sua lunga battaglia a favore dei principi federalisti. Su queste radici culturali, notissima la sua critica all’amor cortese, elemento fondante della cultura occidentale. Negli anni di opere come Il tramonto dell’Occidente di Spengler, La crisi della civiltà di Huizinga, nel suo celebre e discusso saggio L’amore in Occidente, de Rougemont elabora una tesi originale con la quale ha mostrato quanto falsa sia l’idea dell’amore, in cui quel che conta non è amare l’altra persona, ma amare l’amore. Narcisisticamente l’amante cortese, prototipo dell’amante occidentale, si pasce della sua storia d’amore, meglio se impossibile, traboccante di passione e patimenti. Secondo lui il mito della passione genera violenza e, su questa strada, interpreta le stragi delle guerre coloniali e delle guerre mondiali come conseguenze di questo mito. In un mondo ove l’amore è stato pervertito in amore di sé e desiderio di ostacoli, non vi sono limiti a queste attività, create al fine di evitare il vero amore. Il nazionalismo per l’intellettuale svizzero è intrappolato nella stessa proiezione, dove le passioni private di ognuno sono proiettate in un concetto di nazione sterile e privo di amore.

sulla falsariga di un modello che ha dominato fino al 1989 in Russia e nell’Europa centro-orientale. Ciò ha impedito che lo Stato unitario recepisse quelle esigenze di partecipazione dal basso e di decentramento verso il basso che sono i punti vitali del federalismo in quanto ideologia e che possono agire, trasformandosi e modificandosi, nel momento in cui vengono recepiti nella forma-Stato, ovvero normativizzati in una procedura giuridica. Quando sono state introdotte le Regioni, attuando la Costituzione con oltre vent’anni di ritardo, il tessuto ideale, morale e politico del paese era oramai già in rapido deterioramento e, in effetti, l’istituzione delle Regioni è avvenuta tardi ed è stata attuata male. Le Regioni, d’altra parte, per una certa loro artificialità rispetto alle articolazioni territoriali storicamente sviluppatesi, non erano nemmeno gli enti “naturalmente” deputati a recepire le idealità positive dell’autonomismo di cui all’art. 5 Cost. Esse sono stati per decenni, dal 1970 in poi, gli strumenti attraverso i quali la partitocrazia centralista ha gestito un potere clientelare e di fatto irresponsabile. Le Regioni, enti amministrativi e quindi per anni sottoposti al controllo statale, sono stati un moltiplicatore della spesa pubblica centrale, un fattore di debito locale e localmemente gestito e organizzato senza responsabilità degli amministratori locali, ma pagato al centro. Le Regioni non sono state né il volano né il simbolo di un decentramento federalistico,


L’ANALISI Agostino Carrino

bensì solo la rappresentazione di uno Stato che si ammalava sempre più, giorno dopo giorno, nella incapacità di decidere e di governare per il bene del paese. L’art. 5 Cost. è stato di fatto tradito dalle classi dirigenti di questo paese, per ragioni complesse che qui ho soltanto accennato relativamente all’istituzione delle Regioni, ma che riguarda anche gli enti locali minori. Ed è stato proprio questo tradimento del principio autonomistico contenuto nell’art. 5 Cost. che ha favorito poi l’esplodere del fenomeno leghista nelle regioni del Nord. La Lega, infatti, a ben vedere, non è un movimento “federalista”, ma un movimento di protesta populista contro il malgoverno dello Stato. Il suo progetto è sempre stato più simile ad una secessione delle regioni ricche del paese, che ad una visione autenticamente federalista della realtà nazionale, secondo una feconda simbiosi di unità e di diversità. Il federalismo, come abbiamo visto, è senso del patto, dell’unità, non certo idea della divisione. E tuttavia la Lega ha avuto buon gioco nello spacciare per “federalista” un progetto che in realtà aveva un solo significato concreto e che era la secessione delle regioni del Nord dal resto del paese, non per “fare il federalismo” nel Nord, ma per riprendere il centralismo in zone più ristrette del paese. A nessuno sfugge, infatti, che la Lega ha una vocazione sostanzialmente autoritaria della cosa pubblica per quel populismo deteriore che la pervade e per

quella contraddizione irrisolta tra la pretesa di autonomia fondata sulle esigenze economiche del Nord e e la vocazione centralista e globalista dell’economia, che per di più ha bisogno di mercati senza frontiere, non certo di steccati o di balzelli. Qui si inserisce il punto centrale del discorso federalista, ovvero la sua natura sostanzialmente culturale e di civiltà. Il federalismo, infatti, presuppone il riconoscimento del valore intangibile della diversità: diversità di lingua, di costumi, di abitudini, di tradizione, di paesaggio, di mentalità, di religione e così via. Il federalismo, infatti, non è un fatto economico e tanto meno “fiscale”. L’aspetto economico dell’ideale federalista è un sottoprodotto, ma non una sua causa. Nella storia, anzi, il federalismo si è dovuto scontrare sempre con il fatto che il mercato non riconosce le diversità e che per il capitalismo esiste soltanto l’uomo medio, ovvero la media delle possibilità e delle previsioni di consumo dei soggetti individuali. L’economia del capitalismo (privato o di Stato è irrilevante) punta al mercato unico, alla omologazione, alla prevedibilità calcolistica dei bisogni da soddisfare con la produzione di merci e ciò del tutto indipendentemente dalle qualità morali o culturali dei singoli “capitalisti” (che del resto sono sempre di meno, soppiantati dai manager gestori senza rischio di un capitale anonimo e parcellizzato); il federalismo, in quanto fondato sul rispetto della indivi-

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dualità, nel senso della non omo- In secondo luogo, il federalismo, logabilità dei singoli, delle for- quale che sia l’idea-madre cui si mazioni sociali, delle comunità, lega, nel momento in cui passa finisce con l’essere naturalmente dalla sfera dei princìpi alla sfera un ostacolo per le esigenze pro- della realtà istituzionale si trafonde del mercato. La modernità sforma, si “giuridifica” e diventa sta sfociando sia in un mercato una specifica, concreta forma orunico sia in un pensiero unico, ganizzativa del potere politico, perché l’uno e l’altro si tengono dello Stato. Ed in quanto monelle loro rispettive necessità. mento della forma-Stato esso deNon è un caso che il federalismo ve adeguarsi al funzionamento si sia legato con il pensiero perso- della macchina statale nel suo nalista in molti suoi teorici, da complesso, rinunciare alla assoluRobert Aron ad Alexandre Marc tezza dei princìpi – che non a caa Denis de Rougemont. E non è so talvolta sfociano nell’estremiun caso – che a taluni sfugge – smo dei “federalismi” dalle fogge più bizzarre, fino che federalismo e al “federalismo di principio di sussi- Le Regioni sono state quartiere”9 – e rediarietà, se operato sia verso l’alto un moltiplicatore lativizzarsi per posia verso il basso (e della spesa pubblica ter essere tratto dinon solo nel pristintivo del modo mo senso, come centrale e lo strumento di funzionamento accade di regola), per gestire le clientele complessivo delle sono per certi istituzioni politiaspetti solo due facce della stessa che e giuridiche di uno Stato. medaglia. Il federalismo è dun- Ora, nessuno può negare che lo que, rettamente inteso, un’esi- Stato moderno nasce come macgenza di associazione delle diver- china di decisione, come potere sità nel rispetto di queste diversi- accentrato e perfino in origine astà e contemporaneamente del soluto, con il fine di garantire la patto di associazione. Sicché, da pace. Lo Stato assoluto si è traun lato, quello culturale e filoso- sformato fino a diventare Stato di fico, il federalismo deve sempre diritto e democratico, ma questa unirsi con un’altra idealità, nel sua tendenza non è mai andata senso che esso come principio perduta e il federalismo deve fare non è autonomo: essere federalisti i conti con uno Stato-macchina e basta non ha molto senso. Si che conserva nel suo nocciolo dupuò volere un federalismo sociali- ro il monopolio dell’uso della forsta, cristiano, liberale, libertario e za e della decisione in ultima così via, ma è sempre un’ideolo- istanza. In altri termini, il federagia per così dire accessoria, anche lismo ha un senso se, nel momense non si può essere neutrali ri- to in cui si realizza, accetta di esspetto al federalismo, ma bisogna sere qualcosa di diverso dalle puaccettarlo o respingerlo. re idealità federaliste: il federali-


L’ANALISI Agostino Carrino

smo realizzato è un principio, te, di un Gianfranco Miglio. Ma non un’istituzione autonoma, questo, al momento, è un altro perché, come ho detto all’inizio, discorso. lo Stato federale è sempre e sol- Il punto che va però segnalato, tanto una forma specifica dello prima di concludere, è che il feStato unitario moderno, di quello deralismo realizzato, ovvero il festesso Stato di cui Hobbes, e non deralismo costituzionale, non può muoversi in maniera astratta, Altusio, è stato il primo teorico. Occorre, dunque, avere una sana ma deve ipotizzare istituzioni idea del federalismo e parlarne specifiche, che garantiscano la più a fondo è certamente impos- duplice esigenza del federalismo sibile in questa sede; è però im- stesso: l’unità (il foedus) e la tutela portante precisare che il federali- delle differenze. Questa esigenza smo o ha un significato culturale può essere garantita dal principio o è un puro esercizo verbale. Fe- di sussidiarietà, ma qui occorre deralismo deve significare rispet- dire che ciò può accadere solo se il principio di susto delle differenze, sidiarietà viene esculto della origina- Federalismo significa so stesso precisato rietà e della tradizione. L’immagine rispettare le differenze, e fatto funzionare che più mi viene le origini e le tradizioni. concretamente, affinché sia la via di alla penna è quella del culto dei pae- Lavoriamo sul concetto un avvicinamento della gente alla saggi; perché ogni di alleanza culturale decisione e non e paesaggio ha la sua storia, che è una storia sempre della decisione ai vertici. unica e irripetibile. È sul concet- Il federalismo reale, nella misura to di federalismo culturale che in cui parte dalle differenti realtà bisogna quindi lavorare, anche in culturali dei territori e diventa maniera critica per quanto ri- principio dell’ordinamento, va guarda, ad esempio, il rifiuto di innanzitutto riconosciuto per la una articolazione “regionalistica” sua natura dinamica. Il federalidell’Italia all’indomani dell’uni- smo, infatti, è un principio geneficazione10. Ma non di “regioni” rale e non soltanto una ripartizioin senso amministrativo, quanto, ne delle competenze e delle funinvece, di realtà vere, di peculia- zioni tra il centro e la periferia. rità intimamente sentite e non di Voglio dire che esso vive nella differenze inventate. In una pro- storia e che nella storia vive fasi spettiva del genere non è impos- differenti, che non sono sempre le sibile andare oltre anche la suddi- stesse. Vi sono, infatti, dei movisione attuale del paese in “re- menti in cui l’esigenza di una gioni” non sempre conformi alle maggiore “devoluzione” è più realtà sottostanti, seguendo an- sentita e più opportuna; momenche le indicazioni che furono già ti in cui è invece opportuno che il di un Mazzini o, più recentemen- pendolo si orienti verso il centro.

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L’esperienza federalista negli Stati che hanno accolto il principio federale dimostra esattamente che si oscilla tra l’uno e l’altro estremo del pendolo. Talvolta il principio democratico vuole maggiore decisione al centro per garantire, ad esempio, le minoranze (razziali, come nel caso dell’integrazione scolastica nel Sud degli Stati Uniti d’America negli anni Sessanta del secolo scorso, o linguistiche, o anche semplicemente i più deboli economicamente); talvolta l’interesse economico di settori particolari va tutelato con maggiore devolution e via dicendo. Il federalismo opera come un pompaggio di sangue talvolta verso il centro, altre volte verso la periferia. Se non vi fosse questa alternanza il pendolo travalicherebbe oltre gli estremi, o verso un centralismo burocratico o verso la separazione e la secessione. Questa natura dinamica e dialettica dell’idea federalista ci fa capire che ogni sistema federale che si rispetti ha bisogno dei principi che abbiamo detto, in particolare della sussidiarietà, ma che poi per funzionare ha bisogno sopra tutto di un “centro” capace di decisione, che sia in grado di controllare il rispetto del duplice patto, dell’unità e della diversità entro la struttura propria dello Stato di diritto. Il patto federale “devolve” competenze e affida l’esercizio del comando supremo in un punto che è anche la garanzia dello stesso sistema federale rettamente inteso. Non è un caso che il federalismo americano si sia realizzato attraverso la rinuncia a

parti di sovranità degli Stati americani a favore del presidente degli Stati Uniti d’America. Il federalismo significa innanzitutto questo: istituzione di un organo che decide in nome di tutte le parti che compongono lo Stato, federale o “confederale” che sia. Le varie parti del paese devono potersi riconoscere tutte in un principio di unità, di governo, di decisione in ultima istanza. Il federalismo, storicamente e logicamente, è soltanto l’altra faccia di quello che si chiama “presidenzialismo”, ma che potrebbe assumere forme specifiche e peculiari alla realtà italiana. Può essere un capo dello Stato eletto dal popolo con ampi poteri; un capo dello Stato che sia anche capo del governo; un capo del governo eletto dal popolo – attraverso grandi elettori o direttamente –, ma comunque un decisore in ultima istanza che sia garante dell’unità e delle competenze degli enti periferici, che non è detto debbano restare quelli attualmente previsti. Ciò significa che il federalismo chiama una riforma della Costituzione del 1948 fatta all’altezza delle nuove esigenze poste dalle trasformazioni politiche, sociali ed economiche della struttura profonda del paese. Non è, a mio avviso, pensabile partire dal “federalismo fiscale” in attuazione dell’art. 119 del novellato Titolo V della Costituzione invece che da una revisione dei “fondamentali” dell’ordinamento costituzionale. Il “federalismo fiscale” presuppone una struttura istituzionale articolata, nei fatti se non


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nelle diciture, intorno a una ripartizione delle competenze chiara e coerente tra Stato centrale e organi periferici. Questa “rimessa in forma” della Costituzione del 1948 non si è ancora realizzata e resta una priorità assoluta. Giustamente il presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha più volte auspicato che l’attuale legislatura sia una legislatura costituente. Il tempo non manca. C’è solo da sperare che non manchino le intelligenze per fare tutto ciò che è urgente e necessario fare. La crisi economica mondiale, d’altro canto, esige in questo momento unità del comando e del potere decisorio. Nell’immagine della sistole e della diastole che richiamavo più sopra, questo è il tempo della diastole, dell’afflusso del sangue verso il centro. Che è poi sempre, anche, il momento che precede la sistole, la diffusione verso la periferia. L’importante è anche non sbagliare i tempi.

L’Autore AGOSTINO CARRINO Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nell’università di Napoli Federico II e docente di Filosofia del diritto presso l’università G. Marconi di Roma. Ha insegnato in vari atenei europei e americani, in particolare di Parigi, Vienna e San Diego. Ha fondato il semestrale “Diritto e cultura” e dirige varie collane di pubblicazioni scientifiche. È editorialista del Secolo d’Italia. Tra le sue ultime pubblicazioni: Oltre l’Occidente. Critica della Costituzione europea (Bari, Dedalo, 2005); Stato di diritto e democrazia nella Costituzione del Liechtenstein (Torino, Giappichelli, 2008).

Note 1

F. Kinsky, Fédéralisme et personnalisme, in D. de Rougement (sous la dir.), Dictionnaire international du fédéralisme, Bruxelles, Bruylant, 1994, p. 79. 2 G. Compagnoni, Elementi di Diritto costituzionale democratico, ossia principi di giuspubblico universale, ristampa, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1987, p. 786. 3

Si comprende così che uno dei testi classici sul federalismo sia stata la conseguenza di una iniziale stagione di entusiasmo per il federalismo europeo: mi riferisco a R.B. Bowie / C.J. Friedrich (a cura di), Studi sul Federalismo, Milano, Edizioni di Comunità, 1959 (ed. originale, 1954). 4

Cfr. G. Duso / W. Krawietz / D. Wyduckel (Hrsg.), Konsens und Konsoziation in der politischen Theorie des frühen Föderalismus, Berlin, Duncker & Humblot, 1997. 5

Cfr. Hans Kelsen, Essenza e valore della democrazia, Torino, Giappichelli, 2004. 6 C. Esposito, La Costituzione italiana. Saggi, Padova, Cedam, 1954, p. 73. 7

Ivi, p. 85.

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Ivi, p. 83.

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Cfr., sulle varietà di federalismo, la silloge curata da L.M. BASSANI / W. STEWART / A. VITALE, I concetti del federalismo, Milano, Giuffrè, 1995. 10 Cfr. A. Carrino, L’identità italiana tra federalismo e nuove forme della cittadinanza, in Id. (a cura), Riforma dello Stato e nuove forme della partecipazione, Rimini, Il Cerchio, in corso di stampa.

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’attuale forma statale non è più in grado di garantire il legame sociale, così come non lo sono l’esercito, la scuola, le chiese, i partiti e i sindacati. Oggi, secondo De Benoist, la socialità riappare alla base, al di fuori dei grandi apparati sovrastrutturali ed è a partire dalle comunità locali che si può ricreare una vera cittadinanza e una sfera pubblica

Il federalismo visto da destra

STATO-NAZIONE: troppo grande per essere potente INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST DI ANGELO MELLONE


L’INTERVISTA Alain De Benoist

Per Alain De Benoist, fondatore della Nouvelle droite e intellettuale indipendente, il principio di sussidiarietà, l’idea di sovranità condivisa – che sta alla base del federalismo – rispetta la diversità, anzi, rappresenta un punto di equilibrio tra l’unità e la diversità. Non solo. Più del centralismo è in grado di rispondere alle esigenze quotidiane della gente. Il federalismo è davvero l’alternativa al vecchio nazionalismo ottocentesco?

Diciamo che è una delle due grandi alternative possibili. L’altra è quella di abbandonarsi a una globalizzazione completamente fuori controllo. Ma perché parliamo di alternativa? Perché lo Stato-nazione (che io non confondo con la nazione tout court) oggi appare un modello obsoleto. Lo Stato-nazione è stata la forma politica più caratteristica dei tempi moderni. A partire dal XIX secolo, nel mondo intero, tutti i popoli hanno voluto costituirsi in Stati nazionali, un processo che si è esteso ancora fino all’epoca della decolonizzazione. Però, durante il periodo tra le due guerre, l’aveva notato Carl Schmitt nel 1930, questo modello è entrato in una crisi che successivamente non ha fatto che aggravarsi. Lo Stato-nazione porta con sé il germe del giacobinismo, e non è un caso che la Francia ne ha rappresentato per lungo tempo l’esempio più pertinente. Ma oggi, il centralismo è sempre più mal sopportato, poiché va contro le aspirazioni della gente. In via generale, lo Statonazione è diventato troppo grande per rispondere alle attese quotidiane dei cittadini e troppo piccolo per far fronte alle sfide e alle intraprese che si dispiegano ormai su scala planetaria. Gli Statinazione diventano ogni giorno un po’ più “impotenti”. Il loro margine di manovra si riduce costantemente, e questo provoca déception e frustrazione. Contrariamente allo Stato-nazione, che cerca di creare una società politica a partire da un centro sovraordinato, ovverosia a partire

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dall’alto, il federalismo parte dalla base e fa ricorso in maniera sistematica al principio di sussidiarietà. Questo principio stabilisce che i problemi vengano affrontati al livello più basso possibile, permettendo alle genti di far fronte esse stesse il più possibile ai loro problemi, poiché la decisione viene rinviata al livello superiore solo nel caso in cui sia impossibile assumerla a un livello inferiore della scala (o nel momento in cui interessa una collettività più vasta). Questo principio di sussidiarietà può anche essere denominato principio di competenza sufficiente (per opposizione al principio di onnicompetenza, caratteristico degli Stati-nazione). Il corollario è l’idea della sovranità condivisa: la sovranità si distribuisce a tutti i livelli, anziché concentrarsi al vertice, come nel modello di Jean Bodin, già avversato a suo tempo da Johannes Althusius. Il risultato è ben noto. Lo Stato-nazione centralizzato tende a sopprimere le culture e le lingue locali, per allinearle a un modello unico, mentre il federalismo rispetta questa diversità, rappresentando in questo senso un modello di equilibrio tra l’unità e la diversità. Esiste una tradizione di federalismo “visto da destra”? Se sì, quali sono le sue caratteristiche distintive? Quali sono i suoi autori di riferimento? Quali sono le sue idee-forza?

Un federalismo “visto da destra” non vuol dire molto: una struttura politica è di tipo federale o non lo è. I suoi orientamenti dipendo-


L’INTERVISTA Alain De Benoist

no dalle intenzioni e dalle aspirazioni di coloro che esercitano il potere. Ciò che è soprattutto interessante è che il federalismo attraversa tutte le famiglie politiche. A sinistra, la scuola dell’austromarxismo (termine che designa in realtà l’ideologia sviluppata dal Partito socialdemocratico austriaco alla fine dell’Impero austro-ungarico e durante la Prima repubblica austriaca), con dei teorici come Otto Bauer e Karl Renner, ha esercitato un’influenza duratura sul pensiero politico europeo. Ma, per essere chiari, ci sono anche dei federalisti “di destra”. In Francia, si può citare Alexandre Marc, teorico del “federalismo integrale”, che nel 1933 ha fondato la rivista L’Ordre nouveau (con Robert Aron, Arnaud Dandieu, Denis de Rougemont, Daniel-Rops e altri), e nel dopoguerra è stato l’animatore de L’Europe en formation. Io penso anche agli autori che si esprimono durante gli anni Sessanta nel giornale Le XXe siècle fédéraliste, oltre a scrittori come Paul Sérant e Thierry Maulnier. In Francia, dove la tradizione giacobina e centralizzatrice è stata dominante (sotto l’Ancien Régime come dopo la Rivoluzione), questi federalisti “di destra” si richiamano frequentemente al pensiero di Pierre-Joseph Proudhon e allo spirito della Comune del 1871. Ma si riferiscono anche ai grandi pensatori francesi ostili alla centralizzazione, una linea che risale almeno a Boulainvilliers e comprende degli autori molto diversi come Alexis de

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IL PERSONAGGIO

Il federalismo integrale di Marc

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Alexandre Marc (1904-2000) è una figura di primo piano del federalismo moderno e dell'europeismo. Nato ad Odessa nel 1904 lasciò la Russia all’avvento della dittatura stalinista per stabilirsi in Francia ove si mise in contatto con ambienti federalisti e socialisti. A Parigi si unì al gruppo di intellettuali che si era costituito attorno alla rivista L’Ordre Noveau e che, fra gli altri, annoverava nelle proprie fila Robert Aron, Arnaud Dandieu e Denis de Rougemont. Questo gruppo, analizzando negli anni trenta la situazione del mondo dopo la guerra del 1914, giunse alla conclusione che era cominciata la crisi della nostra civiltà e che bisognava cercare una via per uscirne. Per Marc ed i suoi amici la risposta non poteva essere che una : il federalismo. Trattandosi poi di una crisi totale, che investiva tutti gli aspetti della società e del pensiero per l’acuirsi, fra l’altro, della contrapposizione capitalismocomunismo, la risposta federalista doveva essere globale, non più solo istituzione, ma anche economica, sociale e dei valori. Da qui il termine di “federalismo globale” o, “integrale”, per l’applicazione in tutti i campi dei principi base di autonomia, sussidiarietà, cooperazion e partecipazione. Purtroppo il nazionalismo imperante allontanò sempre più dal federalismo e portò alla Seconda Guerra Mondiale che tutti concordano nel ritenere guerra intestina dell'Europa degli stati nazionali. Finita la guerra, fra immensi dolori e rovina, l’Europa divenne campo propizio per l'azione dei federalisti. Ecco allora Marc fra i fondatori dell’Unione europea dei federalisti (Uef) nel 1946 a Parigi e qualche anno dopo, 1954, promotore del “Centro internazionale di formazione

europea” (Cife), centro di studi e di formazione dei militanti al servizio del federalismo organizzato in opposizione al conservatorismo nazionale. L'attività di Marc doveva inevitabilmente incrociarsi con quella di un altro grande europeista, suo contemporaneo, Altiero Spinelli (1907-1986) come lui avulso dal contesto politico del proprio paese, autore insieme ad Ernesto Rossi del Manifesto di Ventotene (1941) e leader del Movimento federalista europeo (Mfe). Entrambi credevano nella necessità della “rivoluzione” per creare un nuovo tipo di società. Solo che, per Marc la rivoluzione era il federalismo, mentre per Spinelli era l'Europa. Il diverso punto di partenza ebbe riflessi sui dibattiti europei e suoi congressi federalisti. Spinelli riteneva prioritario puntare alla creazione delle strutture federali dell’Europa, similmente a quanto fece Hamilton alla Convenzione di Filadelfia per gli Usa; Marc pensava che, per avere l'indispensabile appoggio popolare si dovesse prestare attenzione anche ai problemi economici e sociali da affrontare e risolvere in chiave federalista. Nella prospettiva del raggiungimento dell’obiettivo finale di una “Federazione europea”, le due impostazioni, tuttavia erano e sono ancora oggi sostanzialmente complemetari ed insieme dovrebbero costituire la base programmatica di quel Partito democratico europeo che da più parti si auspica.


L’INTERVISTA Alain De Benoist

Tocqueville, Ernest Rénan o Gustave Le Bon. Infine, una delle loro caratteristiche è stata generalmente, almeno per alcuni di loro, un deciso impegno in favore del regionalismo, ovvero dell’autonomia delle culture e delle lingue minoritarie (Bretagna, Corsica, Paesi Baschi etc.). Una riforma federalista, in paesi di unione relativamente recente, non può essere la peggiore delle riforme? Non può essere lo strumento per distruggere con velocità le fondamenta dello Statonazione, creando tante realtà comunitarie chiuse in se stesse e gelose della propria autonomia politica, economica, finanziaria, etnica, linguistica, comunità egoisticamente autoreferenziali?

A mio avviso, questo timore è infondato. Il fatto essenziale è che oggi lo Stato-nazione non è più creatore di legame sociale. Le grandi istituzioni che in passato hanno svolto il ruolo di crogiolo di integrazione (l’esercito, la scuola, le chiese, i partiti, i sindacati) sono anch’esse entrate in crisi, una dopo l’altra. La socialità elementare riappare piuttosto alla base, al di fuori dei grandi apparati sovrastrutturali. La situazione, da questo punto di vista, non differisce fondamentalmente da un paese europeo all’altro: i paesi che hanno raggiunto da molto tempo l’unità nazionale conoscono esattamente gli stessi problemi dei paesi la cui unità è più recente. Penso anche che i primi siano ancora più “fragili” degli altri, nella misura in cui hanno impoverito o rinsecchito da molto tempo la vitalità organica delle

loro province e delle loro periferie. È anche la prova che le frontiere non sono più sufficienti a garantire un’identità comune o dei valori condivisi. Contrariamente a ciò che credeva Maurras, non sono le istituzioni che giocano in questo caso il ruolo principale. Beninteso, il rischio di veder apparire delle comunità “egoisticamente autoreferenziali” esiste al livello regionale o locale, ma esiste anche al livello nazionale: il nazionalismo aggressivo non mi pare più accettabile dell’egocentrismo collettivo delle dimensioni più piccole. Le nostre società conoscono oggi una crisi profonda del legame sociale. Si trovano, anzi, nello stato di “slegame” sociale. Immaginare che il legame sociale si possa ricreare dall’alto è del tutto utopistico. È al contrario alla base, applicandosi nel ricreare una vera cittadinanza e una sfera pubblica attiva su scala locale, che si potrà rimediare meglio a questa situazione. Quanto alle comunità (di ogni sorta) che esistono oggi in Europa, non è rifiutandosi di riconoscerle nella sfera pubblica che le si farà tacere o sparire. In Francia, il laicismo aggressivo e il repubblicanesimo giacobino devono comprendere che il modello classico di integrazione o assimilazione non funziona più. Bisogna riconoscere le comunità esistenti, semplicemente perché esistono, facendo – beninteso – ammettere ai loro membri la necessità di una legge comune. L’esperienza storica mostra che, ogni qual volta non si vuole riconoscere determinate

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realtà, ci si condanna a vederle risorgere con violenza in forme più o meno patologiche. L’Europa, per come sta evolvendo la costruzione europea, assomiglia più a uno Stato federale “in divenire” o a un Super-Stato centralizzato?

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Gli avversari della costruzione europea, che in Francia si chiamano “sovranisti”, rimproverano frequentemente all’Unione europea di essere un’“Europa federale”. Ciò dimostra che non comprendono la natura reale delle istituzioni europee e che conoscono ancor meno il federalismo. È anche quasi buffo constatare che non si accorgono che l’Unione europea presenta, al suo livello, alcuni tratti di quel giacobinismo che loro stessi rivendicano. L’Unione europea non è in realtà né uno Stato federale “in divenire” né un super-Stato centralizzato. Si tratta di una struttura ibrida, a cui è legittimo indirizzare le critiche che merita, a condizione di dirigerle verso buoni obiettivi. Io sono un fervente partigiano della costruzione europea, ma penso che, sin dalle origini, sia stata effettuata a dispetto del buon senso. Si è voluti partire dall’economia e dal commercio, anziché partire dalla politica e dalla cultura (immaginando che, per un effetto nottolino, una improbabile “cittadinanza economica” europea si trasformasse magicamente in cittadinanza politica). Si è costruita l’Europa dall’alto, anziché dalla base, attribuendo a una Commissione di Bruxelles priva di

ogni legittimità democratica un potere regolamentare che tende a decidere su tutto e che si impone ormai sui parlamenti nazionali e locali. Si è data priorità a un allargamento eccessivo dell’Unione europea anziché dare la priorità al radicamento delle strutture di decisione politica, il che ha portato a generalizzare l’impotenza e la paralisi decisionale. Si è preteso di dotare questa struttura ibrida di una Costituzione senza mai porre la questione del potere costituente. Infine, si è voluta fare l’Europa senza i popoli, ovvero contro i popoli, con il risultato che i popoli, le rare volte che gli si è data parola, hanno quasi sempre risposto di no. Il federalismo è una risposta politicamente lungimirante alla globalizzazione?

Io la penso così. La modernità è stata l’epoca dello Stato-nazione, la postmodernità sarà quella delle comunità locali e dei grandi blocchi continentali. La globalizzazione è un fatto che è totalmente inutile deplorare. Noi oggi viviamo in un modello globalizzato. Tutta la questione è sapere secondo quale modello questa globalizzazione si va strutturando e organizzando: un modello unipolare, che consacrerebbe l’egemonia mondiale della principale potenza dominante, quella degli Stati Uniti, o un modello multipolare, che permetterebbe di conservare il più possibile la diversità dei popoli e delle culture e di instaurare un relati-


L’INTERVISTA Alain De Benoist

vo equilibro tra i grandi aggregati di cultura e di civilizzazione. Un’Europa federale troverebbe naturalmente il suo posto in un mondo multipolare. Ma qui, ancora, ritroviamo i limiti dell’Unione europea attuale. Si è infatti voluto costruire l’Europa senza mai porre chiaramente la questione delle finalità di questa costruzione. Si tratta di creare un vasto spazio di libero scambio, dalle frontiere morbide, chiamato a integrarsi in un grande insieme «atlantico», o di impegnarsi a creare una potenza autonoma, dalle frontiere ben delimitate, che sia tanto un originale focolaio di cultura e di civilizzazione, quanto un polo di regolazione della globalizzazione. È chiaro che questi due obiettivi sono totalmente incompatibili.

L’intervistato

ALAIN DE BENOIST

Maître à penser della “Nuova destra” francese, si occupa di temi filosofici, sociali, geo-politici, di storia delle idee politiche, ha analizzato le vicende della religiosità nel mondo contemporaneo e ha dedicato particolare attenzione all’analisi del concetto di democrazia, mettendone in evidenza potenzialità e limiti. Il suo anti-imperialismo lo ha portato a prendere posizione per il Terzo Mondo, nel senso della necessità per ciascun popolo di difendere i propri valori. La sua giovinezza è stata segnata dalla guerra d’Algeria. Negli anni Sessanta ha collaborato con riviste di destra come Cahiers universitaires, Europe Action e Défense de l’Occident. Nel l968 ha preso parte alla fondazione del Grece. È stato redattore capo dell’Observateur Européen, della rivista Nouvelle École, di Midi-France, critico letterario, dal l970 al l982, di Valeurs actuels, Spectacles du monde e Figaro-Magazine, direttore della rivista Krisis, da lui fondata nel l988. Ha diretto diverse collane presso le edizioni Copernic. È stato inoltre collaboratore di France Culture.

L’autore ANGELO MELLONE Direttore editoriale della Fondazione Farefuturo, è editorialista de Il Messaggero e di E-Polis. Fa ricerca in Scienza politica alla Luiss “Guido Carli” di Roma. Ha pubblicato diversi saggi sulla comunicazione dei partiti e dei governi: Dopo la propaganda (Rubbettino), e sull’analisi del costume politico, Dì qualcosa di destra. Da Caterina va in città a Paolo Di Canio (Marsilio) e Cara Bombo... Berlusconi spiegato a mia figlia (Marsilio).

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Più risorse ma anche più responsabilità

Una RIFORMA che non lasci indietro nessun territorio

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Le amministrazioni più virtuose saranno premiate dal nuovo sistema, ma non saranno penalizzate quelle in difficoltà. La perequazione, infatti, metterà in moto un virtuoso processo di solidarietà. Ma non ci si può fermare qui. Servono le riforme istituzionali per potere bilanciare la graduale cessione di sovranità, a partire, in primis, dal rafforzamento del premier DI ITALO BOCCHINO


PUNTO DI VISTA Italo Bocchino

Il federalismo fiscale è la riforma di tutti. Non porta un marchio di partito, né un imprinting, né ha un padre nobile. È nel programma con cui il centrodestra si è presentato alle elezioni. E tutti noi della coalizione, Popolo della Libertà e Lega Nord, ci impegniamo per attuare le grandi riforme che abbiamo promesso agli elettori in campagna elettorale.

È per questo motivo che il governo di Silvio Berlusconi ha approvato in Consiglio dei ministri una riforma equilibrata della distribuzione del gettito fiscale in senso federale. Una legge che non penalizza una regione agevolandone un’altra. Dà ossigeno e opportunità a tutte. Ma soprattutto rompe il vecchio e pericolosissimo meccanismo della irresponsa-

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bilità nella spesa. Gli enti virtuo- come il Carroccio, abbiamo il dosi saranno premiati dal federali- vere di garantire a tutti gli italiasmo fiscale. Quelli spreconi e ni la bontà di una riforma in cui spendaccioni dovranno darsi una crediamo fermamente. E il fatto calmata. Le regioni più produtti- che non contenga vantaggi per i ve avranno la possibilità di met- cittadini del Nord e fregature per tere il turbo, tendendo pur sem- quelli del Sud. pre la mano – secondo la regola La prima regola per evitare fraindella perequazione – alle “sorelle” tendimenti è la chiarezza. Vediamo allora cos’è e come funziona il rimaste più indietro. È l’efficienza, bellezza. Sono anni federalismo fiscale. Tutto parte difficili. Affrontiamo una con- dalla stesura ultima dell’articolo giuntura complessa. E non esiste 119 della Costituzione. Uno di che, mentre il governo nazionale quegli articoli del Titolo V della mette mano a tagli drammatici Carta modificati “in corsa” – e nella spesa pubblica per fare qua- con pochi voti di maggioranza – dal centrosinistra drare i conti, le alla vigilia delle amministrazioni All’Italia occorre elezioni politiche periferiche contidel 2001. L’idea, nuino in bagordi un progetto federale all’epoca, era quelanticongiunturali. che non contenga la di vantare agli Federalismo fiscaocchi delle regioni le, allora, signifi- vantaggi per il Nord del Nord una mecherà risorse ma e fregature per il Sud daglia federalista anche responsabilità. È questo il messaggio che da appuntare sul petto. Il risultadeve passare. Se invece si afferma to delle urne (una vittoria travoll’idea, come accaduto l’altra volta gente dell’allora Casa delle libercon la devolution, che si tratti di tà) dimostrò che neanche l’effetto una riforma a trazione settentrio- annuncio aveva funzionato per nalista e a tutto svantaggio del l’Ulivo. Passati alcuni anni s’è Sud, buonanotte! Il federalismo capito che il dettato costituziofiscale rischia di diventare “anti- nale, così come modificato dalla patico” alla metà degli italiani, sinistra, creava più che altro proesponendosi al destino dissoluto- blemi. Specie la nuova stesura rio avuto dalla devoluzione e dal- dell’articolo 117 è diventata fole altre riforme del centrodestra, riera di malintesi e confusione annullate per effetto del referen- sulla distribuzione delle compedum costituzionale del 2006. Ec- tenze tra Stato e Regioni, con co perché insistiamo tanto con gli una marea di conflitti di compeamici e alleati della Lega. È giu- tenza sollevati davanti alla Corte sto che rivendichino un provvedi- Costituzionale. Altre parti della mento che a loro sta a cuore. Ma riforma del Titolo V sono rimanoi del Popolo della libertà, par- ste invece inattuate. Non hanno tito nazionale e non territoriale trovato cioè applicazione in leggi


PUNTO DI VISTA Italo Bocchino

ordinarie dello Stato. È il caso Approfondiamo, perché questa è dell’articolo 119. Quello, cioè, una delle novità più importanti che sancisce “autonomia di en- ed elemento qualificante della ritrata e di spesa di Comuni, Pro- forma. Cosa si intende per spesa vince, Città metropolitane e Re- storica e spesa standard? È presto gioni nel rispetto dei principi di detto: la prima è l’attuale criterio solidarietà e coesione sociale”. E con cui lo Stato assegna le risorse ancora, “le compartecipazioni al alle regioni. Sanità, istruzione, gettito di tributi erariali riferibi- assistenza e le principali politiche li al loro territorio” e l’istituzio- che fanno capo agli enti Regioni ne di “un fondo di perequazione attualmente vengono pagate sesenza vincoli di destinazione per condo un criterio “storico”. Ci si i territori con minore capacità fi- rifà, nella quantificazione, ai fonscale per abitante”. Ed è proprio di ricevuti gli anni precedenti. Il questa la cornice costituzionale nuovo sistema federalista passa in cui si va a inserire il disegno invece al criterio “standard”: faranno fede, per la di legge delega sul federalismo fiscale La scansione temporale determinazione dei trasferimenti, i approvato dal costi pretesi dalla Consiglio dei mi- per l’entrata a regime nistri alla riapertu- del processo federalista regione che risulterà essere la più ra autunnale delpermette eventuali efficiente, garanl’attività. Anzitutto, i tem- correttivi sul territorio tendo qualità dei servizi. Le altre pi: ultimato il percorso parlamentare della legge dovranno regolarsi di conseguendelega, il governo ha 2 anni za. Ciò garantirà contenimento dall’entrata in vigore della nor- della spesa pubblica e la fine dema (nella prima bozza appronta- gli sprechi. ta dal ministro Roberto Caldero- E le regioni economicamente meli si parlava di pochi mesi) per no ricche? Niente paura. Il diseesercitare la delega ricevuta dal gno di legge delega prevede un Parlamento ed emanare uno o fondo perequativo, dal quale popiù decreti legislativi attuativi. tranno attingere gli enti con miAltri due anni sono poi previsti nore capacità fiscale. Ecco perché per eventuali integrazioni e cor- affermiamo con forza che il federettivi. Insomma: c’è tutto il ralismo fiscale non è un provveditempo per applicare i nuovi prin- mento contro il Mezzogiorno. E cipi e poi correre ai ripari nel ca- chiediamo agli amici della Lega so non dovessero bene adagiarsi Nord di non offrire spunti alla sul complesso sistema delle am- grancassa propagandistica dell’opposizione. La perequazione è ministrazioni locali italiane. Un ulteriore periodo transitorio è orizzontale. E cioè sono le regioni previsto per il passaggio dalla più ricche che aiutano quelle mespesa storica a quella standard. no abbienti. Ma può essere anche

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verticale, quando è lo Stato che interviene a dare una mano agli enti in difficoltà. Esiste, insomma, un meccanismo redistributivo in grado di evitare che in Italia possano esserci cittadini di serie A e serie B. E tutto ciò senza aumentare la pressione fiscale. Se ne parla esplicitamente nel provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri. Che prevede una clausola di salvaguardia dove si fissa il principio dell’invarianza dei costi per lo Stato e il rispetto del Patto di stabilità e di crescita assunto con l’Unione europea, oltre ai meccanismi per la riduzione della pressione fiscale. In altre parole: niente nuove tasse. Ed è per questo che il Popolo 46 della libertà ha insistito fermamente perché venisse modificata la prima bozza Calderoli del federalismo fiscale. Bozza in cui, all’articolo 10, era inserita la possibilità di una razionalizzazione della tassazione immobiliare a favore dei Comuni che aveva fatto gridate i non bene informati alla reintroduzione dell’Ici, cancellata dal governo in carica come primo provvedimento di inizio legislatura. Non è così. Non è mai stato così. Tant’è che, onde non preIl passaggio ai costi stare il fianco a standard garantisce strumentalizzail contenimento zioni, il governo della spesa pubblica ha tolto anche il riferimento alla cosiddetta Service tax, che avrebbe accorpato i tributi già dovuti dal contribuente all’amministrazione comunale. L’argomento tasse è molto sensibile. E una maggioranza che ha


PUNTO DI VISTA Italo Bocchino

tra le sue ambizioni quella di ridurre la pressione fiscale, deve stare molto attenta ai messaggi inviati al cittadino. Anche quelli deformati dalla strumentalità dell’avversario politico. Rimane nel testo invece Il nuovo meccanismo la tassa di scoredistributivo eviterà po. I Comuni, che ci siano cittadini le Città metrodi serie A e di serie B politane e le Province potranno introdurre tributi, ma soltanto se finalizzati alla realizzazione di opere pubbliche o al finanziamento di oneri derivanti da eventi speciali come flussi turistici e mobilità urbana. Ci sono poi due punti che stanno particolarmente a cuore al Popo47 lo della libertà e a noi che proveniamo da Alleanza nazionale. Il riconoscimento di Roma capitale, anzitutto. Il disegno di legge delega assegna alla Capitale quote aggiuntive di tributi erariali, oltre al trasferimento, a titolo gratuito, da parte dello Stato di una parte del patrimonio immobiliare che insiste sul territorio romano. C’è poi il capitolo della fiscalità di vantaggio per il Sud. Ne parla l’articolo 14 del ddl. E individua, nel quadro della normativa europea, forme di fiscalità di sviluppo sotto forma di incentivi per la creazione di nuove imprese. Chi ancora sostiene che il federalismo fiscale sia una legge leghista e antimeridionalista è servito. Ora, anche una buona riforma che rivede gli equilibri e i poteri dello Stato e delle amministrazioni periferiche può finire del trita-


carne della propaganda e diventare invisa ai cittadini. Bisogna stare molto attenti. Specie perché la storia recente di questo paese ci ha insegnato che la volontà riformatrice di un governo deve fare sempre i conti con la volontà gattopardesca dei poteri costituiti, i quali puntano a che tutto cambi perché tutto rimanga uguale. In-

somma, muoversi come elefanti in una cristalleria non paga. S’è visto – e lo ricordavo poc’anzi – come è finita con la devolution. In realtà, questa è l’etichetta giornalistica appiccicata a una riforma molto più ampia della Costituzione, che riguarda sì il rapporto tra Stato e Regioni, ma anche i poteri dell’esecutivo, il bicameralismo,

IL COMMENTO

Province: utili solo per i partiti 48

Sul federalismo fiscale la maggioranza di governo ha trovato un accordo. Certo una legge importante per introdurre elementi di federalismo in una Costituzione come quella italiana, che è insieme centralista e (poco) decentrata. Sarebbe, infatti, un errore confondere autonomie locali e federalismo: le prime sono concessioni di uno stato che rimane centralista, mentre il federalismo è una divisione della sovranità. E non c’è federalismo se non è anche fiscale. Ecco perché la decisione del consiglio dei ministri è positiva, anche se i tempi della sua realizzazione saranno lungi e non facili. E sarebbe da ingenui ritenere che non comporterà un aumento delle tasse. Mai più l’Ici, dice il centrodestra; ne siano convinti, ma basterà reintrodurlo con altro nome (per esempio, “tassa di scopo”). Alcuni politici, in verità molto pochi, hanno capito che c’è un’altra condizione necessaria per avere il federalismo: l’abolizione delle province. E costoro hanno motivato la loro proposta con l’esigenza di risparmiare soldi, mostrando così ben scarsa consapevolezza di che cosa sia il federalismo. L’abolizione delle province non è solo un fatto economico. È la conditio sine qua non per passare da una organizzazione statale centralista a una federalista. Le regioni e i comuni sono necessari al federalismo, le province sono invece istituzioni antifedera-

liste. Basterebbe conoscere la storia del federalismo per capirlo. Non esiste paese federale cha abbia le province. In Svizzera, Usa, Germania il potere è diviso tra il governo federale da un lato e states, cantoni, Länder dall’altro. Dentro i quali ci sono i comuni e mai le province. Anche se i comuni di un territorio, soprattutto quelli piccoli, possono collegarsi fra di loro (come in Germania nei “circoli”). Ma le province come istituzioni di potere non ci sono. Ricordo a una cerimonia in università un giovane collega di Norimberga, docente di politologia, che non riusciva a capire, leggendo il programma, chi fosse il “prefetto”. Avendogli io detto che è l’autorità nominata dal governo centrale nella provincia, candidamente mi chiese: “Ma allora il presidente della provincia che ci sta a fare?”.


PUNTO DI VISTA Italo Bocchino

la Corte costituzionale. L’articolo 117 della Costituzione veniva di nuovo riscritto: alle Regioni sarebbe andata la competenza esclusiva in materia di sanità, organizzazione scolastica, formazione, polizia locale. Non solo. La riforma avrebbe introdotto il Senato federale, competente soltanto sulla legislazione concorrente tra

L’Europa uscita dall’anarchia feudale si organizzò in grossi feudi regionali e in comuni. Sui quali poi stesero il loro potere le monarchie nazionali. Basti l’esempio della Francia: che sino alla rivoluzione francese ha avuto i comuni e le regioni, non le province. Nella notte del 4 agosto 1789 se ne chiese la nascita, che avvenne compiutamente il 26 febbraio 1790. Erano enti con autorità elettive. Che ben presto, con Robespierre e Napoleone, vennero nominate dal potere centrale. Furono chiamati “dipartimenti”, con a capo un prefetto. Un sistema esportato nei paesi europei occupati dai Francesi, anche in Romagna, che in massima parte costituiva il Dipartimento del Rubicone. Quando l’Italia, nel 1861, si costituì in Regno, non assunse il modello federalista inglese, come volevano alcuni liberali, soprattutto Marco Minghetti, ma quello centralista francese: nessuna regione e molte province. Un modello di forte statalismo, che trovò l’opposizione dei nascenti partiti di massa: bastino i nomi di Andrea Costa, Luigi Sturzo, Gaetano Salvemini. E di alcuni accorti studiosi. Come il liberale Luigi Einaudi, autore nel 1914 di un esplosivo articolo: “Via i prefetti”. Nel sistema delle province il fascismo trovò quello che cercava. Le strutture territoriali dello stato totalitario e ogni proposta federalista divennero tabù. L’Italia democratica fece un fifty fifty. Nessun vero federalismo, ma un decentramento, che nel caso delle province è divenuto il pasticcio della coesistenza di un prefetto nominato e

Stato e Regioni, lasciando alla Camera le materie riservate alla competenza legislativa esclusiva dell’autorità statuale. La riforma costituzionale approvata dal centrodestra nel corso della XIV legislatura rafforzava il ruolo del premier, designato direttamente dai cittadini e messo al riparo da eventuali ribaltoni di Palazzo.

di un presidente eletto. Un semplice tentativo di dare un colore federalista alla più centralista delle istituzioni. Eppure, alla Costituente, la commissione dei 75 ne aveva chiesto la soppressione. Negata dall’aula. In realtà le funzioni delle province sono in massima parte delegate dalle Regioni, che potrebbero gestirle direttamente. Servono poco, invece sono state conservate e (anche per motivi elettorali) aumentate di numero. Oggi sono 110. Alcune hanno una scarsissima popolazione. Basti l’esempio della Sardegna, che ha 8 province, una ogni 200.000 abitanti. La provincia della Ogliastra conta 58.000 abitanti e i due capoluoghi, Tortolì e Lanusei, ne hanno 9128 e 5728. La provincia di Prato comprende sette comuni. Le ragioni di questo assurdo sono chiarissime. Nelle province la “casta” può collocare 60.000 lavoratori e trovare una seggiola per più di 4.000 politici, ormai anch’essi pagati adeguatamente. E la cui collocazione risolve problemi di equilibrio fra i partiti e dentro ogni partito. Senza dimenticare il recupero dei politici trombati. Finalmente facciamo il federalismo, grida Bossi. Bene. E le province? Possono benissimo restare, solo Aristotele poteva pensare che esistesse il principio di contraddizione. In politica i princìpi sono altri: la mediazione e la convergenza. E, soprattutto, l’autorefenza del partito con se stesso. Anche per gli enti inutili. Come le province. Che poi per i partiti sono utilissime. Gianfranco Morra

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Ebbene, quella riforma che era ta l’idea del superamento del biuna buona riforma non ha supe- cameralismo perfetto, con un Serato il vaglio degli elettori (chia- nato a trazione federale e una Camati a esprimersi con un referen- mera dei deputati con la titolarità dum costituzionale nell’autunno del rapporto di fiducia col gover2006) spaventati a causa della no. A proposito di governo: il testrumentale demagogia dei no- sto, nato da un percorso condiviso stri avversari. Che, guarda un in commissione Affari Costitupo’, hanno poi ripresentato in zionali, rivedeva i poteri del preParlamento una buona parte del- sidente della Repubblica e rafforle novità costituzionali inserite zava il ruolo del premier sia in nel nostro testo. Mi riferisco alla Consiglio dei ministri (affidandobozza Violante, di cui sono stato gli il potere di revoca dei minirelatore in Prima Commissione a stri) sia nel rapporto con i partiti della coalizione, con la revisione Montecitorio. Il testo predisposto dal centrosi- della disciplina della mozione di sfiducia (firmata da nistra, tornato a almeno un terzo – essere maggioran- Il federalismo fiscale e non più un deciza parlamentare mo – dei componella XV Legisla- deve essere l’inizio nenti della Camera tura, riprendeva le di una nuova e più e approvata a magnostre idee in tergioranza assoluta). mini di bicamera- efficiente architettura Ebbene, credo che lismo e forma di costituzionale quel progetto di rigoverno. La Costituzione italiana delinea lo schema forma vada tirato fuori dal cassetclassico della democrazia parla- to e utilizzato come base per rianmentare. Schema scelto dai padri nodare il filo del dialogo con costituenti in coerenza con il mo- l’opposizione sulle riforme. Rimento storico, ma che adesso ri- forme che devono marciare di pasulta essere pletorico. Avere due ri passo con il federalismo fiscale. Camere con stessi poteri e stesse Questo è un doppio binario imfunzioni rallenta i procedimenti prescindibile, non per un capricdi decisione, che nell’era di inter- cio di una parte politica ma per net devono essere necessariamen- dare equilibrio al processo riforte celeri. Sicché, in linea con la mista. nostra riforma costituzionale, la Chiarisco: approvare soltanto il bozza Violante riduceva il nume- federalismo fiscale renderebbe inro dei deputati da 630 a 500 (noi compiuto il progetto di una nuoeravamo stati più coraggiosi: li va architettura costituzionale. riducemmo a 400) e introduceva Questo perché dare autonomia fiil Senato federale, come elemento nanziaria alle Regioni non ha di raccordo tra le potestà legisla- senso se poi non si procede anche tive delle autonomie territoriali e alla creazione del Senato federale, lo Stato. Di fatto, veniva ripesca- dove le autonomie territoriali


PUNTO DI VISTA Italo Bocchino

possano portare la voce e le istanze del territorio. Non basta. Perché il contrappunto del federalismo è il rafforzamento dell’autorità di governo. Cessioni graduali di sovranità alle Regioni devono essere controbilanciate da un governo che goda del sostegno diretto dei cittadini e possa esercitare il potere esecutivo in maniera piena e limpida. Le principali esperienze federali che ci offre il panorama internazionale, a partire dal caso degli Stati Uniti, ci devono essere da esempio. Per questo motivo, ritengo che la bozza Violante vada ripresa nelle parti del superamento del bicameralismo perfetto e nei maggiori poteri affidati al premier. Ma può essere una valida base di partenza per andare oltre. Il nostro obiettivo – e parlo non solo per Alleanza nazionale ma anche per il Popolo della libertà – è un sistema che preveda l’elezione diretta del capo del governo. Che sia presidenzialismo alla americana o semi-presidenzialismo alla francese, vedremo. Per certo, le istituzioni repubblicane vanno rinnovate e rese più efficienti. E i segnali che ci vengono dagli elettori vanno proprio nel senso della elezione diretta del presidente del Consiglio e della semplificazione bipolare. Con tutto il rispetto per il Colle, ma oggigiorno l’indicazione quirinalizia del presidente del Consiglio è diventata un puro pro forma. L’indicazione diretta del premier è già acquisita nella Costituzione materiale, dal momento che gli schieramenti che si affrontano alle elezioni indicano

preventivamente un candidato presidente e ne inseriscono il nome nel proprio simbolo, lasciando che l’elettorato lo voti in maniera esplicita pure se indiretta. Tutto ciò che occorre è trasferire questa prassi nella Carta fondamentale. Abbiamo i numeri e l’opportunità per farlo. E farlo subito.

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L’Autore ITALO BOCCHINO Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista ed editore. È cresciuto alla scuola politica di Giuseppe Tatarella, dal quale ha ereditato la passione per la politica e i giornali. Attualmente dirige il bimestrale Con e presiede l’associazione Giuseppe Tatarella. Eletto alla Camera dei deputati dal 1996, attualmente è vicepresidente vicario del gruppo parlamentare del Popolo della libertà a Montecitorio.


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L ANALISI Eugenio Guccione

Solidarismo alla base della dottrina sociale

Per un FEDERALISMO del BENE COMUNE Da Rosmini, a Wojtyla, passando per don Sturzo il principio del reciproco aiuto è fondamento del patto che regola i rapporti politici tra gli uomini DI EUGENIO GUCCIONE

Federalismo e solidarismo si integrano a vicenda e si pongono a garanzia dell’efficienza e dell’equilibrio di un regime democratico. Procedono per effetto di un’osmosi da cui costantemente vengono entrambi rafforzati e arricchiti. Sono le facce di una stessa medaglia che si chiama “buon governo”. Se per federalismo debba intendersi un’istituzione politica fondata su un patto che tiene stabilmente assieme alcune Regioni o alcuni Stati dotati di un’ampia autonomia e se nel solidarismo debba cogliersi quell’orientamento sociale tendente ad attuare un sistema imperniato sulla solidarietà umana, considerata come «virtù cristiana» e come base della convivenza civile, si comprende perché il cardinale Angelo Bagnasco, il 22 settembre scorso, aprendo i lavori dell’Assemblea permanente della Conferenza episcopale italiana, di cui è presidente, non ha avuto remore di sorta nel plaudire alla proposta di federalismo

fiscale portata avanti dal governo Berlusconi. «Si sta procedendo, pare, con maggiore serenità – ha detto il prelato – verso un sistema più federalista, che faccia perno su processi decisionali più autonomi e responsabilizzanti. A nessuno sfugge la rilevanza anche culturale di questo passaggio che richiede una elevata capacità di previsione circa il congegnarsi efficace di meccanismi anche delicati». E, subito dopo, ha aggiunto: «Non ci sono tuttavia toccasana prodigiosi, se si vuole che il nuovo assetto si riveli effettivamente un passo avanti, è necessario che ciascun ente si interroghi su come fare un passo indietro rispetto a metodi di spesa che saranno presto insostenibili. Così come è necessario che rimanga forte e appassionato il senso della solidarietà e della comune appartenenza ad un solo popolo e alla sua storia, preoccupandosi e operando perché nessuna parte, rispetto alle altre, rimanga per strada».

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Nelle chiare parole del prelato dali anche tra le istituzioni all’inriecheggia in sintesi gran parte terno dello Stato e tra gli Stati. della dottrina sociale della Chiesa Giovanni Paolo II colloca la solie del pensiero socio-politico darietà tra le principali virtù crid’ispirazione cristiana che vede stiane. Essa, in quanto «atteggianel solidarismo non solo la regola mento morale e sociale», non è morale di rapporti intersoggetti- per il Pontefice «un sentimento vi, ma anche e, soprattutto, il di vaga compassione o di superfifondamento delle relazioni socio- ciale intenerimento per i mali di economiche e politiche promosse tante persone, vicine o lontane», dalle pubbliche istituzioni. I ter- bensì, al contrario, «è la determimini solidarismo e solidarietà, nazione ferma e perseverante di che del primo indica il valore impegnarsi per il bene comune: centrale, sono di recente conio, ossia per il bene di tutti e di ciama le idee dell’uno e dell’altra, scuno perché tutti siamo veraseppure espresse in vario modo, mente responsabili di tutti» (Sollecitudo rei socialis, risalgono ai primi filosofi dell’età Per Wojtyla, solidarietà n. 38). Il Papa polacco, a un secolo classica e hanno dalla Rerum Novauna particolare su- è la determinazione rum, in una succesblimazione con la ferma e perseverante siva enciclica, ribadiffusione del cridisce che la solidastianesimo per di impegnarsi rietà, valida «sia l’introduzione e per il bene comune nell’ordine interno l’affermazione dei principi di fratellanza e di sussi- a ciascuna nazione, sia nell’ordine internazionale, […] si dimostra diarietà. In tempi più recenti la concezio- come uno dei principi basilari ne solidaristica della società e della concezione cristiana dell’ordello Stato si è maggiormente ganizzazione sociale e politica». raffinata grazie al diretto ed E ricorda che tale principio «è esplicito apporto della Chiesa e più volte enunciato da Leone della cultura cattolica che, mal- XIII col nome di “amicizia”, che grado il difficile periodo apertosi troviamo già nella filosofia greca; con il tramonto del potere tem- da Pio XI è designato col nome porale dei papi, hanno contribui- non meno significativo di “carità to a una sempre più concreta af- sociale”, mentre Paolo VI, amfermazione del solidarismo. Basti pliando il concetto secondo le pensare alla presa di posizione di moderne e molteplici dimensioni Leone XIII con la lettera enciclica della questione sociale, parlava di Rerum Novarum (1891) ricordata e “civiltà dell’amore”» (Centesimus aggiornata dai successivi ponte- annus, n. 10). fici, i quali sistematicamente Il solidarismo cristiano, tradotto hanno trovato opportuno insiste- in termini politici, assurge a re sulla necessità di rapporti soli- principio regolatore del federali-


L’ANALISI Eugenio Guccione

smo che, essendo espressione di mitiamo a dare qualche cenno una base pluralista, può raggiun- sulle teorie di due rappresentativi gere il proprio equilibrio solo se, pensatori della nostra epoca, che, grazie a idonee iniziative orizzon- oltre a essere la sintesi e l’aggiortali e verticali, vengono evitate o namento della migliore tradizioalleviate le sperequazioni econo- ne filosofica di quell’area, segnamiche e sociali fra le regioni o fra no il passaggio dal liberalismo al gli Stati membri di una federa- popolarismo puntando entrambi zione. L’antinomia dell’unità nel- sull’opportunità per l’Italia di un la diversità, caratteristica propria federalismo con un’anima solidadel federalismo democratico, tro- ristica. Ci si riferisce ad Antonio va nella solidarietà, per dirla in Rosmini e a Luigi Sturzo, nei parole semplici, la regola per la quali, dall’uno all’altro, è possibirealizzazione del principio dell’ le scorgere una continuità e uno “uno per tutti e tutti per uno”. Fede- sviluppo di pensiero, nonché un ralismo fiscale è, certamente, la graduale e deciso abbandono del neoguelfismo. possibilità per le Regioni e gli enti Il solidarismo cristiano, In uno dei suoi ultimi scritti, Sullocali (Province e l’unità d’Italia Comuni) di impor- tradotto in politica, (1848), Rosmini re tasse per finan- nega la sperequazione indica la soluzione ziare le proprie del problema naspese, ma il futuro, e diventa il principio auspicabile gover- basilare del federalismo zionale in una federazione. E giuno federale centrale non potrà, nel tracciare e nell’at- dica «improvvido» volere scardituare la propria linea economica, nare le diversificazioni tra gli Staesimersi dal compito di interve- ti, giacché «l’unità nella varietà è nire in favore dei territori più po- la definizione della bellezza», caveri, i cui governanti, ovviamen- ratteristica che si addice naturalte, saranno chiamati a gestire la mente all’Italia. E allora ecco, in cosa pubblica con senso di re- una sua felice sintesi, l’essenza sponsabilità e saranno tenuti a ri- del progetto federale da lui auspispondere dei propri atti di fronte cato: «Unità la più stretta possia tutti i membri della federazio- bile in una sua naturale varietà: ne. Sarà, in ogni modo, compito tale sembra dover essere la formudei legislatori fissare i parametri la della organizzazione italiana». con i quali il fondo perequativo Nelle considerazioni del filosofo statale erogherà i trasferimenti roveretano era sottinteso, come annui in favore delle comunità elemento dato per scontato, oltre al solidarismo, anche il principio regionali più povere. La riflessione su questi temi ha di sussidiarietà, nella maniera in origini lontane nelle dottrine po- cui esso nel secolo XIX si andava litiche d’ispirazione cristiana. Per sviluppando e maturando nella brevità di argomentazione ci li- pubblicistica cattolica sino ad es-

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sere successivamente definito da d’avere aperto per primo, più di Pio XI nella Quadragesimo anno un secolo addietro, la discussione (1931), e, cioè, nel senso che «è sulla necessità di dare all’Italia un ingiusto rimettere a una maggio- nuovo, adeguato assetto politico re e a una più alta società quello e di avere avanzato, innanzi tutto, che delle minori e inferiori comu- una chiara e concreta proposta di nità si può fare». Rosmini, tutta- federalismo fiscale. Egli, sin via, non pensava di annettere nel- dall’esordio della sua vita politila federazione italiana una miria- ca, aveva avuto la netta sensaziode di enti locali con propria mar- ne del fallimento dello Stato unicata autonomia. Tra chi, come tario formatosi in Italia con il RiCamillo Benso di Cavour, voleva sorgimento. E il 31 marzo del un’Italia unita con potere politico 1901, appena ventinovenne, scriaccentrato, e chi, come Carlo Cat- veva sul quotidiano siciliano Il taneo, postulava l’esigenza di una Sole del Mezzogiorno un lungo artirepubblica federale, fondata sulle colo, Nord e Sud, Decentramento e Federalismo, volto a autonomie regioillustrare una sua nali e locali, egli Per Sturzo il rimedio proposta di «fedesceglieva la via di mezzo conducen- è una “federalizzazione” ralizzazione delle regioni». Va detto te, certamente, a delle varie regioni che il termine feuna federazione, deralizzazione è un ma costituita sol- che lascia intatta neologismo tutto tanto da macro-re- l’unità dello Stato sturziano. Esso, in gioni che, nella prima metà dell’Ottocento, pote- maniera forte, trasmette un convano essere Piemonte, Veneto, cetto ben preciso, quello della neLombardia, Toscana e il Regno cessità di lasciare alle regioni italiane ampia autonomia legislativa delle Due Sicilie. Molto più esplicita e attuale, sino e finanziaria e, quindi, di governo a dare un valido contributo al di- e di porle semplicemente sotto il battito in corso, è la posizione di coordinamento di un governo Luigi Sturzo, che vive intensa- centrale con poteri ben definiti. mente i problemi dell’Italia post- Sturzo sostiene che, né per decreunitaria e post-fascista e ne trova to del ministero, né per legge del la soluzione in un federalismo ali- Parlamento, «le diversità fra le mentato da «vero solidarismo», varie regioni, di condizioni, di ossia da un solidarismo che non educazione, di tradizioni, di atticontenga «tutti i microbi dello vità, di ricchezze, di produzione, statalismo e tutti gli equivoci del possano [...] ridursi ad una unisocialismo», bensì che si fondi su formità aritmetica». E rileva che «sentimenti cristiani» (L. Sturzo, «tra tutte le cause della questione Problemi spirituali del nostro tempo, del nord e sud Italia [...] le prinBologna, 1961, p. 223). Si può cipali siano l’accentramento di dire che spetti a lui il merito Stato e l’uniformità tributaria e


L’ANALISI Eugenio Guccione

finanziaria». A suo giudizio se si vuole effettivamente «arrivare alla radice del male, si deve avere il coraggio di affrontare la questione senza le solite titubanze» e proporre il rimedio e applicarlo senza avere paura per alcuna di «quelle false concezioni che fatalmente predominano nella storia». Ebbene, per lui, «il rimedio sarebbe ed è un sobrio decentramento regionale amministrativo e finanziario e una federalizzazione delle varie regioni, che lasci intatta l’unità di regime». E subito dopo spiega che «è razionale e giusto», in considerazione delle «enormi differenze» esistenti tra le une e le altre, che «le regioni italiane abbiano finanza propria e propria amministrazione, secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle loro forze, senza che queste forze vengano esaurite o sfruttate a vantaggio di altre regioni e a danno proprio...», così come «è razionale e giusto che si possano tra le regioni ripercuotere i vantaggi ed i beni delle une sulle altre...». L’unità di regime, a sua volta, «serve a collegare finanziariamente ed economicamente le regioni, e a dare unità legislativa, giudiziaria, coattiva e militare, e in tutto ciò che è appartenenza politica interna od estera». Sono, qui, indicati da Sturzo i compiti propri di un governo federale centrale che, appunto, per garantire l’unità di regime, deve tracciare e perseguire una comune linea finanziaria ed economica, assicurare una legislazione comunitaria, provvedere alle forze ar-

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Antonio Rosmini


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mate, coordinare la politica inter- «perché la retorica unitaria tarpa na e rendersi responsabile della le ali alla libera discussione di un politica estera. Egli, anticipando pensiero ormai maturo: il pensieteorie giuridiche oggi molto con- ro di una più organica vita delle divise, scrive che «è tempo ormai parti di questa Italia, che non è di comprendere come gli organi- destinata alla uniformità, ma a smi inferiori dello Stato – Regio- una unità risultante dalle varie ne, Provincia, Comune – non so- tendenze delle vite diverse delle no semplici uffici burocratici o sue regioni». E poco più avanti enti delegati, ma hanno e devono sottolinea: «Parliamoci chiaro: avere vita propria, che corrispon- nord e sud sono due termini irrida ai bisogni dell’ambiente, che ducibili e inconciliabili […]. Vesviluppi le iniziative popolari, rità dolorosa se si vuole, dura fordia impulso alla produzione e al se agli orecchi adusati alla lirica commercio locale». È possibile del Quarantotto, ma non per quescorgere in questo disegno stur- sto meno evidente e meno chiara. E la colpa non è ziano, pur rispetnostra e non è neptoso di «quel san- Solo in questo modo pure dei fratelli del to principio di nazionalità», un mo- la questione Nord-Sud nord». Le cause di tale e dello di Stato fe- può trovare soluzione tanto divario, sederale idoneo a condo Sturzo, non «togliere le spro- senza ingiustizie, odio sono soltanto di tiporzioni, ed avvia- o rancore reciproco po economico. C’è re le regioni alla tutela ed al miglioramento delle di altro e c’è di più che, in atto, proprie industrie, alla razionale sembra congenito nelle popolaripartizione dei pesi e alla giusta zioni meridionali. «C’è – egli partecipazione ai vantaggi». E prosegue – l’educazione politica: solamente in tale modo «la que- le masse del meridione non vivostione del Nord e Sud piglierà la no la vita della nazione, non delle via pratica di soluzione, senza in- concezioni politiche, non del movimento delle idee… il campanigiustizie e senza odii e rancori». Sturzo scava sempre più addentro le, il deputato, ecco tutta la vita e in un successivo articolo, La delle nostre masse. E in alto la questione del Mezzogiorno, apparso corruzione, la sopraffazione dei sotto lo pseudonimo “Il crociato” politicastri interessati, delle sansu La Croce di Costantino del 22 guisughe dei municipi, dei madicembre 1901, sostiene che il nutengoli della mafia e della caMezzogiorno nell’Italia unitaria morra». E, più avanti, scrive: «La «ci sta a disagio, è fuori posto, radice è una, una sola. Io sono manca della sua naturale posizio- unitario, ma federalista impenine». Cruda verità questa, che, a tente». Alla luce di tale affermasuo giudizio, si avverte e che non zione ecco, all’insegna del federasi ha il coraggio di denunciare lismo, la sfida lanciata da Sturzo


L’ANALISI Eugenio Guccione

allo Stato accentratore e livellatore: «Lasciate che noi del Meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere la responsabilità delle nostre opere, trovare l’iniziativa dei rimedi ai nostri mali; [...] e uniti nell’affetto di fratelli e nell’unità di regime, non nell’uniformità dell’amministrazione, seguiremo ognuno la nostra via economica, amministrativa e morale nell’esplicazione della nostra vita». Non sarà, tuttavia, il regionalismo, quale surrogato del federalismo, a soddisfare le attese di Sturzo, il quale, dopo le battaglie del Partito popolare italiano e le denunce dall’esilio, non indugierà, nel secondo dopoguerra, a dimostrare come il nuovo sistema autonomistico regionale fosse rimasto vittima della partitocrazia e soffocato dal centralismo romano. Le teorie laico-federaliste di Rosmini e di Sturzo – e non solo di costoro – sono, a nostro parere, in sintonia con la struttura che la Chiesa, nel corso degli ultimi secoli, si è data. Essa appare oggi una federazione di diocesi e di parrocchie, laddove, nell’ovvio rispetto della dottrina cattolica, esiste molta autonomia amministrativa all’insegna del solidarismo e del principio di sussidiarietà. La mancanza di un sistema elettorale di base per la scelta dei vescovi e dei parroci non comporta, tuttavia, un deficit di democrazia, la quale è sostanzialmente superata dalla libera adesione dei fedeli e dal forte vincolo spiritua-

le, in senso verticale e orizzontale, che addirittura indusse San Paolo, sin dai primi tempi della diffusione del cristianesimo, a parlare di «Corpo mistico» (I., Corinzi 12, 25, 26), in cui tutte le parti, anche se sono molte e con proprie autonome funzioni, formano un solo organismo e si aiutano reciprocamente fra di loro.

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L’Autore EUGENIO GUCCIONE È ordinario di Storia delle dottrine politiche all’università di Palermo. È stato per molti anni direttore dell’Istituto di Studi Storici della facoltà di Scienze Politiche, della quale da più di un decennio è il decano. Dal 1954 fa parte del Movimento federalista europeo. Si è occupato del pensiero politico italiano e francese del XIX e XX secolo con ricerche sul cristianesimo sociale, sul cooperativismo, sul federalismo e sul rapporto tra la cultura laica e il movimento cattolico. Ha recuperato e curato, con ampia presentazione e note, un inedito di Gioacchino Ventura, venuto alla luce dopo più di un secolo e mezzo, dal significativo titolo Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare (Torino, 1998).


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ostra prudenza nei confronti del disegno di legge licenziato dal governo e teme un’allenza tra gli enti spreconi. Tuttavia, per Angelo Panebianco lo stretto legame tra imposizione fiscale e qualità dei servizi conferisce ai cittadini un potere sul destino politico degli amministratori

Ma attenti alle derive consociativiste

Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO DI MICHELE DE FEUDIS


L’INTERVISTA Angelo Panebianco

riserva la stessa prudenza nei confronti del disegno di legge delega, licenziato dall’esecutivo Berlusconi sul federalismo fiscale. Professor Panebianco, attraverso l’introduzione del federalismo fiscale, l’Italia sta cambiando forma statale. Perché in un editoriale sul quotidiano diretto da Paolo Mieli ha sottolineato il rischio di generare un “paradosso federalista”?

Sono preoccupato e stupito per come procede la discussione su questo argomento di primaria importanza per il paese. Si tratta di una riforma che sta avvenendo in modo consociativo e questo non può non creare sospetti. Il sociologo Luca Ricolfi ha provato a fare due conti su come cambieranno i bilanci delle Regioni, paventando una possibile alleanza tra gli enti “più spreconi”. È un’eventualità all’orizzonte?

Il professor Angelo Panebianco sulle possibili riforme federaliste ha sempre espresso giudizi prudenti, fin dagli anni nei quali il tema entrava nell’agenda politica in maniera dirompente con i primi successi della Lega. «Federalismo, questa parola magica cui i leghisti sembrano attribuire, quando deferentemente la pronunciano, le più taumaturgiche virtù, significa in realtà tutto e niente»: così liquidava il 29 dicembre 1992 sulle colonne del Corriere della Sera i primi istinti localistici delle camicie verdi. A distanza di sedici anni, il docente di Sistemi internazionali comparati preso l’università di Bologna,

Rispetto alle domande poste con chiarezza dal docente torinese, nessun esponente politico ha risposto in termini analitici. Sospetto che la fotografia di Ricolfi sia giusta… Del resto abbiamo attualmente in Italia modelli di buon governo in Lombardia ed Emilia Romagna, e un Sud che spendendo tante risorse, offre cattivi servizi alla collettività. L’introduzione del federalismo fiscale è un tema rovente soprattutto al Sud, dove molti commentatori paventano un pericolo di impoverimento ulteriore dei territori. Al Nord, invece, si sventola lo spettro del Meridione spreca-risorse…

Non saprei davvero rispondere a una domanda sulla necessità del

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IL PERSONAGGIO

Gianfranco Miglio e il “Gruppo di Milano” 62

Giurista e politologo, Gianfranco Miglio, sostenne sempre ipotesi di trasformazione dello Stato italiano in senso federale o confederale, fra gli anni ’80 e ’90 è stato considerato l’ideologo della Lega Nord, nelle cui file divenne senatore, prima di rompere con Umberto Bossi e dar vita alla breve stagione del Partito federalista. Docente presso l’università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove fu preside della facoltà di Scienze politiche dal 1959 al 1988. È stato allievo di Alessandro Passerin d’Entrèves e Giorgio Balladore Pallieri, e si è formato sui classici del pensiero giuridico e politologico. Negli anni Ottanta, la degenerazione del clima politico in Italia indusse Miglio a occuparsi di riforme istituzionali. Intendeva contribuire in tal modo alla modernizzazione del paese. Fu così che, nel 1983, mettendo insieme un gruppo di esperti di diritto costituzionale e amministrativo stese un organico progetto di riforma, limitato alla seconda parte della Costituzione. Tra le proposte più interessanti avanzate dal “Gruppo di Milano” occupava un posto rilevante il rafforzamento del governo guidato da un primo ministro, dotato di maggiori poteri, la fine del bicameralismo perfetto con l’istituzione di un Senato delle Regioni sul modello del Bundesrat tedesco e, infine, l’elezione diretta del primo ministro da tenersi contemporaneamente a quella per la Camera dei deputati.

Con il crollo del Muro di Berlino (1989), il professore ritenne che lo Stato moderno fosse giunto al capolinea. Il progresso tecnologico e, in modo particolare, il più alto livello di ricchezza a cui erano giunti i paesi occidentali, lo convinsero che negli anni successivi sarebbero avvenuti cambiamenti di portata radicale, tali da coinvolgere anche la Costituzione degli ordinamenti politici. Secondo Miglio, lo Stato in futuro avrebbe potuto incontrare crescenti difficoltà nel garantire servizi efficienti alla popolazione. L’elevata produttività dei paesi avanzati e la vittoria definitiva dell’economia di mercato su quella pubblica, avrebbe potuto portare a nuove forme di aggregazione politica al cui interno i cittadini sarebbero stati destinati a contare in misura molto maggiore rispetto a quanto non lo fossero stati in passato. Secondo Miglio gli Stati democratici, fondati su istituti rappresentativi risalenti all’Ottocento, non erano più in grado di provvedere agli interessi della civiltà tecnologica del secolo XXI. Con il crollo del Muro di Berlino e la fine della Guerra fredda, si sono create le premesse perché la politica cessi di ricoprire un ruolo primario nelle comunità umane e venga invece subordinata agli interessi concreti dei cittadini. La fine degli Stati moderni avrebbe portato secondo Miglio alla costituzione di comunità neofederali dominate non più dal rapporto politico di comando-obbedienza, bensì da quello mercantile del contratto e della mediazione continua tra centri di potere diversi al livello politico ed economico al cui interno sarebbero inseriti gruppi di cittadini accomunati dagli stessi interessi. Secondo il professore, il mondo sarebbe stato costituito da una società pluricentrica, dove le associazioni territoriali e categoriali avrebbero visto riconosciuto giuridicamente il loro peso politico non diversamente da quanto avveniva nel Medioevo. Di qui l’appello a riscoprire i sistemi politici anteriori allo Stato, a far riemergere quel variegato mosaico medievale costituito dai diritti dei ceti, delle corporazioni e, in particolar modo, delle libere città germaniche.


L’INTERVISTA Angelo Panebianco

federalismo fiscale per la crescita del Sud Italia. Finora tutte le soluzioni adottate per ridurre il divario tra Mezzogiorno e Nord sono fallite. Potremmo citare l’interventismo statale o i finanziamenti all’industria di Stato, ma i risultati raggiunti non sono mai stati soddisfacenti. Se il welfare in certe regioni è così scadente, bisogna evitare che le risorse nazionali vengano usate così male. I contributi del pensiero meridionalista sono piuttosto esigui e volti a una previsione pessimistica del futuro.

In passato studiosi meridionalisti ritenevano il federalismo un possibile mezzo di emancipazione economica e sociale. Oggi non sembra esserci lo stesso sostegno e la stessa passione civile verso “l’impresa federalista” da parte del Mezzogiorno d’Italia. Il federalismo parla solo, o prevalentemente, con accenti e inflessioni del Nord. Come spiega la strada federalista intrapresa dall’Italia?

Assistiamo ormai all’integrazione tra un’azione sovranazionale costituita dall’Unione europea e la spinta costante verso forme di autonomia locale, che può diventare anche una opzione federalista. Si tratta di un processo inevitabile, da accompagnare con misure di indirizzo nazionale, tenendo conto della specificità dei problemi italiani. A cosa si riferisce in particolare, ai buchi nei bilanci regionali?

Bisogna rimettere in discussione l’uso delle risorse pubbliche e

tendere a un sistema che produca più qualità e meno sprechi. È sotto gli occhi di tutti l’uso dissennato delle risorse pubbliche delle regioni nel settore della sanità. Qui si gioca la partita più difficile per le classi dirigenti locali.

Con la riforma del federalismo fiscale, i politici che amministrano le autonomie locali dovranno essere responsabilizzati e dovranno assumere l’impegno di legare l’imposizione fiscale alla qualità dei servizi offerti. In caso contrario saranno gli stessi cittadini a sfiduciarli perché nessuno avrà più interesse a tenere in piedi “carrozzoni” inadeguati che accrescono i costi della spesa pubblica senza garanzie sul livello dei servizi. Questa riforma potrebbe però avere dei risvolti positivi…

Certamente. Se mette in moto un meccanismo virtuoso, un cittadino potrà scegliere se farsi curare da un ospedale del Lazio o dell’Abruzzo in base alla qualità ricercata. Una competizione seria migliora le imprese in campo e crea sviluppo. Ma deve essere una competizione verso l’alto, non al ribasso. Come cambierà lo scenario delle autonomie locali con l’approvazione definitiva di questa riforma?

Il cammino sarà ancora lungo, e spetterà a governo e Parlamento completare e definire il quadro generale dell’intervento federalista. Il federalismo fiscale, infatti, potrebbe scardinare le vecchie

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politiche clientelari e destabilizzare politicamente molte regioni: di fronte ad amministratori che hanno fatto un uso pessimo dei fondi, e in più responsabili dell’offerta scadente di servizi, saranno i cittadini stessi a farsi promotori di un inevitabile ben servito. Il ministro Giulio Tremonti ha definito il federalismo fiscale una “riforma storica”.

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È una considerazione che condivido. È necessario, prima possibile, stabilire delle linee Maginot, dei limiti che gli amministratori non potranno superare. Alcune classi dirigenti politiche non meritano più la fiducia del popolo, hanno fatto troppi danni. E il federalismo obbliga a cambiare o a esser sommersi dai guai, può bonificare tante cattive abitudini. Proviamo a immaginare le prossime tappe dell’approvazione del disegno di legge del governo.

In Parlamento il progetto deve partire bene e la discussione politica deve essere elevata, non inquinata da emendamenti proposti dai piazzisti come per la Finanziaria. Su una serie di punti non contrattabili ci deve essere la massima chiarezza. E poi ci deve essere una massima condivisione. Un accordo tra maggioranza e opposizione?

Una riforma di tale portata si fa con il consenso di tutti, soprattutto per elevare dighe insuperabili contro gli interessi particolaristici e per evitare pericolose ambiguità. Ci vorrà la massima

apertura all’opposizione, non un’alleanza al ribasso. Questa riforma federalista si può considerare una vittoria della Lega?

Sul piano simbolico senza dubbio. Il movimento di Bossi si batte da sempre per un assetto federale. Questa volontà si è incontrata con tanti altri attori, dalla conferenza delle Regioni, nella quale c’è una consistente presenza del Pd alla spinta del cosiddetto “partito del Nord”. La Lega, inoltre, presenta alcune posizioni incoerenti. Da un lato spinge per il federalismo fiscale e dall’altro, come Rifondazione comunista nel passato governo Prodi, si oppone duramente alla liberalizzazione dei servizi locali. Ma il federalismo in questi casi potrebbe favorire la concorrenza, spingere alla riduzione dei monopoli pubblici, incoraggiando comportamenti locali virtuosi. E la Lega al riguardo dovrebbe chiarire la sua posizione. Poi ci sono le critiche di una destra conservatrice e con forte sensibilità risorgimentali.

Le posizioni di chiusura di studiosi come Domenico Fisichella sono rispettabili. È innegabile che non possiamo dire che finora lo Stato unitario abbia funzionato così bene da non fare sfracelli… Questo percorso federalista avrebbe soddisfatto il pioniere riformista Gianfranco Miglio?

Non so se sarebbe stato d’accordo. Lo studioso comasco immaginava un’Italia divisa in tre macro-


L’INTERVISTA Angelo Panebianco

regioni… Nel nostro caso, invece, si parte dallo status quo. E il federalismo è essenzialmente un confederalismo.

L’intervistato

Un federalismo “all’italiana”?

Sì, in tutta Europa si assiste a una tendenza a cedere poteri verso la periferia. E ogni Stato segue una propria specificità, in Spagna come in Inghilterra con la devolution. E Sofia Ventura dell’università di Bologna ha elaborato un accurato studio per il Mulino sulla valenza dei processi di devoluzione, comparando il caso inglese, quello spagnolo e infine la riforma italiana. Per concludere, quale sarà la più importante sfida del federalismo fiscale?

Riguarderà le classi dirigenti di questo paese. I cittadini pretendono organi che li tutelino e amministratori virtuosi. Ci sarà un’innegabile responsabilizzazione dei governanti, perché in caso contrario saranno spazzati via assieme al loro mal governo. Non conosciamo ancora le sole cose che faranno la differenza in questo progetto, ma siamo comunque abbastanza sicuri del fatto che stiamo per diventare uno Stato federale.

ANGELO PANEBIANCO

Politologo e saggista, negli anni Novanta è stato tra i fondatori della facoltà di Scienze Politiche “Roberto Ruffilli” dell’università di Bologna, sede di Forlì, dal 1991 al 1995, presidente dell’indirizzo politico-internazionale della medesima facoltà. È membro del comitato direttivo della Scuola di dottorato in Scienza politica dell’Istituto Italiano di Scienze Umane e del comitato direttivo di varie riviste, tra cui la Rivista Italiana di Scienza Politica. È professore di Sistemi internazionali comparati alla facoltà di Scienze Politiche dell’università di Bologna, dov’è anche presidente del master in Relazioni internazionali e di Teoria dello Stato e Geopolitica all’università San Raffaele di Milano. Tra i suoi lavori: L’analisi della politica; Modelli di partito; Le crisi della modernizzazione. L’esperienza del Brasile e dell’Argentina. Agli studi internazionali ha dedicato numerosi saggi, tra cui La dimensione internazionale dei processi politici; Manuale di Scienza politica; Hans Morgenthau: teoria politica e filosofia pratica. Il suo ultimo libro è Il potere, lo stato, la libertà. La gracile costituzione della società libera.

L’Autore MICHELE DE FEUDIS Giornalista e scrittore, collaboratore dell’Ansa e del Secolo d’Italia. Scrive di libri, cinema, politica e calcio per quotidiani nazionali. Ha curato il libro Tolkien, la Terra di Mezzo e i miti del III Millennio, edito da L’arco e la corte (Bari).

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IN GUARDIA DALLE INTERVISTA CON LINDA LANZILLOTTA DI ROSALINDA CAPPELLO

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e comunità territoriali sono basilari fattori di crescita e progresso per uno Stato. Potenziarne il ruolo politico ed economico è un bene, ma senza mettere a repentaglio la coesione nazionale, da proteggere rispettando i valori espressi dalla Carta costituzionale. Senza una convinta adesione a questi principi, si corre il rischio di favorire le spinte anti-unitarie, ancora presenti in un paese di recente unità come il nostro

Il federalismo per il Mezzogiorno è un’opportunità di efficienza e qualità dei servizi, ma la perequazione deve essere veramente statale, senza ambiguità. E per realizzare un processo che sia nell’interesse della nazione, la sede di discussione dei contenuti non può essere la Conferenza unificata ma il Parlamento. Linda Lanzillotta, ministro ombra del Pd alla Funzione pubblica, ha una visione netta di cosa dovrebbe essere il federalismo e quale dovrebbe essere la via da seguire per evitare i rischi di sovrapposizioni di competenze, inefficienza, aumento dei costi. E sul timing di realizzazione, dice, si deve tenere conto della crisi economica globale.


L’INTERVISTA Linda Lanzillotta

FORZE CENTRIFUGHE riguarda la lievitazione dei costi e la confusione dei poteri tra i vari livelli istituzionali. Ciò è stato determinato dal fatto che quello schema costituzionale è diventato operativo ma la sua attuazione non è stata governata. Oggi, però, il centrodestra vede come un grande traguardo l’attuazione di quel disegno costituzionale. Che cos’altro la convince?

A ottobre il governo ha varato il disegno di legge sul federalismo fiscale che rappresenta un’azione decisa sulla strada della riforma dello Stato in senso federale. Qual è il suo parere?

Da un certo punto di vista è un passo in avanti perché questo ddl è l’accettazione da parte del centrodestra dello schema costituzionale e concettuale contenuto nel Titolo V della riforma che il centrosinistra aveva approvato e che per tutta la legislatura 20012006, era rimasto bloccato in attesa della devolution, provocando conseguenze negative. Quali?

Il sistema si è evoluto senza che nessuno lo regolasse per quanto

L’altro punto che ritengo positivo è che si sia completamente abbandonato il progetto che il centrodestra aveva presentato in campagna elettorale, il cosiddetto modello lombardo, in virtù del quale si tratteneva su ciascun territorio l’80 per cento del gettito delle imposte derivanti dal reddito del territorio stesso, a prescindere dal costo delle funzioni che dovevano essere svolte dagli enti locali. Questo ribaltava il principio costituzionale per cui il potere fiscale appartiene allo Stato che poi ne devolve ai territori una quota per consentire a ciascun livello di esercitare le proprie funzioni. Ciò avrebbe comportato o una compressione dei diritti di una parte del territorio che non aveva le risorse per sostenere gli oneri di tutte le prestazioni fondamentali, o una lievitazione della spesa e quindi della fiscalità. Tutto questo è stato accantonato e il disegno di legge presentato ricalca nelle linee di indirizzo il progetto

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L’INTERVISTA Linda Lanzillotta

di legge presentato dal governo Prodi assieme al ministro Padoa Schioppa e a me nel 2007. C’è un però?

Si tratta di una cornice i cui contenuti devono essere scritti e il Parlamento, luogo della sovranità e organo competente in materia di ordinamento tributario e di garanzia dell’universalità dei diritti fondamentali, è la sede in cui si dovrà operare e non in quella di rappresentanza Governo-Regioni-Enti locali, che è di coordinamento intergovernativo ma non può sostituirsi al Parlamento. Si tratta di capire i contenuti veri del progetto, cioè quali tributi saranno devoluti alla competenza di ciascun livello, quali saranno le attribuzioni fondamentali a cui corrisponderanno costi standard su cui misurare il fabbisogno finanziario, quali i criteri legislativi a cui ancorare la perequazione, che deve essere funzione dello Stato. Perché non basta scrivere che la perequazione è statale perché lo sia effettivamente. Questo è un punto abbastanza ambiguo. Perché?

Nel ddl si dice che la perequazione è statale, poi però viene alimentata dal gettito dei tributi regionali, ancorandola quindi al territorio. Ci sono molti elementi da chiarire e da definire. Noi chiediamo che i decreti delegati siano già scritti e molto chiari quando si andrà a votare per le regionali, perché la legislatura che si aprirà dopo il ciclo elettorale del 2010 sarà quella deputata ad

attuare la transizione. La campagna elettorale dovrà confrontarsi con questa prospettiva e gli schieramenti dovranno misurarsi sul modo in cui realizzare un processo che, in particolare per il Mezzogiorno, significa ristrutturare la propria spesa, dare efficienza alle attività che vengono gestite e potenziare segmenti che sono già molto sviluppati in altre regioni e che invece nel Sud sono ancora molto carenti. Per il Mezzogiorno il federalismo è un’opportunità?

Certo, soprattutto per i suoi cittadini che sanno, per averlo vissuto sulla loro pelle, che tanta spesa pubblica non vuol dire tanta qualità di vita o delle prestazioni pubbliche. Per cui un meccanismo che obblighi le classi dirigenti e gli amministratori a una maggiore efficienza e a una maggiore trasparenza, è un’opportunità per loro. Come possono essere assicurate l’efficacia e la sostenibilità del federalismo?

Lo strumento è il passaggio ai costi standard, cioè a indicatori, di qualità, di efficienza ai quali ognuno deve adeguarsi. E il Mezzogiorno, negli anni in cui questo processo si dovrà realizzare, dovrà essere accompagnato con attività di tutoraggio, formazione degli amministratori, diffusione di una cultura nuova, lotta alla criminalità. In caso contrario, con un federalismo non gestito, aumenterà il divario tra Nord e Sud e si rischierà che la criminalità organizzata sia incentivata dall’aumento

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delle risorse che andranno al Meridione. Dobbiamo essere consapevoli che l’impatto di questa riforma sarà molto diverso in base alla realtà in cui si innesterà. E quindi seguirne l’attuazione passo dopo passo sul territorio per prevenire eventuali esiti negativi?

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Il federalismo non è una bacchetta magica, è un progetto e ci preoccupa che non si operi sulla parte reale ma solo su quella fiscale e finanziaria. Il federalismo, nel nostro disegno, è un modello di organizzazione dello Stato sul territorio per rendere l’amministrazione più efficiente, più leggera, più controllabile. Si dovrà intervenire sulla semplificazione, sulla riduzione dei livelli, delle sovrapposizioni, sulla valorizzazione della sussidiarietà e, quindi, sulla devoluzione al mercato e all’associazionismo di mansioni di interesse pubblico o di produzione di beni collettivi. In caso contrario, si determineranno spese di funzionamento alte e ciò impedirà la riduzione del costo delle funzioni e della pressione fiscale. Il federalismo, attraverso la responsabilità anche di prelievo fiscale, induce gli amministratori anche a una maggiore attenzione all’efficienza. Come si possono evitare le sovrapposizioni di competenze tra i vari livelli che causano inefficienza e costi maggiori?

Abbiamo presentato la Carta delle autonomie, in attuazione degli articoli 117 e 118 della Costituzione, in cui è prevista la definizione di funzioni specifiche per

ogni livello, che dovrà rendere conto del proprio operato. Lo slogan è “ognuno fa una cosa e la fa tutta” e questo elimina sovrapposizioni di competenze. Oggi, in genere, tutti fanno tutto con l’effetto che, da un lato, si moltiplichino apparati e oneri, dall’altro, si appesantiscano gli iter burocratici. Questo modo di agire significa smontare e rimontare il sistema delle autonomie locali, che devono accettare di mettersi in discussione. Per questo sostiene che la sede delle riforme non può essere solo la Conferenza unificata?

Sì. Il luogo della sintesi degli interessi, anche di quelli delle istituzioni o degli amministratori locali, deve essere il Parlamento, che deve operare al servizio dell’interesse generale dei cittadini, delle imprese, delle forze economiche e non degli apparati burocratici che non vogliono vedere intaccate le proprie posizioni di potere, le proprie abitudini. Nelle amministrazioni c’è inerzia, resistenza al cambiamento. Occorre fare le riforme nell’interesse generale. E poi bisogna accelerare il completamento del federalismo sul piano costituzionale, realizzando un Senato federale dove gli interessi del territorio possano essere rappresentati in un’ottica nazionale e non solo di rappresentanza di interessi territoriali. Quindi, è favorevole alla riforma del bicameralismo perfetto?

Sì con una specializzazione del Senato federale e una riduzione


L’INTERVISTA Linda Lanzillotta

del numero dei parlamentari. In questo senso penso che vada ripreso il pacchetto Violante per completarlo sul piano costituzionale. Perché nell’attuazione della riforma che riorganizzerà radicalmente lo Stato e condiziona i diritti fondamentali dei cittadini c’è un buco, un’asimmetria tra la natura delle decisioni e le sedi a cui si affidano queste decisioni. La questione del Senato federale è di grande attualità. È possibile realizzare un federalismo veramente solidale?

È la Costituzione che dà questa linea. Non so se nel disegno di legge presentato dal governo c’è. Il dubbio nasce sulla base di due elementi: il primo è che la perequazione delle funzioni viene prevista soltanto per alcune, mentre questa distinzione nella Carta costituzionale non c’è. Le altre funzioni non sono soltanto istruzione, sanità, assistenza e trasporto. Ce ne sono molte, svolte dai Comuni e oggetto di legislazione regionale, come l’ambiente e la cultura che sono altrettanto fondamentali in un’economia avanzata come la nostra. Non è possibile non perequarle, sennò si rischia che cultura, ambiente e sviluppo industriale trovino spazio solo se avanzano un po’ di soldi. Qual è l’altro elemento?

È rappresentato dalle Regioni a statuto speciale, che hanno un riconoscimento costituzionale della loro specialità, ma che deve essere aggiornata alla luce dell’evo-

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L’INTERVISTA Linda Lanzillotta

luzione storica, geopolitica e geoeconomica. Quello della perequazione è un valore fondamentale della Repubblica, che deriva dal principio di uguaglianza, quindi dal fatto che occorre garantire parità di trattamento per tutti i cittadini a prescindere dalla loro ricchezza. Assicurare una funzione redistributiva da parte dello Stato significa obbligare anche le Regioni a statuto speciale e i cittadini che vi risiedono, in quanto prima di tutto cittadini italiani, a contribuire. Il testo di Calderoli, invece, prevede soltanto che si faccia su base pattizia, cioè solo se e nella misura in cui anche le Regioni a statuto speciale siano d’accordo. Ovviamente, si deve cercare al massimo la concertazione e l’accordo, ma c’è un punto in cui lo Stato deve decidere e garantire i principi fondamentali. Sono due piccole spie del fatto che non c’è la bussola costituzionale a guidare questo testo. C’è molto da lavorare, ma siamo soddisfatti che ci sia un testo su cui cominciare a confrontarsi e discutere. Vedremo se almeno su questo il ministro Calderoli ha intenzione di farlo davvero. Del timing di attuazione del provvedimento che cosa pensa?

I tempi sembrano voler eludere il problema o rinviarlo, perché si prevede che ci siano due anni per l’adozione dei decreti, cinque per il passaggio dai costi storici ai costi standard, altri cinque per le regioni che non si adeguano. È un progetto che va molto in là e cre-

do che ciò dipenda dalla consapevolezza circa la difficoltà di attuare in concreto il passaggio dalla spesa storica ai costi standard. Il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, ha parlato di federalismo contrattuale, di contratti differenziati regione per regione, settore per settore. È favorevole?

Dipende. Se parliamo di amministrazioni statali, sarebbe incostituzionale se i concorsi fossero riservati ai residenti di una regione piuttosto che a quelli di un’altra. Per le funzioni regionali e locali penso debba esserci un contratto nazionale, non possiamo tornare alle gabbie salariali. Naturalmente, nella contrattazione bisogna riservare una grande parte a quella integrativa, aziendale e, quindi, una parte molto significativa del contratto deve essere gestita a livello regionale e locale. Se Brunetta allude al problema di garantire che quando si vince un concorso poi si rimanga lì, perché il fabbisogno è lì, allora sono d’accordo. C’è, infatti, una spinta di residenti del Mezzogiorno a vincere i concorsi in altre regioni e poi voler ritornare a casa. Questo non va bene. Nelle società più flessibili c’è un mercato degli affitti molto dinamico, è facile cambiare lavoro e, quindi, se una persona è sposata il partner può seguirla. Dobbiamo rendere più flessibile e più dinamica la nostra economia, la nostra società. A che punto siamo con la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, che diffi-

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coltà sta incontrando e quali opportunità può dare?

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Siamo a un pessimo punto perché è stata approvata una norma, nell’ambito del decreto 112 della Finanziaria del mese di luglio, che è una controriforma, peggiora la situazione rispetto all’attuale. C’era un testo originario del governo, già molto debole, che è stato pasticciato e peggiorato da un emendamento notturno imposto dalla Lega, i cui amministratori non vogliono mollare il controllo sulle loro società municipalizzate che gestiscono i servizi. Nella scorsa legislatura avevo trovato un accordo con Rifondazione che era una buona soluzione, anche se aveva il limite di escludere l’acqua. Per il resto c’era un sistema effettivamente competitivo che non siamo riusciti a portare in aula perché il centrodestra aveva avanzato critiche “benaltriste”. Che cosa intende dire?

Sosteneva la necessità di una legislazione molto più spinta. Adesso che è al governo, il centrodestra ha una soluzione ben più arretrata perché, quando si tratta di attaccare dei modelli organizzativi operativi a livello locale, in cui ci sono gli interessi dei comuni, degli amministratori, si fanno precipitosi arretramenti. Penso che sia un errore perché questo è un pezzo del disegno federalista, dal momento che favorisce azioni necessarie all’aumento della qualità e alla riduzione dei costi dei servizi, e focalizza le amministrazioni sulle funzioni di regolazione e di controllo piuttosto che su

quelle di gestione diretta. La liberalizzazione dei servizi pubblici locali, inoltre, valorizza anche l’economia del territorio. Tutto questo è necessario per un fisco federale. Per quale motivo?

Perché significa poter tenere sotto controllo la pressione fiscale e avere delle leve per la crescita delle economie locali. E siccome le basi imponibili saranno molto importanti per la ricchezza dei territori, in quanto le risorse da destinare ai servizi pubblici dovranno essere ricavate almeno in parte dalla fiscalità locale, se ci saranno delle leve per far crescere le economie locali, la finanza del territorio sarà più ricca. Quindi, non mettere in moto questo processo avrebbe effetti molto negativi da molti punti di vista. In Italia, c’è una sorta di anomalia. Il federalismo viene visto come una minaccia per l’unità nazionale, mentre altrove è uno strumento di coesione. Come si può realizzare un processo che non intacchi la compattezza ma che, anzi, la garantisca?

Abbiamo quest’anomalia perché è un federalismo che va dall’alto al basso, cioè nasce da uno Stato unitario per andare a uno Stato pluralistico, articolato in termini di poteri pubblici. In genere, il federalismo nasce da singoli Stati che si uniscono. Da noi il processo è determinato da una propensione alla differenziazione e all’autonomia. È molto importante che esso si realizzi, come avviene in tutti i sistemi più avanzati,


L’INTERVISTA Linda Lanzillotta

perché le società complesse non si possono governare da un unico centro, perché le comunità territoriali sono fattori di crescita e di sviluppo. Però occorre tenere molto coesa l’unità nazionale attorno ai valori costituzionali. Il disegno deve essere coerente con questi principi, altrimenti rischia di prevalere la spinta centrifuga rispetto all’obiettivo originario del federalismo che è quello di stare dentro il quadro costituzionale ma con un modello migliore di funzionamento delle amministrazioni pubbliche. La storia del nostro paese condiziona il processo federativo?

Abbiamo uno Stato unitario molto giovane, abbastanza fragile. Lo spirito di unità nazionale non è così radicato come nei grandi Stati nazionali sorti prima, come in Francia, Spagna e Inghilterra. Quindi, dobbiamo stare molto attenti a non mettere a rischio questa unità, che potrebbe frantumarsi se non ci fossero valori di coesione a tenerla insieme. Perché ci siano, occorre vincere la sfida dell’inefficienza, altrimenti prevarrà l’egoismo dei territori piuttosto che la solidarietà e la coesione. E l’attuale situazione economica non aiuta?

Appunto. Questo progetto si realizza in un momento difficile. Credo che uno dei motivi per cui il ministro dell’Economia tenta di diluirlo nel tempo è perché si rende conto che il processo di organizzazione della spesa sul terri-

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torio, in una fase di recessione, rischia di avere un impatto molto duro. Dovremmo considerare tutto questo: una cosa è tagliare la spesa storica e un’altra è correggerla gradualmente, redistribuendo in modo differente la crescita nell’arco degli anni futuri. Se questa crescita non ci sarà, la riorganizzazione della spesa storica rischierà di avere un impatto duro sui territori chiamati a realizzare il processo, con riflessi di carattere sociale molto problematici e pesanti. Occorre, quindi, evitare di fare operazioni a tavolino che non tengano conto della realtà economica e sociale del nstro paese. 76

L’intervistato

LINDA LANZILLOTTA Laureata in Lettere, docente universitario, fin da giovane si occupa di economia e politica. Dal 1970 al 1982 è stata funzionaria del ministero del Bilancio e della programmazione economica. Esponente del Partito socialista italiano, dopo un’esperienza alla Camera dei deputati in cui ha diretto per alcuni anni la commissione Bilancio, riceve l'incarico di assessore alla programmazione finanziaria del Comune di Roma, che mantiene dal 1993 al 1999. Capogabinetto del ministero del Tesoro dal 1999 al 2000, durante il secondo governo Amato è stata segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri. Presidente dell’associazione Glocus, aderisce alla Margherita e alle elezioni politiche del 2006 viene eletta deputato. Fa parte del secondo governo Prodi in qualità di ministro degli Affari Regionali, incarico che mantiene fino alle elezioni anticipate del 2008. Viene rieletta nell’aprile del 2008. Dal maggio 2008 è "ministro ombra" della Pubblica Amministrazione e Innovazione per il Pd.

L’Autore ROSALINDA CAPPELLO Giornalista culturale, si interessa di storia contemporanea e cinema. Ha curato per il web una rubrica di cinema off e collaborato con riviste di storia e sul terzo settore. Attualmente cura i contenuti del sito della Fondazione Farefuturo. Collabora con il Secolo d’Italia.


Ma prima risolviamo la questione MERIDIONALE DI PAOLO FELTRIN

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isogna porre fine alla logica del “tutto cambi perché nulla cambi” e risolvere il problema che sta alla base della frattura tra il Nord e il Sud da più di un secolo e mezzo, sempre aggirato. Non c’è alcuna certezza, infatti, che maggiore autogoverno significhi più responsabilità ed efficienza né che migliori le performance e il rendimento del Mezzogiorno d’Italia Dagli anni Novanta il tradizionale surplus ideologico, tipico del dibattito politico nel nostro paese, ha indossato i panni del federalismo, passepartout per ogni posizione politica da destra a sinistra, da Nord a Sud, dal centro alla periferia. Quindici anni di discussioni sono giunte in questi giorni – all’apparenza – a un punto di svolta: il Consiglio dei ministri ha licenziato nei giorni scorsi il disegno di legge sul federalismo fiscale che sancisce autonomia di entrata e di spesa di

Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni “nel rispetto dei principi di solidarietà e di coesione sociale”. Tuttavia, a oggi l’approvazione è in via provvisoria; mancano specificazioni decisive sulle cosiddette “compartecipazioni”; il testo definitivo di fatto è di là a venire. Come spesso capita, si approva poco più di un “testo manifesto”, utile a calmare le acque e a favorire nuovi compromessi. Tipica, sotto questo profilo, la questione cruciale dei tempi. Il fe-


L’ANALISI Paolo Feltrin

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deralismo doveva essere fatto subito, appena insediato il governo; poi a settembre, con decorrenza immediata; nel frattempo ci si è (provvisoriamente) accordati su un allungamento dei tempi: entro due anni i decreti attuativi, poi da cinque a dieci anni per la fase di messa a regime, e così via. Perché? La risposta che proviamo a dare in questo articolo rinvia alle difficoltà strutturali di questo paese: i divari irrisolti Nord/Sud; l’indebitamento statale; la politicizzazione delle fratture territoriali.

La frattura Nord/Sud è riemersa con forza nel corso dei primi anni Ottanta a partire dal lombardoveneto, generando una improvvisa frattura tra politica (nazionale) e territori (settentrionali). In pochi anni si svilupparono i fenomeni delle leghe regionaliste, iniziando dalle province pedemontane venete, a cavallo delle elezioni regionali del 1980, per poi estendersi a quelle lombarde e ad alcune aree piemontesi. Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, in molti an-


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goli del Friuli, del Veneto, della Lombardia, del Piemonte, caratterizzati da un forte localismo di tipo economico e associativo, in coincidenza con le prime grandi ristrutturazioni industriali dell’epoca (Fiat, in primis) si diffusero i segnali di un malessere di tipo nuovo, in coincidenza con il declino dei movimenti di contestazione degli anni Sessanta e Settanta. A riemergere in primo piano furono il sentimento antimeridionale e la riscoperta delle identità locali: in altri termini, le fratture Nord/Sud e centro/periferia, che tenderanno successivamente a ricomporsi in un unico cleavage. Viene di solito poco sottolineato come, a fare da trait d’union tra le due stagioni, almeno sul piano ideologico/culturale, fu protagonista (involontario) il dibattito metodologico di metà anni Settanta sulla “storia dal basso”, con la riscoperta della storia delle tradizioni locali e del folklore. Il rilancio degli idiomi dialettali, delle storie di paese, e la polemica per la prima volta esplicita contro i “terroni” furono

i reagenti dei primi focolai del movimento leghista. In moltissimi casi, la crisi dei movimenti politico-sindacali di quegli anni fornì alle iniziali esperienze leghiste risorse in termini di militanza delusa, repertori di azione di base, esempi di comunicazione grass-root. Nella storia del nostro paese, la frattura Nord/Sud e la frattura centro/periferia, fino a quel momento, non erano mai state elevate da fratture nella cultura popolare a fratture nelle identità politiche da alcun partito (né di maggioranza né di opposizione) perché estranee al processo di unificazione nazionale, alla successiva egemonia giolittiana, come pure al fascismo e al patto fondativo della repubblica postfascista. D’altronde la connessione tra queste due fratture è strutturale: se per decenni un paese rimane diviso, l’unico modo di governarlo è attraverso la centralizzazione delle politiche pubbliche e la compressione delle autonomie territoriali. Centralismo statale e sottosviluppo meridionale si ali-


L’ANALISI Paolo Feltrin

mentano a vicenda, frutto di un processo di unificazione nazionale debole, ritardato, incompiuto, nel quale hanno fallito una dopo l’altra le classi dirigenti liberali, socialiste, fasciste, cattoliche e comuniste. “Forza Etna” e “Roma ladrona” sono slogan che riassumono e unificano l’anti-meridionalismo e l’anti-centralismo in una inedita linea politica. Si tratta di istanze poco eleganti da proporre nella loro immediatezza, ma a questo punto sopraggiunge in soccorso la nouvelle vague federalista e, con essa, una maggiore accettabilità sociale delle richieste leghiste. Dopo il successo della Lega Nord nel 1994 e nel 1996, tutti gli altri attori politici hanno fatto del federalismo il loro gonfalone, innescando una rincorsa affannosa a chi si dichiarasse più federalista. Tutta la seconda metà degli anni Novanta è stata scandita dalle attese di una “grande riforma” di tipo federalista, di cui rimangono tracce evidenti nei lavori della Commissione D’Alema e nella stessa riforma costituzionale del 2001. Ma negli anni Novanta sono stati fatti molti altri interventi sull’intelaiatura istituzionale del nostro stato. Rispetto alle attese potrebbero sembrare piccola cosa, ma costituiscono il lascito più solido e positivo degli anni Novanta. Lo Stato italiano ha cambiato pelle in quei dieci anni, attraverso un grappolo di interventi legislativi di notevole spessore, quasi tutti approvati da coalizioni trasversali di tipo bypartisan. In particolare,

le direzioni di marcia che hanno caratterizzato gli anni Novanta sono state le seguenti: 1) meno politica, più amministrazione e responsabilità dei funzionari; 2) meno Stato, più privato; 3) meno omogeneità, più differenze locali: nella scuola, nei servizi offerti ai cittadini, nei tributi locali, etc. (con una divaricazione sempre più evidente delle prestazioni a livello territoriale tra Nord e Sud); 4) meno centro nazionale, più autonomie territoriali (anche con pericolose sovrapposizioni e conflitti di competenze). Se si volesse fare un riepilogo in chiave ottimista del percorso delle riforme degli anni Novanta, anche solo per titoli, andrebbero individuati almeno nove importanti snodi, a un tempo politici e legislativi: a) la legge 81/1993 di riforma dei sistemi elettorali negli enti locali – Comuni e Province – con annessa revisione della forma di governo (elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia, nomina e revoca degli assessori e dei dirigenti da parte del sindaco, incompatibilità tra le cariche di assessore e consigliere); b) le cosiddette “leggi Bassanini” 1 e 2, intese a promuovere una cultura della semplificazione amministrativa e del decentramento come processo; c) il rafforzamento della presidenza del Consiglio e il riordino dei ministeri; d) la legge costituzionale 1/2000 che ha introdotto l’elezione diretta dei presidenti di Regione, il potere regolamentare in capo alle giunte regionali, la possibilità di

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ordinamenti statutari differen- Province) e chi debba deciderlo; i ziati; e) gli interventi sulla finan- nuovi confini tra politica e amza locale, a partire da quelli in- ministrazione. trodotti con le finanziarie 1991 e Insomma, l’applicazione delle 1992, che hanno ampliato in misure di decentramento politico modo notevole l’autonomia fi- e amministrativo degli anni Nonanziaria degli enti locali; f) il vanta sono un tentativo di rispoprocesso di privatizzazioni a li- sta all’insorgenza leghista, ovvero vello periferico (municipalizzate, alla politicizzazione delle fratture aziende speciali, concessionarie, Nord/Sud e centro/periferia. Per etc.), e il parallelo processo di certi versi, le difficoltà della Lega concessione di autonomia agli Nord in tutte le elezioni dal enti statali con presidio nel terri- 1999 al 2006 sembrerebbero intorio (scuole, università, beni dicare un relativo successo di culturali, etc.) e di devoluzione questa strategia bypartisan di condi competenze (valgano per tutti tenimento. Una strategia che, nella sostanza, i casi dell’agricolprendeva atto della tura e del lavoro); Il decentramento tendenza di tutti i g) la cosiddetta “Bassanini ter” politico-amministrativo paesi occidentali al decentramento (ovvero il decreto è il tentativo di dare delle politiche legislativo n. 112 pubbliche e la piedel 1998), che ha una risposta concreta gava all’esigenza avviato il trasferi- alle richieste leghiste interna di dare una mento di importanti competenze, con relativo risposta all’insorgenza leghista, personale e dotazioni finanziarie, così da sterilizzarne i possibili alle autonomie locali; h) la legge esiti secessionisti. di revisione costituzionale sul fe- Tuttavia, le distanze tra Nord e deralismo; i) i nuovi statuti re- Sud, invece di ridursi come negionali. L’attuazione di queste ri- gli altri Stati europei, si sono forme – a volte sottovalutate – aggravate, complice anche la ha tuttavia lasciato insoluti alcu- maggiore autonomia finanziaria ni nodi. In particolare: la que- concessa dai provvedimenti lestione del coordinamento nazio- gislativi prima citati, la quale, a nale delle politiche decentrate al- sua volta, ha ulteriormente inale regioni e agli altri enti locali, e sprito il deficit del bilancio nail tema delle compensazioni fi- zionale. La promessa “più autoscali; il rischio di un neostatali- nomia ha più responsabilità, ha smo regionale, con la produzione più efficienza, ha più sviluppo” di una legislazione elefantiaca e si è incagliata nella spazzatura discordante nelle venti regioni di Napoli, nei dati del Pil e delitaliane; la mancata chiarezza su la disoccupazione meridionale, quali siano gli architravi del po- nelle cronache dei dissesti della tere locale (Comuni, Regioni o sanità in Lazio, Abruzzo, Cala-


L’ANALISI Paolo Feltrin

bria e Sicilia. Inevitabile il riat- Quanto ciò sia compatibile con il tizzarsi delle braci del federali- mantenimento dell’unità naziosmo sotto la cenere, come pure nale costituisce il nocciolo della la crescita dei consensi alla Lega questione. Se le differenze territoriali, come nel caso italiano, comNord, dalla Toscana in su. Di nuovo, come conseguenza, il portano anche forti disuguaglianproblema della riforma federale ze nel reddito prodotto, stabilire risale al primo posto dell’agenda una connessione diretta fra capapolitica, questa volta non più sub cità fiscale e prestazioni potrebbe veste costituzionale, ma attraver- generare effetti dirompenti. La so l’ipotesi di un federalismo fi- soluzione di Calderoli è l’introduscale: a fare da architrave la nozio- zione dei costi standard al posto dei costi storici nelle compensane dei costi standard. Nell’esperienza dei decenni tra- zioni tra centro e periferia. Semscorsi, il regionalismo ha signifi- bra l’uovo di Colombo ma, come cato un approccio del tipo “prima al solito, non è tutto oro quello che luccica. le funzioni, poi la In primo luogo, spesa, la finanza se- Tuttavia, le distanze come ha osservato guirà”. Per quanto Luca Ricolfi, con criticabile, que- tra Nord e Sud si sono ogni probabilità il st’impostazione è sempre più aggravate risultato finale saconseguenza obbligata dell’accetta- e si è inasprito il deficit rebbe un aggravio del debito pubblizione dell’egua- del bilancio nazionale co nazionale, opglianza delle prestazioni su tutto il territorio na- pure un aumento della tassaziozionale. Se si vuol passare a un al- ne, per la semplice ragione che tro schema, va accettata l’idea di molte regioni del Sud – per prestazioni differenziate sulla ba- esempio nella sanità – dovrebbese non solo delle singole opzioni ro ricevere risorse ancora più constrategiche dei governi locali, ma sistenti, se calcolate sulla base dei anche del diverso gettito fiscale, costi standard. In molti casi, insecondo una sequenza “prima la fatti, il problema non è il livello finanza, poi la spesa e le funzioni della spesa – che può essere più seguiranno”. Poiché molte regio- basso, magari per abitante – ma ni non potrebbero disporre di un la sua produttività: spendo meno gettito fiscale in grado di garan- ma peggio. tire le prestazioni attualmente In secondo luogo, i costi standard previste, un’ipotesi rigorosamen- sono difficili da applicare alle te federale dovrebbe mettere in pubbliche amministrazioni. In conto standard di prestazioni for- un’impresa, fissato il benchmark e temente differenziati (a partire il costo standard di un prodotto, da quelle sanitarie, che sono le l’eventuale adeguamento avviene più importanti, assieme all’assi- attraverso un aumento della produzione (e della produttività instenza sociale).

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dividuale) oppure attraverso una riduzione del personale. Proviamo a immaginare di trasporre questa logica in una pubblica amministrazione, dove la stragrande maggioranza dei costi sia costituita da spese del personale, magari assunto per calmierare una situazione di disagio sociale: improbabile intervenire sulla produttività (offrire più servizi di anagrafe, più prestazioni sanitarie, più giri in autobus, anche se non servono, non ha senso), ma difficile anche procedere a licenziare il personale in eccesso. In terzo luogo, l’idea che avvicinare cittadini (contribuenti) alle amministrazioni (di spesa) sia condizione sufficiente per aumentare la responsabilità dei politici può funzionare se intesa in senso assiologico-morale ma non può essere data per scontata e posta alla base delle politiche regolative. Altrimenti si deve spiegare perché le riforme nella sanità degli anni Ottanta e Novanta, con la loro sostanziale regionalizzazione, abbiano avuto esiti tanto divergenti nelle regioni meridionali e in quelle settentrionali. Insomma: di troppa autonomia si può anche morire, se non ci sono eventuali antidoti quando la cura (ipotetica) della responsabilità non funziona. Proviamo a concludere. Se accettiamo l’idea che la domanda di federalismo sia un sintomo piuttosto che la soluzione ai problemi nazionali, bisogna concludere che a fare difetto nella società italiana è la solidarietà nazionale, intesa come disponibilità dei cittadini

delle regioni del Nord a continuare a contribuire fiscalmente per garantire alcuni standard comuni ai cittadini delle regioni del Sud, anche in ragione di una pressione fiscale troppo elevata. Se questa impostazione ha un senso, il problema da porsi innanzitutto è come risolvere la “questione meridionale”, sotto il vincolo della riduzione del debito pubblico, perché da lì, non da altri luoghi, traggono alimento le fratture Nord/Sud e centro/periferia. Si tratta di un’eredità storica che ci portiamo dietro da oltre un secolo e mezzo, ma questa “lunga durata” non costituisce una giustificazione per continuare ad evitarla. Il rischio concreto, anche alla luce del consenso delle regioni meridionali alla proposta Calderoli, è che ancora una volta si cerchi di fare in modo che “tutto cambi perché nulla cambi”. La legge delega, guardandola in positivo, ipotizza un comportamento virtuoso di questo tipo: 1) più autonomia e più responsabilità delle pubbliche amministrazioni producono servizi più efficienti sotto il timore del giudizio (elettorale) negativo degli elettori; 2) un sistema pubblico più efficiente (e onesto) migliora anche la società civile favorendo lo sviluppo di una sana economia di mercato; 3) il circolo virtuoso pubblico/società/mercato migliora le performances del Sud e riduce il divario storico Nord/Sud. Domanda: siamo proprio sicuri che sia così? E che sia davvero questa ricetta da favola bella la soluzione del problema?


L’ANALISI Paolo Feltrin

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L’Autore PAOLO FELTRIN Docente di Scienza della politica presso l’università di Trieste. Ha scritto saggi e articoli sui comportamenti di voto e i sistemi politici locali. Tra le sue pubblicazioni recenti, Nel segreto dell’urna (Utet, 2007).

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Più nazione che Stato, questa è la ricetta

Non c’è autonomia senza solidarietà Il federalismo deve essere insieme competitivo e attento alle esigenze delle realtà meno forti: senza competizione non c’è libertà e senza collaborazione non c’è giustizia. L’agonismo da solo conduce al liberismo selvaggio, ma un puro solidarismo è assistenzialismo perverso DI GIANFRANCO MORRA


LA STORIA Gianfranco Morra

Chissà che non sia la volta buona. Di federalismo, in Italia, si parla da quasi due secoli, ma ben poco è stato fatto. Le proposte federaliste del Risorgimento si scontrarono contro la necessità di unire sette Stati in uno soltanto. Né Cattaneo, né Rosmini potevano essere ascoltati. L’organizzazione del nuovo Regno, nonostante la sensata proposta di Minghetti, scartò il modello federalista anglosassone e assunse quello centralista francese: troppo forte era il timore che il giocattolo, così fortunosamente montato, tornasse in pezzi. Poi fu fascismo: statalismo e centralismo. E anche la Repubblica democratica ci andò con i piedi di piombo: nessun federalismo, ma solo scampoli di decentramento e le regioni assai tardivamente applicate nel 1970. Anche allora una paura: quello di un comunismo saldamente stalinista e rivoluzionario. Eppure una esigenza di trasformazione della repubblica in senso federalista cominciò a farsi strada in tutte le forze politiche. Ancor prima che il “vento del Nord” della Lega ne facesse la madre di tutte le riforme. Basterebbe ripercorrere la storia, purtroppo fallimentare, di quattro assemblee bicamerali (Bozzi, De Mita, Jotti, D’Alema), istituite tra il 1983 e il 1998, per proporre modifiche federaliste della Costituzione. Quindici anni perduti. Solo lo strano bipolarismo nato negli anni Novanta fece qualcosa: nel 2001 fu il centrosinistra che introdusse scarse, frettolose e non sempre coerenti modifiche (non

c’era neppure il nome “federalismo”), nel 2005 toccò al centrodestra, ma le sue modifiche vennero vanificate da un referendum voluto dalla sinistra (quella sinistra che oggi “scopre” le medesime proposte che impose di cancellare). Era davvero un bipolarismo muscolare, tanto che riforme come quelle federali, che richiederebbero la partecipazione di tutti, vennero fatte dall’una o dall’altra parte soltanto. Non insieme, ma contro. Eppure il problema è stato solo bloccato, non cancellato. Questi ritardi nell’introduzione del federalismo non possono non stupire, quando si pensi che, se vi è un paese che ha bisogno di federalismo, questo è proprio il nostro: una lunga penisola, le cui regioni sono diverse, spesso anche radicalmente, nella geografia, tradizione storica, collocazione geopolitica, attività economica, etica civile. Pochi paesi in Europa hanno forti differenze tra le loro parti, come avviene in Italia tra il Nord e il Sud. Il cosiddetto “problema meridionale”, che Sturzo acutamente chiamava “problema dei meridionali”, non solo non ha avuto soluzioni adeguate, ma si è nel tempo sempre più aggravato. Oggi si respira aria migliore. Di cui è frutto recente il progetto provvisorio di legge approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. Anche se, purtroppo, riguarda solo il federalismo fiscale: che è certo parte necessaria e importantissima di ogni riforma federale, come osservava Sturzo: «Senza autonomia finanziaria la

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regione, anche dotata di larga po- Diversa l’altra via. Seguita da testà legislativa, sarebbe un ente quei paesi che, avendo un goversenza reale autonomia, ridotto no centralista, hanno introdotto pari a qualsiasi altro ente che di- il federalismo come autonomia penda dallo Stato» (La regione nel- (ex uno plures). L’esempio più evidente è quello del Belgio (1993) la nazione, p. 37). Necessario, ma non certo suffi- e delle sue regioni, Vallonia e ciente per creare un regime fede- Fiandre, così diverse per lingua, rale. Questa predilezione, anzi religione, attività economica (la isolamento, dell’aspetto fiscale terza regione, Bruxelles, è mista). del federalismo da tutti gli altri Una riforma, favorita dall’istituto reca in sé il pericolo di accentuare monarchico, che mostra oggi, a l’aspetto economicistico del siste- distanza di appena 15 anni, gravi ma federale, mettendo così in se- difficoltà e conflitti. condo piano gli aspetti politici e Appare, dunque, evidente che il solidaristici, senza i quali il fede- federalismo è un patto di unione, non certo di secesralismo diverrebbe una sorta di se- La via naturale è quella sione. Anche se la secessione può essecessione. Questa re considerata (nelriforma fiscale, in del patto che unisce la linea Thoreaulinea di massima, entità diverse per fini Miglio-Buchanan) è condivisa da tutuna possibilità conti, a partire dal e interessi comuni. presidente Napo- Da qui la collaborazione sona ai diritti naturali e alla democralitano, che l’ha definita necessaria e urgente. Natu- zia, essa non può essere confusa col ralmente tra il dire e il fare sap- federalismo – come fanno tutti coloro che invocano federalismo solo piamo che cosa c’è di mezzo. Non può sfuggire il fatto che i fe- per avere secessione. Il federalismo deralismi sono nati in due manie- è, sì, difesa delle autonomie e delre diverse. La via naturale è quel- le specificità, ma sempre dentro la del foedus, che unisce entità et- una forte solidarietà nazionale. Esniche o politiche diverse per fini sa sul piano statuale si esprime nel comuni di collaborazione e dife- modo migliore in un presidente sa. Così fu in Israele, in Etruria, fortissimo, eletto dal popolo. E ciò nella Grecia di Delfi, nella Sviz- lascia intendere che federalismo e zera, nell’Olanda del Seicento e, presidenzialismo sono le due facce massimo esempio, in America. Il di una stessa moneta. confederalismo (unione di Stati) è Questa dimensione solidaristica divenuto federalismo (Stati Uni- del federalismo consente di supeti), unità che rispetta le differen- rare una pseudo-antitesi, che è ze (e pluribus unum). Il federalismo frequente nei dibattiti politici. I nasce come tendenza centripeta, patiti della Costituzione, che macome un patto di unione che non gari giungono a definirla una “Bibbia laica” (quando di Bibbie è anche un patto di soggezione.


LA STORIA Gianfranco Morra

IL LIBRO

Una norma non fa sempre democrazia

Da alcuni anni Tocqueville è considerato il pensatore politico più importante del secolo XIX, ed è senz'altro quello più attuale. Molte delle sue osservazioni sui meccanismi della democrazia e sui suoi punti deboli sono al centro del dibattito politico odierno. E anche il binomio democrazia-Stati Uniti è sempre più nel fuoco delle controversie. La democrazia in America, tra i libri di Tocqueville, ha un fascino particolare perché nasce dall’esperienza concreta di un lungo viaggio durante il quale Tocqueville ha studiato, da storico e da sociologo, la realtà americana e dall’esperienza di quel viaggio ha ricavato un tessuto di riflessioni teoriche che proprio per questo non risultano mai astratte o accademiche. L’autore individuò precocemente gli aspetti della legislazione americana che più avevano rivoluzionato i tradizionali assetti sociali, ma intuì anche che un buon pacchetto di norme giuridiche non bastano a fare una democrazia, se un paese non possiede radicate tradizioni e un profondo rapporto col proprio passato, in altre parole se difetta di cultura. I contraltari politici, cioè l'associazionismo e il decentramento amministrativo, una magistratura autonoma e una stampa libera, sono i cardini e la garanzia del buon funzionamento della democrazia, ma possono non bastare a contrastare le derive di un sistema in cui una massa omologata può imporre la tirannia della maggioranza calpestando i valori etici e morali.

ce n’è una sola e per fortuna non è laica) solo per evitare ogni mutamento in senso federalistico, introducono l’aut-aut: federalismo, sì, purché solidaristico e non competitivo. Scoprono l’acqua calda, dato che non c’è foedus senza “solidarietà”. Ma tale solidarietà non può fare a meno della competizione, che, dentro precisi confini etici, è la legge del progresso e del benessere. Il federalismo, cioè, deve essere insieme competitivo e solidaristico: senza competizione non c’è libertà e senza solidarietà non c’è giustizia. Una pura competizione conduce al liberismo selvaggio e al conflitto, ma un puro solidarismo altro non è che assistenzialismo perverso. Perverso e anche impos-

sibile, dato che senza la produzione di ricchezza prodotta dalla competizione non è possibile distribuire alcuna solidarietà concreta. Non appare dubbio che il federalismo per differenziazione è più difficile di quello per composizione. A Filadelfia, nel 1787, spinti dall’entusiasmo per l’indipendenza e costretti a difendersi dai nemici, gli americani riuscirono a fare il miracolo, come intuì il Tocqueville: «Creare un potere esecutivo che dipendesse dalla maggioranza, e che tuttavia fosse, di per sé, abbastanza forte per agire liberamente nella sua sfera» (La democrazia in America, I, 8). Nacque una Costituzione ancor oggi valida, con i suoi 27 emendamenti, che ha assicurato

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per più di due secoli stabilità ed efficienza di governo. Nel principio federativo venne realizzata una convergenza difficile: quella tra pluralismo e unità, tra autonomia degli Stati ed efficienza del potere federale. Difficile pensare che da noi vi siano le stesse condizioni. Esiste uno Stato centralista decentrato e ogni sua modifica urta contro interessi e poteri stabiliti. Ogni mutamento in senso federalista, in Italia, non potrà essere che limitato e parziale, frutto non già di uno stacco radicale, ma di aggiustamenti e innovazioni concrete e realistiche: non un big bang, ma un salvadanaio. Vi sono, tuttavia, alcune priorità, che stanno largamente facendosi strada nella coscienza popolare e dei politici, tanto che oggi queste proposte trovano ascolto sia nel centrodestra, sia nel centrosinistra. Possiamo così sommariamente indicarle: 1. La fine del bipolarismo ripetitivo di due Camere con le stesse funzioni e la trasformazione del Senato della Repubblica in Senato federale. 2. Una attenta distinzione fra materie spettanti allo Stato, alle regioni e materie concorrenti; con la consapevolezza che la situazione geopolitica ed economica del XXI secolo non può non spostare in qualche modo la bilancia delle competenze sul piatto dello Stato (è accaduto anche nel paese modello del federalismo, la Svizzera, con la sua nuova costituzione del 18 aprile 1999). 3. Soprattutto scuola, sanità e

polizia locale debbono rientrare tra le competenze proprie delle regioni. 4. La successione centralista dell’art. 114 (“la repubblica si riparte (!) in Regioni, Province e Comuni”) va capovolta: “Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni, Stato”, in accordo col principio di sussidiarietà; federalismo è primato delle comunità vicine al cittadino, in cui lo Stato non si riparte, ma che costituiscono la Repubblica; v’è, semmai, da chiedersi se le province siano un elemento utile al sistema federale o ne siano, invece, un ostacolo. 5. Ogni federalismo introduce spinte centrifughe, dal centro alla periferia; tali spinte, valide nell’assicurare rispetto delle autonomie e governi vicini al cittadino, non possono però divenire tendenze dissolutive dell’unità nazionale (senza unità nazionale non ci sarebbe neppure federalismo); in tal senso appare necessario un rafforzamento dell’esecutivo federale, o nella forma, preferibile, del presidenzialismo, oppure, in seconda istanza, con un rafforzamento dei poteri del premier. 6. L’autonomia finanziaria delle regioni, ossia il federalismo fiscale, accompagnato dal fondo perequativo o di solidarietà, appare necessario per realizzare un vero federalismo. La XVI legislatura parlamentare si è aperta, dunque, con un rialzo delle azioni del federalismo e con una minore lontananza fra gli schieramenti politici in merito alla sua realizzabilità. Lecite alcune speranze, ma con la dovuta caute-


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la, data la mole notevole di interessi e privilegi contrastanti, che ancora, come sempre, permangono e creano conflitti tra partiti, regioni, categorie economiche, confessioni religiose e laiche. Se, però, la situazione difficilissima in cui vive il nostro paese può attutire conflitti e aprire a qualche soluzione comune, ciò che più occorre, per realizzare un vero federalismo, non sono solo i calcoli e le utilità. Ciò che più ci manca è una coscienza federalista. Che non è semplice conto dei vantaggi o degli svantaggi che può apportare, ma consapevolezza dei principi etico-politici del federalismo. Il federalismo scaturisce dalla tradizione cristiana del primato della persona sulla società e della società sullo Stato. Da quel principio di sussidiarietà, che non a caso fu definito, anche nel termine usato, da un papa, Pio XI, nella enciclica Quadragesimo anno (1931). E che, prima, aveva retto l’impegno dei gruppi evangelici per la liberaldemocrazia. La base del federalismo può essere reperita nella affermazione contenuta nella Filosofia del diritto di Rosmini (§ 49): «La persona dell’uomo è il diritto sussistente, quindi anche l’essenza del diritto»; o da una delle leggi della Sociologia di Sturzo, quella di “risoluzione”: «La socialità parte dall’individuopersona e si risolve nell’individuo-persona» (La società, § 49). La persona, non l’individuo: anche se la democrazia si è svolta, per ovvie esigenze di critica delle concezioni organiche e assolutistiche dello Stato, nella linea del-

l’individualismo giuridico, le forme esasperate dell’“egoismo”, come quella di Mandeville o di Stirner, le sono estranee. Democrazia non significa primato dell’individuo, atomo irrelato e autosufficiente, ma primato della persona-nella-comunità, ossia di quella tradizione societaria che costituisce l’uomo in quanto tale, in quanto gli trasmette lingua, valori, religione, tecniche lavorative. Più Gemeinschaft, dunque, che Gesellschaft. Più nazione (da nascor), che Stato: «Una d’armi, di lingua, d’altari / di memorie, di sangue, di cor» (Manzoni). Se non tutto questo, almeno molto di questo. Ogni riforma federalistica deve certo partire dalle istituzioni politiche, ma intanto sarà efficiente e positiva, in quanto sia accompagnata da una coscienza federale: che è, sì, la difesa della propria irrinunciabile autonomia contro lo Stato invadente e onnipresente, ma anche l’apertura all’altro in un foedus capace di accordare la libertà e la solidarietà.

L’Autore GIANFRANCO MORRA Professore all'Università di Bologna, ha dedicato i suoi interessi alla filosofia e alla sociologia. È editorialista del Giornale. Fra le sue più recenti pubblicazioni ricordiamo: Introduzione alla sociologia del sapere (1990), Breve storia del pensiero federalista (1993), Sturzo profeta della Seconda Repubblica (1995), Propedeutica sociologica, Monduzzi (1997), Filosofia per tutti (1998).

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Un posto alle autonomie già in classe

Scuola: per un’unità nella differenziazione Fatto salvo il principio che lo Stato deve garantire l’armonia del sistema e tutelare la cultura nazionale, al territorio compete la difesa delle specificità locali e l’integrazione tra istruzione e mondo del lavoro DI IDA NICOTRA


L’ANALISI Ida Nicotra

Dall’entrata in vigore della Carta ti notevoli del dettato costituziocostituzionale del ’48 ai giorni nale in materia. nostri, il sistema della pubblica Come noto, l’art. 33 Cost., nella istruzione è stato al centro di un generale cornice della libertà delprocesso evolutivo che ha interes- l’arte e della scienza e del loro insato tanto il suo “cuore” concet- segnamento, stabilisce nel 2° co. tuale, quanto la sua struttura or- che “la Repubblica detta le norganizzativa. Un processo, questo, me generali sull’istruzione ed caratterizzato sotto entrambi i istituisce scuole statali per tutti profili dalla tendenza, comune ad gli ordini e gradi”, in applicazioaltri fondamentali diritti e servizi ne del mandato costituzionale di sociali, a un sempre maggiore cui all’art. 3 Cost. sulla realizzaspazio da accordarsi al concetto di zione di un’effettiva eguaglianza “autonomia”, tanto in senso terri- sostanziale. Il successivo comma toriale (in ordine alla valorizza- 3 della norma assicura a enti e zione del ruolo degli enti locali privati il diritto di “istituire scuole ed istituti nella definizione e di educazione sennella gestione del Negli anni ’70 inizia za oneri per lo Stasistema d’istruzioto”. Il dettato cone) quanto in senso un lento processo stituzionale sulc o n t e n u t i s t i c o - di autonomizzazione l’istruzione è sisoggettivo (in rapgnificativamente porto al sempre degli istituti verso maggiore ruolo ac- un modello policentrico completato, in materia di diritto cordato alle istituzioni scolastiche e al corpo docen- allo studio, dalla previsione di te nella definizione dei contenuti cui all’ultimo comma dell’art. 34 e delle modalità organizzative Cost. (che afferma il diritto di accesso all’istruzione e la sua obblidell’offerta formativa). Tendenza “federalista” e “autono- gatorietà per almeno otto anni) mia scolastica” si sono dunque laddove assegna alla Repubblica venuti affermando quali principi il compito di “rendere effettivo” idonei, anche sul piano costitu- con “borse di studio, assegni alle zionale, a circoscrivere in maniera famiglie ed altre provvidenze” il sempre più incisiva il ruolo dello diritto dei “capaci e meritevoli” Stato nella scuola e il concetto che siano “privi di mezzi” a “raggiungere i gradi più alti delstesso di “pubblica istruzione”. In ordine all’approfondimento di l’istruzione”. tale evoluzione e allo scopo di Una cornice costituzionale, dunevidenziare, la dimensione “fede- que, che tende a esaltare la valenralista” e “territoriale” di questo za “pubblica” dell’istruzione ed il processo per indagare quale sia il ruolo di garanzia riconosciuto in “posto” delle autonomie locali materia allo Stato: la riserva di nel sistema di pubblica istruzio- legge sull’emanazione delle “norne, appare utile richiamare i pun- me generali sull’istruzione”; l’ob-

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bligo costituzionale a istituire scuole statali di ogni ordine e grado; la garanzia, attuata mediante la previsione della riserva di legge, di un “trattamento equipollente” da accordarsi, rispetto a quello degli allievi della scuola statale, agli studenti delle scuole non statali come necessario pendant alla “piena libertà” da riconoscere a queste ultime; la previsione dell’istruzione non solo quale diritto soggettivo, ma altresì come vero e proprio “obbligo” per gli allievi, ed infine il dovere alla tutela delle capacità e del merito dei meno abbienti al raggiungimento dei massimi livelli formativi. Tali clausole sottolineano la funzione statale non già al “monopolio” sull’istruzione, ma alla garanzia che essa si ponga sia come “strumento di realizzazione della personalità umana”, sia come preparazione di un corpo elettorale responsabile e maturo di cittadini-sovrani, sia come educazione a quei valori supremi dell’ordinamento costituzionale che connotano l’essenza stessa della Repubblica “una ed indivisibile” (art. 5 Cost.) e dettano i contenuti dell’unità politica, economica e sociale della nazione. Con il progressivo appesantimento dei modelli organizzativi “centralizzati” dello “stato sociale” della prima metà della Storia repubblicana diviene necessaria una ridefinizione degli assetti organizzativi dei servizi pubblici, funzionale alla valorizzazione del “principio autonomista” parimenti consacrato dall’art. 5 Cost.


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Si avvia, lentamente, un processo di “autonomizzazione” e di “federalizzazione” dell’istruzione italiana verso un modello di tipo “policentrico” e “integrato”. Esso prende le mosse già a partire dagli anni ’70 per svilupparsi, in un primo momento, secondo il metodo della legislazione ordinaria “a Costituzione invariata”, e poi, con la legge costituzionale n. 3/2001 di riforma del Titolo V della parte II della Costituzione. Centrale appare la ridefinizione delle competenze legislative, regolamentari ed amministrative sancite negli artt. 117 e 118 della Carta. L’art. 117 Cost., infatti, ribadendo al primo comma la competenza legislativa esclusiva dello Stato sulle “norme generali sull’istruzione”, nella più generale riserva di legge statale sulla “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”, assegna alla potestà legislativa concorrente delle Regioni l’“istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e formazione professionale”. Siffatta operazione di ritaglio amplifica senz’altro i margini di intervento legislativo e regolamentare delle Regioni rispetto alle statuizioni dell’originario art. 117. Esso, infatti, limitava la potestà legislativa regionale (da esercitarsi sempre in via concorrente “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con

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l’interesse nazionale”) alla “istru- delle istituzioni scolastiche”, e zione artigiana e professionale e anche mediante la costituzionaassistenza scolastica”, e quindi lizzazione del principio della suscon potestà d’intervento limitata sidiarietà “orizzontale” di cui alla formazione professionale (vi- all’ultimo comma dell’art. 118 sta come una sorta di “cenerento- Cost., che impone alla Repubblila” dell’istruzione pubblica) ed a ca in senso onnicomprensivo (Stamisure promozionali del diritto to, Regioni, Città metropolitane, Provincie e Comuni) di favorire e allo studio. Il nuovo, significativo rafforza- promuovere “l’autonoma iniziatimento della potestà regionale in va dei cittadini, singoli ed assomateria (che viene oggi a porsi ciati, per lo svolgimento di atticome “centrale” nel sistema di vità di interesse generale, sulla pubblica istruzione, fatti salvi gli base del principio di sussidiarieinterventi statali a livello di nor- tà”. Una previsione, quest’ultima generale e, come si vedrà, ma, che sembrerebbe sensibilmente rafforzare, l’autonomia scolain materia di pubstica), è ulterior- L’art. 116 della Carta blica istruzione mente valorizzato “integrata” il didalle previsioni di sancisce una possibile cui all’art. 116 autonomia differenziata sposto di cui all’art. 33 comma 3 Cost., che prevede Cost. sul diritto di (pur in attesa di sulle norme generali, attuazione legisla- successiva a un accordo enti e privati a istituire scuole e istitiva) la possibilità di concessione di forme di “auto- tuti di educazione. nomia differenziata” anche con Siffatto processo di “federalizzariferimento alle succitate “norme zione” e di “autonomizzazione” generali sull’istruzione”, previa dell’istruzione pubblica nel nointesa con lo Stato e sentiti gli stro paese, che ha trovato nella novella costituzionale del 2001 la enti locali della Regione. Se dunque, con le succitate previ- sua formale consacrazione al più sioni, la “federalizzazione” terri- alto livello normativo, era già statoriale dell’istruzione assume va- to oggetto di una fitta serie di inlenza centrale nel sistema sotto il terventi legislativi e regolamenprofilo legislativo e regolamenta- tari “a Costituzione invariata” re, e se l’attribuzione agli enti lo- che fin dagli anni ’70, e con ancor cali di potestà amministrative superiore incidenza negli anni proprie rafforza tale quadro, il ’90, ne avevano scandito e defininuovo Titolo V provvede altresì a to le articolazioni notevoli. Il costituzionalizzare principi atti a Dpr. n. 616/1977, infatti, aveva garantire la “policentralità” del provveduto fin dagli albori del “decollo” dell’ordinamento resistema d’istruzione pubblica. Ciò attraverso l’espresso richiamo gionale, al trasferimento ai Coa salvaguardia della “autonomia muni delle funzioni amministra-


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tive relative alla materia dell’assi- darsi con le previsioni di alla legstenza scolastica, da attuarsi se- ge n. 59/1997 che, in attuazione condo i parametri dettati dalla del principio di “autonomia scolegge regionale, mentre la legge lastica”, riconosce alle scuole il n. 642/1979 provvedeva a trasfe- diritto-potere di elaborare il prorire alle Regioni, con l’istituzione prio Pof (piano dell’offerta formadelle c.d. “Opere universitarie” tiva), che “rappresenta il docu(oggi Ersu) le competenze ammi- mento fondamentale nel quale è nistrative in materia di assistenza delineata la specifica proposta e di sostegno al diritto agli studi culturale e progettuale di ciascuna scuola… che riflette le esigenuniversitari. Ma è con la legge delega n. ze del contesto culturale, sociale 59/1997 (“legge Bassanini”) in ed economico della realtà locale” materia di decentramento ammi- (Fontana). nistrativo, e ancor di più con il Ciò consente dunque a ciascun decreto legislativo n. 112/1998 istituto non soltanto di attuare al meglio e in madi sua attuazione, niera diversificata che si realizzano i Con l’articolo 138 ed ossequiosa del principali interdiritto costituzioventi di “federaliz- le Regioni, tra l’altro, z a z i o n e ” d e l l a possono programmare nale alla libertà d’insegnamento, i scuola. L’art. 138 contenuti dei prodel decreto legisla- l’offerta formativa tivo, infatti, devol- integrata e il calendario grammi ministeriali nazionali, ma ve alla competenza amministrativa regionale materie altresì di integrarli con contenuti assai significative dell’organizza- tratti dalle specificità storiche, zione del servizio d’istruzione: la culturali, sociali ed etniche del programmazione dell’offerta for- territorio di riferimento e di atmativa integrata tra istruzione e tuare modelli organizzativi flessiformazione professionale; la pro- bili in base al contesto di base in grammazione, sul piano territo- cui la scuola operi. riale della Regione e nei limiti Le successive leggi-quadro in madella disponibilità delle risorse teria di “sistema integrato di umane e finanziarie, della rete pubblica istruzione” (e cioè la scolastica, sulla base di piani pro- legge n. 30/2000 e la legge n. vinciali e assicurando il coordina- 62/2000 sulla “parità scolastimento con la programmazione ca”), ribadiscono già prima deldei piani di offerta formativa; la l’entrata in vigore della riforma suddivisione del personale docen- del Titolo V la competenza legite; la determinazione del calenda- slativa regionale per l’assistenza rio scolastico e i contributi alle scolastica (attuata da innumerevoli Regioni in specifiche leggi scuole non statali. Tale assai cospicua devoluzione di ad hoc con l’istituzione di appositipo amministrativo viene a sal- te borse di studio e dei “buoni

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scuola” di rimborso progressivo delle spese d’istruzione delle famiglie) e gli interventi di programmazione regionale sull’istruzione e la formazione professionale. Ulteriormente, la legge n. 53/2003 eleva l’obbligo scolastico a 12 anni e sancisce una crescente integrazione fra “scuola e lavoro” e fra “istruzione e formazione professionale”, valorizzando il ruolo delle Regioni in virtù dell’acquisita potestà legislativa in tale specifica materia. Proprio l’affermarsi della regola di equiordinazione fra Stato ed enti locali quali soggetti costitutivi della Repubblica ex art. 114 e 117 comma I Cost. ha consentito l’elaborazione di una sorta di “estensione” del concetto di “Repubblica” di cui all’art. 33 com-

ma 2 Cost., tale da includere gli enti locali nel processo di elaborazione delle “norme generali sull’istruzione”. La costituzionalizzazione della sussidiarietà “orizzontale” ha portato a ipotizzare la possibilità di un progressivo “ritiro” dello Stato dall’istituzione di scuole e istituti d’istruzione di ogni ordine e grado, da limitarsi all’impossibilità degli “enti e privati” sul territorio a provvedere autonomamente. L’ipotesi di “autonomia differenziata” ex art. 116 Cost. ha indotto talune Regioni (cfr. la legge della Regione Veneto n. 12/2002 dal titolo “Referendum consultivo in merito alla presentazione di una proposta di legge costituzionale per il trasferimento alla Regione del Veneto delle funzioni statali in materia di sanità, formazione

LA CITAZIONE (...) Non possono essere ragioni di censo a stabilire chi deve studiare e quali scuole può frequentare. La scuola dovrebbe essere il mezzo per trasmettere non solo la conoscenza, ma soprattutto le abilità necessarie per raggiungere i diversi livelli della conoscenza in relazione alle capacità e all’interesse delle persone alle varie esperienze cognitive. Pertanto l’apparente assurdità della frase “Tutto quello che non so, l’ho imparato a scuola”non significa che la scuola non insegna nulla, ma ha il senso molto più profondo, che la scuola è il luogo dove vengono messi a disposizione i mezzi per pervenire alla conoscenza. E (...) quest’ultima non potrà essere mai assoluta e completa, ma sempre soggetta a nuove scoperte (o invenzioni). È proprio questa ricerca continua di conoscenza a rendere la vita degna di essere vissuta. Ludwig Wittgenstein Osservazione sui colori (Einaudi)


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professionale e istruzione, polizia locale”) a vere e proprie “fughe in avanti” nel tentativo di ridurre al minimo l’intervento dello Stato nell’esercizio delle sue irrinunciabili competenze in materia di istruzione. A tali tendenze ha replicato la Corte costituzionale con alcune decisioni in difesa dell’interesse unitario. È stato assai efficacemente notato come l’art. 33 comma 2 Cost. stabilisca un vero e proprio “obbligo costituzionale inderogabile” dello Stato all’istituzione di scuole di ogni ordine e grado. Ciò in quanto è interesse primario dello Stato garantire anche sul piano culturale ed educativo “l’unità e indivisibilità della Repubblica”, la tutela dell’identità culturale della nazione, l’uniformità e anzi “l’armonizzazione” dei programmi didattici e dell’insegnamento nel generale rispetto della libertà educativa. E ancora di più lo Stato è chiamato a salvaguardare l’effettività di un paritario godimento su tutto il territorio nazionale di qualificati e omogenei “livelli essenziali” di esercizio e di fruizione dell’istruzione pubblica. In base a ciò il “principio autonomista” enucleato nell’art. 5 Cost. non può estendersi indiscriminatamente all’intero portato dei diritti fondamentali e delle formazioni sociali ex art. 2 Cost. (fra cui, quindi, la scuola e l’istruzione), essendo ruolo primario dello Stato la garanzia di massima degli stessi, ed attitudine degli enti locali il “concorso” e non la “sostituzione” in tale tu-

tela di diritti ed identità. Il ruolo statale viene a essere inteso quale intervento “non più come obbligo sostanziale di raggiungimento di un fine, ma predisposizione strumentale di strutture, mezzi e programmi per la realizzazione di tale fine” (Fontana) operata dalla comunità educativa. Ciò conduce a individuare nella competenza esclusiva dello Stato la “fissazione degli obiettivi generali ed essenziali del sistema educativo”, riservando alle Regioni e agli enti locali il perseguimento di specifiche finalità di diretta attuazione dell’art. 34 Cost. e “la determinazione dei livelli effettivi della prestazione dei servizi, dei loro assetti organizzativi e della loro gestione” (Sandulli). La Corte costituzionale, in tale visione, è più volte intervenuta, sia a livello generale (sentenza n. 303/2003) sia con specifico riferimento alla materia dell’istruzione ed al relativo riparto delle competenze fra Stato e Regioni (sentenza n. 13/2004 e sentenza n. 33/2005), per ribadire come la preservazione dei superiori interessi di uniformità, di adeguata garanzia dei diritti fondamentali e di generale armonizzazione dell’azione legislativa ed amministrativa in particolari materie che involgano tematiche e beni di dimensione “ultra-regionale”, legittimino lo Stato ad attrarre in via sussidiaria nella propria competenza la potestà normativa e di gestione, a garanzia dell’interesse nazionale alla tutela dei diritti.

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Né tale quadro normativo avrebbe potuto subire significative variazioni o pericolosi stravolgimenti, nel senso di un rischio di “atomizzazione” dell’istruzione, dalla riforma costituzionale del 2005, poi non premiata dal voto referendario del giugno 2006. La previsione, ex art. 117 comma 4 della Costituzione novellata, includendo fra le materie di competenza legislativa regionale della “organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche” e della “definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse specifico della Regione”, non avrebbe fatto altro che formalizzare sul piano costituzionale competenze già acquisite “a Costituzione invariata” (con riferimento ai Pof scolastici ed alle attribuzioni organizzative regionali). In conclusione, si può dunque rispondere in termini chiari alla domanda iniziale su “quale federalismo per la scuola”. La normativa costituzionale e ordinaria in materia sancisce il ruolo primario dello Stato quale garante dell’“armonia” del sistema integrato di pubblica istruzione, della difesa dell’identità culturale della nazione e della tutela preminente, a livello nazionale, di adeguati e omogenei livelli essenziali di prestazione del “servizio istruzione” su tutto il territorio nazionale. In tale contesto, le Regioni e gli enti locali sono chiamati a svolgere un ruolo essenziale di “concorso” alla realizza-

zione di un sistema integrato d’istruzione sempre più all’avanguardia. Nell’ottica di un sano “federalismo di gestione”, proprio di una welfare community, occorre affidare agli enti regionali la concreta “realizzazione” dell’efficienza scolastica, con una sempre crescente integrazione fra istruzione e mondo del lavoro e la valorizzazione di quegli aspetti di integrazione programmatica che conducano gli allievi a un’approfondita conoscenza “anche” delle specificità culturali, storiche e di costume della propria terra d’origine. Solo in tale ottica si potrà, nell’interesse di un pieno “sviluppo della personalità umana”, coniugare unitarietà e autonomia in un sistema d’istruzione realmente basato sulla “unità nella differenziazione”.

L’Autore IDA NICOTRA Professore ordinario di Diritto Costituzionale presso la facoltà di Economia dell’università di Catania. Componente del Comitato scientifico della rivista Diritto Pubblico europeo, della Fondazione Nuova Italia. Presidente del corso di laurea triennale in Consulenza del Lavoro, presso la facoltà di Economia dell’università di Catania.


È tutta questione di COMPETENZE DI ALDO LOIODICE

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L’aspetto fondamentale riguardo al federalismo amministrativo non è tanto l’origine delle norme quanto la specificazione dei poteri e della materie da distribuire tra i vari soggetti dello Stato federale Il federalismo, quale impianto costituzionale di riparto delle competenze e dei poteri fra centro e periferia, al di là delle tematiche sulla forma di Stato, si articola all’interno di scenari differenti per origini, contenuti ed effetti. All’interno di tale quadro il federalismo amministrativo risente della variabilità e pluralità delle

definizioni nonché delle concrete realizzazioni, tra le quali la recente esperienza italiana presenta segnali di problematica utilizzazione. In effetti, quando il federalismo è stato fatto coincidere con l’ipotesi di un regionalismo avanzato, l’ambito di osservazione degli operatori giuridici si è notevolmente allargato. Per il federa-


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lismo amministrativo non interessa l’origine della normazione costituzionale, quanto, invece, la specificazione nel settore delle competenze e dei poteri amministrativi nonché delle correlate materie che vengono distribuite tra i soggetti dello Stato federale. L’art. 114 Cost. delinea la presenza di tali soggetti a titolo paritario con una elencazione che intende segnare una prospettiva che parta dal basso per equilibrare i rapporti fra centro e periferia. L’art. 118, inoltre, applica il principio del federalismo amministrativo ma apre la porta a numerosi problemi di assestamento e allocazione delle competenze fra i diversi livelli di operatività federale. Per cogliere le prospettive emergenti occorre articolare l’attenzione sul sistema vigente e sulle sue immediate premesse. L’esame delle problematiche connesse con il tema del federalismo amministrativo risulterebbero troppo ampie ove non le si analizzassero partendo dai recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali. Invero, il Parlamento è intervenuto sul tema, dapprima con le leggi costituzionali nn. 1/1999 e 3/2001, poi con la legge n. 131/2003 (legge La Loggia) e oggi è chiamato (dal governo) a esaminare il disegno di legge in materia di federalismo fiscale. Con le leggi costituzionali menzionate ha introdotto quella che è stata definita “la svolta in senso federale della forma di Stato”, con la legge n. 131/2003 ha dettato le “disposizioni per l’adegua-

mento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale n. 3/2001” e attraverso l’analisi del disegno di legge sul c.d. federalismo fiscale è chiamato a dare attuazione all’art. 119 Cost. La legge La Loggia è quella che merita un’analisi preliminare (pur se “a cronologia invertita” rispetto alle riflessioni di cui ai paragrafi successivi) in quanto definita dalla dottrina “legge sul federalismo amministrativo”. Essa, infatti, prevede una serie di deleghe al governo, dando peraltro attuazione solo ad alcune norme del nuovo Titolo V. Presenta interesse per il tema in esame anzitutto l’art. 2, che delega il governo a individuare le funzioni fondamentali degli enti locali, ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. p), Cost., tali considerando quelle “connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per i bisogni primari delle comunità di riferimento” (comma 4, lett. b)). Fra i principi e criteri direttivi della delega sono indicati il tener conto “in via prioritaria … delle funzioni storicamente svolte” e il “valorizzare i principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione ... anche mediante l’indicazione dei criteri per la gestione associata tra i Comuni” (comma 4, lett. b) e c)). Il secondo parametro comporta, anche per le funzioni fondamentali, la possibilità di un’allocazione non uniforme, ma, come suggerisce il riferimento alla gestione associata, quantomeno gra-

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duata in rapporto alle forme di L’art. 8 detta una puntuale disciplina del potere sostitutivo del gestione. Del conferimento delle altre fun- governo di cui all’art. 120, comzioni si occupa l’art. 7, con previ- ma 2, Cost., al fine di assicurarne sioni, quanto ai principi per il l’esercizio nel rispetto del princiconferimento, specificative/inte- pio di leale cooperazione. Va segrative (per esempio il rispetto gnalata, da parte del comma 6 delle attribuzioni degli enti di dello stesso articolo, la preclusioautonomia funzionale) di quelle ne all’esercizio della funzione di indicate dall’art. 118 Cost. II indirizzo e coordinamento nelle comma 1, ultima parte; si segnala materie oggetto di competenza a tale proposito la clausola resi- regionale concorrente o residuale. duale di competenza a favore dei È tuttavia prevista la possibilità comuni, clausola già desumibile, che, in sede di Conferenze, si percome si è rilevato, dalla nuova di- venga a intese per favorire, oltre che l’armonizzazione delle legisposizione costituzionale. slazioni, il ragSia l’art. 2 sia l’art. giungimento di 7 si occupano al- Il patrimonio genetico posizioni unitarie e tresì dell’attribuzione delle risorse del vecchio federalismo il conseguimento necessarie all’eser- amministrativo sembra di obiettivi comuni. Intese queste cizio delle funzioni trasferite. A tal transitato direttamente che, diversamente da quanto stabilito fine sono previste nella nuova versione dalla disciplina deleggi su iniziativa del governo, sulla base di accordi gli atti di indirizzo e coordinadefiniti in sede di Conferenza mento, soggiacciono sempre alla unificata (art. 2, comma 5; art. 7, regola del consenso. comma 2). È ammesso peraltro, Infine, sull’organizzazione statale nel caso di funzioni diverse da interviene l’art. 10, istituendo la quelle fondamentali, che nelle figura del “rappresentante dello more di approvazione dei disegni Stato per i rapporti con il sistema di legge i trasferimenti delle ri- delle autonomie”, con compiti sorse siano avviati con decreti del non dissimili (ad eccezione di Presidente del Consiglio dei mi- quelli in tema di controllo sulle leggi regionali e di coordinamennistri (art. 7, comma 3). Sempre nell’art. 7, i commi 7 - 9 to dell’attività statale con quella disciplinano i controlli della Cor- regionale) dai compiti già spette dei conti nei confronti di re- tanti al Commissario del governo gioni e enti locali, prevedendo in (commi 1 e 2). particolare che le sezioni regiona- Viene altresì istituito l’“ufficio li possano essere integrate da due per il federalismo amministrativo componenti designati rispettiva- presso la Presidenza del Consiglio mente dal Consiglio regionale e dei ministri” (comma 8). Come già per l’originario, anche dal Consiglio delle autonomie.


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per il nuovo Titolo V risulteranno to di un accordo stipulato con la decisivi gli orientamenti della regione interessata”. A tale riCorte costituzionale. Fra le sen- guardo si richiede che la disciplitenze significative in tema di fe- na “prefiguri un iter in cui assuderalismo amministrativo è da mano il dovuto risalto le attività menzionare per il suo particolare concertative e di coordinamento rilievo la pronuncia (25-9) 1-10- orizzontale, ovverosia le intese, 2003, n. 303, che tiene conto del- che devono essere condotte in bale previsioni del nuovo Titolo V. I se al principio di lealtà”. punti in essa contenuti, che in ra- Il principio dell’intesa deriva dal pida sintesi meritano qui di essere congiunto disposto degli artt. 117 e 118, comma 1, Cost. e conricordati, sono i seguenti: a) in coerenza con la matrice teo- segue “dalla vocazione dinamica rica del principio di sussidiarietà della sussidiarietà, che consente l’art. 118, comma 1, Cost. consen- ad essa di operare non più come te l’allocazione di funzioni ammi- ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attrinistrative in capo buzioni stabilite e allo Stato; L’aumento del potere predeterminate, b) tale allocazione ma come fattore può essere disposta legislativo territoriale, nelle materie di amplia il peso regionale di flessibilità di quell’ordine in vicompetenza statale sta del soddisfaciesclusiva o concor- nell’attribuzione mento di esigenze rente solo dalla delle loro funzioni unitarie”: dunque legge dello Stato, che “in ossequio ai canoni fondan- una “concezione procedimentale e ti dello Stato di diritto”, in parti- consensuale della sussidiarietà e colare al “principio di legalità”, è dell’adeguatezza”. “anche abilita a organizzare e a re- Quanto, infine, al regime delle ingolare le funzioni”, mentre è da tese, si afferma che risponde “allo escludersi che “le singole regioni, statuto del principio di sussidiacon discipline differenziate, pos- rietà e all’istanza unitaria che lo sano organizzare e regolare fun- sorregge, che possano essere defizioni amministrative attratte a li- nite procedure di superamento del dissenso regionale, le quali dovello nazionale”; c) La deroga al normale riparto vranno comunque ... informarsi al della competenza legislativa può principio di leale collaborazione, essere giustificata a condizione onde offrire alle Regioni la possiche “la valutazione dell’interesse bilità di rappresentare il loro punpubblico sottostante all’assunzio- to di vista e di motivare la loro vane di funzioni regionali da parte lutazione negativa”. dello Stato sia proporzionata, non Al fine di chiarire le notazioni sin risulti affetta da irragionevolezza qui svolte sulla normativa vigenalla stregua di uno scrutinio stret- te, appare necessario fare un passo to di costituzionalità, e sia ogget- indietro (nel tempo) e svolgere al-

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cune riflessioni sulle novità in tema di federalismo amministrativo introdotte dal costituente con la riforma del Titolo V della Costituzione. Ciò anche alla luce della non secondaria circostanza che le disposizioni della legge La Loggia e le pronunce della Corte costituzionale si inseriscono in quelli che sono stati definiti “gli spazi vuoti, perché carenti di norme immediatamente applicative” di cui alla riforma costituzionale in parola. Invero, è proprio la novella costituzionale, a sollecitare le riflessioni sul federalismo amministrativo. Di questo, per un verso, è stata prospettata la lettura secondo la quale essa andrebbe letta anzitutto come “copertura” di quanto già introdotto dalla l. 59/1997 a livello di normazione secondaria. Per altro verso, si è sottolineato che i due processi innescati dalla l. 59/1997 e dalla l. cost. 3 “sono radicalmente diversi”, tant’è che si è preferito qualificare il secondo come “regionalismo legislativo”, per sottolinearne il significato soprattutto sul piano della legislazione. In realtà la riforma sembra connotarsi complessivamente per le due nuove generalità introdotte, quella legislativa regionale e quella amministrativa comunale. Il che consente, di parlare, anche dopo la l. cost. 3, di federalismo amministrativo come formula organizzatoria dell’assetto amministrativo, pur nella consapevolezza che la relativa espressione non esaurisce i contenuti della riforma, ma ne sottolinea solo alcuni.


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Si tratta allora di valutare le continuità/discontinuità fra questo federalismo amministrativo (ossia a Costituzione modificata) rispetto a quello delineato dalla l. 59 (definito a Costituzione invariata). È appena il caso di avvertire che fra i due federalismi sussiste comunque una diversità di fondo di carattere formale, costituita dalla diversa natura delle norme che li hanno disciplinati (di legge ordinaria o atti equiparati, di legge costituzionale) con le ovvie conseguenze che dal dato discendono. Dalla segnalazione di tali continuità/discontinuità risulta implicitamente anche le novità, quanto ad assetti amministrativi, fra l’originario e il nuovo Titolo V. Fra i dati di continuità vanno indicati anzitutto i principi validi per l’allocazione delle funzioni, rappresentati dalla “sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione” (art. 118, comma 1, Cost.), gli ultimi due raggruppabili nel principio di funzionalità. Quello di sussidiarietà, a sua volta, continua a essere declinato anche in senso orizzontale (favorire “l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”, art. 118, comma 4, Cost.). Tutti, inoltre, mantengono il riferimento alle singole funzioni, ossia alla natura e alla dimensione delle stesse, e non al livello (nazionale, regionale o locale) degli interessi implicati, sicché sono sempre gli enti a dover essere collegati alle funzioni e non queste a quelli.

Ancora, l’omessa menzione del principio di responsabilità (rispetto alla l. 59/97) non può significarne l’abbandono, stante il generale valore dell’art. 28 Cost. Quanto ai principi di funzionamento, permangono quelli di cooperazione e di sostituzione. Del primo va sottolineata la sicura vigenza. Ancorché non menzionato in termini generali, esso è richiamato da più norme (artt. 116, comma 3; 117, comma 8; 118, comma 3; 120, comma 2, Cost.) ed è sicuramente coerente con la logica di tipo paritario espressa dai principi di sussidiarietà e funzionalità. In conclusione, il “patrimonio genetico” del vecchio federalismo amministrativo sembra transitato senza stravolgimenti nel nuovo, così come l’allocazione delle funzioni continua a comportare il potere di disciplinarne in via normativa l’organizzazione e lo svolgimento, secondo un principio fissato dall’art. 117, comma 6, ult. per., per gli enti locali, ma con valenza generale. E tuttavia non poche risultano le novità. In primo luogo, se la conferma del principio di sussidiarietà porta a configurare di nuovo come limitate le competenze amministrative statali, l’individuazione di queste è interamente rimessa all’operare dello stesso principio, senza che a livello costituzionale risulti un elenco di funzioni amministrative riservate allo Stato. Soprattutto l’art. 118, comma 1, Cost., sulla base dell’implicito assunto che il livello più vicino al

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cittadino è quello comunale, con- In particolare l’inerzia dell’ente sidera di default l’allocazione delle non compare più fra gli elementi funzioni in capo al Comune. Que- della fattispecie legittimante l’insta indicazione rappresenta il ri- tervento governativo, sicché semsultato normale dell’operare del bra ampliarsi il suo spettro di principio di sussidiarietà. Ma al- operatività. trettanto normale, e non deroga- Altri dati di novità sono avvertitorio rispetto al principio, è da bili nella prospettiva istituzionaconsiderare un esito diverso (l’al- le in cui il federalismo amminilocazione a un livello superiore), strativo si colloca. sicché esso non richiede la giusti- Già nella I. 59 emergeva l’abbanficazione specifica propria della dono di una gerarchia fra enti deroga (a un principio), ma solo la fondata sul livello degli interessi motivazione della non adeguatez- curati e si delineava la differenza del livello comunale. È certo, ziazione nell’allocazione delle però, che la clausola generale resi- funzioni come effetto dei principi di sussidiarietà e duale di allocazioadeguatezza. Ora ne delle funzioni La riforma ha salvato il criterio non genon assegnate (in rarchico e la diffeparticolare di quel- il doppio binario le nuove), se prima di rapporti tra enti locali renziazione investono anche l’asgiocava a favore setto istituzionale. della regione, ora e Stato, caratteristico opera a vantaggio della passata esperienza Comuni, province, città metropolitadel comune. In secondo luogo va osservato che l’in- ne, regioni e Stato sono consideracremento degli spazi della potestà ti tutti elementi costitutivi dellegislativa regionale, derivante l’ordinamento repubblicano dal dalla clausola residuale fissata dal- nuovo art. 114, comma 1, Cost., l’art. 117, comma 4, questa sì a che sotto il profilo dei soggetti favore delle regioni, amplia il pe- prefigura quella costruzione dal so che tali enti potranno esercitare basso del sistema amministrativo nell’allocazione delle funzioni, sanzionata dall’art. 118 sotto il stante la regola fissata dall’art. profilo delle funzioni. Ne conse118, comma 2, per la quale la gue una “pari dignità istituzionafonte abilitata a disciplinare la le” di detti enti, che peraltro non funzione è competente altresì a significa identità né sotto il profilo ordinamentale (solo lo Stato e stabilire la sua allocazione. Ancora, l’art. 120, comma 2, le regioni dispongono appieno, Cost. si occupa dei poteri sostitu- nel rispetto della Costituzione, tivi del governo, tema questo già del loro ordinamento) né sotto normato dall’art. 5 del d.lg. 112 quello delle funzioni (solo lo Stato del 1998. I presupposti stabiliti e le Regioni sono titolari della didalle due disposizioni non paiono sciplina legislativa delle funzioni, però pienamente sovrapponibili. ivi compresa la loro allocazione).


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A sua volta la differenziazione de- se tende a prevalere l’idea che le gli assetti istituzionali emerge prime due siano coincidenti, al dalla non previsione di un’unica pari delle altre due, e che quelle fonte competente in materia di del primo gruppo si caratterizziordinamento degli enti locali, no perché connotano il ruolo e la sicché accanto ad un’area di “uni- condizione di autonomia di ciaformità nazionale” (coincidente scun tipo di ente, e quindi siano con le tre submaterie di cui al- di necessaria spettanza. l’art. 117, comma 2, lett. p), È dubbio, poi, se funzioni ammiCost.) si profilano quelle della nistrative dello Stato possano dar“differenziazione su base regiona- si solo nelle materie di legislaziole” e della “differenziazione su ne esclusiva statale o anche in base locale”, in rapporto agli quelle di competenza ripartita. aspetti organizzativi rispettiva- Sussistono inoltre incertezze sulla mente di competenza della legge fonte (statale o regionale) comperegionale (ex art. 117, comma 4) tente ad allocare le funzioni amministrative in ree dell’autonomia (statutaria e rego- La difficoltà di innovare lazione al riparto della potestà legilamentare) locale slativa, e sulla (ex artt 114, com- la forma dello Stato, ma 2, e 117, com- ha portato a valorizzare possibilità, laddove risulti la comma 6, Cost.). Peraltro la differen- la libertà amministrativa petenza regionale, che il suo esercizio ziazione investe offerta dal federalismo avvenga senza il anche il livello regionale (con riflessi su quello sta- previo intervento di leggi statali tale), sia perché le scelte organiz- di trasferimento ai sensi dell’VIII zative ricadono nella competenza disposizione transitoria e finale. legislativa residuale delle regioni A sua volta il concorso fra la fon(art. 117, comma 4), sia perché le te regolamentare statale/regionanumerose forme di accordo previ- le e quella locale, tutte ormai coste (artt. 116, comma 3; 117, stituzionalizzate, non è esente da comma 8; 118, comma 3, Cost.) aspetti problematici. possono avere un impatto sul pia- In particolare, solo parzialmente risolta è la questione dei meccano dell’organizzazione. A parte gli elementi di continui- nismi di raccordo fra i vari livelli tà/discontinuità, la riforma pro- di governo. spetta, o conserva, aspetti ambi- Quanto ai raccordi fra lo Stato e gui o irrisolti. Non sono chiari, le autonomie territoriali, infatti, anzitutto, i rapporti di identità o la riforma ha abrogato della Codifferenziazione fra funzioni “fon- stituzione l’art. 124, che affidava damentali”, “proprie”, “attribui- al Commissario del governo comte” e “conferite” degli enti locali piti di sovrintendenza alle fun(artt. 117, comma 2, lett. p), e zioni amministrative statali e di 118, commi 1 e 2, Cost.), anche coordinamento con quelle eserci-

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tate dalla regione, l’art. 125, che prevedeva il controllo statale sugli atti amministrativi regionali, e l’art. 129, che qualificava province e comuni come organi di decentramento (anche) statale. Restano i controlli della Corte dei conti finalizzati a garantire l’equilibrio della finanza pubblica, che trovano ora supporto nelle disposizioni del nuovo art. 119 Cost., con riferimento particolare al “coordinamento” di cui al comma 2. Permane altresì il complesso delle Conferenze. A parte la costituzionalizzazione del potere sostitutivo del governo (art. 120, comma 2, Cost.), come nuovi strumenti di collegamento sono state introdotte le forme di coordinamento e d’intesa fra Stato e regioni, da prevedersi con legge, per talune materie (immigrazione, ordine pubblico e sicurezze, e tutela dei beni culturali) (art. 118, comma 3, Cost). Quanto ai raccordi fra regione ed enti locali, la riforma, piuttosto che seguire, come sarebbe stato auspicabile, una prospettiva di distinzione/integrazione fra enti, si è mossa in un’ottica oscillante fra l’equiparazione/indistinzione (cfr. artt. 114, commi 1 e 2; 119 e 120, comma 2, Cost.) e la separazione (cfr. artt. 117, comma 2, lett. p), e comma 4; 118, comma 2, Cost.), con il risultato di mantenere in vita quel “doppio binario” di relazioni (enti locali/regione, enti locali/Stato) tipico della precedente esperienza. Inoltre, sono stati abrogati della Costituzione l’art. 129, anche

nella parte in cui qualificava province e comuni come circoscrizioni di decentramento regionale, e l’art. 130, che contemplava l’esistenza di un organo regionale esercitante il controllo sugli atti amministrativi degli enti locali. Nella direzione dell’integrazione un elemento nuovo è costituito dalla previsione che lo statuto regionale disciplini il Consiglio delle autonomie come “organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali” (art 123 u.c. Cost.), formula questa peraltro che risulta aperta anche alla configurazione di un organismo di ridotto rilievo. In un quadro così delineato gli strumenti di coordinamento fra gli enti territoriali (e fra essi e le altre amministrazioni, in particolare quelle c.d. funzionali) non possono che sostanziarsi, fondamentalmente, in procedure di confronto paritario e in moduli consensuali di decisione. Tali procedure e moduli attendono peraltro una precisa messa a punto di regole procedimentali e sostanziali, specie nel caso in cui non si pervenga all’accordo. Da ultimo, una notazione apposita merita il rapporto fra federalismo amministrativo e autonomie speciali. Si corre, infatti, il rischio di un “federalismo a due velocità”, che spinge a riflettere sulla permanenza delle ragioni della “specialità” in un ordinamento che giunga all’approdo di un federalismo (non solo amministrativo) compiuto. Le peculiarità del federalismo amministrativo italiano di cui al-


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la normativa vigente possono essere colte a pieno soltanto attraverso “l’ultimo salto nel passato”. Nell’ordinamento italiano, che la Costituzione del 1948 ha disegnato come Stato con forti autonomie regionali e locali (art. 5 e Titolo V, parte II), ma non con i tratti (in genere considerati) propri dello Stato federale, l’espressione federalismo amministrativo ha assunto un significato affatto particolare. Ciò in connessione con le vicende che nel dibattito e nell’assetto istituzionale hanno riguardato il tema del federalismo. Se nel dibattito politico sviluppatosi negli anni ‘90 il federalismo ha rappresentato un programma di azione di taluni movimenti e partiti portatori di istanze genericamente autonomistiche, con punte talora di vero e proprio separatismo, in quello istituzionale negli stessi anni ha significato soprattutto spinta a completare il disegno regionale fino allora realizzato (federalismo come “regionalismo preso sul serio”) o più in generale a dare compiuta attuazione al principio autonomistico presente in Costituzione. Nella difficoltà (o in attesa) di modificare la Costituzione, innovando la forma di Stato, il federalismo è stato inteso come mezzo per valorizzare le autonomie territoriali prima del mutamento del quadro costituzionale, sfruttando al massimo le possibilità che questo consentiva. E poiché tali possibilità investivano il versante dell’amministrazione, piuttosto che quello della legislazione, il federali-

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smo, come valorizzazione delle La seconda osservazione è che la autonomie territoriali, nelle stagione del federalismo amminiconcrete attuazioni ricevute si è strativo è stata resa possibile daltradotto in federalismo ammi- l’intervenuta consapevolezza della nistrativo, ossia in ampliamen- valenza costituzionale della queto del ruolo di tali autonomie in stione amministrativa e cioè del termini di funzioni e compiti ruolo che l’assetto e il funzionamento degli apparati amministraamministrativi. La formula federalismo ammini- tivi rivestono ai fini del reale atstrativo, ancorché priva di un ri- teggiarsi delle istituzioni pubbliconoscimento legislativo, indivi- che delineate a livello costituziodua dunque, anzitutto, una preci- nale. In questa ottica il federalisa stagione di riforme sul piano smo amministrativo è stato anche istituzionale, stagione, legata l’occasione per un riordino del fondamentalmente alla l. 15-3- complessivo sistema amministra1997, n. 59, e caratterizzata da tivo, con l’ambizione di avviare anche una “riforma un consistente conferimento di Il conferimento di nuovi delle istituzioni attraverso l’amminifunzioni e compiti amministrativi, compiti alle autonomie strazione”. Del conferimento come pure delle locali ha dato modo di funzioni e comconnesse risorse umane, finanziarie di riordinarne il sistema piti amministrativi disposto dalla l. e materiali, dal li- dell’amministrazione 59/1997 può essere vello statale a regioni ed enti locali nonché dal- utile distinguere, a fini di analisi, l’essersi essa esplicata senza mo- il processo in base al quale esso è difiche della Costituzione. Di qui avvenuto dall’assetto cui ha dato anche l’espressione federalismo a origine. Quanto al primo, è da ricordare Costituzione invariata. Pare opportuno formulare due os- anzitutto che la l. 59 non ha servazioni. Pur in un contesto di provveduto direttamente ad opeforma di Stato non federale, il fe- rare tale conferimento - da attuarderalismo amministrativo in Ita- si nelle forme del “trasferimento, lia presentava pur sempre un delega o attribuzione” (art. 1, qualche legame con la nozione comma 1) - ma ha previsto per la teorica e con le attuazioni da que- sua realizzazione atti di differente sta ricevuta in assetti ordinamen- natura, anche non normativa, “a tali certamente federali. Si tratta- cascata”. va della presenza di una clausola Anzitutto decreti legislativi (art. residuale di competenza ammini- 1, comma 1), fra i quali possono strativa che non giocava a favore essere ricordati i d.lg. 4-6-1997, dello Stato, al quale invece spet- n. 143 (in materia di agricoltura tavano funzioni e compiti soltan- e pesca), 19-11-1997, n. 422, e succ. mod. (in tema di trasporto to nominati.


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pubblico locale), 23-12-1997, n. scun ambito regionale, pubblica469 (a proposito di mercato del ti il 21 febbraio 2001. lavoro) e soprattutto, il più im- Questo per quanto riguarda le portante per il carattere di gene- fonti del conferimento. Relativaralità presentato, il d.lg. 31-3- mente ai principi che vi hanno presieduto, è da dire che essi era1998, n. 112, e succ. mod. Poi leggi regionali, destinate ad no riconducibili a tre valori di operare il conferimento agli enti fondo menzionati all’art. 4. comlocali delle funzioni e compiti de- ma 3, della l. 59: la sussidiarietà, voluti dallo Stato (art. 4, comma la funzionalità e la responsabilità. 1). Questo procedimento a “dop- Il primo, declinato in senso vertipia battuta” è stato previsto per cale e orizzontale, ha comportato le materie di cui all’art. 117, l’attribuzione delle “responsabilicomma 1, Cost. (ossia di compe- tà pubbliche... alla autorità territenza regionale), mentre per le al- torialmente e funzionalmente più tre il riparto di funzioni e compi- vicina ai cittadini interessati”, e ciò “anche al fine ti fra regioni e enti di favorire l’assollocali spettava di- La sussidiarietà vimento di funrettamente ai dezioni e compiti di creti legislativi sta- comporta un sistema rilevanza sociale tali (art. 4, comma che va dal basso verso da parte delle fa2). Era previsto almiglie, associaziotresì un intervento l’alto e non dal centro ni e comunità” sostitutivo del Go- verso le periferie (lett. a)). verno in caso di inerzia regionale (art. 4, comma Il secondo, quello di funzionalità, 5), intervento effettivamente ve- scandito sia dal principio di efficacia ed economicità (“con la soprificatosi. Infine, decreti del presidente del pressione di funzioni e compiti Consiglio dei ministri, per il ri- diventati superflui”) (lett. c)), sia parto e il trasferimento dei beni e soprattutto dal principio di adedelle risorse finanziarie, umane, guatezza (“in relazione all’idoneistrumentali e organizzative ne- tà organizzativa dell’amministracessarie all’esercizio dei compiti zione ricevente a garantire, anche conferiti, nonché regolamenti go- in forma associata con altri enti, vernativi, di riordino delle strut- l’esercizio delle funzioni” e “con ture statali interessate dai confe- l’esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dimensioni” rimenti (art. 7). Il processo di devoluzione ha territoriali, associative e organizcoinvolto pressocché tutti gli at- zative di detta amministrazione) tori del sistema istituzionale (Go- (lett. g) e a)), e dal principio di verno, Parlamento, autonomie) e differenziazione (“in considerasi è concluso con l’emanazione zione delle diverse caratteristidei d.p.c.m. di riparto delle risor- che, anche associative, demograse tra regioni e enti locali in cia- fiche, territoriali e strutturali de-

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gli enti riceventi”) (lett. h). Tanto il principio di sussidiarietà che quello di adeguatezza hanno richiesto che le funzioni venissero allocate non secondo la rilevanza dell’interesse da esse rivestito, ma secondo la dimensione delle funzioni stesse, ossia i caratteri intrinseci di ciascuna. Il terzo, quello di responsabilità (comprensivo anche dei principi di unicità e identificabilità), “con l’attribuzione ad un unico soggetto delle funzioni e dei compiti connessi strumentali e complementari”, anche ai fini della “identificabilità in capo ad un unico soggetto della responsabilità di ciascun servizio o attività amministrativa” (lett. e), principio che, nel caso degli enti locali, si specificava nell’“autonomia organizzativa e regolamentare e [nella] responsabilità ... nell’esercizio delle funzioni e dei compiti amministrativi ad essi conferiti” (lett. I). Come principio di chiusura si indicava quello di completezza, per il quale le funzioni e i compiti non mantenuti allo Stato né assegnati agli enti locali venivano attribuiti (unitamente a quelli di programmazione) alle regioni (lett. b) e art. 3, comma 1, lett. a). Dei primi due principi la legge ha fatto diretta applicazione, riservando allo Stato (art. 1, commi 3-5) taluni ambiti funzionali ritenuti di rilievo unitario o nazionale, perché eccedenti la “cura degli interessi e [la] promozione dello sviluppo delle ... comunità” regionali o locali, oppure perché non “localizzabili

nei rispettivi territori” (art. 1, comma 2). Gli ambiti interessati dal conferimento mostrano la diversità fra questo processo e quelli di prima e seconda regionalizzazione che si erano realizzati negli anni ’70, dal momento che sono state interessate materie anche non regionali (ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost.), e quindi senza tener conto del parallelismo fra competenze legislative e competenze amministrative sancite dall’art. 118, comma 1, Cost. Peraltro tale principio è stato applicato, muovendo dal versante amministrazione, essendosi previsto che, per le funzioni e compiti amministrativi non riconducibili alle materie dell’art. 117, comma 1, Cost., le regioni potessero emanare norme attuative ai sensi dell’art. 117, comma 2, Cost., ed essendosi sancito una sua generalizzazione, giacché anche agli enti locali venne affidata la “disciplina della organizzazione e dello svolgimento delle funzioni e dei compiti amministrativi conferiti ... nell’ambito della rispettiva potestà normativa” (art. 2, comma 2). Il conferimento di nuovi compiti alle autonomie territoriali è stata anche l’occasione per un riordino del sistema amministrativo. La l. 59 ha agito, infatti, non soltanto sulle funzioni, ma anche sulle strutture e sui procedimenti. Relativamente alle strutture, giova ricordare che, a parte quanto si dirà a proposito delle Conferenze, la legge conteneva deleghe al Governo (art. 11) per riorganizzare gli apparati centrali e gli enti di-


L’ANALISI Aldo Loiodice

pendenti dello Stato, e per modificare le disposizioni del d.lg. 32-1993, n. 29 (in tema di organizzazione delle amministrazioni pubbliche e di pubblico impiego), deleghe queste in particolare esercitate, rispettivamente, dai d.lg. 30-7-1999, nn. 300 e 303 (in materia di ministeri e di Presidenza del Consiglio), e dal d.lg. 31-3-1998, n. 80. Quanto ai procedimenti, la legge ha previsto (art. 20) un ampio programma di delegificazione, imperniato sulla legge annuale di semplificazione. In breve, conferimento delle funzioni, riorganizzazione delle strutture, delegificazione e semplificazione dei procedimenti, pur nella diversità dei rispettivi contenuti, risultavano legati dal comune obiettivo di riforma complessiva del sistema amministrativo italiano. Obiettivo questo al quale hanno teso altresì le disposizioni dettate da altri atti in tema di federalismo fiscale (cfr. I. 133/1999 e d.lg. 56/2000), di autonomia statutaria delle regioni a regime ordinario e di elezione diretta dei presidenti delle regioni (cfr. l. sost. 22-11-1999, n. 1, e 31 gennaio 2001, n. 2). I principi che interessavano il federalismo amministrativo, inteso come sistema di regole inerenti tanto l’allocazione quanto l’esercizio delle funzioni e compiti oggetto del conferimento, ossia la conformazione e il funzionamento del sistema medesimo, possono agevolmente cogliersi. Il primo principio, che dava luogo al ribaltamento dell’assetto

tradizionale dei rapporti fra Stato, regioni e enti locali – rapporti considerati nella loro generalità – era costituito da quello di nominatività delle funzioni e dei compiti spettanti al livello statale (ossia allo Stato e ai suoi enti strumentali). Il principio, desumibile già dall’art. 1, è stato esplicitato dall’art. 3, comma 1, lett. a), della l. 59 e ribadito in più disposizioni del d.lg. 112/1998, a cominciare dall’art. 3, comma 7. Il criterio di residualità veniva a giocare, come indicato, a favore delle Regioni (art. 4, comma 3, lett. b), della l. 59). Se esso dava luogo al quadro formale dell’assetto delle funzioni allocate, l’elemento sostanziale che presiedeva non solo alla prima allocazione delle funzioni, ma anche alle successive allocazioni e variazioni era costituito dal complesso dei principi sopra richiamati di sussidiarietà, funzionalità e responsabilità. Tali principi, a cominciare da quello di sussidiarietà – rispetto al quale gli altri non hanno se non una valenza integrativa/correttiva – rappresentavano il dato dinamico del sistema, consentendo allo stesso gli aggiustamenti richiesti in rapporto al mutare degli interessi sociali e all’organizzazione dei soggetti pubblici. In breve fornivano al sistema la necessaria flessibilità e capacità di evoluzione. Il principio di sussidiarietà (insieme agli altri) comportava la tendenziale allocazione delle funzioni al livello più vicino ai cittadini – al netto di quelle assegnate all’organizzazione e all’esercizio degli

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stessi cittadini, singoli o associati – e quindi, di massima, l’allocazione delle generalità delle funzioni presso il complesso delle autonomie territoriali e al suo interno presso gli enti locali (cfr. art. l, comma 2, e art. 4, comma 3, lett. a) , della l. 59). Ciò significa che il sistema amministrativo veniva costruito e si evolveva “partendo dal basso verso l’alto”, non più in un’ottica di decentramento di funzioni dal centro alla periferia. Lo spostamento di funzioni, che comunque si determinava dallo Stato alle autonomie, non era altro che un mezzo per pervenire a realizzare un assetto che trovava altrove la sua forza costitutiva. Quanto ai principi che regolavano l’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti, ossia il funzionamento del sistema, va menzionato anzitutto quello di cooperazione fra i vari livelli di governo. L’art. 4, comma 3, lett. d), della l. 59 ne faceva menzione come principio relativo al conferimento delle funzioni “anche al fine di garantire un’adeguata partecipazione alle iniziative adottate nell’ambito dell’Unione europea”. In realtà il principio risultava proprio piuttosto del funzionamento del sistema. La conferma era fornita dalle disposizioni del d.g. 28-81997, n. 281, che sulla base di una delega contenuta nell’art. 9 della l. 59, avevano dato compiuta disciplina alla Conferenza Stato - regioni (già formata dall’art. 12 della l. 23-8- n. 400), prestato copertura legislativa alla Conferenza Stato - città ed autonomie locali (istituita dal d.p.c.m. 2 luglio

1996) e istituito la Conferenza unificata (“per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni”, art. 8, comma 1). Le tre Conferenze, che trovavano nei moduli consensuali (intese e accordi) lo strumento fondamentale di azione, potevano considerarsi gli “organi di governo” del federalismo amministrativo, componendo un centro non statale né tanto meno ministeriale, ma comunitario perché destinato a comporre gli interessi dello Stato-persona con quelli dei soggetti di autonomia pubblica. L’altro principio di funzionamento era costituito dalla titolarità in capo al governo di poteri sostitutivi. Sulla base di un’indicazione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. c), della l. 59, il d.lg. 112, all’art. 5, aveva previsto, con riferimento alle funzioni e compiti conferiti a regioni e enti locali, in caso di accertata inattività da parte degli stessi, e forse anche nel caso di assoluta urgenza, un potere sostitutivo, da esercitarsi ad opera del Consiglio dei ministri con il corredo di garanzie procedurali. L’ipotesi ricostruttiva più convincente è che tale potere esprimesse una clausola di chiusura, che si legittimava non tanto nella nuova ampia dislocazione di funzioni amministrative, quanto nel principio stesso di sussidiarietà, che a certe condizioni, richiamerebbe verso l’alto la legittimazione a provvedere. L’indicazione dei principi che presiedevano al sistema del


L’ANALISI Aldo Loiodice

federalismo amministrativo (sempre nella valenza specifica in esame) consente anche di accennare al ruolo che gli enti territoriali erano chiamati a rivestire nel suo funzionamento. Fermo restando che essi e le loro proiezioni strumentali non esaurivano la “platea” del sistema giacché la nuova allocazione delle funzioni non travolgeva quelle spettanti alle autonomie funzionali (università, camere di commercio, istituti scolastici) (art. 1, comma 4, lett. d), e art. 21) della l. 59 non par dubbio che il federalismo amministrativo si fondava sugli enti rappresentativi di comunità territoriali. Lo Stato conservava sì funzioni operative nominate, ma sempre più veniva chiamato a ricoprire, tramite soprattutto il Presidente del Consiglio (cfr. art. 2, comma 2, lett. d), e art. 4, comma 1, del d.lg. 303/1999) compiti sistemici, potrebbe dirsi di regolazione ordinamentale sul piano amministrativo, quali la rappresentanza generale, l’esercizio di poteri di garanzia e sostitutivi, l’individuazione delle compatibilità complessive, la ricerca di soluzioni condivise. Le regioni e gli enti locali, le une come destinatarie della clausola residuale di allocazione delle funzioni amministrative e comunque di quelle di programmazione, gli altri in quanto assegnatari della generalità dei compiti amministrativi, vedevano potenziato il loro ruolo, necessariamente anche politico, come elementi costitutivi di un sistema nazionale. Tale

impianto, come precisato, costituisce il supporto che permette di comprendere l’innovazione costituzionale del Titolo V.

Bibliografia GIROLAMO SCIULLO, Federalismo Amministrativo, in Rivista telematica federalismi.it, n. 23/2004, dal quale sono state tratte le principali notazioni; ALESSANDRO PAJNO, L’attuazione del federalismo amministrativo, Re, 2001, 667; GIORGIO PASTORI, La redistribuzione delle funzioni: profili istituzionali, Re, 1997, 749 ss; ANTONIO D’ATENA, Il principio di sussidiarietà nella Costituzione italiana, in Riv. it. dir. pubbl. com., 1997, 603; BIN, La funzione amministrativa nel nuovo Titolo V della Costituzione, Re, 2002, 372;

ROBERTO

SABINO CASSESE, L’amministrazione nel nuovo titolo quinto della Costituzione, in Giorn. dir. amm., 2001, 1193.

L’Autore ALDO LOIODICE Professore ordinario di diritto costituzionale nell’università di Bari e Roma; già consigliere nazionale forense; autore di numerosi volumi e scritti costituzionali e amministrativi.

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Il TESTO DEL GOVERNO

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Il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva un disegno di legge in materia di federalismo fiscale sui cui principi è stato acquisito il parere positivo della Conferenza unificata. Il disegno di legge reca una delega per dare attuazione all’art. 119 Cost., come modificato nel 2001 dalla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, con cui è stata in particolare stabilita l’autonomia di entrata e di spesa di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, con l’attribuzione a tali enti di tributi propri e di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio, oltre ad un fondo perequativo statale, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Con l’attuazione dell’art. 119 dovrebbe essere superato il sistema di finanza regionale e locale ancora improntato a meccanismi di trasferimento, in cui le risorse finanziarie di Regioni ed enti locali non sono stabilite e raccolte dagli enti che erogano i servizi ma derivano loro, in misura significativa, dallo Stato. In questo modo tuttavia il sistema di finanza derivata non favorisce la responsabilizzazione degli amministratori né il controllo dei cittadini. Inoltre, i trasferimenti si sono spesso realizzati sulla base della spesa storica: è mancato qualsiasi meccanismo premiante o qualsiasi incentivo all’efficienza. Di conseguenza sono venuti a mancare alcuni elementi essenziali per un armonico funzionamento del sistema secondo l’art. 119 Cost.: la responsabilizzazione dei centri di spesa; la trasparenza dei meccanismi finanziari; il controllo democratico dei cittadini nei confronti degli eletti e dei propri amministratori pubblici. I punti principali del disegno di legge sul federalismo fiscale sono i seguenti. Nessun aggravio per i cittadini. Il passaggio al nuovo sistema non può produrre aggravi del carico fiscale nei confronti dei cittadini: alla maggiore autonomia impositiva di Regioni ed enti locali corrisponderà una riduzione dell’imposizione statale. La pressione fiscale complessiva dovrà anzi ridursi e ad ogni trasferimento di funzioni dallo Stato alle autonomie dovranno corrispondere trasferimenti di personale, in modo da evitare duplicazioni di funzioni o costi aggiuntivi.

Autonomia impositiva. Finisce il sistema di finanza derivata, sulla base della spesa storica, e si passerà gradualmente all’autonomia impositiva ed al criterio dei costi standard: in luogo del finanziamento della spesa storica, che può consentire anche sprechi o inefficienze, si farà riferimento ai costi corrispondenti ad una media buona amministrazione (costi standard). Viene prevista un’effettiva autonomia di entrata e di spesa di Regioni ed enti locali. Ci saranno quindi tributi di cui le amministrazioni regionali e locali potranno determinare autonomamente i contenuti, nella cornice e nei limiti fissati dalle leggi. I tributi dovranno garantire flessibilità, manovrabilità e territorialità; le amministrazioni più efficienti, che sanno contenere i costi a parità di servizi, potranno così ridurre i propri tributi. o Le Regioni disporranno, per il finanziamento delle spese connesse ai livelli essenziali delle prestazioni, di: tributi regionali da individuare in base al principio di correlazione tra il tipo di tributo ed il servizio erogato; di una aliquota o addizionale Irpef; della compartecipazione regionale all’Iva; di quote specifiche del fondo perequativo. In via transitoria, le spese saranno finanziate anche con il gettito dell’Irap fino alla data della sua sostituzione con altri tributi. Per le altre spese le Regioni disporranno di tributi propri; o i Comuni disporranno di tributi propri derivanti da tributi già erariali. In particolare, per le funzioni fondamentali disporranno della compartecipazione e dell’addizionale all’Irpef. Disporranno anche di tributi di scopo legati ad esempio ai flussi turistici o alla mobilità urbana; o le Province disporranno di tributi propri e di tributi di scopo; in particolare, le funzioni fondamentali saranno finanziate da una compartecipazione all’Irpef. Perequazione. Nel quadro del superamento del criterio della spesa storica, si farà riferimento ai costi standard; sarà assicurata l’integrale perequazione per gli enti con minore capacità fiscale per abitante, per le spese riconducibili ai livelli essenziali, per le Regioni, ed alle funzioni fondamentali, per gli enti locali. Il fondo perequativo per i livelli essenziali delle prestazioni sarà alimentato, per le Regioni, dalla comparte-


IL DOCUMENTO

cipazione all’Iva; per le altre spese dall’addizionale regionale all’Irpef. La perequazione ridurrà le differenze delle capacità fiscali senza alterarne l’ordine e senza impedirne la modifica nel tempo secondo l’evoluzione del quadro economico. Le Regioni potranno ridefinire la perequazione degli enti locali fissata dallo Stato, d’intesa con gli stessi enti. Garanzie per gli enti locali. I tributi degli enti locali saranno stabiliti dallo Stato o dalla Regione, in quanto titolari del potere legislativo, con garanzia di un significativo margine di flessibilità e nel rispetto dell’autonomia propria dell’ente locale. Gli enti locali disporranno di compartecipazioni al gettito di tributi erariali e regionali, a garanzia della stabilità dell’ente. Città metropolitane e Roma capitale. Sono previste specifiche disposizioni per le aree metropolitane, la cui autonomia di entrata e di spesa dovrà essere commisurata alla complessità delle più ampie funzioni. Con specifico decreto legislativo sarà disciplinata l’attribuzione delle risorse alla città di Roma, conseguenti al ruolo di capitale della Repubblica. Sarà inoltre disciplinata l’attribuzione a Roma di un proprio patrimonio. Coordinamento dei diversi livelli di governo. Dovrà essere garantita la trasparenza delle diverse capacità fiscali per abitante prima e dopo la perequazione, in modo da rendere evidente i diversi flussi finanziari tra gli enti; è stabilito il concorso all’osservanza del patto di stabilità per ciascuna Regione e ciascun ente locale nonché l’introduzione a favore degli enti più virtuosi e meno virtuosi di un sistema rispettivamente premiante e sanzionatorio. Attuazione degli artt. 119, quinto e sesto c omma, Cost. È prevista una specifica disciplina per l’attribuzione di risorse aggiuntive ed interventi speciali in favore di determinati enti locali e Regioni: gli interventi sono finanziati con contributi speciali dal bilancio dello Stato, con i finanziamenti dell’Unione europea e con i cofinanziamenti nazionali. E’ prevista

anche la possibilità di forme di fiscalità di sviluppo. Viene data inoltre attuazione al sesto comma dell’art. 119 Cost. sul trasferimento di beni dallo Stato al patrimonio di Regioni ed enti locali. Sedi di coordinamento. Si prevede per la prima fase attuativa l’istituzione di una Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, della quale faranno parte i rappresentanti dei diversi livelli istituzionali. La Commissione dovrà raccogliere ed elaborare i dati in vista della predisposizione dei decreti legislativi da parte del Governo, in un quadro di complessiva collaborazione e condivisione tra Stato, Regioni ed enti locali. Sull’esempio di importanti paesi europei di ispirazione federale (Spagna, Germania) si prevede poi l’istituzione di una cabina di regia, quale sede condivisa tra tutti gli attori istituzionali coinvolti, con funzioni di verifica del funzionamento del nuovo sistema a regime e del corretto utilizzo del fondo perequativo. Regioni speciali. I decreti di attuazione dei rispettivi statuti dovranno assicurare il concorso delle Regioni speciali al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarietà ed all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti. Specifiche modalità saranno individuate per le Regioni a statuto speciale i cui livelli di reddito pro-capite siano inferiori alla media nazionale. Fase transitoria. Saranno garantite: - la gradualità del passaggio, in modo non traumatico, dal vecchio sistema basato sulla spesa storica al nuovo sistema fondato sul criterio dei costi standard; - la sostenibilità del passaggio da parte di tutti i soggetti istituzionali; - la congruità delle risorse a disposizione di ogni livello di governo. Salvaguardia. L’attuazione della legge deve essere compatibile con gli impegni finanziari assunti con il patto europeo di stabilità e crescita. Le maggiori risorse finanziarie rese disponibili a seguito della riduzione delle spese determineranno una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo.

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UN PROCESSO

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e revisioni costituzionali degli ultimi anni hanno modificato solo in minima parte il modello di bicameralismo perfetto e paritario. Inoltre, si devono definire ancora le competenze Stato-Regioni, attuare il federalismo fiscale, realizzare la riforma degli enti locali minori, il riposizionamento delle autonomie speciali rispetto alle ordinarie DI LUCA MEZZETTI


L’ANALISI Luca Mezzetti

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INCOMPIUTO La forma di Stato-ordinamento italiana ha compiuto durante l’ultimo decennio passi sostanziali nella direzione della adesione al modello federale di strutturazione dei rapporti fra centro e periferia dell’ordinamento medesimo, abbandonando il modello regionale precedentemente accolto. Tale complesso e articolato processo di riforme, concretatosi nella approvazione di numerose leggi ordinarie e in varie leggi di revisione costituzionale, si è peraltro sviluppato mantenendo fermi alcuni capisaldi e principi

fondamentali insiti originariamente nella Costituzione repubblicana e anzi aggiungendo ulteriori principi – di solidarietà, di leale cooperazione, di sussidiarietà, di unità giuridica ed economica dell’ordinamento – che hanno in certa misura contribuito ad “ammortizzare” l’impatto delle riforme federali e il loro innesto sul tronco originario della Costituzione. A ciò si aggiunga che il federalismo italiano appare tuttora incompiuto a causa del fatto che le riforme pur estese del periodo


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precedente non hanno interessato il titolo I della parte II della Costituzione relativo, in particolare, alla struttura, alla organizzazione e alle funzioni del Parlamento e delle due Camere che lo compongono (Camera dei deputati e Senato della Repubblica). Le varie revisioni costituzionali intervenute non hanno modificato, in altri termini, se non in misura minima, il modello di bicameralismo perfetto e paritario vigente tuttora in Italia, che si sostanzia nella previsione di sistemi elettorali largamente coincidenti per quanto concerne la formazione delle Camere e nel conferimento di identiche attribuzioni a entrambe le Camere sui versanti delle funzioni rappresentativa, ispettiva e di controllo, nonché nella previsione della funzione legislativa quale funzione da esercitarsi collettivamente da parte delle due Camere e nella instaurazione del rapporto fiduciario fra il governo ed entrambe le Camere del Parlamento. Non si è attuata, in altri termini, una differenziazione funzionale fra le due Camere quale riflesso e conseguenza delle riforme in senso federale, non trasformandosi il Senato della Repubblica in Camera federale di rappresentanza degli interessi delle Regioni, né riservando a tale organo funzioni specializzate sul versante federale. È alla luce di tale constatazione che si può rilevare la natura tuttora parziale e incompiuta delle riforme federali italiane. La riforma costituzionale del 2001 ha segnato ulteriormente il


L’ANALISI Luca Mezzetti

divario esistente tra il decentramento amministrativo, inteso come lo svolgimento di funzioni statali di solo carattere amministrativo da parte di organi e uffici distribuiti nel territorio, e quella di decentramento politico/istituzionale, che presuppone, invece, il conferimento di alcune funzioni a favore delle Regioni e degli enti pubblici territoriali in generale. Le Regioni hanno acquistato, infatti, maggiore autonomia diventando centri di indirizzo politico tali da far parlare più che di “ordinamento regionale”, di tanti “ordinamenti regionali” quante sono le Regioni e rafforzando l’interpretazione evolutiva dell’art. 5 Cost. secondo cui in tale articolo si riscontra la presenza di entrambe le tipologie di decentramento. Molti sono i principi fondamentali introdotti dal nuovo Titolo V, che si sono affiancati a quegli artt. 5 e 114 Cost., pilastri interpretativi per la comprensione del fenomeno regionale italiano. A tutela di una unità e di una omogeneità nazionale, comunque garantite nonostante il processo di regionalizzazione in senso forte apportato dalla riforma, sono stati inseriti nel testo costituzionale il concetto di unità giuridica ed economica e il principio della tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali, nell’ambito del potere sostitutivo dello Stato, ai sensi del nuovo art. 120 cost. Il revisore costituzionale ha, inoltre, intrapreso un’opera di

“costituzionalizzazione” di principi fondamentali già adottati da più di un decennio sia dal legislatore ordinario sia dalla giurisprudenza costituzionale: si tratta dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione a cui si aggiungono i principi di differenziazione e di adeguatezza, a cui devono conformarsi i diversi livelli di governo nei loro singoli rapporti. La riperimetrazione della materie di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni, l’attuazione del federalismo fiscale, la riforma degli enti locali minori, il riposizionamento delle autonomie speciali rispetto a quelle ordinarie e viceversa, sono solo alcuni dei problemi tuttora aperti e di non agevole soluzione.

L’Autore LUCA MEZZETTI Professore ordinario di Diritto costituzionale nella facoltà di giurisprudenza dell’università di Bologna.

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L’ANALISI Stelio Mangiameli

Verso un bicameralismo imperfetto

Una Camera alta per le autonomie Occorre un organismo chiamato a rappresentare le Regioni e degli enti locali e a esprimere le istanze delle varie parti dello Stato federale DI STELIO MANGIAMELI

La necessità della Camera delle Regioni e delle Autonomie locali è innegabile. Uno degli elementi che caratterizza un ordinamento nel quale si vuole realizzare un’articolazione delle funzioni pubbliche, anche a prescindere dalla qualificazione in senso federale dello Stato, è quello della partecipazione di tutti i livelli di governo, da quelli più piccoli a quelli di dimensioni più ampie. Questa viene considerata, oggi, un principio del costituzionalismo multilivello, la cui ascendenza è sicuramente da ricollegare agli Stati federali nati per aggregazione di precedenti Stati. In particolare, in questi, il principio di partecipazione culmina nella formazione di una Camera parlamentare nella quale siedono i rappresentanti degli Stati membri, siano essi espressione dei parlamenti statali o dei rispettivi


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esecutivi. Il processo storico di Provincia, piuttosto che la Reaggregazione di più entità statua- gione e lo Stato e questo particoli in un ordinamento più generale lare peso della tradizione comuspiega il sorgere del Senato ame- nale e provinciale (che storicaricano del 1787 e quello del Bun- mente è anteriore allo Stato codesrat tedesco nel 1871. La dottri- stituzionale) è risultato essere efna dello Stato federale, in queste ficace anche nella riforma della forme di partecipazione, ha visto legge costituzionale n. 3 del principi contraddittori dell’orga- 2001. Questa, infatti, nel ridisenizzazione dello Stato moderno: gnare la Repubblica, non ha esiper un verso, infatti, una parteci- tato ad affermare – adoperando pazione degli Stati membri è sta- un verbo particolarmente preta considerata come una garanzia gnante dal punto di vista istitunei confronti dei pericoli di ac- zionale – che essa “è costituita centramento e di trasformazione dai Comuni, dalle Province, dalin senso unitario dello Stato fede- le Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Starale; per l’altro, la partecipazione è In base alla fase storica, to”. Tale disposizione, frutto di stata considerata una tradizione dila giusta compen- la seconda Camera versa da quella fesazione per lo spo- ha avuto un ruolo derale, ha dirette stamento delle deconseguenze sul cisioni dall’ambi- o di garanzia oppure principio della to statale a quello di compensazione partecipazione defederale, che sempre più ha caratterizzato l’espe- gli enti territoriali all’ordinarienza federale. A seconda delle mento generale. vicende storiche la posizione del- Lo stesso art. 11, della legge cola seconda Camera può essere stituzionale n. 3 del 2001, non a considerata, più in una ottica di caso riserva ai regolamenti parlagaranzia, o più in quella della mentari la possibilità di “prevecompensazione. Di certo essa è lo dere la partecipazione di rapprestrumento per la partecipazione sentanti delle Regioni, delle Prodegli Stati membri allo svolgi- vince autonome e degli enti locamento di funzioni di ambito fe- li alla Commissione parlamentare derale, come la revisione costitu- per le questioni regionali”. L’istanza partecipativa degli enti zionale e la legislazione. L’esperienza italiana differisce locali, nel nostro ordinamento, profondamente da quelle federa- perciò, ha conquistato una plurali, non solo per il carattere uni- lità di sedi e, si può dire, giustatario dello Stato, ma anche per- mente, se si considera il compito ché nella sua storia gli ambiti che la Costituzione assegna loro istituzionali territoriali più radi- in termini di funzioni amminicati, in termini di identità, ri- strative, a cui corrispondono i sultano essere il Comune e la servizi alla persona e le prestazio-


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ni concernenti i diritti costituzio- partecipazione e di rappresentannali che caratterizzano il nuovo za – un fatto, questo, che in Germania suscita non poche proteste assetto dello Stato sociale. In particolare, oltre alla transito- da parte dei Comuni e dei Kreise – ria Commissione bicamerale per ma soprattutto il diverso quadro le questioni regionali, va ram- istituzionale in cui dovrebbe inmentata, nell’ordinamento regio- serirsi oggidì la Camera delle aunale, l’istituzione del Consiglio tonomie. Infatti, l’accettazione di delle autonomie locali, per opera una Camera espressione degli esedello Statuto (art. 123, ult. com- cutivi dei Länder appare collegata ma, Cost.) e la necessaria consul- alla generale accettazione della tazione degli enti locali nell’ipo- forma di governo parlamentare, tesi di attribuzione di “ulteriori per di più rafforzata dall’istituto forme e condizioni particolari di della “sfiducia costruttiva”, che autonomia” alle Regioni, ai sensi consente ai Parlamenti dei Ländell’art. 116, comma 3, Cost. der, pur nella continuità e nella garanzia della sta(clausola di asimbilità di governo, metria). Gli scorsi disegni di di decidere liberaIn un breve excursus mente della vita tra diritto compa- legge non garantivano degli esecutivi rerato e tradizione la partecipazione gionali. italiana, relativaDiversamente, mente alla Camera delle autonomie: bene nell’ordinamento delle Regioni e che non siano passati italiano, dopo la delle Autonomie locali, se si pensa a una parteci- legge costituzionale n. 1 del pazione non provvisoria – quella 1999 e l’abrogazione del fondaipotizzata dall’art. 11, cit. – alla mento consiliare della Giunta revita dello Stato, è gioco forza non gionale (previsto dalla precedente fermarsi ai modelli federali e in formulazione dell’art. 122, ult. particolare a quello del Bundesrat comma, Cost.), una Camera degli tedesco. Questa puntualizzazione esecutivi regionali finirebbe con appare necessaria, in quanto per l’acuire lo stato di tensione che anni nel dibattito scientifico ita- sussiste tra gli organi costituzioliano tale istituzione ha costituito nali della Regione e potrebbe il modello di attrazione dei diver- condurre a una disarticolazione si studiosi che si sono occupati della funzione legislativa con quella esecutiva. del tema della seconda Camera. In particolare, per ciò che riguar- Si badi che su questo punto appada i motivi che devono condurre re significativa la storia originaria a rimuovere dall’orizzonte della del Senato americano, dove, alriforma italiana il modello del l’accoglimento generalizzato (a Bundesrat tedesco, va considerato, livello federale e a quello statale) non solo l’assoluta non curanza del presidenzialismo, seguì una degli enti locali nel processo di elezione interamente affidata ai

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Parlamenti statali dei due Senatori rappresentanti dello Stato. Un secondo profilo che va considerato nella costruzione della Camera delle autonomie, discendente anch’essa dalle peculiari vicende italiane, è data dall’esistenza stessa del Senato, il quale, nonostante l’inciso dell’art. 57, comma 1, Cost. (“Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale”), è una Camera nazionale dove siede una parte della classe politica dello Stato; anzi attesa la configurazione regionale del collegio senatoriale, si potrebbe essere indotti a ritenere che si tratta della classe politica che è in condizione di esercitare una notevole influenza nel territorio. Non è realisticamente pensabile che questa classe politica, direttamente eletta dagli elettori, si faccia mettere fuori gioco dalla regionalizzazione del Senato, o rimetta il suo mandato parlamentare, che allo stato è pieno e diretto, alla determinazione di Consigli regionali, provinciali e comunali. La Commissione bicamerale nel progetto del 4 novembre 1997, consapevole dell’importanza di questo aspetto, aveva ipotizzato (art. 79) un Senato con un numero ridotto di componenti (200, rispetto agli attuali 315) e un Senato “in sessione speciale” (art. 89) “integrato da consiglieri comunali, provinciali e regionali eletti in ciascuna Regione in numero pari a quello dei relativi senatori”. Sul piano funzionale, peraltro, accanto al procedimento legislativo monocamerale (con il


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controllo dell’altra Camera) (art. re dalla formazione del Senato 93), era previsto un primo proce- francese e del Bundesrat austriaco. dimento bicamerale di Camera e Non è questa la sede per approSenato (artt. 90 e 94) e un secon- fondire i modelli di comparaziodo procedimento bicamerale con ne, ma è appena il caso di richiail Senato convocato in sessione mare quali aspetti peculiari suscitano l’interesse di chi cerca una speciale (art. 89). Anche con il disegno di legge co- soluzione, per l’Italia, della Castituzionale n. 2544, che venne mera delle Regioni e delle Autoapprovato nella legislatura XIV, nomie locali. Si possono così riasma che non ebbe il consenso del sumere le indicazioni: dalla Francorpo elettorale, il Senato aveva cia il particolare meccanismo di un carattere elettivo e il suo ca- partecipazione degli enti locali rattere federale, al di là del nome, attraverso la costituzione di colleera assai modesto. In più si preve- gi elettorali (di secondo grado) devano una pluralità di procedi- organizzati al livello dei Dipartimenti; e dall’Aumenti con enumestria l’elezione da razioni di oggetti e Un modello possibile parte dei parlamaterie non coincidenti che avreb- per il nuovo organismo menti dei Länder, con la possibilità bero dato vita a in- è, da un lato, il Senato di un mandato di certezze e conflitti, rappresentanza a con rilevanza sul francese, e dall’altro, soggetti esterni. piano della legitti- il Bundesrat austriaco Riguardo al possimità dei procedibile modello di Senato federale menti medesimi. Si può dire che sia stata una for- della Repubblica, cè da dire che tuna se queste normative non so- sul finire della XV legislatura – no andate al di là del semplice la cui brevità ha impedito al diadisegno di legge: composizioni logo sulle riforme istituzionali di del genere non assicurano quella raggiungere seri risultati – in sestabile partecipazione delle Re- no alla Commissione Affari costigioni e delle Autonomie che ap- tuzionali della Camera, si era ragpare necessaria negli ordinamen- giunto un accordo tra le diverse parti politiche sulla “Modificati decentrati. In conclusione, se la Camera delle zione di articoli della parte seconautonomie deve costituire una da della Costituzione, concernenrappresentanza che assicuri la ti forma del Governo, composipartecipazione di Regioni, Città zione e funzioni del Parlamento metropolitane, Province e Comu- nonché limiti di età per l’elettoni, e se è irrinunciabile il caratte- rato attivo e passivo per le eleziore politico del mandato parla- ni della Camera dei deputati e del mentare, con gli aspetti sopra in- Senato della Repubblica”. Il disedicati, appaiono più interessanti gno di legge di revisione costitule indicazioni che possono deriva- zionale prevedeva tra l’altro che

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“in ciascuna Regione i senatori (sarebbero stati) eletti dal Consiglio regionale, al proprio interno, e dal Consiglio delle autonomie locali tra i componenti dei Consigli dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane”. Il Senato della Repubblica sarebbe stato composto, così, in modo da corrispondere alle diverse esigenze di rappresentanza e alle diverse spinte di ordine politico: una prima parte avrebbe dovuto essere eletta dai Consigli regionali, in numero variabile al numero degli elettori; una seconda parte dei senatori avrebbe espresso la rappresentanza degli enti locali. Senza pregiudicare quanto il dibattito può fare emergere nel corso della presente legislatura, potrebbe ritenersi questa proposta come un valido punto di partenza, dopo le incertezze espresse sul punto nel corso delle precedenti legislature. Infatti, sia per le elezioni in seno al Consiglio regionale e sia per quelle in seno al consiglio delle autonomie locali, si tratterebbe sì di una elezione di secondo grado, affidata a “collegi”, ma questo tipo di elezione conserverebbe una forte carica democratica, che riuscirebbe in due intenti: in primo luogo, a collegare la classe dirigente che opera nel territorio (Regioni e autonomie locali), che oggi appare essere alquanto separata da quella che opera nel contesto nazionale; in secondo luogo, a rafforzare e a equilibrare anche il sistema regionale attraverso la formazione dei Consigli delle autonomie locali, non più affidata solo alle

fonti regionali (statuto e legge regionale), ma anche a una legge statale di principio (art. 18). Le diverse componenti dovrebbero avere una consistenza rilevante, in modo da dare luogo così a una vera Camera di rappresentanza e di partecipazione ai procedimenti dove la componente territoriale è fortemente caratterizzante. Di qui anche la variabilità, in base alla popolazione, del numero dei senatori eleggibili da ogni Consiglio regionale e dai Consigli delle autonomie locali. Diversamente dal Bundesrat tedesco, il Senato federale della Repubblica, quale Camera delle Regioni e delle Autonomie locali, dovrebbe essere comunque una Camera parlamentare, per la quale varrebbero i principi dell’art. 67 Cost., divieto del mandato imperativo, e le prerogative dell’art. 68 Cost.. Il suo ruolo nell’ordinamento italiano sarebbe quello di assicurare la partecipazione delle Regioni e degli Enti locali alla vita della Repubblica, inserita in un Parlamento caratterizzato dal bicameralismo imperfetto, che assegna alla Camera alta compiti di garanzia e di controllo con possibilità di aggravamento della procedura ed eventualmente anche di ricorso al giudice costituzionale; mentre alla Camera dei deputati dovrebbero essere rimesse le vicende del rapporto fiduciario con il governo. Quanto, poi, ai procedimenti – senza entrare nella congerie assai complicata dei meccanismi parlamentari – appare sufficiente considerare che il Senato della


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Repubblica funzionerebbe come vera e propria “seconda Camera”, in base alle regole del bicameralismo perfetto, solo in determinate circostanze, quali il procedimento di revisione costituzionale, colmando così una ulteriore lacuna del nostro ordinamento; la legislazione di partecipazione (per esempio, nel caso delle riserve di legge dell’art. 116, comma 3, dell’art. 117, commi 5, 6 e 9, di quelle dell’art. 118 e dell’art. 119 Cost.); le leggi di principio (art. 117, comma 3, Cost.) e quelle riguardanti, in genere, la vita delle Regioni e delle autonomie locali, come la legge di principio sulle elezioni regionali (art. 122, comma 1, Cost.), la legge di cui alla lettera p del comma 2 dell’art. 117 Cost. e le leggi ordinarie sulle variazioni territoriali (art. 132, comma 2, e art. 133, comma 1, Cost.). A questa stregua, il Senato federale – secondo quanto si evince dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 6 del 2004, dove ha auspicato la “trasformazione delle istituzioni parlamentari e, più in generale, dei procedimenti legislativi”) – offrirebbe la possibilità anche di offrire un’adeguata compensazione alle Regioni (e alle autonomie locali) in quei casi in cui la legislazione dello Stato, per ragioni di sussidiarietà, può disciplinare oggetti, materie e compiti di spettanza regionale, definendo anche l’assetto delle funzioni amministrative. Da ultimo, dovrebbe spettare al Senato della Repubblica, quale Camera delle Regioni e delle Au-

tonomie locali, il potere di effettuare le nomine nel caso di istituzioni che sono poste al servizio della Repubblica, sia previste dalla Costituzione, come la Corte costituzionale, e sia indicate dalle leggi ordinarie (si pensi alla commissione di vigilanza, o ai consigli di presidenza del giudice amministrativo e contabile).

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L’Autore STELIO MANGIAMELI Professore di Diritto costituzionale presso l’università degli studi di Teramo, ha pubblicato numerosi saggi, articoli e note su riviste ed enciclopedie specializzate sui vari ambiti del Diritto costituzionale e del Diritto pubblico. Tra gli altri, ha curato curato i volumi Un senato delle autonomie per l’Italia federale (2003) e I servizi pubblici locali (2008).


gli strumenti di

Il federalismo ha una storia che risale al sedicesimo 132

e al diciassettesimo secolo quando studiosi come Althusius cominciarono a teorizzarne l’organizzazione. Nelle pagine che seguono, un breve excursus storico e l’approfondimento sui principali modelli di federalismo moderno. Si va da quello più conosciuto degli Stati Uniti d’America, dove ogni entità locale ha il suo sistema politico soggetto alle limitazioni poste dai livelli superiori, a quello meno noto della federazione brasiliana, basato su un funzionamento cooperativo decentralizzato, passando per quello tedesco, nel quale ogni regione ha la propria Costituzione, un governo e un Parlamento propri, e quello spagnolo, che pur non essendo uno Stato federale, concede ampie autonomie locali.


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MODELLI DI FOEDUS

Trattare del federalismo al giorno di oggi richiede competenza e una conoscenza perlomeno superficiale del termine, sia nella sua accezione politica, che nella sua accezione storica. La storia del federalismo passa per molteplici esperienze positive. Dalle leghe delle città greche fino ad arrivare a quella della Lega Lombarda del 1167-1250. Il federalismo, prima di trasferirsi sul piano meta politico per diventare esclusivamente materia di dibattito culturale, s’incarna nel Sacro Romano Impero di Carlo Magno. La fragile struttura di questa creatura politica 4 lo porta a dipendere da varie entità minori: ducati, vescovati, contee. Il suo processo storico lo porta infine a positivizzarsi negli Stati Uniti d’America, forse il più esemplare caso di Stato federale. Intendere bene il federalismo significa affondare la propria ricerca nella storia. Sebbene questo progetto politico abbia lunga durata, nella cultura politica antica prende piede soltanto tra il sedicesimo e diciassettesimo secolo. Precedentemente, nella teoria classica politica dei greci, di Platone e Aristotele, il termine, o perlomeno il concetto, non era neanche nominato. Infatti, la cultura greca aveva al centro l’individuo, inteso nella sua accezione politica, essendo parte di una polis ben strutturata. Nel Platone maturo della Repubblica, o delle Leggi, il cittadino virtuoso era tale soltanto se adempiente tutti gli impegni sociali e politici che la sua vita, la polis, richiedeva. Tutto il mondo della politica e del sociale della grecità si esauriva nell’universo della polis. Fu per primo un pensatore protestante, Althusius, a portare il termine sul piano

accademico. Egli fu insegnate in una piccola università riformata calvinista. Considerato come il primo ispiratore del concetto di federalismo appronta tutto il suo armamentario ideologico in un trattato entrato nella storia: Politica methodice digesta atque exemplis sacris et profanis illustrata, del 1608. In questo trattato, rompendo i tradizionali schemi tommasei della dialettica scolastica, elencazione, confutazione, responsio, Althsius sottolinea l’importanza che il foedus, il patto, ha nella creazione dello Stato, unito appunto da patti che regolano le varie entità: famiglie, villaggi, gilde e città in un unico continuum politico. Non si può dire che la descrizione politica di quest’uomo del XVII secolo sia ancora valida. La rivoluzione americana ha radicalmente cambiato il carattere collettivo che lo scrittore calvinista aveva impresso alla sua analisi, dandone invece uno di carattere marcatamente più individualista. Dopo Althusius, la fortuna del federalismo riappare nello scritto Lo spirito delle leggi di Montesquieu (1748), dove si parla di una Repubblica federativa. Il termine che il Barone intendeva qui per federativo si riferiva alla possibilità degli Stati di stipulare accordi e di decidere della loro condizione politica, che lui tripartiva in Repubblica, Monarchia e Dispotismo. È nel 1787, con la Convenzione di Filadelfia, e quindi, con un’esperienza positiva, che il dibattito scientifico e non filosofico si affaccia sul problema. Hamilton e Jay insieme ad altri svilupparono e diedero alle stampe sul Federalist delle analisi compiutamente basate su dati storici e teorici del federalismo, cercando di giu-


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stificarne la natura non soltanto su base filosofica. Nella seconda parte del ’900 il federalismo ritorna in auge, dopo che nel primo dopoguerra Wilson aveva cercato di riesumarlo conferendogli una struttura positiva nella Società delle Nazioni. Defunta quest’organizzazione, e finita la guerra, il dibattito sul federalismo mondiale riprende vigore con le Nazioni Unite, le quali, secondo un punto di vista intellettuale avrebbero dovuto rappresentare un punto di partenza per la federazione di tutto il mondo, in modo tale da evitare il ripetersi di quella sciagura immane della Seconda guerra mondiale. In questo filone di pensiero va inserito il dibattito sull’europeismo. Europa che sarebbe dovuta essere la controparte d’oltreoceano degli Stati

Uniti. Un’idea che già aveva preso piede, sebbene in forma più nazionale, molto tempo prima e in forma meno estesa, negli scritti di Carlo Cattaneo, il quale aveva idealizzato, per l’Italia, una formazione federale sulla falsariga di quella americana, fino a prospettare la nascita degli Stati Uniti d’Italia. L’analisi del fenomeno federale comporta il dover porre l’attenzione sul concetto di sovranità. Essendo questa elemento dirimente della distinzione tra Stato Federale e Confederazione. La differenza tra le due fattispecie giuridico-politiche non risulta immediata, essendo stato un argomento di discussione per molto tempo: il perno intorno al quale ruota tutta l’analisi risulta essere la “sovranità” come elemento di discussione sul


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tema del federalismo. Cosa significa questo? La centralità dell’aspetto della sovranità sottende una chiara percezione della differenza tra Stato federale e Confederazione. Se noi intendessimo il federalismo come Stato federale, saremmo costretti a riconoscere allo Stato una supremazia su tutto il resto. Mentre, portare la nostra attenzione sul concetto di Confederazione significherebbe affermare che la supremazia di uno solo venga a mancare. Esempio di questo principio confederativo sono gli Stati americani prima della fusione in uno Stato nazionale o l’esperienza tedesca del 1815. La discussione sulla sovranità ha portato Jean Bodin a sostenere come questo elemento sia in contrasto con la concezione di federalismo. Un elemento questo da intendersi come attributo indispensabile dello Stato. La posizione bodiniana fu ridiscussa ampiamente dai federalisti americani, Hamilton e Jay, per fare alcuni nomi, sul Federalist, dove si metteva in discussione la possibilitádi avere una sovranità condivisa. Il dibattito cercherà di prendere le distanze dalla sovranità come fondamento dello Stato federale. Cosi Friedrich sará costretto a riaffermare che parlare di sovranità in uno Stato federale è un ossimoro. Elazar, dal canto suo affronta la tematica prendendo di petto la sovranità, ma aggirando il problema delegandola al popolo. La sovranità rappresenta un punto essenziale del dibattito sul federalismo. Il discorso sul tema arriva fino alla conclusione di Friedrich che, cercando di prendere le distanze dal concetto, giunge a descrivere il processo federativo come fluido, in divenire costante. In fieri. Questo

per permettere di dipingere sullo stesso piano varie performance federali. Lo Stato federale ha come aspetto principale la funzione normopoietica esclusiva, dalla quale non deve separarsi, pena venire meno alla sua funzione di organo principale della Federazione. Il federalismo può esperirsi sotto varie forme. Un primo tipo è il federalismo duale e rispecchia il modello americano delle origini –allo stesso tempo descrittivo e prescrittivo – nel quale i poteri del governo generale e degli Stati, sebbene esistano e siano esercitati negli stessi limiti territoriali, costituiscono sovranità distinte e separate, che agiscono in maniera distinta e indipendente, nelle sfere che siano loro proprie. Gli altri due modelli di federalismo risultano dalla trasformazione dell’assetto duale, in conseguenza della tendenza all’espansione dell’ambito del governo federale, vale a dire, di un processo più o meno accentuato di centralizzazione. Così, il federalismo centralizzato implica una trasformazione dei governi statali e locali in agenti amministrativi del governo federale. Quest’ultimo è in grado di interferire in modo significativo nelle questioni delle entità sub-statali, al di là del primato nell’esercizio del potere decisionale e finanziario. Il federalismo cooperativo, invece, comporta gradi differenti di intervento del potere federale e si caratterizza per modalità di azione congiunta tra le istanze di governo, nelle quali le entità sub-statali conservano significativa autonomia di decisione e propria capacità di finanziamento. Nel federalismo cooperativo, si realizza un mutamento dei poteri di decisione nei livelli di governo – federa-


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le e locale – a beneficio di un meccanismo, più o meno complesso e formalizzato, di accordo intergovernativo. In base a ciò, si verifica una tendenza alla riduzione delle politiche condotte da un solo governo, registrandosi una interdipendenza e un coordinamento delle attività di governo, in base a una decisione volontaria di tutti gli enti della federazione, senza che operi alcuna pressione gerarchica. Con il federalismo cooperativo, si mostra un’alterazione nel concetto di autonomia, che viene a essere misurata meno per le disposizioni giuridiche e per la difesa dei capisaldi costituzionali e più per la capacità di influenza, tanto nell’ambito delle negoziazioni tra tutti gli enti della federazione, quanto nei procedimenti che devono assicurare l’eguaglianza tra gli enti rappresentati. Per il governo di un’entità federata, la difesa dell’autonomia viene a dipendere dalla sua capacità di negoziazione negli ambiti che considera prioritari. I settori più influenti saranno quelli dotati di una maggiore varietà di informazione e che saranno in grado di comunicare in forma più obiettiva. Nel federalismo cooperativo, gli enti federati perdono, così, una parte della propria autonomia originaria. Tuttavia, questa autonomia perduta non è assorbita dal governo federale, perchè, in realtà, anche le materie di competenza esclusiva o privativa della competenza dell’ente federale risultano interessate. Si evidenzia come il federalismo cooperativo non elimini i conflitti di competenza, gli ambiti di concorrenza o le duplicazioni di attività tra gli enti della federazione, ma intenda ridurre la portata di tali problemi attraverso accordi politici negoziati. Non

costituisce un traguardo definitivo della storia del federalismo, poichè è suscettibile di conoscere fasi di centralizzazione e decentralizzazione. Altro aspetto centrale del dibattito è quello sul federalismo fiscale. Il termine ha un significato polimorfo, come polivalente è la possibilità di espressione di quest’aspetto del federalismo. Il significato piú asciutto è quello che le entità territoriali sono considerate direttamente responsabili delle tasse che esigono. Bisogna peró notare che non esiste nessun caso di libera capacità impositiva totale da parte di ogni ente federato. Ma resta da evidenziare l’aspetto della concentrazione di potere via via cresente dello Stato centrale, come elemento indiscutibile dell’evolversi della presenza politica dei moderni Stati in un contesto federale. Il potere statuale in termini impositivi negli ultimi anni si è andato sviluppando e allargando. E questo ha permesso un aumento del suo peso, in termini di ricatto, sugli altri elementi dello Stato federale, intervenendo direttamente sulla perequazione delle ricchezze nazionali. Il federalismo verticale era tipico di un’etá liberale,: durante la quale lo Stato era destinato a svolgere un ruolo marginale nell’esercizio della sua funzione pubblica. Sviluppatosi un contesto politico nuovo, lo Stato assume un ruolo sempre maggiore: piú incisivo nella vita politica delle istituzioni federate. Oggi il federalismo duale, o cooperativo, risulta essere il metodo piú incisivo di azione politica di uno Stato federale e conta sempre meno la distinzione accademica delle caratteristiche e dei poteri specifici di ogni autorità federativa. Ma assu-

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me rilievo soprattutto la modalità di cooperazione tra l’ente centrale e i suoi federati. Un ultimo elemento di cui tenere conto è la fattispecie dello Stato regionale. Venuto alla luce negli anni trenta del secolo scorso, il concetto, espresso per la prima volta negli studi di Ambrosini, doveva essere un elemento di raccordo tra lo Stato federale e la Confederazione di Stati. Questa particolare forma di federalismo, quasi un tradeunion tra le due opzioni precedenti, era una forma evolutiva di decentramento del potere centrale. Una particolare forma di devolution preesistente a quella posta in essere in Inghilterra circa cinquant’anni dopo. Di differenze, tra la fattispecie giuridica dello Stato federale o della Confederazione e lo Stato Regionale ne esistono e quella che salta subito agli occhi é l’assenza delle regioni all’attivitá normopoietica statale. Mentre negli Stati federali, grazie alla Camera Alta, questo diventa possibile. In passato la questione sulla struttura e sull’identitá dello Stato regionale aveva interessato il dibattito giuridico; Mortati sottolineava come la sola possibile divisione tra le due fattispecie potesse rintracciarsi esclusivamente nella partecipazione alla revisione costituzionale. Altri studiosi moderni, il Vandelli o il de Vergottini, hanno invece rifiutato questa distinzione per arrivare al punto della perdita completa di valore di questa differenza nel dibattito giuridico moderno, perdita d’importanza dovuta all’attribuzione, in entrambi i casi, del potere sovrano al governo centrale. Se nell’ambiente giuridico la dicotomia ha perso di significato, nella

scienza politica ha ancora tutto il suo valore. Infatti, sebbene studiosi come Fridrich ed Elazar, abbiano identificato il federalismo come un processo dinamico, che permetta di abbracciare vari epifenomeni federali, essi continuano lo stesso a delineare tratti specifici che differenzino queste fattispecie dallo Stato regionale. L’aspetto divergente tra le due opzioni è la partecipazione delle unità componenti all’attività legislativa della nazione attraverso la loro rappresentazione alla Camera alta. Elazar, scrivendo negli anni Ottanta, riteneva che l’Italia, il Belgio e la Spagna andassero regionalizzandosi, applicando questo ragionamento a un panorama di generale federalizzazione. Elazar giunse a definire questi Stati come degli Stati unitari che applicano un principio federale, claudico nella sua attuazione, esistendo una strutturata gerarchia tra le diverse componenti politiche. La differenza si basa sulla presenza nella federazione, e nella sua mancanza nel sistema regionale, di un ordine non gerarchico tra le diverse entità: governo centrale e statale. In conclusione, il compito che svolgono le unità federate nella produzione della politica nazionale è, senza dubbio, il discrimine che permette di discernere tra un federalismo secco e uno Stato regionale.


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FEDERALISMO: LA FORZA DEGLI USA

Un progetto di federazione americana fu messo, per la prima volta, a punto da Hutchinson e Franklin nell’Albany plan of Union e riguardava le prime tredici colonie americane. Il piano ebbe breve vita a causa della opposizione della Corona inglese, tesa a impedire che si creasse un’autonomia politica alle colonie, e della perdurante rivalità fra le colonie stesse. Il momento decisivo del processo federativo americano si presentò durante la guerra contro l’Inghilterra. Nel giugno del 1776 il Congresso continentale, organismo deputato a rappresentare le originali tredici colonie, diede ordine a una commissione di dare vita a un piano di confederazione. Il documento fu terminato nel novembre del 1777 e ratificato da tutti gli Stati solamente nel 1781. Era ufficialmente nata l’Unione americana i cui compiti principali dell’Unione erano la difesa e la possibilità di dichiarare guerra e concludere la pace. Esistevano chiaramente ancora dei problemi di coordinamento tra il potere centrale e quello federale. Quest’organo, quello centrale, era fortemente dipendente dagli Stati che spesso eludevano i loro obblighi di sostentamento delle politiche federali. Non esisteva un organo esecutivo creato appositamente, i compiti da portare a termine erano delegati a delle commissioni create ad hoc. In questa prima manifestazione federale ognuna della colonie possedeva un rappresentante e un voto. La nuova istituzione non possedeva un’autonomia finanziaria propria. Per questo era fortemente dipendente dalle forze economiche degli altri Stati. Al termine della guerra la diffi-

coltà derivante dalla forte debolezza della Confederazione venne a galla, difficoltà alimentata dalla rivalità tra gli Stati. In questa situazione che si andava complicando fu convocata a Filadelfia una convenzione che aveva lo scopo di rianalizzare e, nel caso emendare, gli “articoli di Confederazione.” Dalla Convenzione di Filadelfia del 1787 nacque uno Stato federale. La Costituzione americana assume immediatamente il carattere di rigidità, perché la sua modifica è permessa solamente con maggioranze “qualificate”. Il compito di tenere distanti e fermi i reciproci campi di competenza fu affidato dai Padri fondatori alla Corte suprema. Il Bill of right, introdotto nel 1791, aveva come obiettivo quello di dare una cornice ben definita all’area di possibile azione dello Stato contro i cittadini. Altra caratteristica importante dell’architettura costituzionale americana è il presidenzialismo. La Costituzione americana attribuisce il potere esecutivo al presidente che rimane in carica per un periodo di quattro anni. Il testo stabilisce l’mpossibilità, tra il presidente e il Congresso, di sfiduciarsi reciprocamente. In questo è riscontrabile il concetto di “governo separato”: presidente e Congresso godono di una legittimazione elettorale indipendente l’una dall’altra. Mentre al Congresso è attribuita la funzione legislativa (Art. I, sez 1), al presidente è attribuito il potere esecutivo (art. II, sez.1). Il presidente agisce politicamente utilizzando il suo potere di veto e agendo direttamente influenzando i membri del Parlamento della sua parte politica; men-

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tre il Congresso agisce attraverso l’approvazione delle nomine presidenziali. Proprio per questo motivo sarebbe piú corretto parlare di “istituzioni separate”. Fino all’inizio del XX secolo il Congresso mantenne un ruolo centrale, in seguito questa tendenza si è andata affievolendo, portando il ruolo della presidenza sempre piú sotto le luci della ribalta. Il primo aumentò progressivamente il numero di deleghe legislative al presidente, che vide rafforzato il proprio ruolo anche grazie al generale rafforzamento derivante da un’investitura democratica. Il voto popolare fece aumentare il ruolo dell’importanza presidenziale nella gestione diretta del potere. Fino al New deal di Roosevelt, il sistema federale americano si fondava sul criterio del dual federalism, secondo cui le varie istituzioni politiche cooperavano nella legislazione e nell’amministrazione senza interferire reciprocamente. Con la presidenza Roosevelt, 1933-1945, caratterizzata da un aumento delle politiche keynesiane di intervento statale, per far fronte alle necessità economiche dovute alla crisi del ’29, impongono un cambiamento di relazione tra governo federale ed enti federati. In sostanza il processo federativo doveva mettere in atto dei comportamenti cooperanti tra le varie parti in causa allo scopo di poter attivare politiche coordinate. Il sistema federale cooperativo si basa sul principio del grants in aid, misure di finanziamento federale verso governi statali. La resistenza al nuovo corso impresso dal presidente Roosevelt fu rappresentata dalla Corte suprema che bocciò almeno per dodici volte la pratica di queste forme

di aiuto. Il processo del federalismo cooperativo continuò per molto tempo, fino a intrecciarsi con una nuova forma, definita dal suo creatore, Lindon Johnson, federalismo “creativo”, caratterizzato da un aumento delle relazioni dirette tra governo federale e governo locale, con un relativo aumento del volume dei finanziamenti. Gli anni ’70 vedono un cambiamento di rapporti che spinge a ridefinire anche concettualmente il termine, portando a chiamare il nuovo corso “federalismo co-


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ercitivo”, con una riduzione degli aiuti grants in aid e da un aumento degli atti del governo federale di carattere impositivo. Attuamente, il sistema politico statunitense è una repubblica presidenziale federale, dove le funzioni pubbliche vengono esercitate a due livelli, federale e statale, secondo una ripartizione di competenze stabilita dalla Costituzione. A livello federale, il presidente, oltre a essere capo dello Stato, esercita anche il potere esecutivo. Il Potere legislativo spetta alle due

camere del Congresso, il Senato e la Camera dei Rappresentanti. Il Potere giudiziario ha il compito di interpretare la Costituzione e le altre norme federali ed è composto dalla Corte Suprema e da “corti inferiori”, distribuite sul territorio. Ogni Stato ha una sua Costituzione e un sistema di governo simile a quello federale, con un Governatore eletto dal popolo, un organo legislativo e un sistema di corti che esercita la giurisdizione nelle materie di ambito statale. La politica è dominata dai due partiti maggiori, i democratici e i repubblicani. Il governo è responsabile davanti ai cittadini, che possono cambiarlo attraverso le elezioni, e i suoi poteri, soprattutto riguardo alla libertà di religione, di espressione e polizia, devono essere limitati per impedire abusi. I cittadini devono essere uguali davanti alla legge, e non si possono stabilire privilegi per qualcuno di essi. Ogni persona fuori dalla capitale federale è soggetta ad almeno tre livelli di governo (jurisdictions): quello federale, quello dello Stato e un governo locale, di solito una contea (si noti che in certi luoghi la contea è stata abolita e le sue funzioni sono svolte dalle autorità municipali). In un'area amministrata da una municipalità (incorporated), come una città, si è in presenza di un ulteriore livello di governo, quello della municipalità stessa e dei suoi distretti, se esistenti. A livello federale, il potere esecutivo, indipendente e non legato da vincoli di fiducia a quello legislativo, si incentra sul presidente e su una serie di dipartimenti, agenzie e altre istituzioni che dipendono

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dalla presidenza. Il presidente e i suoi più stretti collaboratori (alcuni dei quali assimilabili ai ministri del governo italiano) sono indicati, nel complesso, come amministrazione. Il potere legislativo federale è rivestito dalle due camere del Congresso, il Senato e la Camera dei rappresentanti. Il “parere e consenso” del Senato è indispensabile per confermare molte nomine presidenziali e per ratificare i trattati internazionali. Il potere giudiziario all’interno dell’ordinamento federale è esercitato dal judicial branch (o judiciary), termine che comprende la Corte suprema e da corti federali minori. Funzione del potere giudiziario è quella di interpretare e applicare il diritto federale, ossia la Costituzione degli Stati Uniti, le leggi e i regolamenti federali. Tipiche competenze statali sono quelle relative alle comunicazioni interne, le norme che regolano la proprietà, l'industria, gli affari e i servizi pubblici, gran parte degli illeciti penali, oppure le condizioni di lavoro all'interno dello stato. Il governo federale richiede che i vari stati adottino una forma di governo repubblicana e che non promulghino norme che siano in contrasto con la Costituzione o con le leggi federali, oppure con i trattati firmati dagli Stati Uniti. Ci sono, naturalmente, molte aree di sovrapposizione tra le competenze federali e statali. Soprattutto negli ultimi decenni, il governo federale ha assunto responsabilità sempre maggiori in materie come la sanità, l'istruzione, il welfare, i trasporti, le abitazioni e lo sviluppo urbano. Comunque, i programmi attraverso cui il governo federale esercita queste competenze, sono spesso

adottati in cooperazione con gli Stati e non imposti dall’alto. Come il governo nazionale, i sistemi statali si compongono in tre tranche: esecutivo, legislativo e giudiziario, che svolgono, in linea di massima, le stesse funzioni dei loro corrispondenti a livello federale. Il capo dell'esecutivo statale è il governatore, eletto dal popolo, in genere per quattro anni (in certi stati, il mandato del governatore dura solo due anni). A parte il Nebraska, che ha un organo legislativo monocamerale, tutti gli Stati hanno una legislatura con due Camere, in cui la camera alta si chiama generalmente Senato e quella bassa Camera dei rappresentanti, Camera dei delegati, oppure Assemblea generale. Le Costituzioni dei diversi Stati differiscono in qualche dettaglio, ma generalmente si basano su un modello abbastanza simile a quello della Costituzione federale. Gli Stati Uniti sono altamente urbanizzati e circa l'ottanta per cento della popolazione vive in città o in zone suburbane. Le questioni relative al governo delle città sono quindi centrali. Le amministrazioni cittadine forniscono alla popolazione la maggior parte dei servizi indispensabili alla vita di ogni giorno, dalla polizia ai vigili del fuoco, passando per i trasporti, le regole di sanità, le scuole e l’edilizia. I governi municipali variano parecchio all'interno della nazione. Praticamente tutti hanno una qualche forma di consiglio comunale eletto dai cittadini e un organo esecutivo, assistito da diversi capi dipartimento, che sovraintende alle attività amministrative. In generale, le tipologie di governo cittadino sono tre: il mayorcouncil, il council-manager e quello in-


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centrato sulla Commissione cittadina. Molte città hanno sviluppato una combinazione tra le varie tipologie. C’è poi la Contea che è una suddivisione dello Stato. Anche i modelli di contea variano molto. Per esempio, ognuno dei cinque boroughs in cui è divisa New York è una contea. D'altro canto, la Contea di Arlington, in Virginia, separata da Washington dal Potomac, è priva di municipalità ed è governata da un'amministrazione unitaria di contea. Quando, come in questi casi, i governi cittadini e di contea coincidono, si è in presenza del modello denominato consolidated city-county, utilizzato da diverse grosse città. In gran parte delle contee statunitensi, un centro urbano svolge le funzioni di capoluogo, in cui si riunisce la commissione di contea. Nelle contee più piccole, la commissione viene eletta in un unico collegio, che comprende tutto il territorio. Nelle maggiori, i commissari (o supervisori) rappresentano i vari distretti. La commissione impone i tributi, assegna i fondi, fissa lo stipendio ai dipendenti dell'ente, sovrintende alle elezioni, cura la costruzione e il mantenimento di strade e ponti, amministra i programmi di welfare nazionali, statali e di contea. In qualche stato del New England, le contee non hanno funzioni di governo e sono unicamente divisioni del territorio. Migliaia di municipalità sono troppo piccole per essere qualificate come city. Sono così denominate town e village. Queste forme minori di governo locale curano i bisogni essenziali del territorio, come assicurare il mantenimento e l'illuminazione delle strade, assicurare i rifornimenti idri-

ci, fornire i servizi di polizia e antincendio, promulgare i regolamenti di sanità, provvedere alla raccolta dei rifiuti e alle fognature, raccogliere i tributi locali, amministrare i servizi scolastici d'intesa con lo Stato e la contea. In molti Stati il termine town non ha un significato giuridico preciso e indica semplicemente i centri abitati. In altri Stati, town indica un sistema di governo municipale (come, in altri Stati, la civil township). L'ente è amministrato generalmente da un consiglio elettivo, indicato con nomi diversi. L'organo può avere un presidente, che svolge le funzioni di capo esecutivo, o può esistere un sindaco eletto. I dipendenti possono includere un segretario, un tesoriere, funzionari di polizia e dei pompieri, addetti alla salute e all'assistenza pubblica. Un aspetto unico del governo locale, che si riscontra soprattutto nel New England, è il town meeting. Una volta all'anno, o più di frequente se necessario, gli elettori registrati della comunità si riuniscono in assemblea per eleggere i funzionari pubblici, dibattere degli argomenti locali e approvare norme locali. L'assemblea decide sulla costruzione e la manutenzione di strade, edifici pubblici, tasse, bilancio dell'ente locale. Il town meeting, che esiste da più di due secoli, è spesso citato come la forma più pura di democrazia diretta, in cui il potere di governo non è delegato, ma esercitato direttamente e con cadenza regolare da tutta la popolazione.

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LO STATO IN LÄNDER

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Il primo passo verso l’unificazione tedesca fu lo Zollverein del 1834, preludio mercatista alla successiva unificazione politica. Il processo venne poi a compimento sotto la guida politica di Otto von Bismark e il kaiser Guglielmo nel 1870. Anche dopo l’unificazione, gli Stati che confluirono nella Germania continuarono a mantenere una notevole indipendenza amministrativa che, fatta esclusione per la parentesi nazista, non persero mai. Oggi la Germania è a tutti gli effetti uno Stato federale e il suo ordinamento attuale, con la suddivisione in 16 Länder, si è venuto a creare dopo il 1945, tenendo in parte conto delle vecchie affinità di popolazioni e dei confini storici. È La legge fondamentale del ’49 a stabilire esplicitamente per il paese una forma federale, auspicata anche dagli alleati americani, che preferivano questa struttura governativa come balance per evitare rischi antidemocratici. È sempre nel 49’ che prendono vita i Länder, unità di governo federali, ben definite politicamente, che mantengono con il centro un rapporto federale cooperativo. Il loro ruolo si struttura in un ambito legislativo concorrente in tutti gli ambiti legali nei quali non è attiva la funzione esclusiva dello Stato. Prima della riunificazione, la Ddr (l’exGermania dell’est) era formata da 5 regioni, la Repubblica federale (la Germania dell’ovest) aveva 10 regioni e Berlino, oggi la sedicesima regione, era spaccata in due tra Berlino-est e Berlino-ovest. La caratteristica fondamentale del sistema federale tedesco consiste nel fatto che sia la Repubblica federale, sia i singoli Länder, sono veri e propri Stati. All’articolo 20

della Costituzione, infatti, è scritto che «la Repubblica federale tedesca è uno Stato federale democratico […]». La Costituzione federale del 1949 prevede che la Germania sia retta da un Bundeskanzler (cancelliere), il capo del Governo, corrispondente al presidente del Consiglio italiano, un Bundespräsident (presidente dello Stato federale), il capo dello Stato, con gli stessi compiti, prevalentemente rappresentativi, del presidente della Repubblica in Italia, il Bundestag, la prima Camera, e il Bundesrat, la seconda Camera. Il Bundestag, 614 deputati (numero che può però variare da una elezione all’altra) eletti dal popolo ogni 4 anni, ha una funzione corrispondente a quella della Camera dei deputati italiana: elabora, discute e approva le leggi. Il Bundesrat, solo 68 deputati, è invece una rappresentanza delle regioni ed è strumento imprescindibile del sistema federale: i suoi membri non sono eletti dal popolo, ma delegati dai governi delle regioni. Questa Camera, detta delle regioni o delle autonomie, è coinvolta nei processi legislativi ogni volta che una legge tocca interessi regionali (in pratica nel 70-80% dei casi). La composizione politica della seconda Camera, basandosi sui governi regionali, può essere molto diversa da quella della prima e cambia ogni volta che cambia il governo di una delle 16 regioni. Ogni regione ha il diritto di darsi una propria Costituzione, ha un proprio governo, un Parlamento eletto ogni 4 o 5 anni, un presidente del Consiglio, dei ministri e dei ministeri; il numero dei deputati di ogni


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Länder dipende dalla sua grandezza, ma sono comunque molto tutelate le regioni piccole. Il Parlamento può emanare delle leggi regionali e dei decreti; la Costituzione regionale e le leggi non possono però in nessun caso essere in contrasto con le leggi nazionali: queste determinano una cornice unitaria, all’interno della quale le regioni fanno quello che ritengono giusto. Le autonomie regionali riguardano soprattutto: - scuola, università, cultura; - polizia; - diritto comunale; - parte del diritto tributario; - legislazione (in collaborazione con lo Stato); - quasi tutto il lavoro di amministrazione interna. In molti campi, per esempio in quello eco-

nomico, lo Stato e le regioni agiscono insieme in propri spazi predefiniti. In sostanza, solo gli affari esteri, una parte del diritto tributario, il settore valutario e monetario, il traffico aereo, la dogana e le forze armate sono di competenza e amministrazione esclusiva dello Stato; tutti i tribunali, con eccezione della Corte costituzionale e delle Corti superiori, sono di competenza dei Länder. Per garantire, nonostante le profonde diversità regionali (geografiche, economiche, sociali, di superficie e popolazione), un certo livellamento indispensabile, per esempio nel settore scolastico, i Länder fanno accordi tra loro che, una volta approvati, sono vincolanti per tutti. La costituzione della Germania dice esplicitamente che il Governo nazionale ha tra i suoi compiti l’omogeneizzazione delle condizioni di vita nelle varie parti della

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Germania. Per questo, ogni anno, secondo una chiave di distribuzione prestabilita, le regioni più ricche devono aiutare economicamente quelle più deboli, sono state messe in atto scelte politiche cooperative che evitino che il differenziale di stile vita diventi insostenibile e non equo e con il passare del tempo anche la politica fiscale è divenuta sempre più oggetto di politiche cooperative. Grazie al Bundesrat, le regioni hanno una notevole influenza sugli affari dello Stato e spesso le decisioni di questa Camera non seguono la logica dei partiti, ma quella degli interessi regionali. Nella Legge fondamentale sono presenti tutti i princìpi che caratterizzano un vero e proprio Stato federale: ripartizione delle competenze legislative tra federazione ed entità federate (Länder), rappresentanza delle stesse entità federate all’interno del Senato federale (Bundesrat). L’articolo 30 prevede per i Länder – per il riparto delle competenze – la clausola residuale in base alla quale, se la Costituzione non dispone diversamente, l’esercizio di tutte le funzioni (legislative, amministrative, giurisdizionali) spetta ai Länder. In generale, la legislazione è competenza primaria del Governo federale e del Bundestag, mentre l’esecuzione amministrativa di tutti i Länder. Comunque, la caratteristica forte del federalismo tedesco riguarda le competenze amministrative, tanto che, a questo proposito, si parla anche di federalismo d’esecuzione. Anche i Comuni tedeschi hanno propri spazi autonomi: la Costituzione della Germania garantisce espressamente l’auto-

nomia amministrativa delle città. Il diritto comunale è di competenza dei Länder; le costituzioni comunali, per esempio anche il sistema elettorale, presentano grosse differenze tra una regione e l’altra, dovute anche a motivi storici. Lo spazio autonomo dei comuni riguarda soprattutto: - traffico locale e costruzione di strade; - rifornimento di elettricità, luce, gas, etc.; - urbanistica; - possibilità (regolata da leggi regionali) di applicare tasse e imposte proprie; - costruzione e manutenzione di scuole, ospedali, teatri, musei e campi sportivi; - istruzione per adulti e assistenza ai giovani. Anche se i Comuni possono applicare tasse e imposte proprie, la gestione dei compiti sopraindicati supera molto spesso le loro possibilità. Per questo, i comuni possono chiedere aiuti al distretto, l’entità territoriale successiva, o anche alla regione; la distribuzione delle entrate è comunque sempre in discussione. Le tasse che si pagano sono suddivise in tasse che vanno al 100% allo Stato, tasse che vanno direttamente alle Regioni, tasse che vanno ai Comuni e tasse che vengono distribuite in vari modi tra queste tre entità federali. Chi incassa gestisce anche autonomamente le spese, nella misura in cui le leggi, regionali e nazionali, lo permettono. Negli oltre cinquant’anni dall’entrata in vigore del Grundgesetz (Costituzione), il sistema federale tedesco si è indirizzato verso una forte interdipendenza e collaborazione tra i diversi Länder e tra questi e lo Stato centrale, realizzando quello che molti studiosi, politologi e costituzionalisti, hanno definito come un classico mo-


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dello di federalismo cooperativo. L’intreccio fondamentale nel federalismo cooperativo, in Germania, è dato dalla compresenza di una cooperazione verticale, quella tra federazione e Länder, e di una cooperazione orizzontale, l’aspetto forse più importante del federalismo cooperativo tedesco, una sorta di autocoordinamento tra Länder, che si svolge in procedimenti informali e in forme istituzionalizzate, specialmente attraverso conferenze, accordi e istituzioni comuni. Questa cooperazione orizzontale combina il principio della pari dignità dei Länder contraenti con quello dell’assistenza reciproca tra Länder forti e deboli all’interno della federazione. Molto interessante è il modello di federalismo fiscale creato in Germania. Questo può essere riassunto attraverso alcune caratteristiche fondamentali: - numero limitato di tributi di esclusiva competenza dei tre livelli di governo, ovvero quello federale (Bund), regionale (Länder) e comunale; - sistema di ripartizione delle principali imposte, con la conseguente ripartizione “orizzontale” del gettito complessivo per quote; - articolazione su 3 livelli dei meccanismi di redistribuzione perequativa del gettito delle imposte comuni: a) criteri redistributivi di quote spettanti ai Länder e della rispettiva quota di tali imposte spettante ai Comuni; b) sistemi di perequazione finanziaria attraverso trasferimenti infraregionali; c) possibili trasferimenti supplementari e contributi specifici del Bund ai Länder. Un ultimo accenno, infine, al sistema elet-

torale, che, in Germania, a livello comunale e regionale può essere abbastanza diverso, perché è di competenza regionale determinarne le regole. Il sistema elettorale tedesco in sostanza è proporzionale, con soglia di sbarramento al 5%, per evitare eccessivo frazionamento del paesaggio politico. Ci sono, però, anche elementi maggioritari: l’elettore ha infatti due voti a disposizione: uno per il partito, e questo voto determina (in modo proporzionale) il numero dei seggi che detto partito avrà in Parlamento, l’altro, invece, per un candidato del collegio elettorale dell’elettore. Nel collegio elettorale viene eletto (a maggioranza semplice) chi ha ottenuto il maggior numero di voti. È dunque possibile votare con il primo voto per un partito e con il secondo per un candidato di un altro partito e il candidato che ha ottenuto la maggioranza semplice entra comunque in Parlamento, anche se il suo partito non ha ottenuto il 5% a livello nazionale. Se poi un partito ha tre candidati eletti direttamente non è più sottoposto alla clausola del 5%. Si può quindi affermare che il sistema elettorale tedesco è proporzionale con “correttivi maggioritari”.

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DAL FRANCHISMO AL REGIONALISMO

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Nel 1975, dopo la morte del generale Franco, la Spagna, da sempre caratterizzata al suo interno da spinte autonomiste, ha dovuto ricostruire la sua architettura statale, rimasta ancorata al regime dittatoriale, e ha dato il via al processo federativo spagnolo. La ricostruzione democratica vide lavorare contestualmente tutte le forze politiche della nazione, comprese quelle autonomiste. La nuova struttura politica del nascente Stato spagnolo traeva origine dal desiderio di superare le difficoltà nei rapporti centro-periferia, vero punto di debolezza dell’intera storia spagnola, dal momento che le “periferie” dello Stato spagnolo hanno tutte una forte connotazione territoriale, culturale e anche politica. Nel 1978 la Spagna si è così dotata di una nuova Costituzione, che creasse uno Stato retto sul principio autonomistico, anche se non completamente federale. Il termine usato per il modello-Spagna è infatti quello di federo-regionalismo spagnolo: l’assetto spagnolo attuale è un sistema policentrico articolato in 17 Comunità Autonome, le Comunidades Autonomàs. La soluzione proposta dalla Costituzione fu di compromesso tra varie esigenze politiche, tra queste: quella dei nazionalisti intenzionati a proporre, congiuntamente alle forze della sinistra, un assetto confederale o una qualche forma di “federazione plurinazionale”; il re Juan Carlos insieme al capo del governo Suarez, ex falangista, che propendevano verso forme federative che operassero in regimi politici unitari; i nostalgici del franchismo, intenzionati a difendere la versione statolatrica precedentemente costruita da Franco e

dunque assolutamente contrari alla soluzione federalista. La particolarità del sistema statale in questione risiede nel fatto che esso nasce con caratteristiche regionali, ma poi si trasforma progressivamente in un’articolazione federale, tanto che, nel dibattito odierno, per la Spagna si parla di federalizzazione vera e propria. L’attuale processo di decentralizzazione spagnola non trova a oggi alcun paragone in Europa, ma il processo autonomico (così viene denominato il graduale avvicinamento della Spagna a Stato federale) viene osservato come modello di grande interesse da molti altri paesi. La Spagna oggi non si presenta come uno Stato federale, ma concede ampie autonomie locali; ha un Senato con competenze più che altro consultive (può presentare emendamenti che la Camera può anche ignorare e non possiede alcuna autonoma iniziativa legislativa), dunque non concepito come espressione delle autonomie regionali. Per quanto riguarda le procedure elettorali, da sempre in Spagna vi è un basso rapporto di personalizzazione tra eletti ed elettori: si vota per liste chiuse il cui unico riferimento personale è il capolista e quindi gli elettori tendono a esprimere un voto più “utile” che di “appartenenza”; la legge elettorale è un proporzionale con premio di maggioranza e prevede lo sbarramento del 3%; il sistema politico tende a essere bipolare, in quanto due partiti in genere ottengono, in media, più dell’80% dei consensi. Lo Stato spagnolo è oggi in sostanza una forma intermedia tra lo Stato regionale e quello federale, perché, nato con forma


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regionale, ha acquisito progressivamente tratti e connotazioni di tipo federale, dando origine a un modello fortemente decentralizzato, tanto da potersi definire uno Stato quasi-federale. Il diritto all’autonomia è ribadito tra i principi fondamentali della Costituzione spagnola, dove all’articolo 2 leggiamo che «la Costituzione si basa sulla indissolubile unità della nazione spagnola, patria comune e indivisibile di tutti gli spagnoli, e riconosce e garantisce il diritto alla autonomia delle nazionalità e regioni che la compongono e la solidarietà fra tutte le medesime». Il processo per arrivare all’autonomia è scritto all’articolo 143 della Costituzione che spiega che «le province limitrofe, con caratteristiche storiche, culturali ed economiche comuni, i territori insulari e le province d’importanza regionale storica potranno accedere all’autogoverno e costituirsi in Comunità Autonome […]». Per quanto riguarda la delimitazione delle competenze legislative, l’articolo 149 della Costituzione elenca le materie che spettano, inderogabilmente, allo Stato (come nella Costituzione italiana all’articolo 117 secondo comma), mettendo in evidenza che quanto non scritto dentro l’articolo stesso può essere demandato all’autonomia delle regioni. Lo Stato, attraverso le leggi organiche, può operare delle deleghe di materia di propria competenza, all’interno di precise leggi quadro. Sempre la Costituzione prevede la possibilità di emanare delle normative tese ad armonizzare disposizioni legali delle varie comunità, per evitare disparità eccessive.

Il federalismo spagnolo, sotto molti punti di vista, è un federalismo differenziato e asimmetrico, cioè un sistema che prevede forme diversificate di autonomia. In pratica, nell’insieme ipotetico di tutte le competenze legislative, ogni Comunità che si sente in grado di esercitare da sola determinate competenze richiede al governo centrale di Madrid lo spostamento di certe materie legislative verso la periferia. Data importante per il federalismo spagnolo è il 1996, anno in cui vengono approvati i Patti di governabilità, al fine di creare le interrelazioni migliori possibili tra Stato e Comunità Autonome: l’innovazione principale è la riforma della finanza pubblica, con la cessione del 30% dell’Irpef alle Comunità e con i conseguenti trasferimento delle relative competenze e la cessione del potere impositivo riguardante alcuni tributi statali (ad esempio, il Paese basco, anche per la difficile situazione interna, trattiene il 95% delle tasse pagate dai suoi abitanti). Sempre in base alla riforma del 1996, moltissime materie diventano di esclusiva competenza delle Comunità: così ad esempio il turismo, la gestione del territorio e la cultura, cui attiene, tra l’altro, il delicato problema della difesa e dell’uso delle lingue. Per quanto concerne la politica estera, poi, le Comunità hanno autonomia nell’applicazione dei trattati internazionali e hanno il diritto di essere informate in merito alle iniziative dello Stato in materia. Un ultimo accenno, infine, al sistema fiscale spagnolo, che ha anch’esso seguito il processo di decentramento innescato dalla Carta costituzionale del 1978. Ini-

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zialmente vi era un sistema con Regioni che avevano più competenze di altre, ma dal 2002 queste differenze sono state annullate e oggi tutte le Regioni hanno un analogo livello di competenze (con eccezione dei Paesi Baschi, Navarra, Canarie, Ceuta e Melilla che hanno maggiori competenze specifiche). Conseguente a questo aumento di competenze regionali si è verificato un significativo spostamento della spesa pubblica dallo Stato centrale alle Regioni. Le Regioni speciali dispongono di un sistema tributario sostanzialmente proprio e differenziato, per finanziare le spese con un’ampia autonomia tributaria: possono «mantenere, stabilire e regolare il regime tributario nell’ambito del loro territorio» entro i limiti stabiliti dalla Costituzione, in osservanza dell’assetto impositivo generale dello Stato e delle norme sul coordinamento e sull’armonizzazione con il sistema tributario, dei trattati e delle convenzioni internazionali, in particolare le norme del diritto comunitario. Le regioni speciali versano allo Stato una quota delle entrate tributarie, quale contributo al sostegno dei suoi oneri generali, fissato comunque al di sotto di quanto avrebbero dovuto effettivamente versare in basse al loro livello di reddito. A oggi la situazione generale del finanziamento delle Comunità autonome a regime normale evidenzia la possibilità di stabilire politiche economiche, fiscali e di bilancio da parte dei Parlamenti regionali sul 35% delle proprie risorse. Le stese Comunità, comunque, considerando le compartecipazioni sui tributi statali, usufruiscono delle imposte versate dal territorio per il 58% del totale delle entrate.

L’evoluzione del finanziamento regionale può essere suddivisa in tre fasi: - 1980-1996: la parte maggiore del finanziamento regionale deriva dai trasferimenti mediante partecipazione alle entrate dello Stato (un trasferimento calcolato in funzione di una serie di variabili: popolazione, superficie, insularità, impegno fiscale, etc., che intendeva coprire le spese della prestazione dei servizi assunti dalle Comunità autonome) cui si aggiunge la riscossione delle imposte statali cedute (imposte sul patrimonio, sulle successioni e sulle donazioni, sulle trasmissioni patrimoniali e sugli atti giuridici documentati), nei cui confronti non venivano cedute né la gestione né la capacità normativa, e le tasse applicate ai servizi ceduti. - Comunità autonome del 15% dell’Irpf, costituente la cosiddetta “quota regionale” dell’imposta, cui si aggiungeva una partecipazione territoriale dell’Irpef, anch’essa pari al 15%. Si mise altresì a punto una garanzia che assicurava alle Comunità autonome una crescita minima del gettito dell’Irpf regionale uguale all’incremento del Prodotto interno lordo (Pil) nominale. Tale finanziamento veniva poi completato dalle “compartecipazioni alle entrate dello Stato”, con il prodotto delle “imposte cedute” e le tasse. - Dal 2002: approvazione della Legge del «l nuovo e definitivo sistema di finanziamento» delle Comunità autonome a regime comune e delle città a statuto di autonomia (Ceuta e Melilla). A partire dal 2003 la spesa decentrata (Regioni e Comuni) è pari a quella dello stato centrale. A fronte di questo progressivo mutamento della struttura della spesa


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pubblica, lo Stato è intervenuto nell’arco di 25 anni attraverso apposite leggi speciali, denominate Lofca (Legge organica di finanziamento delle Comunità autonome), con cui è avvenuto un sempre più deciso passaggio, prima delle risorse e poi anche delle competenze fiscali (intese come potestà di intervento legislativo), a favore delle Regioni. Il principio dell’autonomia finanziaria delle Regioni spagnole (Comunidades Autonomàs) è sancito all’art. 156 della Costituzione. Inoltre, l’art. 157 Cost. suddivide le risorse delle Comunità in: - imposte cedute dallo Stato, sovrimposte su imposte statali o altre partecipazioni alle entrate dello Stato; - imposte, tasse o contributi propri; - trasferimenti da un fondo di compensazione interterritoriale e altre assegnazioni a carico del bilancio statale; - utili derivanti dal proprio patrimonio ed entrate di diritto privato; - proventi di operazioni di credito. Ci troviamo di fronte, quindi, a un sistema misto di finanziamento, composto da un lato da trasferimenti statali in senso ampio e, dall’altro versante, da risorse proprie degli organismi regionali. Ogni anno, poi, tali organismi regionali approvano proprie leggi di bilancio (ley de presupuestos). L’art. 158 secondo comma della Costituzione istituisce un meccanismo di perequazione finanziaria (Fondo de Compen-

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saciòn – Fondo di Compensazione) per evitare gli squilibri economici tra le diverse regioni. Il sistema delle autonomie spagnolo può aprirsi ancora di più. Il passo fondamentale che la Spagna deve ancora compiere, affinché si possa davvero parlare di realizzazione compiuta del federalismo, è la trasformazione del Senato in una vera e propria Camera delle autonomie. Infine, altro punto all’ordine del giorno è la questione della revisione degli statuti delle comunità che potrebbe portare a una nuova cessione di poteri e competenze dal centro (Madrid) alla periferia, con, evidentemente, un rimescolamento anche delle risorse finanziarie.


IL COOPERATISVISMO CARIOCA

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La legge fondamentale del 1988 ha stabilito il sistema legale del federalismo cooperativo, dando forma alle aspirazioni di decentralizzazione e riforma sociale ampiamente diffuse nella società brasiliana al termine della dittatura militare (19641985). Il sistema federale fu ridisegnato in favore degli Stati e dei Municipi, questi ultimi riconosciuti come enti della federazione con lo stesso status legale degli altri livelli di governo. La nuova Costituzione ha consacrato la tendenza alla redistribuzione delle risorse fiscali a scapito del Governo federale, che già si era andata profilando negli anni anteriori. Sul terreno delle politiche sociali, la Costituzione decide per una modalità di federalismo cooperativo, caratterizzato dall’esistenza di funzioni ripartite tra le differenti sfere di governo e per l’obiettivo di modelli di autorità e responsabilità chiaramente definiti. Il sistema federativo, in astratto, si rivela anche fortemente decentralizzato, in contrasto con la legislazione e la prassi dell’autoritarismo burocratico. Inoltre, la Legge fondamentale del 1988 ha previsto competenze comuni per l’Unione, gli Stati e i Municipi nei settori di salute, assistenza sociale, educazione, cultura, edilizia e bonifica, ambiente, protezione del patrimonio storico, lotta alla povertà, integrazione sociale di categorie svantaggiate, educazione al traffico. La legislazione di attuazione dovrà definire le forme di cooperazione tra i tre livelli di governo (Costituzione federale, art. 23). D’altro lato, sono state attribuite competenze legislative concorrenti ai governi federale e statali in un’ampia gamma

di settori: protezione dell’ambiente e delle risorse naturali; conservazione del patrimonio culturale, artistico e storico; educazione, cultura e sport; giurisdizione sulle cause minori; salute e previdenza sociale; assistenza in giudizio e difesa; protezione dell’infanzia, dell’adolescenza e dei disabili; organizzazione della polizia civile (Costituzione federale, art. 24). Nel corso degli anni ’90 e nel primo decennio del nuovo secolo, l’ampia produzione legislativa – oltre alle norme in ambito ministeriale – è andata attribuendo contenuto ai principi costituzionali. La tendenza alla decentralizzazione si impone in tutti i settori della politica sociale, con l’eccezione di previdenza e scienza e tecnologia, che permangono sotto la responsabilità federale. Tuttavia, la decentralizzazione ha assunto significati e contenuti diversi, in base al disegno di ciascuna politica specifica, alla previa distribuzione delle competenze e al controllo sulle risorse, tra i tre livelli di governo. Decentralizzazione poteva significare trasferimento parziale o totale di responsabilità dal Governo federale agli Stati; dal Governo federale al livello locale, o dal Governo statale al locale. Poteva significare, inoltre, mutamento di funzioni tra livelli di governo, o di un livello di governo nei confronti di altre organizzazioni pubbliche o private, per esempio: del Governo statale rispetto alle scuole; o del Governo rispetto alle organizzazioni assistenziali, cooperative, Ong. Sono diverse le norme della Costituzione della Repubblica brasiliana che rivelano la scelta per una forma di federalismo asim-


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metrico, dove ciascuna unità politica federata dal sistema presenta una caratteristica o un insieme di caratteristiche che contraddistingue il suo modo di relazionarsi con il sistema come tutto, con l’autorità federale e con altri Stati. Alcune disposizioni prevedono una cooperazione tra gli enti della federazione e hanno come obiettivi la diminuzione delle disuguaglianze; lo sviluppo equilibrato; la creazione di Regioni e la previsione della distribuzione delle entrate e altre forme di incentivi come interessi agevolati, esenzioni, riduzioni e dilazioni temporanee dei tributi federali dovuti dalle persone fisiche o giuridiche. La Costituzione della Repubblica del 1988 e le leggi costituzionali consentono eccessi e abusi nel trattamento asimmetrico del diritto, a favore degli enti federativi situati nel Nord/Nord-Est, e a scapito di quelli situati nella zona Sud/Sud-Est del paese. L’eccesso di trattamento asimmetrico conduce alla perdita di responsabilità del beneficiario delle risorse destinate allo sviluppo, poiché quando le risorse sono concentrate e distribuite si verifica sempre un certo grado di soggezione di colui che riceve. L’abuso di trattamento asimmetrico implica l’ampliamento della buona situazione finanziaria dell’entità federata che già ne gode e complica ancor più la situazione di un’altra entità che si trovi in difficoltà. Eppure, si deve cercare una soluzione di equilibrio tra gli enti federativi del sistema giuridico brasiliano, il che può accadere quando l’Unione, gli Stati membri e i Municipi più ricchi cooperino con gli enti federativi più poveri, ma senza superare le

necessità di questi ultimi e senza trascurare le loro proprie richieste. Il federalismo brasiliano è centrifugo, dal momento che si registra un’alta concentrazione di potere nell’Unione e, per questo, si cerca una maggiore decentralizzazione. Tale centralizzazione deriva dalla storia del federalismo brasiliano, che ha avuto origine da uno Stato unitario che ha concesso autonomia agli Stati membri per convertirsi in uno Stato federale. La tendenza in questa federazione è la ricerca di decentralizzazione, allo scopo di rafforzare gli Stati membri e i Municipi, alla luce della forte centralizzazione in capo all’Unione. Dagli anni ’80, il Brasile sta vivendo un lento mutamento da una forma di federalismo centralizzato a un modello cooperativo decentralizzato. Il passaggio da un tipo di federalismo a un altro implica non solo una definizione delle forme e dei meccanismi della cooperazione, ma anche una decentralizzazione di competenze e attribuzioni delle sfere federale, statale e municipale. Il modello cooperativo assicura la flessibilità dei rapporti intergovernativi, adeguata alle marcate differenze di capacità – finanziaria, amministrativa e tecnica – tra gli enti federativi brasiliani. Il sistema brasiliano rimane, tuttavia, squilibrato sul piano dei risultati, essendo caratterizzato da una situazione di frequente contrattazione nella divisione delle responsabilità tra sfere di governo nazionale e sub-nazionale, non essendo rara la concentrazione di poteri nell’ambito del governo centrale.

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SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

ASOLO

Quale federalismo

Federiamoci

Venerdì 7 e sabato 8 novembre La fondazione Farefuturo insieme con la fondazione

WASHINGTON

MONTREAL

Tocqueville and the Iiea of rational control. L’American enterprise institute approfondisce il pensiero di Tocqueville. Lunedì 3 novembre

La privatisation d’Hydro-Québec: une source d’enrichissement pour les citoyens du Québec. Seminario dell’Institut économique de Montréal per la privatizzazione dell’energia idrica. Mercoledì 12 novembre

Italianieuropei ha organizzato un workshop sul tema

Le buone regole di una riforma essenziale GIANFRANCO FINI

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86 GIANFRANCO MORRA

del Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2 ADOLFO URSO

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92 IDA NICOTRA

partendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare il

Per una politica dell’amicizia - 8 MARIO CIAMPI

è tutta questione di competenze - 102 ALDO LOIODICE

Non esiste autonomia senza unità vera - 13 FELICE GIUFFRÉ

Un processo incompiuto - 120 LUCA MEZZETTI

Nania, e l’onorevole Luciano Violante.

Il patto che salva le differenze - 22 AGOSTINO CARRINO

Una Camera alta per le autonomie - 124 STELIO MANGIAMELI

ROMA

tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-

MILANO

lisi approfondita della questione federalista

Tra neuroscienze, psicologia ed economia: il paradigma neuro economico. Seminario dell’Istituto Bruno Leoni. Lunedì 3 novembre

focus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato. Parteciperanno il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il presidente di Italianieuropei, Massimo D’Alema, il vicepresidente del Senato, Domenico

FRANCOFORTE

Pdl: under construction Lunedì 17 novembre

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34 INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme alle altre fondazioni politiche del panorama di centrode-

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42 ITALO BOCCHINO

stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolo della libertà under construction”. Il seminario ha

Per un federalismo del bene comune - 52 EUGENIO GUCCIONE Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60 INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

come obiettivo quello di dettare per il neo partito

Preis Soziale Marktwirtschaft 2008. L’assegnazione annuale da parte della Konrad Adenauer Stiftung del premio a un personaggio che si è distinto nel lavoro per l’economia sociale di mercato. Interviene il ministro dell’Economia, Michael Glos. Mercoledì 5 novembre

WASHINGTON

INTERVISTA CON

In guardia dalle forze centrifughe - 66 LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Modelli di Foedus - 134

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78 PAOLO FELTRIN

Federalismo: la forza degli Usa - 139

BUDAPEST

ROMA Lo Stato in Länder - 144 Dal franchismo al regionalismo - 148

Expo 2015: per l’Italia Mercoledì 19 novembre Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il cooperatisvismo carioca - 152

Morality and the rule of law in a market economy. Convegno internazionale dell’Acton institute sull’etica nell’economia globalizzata. Mercoledì 8 novembre

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta l’Italia per crescere e farsi conoscere.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

PARIGI

Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com

Les discriminations du travail liées à l’âge. Seminario della Fondation pour l’innovation politique sulle discriminazioni nel lavoro. Mercoledì 19 novembre

sua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Why did welfare caseloads collapse? The mystery of diversion. Convegno dell’American enterprise institute sull’esito delle riforme del sistema assistenziale Usa negli anni Novanta. Venerdì 14 novembre

un’agenda politico-culturale che possa servire per la

STRUMENTI

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

BUENOS AIRES Operación Traviata. Presentazione presso la Fundacíon Libertad del libro omonimo del giornalista Ceferino Reato che offre una interpretazione diversa dell’assassinio nel 1973 del leader sindacalista José Ignacio Rucci. Giovedì 20 novembre

PARIGI

LONDRA

Choix européens : qui doit décider? Tavola rotonda della Fondation pour l’innovation politique sul processo decisionale comunitario. Mercoledì 12 novembre

The new political economy: how change in local communities is altering priorities for MPs and election candidates. Workshop del Bow group sulle nuove priorità negli enti locali. Mercoledì 26 novembre

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca.

Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Elise group s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 12 - OTTOBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

ASOLO

Quale federalismo

Federiamoci

Venerdì 7 e sabato 8 novembre La fondazione Farefuturo insieme con la fondazione

WASHINGTON

MONTREAL

Tocqueville and the Iiea of rational control. L’American enterprise institute approfondisce il pensiero di Tocqueville. Lunedì 3 novembre

La privatisation d’Hydro-Québec: une source d’enrichissement pour les citoyens du Québec. Seminario dell’Institut économique de Montréal per la privatizzazione dell’energia idrica. Mercoledì 12 novembre

Italianieuropei ha organizzato un workshop sul tema

Le buone regole di una riforma essenziale GIANFRANCO FINI

Non c’è autonomia senza solidarietà - 86 GIANFRANCO MORRA

del Federalismo e delle riforme istituzionali. Il dibat-

Né destra, né sinistra per una svolta “Repubblicana” - 2 ADOLFO URSO

Scuola: per un’unità nella differenziazione - 92 IDA NICOTRA

partendo dall’aspetto fiscale, per poi ampliare il

Per una politica dell’amicizia - 8 MARIO CIAMPI

è tutta questione di competenze - 102 ALDO LOIODICE

Non esiste autonomia senza unità vera - 13 FELICE GIUFFRÉ

Un processo incompiuto - 120 LUCA MEZZETTI

Nania, e l’onorevole Luciano Violante.

Il patto che salva le differenze - 22 AGOSTINO CARRINO

Una Camera alta per le autonomie - 124 STELIO MANGIAMELI

ROMA

tito, che durerà due giorni, ha come obiettivo l’ana-

MILANO

lisi approfondita della questione federalista

Tra neuroscienze, psicologia ed economia: il paradigma neuro economico. Seminario dell’Istituto Bruno Leoni. Lunedì 3 novembre

focus sull’esigenza di una reale riforma dello Stato. Parteciperanno il presidente della Camera, Gianfranco Fini, il presidente di Italianieuropei, Massimo D’Alema, il vicepresidente del Senato, Domenico

FRANCOFORTE

Pdl: under construction Lunedì 17 novembre

Stato-nazione: troppo grande per essere potente - 34 INTERVISTA CON ALAIN DE BENOIST di Angelo Mellone

La fondazione Farefuturo ha organizzato insieme alle altre fondazioni politiche del panorama di centrode-

Una riforma che non lasci indietro nessun territorio - 42 ITALO BOCCHINO

stra un workshop a porte chiuse dal tema “Il popolo della libertà under construction”. Il seminario ha

Per un federalismo del bene comune - 52 EUGENIO GUCCIONE Basta compromessi: per un federalismo della responsabilità - 60 INTERVISTA CON ANGELO PANEBIANCO di Michele de Feudis

come obiettivo quello di dettare per il neo partito

Preis Soziale Marktwirtschaft 2008. L’assegnazione annuale da parte della Konrad Adenauer Stiftung del premio a un personaggio che si è distinto nel lavoro per l’economia sociale di mercato. Interviene il ministro dell’Economia, Michael Glos. Mercoledì 5 novembre

WASHINGTON

INTERVISTA CON

In guardia dalle forze centrifughe - 66 LINDA LANZILLOTTA di Rosalinda Cappello

Modelli di Foedus - 134

Ma prima risolviamo la questione meridionale - 78 PAOLO FELTRIN

Federalismo: la forza degli Usa - 139

BUDAPEST

ROMA Lo Stato in Länder - 144 Dal franchismo al regionalismo - 148

Expo 2015: per l’Italia Mercoledì 19 novembre Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il cooperatisvismo carioca - 152

Morality and the rule of law in a market economy. Convegno internazionale dell’Acton institute sull’etica nell’economia globalizzata. Mercoledì 8 novembre

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta l’Italia per crescere e farsi conoscere.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

PARIGI

Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com

Les discriminations du travail liées à l’âge. Seminario della Fondation pour l’innovation politique sulle discriminazioni nel lavoro. Mercoledì 19 novembre

sua formazione. Tra gli invitati dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Why did welfare caseloads collapse? The mystery of diversion. Convegno dell’American enterprise institute sull’esito delle riforme del sistema assistenziale Usa negli anni Novanta. Venerdì 14 novembre

un’agenda politico-culturale che possa servire per la

STRUMENTI

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

BUENOS AIRES Operación Traviata. Presentazione presso la Fundacíon Libertad del libro omonimo del giornalista Ceferino Reato che offre una interpretazione diversa dell’assassinio nel 1973 del leader sindacalista José Ignacio Rucci. Giovedì 20 novembre

PARIGI

LONDRA

Choix européens : qui doit décider? Tavola rotonda della Fondation pour l’innovation politique sul processo decisionale comunitario. Mercoledì 12 novembre

The new political economy: how change in local communities is altering priorities for MPs and election candidates. Workshop del Bow group sulle nuove priorità negli enti locali. Mercoledì 26 novembre

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca.

Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

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