La svolta popolare

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EDITORIALE DI ADOLFO URSO

Presidente

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

w ww. f aref u t u ro fondazione.it

La svolta popolare

Farefuturo è una fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali che si pone l’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturo si propone di fornire strumenti e analisi culturali alle forze del centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa, contribuire al suo processo di integrazione, affermare una nuova e vitale visione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazione aperta al contributo di tutti e si avvale dell’opera tecnico-scientifica edell’esperienza sociale e professionale del Comitato promotore e del Comitato scientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Coordinatore organizzativo Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

mellone@farefuturofondazione.it

filipporossi@farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno III- Numero 15 - marzo/aprile 2009

Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale –70% - DCB Bologna

Segretario amministrativo

LA SVOLTA

POPOLARE Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 15 - marzo/aprile 2009 - Euro 12 Direttore Adolfo Urso

Mai più Dc, siamo popolari Il Popolo delle libertà avrà il suo primo, vero battesimo elettorale nelle elezioni europee del prossimo giugno che si svolgeranno in un contesto di recessione economica mondiale, con inquietanti segnali di depressione che potrebbero trovare il loro epicentro proprio nell’Europa centro-orientale, come già accadde negli anni Trenta. Tocca quindi all’Europa e alla sua classe dirigente trovare ed imporre le soluzioni, più riforme e non solo più risorse, già nel prossimo vertice dei G8 che si svolgerà a luglio sotto la presidenza italiana. A La Maddalena ci saranno tutte le televisioni del mondo e tutti guarderanno a quel palcoscenico per capire se il mondo saprà trovare la forza e l’intesa per reagire e come e in che direzione. Non possiamo sbagliare. Non può sbagliare l’Europa, non può sbagliare l’Italia. Abbiamo bisogno di un grande partito che rappresenti il vero sentimento delle nazioni europee, ne interpreti le aspettative e le speranze e sappia indicare la rotta da seguire. Non un partito ancorato a ciò che fu, ma un partito che sappia preparare ciò che sarà. Non un partito ideologico, ma un country party, vivo e reale, radicato ma volitivo. Un partito pensante e propositivo, fucina di idee e di classe dirigente; un grande partito aperto e inclusivo in cui tutti possano riconoscersi. Non un parServe un partito tito fermo, rigido, dai contorni definiti, ma mobile, flessibile e veloce, senza reflessibile e veloce, cinti e senza frontiere. senza recinti La Democrazia cristiana in Italia e le e senza frontiere forze moderate in Europa questo seppero fare sessant’anni fa, risanando le divisioni secolari del nostro continente e ricostruendone le fortune sociali ed economiche. Ora occorre fare altrettanto, ben sapendo che non si tratta di ricostruire la Dc, che nemmeno la Chiesa vuole più, ma di trarre giovamento da quella esperienza per capire come interpretare le esigenze della nostra era e della nostra modernità che sono diverse da quelle di allora. E occorre farlo noi, da destra ma oltre la destra, perché in Italia e in tutta Europa, in questo momento storico, la sinistra, chiusa nel suo passato, non sembra in condizione di farlo . Non lo è a Roma, ma non lo è nemmeno a Berlino, dove la Cdu si appresta a superare anche la Grande Coalizione; e non lo è nemmeno a Parigi dove Sarkozy guida con mani sicure; mentre a Londra e a Madrid, Brown e Zapatero sembrano appannati e ormai rassegnati a cedere il timone nelle prossime elezioni. Il Partito popolare europeo si avvia a diventare il vero country party europeo, destinato a farsi carico della rifondazione dell’Unione così come i suoi predecessori da De Gasperi ad Adenauer, a De Gaulle posero le fondamenta della prima Comunità.


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 15 - MARZO/APRILE 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

La svolta popolare

ROMA

Donne e politica Martedì 28 aprile La Fondazione Farefuturo organizza nella sua sede di via del Seminario 113 a Roma un convegno sul

Mai più Dc, siamo popolari ADOLFO URSO

STRUMENTI

Don Luigi Sturzo, il padre della destra moderna - 2 GENNARO MALGIERI

Storia del Ppe - 94

ruolo delle donne nell’ambito della politica e delle

PARIGI

VANCOUVER

L'Italie entre innovation et conservation. Giornata di studio della Fondation pour l'innovation politique dedicata al nuovo scenario politico italiano. Interventi di Giovanni Guzzetta, Sofia Ventura e Marc Lazar. Lunedì 6 aprile

Canada’s Economic Relations with China. L’ex ministro degli Esteri canadese, David Emerson, interviene presso la Fraser Institute sui rapporti commerciali Canada-Cina.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Intervengono Sofia Ventura, docente di Scienza po-

Ppe, tra visione e realismo - 14 INTERVISTA A JOSEPH DAUL di BARBARA MENNITTI

Cronologia - 96 Statuts de l’association internationale sans but lucratif “Parti populaire europeen” préambule - 101

ganizzazione presso l’Università di Bologna, e Donata Francescato, docente di Psicologia clinica e di comunità presso l’Università La Sapienza di Roma.

Laicità non vuol dire relativismo morale - 20 MARIO CIAMPI Francesco Cossiga, il ribelle delle istituzioni - 22 DIEGO NADAL Il popolarismo come teoria dello Stato - 26 EUGENIO GUCCIONE Pdl, un’identità da costruire in Italia - 28 ALESSANDRO CAMPI Un partito votato all’accoglienza - 37 THIERRY MARIANI Cdu, alle origini del popolarismo europeo - 40 ECKHARD JESSE Popolo della libertà, una sfida per le riforme - 50 ALBERTO CARNERO Unione europea, ultima chiamata - 56 FEDERICO EICHBERG Viaggio nei partiti dell’Europa popolare - 62 DOMENICO NASO Parola d’ordine: integrazione - 69 ALEXIS WINTONIAK

Die neue "politische Farbenlehre". Seminario della Konrad Adenauer Stiftung per fare un bilancio sugli anni di “grosse koalition” in vista delle elezioni politiche di settembre. Martedì 7 – Mercoledì 8 aprile

ROMA

MINUTA Il sogno baltico fa i conti con la crisi - 116 PIERLUIGI MENNITTI Lavoro, il mondo tenta la ripresa - 126 GIUSEPPE PENNISI

Individuo e Stato nell’era post-globale Venerdì 15 maggio Seminario di studi organizzato dalla fondazione Farefuturo in collaborazione con la Konrad Adenauer Stiftung. Intervengono Christoph Boehr, Georg Mil-

Tra legge, politica e letteratura - 134 INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO di SILVIA GRASSI Supereroi: la nuova identità del terzo Millennio - 146 GIAMPIERO RICCI Gioventù bruciata o società liquida - 156 PIETRO URSO

WASHINGTON The Reagan Revolution and Its Discontents. Seminario dell’American Enterprise Institute sulla presidenza di Ronald Reagan. Lunedì 13 aprile

bradt, Rupert Scholz.

STOCCOLMA

ROMA

Il parlamentarismo tra Italia e Germania Venerdì 19 giugno

Valde dagspressen sida i Gazakriget? Presentazione da parte del centro studi Timbro di un rapporto sul grado di obiettività nella copertura del conflitto a Gaza da parte dei media svedesi. Martedì 14 aprile

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema

CITTÀ DEL MESSICO La politica educativa y el nuevo rol del estado en America latina. Conferenza internazionale sulle politiche per l’educazione. Organizzata dalla Fundacíon Rafael Preciado Hernandez, con la partecipazione della Konrad Adenauer Stiftung e ospiti di altri paesi dell’America latina. Mercoledì 22 – giovedì 23 aprile

BERLINO Gott und Darwin! Dibattito della Konrad Adenauer Stiftung sull’immagine dell’uomo tra religione e scienza, 150 anni dopo la pubblicazione dello studio di Charles Darwin. Lunedì 27 aprile

LONDRA Giving urban voters a choice. Seminario del Bow Group sulla possibilità di modificare la legge elettorale inglese. Giovedì 7 maggio

“Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in Germania” presso la sede del Cnel a Roma, sala del

Cristiani e laici insieme nella grande famiglia del Ppe - 80 BRUNO TIOZZO

SCHLOSS WENDGRÄBEN

Parlamentino. Sono previste le relazioni di Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati e della Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert, presidente del Bundestag.

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Michele De FeudisValeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Domenico Naso, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 60, sostenitore da € 200

Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi

LONDRA Families in Britain: the impact of changing family structures - and what the public think. Policy exchange presenta uno studio sulla famiglia nel Regno Unito. Martedì 21 aprile

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Martedì 21 aprile

sue istituzioni. litica, Donatella Campus, docente di Teoria dell’or-

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON For Truth and Goodness: Russia's Moral Revolution, 1987-91. Convegno dell’American Enterprise Institute sugli anni della Perestrojka di Gorbaciov in Russia. Lunedì 11 maggio

Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 15 - MARZO/APRILE 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

La svolta popolare

ROMA

Donne e politica Martedì 28 aprile La Fondazione Farefuturo organizza nella sua sede di via del Seminario 113 a Roma un convegno sul

Mai più Dc, siamo popolari ADOLFO URSO

STRUMENTI

Don Luigi Sturzo, il padre della destra moderna - 2 GENNARO MALGIERI

Storia del Ppe - 94

ruolo delle donne nell’ambito della politica e delle

PARIGI

VANCOUVER

L'Italie entre innovation et conservation. Giornata di studio della Fondation pour l'innovation politique dedicata al nuovo scenario politico italiano. Interventi di Giovanni Guzzetta, Sofia Ventura e Marc Lazar. Lunedì 6 aprile

Canada’s Economic Relations with China. L’ex ministro degli Esteri canadese, David Emerson, interviene presso la Fraser Institute sui rapporti commerciali Canada-Cina.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Intervengono Sofia Ventura, docente di Scienza po-

Ppe, tra visione e realismo - 14 INTERVISTA A JOSEPH DAUL di BARBARA MENNITTI

Cronologia - 96 Statuts de l’association internationale sans but lucratif “Parti populaire europeen” préambule - 101

ganizzazione presso l’Università di Bologna, e Donata Francescato, docente di Psicologia clinica e di comunità presso l’Università La Sapienza di Roma.

Laicità non vuol dire relativismo morale - 20 MARIO CIAMPI Francesco Cossiga, il ribelle delle istituzioni - 22 DIEGO NADAL Il popolarismo come teoria dello Stato - 26 EUGENIO GUCCIONE Pdl, un’identità da costruire in Italia - 28 ALESSANDRO CAMPI Un partito votato all’accoglienza - 37 THIERRY MARIANI Cdu, alle origini del popolarismo europeo - 40 ECKHARD JESSE Popolo della libertà, una sfida per le riforme - 50 ALBERTO CARNERO Unione europea, ultima chiamata - 56 FEDERICO EICHBERG Viaggio nei partiti dell’Europa popolare - 62 DOMENICO NASO Parola d’ordine: integrazione - 69 ALEXIS WINTONIAK

Die neue "politische Farbenlehre". Seminario della Konrad Adenauer Stiftung per fare un bilancio sugli anni di “grosse koalition” in vista delle elezioni politiche di settembre. Martedì 7 – Mercoledì 8 aprile

ROMA

MINUTA Il sogno baltico fa i conti con la crisi - 116 PIERLUIGI MENNITTI Lavoro, il mondo tenta la ripresa - 126 GIUSEPPE PENNISI

Individuo e Stato nell’era post-globale Venerdì 15 maggio Seminario di studi organizzato dalla fondazione Farefuturo in collaborazione con la Konrad Adenauer Stiftung. Intervengono Christoph Boehr, Georg Mil-

Tra legge, politica e letteratura - 134 INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO di SILVIA GRASSI Supereroi: la nuova identità del terzo Millennio - 146 GIAMPIERO RICCI Gioventù bruciata o società liquida - 156 PIETRO URSO

WASHINGTON The Reagan Revolution and Its Discontents. Seminario dell’American Enterprise Institute sulla presidenza di Ronald Reagan. Lunedì 13 aprile

bradt, Rupert Scholz.

STOCCOLMA

ROMA

Il parlamentarismo tra Italia e Germania Venerdì 19 giugno

Valde dagspressen sida i Gazakriget? Presentazione da parte del centro studi Timbro di un rapporto sul grado di obiettività nella copertura del conflitto a Gaza da parte dei media svedesi. Martedì 14 aprile

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema

CITTÀ DEL MESSICO La politica educativa y el nuevo rol del estado en America latina. Conferenza internazionale sulle politiche per l’educazione. Organizzata dalla Fundacíon Rafael Preciado Hernandez, con la partecipazione della Konrad Adenauer Stiftung e ospiti di altri paesi dell’America latina. Mercoledì 22 – giovedì 23 aprile

BERLINO Gott und Darwin! Dibattito della Konrad Adenauer Stiftung sull’immagine dell’uomo tra religione e scienza, 150 anni dopo la pubblicazione dello studio di Charles Darwin. Lunedì 27 aprile

LONDRA Giving urban voters a choice. Seminario del Bow Group sulla possibilità di modificare la legge elettorale inglese. Giovedì 7 maggio

“Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in Germania” presso la sede del Cnel a Roma, sala del

Cristiani e laici insieme nella grande famiglia del Ppe - 80 BRUNO TIOZZO

SCHLOSS WENDGRÄBEN

Parlamentino. Sono previste le relazioni di Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati e della Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert, presidente del Bundestag.

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Michele De FeudisValeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Domenico Naso, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 60, sostenitore da € 200

Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi

LONDRA Families in Britain: the impact of changing family structures - and what the public think. Policy exchange presenta uno studio sulla famiglia nel Regno Unito. Martedì 21 aprile

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Martedì 21 aprile

sue istituzioni. litica, Donatella Campus, docente di Teoria dell’or-

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON For Truth and Goodness: Russia's Moral Revolution, 1987-91. Convegno dell’American Enterprise Institute sugli anni della Perestrojka di Gorbaciov in Russia. Lunedì 11 maggio

Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

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EDITORIALE DI ADOLFO URSO

Presidente

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

w ww. f aref u t u ro fondazione.it

La svolta popolare

Farefuturo è una fondazione di cultura politica, studi e analisi sociali che si pone l’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturo si propone di fornire strumenti e analisi culturali alle forze del centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa, contribuire al suo processo di integrazione, affermare una nuova e vitale visione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazione aperta al contributo di tutti e si avvale dell’opera tecnico-scientifica edell’esperienza sociale e professionale del Comitato promotore e del Comitato scientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Coordinatore organizzativo Mario CIAMPI

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Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

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Nuova serie Anno III- Numero 15 - marzo/aprile 2009

Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale –70% - DCB Bologna

Segretario amministrativo

LA SVOLTA

POPOLARE Bimestrale della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno III - n. 15 - marzo/aprile 2009 - Euro 12 Direttore Adolfo Urso

Mai più Dc, siamo popolari Il Popolo delle libertà avrà il suo primo, vero battesimo elettorale nelle elezioni europee del prossimo giugno che si svolgeranno in un contesto di recessione economica mondiale, con inquietanti segnali di depressione che potrebbero trovare il loro epicentro proprio nell’Europa centro-orientale, come già accadde negli anni Trenta. Tocca quindi all’Europa e alla sua classe dirigente trovare ed imporre le soluzioni, più riforme e non solo più risorse, già nel prossimo vertice dei G8 che si svolgerà a luglio sotto la presidenza italiana. A La Maddalena ci saranno tutte le televisioni del mondo e tutti guarderanno a quel palcoscenico per capire se il mondo saprà trovare la forza e l’intesa per reagire e come e in che direzione. Non possiamo sbagliare. Non può sbagliare l’Europa, non può sbagliare l’Italia. Abbiamo bisogno di un grande partito che rappresenti il vero sentimento delle nazioni europee, ne interpreti le aspettative e le speranze e sappia indicare la rotta da seguire. Non un partito ancorato a ciò che fu, ma un partito che sappia preparare ciò che sarà. Non un partito ideologico, ma un country party, vivo e reale, radicato ma volitivo. Un partito pensante e propositivo, fucina di idee e di classe dirigente; un grande partito aperto e inclusivo in cui tutti possano riconoscersi. Non un parServe un partito tito fermo, rigido, dai contorni definiti, ma mobile, flessibile e veloce, senza reflessibile e veloce, cinti e senza frontiere. senza recinti La Democrazia cristiana in Italia e le e senza frontiere forze moderate in Europa questo seppero fare sessant’anni fa, risanando le divisioni secolari del nostro continente e ricostruendone le fortune sociali ed economiche. Ora occorre fare altrettanto, ben sapendo che non si tratta di ricostruire la Dc, che nemmeno la Chiesa vuole più, ma di trarre giovamento da quella esperienza per capire come interpretare le esigenze della nostra era e della nostra modernità che sono diverse da quelle di allora. E occorre farlo noi, da destra ma oltre la destra, perché in Italia e in tutta Europa, in questo momento storico, la sinistra, chiusa nel suo passato, non sembra in condizione di farlo . Non lo è a Roma, ma non lo è nemmeno a Berlino, dove la Cdu si appresta a superare anche la Grande Coalizione; e non lo è nemmeno a Parigi dove Sarkozy guida con mani sicure; mentre a Londra e a Madrid, Brown e Zapatero sembrano appannati e ormai rassegnati a cedere il timone nelle prossime elezioni. Il Partito popolare europeo si avvia a diventare il vero country party europeo, destinato a farsi carico della rifondazione dell’Unione così come i suoi predecessori da De Gasperi ad Adenauer, a De Gaulle posero le fondamenta della prima Comunità.


Il Partito popolare di oggi non ha però e non può avere più le connotazioni religiose che caratterizzavano le forze democristiane dell’epoca. E sbaglia clamorosamente chi in casa nostra pensa di rifarsi a quell’esperienza per dire, con eccessiva sicumera, quali dovrebbero essere i connotati del Pdl sul rapporto tra l’uomo e la fede e tanto più tra l’uomo e la scienza, sul crinale, sempre meno definito, del confine tra la vita e la morte. Se fosse così, si rappresenterebbe Oggi serve una forza solo una parte, peraltro minoritaria, in politica capace di andare una fase in cui è necessario invece andare oltre le vecchie divisioni oltre le vecchie divisioni e rappresentare in nuove avanzate e coraggiose sintesi, e operare nuove sintesi laici e cattolici, liberali e nazionali, colbertisti e keynesiani e tanto più liberisti. Il Ppe non è più una forza democristiana e tanto meno confessionale. Dall’ingresso di Forza Italia, peraltro allora non scontato, proprio perché considerata una forza troppo liberale e poco clericale, sono cambiati i contorni e le prospettive del partito che ha via via inglobato forze di altro orientamento in una prospettiva ben più ampia di quella delle origini, anche per l’ingresso dei paesi e quindi delle culture della Nuova Europa, finalmente libera dal comunismo. Nel partito europeo oggi convivono al meglio l’Ump di Sarkozy con la sua tradizione gollista laica e repubblicana, con la Cdu che recentemente ha rimosso dal proprio statuto ogni riferimento religioso e che tra l’altro esprime una leadership, come quella di Angela Merkel, figlia di un pastore luterano, che recentemente non si è tirata indietro nel richiamare papa Ratzinger su una questione come quella dei vescovi negazionisti. Nel gruppo Ppe-De al Parlamento ritroviamo anche il Partito conservatore di David Cameron, fin troppo avanzato sul campo dei diritti civili, con altre forze politiche costituzionalmente aliene alla vecchia contrapposizione politica tra laici e credenti: dalle forze di ispirazione liberaldemocratica di Slovenia, Grecia, Ungheria, Finlandia, Estonia, a quelle nazionalconservatrici di Danimarca e Lituania Nel Ppe convivono e addirittura popolar-centriste di Irlanda e Portogallo. La natura del Ppe si è proforze laiche e liberali fondamente modificata, con una diversa e partiti di tradizione prospettiva e una più larga capacità di cristianodemocratica rappresentanza geografica, culturale e politica. E peraltro il Ppe si definisce oggi political family of the centre-right e non c’e nessun aggettivo christian. È giustamente un partito popolare e modernizzatore, riformista ed europeista che si richiama alla prospettiva del popolarismo. Su questo più che su altro – e oggi più di ieri – proprio per l’accelerata evoluzione della scienza e il collasso dell’economia, è necessario che le forze stesse che si ispirano al Ppe sappiano dare risposte adeguate, perché solo da esse possono giungere. E occorre farlo in fretta, sin dal G8 italiano che speriamo rappresenti la svolta in un mondo angosciato che ha bisogno di ritrovare e subito fiducia in sé e nell’arte dell’uomo, nella scienza e nell’economia.

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Il lungo cammino verso il Ppe

DON LUIGI STURZO, IL PADRE DELLA DESTRA MODERNA e Alleanza nazionale sta per entrare a far parte della grande famiglia del centrodestra europeo, il merito è anche del sacerdote siciliano. Politico forse scadente, ma intellettuale innegabilmente preveggente, Sturzo aveva capito prima di molti altri che il futuro del popolarismo da lui fondato non poteva che essere a destra. Tra critiche a dirigismo e statalismo, agli ammiccamenti centristi a Nenni e Saragat e convinti richiami all’identità nazionale, la sua eredità politica, a lungo dimenticata dalla Democrazia cristiana, oggi può essere considerata a pieno titolo parte integrante del bagaglio storico e culturale della destra italiana che si fa largo in Europa.

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DI GENNARO MALGIERI


L’ANALISI Gennaro Malgieri

L’avvicinamento della destra italiana al popolarismo è stata propiziata dalla “scoperta” della figura e dell’opera di don Luigi Sturzo. Dopo la fine delle diffidenze politiche, scaturite dalle rigidità ideologiche, anche Alleanza nazionale, nell’approssimarsi della svolta di Fiuggi, e grazie al lavoro di intellettuali e politici, tra questi ultimi soprattutto di Pinuccio Tatarella, cercò di allargare il suo orizzonte valoriale sul quale situare il “partito nuovo”. La lettura di Sturzo fu per molti versi decisiva ed unita allo spostamento che a destra si notava con il passare del tempo dalle tematiche ruotanti attorno ad una visione dello Stato etico a quelle intorno alla centralità della persona, colmarono un vuoto da tempo avvertito soprattutto in una parte dell’intellettualità di riferimento. Perciò la rivelazione della coincidenza di alcune delle idee portanti del pensiero sturziano con quelle del più classico pensiero conservatore, fecero assumere il fondatore del Partito popolare nell’ideale pantheon della nuova destra incarnata da An. Oltretutto, si considerò, nel tempo della fine della polemica fascismo-antifascismo, la cultura politica di Sturzo, per buona parte dimenticata o trascurata dalla residuale Democrazia cristiana, apparve a chi perseguiva il rinnovamento dello Stato attraverso la demolizione della partitocrazia come l’asseveramento di una cinquantennale battaglia per dare compiutezza e moralità alla de-


mocrazia italiana. Sturzo, infatti, con un lavoro assiduo ed improbo per certi versi, soprattutto sui giornali ai quali affidava le sue considerazioni, dopo il ritorno dall’esilio americano svelò anche al “suo” mondo verità negate, mettendo a nudo le perversioni del neonato regime repubblicano. Alleanza nazionale prese ad apprezzarne la coerenza discutendo pacatamente le sue scelte negli anni Venti. Glielo doveva, se non altro per quella considerazione tutta nazionalistica della quale Sturzo permeò il suo partito cattolico e della quale resta un esempio il suo discorso di Pesaro del 30 giugno 1918. In quella occasione affermò che la guerra che 4 l‘Italia combatteva, doveva essere riguardata come «la prima guerra nazionale nel senso completo della parola; il grande esperimento della nostra vita di giovane nazione, il momento sacro e tragico della vitalità e dell’esperienza». Anche da Sturzo, fu chiaro alla destra, tra il 1994 ed il 1995, si poteva ripartire nella difficile opera di ricostruzione della Repubblica. Come uomo politico probabilmente fu un disastro, almeno Le idee di Sturzo hanno prodotto frutti così si dice; ma anche in lidi culturali e ebbe la rara dopolitici lontani dai suoi te di saper antivedere, tanto che oggi nessuno può fare a meno di trarre dalla lezione del sacerdote di Caltagirone conclusioni in linea con lo spirito del nostro tempo. Il tempo che ci separa dalla sua morte, dunque, non è

trascorso invano, se è vero che le idee del fondatore del Partito popolare hanno avuto il modo di sedimentare e produrre frutti anche in lidi culturali e politici


L’ANALISI Gennaro Malgieri

lontani dai suoi. L’inquieto sacerdote è stato tra i più irriducibili negatori di quell‘unità politica dei cattolici sulla quale costruì le sue fortune

la Dc. Sturzo disse a Gabriele De Rosa: «Io non mi proponevo di realizzare l‘unità politica dei cattolici. La mia fu soltanto una corrente di cattolici che fondò un partito nel quale potevano militare anche i non An ha capito che con cattolici. A me le idee sturziane non interessava si poteva ricostruire che fra i socialila Repubblica sti, i liberali, ci fossero cattolici. La Democrazia cristiana di oggi si è invece posta, in quanto partito, il problema dell’unità politica dei cattolici...». Se l‘è posto, aggiungiamo, per evitare lo “scivolamento“ a destra del mondo cattolico, dove c‘era soprattutto il Msi pronto a recepire ed 5 interpretare al meglio le esigenze del solidarismo non assistenzialista ed a dare spazio ai bisogni spirituali per le indiscutibili e sempre rivendicate aperture al trascendente connaturate alla sua tradizione culturale. Sul terreno più squisitamente politico, le idee di Sturzo, nel dopoguerra, non potevano coincidere con quelle del suo partito di riferimento. Prova ne sia l’interpretazione data da De Gasperi delle elezioni amministrative capitoline nel maggio 1952. Come si ricorderà, si trattava allora di varare un “listone” composto da Dc, liberali, socialdemocratici, repubblicani, monarchici e missini per la conquista del Campidoglio, in opposizione ad una lista civica di sinistra capeggiata da Francesco Saverio Nitti. Fautore dell‘operazione, che fallì per l‘intransigenza di De Gasperi, il qua-


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le già guardava a sinistra e l’osti- Nella svolta dell’89, infatti, il lità cieca dei partiti laici di cen- Pci, rinunciando all’antico dogtro, era Pio XII. Sturzo la condi- matismo e rivelando l’assenza di videva in pieno, tanto che sette un autonomo progetto culturale, anni dopo, sul Giornale d’Italia, cercò di recuperare le più disparascrisse: «Ho tollerato in silenzio, te esperienze ideologiche del Nofino ad oggi, l‘insinuazione circa vecento e metterle al suo servizio. l‘operazione Sturzo perche sono In quest’operazione di recupero abituato ad assumermi le mie venne “arruolato” anche Sturzo e responsabilità; per parlarne ho si cercò di farlo convivere con i preso l‘ occasione della intesa lea- fratelli Rosselli, con Gobetti, con le di Segni con le destre, a sette Max Weber e con Gramsci, l’unianni di distanza, proprio per far co intellettuale salvato della tracapire a coloro che non vogliono dizione marxista. Operazione, capire, servi sciocchi di Saragat e com‘è facile capire, tutta di facciadi Nenni, la necessita che la Dc ta poiché, almeno per quanto riguarda Sturzo, il riprenda il suo poPci-Pds non chiarì sto di centro senza Don Sturzo aveva mai il suo rapporto alcun complesso con le posizioni andi inferiorità, lo aspramente criticato tistataliste del sastesso che condus- la condotta statalista cerdote. In effetti, se Zoli a rifiutare i quanti nel campo voti missini, per tenuta dal presidente delle forze della poi riprenderli dell’Eni Enrico Mattei Prima Repubblica perché il presidente della Repubblica li reputava hanno finto di tornare a Sturzo voti validi: sfido io; si trattava di hanno ignorato, volutamente, per voti dati da eletti dal popolo e motivi diversi ma a ben vedere non degli scugnizzi di Napoli o convergenti, i capisaldi del suo dei barboni di Milano, né dei be- pensiero politico in questo dopoceri di Firenze». La storia si è ri- guerra: l‘avversione alla partitopetuta. Ricordiamo che Mino crazia e allo statalismo. Martinazzoli, segretario del neo- Esempio più eloquente e paradignato Partito popolare sulle cene- matico di statalismo per Sturzo ri della Dc, nel 1993 non accettò era l’opera nefasta che andava l‘intesa che nell’autunno di svolgendo Enrico Mattei, il paquell’anno la destra gli offriva ed dre-padrone dell’Eni. Ha ricordaandò al massacro consegnando to qualche tempo fa Giuseppe l’amministrazione di Roma nelle Palladino, l‘economista cattolico, mani dei comunisti e dei loro al- già collaboratore critico dell‘ufficio studi del Pnf, che negli ultimi leati. Anche questi ultimi hanno subi- anni di vita di Sturzo divenne suo to negli anni Novanta il fascino amico e confidente quasi esclusidi Sturzo nella prospettiva di una vo, che il fondatore del Partito remunerativa corsa al Centro. popolare gli spiegava come


L’ANALISI Gennaro Malgieri

«Mattei, usando il denaro pub- civile e quanto più lo Stato è forblico per la corruzione di uomini te e giusto, tanto più la convivenpolitici e dei partiti, stava disgre- za civile viene assicurata. Lo stagando moralmente ed idealmente talismo, invece, è una perversione la democrazia italiana. Mi faceva dell’idea di Stato in quanto dileggere anche i suoi articoli pri- struttore di ogni ordine istituzioma di mandarli al Giornale d’Ita- nale e di ogni morale amminilia; ed erano talmente polemici strativa. Perciò lo statalismo non nei confronti del presidente del- è in favore dello Stato, ma contro l’Eni che certe volte mi autorizza- di esso, mentre la partitocrazia è va a cancellare una o più righe il fenomeno più appariscente della malattia statalista. dell’articolo». Mattei, nella seconda metà degli Non negava Sturzo, l’intervento anni Cinquanta, tirò fuori circa statale in determinati casi, ma tre milioni di lire, una cifra con- l’interventismo generalizzato. siderevole a quel tempo, e li die- Non discuteva la direttiva dello Stato, ma il dirigide ad Albertino smo. Non avversaMarcora per pub- Nell’immoralismo va gli enti statali, blicare una rivista ma la statizzazioche facesse da labo- del sistema politico ne dell’economia. ratorio alla giovane ed economico vedeva «Nel campo ecoe rampante sinistra nomico – scriveva democristiana che i prodromi di quella il 20 novembre si chiamò Base. La che fu Tangentopoli 1952 sul Giornale corrente, nelle intenzioni del presidente dell’Eni, d’Italia – possiamo affermare che doveva sostanzialmente offrire nessun altro paese libero abbia copertura politica ai suoi traffici. creato tanti vincolismi all’iniziaSturzo si batté addirittura contro tiva privata come l’Italia; e per la legge istitutiva dell’Ente e controbilanciare, in nessun paese stigmatizzò il fatto che Mattei libero la formazione monopolista, fosse contemporaneamente re- sia privata che pubblica, e il relasponsabile dell’Eni e parlamenta- tivo parassitismo che ne deriva, re. «Non si può essere – esclamò sia cosi sviluppata come in Italia. in Senato – controllori e tutori L’errore dell’economia a mezzadel denaro pubblico e insieme, dria pubblica privata porta a sispesso, sperperatore dello stesso». mili conseguenze; il controllo Sturzo guardava lontano: scorge- dello Stato o la sua partecipazione va in un certo immoralismo del attiva nell’ economia si estende e sistema i prodromi di Tangento- si generalizza, dando luogo per poli e in Mattei il suo campione. ripercussione ai comodi comproContrario, dunque, all’idea dello messi del consumatore o del conStato-padrone, Sturzo sosteneva tribuente». E aggiungeva: «Invoche lo Stato rettamente inteso è ca lo Stato come regolatore della un ordine indispensabile al vivere vita economica di un paese, chi

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non comprende che gli effetti principali saranno la burocratizzazione dell’economia e relativa paralisi funzionale e una sempre crescente diminuzione di liberta anche nel campo politico, le cui forme normali elettorali, parlamentari e governative verrebbero svuotate di contenuto e di responsabilità». La conclusione del processo, secondo Sturzo, era la bolscevizzazione, «con l‘idea di togliere alla vita economica, anzi, a tutta la vita, il senso del rischio nel volere trasferire tutti i rischi, attraverso lo Stato, sull’intera comunità». In questo modo, concludeva Sturzo, «stiamo abbandonando a poco a poco l’economia di merca8 to, che resta efficiente nel campo dei piccoli affari del ceto commerciante, industriale ed artigiano, ma non più nel campo dei grandi affari e delle grandi aziende che sanno a priori di non poter fallire». Sturzo era consapevole di maneggiare materiale incandescente e non nascondeva al suo partito gli effetti dell’interventismo statale. Ma non veniva ascoltato. La Dc preparava l’apertura a sinistra: due concezioni stataliste si saL’interventismo dello rebbero inconStato in economia era trate nel segno una delle critiche più aspre rivolte alla Dc della demagogia e dello sperpero delle risorse: sappiamo, purtroppo, com’e finita. La Prima Repubblica è stata travolta anche da questo immondo connubio. Sempre sul Giornale d’Italia, ma in data 23 gennaio 1959, Sturzo

scendeva nel concreto, additando al pubblico ludibrio una delle più vergognose “male bestie” che aveva preso a combattere. Scriveva: «Un esempio dello statalismo ci capita sottocchio. Aumento degli stipendi degli impiegati e corrispondente aumento delle tasse. Oggi, che può dirsi tassata anche l‘aria che si respira [Sturzo scriveva più di quarant’anni fa!, ndr], non ha importanza quale ne sia l’aumento fiscale, tutte le tasse si ripercuotono sui prezzi. Siano piccoli o grandi aumenti, dai francobolli ai telefoni; dal costo del denaro ai prodotti di mercato, si vedrà la inutilità finale di tutti gli aumenti di tasse e stipendi che si elideranno, dando luogo, fra qualche tempo, a novelle richieste di aumenti salariali, nuovi scioperi, nuovi atti di forza


L’ANALISI Gennaro Malgieri

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della massa e nuovo cedimento del potere pubblico, e con diminuzione del potere di acquisto della nostra moneta». Le conseguenze nefaste della più che quarantennale pratica statalista le scontiamo nella crisi economica che ci attanaglia, nella crescente disoccupazione, nella dilatazione del debito pubblico, nell‘improduttività di numerose aziende puramente assistite, nel forsennato ricorso alla cassa integrazione, nell‘insopportabile pressione fiscale. Su tutto questo, naturalmente, ha prosperato la partitocrazia, l‘altra “mala bestia” di Sturzo. Il fondatore del Partito popolare si applicò in modo quasi maniacale, per tutti gli anni Cinquanta, a dimostrare come ed in quale misura i partiti politici, interpre-

tando estensivamente il dettato costituzionale, avessero proceduto ad una sistematica occupazione dello Stato, fino a sostituirsi ad esso prendendone addirittura le funzioni. Sturzo sosteneva che la pratica partitocratica non nasceva comunque nel dopoguerra. «In Italia – osservava – i partiti, come tali, fecero entrata ufficiale nella legislazione quando nel lu- Il sistema dei partiti era glio 1920 i vec- una delle “male bestie” chi “uffici” delcombattute la Camera dei dal sacerdote siciliano deputati vennero trasformati nei gruppi parlamentari e fu data all‘ufficio di presidenza la facoltà di accertamento se un gruppo inferiore a dieci deputati rappresentasse o no “un partito organizzato nel


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Paese” (art. I). Con l‘istituzione riconosce ai soli partiti la facoltà di Commissioni permanenti a ba- di «concorrere con metodo demose di membri designati dai grup- cratico a determinare la politica pi fu ancora aggravata l‘ingerenza nazionale». dei partiti, con danno del funzio- Occorrevano ed occorrono, dunnamento della Camera. Da allora que, dei vincoli e dei limiti al poad oggi, l‘ingerenza dei partiti tere di ingerenza. Chi ha detto nei gruppi parlamentari, e per che i partiti devono nominare mezzo dei direttivi dei gruppi presidenti e membri di enti pubnella funzionalità del Parlamen- blici, devono avere le mani in pato, è stata ancora maggiore». Ri- sta in banche, ospedali, aziende flettendo sulla posizione del par- per il turismo, municipalizzate, tito politico nella Costituzione industrie, eccetera? È questo che repubblicana, ed in particolare si intende per determinazione sull‘articolo 67, Sturzo rilevava della politica nazionale? Evidenche il partito «ha per fine di con- temente no. Eppure i partiti, si sono comportati correre a determiproprio come non nare la politica na- L’errore dei partiti è avrebbero dovuto. zionale, tale conOsservava Sturzo: corso è attuato con quello di volere «Si dirà: che cosa metodo democra- ingerire nel governo e deve fare un partitico; mentre i nell’amministrazione to se non si occupa membri del Parladegli affari del gomento, pur eletti della cosa pubblica verno, del Parlacon l‘organizzazione e l‘ausilio dei partiti, mento, delle amministrazioni lorappresentano come tali non il cali, delle nomine dei propri partito ma la nazione ed esercita- membri a posti di comando, e cono il proprio ufficio senza vincolo sì di seguito? di mandato. Né l’elettorato che Tutta la finezza e l‘arte politica sceglie, né il partito che ne aiuta dei dirigenti dei partiti sta prola scelta, può vincolare gli eletti a prio in ciò: di occuparsi di tutte deputati e senatori ad una prede- le cose sopra elencate, e di molte terminata linea di condotta, per- altre ancora, senza invadere il che in tal caso essi rappresente- campo dei poteri e delle comperebbero una frazione della propria tenze del governo, del Parlamencircoscrizione elettorale ovvero to, delle amministrazioni locali e un partito cioè una sezione di cit- delle proprie sezioni ed organitadini (spesso assai esigua) al qua- smi periferici. Il compito specifico dei partiti le han dato la propria adesione». Il Parlamento, dunque, per Stur- politici in democrazia è quello di zo non deve essere soggetto ad al- organizzare il corpo elettorale; cuna ingerenza partitica. Pretesa prepararlo ed educarlo alla vita un po’ ingenua dal momento che pubblica; fare da intermediario la Costituzione, all’articolo 49, fra gli organismi del potere e del-


L’ANALISI Gennaro Malgieri

l’amministrazione e il cittadino; tro della vita democratica «in aiutarlo nella difesa dei propri di- quanto rappresenta l‘intero poporitti, indurlo allo scrupoloso lo in cui ogni istituzione demoadempimento dei doveri pubbli- cratica e ogni atto democratico ci; correggerne l‘istinto demago- istituzionalizzato devono trovare gico ed indirizzare al servizio origine e, in parte (ma solo in pubblico la impulsiva passiona- parte), giustificazione», ha sottolineato lo studioso italo-americalità delle masse». Riassumendo, per Sturzo la parti- no Alfred Di Lascia. Abbiamo, tocrazia è la malattia che mina la anche a questo riguardo, constatato come il partito della Demodemocrazia. L’errore dei partiti è quello di vo- crazia cristiana abbia disatteso lersi ingerire nel governo e l‘indicazione sturziana allontanell‘amministrazione del paese. nando la formazione della deciDal momento che la prospettiva sione dal Parlamento e trasfedi un partito è ristretta al suo rendola nelle segreterie politiche i cui deliberacampo organizzativo e clien- Solo dopo mezzo secolo ti per decenni sono stati pressoché telare, ne deriva sistematicamente una sorta di natu- e il crollo del sistema rale subordinazio- dei partiti, la politica ha recepiti dai governi. ne degli interessi riconosciuto la validità Ha notato ancora del paese a quelli Di Lascia: «Le del partito o, peg- delle tesi sturziane preoccupazioni di gio ancora, agli interessi delle fazioni all‘interno dei Sturzo per la formazione di cenpartiti, vale a dire il deprecato fe- tri oligarchici e di poteri extranomeno del correntismo che ha costituzionali, riflettono ciò che condizionato per lunghi anni la possiamo chiamare la finalità extra-polemica della sua polemica politica nazionale. Nel 1958 Sturzo formula una anti-partitocratica, in quanto taproposta di legge tesa alla mora- le polemica è profondamente ralizzazione della vita pubblica, al- dicata nel suo impegno teoretico la limitazione del potere dei par- e pratico, curata tutta la vita, per titi nelle attività parlamentare e istituzioni democratiche libere governativa, al controllo delle entro un sistema costituzionale spese e dei finanziamenti degli realmente rappresentativo; e in stessi. Non riscosse molto succes- questo ambito particolare un so. I fasti partitocratici erano ap- partito politico, indispensabile pena cominciati e i trionfi di Tan- per trasformare una determinata opinione pubblica dal suo stato gentopoli erano ancora lontani. C’è da osservare, in questo conte- grezzo in una costruttiva costo, come Sturzo assegni al Parla- scienza collettiva, non può mai mento la priorità rispetto al pote- rivendicare alcun diritto di pore governativo ritenendolo il cen- tere esclusivo, poiché a nessun

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singolo potere o istituzione è mai riconoscerla una simile pretesa. In breve, nessun partito politico può pretendere di possedere la verità, tutta la verità e nient’altro che la verità; in concreto, nessun partito può pretendere di essere come il granito, solido, inattaccabile, massiccio; o, in termini filosofici, nessun partito può pretendere di essere “ideologico” (nel senso marxista del termine) ». Infatti, Sturzo asseriva: «Questi liberali ... purtroppo ... devono convincersi che categorie in politica non esistono, e che partiti “teorici”, come li pensano costoro, non sono esistiti e non esistono, e che i partiti, tutti i partiti, i partiti veri [...] mai sono granitici e mai sono amalgama di teorie, e mai sono confessionali, perché i partiti, se operano e resistono alle lotte avversarie, sono essenzialmente espressione politica ed economica di interessi comuni». Ci sono voluti ben cinquant’anni ed una crisi formidabile che li ha come squassati, perché i partiti politici italiani si ripensassero secondo questa elementare verità di Sturzo. In tutto questo tempo è prevalsa una sorta di deificazione del partito che dunque aveva bisogno di un’aura ideologica, surrettiziamente totalitaria, per proporsi ed affermarsi. Anche in questa presunta onnipotenza si è nutrito il “Leviatano” partitocratico. Sturzo, nel denunciare l’invadenza partitica, si colloca nella stessa linea di tendenze dei grandi accusatori del sistema: Carlo Costamagna, Lorenzo Caboara, Gia-

como Perticone, Giuseppe Maranini, Panfilo Gentile, Randolfo Pacciardi, Piero Operti, Mario Vinciguerra. Se fu isolato negli anni Cinquanta, come lo furono questi suoi inconsapevoli compagni di strada, non dipese da lui, ma dallo “spirito del tempo”. Don Luigi Sturzo ha ancora oggi un valore straordinario come esegeta del regime dei partiti, del quale, in una sinistra luce di crepuscolo, aveva scorto i tormenti ed i peccati. Non crediamo che finì per assolverlo: se così fosse andata, non si sarebbe spento politicamente in solitudine nella lontananza di quella Democrazia cristiana che non riuscì mai a fare sua. Sturzo appartiene a tutti e a nessuno, dunque. Certamente devono sentirlo vicino coloro i quali sono interessati alla pacificazione nazionale perché il sacerdote di Caltagirone è stato intimamente e profondamente un pacificatore. Un precursore, in fondo, della Nuova Repubblica.

L’Autore GENNARO MALGIERI Giornalista, ha diretto il Secolo d’Italia e L’Indipendente. Consigliere d’amministrazione della Rai dal 2005 al 2009, attualmente è deputato del Popolo della libertà e membro della commissione Affari esteri della Camera.



PPE, TRA VISIONE INTERVISTA A JOSEPH DAUL DI BARBARA MENNITTI

n gruppo parlamentare dove sono presenti tutti i ventisette Stati Ue, l’orgoglio di aver saputo ricomporre i cocci lasciati dal crollo dei regimi comunisti e le nuove sfide dietro l’angolo. Daul, presidente del gruppo Ppe-De al Parlamento europeo, parla del futuro di un partito che è riuscito ad andare oltre lo schema cristianodemocratico e che sarà protagonista dell’Europa che verrà.

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Con quattordici Capi di governo su ventisette e 288 parlamentari europei su 784, il Partito popolare europeo rappresenta la forza politica più forte dell’Unione, quella che meglio è riuscita a rimettere insieme i cocci lasciati dal crollo dei regimi comunisti dell’Est e a offrire una casa politica e una prospettiva credibile ai nuovi paesi che si affacciavano all’esperienza comune europea. «È per questo che siamo l’unico gruppo nel Parlamento europeo che rappresenta tutti i ventisette Stati membri», sottolinea il presidente del gruppo Ppe-De al Parlamento, Joseph Daul. Francese, appartenente all’Ump, con un destino europeo scritto già nel suo luogo di nascita, Strasburgo, Daul


L’INTERVISTA Joseph Daul

E REALISMO ha raccolto nel 2007 il testimone del tedesco Hans-Gerd Pöttering, quando questi è stato eletto presidente del Parlamento. In questa intervista, Daul analizza i motivi che hanno fatto del Ppe una forza in grado di interpretare le esigenze e le istanze dei cittadini dell’Unione, rendendolo un partito che si è saputo rinnovare e mettere in gioco, aprendo anche a movimenti di diverse tradizioni, ma mantenendosi al contempo fedele ai principi e ai valori dei Padri fondatori. Riuscendo, cioè, a coniugare visione e realismo. A livello europeo, il Ppe appare come il movimento politico che meglio è riuscito a interpretare i nuovi assetti politici del continente nati dal crollo del Muro

di Berlino, distaccandosi dalle ideologie e dagli schemi del Novecento e inaugurando una nuova fase di ripensamento e rielaborazione politica. È d’accordo con questa analisi e ritiene che sia una transizione completata?

Il movimento cristianodemocratico ha sempre giocato un ruolo importante nella storia europea. I Padri fondatori dell’Unione europea erano esponenti di questa famiglia politica. Erano degli idealisti, ma realisti allo stesso tempo, che comprendevano che, per mantenere la pace in Europa, era necessario ricreare il sentimento di comunità. Il Ppe, il partito politico europeo che si è sviluppato dai partiti cristianodemocratici del continente e che oggi riunisce partiti simili del centrodestra, ha portato avanti la tradizione dei nostri Padri fondatori, giocando un ruolo di primo piano dopo la caduta del Muro di Berlino. Come partito siamo sempre in prima linea nella lotta per la democrazia e i diritti umani e, alla fine della Guerra fredda, proprio come i nostri Padri fondatori, abbiamo spinto per la riunificazione dell’Europa. In questo modo, abbiamo offerto una casa politica a chi era stato perseguitato dalle dittature comuniste. È per questo, sotto molti aspetti, che siamo l’unico gruppo nel Parlamento europeo che rappresenta tutti i ventisette Stati membri.

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Crede che sia per questo che oggi il Ppe è il più forte partito del continente, quello che esprime il presidente della Commissione europea e quello del Parlamento? E perché, secondo Lei, esso riesce meglio degli altri a riscuotere il consenso degli elettori europei?

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Oggi quattordici Capi di governo dei ventisette Stati membri dell’Unione europea provengono da partiti membri del Ppe; e con 288 rappresentanti su 784 abbiamo il gruppo politico più numeroso nel Parlamento europeo. Una cosa simile può verificarsi solo se i cittadini europei ci ritengono in grado di governare bene. Credo che siamo stati una forza politica credibile in tutti gli Stati membri. Siamo sempre riusciti ad ispirare i nostri cittadini perché ne abbiamo guadagnato la fiducia. La nostra concezione, che mette il successo e il benessere dell’individuo al centro di tutte le nostre politiche, e la nostra fede nella solidarietà sposata alla responsabilità, si sono dimostrate idee vincenti. Le prossime elezioni europee si terranno in un clima di crisi e di instabilità economica e finanziaria. È nostro dovere presentare un progetto credibile che mostri come uscire dalla crisi, preservando allo stesso tempo il nostro alto standard di vita. Credo che, grazie alla fiducia che abbiamo conquistato e al duro lavoro che facciamo ogni giorno per i cittadini europei, vinceremo ancora una volta le elezioni e ci riconfermeremo come il principale partito del Parlamento europeo.

Secondo molti osservatori, una tappa fondamentale nella marcia del Ppe fu il congresso di Atene del 1992, che di fatto apriva le porte anche ai partiti non originariamente democratico-cristiani, che si riconoscevano nel programma del Ppe. Ritiene anche Lei che questa sia stata una scelta lungimirante?

Questo processo di apertura del partito è stato il passo più importante compiuto dal Ppe. Ha permesso al partito di diventare la più forte forza europea, ampliando la base senza perdere i suoi valori. Si è trattato di una scelta strategica tesa a unire tutte le forze simili del centrodestra, in modo da indebolire la sinistra europea, come infatti è successo. Abbiamo un nocciolo duro di valori che tutti condividiamo e che ci differenzia dalla sinistra. Quali sono gli elementi di novità e i nuovi temi che questi partiti di tradizione non democristiana hanno portato nel Ppe e nel suo dibattito interno?

Tutti i vecchi partiti membri avevano al loro interno molti elementi che erano assai vicini ai valori dei nuovi venuti. Questo è particolarmente evidente nei temi economici e finanziari. Se mai, la discussione è diventata più ampia, inserendo elementi che rappresentano un più vasto dibattito europeo. Queste nuove idee ci hanno permesso di portare alla discussione questioni che hanno eco in tutti i ventisette Stati membri, consentendoci di meglio rappresentare i cittadini d’Europa.


L’INTERVISTA Joseph Daul

Ritiene, pensando anche al Suo partito Ump, che oggi le forze di tradizione non democratico-cristiana abbiano pari dignità all’interno del Ppe rispetto ai partiti del nucleo originario?

Oggi non farei nemmeno questa distinzione. Il mio partiro, l’Ump francese, ha molti elementi in comune con la Cdu tedesca, che ha molti elementi in comune con la svedese Moderaterna e così via. Nelle discussioni attuali non vedo divisioni fra

membri “vecchi” e “nuovi” né fra membri “cristianodemocratici” e “conservatori”. Questo si riflette anche in un’equa distribuzione in tutti gli importanti organi decisionali del partito e del gruppo politico nel Parlamento europeo. Ai livelli nazionali bisogna registrare una disaffezione dei cittadini verso le istituzioni europee, percepite come distanti e avulse dalla vita concreta. Co-


me pensa il Ppe di affrontare questo problema, anche in vista delle prossime elezioni?

L’Intervistato

Tutti i nostri membri del Parlamento si impegneranno in campagne elettorali vicine ai cittadini. Cerchiamo di spiegare i nostri successi, illustrando agli elettori quali benefici hanno avuto individualmente o come Stato membro. Dovremo ricordare ai cittadini a cosa servono le nostre legislazioni e come influenzano le loro vite quotidiane, e offrire loro una prospettiva globale, che spieghi perché l’Unione europea è importante per ciascuno dei nostri cittadini. 18

Quale futuro vede per il processo di integrazione europea e quale sarà il ruolo del Ppe in esso?

JOSEPH DAUL

In termini di vicinato più prossimo, credo fermamente che l’Ue sarà il punto di arrivo della Croazia. Penso, però, che, dopo aver preso a bordo questo paese, bisognerà lasciare ai nostri cittadini e al nostro continente un periodo di pausa e di riflessione. Dobbiamo consolidare quello che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni. Dobbiamo portare avanti il processo di integrazione europea, rendendo definitivo il Trattato di Lisbona e adoperandoci per intensificare il mercato interno, che ha portato grandi vantaggi a milioni di cittadini europei. Il Ppe dovrà rimanere la forza politica che unisce il realismo alla visione. Il nostro compito principale è quello di ascoltare e di riuscire a rappresentare le opinioni dei nostri cittadini quando si devono prendere decisioni importanti.

peo. Nel 1976 è stato nominato vicepresidente

Francese, membro dell’Ump, attualmente presidente del gruppo Ppe-De al Parlamento euronazionale del Centre National des Jeunes Agriculteurs, un network attivo a livello locale, re-

gionale, nazionale ed europeo. È stato membro della Commissione delle organizzazioni profes-

sionali agricole e del Comitato europeo economico e sociale. Nel 1997, durante la crisi della mucca pazza era presidente della Federazione

nazionale dei produttori di carne di manzo fran-

cese. Nel 1999 è stato eletto eurodeputato. È stato presidente della commissione Agricoltura e sviluppo rurale e della Conferenza dei presi-

denti di commissione. Dal 2007 è presidente del gruppo Ppe-De.

L’Autore BARBARA MENNITTI

Giornalista e traduttore, scrive di società, costume, politica interna e politica estera. È stata direttore del quotidiano online Ideazione.com, collabora con Ffwebmagazine.


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Perché non serve un partito dei cattolici

Laicità non vuol dire relativismo morale La fine dell’unità politica dei cattolici non è solo auspicabile per convenienza politica, ma è anche una necessità di natura teologica. È l’idea che si è fatta strada in alcuni importanti settori della Chiesa dopo il Concilio. DI MARIO CIAMPI

Le grandi svolte politiche, lo si sa, spesso vanno accompagnate da alcune giustificazioni dal tono divulgativo, necessarie per semplificare le ragioni più profonde e animare il consenso. La svolta popolare della destra politica confluita di recente nel Pdl è stata opportunamente motivata guardando alla natura plurale del Partito popolare europeo, che è or-

mai ben lontano dall’essere l’internazionale democristiana. Chi proviene dalla destra politica solitamente vuole distinguersi dalla storia democristiana, anche se ha rivisto negli anni, parzialmente o integralmente, il proprio giudizio sul principale partito della prima Repubblica. Le ragioni di questa dichiarata estraneità politico-culturale sono molteplici e a


PUNTO DI VISTA Mario Ciampi

più livelli: di queste vorremmo con il serio rischio di snaturare la qui dedicarci a quella che è proba- naturale universalità del cattolibilmente la più radicale e più inti- cesimo. ma, l’estraneità al confessionali- La fine del partito dei cattolici, o smo e allo stesso cattolicesimo po- anche semplicemente di un partilitico. Ma perché questa condizio- to di cattolici, non è soltanto un ne? An era forse un partito laicista, risultato più o meno auspicato altardo-risorgimentale o liberal- la luce delle convenienze politimassonico? Non ci pare affatto, al- che, ma – è quanto vorremmo meno nelle sue tesi ufficiali e pro- sottolineare – una necessità di nagrammatiche. Qual è dunque il tura teologica. Sono tanti gli inmotivo vero di questa differenzia- terpreti del Concilio che vanno in questa direzione. Tra i tanti, ci zione? Intanto, per sgombrare il campo sembra particolarmente significada un equivoco di fondo, va detto tiva al riguardo la posizione del che il popolarismo, almeno nelle Fondatore dell’Opus Dei: «Non intenzioni del suo ci sono dogmi nelfondatore, Luigi Il partito unico le cose temporaSturzo, è decisali»; non si possono mente altro rispet- dei cattolici ha finito definire delle «veto al cattolicesimo per snaturare rità assolute in politico, che può questioni in cui facilmente scivola- l’innata universalità per forza ognuno re nel vizio del cle- del cattolicesimo guarda le cose dal ricalismo assumensuo punto di vista, do la religione come vessillo e tal- secondo i suoi interessi particolavolta perfino come ideologia. Ma ri, le sue preferenze culturali e la il partito di Sturzo rimaneva “un sua peculiare esperienza». Pretenpartito di cattolici”, nonostante la dere di farlo, cercare di «imporre laicità espressa formalmente. A dogmi sul piano temporale», siben vedere, quindi, il popolari- gnifica far violenza alla realtà e smo sturziano non riusciva a libe- conduce, di conseguenza e in morarsi da uno dei canoni propri del do inevitabile, a misconoscere la confessionalismo e legava l’appar- libertà dell’uomo, «a forzare le tenenza partitica comunque al- coscienze degli altri, a non rispetl’identità cattolica dei singoli. tare il prossimo»1. E definiva cleEra ancora troppo vivo il ricordo ricalismo l’atteggiamento di chi, del non expedit per osare formule nella sfera pubblica, pretende di di aggregazione politica che an- scendere «dal tempio al mondo dassero oltre il laicato cattolico. per rappresentare la Chiesa», e Se ebbe il merito di permettere ai che le sue scelte sono le soluzioni fedeli di partecipare alla vita della cattoliche di quei problemi che si nazione, il partito unico dei cat- trova ad affrontare2. Nelle realtà tolici ha finito però per ingessare temporali, e quindi in politica, i alcune contrapposizioni politiche, cristiani hanno il dovere di parla-

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IL RITRATTO

Francesco Cossiga, il ribelle delle istituzioni

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Un uomo che ha attraversato la storia dell’Italia repubblicana da protagonista e da uomo delle istituzioni può comunque essere considerato come la coscienza critica della nazione? Nel caso di Francesco Cossiga parrebbe di sì. In Parlamento dal 1958, sottosegretario alla Difesa a 38 anni, ministro dell’Interno a 48, presidente del Senato a 55 e della Repubblica a 57, Cossiga ha rappresentato uno dei pochi esempi di “giovani” di successo all’interno della Democrazia cristiana, un partito che di sicuro non si era distinto per la sua linea verde nella formazione delle classi dirigenti. La sua brillante carriera politica, però, non ne ha fatto un santino, un padre della Patria trasversalmente considerato tale dal mondo politico. E non perché non ne avesse i requisiti. La scelta di essere bastian contrario, politicamente scorretto, sempre pronto ad assumersi la responsabilità di prese di posizioni al limite dell’eccesso, è senza dubbio la cifra del personaggio. Niente compromessi. Non per lui. E il caso ha voluto, poi, che Francesco Cossiga fosse al posto giusto (o sbagliato, dipende dai punti di vista) nel momento giusto. Era lui il ministro dell’Interno che si è trovato ad affrontare il dramma del sequestro e dell’assassinio di Aldo Moro. Era lui l’inquilino del Quirinale (eletto per la prima volta nella storia al primo scrutinio con i voti di Dc, Pci, Psi, Pli, Pri, Psdi e Sinistra indipendente nel 1985) quando si scoprì l’esistenza di Gladio, un struttura segreta della Nato, o quando fece capolino nella società italiana l’uragano Mani Pulite. E pur in mezzo a tempeste del genere, Cossiga non si è mai tirato indietro, compiendo scelte, condivisibili o meno, di cui ha sempre pagato personalmente le conseguenze. Durante il sequestro Moro, ad esempio, fu uno dei sostenitori più convinti della contestata linea della fermezza, sostenendo l’impossibilità per lo Stato di scendere a patti con chi voleva distruggerlo. Erano gli anni di Kossiga con la K, il ministro dell’Interno forse più conte-

stato nella storia repubblicana. Durante uno dei tanti episodi violenti del 1977, morì Francesco Lorusso, giovane membro di Lotta Continua, e quel giorno nacque la leggenda di un Cossiga che ordinava alle forze dell’ordine di sparare tra la folla dei manifestanti. Il caso Moro, però, è davvero stato lo spartiacque nell’esperienza personale e politica di quello che pochi anni dopo sarebbe diventato il Picconatore. Quando il corpo del presidente della Dc venne trovato senza vita nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata a via Caetani, Cossiga si assunse la responsabilità di non esser riuscito a salvarlo, annunciando immediatamente le dimissioni da ministro dell’Interno. Un anno dopo arrivò il primo (e unico) governo Cossiga, ma di tranquillità nemmeno a parlarne. Il Pci, infatti, chiese la messa in stato d’accusa del presidente del Consiglio, colpevole, secondo i comunisti, di aver avvisato il compagno di partito Carlo Donat Cattin dell’imminente arresto del figlio Marco, terrorista esponente di Prima Linea. Lasciato Palazzo Chigi nell’ottobre 1980, Francesco Cossiga tornò tra i protagonisti della vita politica italiana dopo qualche anno, diventando presidente del Senato nel 1983. Due anni dopo, si diceva, la plebiscitaria elezione a presidente della Repubblica. L’avventura al Quirinale è stata forse unica nella storia italiana: se i suoi predecessori si erano limitati a ricoprire il ruolo di presidente-notaio (così come hanno fatto, peraltro, i suoi successori), Cossiga sparigliò le carte, si resee conto che il mondo stava cambiando (erano gli anni della perestrojka e del crollo del Muro di Berlino) e sapeva che l’Italia non poteva restare ferma a guardare. Nacque in quegli anni il mito del Picconatore, alimentato anche da due scandali di portata epocale per il nostro paese: Gladio e Tangentopoli. La scoperta dell’organizzazione segreta della Nato, creata per rispondere a un eventuale attacco sovietico, ebbe in Italia un’eco vastissima, con il solito corredo di dietrologie e accuse di cospirazioni concepite nel cuore stesso dello Stato. Anche in quel caso Cossiga non si scompose più di tanto: ammise di essere a conoscenza dell’organizzazione e anzi la difese,


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affermando che i “gladiatori” andrebbero onorati come i partigiani, visto che il loro scopo era pur sempre quello di mantenere l’indipendenza e la democrazia in Italia. La ciliegina sulla torta della vulcanica presidenza di Cossiga fu lo scandalo Tangentopoli. Per la prima volta, infatti, un politico democristiano non cercò di negare le malversazioni nel mondo politico e appoggiò l’operato dei magistrati del pool di Milano. Il 25 aprile 1992, infine, Francesco Cossiga annunciò in diretta televisiva le dimissioni da presidente della Repubblica, lasciando vacante la massima carica dello Stato fino alla successiva

elezione di Oscar Luigi Scalfaro. Ma l’attività politica di Cossiga non è finita quel giorno di aprile. L’ex presidente non è uomo da accontentarsi del ruolo di pensionato di lusso, di canuto senatore a vita utile solo per far da tappezzeria. Le esternazioni, le picconate, le provocazioni sono continuate e continuano ancora oggi. A riprova che persino nell’ingessatissima Democrazia cristiana della Prima repubblica c’era qualcuno pronto a rompere gli schemi, a sparigliare le carte e a usare una coscienza critica rara, allora come oggi. di D i e g o N a d a l


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re in nome proprio, con libertà e responsabilità, agendo secondo gli ideali evangelici, ma senza cercare il patrocinio della Chiesa, finendo inevitabilmente per strumentalizzarla. Il loro linguaggio deve essere comune a quello degli altri cittadini e mai mutuato dalla scienza della fede: come insegnava la Lettera a Diogneto già nel II secolo, essi non sono apolidi e condividono le sorti del mondo insieme a tutti gli altri. È il tema attualissimo della laicità individuale, dello stile che i cittadini cattolici devono tenere quando intervengono sui delicati temi della vita comune. Se il dibattito su questo tema si va alimentando, lo si deve essenzialmente a due fattori: il primo è la piena realizzazione della diaspora dei cattolici nella scena politica italiana, che sicuramente libera la discussione, un tempo riservata all’interno di strutture dedicate; il secondo è invece di natura globale e riguarda quello che alcuni pensatori chiamano “post-secolarismo”, il ruolo sempre crescente che le religioni ritornano ad avere anche in Occidente, dopo lunghi decenni di secolarizzazione spinta e a volte eccessiva. La novità di questa tendenza post-secolare può dar luogo ad interpretazioni culturali del cristianesimo, che, come tali, rivelano spesso limiti ed errori. È il Patriarca di Venezia ad averli recentemente sottolineati: la prima interpretazione «è quella che tratta il cristianesimo come una religione civile, come mero cemento etico, capace di fungere da collante sociale per la

nostra democrazia e per le democrazie europee in grave affanno. Se una simile posizione è plausibile in chi non crede, a chi crede deve essere evidente la sua strutturale insufficienza. L’altra, più sottile, è quella che tende a ridurre il cristianesimo all’annuncio della pura e nuda Croce per la salvezza di “ogni altro”». Si tratta dell’eterno dilemma tra materialismo e spiritualismo, detto con la sensibilità politica, tra un cristianesimo identitario che cita il Papa come se fosse un intellettuale organico e comunque solo quando si esprime su temi identitari, e un cristianesimo misticheggiante ed intimista, disincarnato e astratto dalle cose del mondo. Trovare un equilibrio tra queste due tendenze ed esprimerlo in uno stile autenticamente laico, non è per nulla scontato, specie se si parla di politica. Qual è allora la laicità positiva? Qual è il giusto atteggiamento di un credente laico impegnato in politica? La laicità è anzitutto un canone metodologico. Come dice Umberto Cerroni, «laico è chi guarda le cose con spirito di osservatore e quindi agisce avendo osservato assumendosi la responsabilità dell'agire». Il criterio di laicità non fissa un contenuto; su questo punto, rimane insuperabile la lezione di Bobbio: «Lo spirito laico non è esso stesso una nuova cultura, ma è la condizione per la convivenza di tutte le possibili culture. La laicità esprime piuttosto un metodo che un contenuto»3. Non c’entrano quindi con la


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laicità – e neppure con la natura della democrazia – il relativismo morale, l’indifferentismo o il nichilismo. La concezione totalizzante o integralista della laicità non è soltanto una variante più radicale della separazione tra Stato e Chiesa, ma è un’interpretazione integrale del mondo, una religione a sua volta. Altro è il pluralismo, la consapevolezza che esistono molteplici punti di vista che non necessariamente si elidono a vicenda e che anzi possono entrare in relazione sotto la spinta della complessità delle società contemporanee. Il problema semmai è quello di capirsi sul significato di dignità della persona umana, in un’epoca di caduta di evidenze etiche come la nostra. È per la caduta di queste evidenze che al cristiano è richiesta oggi qualche rinuncia in più rispetto al passato riguardo alla sua concezione della vita buona, senza che questo significhi una rinuncia ad argomentare e a difendere quella verità che vede con maggiore nitidezza di altri. E qui veniamo all’argomento più delicato, quello della laicità politica e della sua piena accettazione da parte del cristiano. Come argomenta il filosofo Martin Rhonheimer, una vera laicità delle istituzioni «ha bisogno di una morale politica della cittadinanza, di quel vincolo mutuo che definisce ciò che il politologo tedesco Dolf Sternberger ha chiamato Verfassungpatriotismus (patriottismo costituzionale), un atteggiamento civico di lealtà alle istituzioni politiche dello Stato costituzionale demo-

cratico e alle sue regole del gioco, anche se molte volte ciò significa rinunciare a vedere realizzati dei valori che si ritengono essere di maggiore dignità o un progetto integrale concernente la propria concezione della società buona»4. È per favorire questa “morale politica della cittadinanza” che conviene evitare gli opposti vizi del clericalismo e del laicismo, le loro fratture più apparenti che reali. E, in continuità con la tradizione della destra politica italiana, riteniamo che un partito plurale di cristiani e di non-cristiani, sia lo strumento migliore per affermarla. San Josemaría Escrivá, Las riquezas de la fe, pubblicato nel quotidiano ABC di Madrid, 2-XI-1969. 2Colloqui con Mons. Escrivá, Ares, Milano 1987, n. 75. 3N. Bobbio, Perché non ho firmato il “Manifesto laico”, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 127. 4M. Rhonheimer, Democrazia moderna, Stato laico e missione spirituale della Chiesa: spunti per una concezione politica “sana” della laicità, in Laicità: la ricerca dell’universale nelle differenze, a cura di P. Donati, p. 107. 1

L’Autore MARIO CIAMPI Direttore della fondazioneFarefuturo e presidente di Farefuturo Editore. Studioso di dottrina sociale cattolica, è autore di numerosi articoli e saggi di etica politica e di teoria democratica. Si è occupato di istruzione superiore europea e di politica energetica. Ha ricoperto dal 2002 al 2007 gli incarichi di responsabile dell’organizzazione e di coordinatore della scuola di formazione politica di An.

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Le radici sturziane del movimento europeo

Il popolarismo come teoria dello Stato Il Partito popolare europeo, nel 1976, ha ufficialmente raccolto l’eredità del popolarismo di Sturzo, proiettandone così in una dimensione continentale i valori di giustizia e libertà. DI EUGENIO GUCCIONE

Teorico, sostenitore e primo realizzatore dell’idea di popolarismo fu Luigi Sturzo, di cui quest’anno ricorre il cinquantesimo anniversario della morte in coincidenza con il novantesimo della fondazione

del Partito popolare italiano, sua diretta filiazione politica. La parola popolarismo fu coniata da lui. È lo stesso politologo cattolico a rilevarlo. «Questa – egli dichiara nel 1928 – è stata usata da


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me la prima volta nel volume Riforma statale e indirizzi politici, così allora scrivevo: esiste pertanto una dottrina politica che si chiama popolarismo e dalla quale il partito, come concretizzazione organizzativa, ha la sua ragion d’essere, la sua ispirazione e la sua finalità? La domanda non può tendere a dimostrare che prima sorge la teoria e poi il partito, perché nel fatto vi è un flusso reciproco tra pensiero e azione, specialmente col divenire sociale così pieno di dinamismo. La domanda serve a precisare i contorni e i presupposti teorici del movimento politico popolare» (Scritti storico-politici 1926-1949, Roma, 1984, p. 35). Sturzo coglie la reciprocità di influsso tra idea e fatto, tra pensiero e azione, e, in pari tempo, ri-

vendica la legittimità della denominazione data al partito da lui costituito. In precedenza aveva criticato la vaghezza e l’astrattezza del termine “democrazia”, tanto che – egli spiega – coloro che ne avevano fatto uso erano stati costretti ad aggiungervi un «aggettivo modificativo». Così si era avuta «la democrazia liberale, la democrazia radicale, la democrazia nazionale, la democrazia cristiana». In Francia, addirittura, era sorto il Parti democrate populaire, nella cui denominazione si utilizzavano due aggettivi qualificativi con il medesimo significato. In Italia, invece, si era ricorso al solo popolare: dal quale aggettivo poteva bene dedursi «come uso specificativo, la parola astratta teorizzante di popolarismo».


FOCUS

Pdl, un’identità da costruire in Italia

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Il Popolo della libertà è nato, come è normale, tra speranze e timori, tra contrasti e abbracci, tra incognite (molte) e certezze (poche, in realtà). Tra queste ultime, la più assoluta è la funzione di leadership assegnata a Berlusconi, guida politica e simbolica del nuovo partito di centrodestra, punto d’aggregazione per il momento a dir poco indispensabile delle molte anime che albergano all’interno di quest’ultimo. Ma c’è un altro elemento che è sempre stato dato come ovvio, scontato e dirimente nell’identità del Pdl: la sua collocazione all’interno della grande famiglia del popolarismo europeo. La Carta del Valori del Ppe, si è detto, è la stessa del Pdl: comune l’orizzonte ideale, comuni gli obiettivi politici e le prospettive d’azione. Sennonché quest’identificazione, presentata come assoluta e qualificante, pone egualmente qualche problema o interrogativo, sul quale conviene riflettere. Essere parte di una grande famiglia, avere una collocazione continentale chiara e stabile, diversamente dalle oscillazioni che hanno sin qui lacerato il Partito democratico, indeciso se dirsi socialista all’europea o se presentarsi invece come un unicum, rappresenta sicuramente un bene, specie se si considera che all’interno di tale famiglia siedono oggi anche i rappresentanti e gli eredi della destra nazionale italiana, nei confronti dei quali spesso in passato i vertici più conservatori del Ppe hanno tenuto atteggiamenti critici o sdegnosi. Ma ciò detto, va anche ricordato che il popolarismo odierno è qualcosa di assai diverso da ciò che spesso di pensa, sicuramente è qualcosa di diverso da ciò che era in passato. La componente cristianodemocratica, che del Ppe è stata l’anima

politico-ideologico, nel corso del tempo è stata affiancata e per certi versi persino surrogata dall’innesto di altre tradizioni, più riconducibili ad una matrice in senso lato nazional-conservatrice. L’ingresso nel Ppe dei popolari spagnoli (nati da un’evoluzione in chiave tecnocratica del franchismo e perciò assai diversi dalla Dc italiana o dalla Csu tedesca), l’adesione dei neogollisti francesi, l’apparentamento nel frattempo intervenuto dei tories britannici; bene, tutto ciò ha contributo ad una profonda e reale mutazione di questo grande partito, immettendo al suo interno prospettive e sensibilità nuove. Un cambiamento destinato ad accentuarsi proprio con la confluenza del Popolo della libertà, che ha un profilo, una storia e delle matrici interne a sua volta parecchie peculiari, che non hanno riscontro in altre esperienze europee. Da “contenuto” il Ppe si è fatto dunque “contenitore” assai elastico di storie politiche e tradizioni molto diverse, ognuna delle quali risente di una forte connotazioni nazionale. Ciò spiega per quale ragioni l’adesione al Ppe di un qualunque partito dice molto, ma non dice l’essenziale. E ciò vale in particolare proprio per il Pdl. Che è nato da poco, ha un’identità ancora debole e precaria e per questa ra-


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gione tende forse a presentarsi, quando ne ha l’occasione, come una sorta di filiale italiana della casa madre europea. Ma enfatizzare troppo questa collocazione rischia di essere un segno di debolezza. La sua identità, infatti, il Pdl deve costruirla soprattutto nel contesto politico nazionale in cui esso è chiamato a operare e a fare le sue scelte politiche fondamentali. Il Pdl, in altre parole, è un grande partito nazionale, figlio delle contraddizioni, delle attese e delle esigenze di modernizzazione che sono proprie della situazioni politico-sociale italiana. L’adesione al contenitore del popolarismo rappresenta dunque un elemento di legittimazione culturale e di forza politica. Ma è in Italia – parlando agli italiani – che il nuovo partito dovrà giocare, oggi e negli anni a venire, la sua partita fondamentale. L’Europa è un orizzonte ideale, di integrazione e collaborazione tra le grandi forze che operano su scala continentale, ma non può essere, come spesso è capitato nella storia recente del nostro paese, un alibi retorico o una spazio simbolico nel quale annullarsi o nel quale ricercare i fondamenti della propria identità. di Alessandro Campi

E, più avanti, aggiunge: «[…] mi sono sforzato di chiarire la portata teorica di questo sistema che ho chiamato popolarismo, non per vano desiderio di creare una parola nuova, ma per obbligo di dare un nome ad un movimento di idee politico e sociale, che aveva le sue concrete realizzazioni sul terreno dell’azione, in modo da opporlo ai sistemi, oggi predominanti, che si chiamano liberalismo, radicalismo, socialismo, fascismo, nazionalismo, comunismo, bolscevismo e simili». A suo giudizio il problema fondamentale sul quale poggiare una simile teorizzazione «è e non può essere che politico», tanto che tutti gli altri problemi debbono essere affrontati e risolti «sotto l’angolo visuale politico, proprio perché si tratta di una teoria dello Stato». E ciò vale per tutti i partiti che si muovono in campo politico, poiché non possono «basarsi che sopra una teoria del-

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lo Stato», anche se si caratteriz- tati nel lessico istituzionale sin zano per il loro preminente ca- dal Medio Evo, allorquando si rattere economico, come il socia- parlava di Regime di popolo o di Relismo e il comunismo, il cui si- gimento popolare e di altre espresstema, in ogni modo, è destinato sioni simili. E, in tempi più recenti, nel 1904, quando, sciolta a politicizzarsi (ibidem). Sturzo, parlando di popolarismo, si con provvedimento della segretecompiace di presentarlo come ria di Stato vaticana l’Opera dei una dottrina politica, ossia come Congressi, sorsero al suo posto tre un sistema organico di idee risul- organizzazioni distinte e dipentante da una particolare visione denti dalla gerarchia ecclesiastidella realtà e da una conseguente ca: una di queste fu, appunto, analisi delle vicende politiche. La chiamata Unione popolare. A visione è quella cristiana, alla lu- questa – rispetto alle altre due, ce della quale sarebbero interpre- l’Unione economico-sociale e tati i fatti e affrontati i problemi l’Unione elettorale – fu affidato un ruolo primario, della società civile. Il popolarismo, La laicità della politica, poiché essa curava l’organizzaione soquantunque così ciale del mondo denominato da per Sturzo, è uno cattolico e proSturzo e da lui ela- dei punti cardine muoveva le Settiborato come una mane sociali dei teoria dello Stato, della dottrina cattolici italiani, sperimentata dal del popolarismo convegni finalizzaPpi durante la sua breve esistenza, come concetto ha ti alla discussione dei problemi tuttavia radici anteriori alla figu- più scottanti del tempo, quali la ra e all’opera del sacerdote sicilia- questione operaia, la questione no. Tali radici si riscontrano nella contadina, la famiglia, il divorzio, secolare tradizione filosofico-po- la legislazione sociale in genere. litica di ispirazione cristiana, nel- Sturzo, risalendo a un’epoca più la dottrina sociale della Chiesa e, remota, confessa che la «parola in particolare, nel magistero di popolo, nel significato latino del Leone XIII, sotto la spinta del Senatus populusque romanus piacque quale, tra la fine del secolo XIX e sempre ai cattolici per indicare l’inizio del XX, nacquero e si svi- insieme la volontà collettiva e la lupparono il Movimento cattoli- gerarchia sociale; un principio di co europeo e la prima Democrazia ordine e di consenso classico nel cristiana, l’uno e l’altra turbati senso vero della parola» (Ivi, p. dall’ondata modernista, come av- 31). venne col caso Murri, ma preva- È significativa, sempre tra il XIX lentemente rimasti fedeli all’inse- e il XX secolo, la riscoperta di Girolamo Savonarola con i tentagnamento pontificio. Il sostantivo popolo e lo stesso ag- tivi di rivendicarne l’ortodossia e gettivo popolare erano stati adot- di presentarlo nella veste di «ri-


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IL LIBRO

L’europeismo per i più giovani L'Europa raccontata ai ragazzi: l'Unione europea di oggi, l'Europa che è stata e che ha maturato attraverso i secoli una fisionomia precisa, l'Europa che sarà. Mario Mauro, vicepresidente del Parla-

formatore popolare», operante nello spirito del Vangelo. L’iniziativa fu presa da quella prima schiera di democratici cristiani che ebbe come maggiori e qualificati esponenti e pubblicisti Giuseppe Toniolo, Romolo Murri, Filippo Meda, Vincenzo Mangano, Ignazio Torregrossa e lo stesso Sturzo. Per costoro l’occasione si offerse propizia nel 1898, in ricorrenza del quarto centenario dell’impiccagione del frate domenicano. Da quell’anno e per molto

mento europeo firma con la giovane autrice per bambini Elisabetta Chiappa questo volume tutto teso a far comprendere ai più piccoli il mondo e la civiltà in cui sono nati e in cui daranno da grandi il loro apporto. Lo fa da un punto di vista preciso, manifestando il suo credo cristiano fin dal titolo, nella convinzione che l'identità civile e nazionale dell'Europa si fonda nelle radici culturali e religiose di una tradizione bimillenaria di storia; lo fa senza alcuna pretesa di dire o spiegare tutto, ma scegliendo, nella forma del dizionario illustrato, alcune parole chiave che aiutino a farci capire, in quanto europei, chi siamo veramente e da dove veniamo. A questo scopo al volume è allegato Eurovia, il magnifico gioco della Bandiera europea che propone una gara avvincente e istruttiva attraverso tutti i paesi dell'Unione. La prefazione è del presidente Francesco Cossiga, i disegni coloratissimi sono di Benedetto Chieffo.

tempo dopo, corrispondente al periodo di formazione politica dei cattolici e alla grande vigilia del popolarismo, l’interesse per il Savonarola, antesignano del «concetto cristiano di democrazia», toccò le più alte punte e si tradusse in una entusiastica fioritura di saggi, di conferenze e di articoli che, lungi dalle comuni e vane forme retoriche proprie delle circostanze commemorative, mise in evidenza gli aspetti ancora validi e attuali del pensiero politico e

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sociale savonaroliano. Filippo Meda – solo per citare uno dei più autorevoli del gruppo – elenca i titoli morali e politici del frate di San Marco per i quali si debba dargli un «posto d’onore» tra i democratici d’ispirazione cristiana. L’austerità incrollabile, il fatto d’essere stato «vittima L’europeismo e il cosmopolitismo di una persecusono parte integrante zione spietata», del popolarismo il merito d’avere fondato «una schietta democrazia» sui principi cristiani «garantita dalla virtù popolare», sono «lati interessantissimi della sua fortunosa esistenza e lo collocano tra i benemeriti di quel movimento sociale

cristiano, il quale, attraverso i secoli, or palese, or celato, segna il filo dell’azione provvidenziale ed il cammino contrastato della civiltà vera» (Nella storia e nella vita, Firenze, 1903, p. 221). Savonarola, insomma, avrebbe le carte in regola per essere considerato un pioniere del popolarismo, sia per avere avuto «un’idea omnicomprensiva di popolo», sia per avere costituito a Firenze un governo popolare. Il popolarismo, in quanto dottrina politica, nonostante orientato a seguire l’influsso di pensiero e di vita della religione cristiana in tutto lo svolgersi della civiltà moderna, rifiuta qualsiasi legame confessionale. Su questo


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punto Sturzo, che aveva proclamato e ribadito la laicità del Ppi, è piuttosto drastico ed esplicito: se si vuole intendere il popolarismo – egli ribadisce più volte – «come espressione politica del Cattolicesimo Religione e Gerarchia, noi lo neghiamo perché non vogliamo ripetere l’errore di un Cattolicesimo politico, che può tradursi in termini uguali e dispregiativi in clericalismo» (Ivi, p. 37). Da qui la definizione tutta sturziana di «partito di cattolici, ma non cattolico», cioè non disposto ad assumere la religione a bandiera. Al primo congresso del Ppi, svoltosi a Bologna nel giugno del 1919, Sturzo non usò mezzi ter-

mini nel contestare padre Agostino Gemelli, il fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, il quale, in tutta coerenza con la sua posizione integralista, avrebbe voluto un partito dichiaratamente cat- La federazione europea tolico. «È su- deve essere la volontà perfluo dire – dei popoli che tendano fu l’immediata, all’unificazione culturale inequivocabile risposta di Sturzo al religioso francescano – perché non ci siamo chiamati partito cattolico: i due termini sono antitetici; il cattolicismo è religione, è universalità; il partito è politica, è divisione. Fin dall’inizio abbiamo escluso che la nostra insegna politica fos33 se la religione, ed abbiamo voluto chiaramente metterci sul terreno specifico di un partito, che ha per oggetto diretto la vita pubblica della nazione. […] non possiamo trasformarci da partito politico in ordinamento di Chiesa, né abbiamo diritto di parlare in nome della Chiesa, né possiamo essere emanazione e dipendenza di organismi ecclesiastici, né possiamo avvalorare della forza della Chiesa la nostra azione politica, sia in parlamento che fuori del parlamento, nella organizzazione e nella tattica del partito, nelle diverse attività e nelle forti battaglie, che solo in nome nostro dobbiamo e possiamo combattere, sul medesimo terreno degli altri partiti con noi in contrasto» (Gli Atti dei Congressi del Partito Popolare Italiano, a cura di F. Malgeri, Brescia, 1969, p. 48). La laicità della politica – che per


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Sturzo non è da confondere con il stituisce un fatto di estrema imlaicismo, coincidente con il pre- portanza, l’avvenimento più noconcetto e becero anticlericalismo tevole della storia italiana del XX – è uno dei punti cardini della secolo» (L’Italia contemporanea, dottrina del popolarismo. I soste- 1918-1948, Torino, 1961). Gionitori di essa, pur consapevoli de- vanni Spadolini scorge nella progli errori commessi dalla Chiesa clamata laicità del popolarismo in taluni contesti storici, rivendi- «l’autentica “rivoluzione sturziacano al cristianesimo il merito na”: il taglio netto fra clericalid’avere distinto i ruoli della reli- smo e cattolicesimo sociale, la rigione e della politica e affermano vendicazione perfino orgogliosa – che il principio del «dare a Dio da parte di un sacerdote – delquel che è di Dio e a Cesare quel l’autonomia dei cattolici nelle che è di Cesare»(Matteo, 22, 15- sfere della vita civile» (Il laico 22), espresso da Cristo in risposta Sturzo, in il Resto del Carlino, 9 alla provocazione dei farisei, ri- agosto 1959). mane sempre valiAltra marcata cado e attuale. Il Il popolarismo ratteristica della Partito popolare dottrina del popolaitaliano, – al con- è una dottrina politica rismo, che ha un’ultrario del futuro che affronta i problemi teriore elaboraziopartito della Dene attraverso la comocrazia cristiana, della società civile con spicua produzione da cui lo stesso una visione cristiana di Sturzo durante Sturzo prenderà le il suo lungo esilio, distanze dicendo che tra il popo- è il riconoscimento dell’esistenza larismo e questa «ci sono varie di una società pluralistica, all’indifferenze di orientamento e di terno della quale agiscono dialetmetodo» (Scritti storico-politici, ticamente e perennemente due cit., p. 236), rimarrà tenace pala- tendenze: quella verso l’unificadino della laicità della politica, zione mai raggiunta e concretiztanto d’avere riscosso larghi giu- zantesi nella formazione dello dizi positivi dalla critica storica. Stato e quella verso la differenziaAgli occhi di Piero Gobetti «sol- zione realizzantesi proprio nella tanto l’abilità e la profonda one- società civile. Dentro questo quastà ideale» di Sturzo «seppero dro dinamico operano tre forme evitare all’equivoca azione del di socialità primarie (la familiare, partito i due scogli dell’eresia, la religiosa e la politica) e una che gli avrebbe tolto ogni impor- molteplicità di forme di socialità tanza pratica, e del confessionali- secondarie e complementari (tra smo, che l’avrebbe ridotto ideal- le quali l’economica e l’internamente a un’inerte contraddizio- zionale). Occorre contemperare le ne» (Scritti politici, a cura di P. due tendenze della realtà sociale Spriano, Torino, 1969, p. 978). evitando di agire a scapito delPer Federico Chabod il Ppi «co- l’una o dell’altra. Lo Stato moder-


LA STORIA Eugenio Guccione

no, per esempio, secondo Sturzo, smo – 1946, Bologna, 1971, p. ha tentato l’unificazione naziona- 226). le assorbendo o reggimentando Per quanto concerne l’Europa i tutti gli organismi della società, federalisti possono contare sulla ma, divenendo totalitario, ha su- «logica della storia che lega i fatbito e subisce «la usura delle uni- ti alle premesse». Se si ha fede ficazioni internazionali di cui le nella «potenza dell’ideale», la guerre mondiali sono fenomeni vittoria è certa. Qui è concentrata incoercibili» (Scritti storico- tutta l’essenza dello storicismo politici, cit., pp. 237-238). Di sturziano, che, ovviamente, ricocontro sarebbe stato più opportu- nosce che la storia è il risultato no rivitalizzare la democrazia se- della collaborazione tra due elecondo le esigenze del tempo, ri- menti: da un lato la libera azione dare una più adeguata struttura dell’uomo, da cui spesso emergoallo Stato, scegliere aggiornate li- no la disarmonia e il contrasto dei nee economiche, affrontare e ri- diversi eventi, dall’altro l’intersolvere la questiovento correttivo ne meridionale, Savonarola può essere della Provvidenza andare oltre il nache dà il senso e la zionalismo e pun- considerato un pioniere continuità all’esitare su organizza- del popolarismo per stenza dell’umanizioni internazionatà. Agli occhi del li di tipo federale e aver costituito a Firenze teorico del popomondiale. larismo la federaun governo popolare L’europeismo e il zione europea, incosmopolitismo sono parte inte- tanto, «non può essere il prodotto grante del popolarismo. Sturzo, fer- di accomodamenti politici, o rapmo assertore dei valori della per- presentare gruppi di interessi nasona e soprattutto della morale, zionalistici e privati; ma deve esdella pace, della libertà e della fra- sere la espressione di popoli che tellanza dei popoli, sostiene che – tendano all’unificazione perché così come le nazioni moderne, legati da tradizioni millenarie di malgrado i contrasti e le guerre civiltà, da comunione di aspira«si formarono col passaggio delle zioni e di vita per un avvenire di unità locali, città, contee e pro- benessere e di pace» (Un messagvince, in unità superiori, regni, gio di Don Luigi Sturzo, in EuroStati, nazioni» – è altrettanto pa Federata, 15 maggio 1949, p. «prevedibile che lo stesso passag- 5). Per lui gli Stati Uniti d’Eurogio avvenga da nazioni a gruppi pa non sono un’utopia, ma solinternazionali a carattere regiona- tanto un ideale a lunga scadenza, le e continentale e da questi ad con varie tappe e con molte diffiunità intercontinentali, e così via coltà. fino a una rappresentanza di tutti Il processo d’integrazione euroi popoli nel parlamento mondia- pea ha trovato e trova nel popolale» (Nazionalismo e internazionali- rismo un’eccezionale linfa dottri-

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nale e una forte spinta politica. L’Europa dei sei, base storica dell’attuale Unione, ebbe promotori e artefici di matrice popolare, quali Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman. Il popolarismo, durante le due guerre mondiali, si era diffuso in molti paesi d’Europa, tanto che Luigi Sturzo, durante il suo esilio, con la collaborazione dell’avvoccato modenese Francesco Luigi Ferrari, aveva lanciato un progetto di Internazionale bianca»in contrapposizione alla Internazionale rossa, ma con il preciso proposito di raccogliere sotto un’unica bandiera i gruppi e i partiti popolari del Vecchio Continente. L’iniziativa, che aveva preso la denominazione di Sécretariat international des partis démocratiques d’inspiration chrétienne, si concluse praticamente con un fallimento, ma servì a fornire ai sostenitori i necessari elementi per avere una chiara visione della situazione europea e, in special modo, della disponibilità delle forze democratiche e liberali per la creazione e l’appoggio di organismi politici europei al di sopra degli Stati nazionali. L’eredità del popolarismo sturziano, arricchita dall’esperienza dell’ultimo settantennio nell’alveo della tradizione democristiana, è stata ufficialmente raccolta nel 1976 dal Partito popolare europeo, al quale oggi aderiscono anche partiti nazionali di ispirazione liberale e conservatrice operanti nei paesi membri dell’Unione. L’essenza ideale e la linea programmatica del Ppe ri-

mangono profondamente sturziane, poiché esso, proiettandosi in dimensione continentale, ripropone i valori di giustizia e di libertà propugnati dall’Appello ai liberi e forti. La sua capacità di incidere nell’odierna situazione europea è certamente maggiore di quella assai limitata del Ppi nell’Italia prefascista. Il Ppe, grazie anche all’alleanza con i Democratici europei, è il gruppo numericamente più consistente e più rappresentativo nel Parlamento dell’Unione. È una posizione che ne segna non solo la forza e l’importanza, ma anche, e soprattutto, le responsabilità.

L’Autore EUGENIO GUCCIONE Ordinario di Storia delle dottrine politiche all’università di Palermo. È stato per molti anni direttore dell’Istituto di Studi storici della facoltà di Scienze politiche, della quale da più di un decennio è il decano. Dal 1954 fa parte del Movimento federalista europeo. Si è occupato del pensiero politico italiano e francese del XIX e XX secolo con ricerche sul cristianesimo sociale, sul cooperativismo, sul federalismo e sul rapporto tra la cultura laica e il movimento cattolico. Ha recuperato e curato, con ampia presentazione e note, un inedito di Gioacchino Ventura, venuto alla luce dopo più di un secolo e mezzo, dal significativo titolo Dello spirito della rivoluzione e dei mezzi di farla terminare (Torino, 1998).


L’INTERVENTO Thierry Mariani

Un partito votato all’accoglienza L’ingresso del Pdl può dare nuova linfa e nuove idee al Ppe.

DI THIERRY MARIANI

Nel momento in cui il nuovo partito di Silvio Berlusconi – il Popolo della libertà (Pdl) – che riunisce i due grandi partiti italiani di centrodestra e della destra conservatrice, Forza Italia e Alleanza nazionale, fa sapere che desidera aderire al Partito popolare europeo dopo le elezioni europee del 7 giugno 2009, alcune domande sorgono all’interno del Ppe in vista di questa adesione. La presenza all’interno del Pdl dell’ex partito di Alleanza nazionale, erede del Msi di Giorgio Almirante che partecipò alla Re-

pubblica sociale italiana di Benito Mussolini, spiega largamente queste inquietudini, malgrado l’aggiornamento ideologico operato da Alleanza nazionale dalla sua creazione nel 1995, e la sua virata al centrodestra dello schieramento politico. Oltre a ciò, inquieta anche l’euroscetticismo del Pdl. La prospettiva di questa adesione e i dubbi che essa suscita, impongono di riflettere sulla cultura politica del Ppe, che lungi dall’essere un partito “acchiappa tutto” senza unità, si distingue piuttosto per la sua capa-

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cità di accogliere l’insieme dei modificare le sue posizioni in un partiti di destra e di centrodestra senso più conservatore. Ma in fin europei. Se questi ultimi possono dei conti il più grande partito qualche volta adottare posizioni europeo è riuscito a conservare divergenti che riflettono la loro un’unità ideologica attraverso la appartenenza a tradizioni politi- difesa dei valori comuni che trache distinte, essi condividono, scendono le differenti famiglie tuttavia, alcuni valori comuni politiche alle quali i partiti che costituiscono la piattaforma membri appartengono. Si tratta, fra l’altro, della dignità della politica del Ppe. Il Ppe è stato creato nel 1976 allo persona umana, della libertà e scopo di federare l’insieme dei della responsabilità, dell’uguapartiti democratico-cristiani dei glianza fondamentale, del rispetpaesi dell’Ue e degli Stati candi- to delle religioni e della famidati all’adesione all’Ue, tutti fa- glia, che sono altrettanti pilastri vorevoli alla costruzione di su cui si fonda la civiltà europea. L’adesione del Rpr un’Europa federaal gruppo Ppe nel le. In quest’ottica Il Ppe vuole allargare 1999 e poi al parl a C d u - C s u in tito nel 2001 offre Germania, il Cen- le sue basi ideologiche un bell’esempio tro dei Democra- al fine di meglio della capacità di tici sociali (Cds) in soddisfare le attese quest’ultimo di Francia, la Demoriunire formazioni crazia cristiana in dei suoi membri politiche proveItalia sono risultati fra i primi partiti membri. In nienti da orizzonti diversi ma seguito il Ppe si è rapidamente che chiedono ugualmente di laaperto a formazioni provenienti vorare alla costruzione di da altre tradizioni politiche e che “un’Europa più efficiente, più non condividevano questi stessi democratica, più trasparente, più ideali, come il Partito popolare r e s p o n s a b i l e ” ( p r o g r a m m a spagnolo nel 1991, Forza Italia d’azione 2004-2009 adottato dal nel 1998 e il Rpr francese nel Congresso del Ppe il 4 e 5 feb1999, che non nascondevano il braio 2004 a Bruxelles). Ciò proloro euroscetticismo. Ricordiamo va anche la propensione del Ppe anche i Conservatori britannici e ad allargare le sue basi ideologidanesi che si sono iscritti al che al fine di meglio riflettere le gruppo del Ppe negli anni No- attese dei suoi membri. E traduvanta. In seguito i nuovi partiti ce infine la forza d’attrazione che aderenti provenienti da paesi di esercitano i valori costitutivi del recente adesione all’Ue (Unghe- Ppe sui nuovi partiti aderenti. ria, Repubblica Ceca, Bulgaria, Fino al 1999 l’Rpr apparteneva al Romania) hanno anch’essi con- gruppo Unione per l’Europa tribuito ad allargare lo zoccolo (Upe) che riuniva i partiti del ideologico dei valori del Ppe ed a centro e del centro destra. D’altra


L’INTERVENTO Thierry Mariani

parte Udf e Democrazia liberale facevano parte del Ppe. Questa reticenza del partito gollista a far parte del Ppe, malgrado l’aumento dell’influenza francese che avrebbe permesso la riunione di tutti i deputati Udf-Rpr in un unico gruppo al Parlamento europeo, derivava dal rifiuto di sottoscrivere una visione federale dell’Europa, e di fare propria l’affermazione delle radici cristiane dell’Europa enunciate nella Carta del Ppe. Una volta rimossi questi ostacoli, l’Rpr ha finalmente accettato di aderire al Ppe nel giugno 2001, dopo che il partito ha modificato le parti dello statuto relative al federalismo europeo. Da allora, il Partito popolare europeo è diventato difensore del principio di sussidiarietà, affermando nel suo Manifesto di Roma del marzo 2006 che l’Europa non può essere efficace se “si occupa di questioni che possono essere meglio trattate a livello nazionale, regionale e locale” e chiedendo “una ripartizione più chiara delle competenze fra le autorità europee, nazionali e subnazionali” (“Per un’Europa dei cittadini: priorità per un avvenire migliore”, manifesto adottato dal Congresso Ppe a Roma il 30-31 marzo 2006). D’altra parte occorre riconoscere che oggi l’Ump, che nel 2002 è succeduto al Rpr quale membro del Ppe, approva il processo di integrazione europea e ostenta anzi il suo desiderio di vederlo progredire, come attestano le numerose iniziative prese in questo senso dal presidente Sarkozy durante la

presidenza francese dell’Unione nel 2008. Si può quindi senz’altro credere che la prossima adesione del Pdl al Ppe, che potrebbe essere effettiva dopo le elezioni europee di giugno, sarà l’occasione per osservare ancora una volta questo processo di “contagio” ideologico e di acculturazione di un nuovo partito aderente ai valori del Ppe. In queste condizioni, la possibile adesione del Pdl non deve costituire una fonte di inquietudine in seno al Partito popolare europeo.

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L’Autore THIERRY MARIANI Deputato dal 1993, è segretario nazionale dell’Ump per i francesi all’estero e le relazioni internazionali. È inoltre vicepresidente della delegazione dell’Assemblea nazionale per l’Unione europea, membro della delegazione francese all’Ocse e capo della delegazione francese all’Assemblea parlamentare della cooperazione economica del mar Nero.


Da Konrad Adenauer ad Angela Merkel

CDU, alle origini del popolarismo europeo Genesi e storia di un partito da sempre locomotiva del processo di unificazione del Vecchio Continente. 40 DI ECKHARD JESSE TRADOTTO DA ULRIKE QUERCIA

Nella Repubblica federale la Christlich demokratische union (Unione democristiana - Cdu) e la Sozialdemokratische Partei Deutschlands (Partito socialdemocratico - Spd) vengono annoverati fra i partiti popolari. Oggi, la Cdu e la Spd sono accomunate da molti problemi, e soprattutto dal fatto che entrambi i partiti popolari tedeschi continuano a perdere voti. Alle elezioni per il Bundestag non sono riusciti a raggiungere insieme neanche il 70%, con una partecipazione al voto molto al di sotto dell’80%. In questo modo – come anche dopo la prima elezione per il Bundestag – non è stato possibile raggiungere alcuna maggioranza aritmetica fra un

partito popolare ed un partito minore, e si è resa quindi necessaria una Grande Coalizione (Große Koalition). La risposta alla domanda, se partiti che riescono a raccogliere solamente il 30% dei voti possano essere considerati partiti popolari, dipende in modo determinante dalla definizione della nozione “partito popolare”. Già durante l’era dell’impero tedesco o della Repubblica di Weimar Alcuni partiti hanno adottato tale aggettivo nel loro nome, senza che fossero partiti popolari nel senso moderno. Dopo il 1945 è nato il tipo di partito popolare, prima in seno all’Unione e poi alla Spd. Sembra che la denominazione di


L’INTERVENTO Eckhard Jesse

partito popolare sia determinata da tre caratteristiche: in primo luogo da un vasto elettorato; in secondo luogo dalla stratificazione dell’elettorato che risulta composto da fasce sociali assai diversificate; in terzo luogo dall’accettazione dei principi democratici. Benché la Spd all’inizio della prima democrazia tedesca sia stata votata quasi dal 40% della popolazione democratica, ma faceva riferimento agli operai, come elettorato stabile del partito. La Nsdap all’inizio degli anni Trenta comprendeva un vasto elettorato composto da diversi strati sociali, ma rifiutava in modo deciso i principi democratici. Quindi la Nsdap non è stato il primo

partito popolare, come a volte si dice. Il Partito democratico di centro nella Repubblica di Weimar raccoglieva fra i suoi elettori principalmente i cattolici che rappresentavano nella stessa misura il ceto basso, medio e alto; ma non superò mai il 20% dei voti, normalmente si attestava intorno al 15%. I partiti di oggi sono orientati democraticamente e si contraddistinguono per una vasta gamma di finalità perché si rivolgeva a un elettorato vasto. Però, come già detto, perdono sempre più voti. Unione e Spd stanno diventando, secondo alcuni critici, sempre meno distinguibili. Questo è, fra l’altro, una conseguenza dell’erosione del-


l’ambiente confessionale e sociale che si riscontra da decenni. Per questo il concetto di partito popolare non deve essere abbandonato. Infine il “modello Germania” deve il suo successo, fra l’altro, ai partiti popolari che hanno abbandonato ogni ideologia, preferendo un approccio pragmatico. Forse i grandi partiti perdono elettori proprio perché la Cdu non è così “nera” e la Spd non è così “rossa”. Sembra che

oggi la Große Koalition stia perdendo elettori anche perché i partiti minori presentano programmi più concreti, mentre una politica diffusa di centro non convince più molti cittadini. In futuro i partiti popolari porranno la loro attenzione, presumibilmente, sempre di meno su problematiche specifiche. La competenza a risolvere problemi che un tempo era appannaggio dei grandi partiti oggi sta dimi-

IL PERSONAGGIO

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Konrad Adenauer, l’artefice del miracolo tedesco Padre dell’Europa unita con Robert Schuman e Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer è stato anche l’artefice principale del rilancio economico e politico della Germania post-bellica. Leader della Cdu dal 1950 al 1966, dal 1949 al 1963 ha ricoperto il ruolo di cancelliere della Germania occidentale, concentrando il proprio operato su tre direttrici principali: costruire una nazione pienamente democratica dopo la rovinosa esperienza nazista; permettere alla Germania di entrare a pieno titolo nella Nato, sanando definitivamente il lungo rapporto conflittuale con la Francia; inserire nel sistema economico tedesco un modello capitalistico coniugato con welfare e dottrina sociale della Chiesa. Sul piano continentale, Adenauer fu tra i primi a credere nel progetto di unificazione dell’Europa, ritenendo che fosse necessario per sanare gli antichi contra-

sti che avevano provocato le ultime due guerre mondiali. La sua opera politica è senza dubbio rimasta scolpita nella storia della Germania, un paese uscito letteralmente a pezzi dal secondo conflitto mondiale e che, anche grazie alle scelte di Adenauer, è riuscito in poco più di un decennio a risalire la china e a assumere nuovamente il ruolo di locomotiva economica del continente. I critici imputano da sempre ad Adenauer lo scarso impegno nei confronti del problema della riunificazione tedesca, ma negli anni del suo cancellierato i tempi non erano sicuramente maturi per un progetto del genere. L’eredità politica di Konrad Adenauer è, ovviamente, patrimonio della Cdu ed è a lui intitolata la più importante fondazione politico-culturale della Germania (la Konrad Adenauer Stiftung).


L’INTERVENTO Eckhard Jesse

nuendo. Essi devono provare che la loro forza creativa non si è intorpidita. Se i partiti popolari tengono conto della lezione ricevuta e se intendono riguadagnarsi la fiducia, è necessario che siano credibili. Non devono riconquistare con l’adulazione gli elettori persi. In relazione alle perdite di voti si è avuta una massiccia diminuzione degli iscritti ai partiti. La Spd ha perso, rispetto all’inizio degli anni Novanta più di

400mila iscritti, la Cdu più di 200mila. Da maggio del 2008 la Cdu ha leggermente più iscritti della Spd (circa 525.000). Solamente la Csu e i Verdi riescono a mantenere la loro quota di membri. I motivi sono di diversa natura: oggi i partiti hanno poche possibilità di assegnare posti di lavoro all’interno del pubblico impiego. Per le persone più giovani gli impieghi nella pubblica amministrazione sono meno attraenti, di conseguenza abbiamo a che fare con una struttura con molti dipendenti anziani. Quasi il 50% dei membri della Cdu e della Spd oggi hanno più di 60 anni. La mancanza di un profilo incisivo non stimola all’adesione ed è, accanto ad altri fattori (quali la preferenza di forme di partecipazione non convenzionali), un motivo sostanziale per una “distanza relazionale cronica” (Elmar Wiesendahl) da parte dei più giovani nei confronti dei partiti più grandi. Il fatto che i voti dei partiti maggiori potrebbero attestarsi intorno al 30% comporta alcune conseguenze per le strategie. Alleanze tradizionali a due dovrebbero verificarsi di meno, perché grandi coalizioni non corrispondono al modello di una democrazia parlamentare, e in Germania i governi di minoranza non sono in nessun modo accettati, a differenza della Scandinavia. Relativamente alle alleanze a tre, che hanno lo svantaggio che i due partner minori si mettono in luce in maniera eccessiva nei confronti del partito di governo principale, sono possibili

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attualmente tre varianti: una coa- laborazione nero-gialla. Attuall i z i o n e a s e m a f o r o “ n e r a ” mente nessuno dei due sembra in(Cdu/Csu, Fdp e Verdi); una coali- tenzionato a tentare esperimenti zione a semaforo “normale” (Spd, di esito non calcolabile a livello Fdp e Verdi); una “alleanza di sini- federale. I Verdi, per motivi di stra” (Spd, Verdi, Die Linke). contenuto e di strategia, contiIl partito Die Linke, che proviene nuano ancora ad essere legati alla dalla Sed, probabilmente riuscirà Spd; i liberali, che temono di esad affermarsi in tutto il territorio sere considerati un partito bandefederale fra non molto tempo. A ruola, continuano ad essere legati differenza del sistema partitico alla Cdu. L’elettorato dei Verdi è frammentato dell’impero tedesco più vicino alla Spd, quello della e della Repubblica di Weimar, il Fdp alla Cdu. sistema partitico nato dopo il Un mutamento (l’istituzione del 1945 si distingue per l’esistenza sistema a cinque partiti) non deve di due schieramenti (di diversa comportare anche automaticagrandezza). A caumente l’altro musa dell’esistenza di La recente storia politica tamento (la regola cinque partiti nel di alleanze a tre). P a r l a m e n t o l e tedesca ha dimostrato Inoltre, se si vuole procedure di for- la scarsa affidabilità entrare in una nuomazione delle coava era, le alleanze a lizioni sono più delle coalizioni formate tre espresse fino ad complesse. Detta da tre partiti ora non hanno anin maniera paracora un denominadossale, momentaneamente esiste tore comune al quale si può riuna asimmetria a sfavore della chiamare una tale coalizione. Cdu ed a favore della Spd, visto Questo è stato il caso nel 1969, che la Linke non potrà essere un quando la Spd e la Fdp idearono partner a livello federale. una “coalizione di riforma”; così Le coalizioni a tre falliscono, e anche nel 1982, quando la Cdu e non soltanto per il conflitto fra li- la Fdp cercarono di stabilizzare berali e verdi. Esistono delle affi- l’integrazione occidentale anche nità sorprendenti se si guarda, ad da un punto di vista militare con esempio, la linea di conflitto socio il sostegno della duplice decisioeconomica e culturale. Entrambi i ne sul potenziamento degli armapartiti propugnano, anche se con menti della Nato. Questo valeva accentuazioni diverse, “meno Sta- ancora di più per il 1998, quanto”, ed entrambi incarnano più un do Spd e Verdi provocavano un sistema di valori libertari che au- cambiamento di governo “non toritari. Il problema è, piuttosto, filtrato”. Entrambi i partiti non che i liberali non hanno intenzio- auspicavano con il loro progetto ne di fare la foglia di fico ad una “rosso-verde” una “nuova” realleanza rosso-verde, e che i verdi pubblica, ma una repubblica “dinon gradiscono assicurare una col- versa”’ (ad esempio più diritti


L’INTERVENTO Eckhard Jesse

per gli immigrati). Una alleanza stag i due partiti maggiori raca tre sarebbe attualmente sola- colsero solo il 60,2% dei voti. mente una alleanza di convenien- Tali perdite si accompagnano – za piuttosto labile, nata per ne- come già detto – a una minore cessità – senza una grande idea identificazione con il partito, a comune, senza progetto. una partecipazione ridotta alle Quando nelle elezioni regionali elezioni e a una diminuzione del 2004 i due partiti maggiori massiccia degli iscritti. hanno raccolto il consenso solo Le proposte di riforma per stabidella metà degli elettori in Sasso- lizzare la democrazia partitica sonia (con il 50,9%) e in Brande- no di natura diversa. Chi opta per burgo (51,3%), questo è stato un’elezione maggioritaria vorrebspiegato con le condizioni regio- be assicurare il potere dei partiti nali specifiche esistenti nell’Est popolari a livello istituzionale. della Germania (strutture partiti- Molti cittadini la considererebbeche non rafforzate, legame man- ro una manipolazione – a prescincante con gli eletdere dal fatto che tori, irritazione do- La crisi di consensi un nuovo sistema vuta alla Hartz elettorale sarebbe IV). Ma le tenden- dei due partiti di massa superiore a quello ze possono ben es- ha portato con sé una precedente. L’insere generalizzate. troduzione del siLa capacità cemen- situazione di instabilità stema elettorale tante ed integrati- governativa maggioritario, che va dei partiti popola Große Koalition lari sta diminuendo notevolmen- negli anni dal 1966 al 1969 ha te. Nel 2002 e negli anni Novan- tentato ma non raggiunto, questa ta i consensi dei due partiti erano volta non è stata nemmeno presa diminuiti, anche se non così dra- in considerazione, vista la mansticamente. Alle elezioni del canza di prospettive dell’impresa. 1990, e quindi con la riunifica- Chi lotta per l’introduzione di zione tedesca, i due partiti mag- meccanismi di democrazia diretgiori hanno raggiunto una per- ta, per “cittadini di partito” relacentuale di voti compresa fra il tivamente ai problemi di persone 76,0 ed il 77,9%. Non superaro- e/o materiali come per “cittadini no la soglia dell’80% – come alle di elezione” per i problemi di perelezioni negli anni Novanta. Nel sone e/o materiale, persegue una 1972 e 1976 i due partiti popola- maggiore trasparenza. Il primo ri hanno raggiunto più del 90% modello di riforma rafforzerebbe (con una affluenza alle urne supe- la “classe politica”, il secondo inriore al 90%). Negli anni Sessan- vece la indebolirebbe. ta i due partiti popolari raggiun- In Germania soffriamo indubbiasero insieme l’80%, come anche mente di un “trauma di stabilità” nel 1957 (1953: 74%) Solamente (Kurt Sontheimer) a causa del penella prima elezione per il Bunde- so del passato. Ma è paradossale

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che prima si parlava dei “partiti in crisi”, quando predominavano stabilità e continuità, mentre oggi la parola crisi dei partiti popolari fa meno paura, nonostante esistano sintomi di crisi evidenti. La Christlich deNel difficile clima mokratische postbellico i gruppi union (l’Unione cristianodemocratici cristianodemodiedero vita alla Cdu cratica, Cdu), rifondata dopo il 1945, si formava in luoghi diversi pressoché contemporaneamente. Segnati dalle aspre esperienze del Terzo Reich, i padri fondatori (gli iniziatori principali erano, fra gli altri, Andreas Hermes, ministro 46

dell’Agricoltura nella Repubblica di Weimar, e Jakob Kaiser, il successivo ministro per gli Affari pangermanici) volevano creare un partito cristiano sovra-confessionale e superare con ciò la debolezza del centro della Repubblica di Weimar che era orientato quasi esclusivamente ai cattolici. Già il nome Unione indica il carattere di raccolta di tale partito. La comune sorte di molti cristiani, indifferentemente dalla confessione durante la dittatura nazionalsocialista, costituiva un importante motivo per fondare la Cdu. (In Baviera si formava con l’Unione sociale cristiana un pen-


L’INTERVENTO Eckhard Jesse

dant alla Cdu nel restante territorio della federazione). Nel dicembre 1945 a Bad Godesberg ebbe luogo il primo incontro. Le diverse organizzazioni regionali concordavano sul nome comune di partito “Christlich demokratische union“ (Unione cristianodemocratica). All’epoca non esisteva ancora una rete stabile a livello federale. All’inizio del 1946 la Cdu si costituiva nella zona occupata dai britannici, mentre veniva vietata ogni forma di unione nelle zone americana e francese. Per questo la Cdu si costituiva all’inizio del 1947 come una associazione di lavoro, per ga-

rantire una certa compattezza. Per via di un diverso orientamento della Cdu nella zona occupata dai sovietici, la cooperazione con essa diminuiva rapidamente. Solamente nell’ottobre 1950 al primo congresso fedeAdenauer è stato rale del partito fondamentale nella della Cdu a Gocostruzione di un slar le singole unioni si com- programma condiviso pattarono in un partito federale. Konrad Adenauer, che nel frattempo era diventato cancelliere, ne divenne il primo presidente. Egli mantenne tale carica fino al 1966. Successivamente nella Cdu il segretario del 47


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partito coincideva con il candida- lamente circa 200mila membri, ed anche nel decennio seguente to al canellierato. Un primo importante program- il numero dei membri aumentama politico fu rappresentato dal va in modo insignificante. programma di Ahlener del 1947. Nel programma di Berlino del Ancorché ancora segnato dalla 1968 la Cdu sviluppò ulteriorcrisi economica e dell’eredità del- mente la sua finalità. Ma fu sola dittatura nazionalsocialista ma prattutto dopo la perdita, doloroanche dallo spirito della “dottrina samente avvertita, del governo sociale cristiana”, prevedeva un nel 1969 che la Cdu si vide coallontanamento dall’”ordine eco- stretta, come già i socialdemocranomico capitalista”. Ancora più tici dopo le sconfitte elettorali importanti sono stati i “principi del 1953 e del 1957, a rinnovare di Düsseldorf” del 1949. Essi il proprio programma e a migliohanno dato la precedenza all’eco- rare la propria organizzazione. nomia privata che Ludwig Erhard L’intenso lavoro ha portato alla prima piattaforma ha elevato a proprogrammatica gramma politico Dopo la sconfitta della Cdu, che è ed infine attuato stata approvata al con successo. Tale del 1969 la Cdu si vide congresso del partendenza è stata costretta a rinnovare tito a Ludwigsharipresa nel proil proprio programma e fen nel 1978 e che gramma del 1953, che è rimasto vali- la struttura organizzativa conteneva affermazioni generali relado per 15 anni quale linea politica della Cdu. tive ai diversi campi politici, faSotto la guida di Konrad Adena- miglia, educazione, istruzione e uer, negli anni Cinquanta e nella cultura, ordinamento economico gran parte negli anni Sessanta, i e sociale, politica tedesca, europrofili programmatici o addirit- pea, della sicurezza e verso l’Est. tura le ideologie non hanno gio- La Cdu ha rinnovato l’adesione cato un ruolo importante nella all’economia di mercato, ma ha al Cdu, che si caratterizzò sin dal- contempo mostrato la necessità l’inizio quale partito popolare. di correttivi di politica sociale (ad Personalità quali Konrad Ade- esempio la “Nuova questione sonauer e Ludwig Erhard, padre ciale”). Nella parte dedicata ai vadel miracolo economico tedesco, lori fondamentali è stato sottolisembravano garantire automati- neato l’ancoramento all’idea del camente il successo del partito valore cristiano che non impedidel cancelliere alle elezioni. Per sce, comunque, una collaborazioquesto la Cdu ha trascurato la ne proficua fra cristiani e non cricostruzione di una organizzazio- stiani all’interno del partito. ne partitica efficace. Quale spic- Le riforme non si limitavano al cato partito di elettori la Cdu programma. L’organizzazione del aveva, ad esempio, nel 1954 so- partito si ampliava, il numero de-


L’INTERVENTO Eckhard Jesse

gli iscritti raddoppiò, consentendo alla Cdu di non identificarsi più nel partito di notabili. L’adattamento alla necessità di una democrazia di massa aveva favorito infine anche i segretari generali Kurt Biedenkopf (1973-1977) e Heiner Geißler (1977-1989). La piattaforma programmatica “Libertà nella responsabilità”, adottata nel 1994 ad Amburgo è in continuità con l’ultima piattaforma programmatica, quella del 2007, deliberata al congresso del partito ad Hannover, che si esprime in favore della nuova economia di mercato. Anche questo programma si contraddistingue per molti punti paralleli a quelli precedenti. Fino al 1969 la Cdu caratterizzò, quale partito cristiano e sociale con tratti conservatori, la politica della Repubblica federale tedesca, contribuendo a realizzare la fase della ricostruzione. Dopo il periodo di opposizione, insolito per la Cdu con tre diversi candidati premier (1972 Barzel, 1976 Kohl, 1980 Strauß della Csu), la Cdu riuscì a ritornare al governo nel 1982 con un voto di sfiducia costruttivo. Helmut Kohl, che è stato al vertice del partito dal 1973 al 1998, è stato cancelliere dal 1982 al 1998 e ha favorito in modo determinante le condizioni che hanno portato alla riunificazione. La Cdu è in gran parte responsabile per l’attuazione dell’economia sociale di mercato ed ha portato avanti l’integrazione della Repubblica federale. Dopo la svolta nella Ddr, la Cdu dell’Ovest si è riunita velocemen-

te alla Cdu dell’est, ancora prima dell’unificazione tedesca. Così sin dall’inizio, a differenza della Spd, la Cdu aveva nei nuovi Bundesländer una struttura organizzativa forte. Tuttavia, con la Cdu dell’est è stato preso a bordo un partito, che era sempre stao subordinato alla Sed e con cui ha interrotto la collaborazione solamente nel novembre 1989. Inoltre, la Cdu ha assunto un altro partito di blocco, la Demokratische Bauernpartei Deutschlands (partito democratico degli agricoltori della Germania). Dopo le dimissioni di Helmut Kohl, Wolfgang Schäuble assumeva la guida del partito. Nel corso di uno scandalo di tangenti, il partito doveva fare posto alla segretaria Angela Merkel Platz. La donna della Germania dell’Est oggi non guida solamente il partito popolare, ma dal 2005 è anche cancelliere di una Große Koalition con la Spd. Con ciò la Cdu ha continuato a mettere alla prova la sua capacità di governo.

L’Autore ECKHARD JESSE Insegna dal 1993 all’Università tecnica di Chemnitz. Si occupa in particolare di temi legati a democrazia, estremismo e totalitarismo, sistemi elettorali e partiti politici e storia della politica. Dal 2007 è presidente della Società tedesca di Scienze politiche (Deutschen Gesellschaft für Politikwissenschaft).

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Dopo la Spagna di Aznar tocca all’Italia

Popolo della libertà, una sfida per le riforme

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Il nuovo partito del centrodestra è chiamato ad attuare una coraggiosa politica riformatrice per affrontare le sfide future che attendono l’Italia e l’Unione europea. Quello che in Spagna ha fatto il Pp di José Maria Aznar. DI ALBERTO CARNERO


L’INTERVENTO Alberto Carnero

Inizio ringraziando la Fondazione per l’opportunità che mi offre di contribuire a questo nuovo numero della rivista Charta minuta. È per me un onore dedicarle alcune righe per commentare le mie impressioni sulla nascita del nuovo partito del centro destra qui in Italia, il Popolo delle libertà (Pdl). Esprimo innanzitutto la mia soddisfazione per il progresso nella modernizzazione e nell’unificazione che ha completato quest’anno il centrodestra italiano e che si concretizza nella nascita di questo nuovo partito unitario, chiamato ad essere un referente non solo in Italia ma in tutta Europa. Questo ci procura una soddisfazione speciale dato che il Pdl condivide gli stessi valori che difendiamo dalla Spagna attraverso la Fondazione Faes; le idee di libertà, responsabilità e merito individuali di apertura e di economia di mercato, la difesa dei valori occidentali, la costruzione di una Europa forte e il suo vincolo con gli Stati Uniti sono principi che ci uniscono con i nostri amici italiani del Pdl. È una soddisfazione registrare che c’è in Italia gente che difende gli stessi ideali che noi difendiamo in Spagna e che per noi sono la base per costruire un progetto politico solido che certamente porterà prosperità al popolo italiano. In Spagna l’attuazione di questi principi durante il periodo di governo del partito popolare ha prodotto risultati sorprendenti e si sono avuti progressi notevoli in ogni ambito della società spagnola, dall’economia al progresso sociale

e alla lotta al terrorismo. Ci rallegriamo che in Italia il Pdl adotti la stessa ricetta specie in questo momento di crisi e confusione generalizzata, quando è più necessaria che mai l’affermazione di questi valori, che sono quelli che alla fine ci faranno vedere la luce in fondo al tunnel. Dalla Fondazione Faes vediamo come una grande notizia la nascita del Pdl, che riunisce i diversi partiti del centrodestra esistenti in Italia. In Spagna si è vissuta un’esperienza simile in quello che è oggi il Partito popolare. Questo partito, con il quale la Fondazione è vincolata, è stato fondato al tempo della Transizione spagnola, alla fine degli anni Settanta con il nome di Alleanza popolare. Per parecchi anni il partito non è riuscito a raccogliere risultati importanti e non riusciva a formulare un progetto solido. Parte della colpa era da attribuire alla mancanza di coesione al suo interno, dato che esistevano molte correnti e gruppi. In definitiva non esisteva un’idea chiara e coesa nella destra spagnola su quello che doveva essere il suo programma politico. È dovuta trascorrere più di una decade perché, sotto la leadership di Josè Maria Aznar, si accantonasse questa struttura di gruppi, per formare un progetto solido, unito e comune, con il nome di Partito popolare. È a partire da questo momento che la destra spagnola comincia ad agire in maniera coordinata. All’indomani della nascita del Partito popolare, la destra spagnola fu capace in pochi anni di costruire

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un’alternativa affidabile di governo, che si tradusse nella vittoria alle elezioni del 1996, e portò il leader del partito a diventare il presidente Aznar, capo del governo spagnolo. Iniziarono così gli otto anni di maggiore prosperità, crescita e stabilità che il mio paese abbia mai conosciuto nella storia recente. In Italia il centrodestra ha già ottenuto esiti rimarchevoli e ha potuto beneficiare di Silvio Berlusconi come capo del governo sia in passato che oggi. Ma sono sicuro che la nascita di questo nuovo partito, il Popolo delle libertà, riuscirà ad articolare un progetto ancora più solido ed ambizioso per poter sviluppare un gran la-

voro guidato dai valori che ho menzionato prima. Così è accaduto in Spagna e spero che accadrà anche in Italia. Auspico che il Pdl possa finalmente completare questa missione e unire la destra italiana sotto le stesse sigle in maniera definitiva, perché questo è il modo migliore per riunire gli sforzi e formulare programmi forti. Si può dire che l’insieme è più della somma delle parti e il Pdl, nel riunire i partiti preesistenti, è chiamato a dare alla destra italiana una visione e una capacità maggiore di quella precedente. Il presidente della nostra fondazione, Josè Maria Aznar, fa riferimento continuamente alla tre caratteristiche che deve avere un


L’INTERVENTO Alberto Carnero

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programma politico per avere successo; in primo luogo l’esistenza di un (non due né tre) progetto che deve essere coerente, forte e strutturato, che contempli obiettivi ambiziosi ma realizzabili e che risponda ai problemi reali dei cittadini; in secondo luogo l’esistenza di una squadra, di un’organizzazione politica solida che appoggi questo progetto, che vi creda fermamente e che sia disposta a lavorare con energia e onestà per condurlo in porto; in terzo luogo la figura di un leader che sia visibilmente a capo di un progetto, che sia colui che fissa gli obiettivi principali e le linee di attuazione e colui che prende le decisioni in ultima istanza. Ve-

diamo con soddisfazione come queste caratteristiche si stiano realizzando nella destra italiana, con la nascita del Pdl. Tornando all’idea menzionata prima, sono convinto che questo nuovo partito porterà con sé un nuovo impulso e nuove energie per elaborare un programma politico di taglio conservatore. Per questo, se si mantiene questo trinomio cui fa riferimento il nostro presidente, per questa formazione auguro una grande serie di trionfi, che in definita si tradurrà in un’epoca di crescita e prosperità per i cittadini italiani. Vorrei ora dedicare qualche parola a quelli che ritengo siano le sfide ed i problemi su cui ci


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confrontiamo oggi in quanto smo fondamentalista islamico. europei. Sono questi i problemi, Questo trova terreno fertile nel che il Pdl dovrà affrontare a par- mondo islamico, che è una zona tire da oggi nella qualità del di ristagno politico, sociale ed grande partito europeo che è economico, il che produce una grande frustrazione. Come eurochiamato a diventare. In primo luogo il problema della pei dobbiamo prefissarci obiettisicurezza. Come europei abbiamo vi molto chiari che devono essere abbandonato l’idea di sicurezza quelli di promuovere la demodandola per scontata e pensando crazia e l’istituzione di una soche ci cada dal cielo in maniera cietà aperta nel mondo arabo. È gratuita. Ma non è così, bisogna un obiettivo possibile giacchè lottare per mantenerla mentre in non esiste alcun problema cultuEuropa continuiamo a dipendere rale che impedisca a questi valoda ciò che gli Stati Uniti fanno ri di trionfare in quell’area. per noi. L’Italia ha affrontato Possiamo anche parlare di un secondo grave prol’emergenza terroblema sul piano rismo così come Sicurezza, recessione economico. Non sta facendo oggi la solo stiamo vivenSpagna. La minac- economica, frontiere e do una delle pegcia non è scompar- immigrazione: ecco giori crisi degli ulsa e non è solo di le questioni più urgenti timi decenni, ma tipo nazionale. emerge un difetto L’Europa ed il da affrontare insieme di atteggiamento: mondo occidentale hanno oggi di fronte il pericolo, già da qualche tempo in Europa reale e presente del terrorismo in- manca il dinamismo ed è come se ternazionale principalmente di ti- ci fossimo stancati di lavorare. po jihadista. Le minacce ci colpi- L’atteggiamento di fronte ad una scono in maniera diretta sia come crisi deve essere proprio il contraitaliani che come spagnoli, bri- rio, cioè lavorare di più e meglio, tannici o francesi, e l’atteggia- e fare sforzi maggiori. Possiamo mento europeo deve essere quello parlare anche della nostra dipendi contribuire in maniera effettiva denza energetica eccessiva e come alla nostra sicurezza. Né dobbia- europei non stiamo affrontando mo commettere l’errore di cercare questa grave difficoltà. Per di più di farlo alle spalle degli Stati Uni- non si investe nell’energia nuti; dobbiamo lavorare in maniera cleare, l’unica che veramente funcongiunta, uniti di fronte agli zioni al giorno d’oggi. stessi pericoli perché è il modo Un terzo problema potremmo chiamarlo demografico e di immigliore di trionfare sul terrore. Come ho detto, la minaccia migrazione: abbiamo pochi figli principale del terrorismo inter- e questo porta alla luce le scarse nazionale è rappresentata da prospettive che abbiamo posto quello jihadista, cioè dal terrori- nel futuro. A questo si aggiunge


L’INTERVENTO Alberto Carnero

il fatto che incontriamo modelli di immigrazione falliti, comunque li si analizzi. Si produce allora un dualismo nella società, questione questa molto pericolosa; si alimenta una tendenza al multiculturalismo che coinvolge l’esistenza di una società organizzata in gruppi, ognuna con le sue proprie regole e leggi, cosa che comporta a dir poco una rottura del principio di uguaglianza di fronte alla legge su cui si basa la nostra società di diritto. Per finire, dobbiamo esaminare il problema delle frontiere che comporta due aspetti: il primo è quello della definizione stessa delle frontiere dell’Unione europea. Ogni progetto politico deve fissare i suoi limiti e in Europa non lo stiamo facendo. L’altro aspetto è quello della rottura dei principi: dopo la seconda guerra mondiale e soprattutto dopo l’Atto di Helsinki si è stabilita una regola che ha prodotto un periodo di enorme stabilità: il rispetto delle frontiere internazionali e la definizione di queste frontiere in conformità con le norme internazionali. Questo principio è stato violato nel caso del Kosovo, causando così un pericoloso precedente. Non vorrei concludere senza insistere ancora su un’idea. Davanti ai problemi che ho esposto e davanti alla grave crisi economica e al clima di sfiducia generale che stiamo attraversando, un clima in cui nessuno è sicuro di come agire, si tende ad allontanarsi dai principi prendendo misure che possono risultare assai spesso più dannose

che efficienti. Vorrei ricordare che secondo la mia modesta opinione oggi come non mai risulta chiaro che le migliori politiche sono quelle che si realizzano sulla base dei principi che condividiamo nel Pdl e nella Fondazione Faes; politiche che già sono state sperimentate ed hanno funzionato, portando sempre con sé periodi di prosperità e crescita come per esempio in Spagna durante gli anni di governo del Partido popular; oggi è necessario investire nell’economia di mercato e nelle idee di libertà e responsabilità, investire nel lavoro e nello sforzo, investire nell’iniziativa privata e in una Europa forte e unita e occorre investire in stretta relazione con gli Stati Uniti. Questi sono i principi che ci faranno superare le difficoltà attuali. Confido pienamente che il Popolo della libertà sarà un punto di riferimento nella realizzazione di questi principi e queste politiche e che arriverà ad essere uno dei grandi partiti d’Europa, un partito unito e forte che certamente fornirà un grande contributo tanto alla costruzione europea quanto agli stessi italiani.

L’Autore ALBERTO CARNERO Direttore dell’Area internazionale della Faes (Fondazione per l’analisi e gli studi sociali), è stato membro del Gabinetto di presidenza di José Maria Aznar dal 1997 al 2004 e direttore generale del Dipartimento internazionale e sicurezza dal 2002 al 2004. Come diplomatico è stato console spagnolo a Manila e consigliere d’ambasciata a Bonn.

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UNIONE EUROPEA, DI FEDERICO EICHBERG

n un’Unione europea che appare più interessata alla forma che alla sostanza, le prossime elezioni di giugno sono un banco di prova di grande importanza. Il Vecchio Continente deve diventare una potenza mondiale capace di resistere alle pressioni e alle sfide di Stati Uniti, Russia, Cina e India.

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A trent’anni dalla prima elezione a suffragio universale (1979) il Parlamento europeo è dinanzi ad un bivio. Il bivio obbliga a scegliere fra una strada che porta all’anonimato, sulla scia delle principali istituzioni Ue (Consiglio e Commissione), sempre più invischiate in logiche di veti comuni e minimi denominatori, e un’altra che porta all’autorevolezza, propria dell’unica istituzione europea eletta, e impegnarsi in un ambizioso processo riformatore. Metafora del primo cammino, di un’Europa congelata a livello istituzionale (il trattato di Lisbona nel limbo del post-voto irlandese,


PUNTO DI VISTA Federico Eichberg

ULTIMA CHIAMATA

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i negoziati di allargamento fermi, le procedure di codecisione e di elezione dei Commissari indefinite) ed incapace di dare risposte ai cittadini nelle grandi emergenze mondiali, è l’esito del Consiglio europeo conclusivo della anonima presidenza slovena: all’apice della crisi alimentare mondiale e della ascesa del prezzo delle materie prime ed in particolare del greggio (entrambe con ricadute pesanti sui cittadini dell’Unione), all’apice dell’emergenza diffusa fra i 27 relativa al diffondersi della crisi economico-finanziaria, del crollo del potere di acquisto dei salari, degli squilibri euro-dolla-

ro con pesanti ricadute sulle esportazioni, dell’emergenza immigrazione ed ordine pubblico, all’apice della crisi umanitaria in Darfur e delle tensioni nei rapporti con l’Iran, il summit Ue ha consegnato ai posteri un atto di impotenza, nella forma di un comunicato anonimo in cui si stabilì che i 27 si sarebbero impegnati nelle ratifiche (salvo postille ceca, polacca e britannica e salvo rinegoziare con Dublino eventuali vie d’uscita) di un Trattato (quello di Lisbona) già bocciato. Nei mesi successivi le presidenze francese e ceca, pur caratterizzate da maggiore attivismo specie


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in politica estera sulla scia della crisi nel Caucaso e dell’ascesa di Obama, non hanno fornito risposte significative né strumenti innovativi. Si tratta, ora, di scegliere per l’Europa non quale forma, ma quale sostanza. Si tratta di rassegnarsi ed accettare per l’Ue il destino di “spazio continentale” incapace di trasformarsi in potenza mondiale; oppure accettare responsabilmente ciò che la realtà dice e vivere la missione a cui l’Europa è chiamata. Per dare un indicatore, l’Ue a 27 è la prima potenza mondiale per Pil (14.712 miliardi di dollari, mentre gli Usa si fermano a 13.843 e la Cina a 6.991), e lo è anche come peso militare per strumenti (12mila carri armati contro gli 8mila di Usa e Russia; 3.100 aerei da combattimento, come gli Usa, e mille in più rispetto alla Russia).

Oggi l’Ue appare però stritolata nel triangolo formato da campioni dell’alta tecnologia (Usa), del potere energetico (Russia) e della competitività nel costo del lavoro (Cina e India). E al contempo è vittima di veti e giochi al ribasso. Oggi non serve solo far ripartire un Trattato, ma far nascere veramente l’Europa come potenza mondiale, capace di governance (economica, sociale, umanitaria) su scala globale. Lo stimolo può venire da un Parlamento rinnovato e finalmente con impulso decisionale grazie ad una possibile maggioranza assoluta di un gruppo (il Ppe) all’interno del quale la delegazione italiana potrebbe essere la più numerosa. Si potrebbe così far uscire il Parlamento europeo da una situazione paradossale. Innanzitutto, il progressivo incremento di poteri realizzatosi negli anni,

FOCUS

Dal decisionismo all’Unione europea Il termine decisionismo, nella sua accezione originaria, indica la dottrina che fa capo al filosofo del diritto Carl Schmitt, secondo cui all'origine del diritto stesso c'è una decisione incondizionata. Il filosofo per teorizzare il decisionismo nella sua opera Il guardiano della costituzione, prende le mosse dall'articolo 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar, che prevedeva l'attribuzione di poteri dittatoriali al Cancelliere tedesco durante i momenti di crisi. Questa forma di dittatura costituzionale destinata a emergere durante lo stato d'eccezione - cioè durante una guerra, una rivoluzione o crisi simili - secondo Schmitt evidenzia la vera essenza del diritto, alla base del quale ci sarebbe una decisione d'imperio posta da chi, a un certo punto, si trova effettivamente in condizione di imporla. È questa decisione originaria, incondizionata e arbitraria perché fondata sostanzialmente sulla forza, a raccordare la società col diritto. Passato lo stato d'eccezione, l'energia fondatrice si istituzionalizza formalmente, il sovrano si eclissa e dal caos si passa di nuovo all'ordine, fino alla successiva crisi.


PUNTO DI VISTA Federico Eichberg

lungi dall’avvicinare elettorato ed peo, mentre è propria di istituzioistituzioni, ha coinciso con un co- ni per loro natura diverse come il stante decremento della parteci- Consiglio o il Collegio dei compazione al voto. L’affluenza regi- missari. Il Parlamento, al contrastrata nel 2004 è risultata la più rio, dovrebbe conoscere maggiore bassa di sempre (46%) con, para- efficacia decisionale anche attradosso nel paradosso, picchi mini- verso polarizzazioni. Non si tratta mi proprio nei paesi che avevano di far funzionare la macchina buda poco festeggiato l’ingresso nel- rocratica europea (Commissione) l’Unione (26,4%). Benché sia, o di includere ogni paese alla ridunque, la più grande elezione cerca di un denominatore minitransnazionale della storia (con mo (Consiglio); si tratta di decioltre 420 milioni di cittadini dere. Innazitutto dedicando il coinvolti), il prossimo scrutinio proprio tempo all’attività legislaprevisto per il 6 e 7 giugno ri- tiva stricto sensu (nel 2006 solo il schia di rimanere un esercizio 18% del tempo è stato speso ad esaminare progetdepotenziato proti legislativi menprio nel suo aspet- Il Parlamento europeo tre la parte più coto più caratterizspicua se ne è anzante: l’autorevo- deve superare l’ansia datra in sterili dilezza che discende da mediazione, scussioni). dall’essere l’unico affermando il proprio In questo il Ppe organo elettivo può essere il modell’Ue. Ciò ri- ruolo decisionale tore decisivo. Alguarda come noto anche paesi di lunga tradizione leanza dei partiti europei di cencome la Gran Bretagna, in cui si trodestra, membro sia dell’Interregistrò il paradosso per cui 11 nazionale democristiana che delmilioni di britannici votarono l’Unione democratica internazioalle elezioni europee mentre più nale, ha vissuto negli anni una del doppio – 23 milioni – alla fi- profonda trasformazione giungendo per la prima volta nel 1999 nale del Grande Fratello. In secondo luogo, la progressiva a diventare il primo gruppo parpoliticizzazione del dibattito par- lamentare a Strasburgo con depulamentare (e la conseguente affer- tati provenienti da tutti gli Stati mazione di gruppi parlamentari e membri. Fondamentale sarà ribapartiti con rispettive policies) non dire i temi tradizionali del popoha coinciso con l’affermarsi di una larismo pur travalicandoli. Benmaggiore propulsione decisionale ché nata, infatti, nell’antesignano (si è di fatto registrata sempre una del Parlamento europeo (l’Assemsterilizzante Grande coalizione blea Comune del 1952), come fra popolari e socialisti). Questa gruppo cristianodemocratico, la ansia da mediazione, da ricerca di famiglia del centrodestra europeo consenso interno, non dovrebbe spazia oggi fra partiti di diversa caratterizzare il Parlamento euro- matrice, e costringere tout court al-

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l’equazione Ppe-confessionalismo ha il sapore agrodolce di una delle tante approssimazioni che caratterizzano il dibattito politico nostrano e che vedono l’Europa solo come uno strumento della polemica politica nazionale. Ad esempio, più interessante sarà sapere se la possibile ridefinizione dell’alleanza con i più euroscettici European Democrats (Ed), gruppo promosso da Conservatori britannici e danesi, può sbloccare l’impasse nel rafforzamento delle strutture decisionali Ue. Avrà la forza il Ppe di proporre – qualsiasi sia l’esito di Lisbona – l’elezione diretta del presidente del Consiglio Ue (in carica due anni e mezzo) con poteri di Alto rappresentante della politica estera? Paradossalmente, infatti, la vera politica estera comune che ha funzionato (forse l’unica) è quella dell’allargamento, che però politica estera stricto sensu non è: si tratta, bensì, di difendere i propri confini allargandoli, come direbbe Joseph Nye; di utilizzare il soft power of transformation attraverso l’aggressione passiva (passive aggression) di cui parla Mark Leonard, ovvero «invece di minacciare il ricorso alla forza per soddisfare i propri interessi, l’Europa minaccia di non usare la forza, di ritirare la mano tesa della propria amicizia e con essa la prospettiva dell’accesso all’Unione». Avrà, conseguentemente, il coraggio di proporre un embrione di seggio unico Ue, come membro associato in virtù delle missioni che svolge su mandato Onu? Avrà la forza di ribadire l’imprescindibi-

lità di ampliare le aree di codecisione del Parlamento e di voto a maggioranza del Consiglio (ad esempio includendovi dossier fondamentali come l’approvvigionamento di materie prime), nonché di creare un maggiore coordinamento eurogruppo-Bce? Avrà l’ambizione di proporre l’introduzione del salario minimo nel mercato del lavoro (con simultanea deregulation della concorrenza fiscale) e di proporre un rilancio dell’Euratom, con cinquanta centrali nei prossimi dieci anni nei crocevia d’Europa, per ridurre la dipendenza energetica? Per rilanciare l’Europa serve ambizione. Oggi 862.415 irlandesi (meno dello 0,2% della popolazione europea) hanno deciso per oltre 420 milioni. Pensare di proporre un ambizioso pacchetto di decisioni ad un demos europeo desideroso di una nuova narrativa potrebbe costituire la chiave del rilancio.

L’Autore FEDERICO EICHBERG

Dottore di ricerca presso l'Università di Bologna, è autore di numerosi studi e pubblicazioni sull’Unione europea.



La mappa dei componenti del Ppe

Viaggio nei partiti dell’Europa popolare DI DOMENICO NASO

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Quarantasette partiti membri, sei associati e diciannove osservatori in rappresentanza di trentanove paesi, il gruppo più numeroso del Parlamento europeo: sono i numeri del Ppe, una realtà politica che racchiude ormai la quasi totalità dei movimenti di ispirazione cristiana, liberalconservatrice e moderata del Vecchio Continente, da Lisbona a Sofia, da Malta a Tallin. Dal 1976, anno della sua fondazione, ad oggi, l’intero quadro politico (oltre che economico e sociale) dell’Europa si è modificato in maniera radicale e il Ppe è stato in grado di adattarsi alle nuove sfide del Vecchio Continente. Lo snodo cruciale è rappresentato dal crollo del Muro di Berlino. Negli anni Novanta, infatti, fu proprio il cancelliere tedesco Helmut Kohl a comprendere la necessità storica di abbandonare una linea esclusivamente democratico-cristiana per aprirsi alle istanze liberali e conservatrici. E oggi questo profilo politico e culturale è definitivamente il tratto distintivo del Ppe. La mappa dei partiti membri, come dicevamo, coinvolge ormai tutti gli Stati dell’Unione europea e 13 paesi extracomunitari. Lo zoccolo duro del


PANORAMA Domenico Naso

all’Atlantico al Mar Nero, dal Mediterraneo al Baltico, il Vecchio Continente sta concludendo

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la difficile strada di unificazione e il Ppe conferma il proprio ruolo da protagonista in queste dinamiche storiche e culturali.

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GERMANIA

Cdu (Christlich Demokratische Union Deutschlands)

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Leader Angela Merkel Anno di fondazione 1945 Sede Klingelhöferstraße 8 10785 Berlin Fondazione di riferimento Konrad-Adenauer-Stiftung http://www.kas.de Iscritti 530.194 Risultato ultime elezioni 36,4 % (con la Csu) Sito internet http://www.cdu.de

partito è formato, oltre che dal Pdl italiano, dalla Cdu tedesca, dall’Ump francese e dal Pp spagnolo, che per peso politico e numero di voti rappresentano la locomotiva del raggruppamento continentale. Germania

Cdu e Csu (la declinazione bavarese del partito di Angela Merkel) rappresentano il nucleo originario del Ppe, la delegazione più forte all’interno dei moderati europei.

Nata all’indomani della disfatta bellica, la Cdu è stata la forza politica che ha letteralmente ricostruito la Germania occidentale, grazie soprattutto a Konrad Adenauer, leader del partito dal 1949 al 1963 e uno dei Padri fondatori dell’Europa unita. Dopo la leadership di Adenauer, comincia una fase di calo dei consensi per la Cdu e, dopo un periodo di Grosse Koalition a partire dal 1966, nel 1969 i socialdemocratici dell’Spd vincono le elezioni e costringono i cristiano-democratici a un lungo periodo di opposizione: sono gli anni del cancellierato di Willy Brandt e di Helmut Schmidt, una lunga traversata nel deserto per la Cdu che si concluderà nel 1982 con l’inizio dell’era di Helmut Kohl, artefice della riunificazione tedesca e convinto europeista. Quella di Kohl è la Germania che assume il ruolo di guida del Vecchio Continente insieme alla Francia di Mitterand, creando così la “locomotiva” franco-tedesca che per molti anni ha condizionato le politiche prima della Cee e successivamente dell’Ue. Quando Kohl perde le elezioni, nel 1998, per la Cdu inizia un periodo di transizione di due anni, sotto la guida di Wolfgang Schauble, fino a quando, nel 2000, si impone come leader Angela Merkel. Donna, tedesca dell’Est, l’attuale cancelliere ha segnato una netta rottura con il passato. Pur essendo a tutti gli effetti una creatura politica di Kohl, la Merkel ha infatti dovuto prendere le distanze dalle precedenti classi dirigenti del partito, coinvolte in inchieste giudiziarie


PANORAMA Domenico Naso

e scandali. È nel 2005, dunque, ta da frammentazioni e accordi che la Cdu torna ad esprimere il elettorali, e solo la nascita delcancelliere tedesco, seppure a ca- l’Ump ha definitivamente chiuso po di una Grosse Koalition con gli l’epoca delle divisioni all’interno avversari socialdemocratici. E An- del centrodestra transalpino. La gela Merkel, nelle vesti di primo necessità di una formazione poliministro del più grande e impor- tica unitaria si è avvertita in tutta tante paese dell’Ue, riafferma il la sua urgenza durante i 14 anni ruolo di leadership della Germa- di presidenza Mitterand, quando nia, soprattutto dopo l’arrivo a ci si è resi conto che solo la riuniBruxelles dei paesi ex comunisti ficazione della galassia liberalconservatrice avrebbe potuto interdell’Europa centrale e orientale. La storia della Csu è per molti rompere il lungo dominio socialiversi parallela a quella della Cdu. sta. Le elezioni del 1993 segnano Nati dall’esperienza del Partito la nascita di un cartello elettorale popolare bavarese dell’epoca di denominato Union pour la France, formata dai Weimar, i cristiano-sociali governa- Dopo il crollo del Muro gollisti del Rassemblement pour no la regione più ricca della Germa- di Berlino, il Ppe è stato la Republique e dai centristri delnia dal 1949, alter- in grado di adattarsi l’Udf. Ma l’epoca nando periodi di Chirac, nonostante governi monocolo- alle nuove sfide re ad altri di coali- del Vecchio Continente l’impegno europeista del presizione con i liberali. Dopo i fasti degli scorsi decenni dente francese e il consolidamento (e le ripetute maggioranze assolu- del rapporto privilegiato con Berte nel Parlamento regionale), le lino, è segnata da divisioni tra ultime elezioni in Baviera (set- correnti e lotte intestine, provocatembre 2008) hanno segnato un te forse dal carattere accentratore brusco calo nei consensi per la dell’ex inquilino dell’Eliseo. Dal Csu, ancora al potere ma in coabi- 2002 i maggiorenti del centrodestra francese comprendono la netazione con i liberali. cessità di creare un movimento unitario per affrontare le sfide del Francia La costola francese del Ppe è rap- dopo-Chirac. Nasce così l’Ump, presentata dall’Ump (Union pour finalmente inteso come partito un Mouvement Populaire), che unico e non come estemporaneo alle ultime elezioni politiche del cartello elettorale con il solo sco2007 ha ottenuto una netta vitto- po di sconfiggere i socialisti, peria sui socialisti, grazie anche al- raltro ancora orfani di Mitterand e l’effetto Sarkozy, eletto presidente impegnati in una difficile (e fino della Repubblica solo poche setti- ad oggi fallita) opera di rifondamane prima. La storia del rag- zione. Frutto della fusione tra gruppamento neogollista è segna- Rpr, Democrazia liberale, la mag-

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FRANCIA

Chirac) ha riconsegnato all’Occidente e al Ppe un forte partito liberalconservatore. Spagna

Ump (Union pour un mouvement populaire)

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Leader Nicolas Sarkozy Anno di fondazione 2002 Sede 55, rue La Boétie 75384 Paris Cedex 08 Fondazioni di riferimento Fondation Robert-Schuman http://www.robert-schuman.eu Fondation pour l'innovation politique http://www.fondapol.org Risultato ultime elezioni 39,54% Sito internet http://www.u-m-p.org

gioranza dell’Udf, Partito radicale e Popolari per la democrazia francese, oggi l’Ump si presenta come una formazione politica solida e coerente, guidata da Nicolas Sarkozy e che proprio grazie alla leadership del presidente francese è riuscita a imporsi anche a livello continentale. Le divisioni del passato sembrano dimenticate e il ritrovato atlantismo transalpino (dopo l’epoca dei distinguo di

L’essenza del miracolo spagnolo è tutta nella nascita e nel successo del Partido popular. La fine del franchismo e la difficile transizione democratica hanno ovviamente messo in difficoltà i conservatori spagnoli più che i loro avversari di sinistra. Se socialisti e comunisti, infatti, potevano godere del sigillo di garanzia dell’antifranchismo, il centrodestra doveva rifondarsi, rinascere dalle ceneri della dittatura, dimostrare la propria vocazione democratica e la voglia di ritagliarsi un ruolo importante nella nuova Spagna. L’intuizione è di Manuel Fraga, ex ministro del Turismo sotto Franco ma da sempre distintosi per le sue posizioni moderate anche negli anni della dittatura. Nel 1976 fonda l’Alianza popular, un partito di ispirazione centrista e conservatrice pronto ad affrontare le sfide di un paese da rifondare. I primi risultati elettorali sono deludenti, ma vista oggi quell’intuizione appare decisiva e rivoluzionaria in una nazione che rischiava di ritrovarsi, forse per senso di colpa e voglia di voltare pagina, senza un forte polo liberalconservatore. Sono anni difficili, quelli della leadership di Fraga, gli anni dei governi socialisti di Felipe Gonzalez. E intanto Alianza popular diventa prima Coalicion democratica (1979) e poi Coalicion popular (1982). La svolta finale, l’inizio della riscossa politica ed elettorale, è se-


PANORAMA Domenico Naso

gnata dalla leadership di José Maria Aznar. Nel 1989, dopo le ripetute sconfitte elettorali degli anni precedenti, nasce il Partido popular, sintesi finale di molte sensibilità politiche presenti nel centrodestra spagnolo (conservatorismo, liberalismo, cristianesimo democratico). La difficile transizione del centrodestra spagnolo può dirsi conclusa, prova ne sia che nel 1991 il giovane Pp entra a far parte del Ppe. I frutti arrivano con le elezioni generali del 1996: i popolari guidati da Aznar raggiungono il ragguardevole risultato del 39,18%. In vent’anni, dunque, il centrodestra spagnolo passa dall’8 al 40%, a riprova di un riuscitissimo processo culturale e politico. Gli anni dei governi popolari segnano il boom economico spagnolo, il rilancio del turismo, la crescita del peso internazionale di Madrid e l’amicizia ritrovata con Washington. Proprio questo rapporto privilegiato (e la partecipazione spagnola alla War on terror di George W. Bush) costerà carissimo al Pp e alla Spagna, con l’attentato islamico del 2004 alla stazione ferroviaria madrilena di Atocha. Il resto è storia recente, con la doppia vittoria di Zapatero (2004 e 2008) e la difficile opposizione popolare guidata da Mariano Rajoy. Belgio

La storia dei partiti belgi di ispirazione cristiana ha inizio con la fine della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione tedesca. Il 19 agosto 1945, infatti, viene fondato a Bruxelles il Christelijke

SPAGNA

Pp (Partido popular) Leader Mariano Rajoy Anno di fondazione 1989 Sede C/Génova, 13. 28004, Madrid Fondazione di riferimento Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales http://www.fundacionfaes.es Risultato ultime elezioni 39,94% Sito internet http://www.pp.es

Volkspartij-Parti Social Chrétien (Partito cristiano sociale), erede del prebellico Partito cattolico, che per la prima volta unisce sotto le stesse insegne i democristiani fiamminghi e valloni. Ma in un paese molto geloso delle proprie differenze linguistiche, la coabitazione tra le due anime non sarà facile, e nel 1968 si consumerà la scissione che darà vita a due formazioni distinte: una fiamminga

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(Cd&V) e una vallone (Centre democrate humaniste). Pur essendo espressione di un paese certamente piccolo per dimensioni e popolazione, i partiti cristiano-democratici belgi hanno ricoperto un ruolo importante per la nascita e il consolidamento del Ppe. Questo è dovuto soprattutto alla fortissima vocazione europeista di Bruxelles e al fatto che molte delle istituzioni comunitarie hanno sede in territorio belga. E anche al ruolo che Wilfried Martens (primo ministro del Belgio dal 1979 al 1992 e oggi presidente del Ppe) ha avuto nel processo di fondazione e crescita della casa dei moderati europei. A completare il quadro dei membri del Partito popolare europeo, una galassia di gruppi e formazioni di ispirazione democristiana o liberalconservatrice. Dall’Övp austriaca (il partito dell’ex cancelliere Wolfgang Schuessel) alla greca Nea demokratia (al governo del paese dal 2004 con Kostas Karamanlis), dai Socialdemocratici portoghesi (il partito dell’attuale presidente della Commissione europea, Manuel Barroso) agli irlandesi del Fine Gael. E poi l’agguerrita pattuglia di partiti entrati con l’allargamento dell’Unione europea del 2004 e del 2007, guidata dai polacchi di Piattaforma civica, partito del primo ministro Donald Tusk, astro nascente della politica di Varsavia e prossimo candidato alla presidenza contro il discusso Lech Kaczynski. Non meno importante, all’interno del Ppe, è la presenza di un folto numero di membri associati e

osservatori, primo fra tutti l’Akp del premier turco Recep Tayyip Erdogan, artefice del rilancio economico di Ankara e dell’avvicinamento, lento ma inesorabile, della Turchia a Bruxelles. La composizione del Ppe, dunque, rappresenta al meglio l’immagine della nuova Europa. Dall’Atlantico al mar Nero, dal Mediterraneo al Baltico, il Vecchio Continente sta concludendo la lunga e difficile strada di unificazione. E il Partito popolare europeo conferma ancora una volta il proprio ruolo da protagonista in queste articolate dinamiche storiche, politiche e culturali. L’ingresso del neonato Pdl (con lo storico approdo della destra italiana nei lidi del popolarismo europeo) è il sigillo a un progetto che parte da Adenauer e De Gasperi e arriva a Sarkozy, Fini, Berlusconi e Angela Merkel, passando per Kohl e Aznar. È il sogno di tre generazioni di cittadini europei, un sogno che da più di mezzo secolo si nutre degli stessi valori: libertà e democrazia.

L’Autore DOMENICO NASO

Giornalista, si occupa di politica internazionale e cultura pop. Ha lavorato per la rivista Ideazione. Collabora con L’Opinione delle Libertà, Gazzetta del Sud e LibMagazine.


L’INTERVENTO Alexs Wintoniak

Come cambia il Ppe

Parola d’ordine: INTEGRAZIONE Dalle origini nel 1976 ai giorni nostri, l’evoluzione del partito che è riuscito a riunire tutte le anime del centrodestra sotto un unico tetto europeo. DI ALEXIS WINTONIAK TRADOTTO DA BRUNO TIOZZO

Nel suo trentesimo anniversario,il Partito popolare europeo (Ppe) assomiglia ben poco a com’era quando è stato fondato nel 1976. Con 73 partiti di 36 paesi, 18 capi di governo (le cifre si riferiscono al 2006, Ndt) e con il più grande gruppo al Parlamento europeo, il Ppe è la principale forza politica in Europa. Una forza che è il risultato di un processo d’integrazione e di allargamento tuttora in corso: il Ppe avanza in contemporanea con gli sviluppi della stessa Unione europea. Dal punto di vista strutturale, il successo del Ppe è il risultato della sua capacità di integrare e unire tutte le forze europee di centrodestra. Solo


lasciato dietro molti risultati duraturi; ma aveva comunque creato l’immagine di una sua dominanza politica in Europa. D’altro canto, le prime elezioni dirette del Parlamento europeo nel 1979 si stavano avvicinando, ed entrambi i gruppi, socialisti e liberali, stavano per costituire delle loro organizzazioni a livello europeo. L’Uecd è stata la prima associazione di partiti cristiano-democratici dei paesi della Cee. Alla fine, il Ppe è stato formalmenRetroscena Perché mai c’erano inizialmente te costituito nella primavera del tre internazionali di centrode- 1976. Rispetto al Ppe di oggi, era un piccolo stra? Le Nouvelles gruppo che contava Équipes internatiosolo una manciata nales (Nei) sono Il Ppe nella sua di partiti membri state fondate nel configurazione 1948. Le Nei non originaria non avrebbe in quanto s’era limitato a includere i erano tanto una vera e propria fe- mai potuto raggiungere partiti democristiaderazione di par- la maggioranza nell’Ue ni dei paesi della Cee. Per questo motiti quanto un’astivo, all’inizio era sociazione piuttosto leggera composta da esponen- composto da dieci elementi a pieti politici democristiani. L’Uecd no titolo provenienti da sei paesi. è stata fondata nel 1965 per ren- Fu la Cdu/Csu tedesca a capire dere più agevole la cooperazione che il Ppe nella sua configuraziotra partiti. Tuttavia, il grande ne originale non sarebbe stato sufpasso avanti fu verso la metà de- ficiente per raggiungere la maggli anni Settanta. Per il centro- gioranza nelle istituzioni europee. destra era giunto il momento di Appariva evidente che un Ppe agire: socialisti e socialdemocra- privo di altri partiti di centro e di tici governavano la maggior par- centrodestra non sarebbe mai te degli Stati membri della Co- diventato la principale forza polimunità economica europea tica continentale. Tuttavia, per (Cee). Ai livelli europei e inter- motivi ideologici, molti partiti nazionali, la cooperazione tra i del Ppe e dell’Uecd erano rilutloro leader era piuttosto visibile, tanti ad aprire ai partiti non deportata avanti da figure carisma- mocristiani; inoltre, molti demotiche come Willy Brandt, Olof cristiani erano in competizione con partiti conservatori nei proPalme e Bruno Kreisky. L’Internazionale socialista non ha pri paesi. In più, alcuni dei partipochi anni fa, c’erano ancora tre internazionali di centrodestra in Europa: il Partito popolare europeo (Ppe), l’Unione europea dei cristiano-democratici (Uecd) e l’Unione democratica europea (Ude). L’integrazione riuscita dell’Uecd e dell’Ude nel Ppe non è solo il risultato di una evoluzione storica, ma allo stesso tempo una testimonianza di volontà politica e di leadership.

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L’INTERVENTO Alexis Wintoniak

ti democristiani erano più inclini guati ai gollisti francesi e ai cona collaborazioni con il centrosini- servatori britannici, e anche alla stra, piuttosto che con i liberali o Cdu/Csu, oltre ad aprire la porta i conservatori; ciò si traduceva alla creazione di una maggioranza nella formazione di diversi strutturale a livello Cee. Costigoverni di coalizione in quel tem- tuiva anche la piattaforma giusta po. La visione di una terza via tra per i conservatori scandinavi, che comunismo e capitalismo era an- non erano benvenuti nell’Uecd, cora una opzione percorribile per né avevano interesse a entrarci. Per il Partito popolare austriaco, alcuni dei leader democristiani. I partiti cristiano-democratici dei l’accordo compensava l’esclusione paesi al di fuori della Cee non dal Ppe. L’Unione democratica avevano il diritto di aderire al europea è stata fondata il 24 apriPpe; ciò veniva visto come una le 1978 a Klessheim, vicino Salidiscriminazione verso membri di sburgo. Fin dall’inizio, l’Ude pervecchia data della famiglia conti- seguiva obiettivi molto chiari. nentale. C’era La dichiarazione quindi la necessità L’Ude si definiva, sin di Klessheim del di trovare una al1978 aveva un ternativa al Ppe co- dalla nascita, come la credo forte: demome era costituito controparte principale crazia, libertà, allora. Da un lato, Stato di diritto e l’alternativa dove- del socialismo solidarietà sociale. va fornire una piat- e del comunismo L’Ude si definiva taforma prometcome la controtente per avere la maggioranza parte principale del socialismo e nelle istituzioni europee, e dal- del comunismo. Nelle questioni l’altro, doveva diventare una casa di politica interna l’Ude era favoper i partiti di centro o centrode- revole a una economia sociale di stra al di fuori dalla Cee. mercato, mentre la sua politica a Di conseguenza, oltre a continua- livello internazionale era di tollere la collaborazione nell’Uecd e ranza zero verso i comunisti. nel Ppe, alcuni partiti democristiani stabilirono dei contatti re- Culture politiche diverse golari con i parti conservatori di L’Ude seguiva un modello di tutta Europa. Nelle conferenze cooperazione tra partiti che si interpartitiche durante gli anni differenziava dal Ppe. Il Ppe si è Settanta, i leader di centrodestra sempre considerato un partito di Austria, Gran Bretagna, Dani- proprio, con tutte le caratteristimarca, Finlandia, Francia, Ger- che del caso: congressi enormi mania, Norvegia, Svezia e succes- con molti attivisti, l’elezione ad sivamente anche Spagna e Porto- personam dei rappresentanti pringallo si incontrarono annualmen- cipali e non in quanto esponenti te. Questa piattaforma a livello di un determinato partito memeuropeo offriva dei partner ade- bro, decisioni a maggioranza co-

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me regola e voti per i partiti concentrandosi principalmente membri distribuiti in base alla sugli sviluppi all’interno delle loro forza elettorale. Il principio istituzioni e sullo sviluppo della democratico è quindi la norma. stessa Ue. L’attenzione politica In generale, il Ppe ha sempre del Ppe s’era intrecciata con le cercato di rendersi indipendente priorità del suo gruppo parladai suoi partiti membri, creando mentare. In linea di massima, il una propria identità, essendo dibattito all’interno del partito rappresentato pubblicamente da avveniva tra i principali esponenti del Parlamento europeo. I propri leader Ppe. Nell’Ude, dall’altra parte, la coo- temi più importanti del dibattito perazione era rigorosamente ge- sono sempre stati questioni di vararchica: tutti i poteri decisionali sta portata, soprattutto i problederivavano dai leader dei partiti mi istituzionali e costituzionali e la riforma delmembri. La Confel’Unione europea, renza dei leader di L’Ude non aveva l’allargamento e, partito era il supremo organo decisio- l’obiettivo di diventare più recentemente, il Trattato conale, eleggeva il un’entità politica, ma stituzionale. I presidente e adattavoleva essere un mezzo termini del diva le linee politiche battito sono semcomuni. Tutte le di cooperazione pre stati fissati decisioni venivano prese all’unanimità, anche nel dai congressi, con la preparazione Comitato direttivo, composto dai delle tesi congressuali e i docusegretari generali e dai segretari menti politici. Le elezioni eurointernazionali dei partiti mem- pee sono sempre state di massimo bri. Il presidente dell’Ude doveva interesse per il Ppe. egli stesso essere leader di un par- Dal canto suo, l’Ude non si contito, e quindi detenere una posi- centrava principalmente sugli zione di forza all’interno della or- sviluppi a Bruxelles, ma piuttoganizzazione. Tuttavia, l’Ude non sto nelle capitali di tutta Euroaveva l’obiettivo di diventare essa pa. Il lavoro politico dell’Ude stessa un’entità politica; piutto- veniva innanzitutto svolto nelle sto serviva come un mezzo di commissioni permanenti di lavoro scelte dai leader dei partiti cooperazione per i suoi membri. Per molti anni il Ppe è stato do- membri. Le commissioni di laminato dal proprio gruppo al voro avevano ricevuto un manParlamento europeo, con le sue dato chiaro, e i loro presidenti enorme risorse finanziarie e di erano tenuti a riferire ai vertici personale, e soprattutto il suo po- dei leader di partito. Le tematitere politico, al passo con il cre- che trattate dalle commissioni scente potere del Parlamento eu- erano quelle di principale interopeo. Per questo motivo, il Ppe resse comune, in merito alle è stato “dominato da Bruxelles”, quali veniva ritenuto di partico-


L’INTERVENTO Alexis Wintoniak

lare importanza individuare una posizione comune. Normalmente, i leader dei partiti costituivano dei gruppi di lavoro permanenti sui seguenti argo-

menti: politiche europee, sicurezza, politica economica e sociale, affari interni e campagne elettorali. Le commissioni erano composte dai responsabili dei partiti


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per il settore e di solito si trattava di parlamentari nazionali. I documenti politici e i programmi comuni elaborati dalle commissioni riflettono quindi la politica portata avanti dai partiti membri nei rispettivi parlamenti nazionali. In aggiunta alle commissioni di lavoro, l’Ude si concentrava sul processo di democratizzazione in Europa. L’Ude è infatti stata il primo gruppo transnazionale a mettere in atto dei programmi concreti nel 1989, a sostegno delle forze democratiche dell’Europa centro-orientale. Già nel 1990, aderirono all’Ude alcuni partiti di centrodestra di quell’area. Ciò portò presto all’ingresso nell’Ude di tutti i paesi successivamente entrati nell’Ue. Verso la metà degli anni Novanta, dopo le guerre balcaniche, l’impegno dell’Ude per il consolidamento della democrazia si spostò nella parte meridionale dell’Europa orientale. A seguito di numerose missioni informative nei Balcani, è stata costituita una Iniziativa per la democrazia nei Balcani occidentali, per promuovere una regolare cooperazione tra le forze democratiche dell’Europa sud-orientale e i partiti dell’Ude. Inoltre, l’Ude aveva fondato un Forum paneuropeo per instaurare una collaborazione regolare con le forze di centrodestra in Russia, Ucraina, Bielorussia e altri Stati nati dallo scioglimento dell’Unione Sovietica. C’era anche una notevole differenza in risorse umane e finanziarie. Il segretariato Ppe ha sempre avuto l’obiettivo di diventare de facto sede del partito.


L’INTERVENTO Alexis Wintoniak

In aggiunta alla sua considerevole ovvero cristiano-democratici, quantità di dipendenti, il Ppe conservatori e simili. Due elecercava anche di integrare le asso- menti storici contribuirono ad ciazioni affiliate come l’Interna- avvicinare sempre di più i due zionale democristiana, il movi- percorsi. Il primo è stato il riavvimento giovanile e l’organizzazio- cinamento ideologico tra cristiane femminile. Si cercava di ren- no-democratici e conservatori. Il dere la sede del Ppe un punto di crollo del comunismo aveva porriferimento per la Democrazia tato a un lento, ma inesorabile cristiana europea e internaziona- impatto sul pensiero politico nelle, prima in Rue de la Victoire le democrazie occidentale. Le (dove il nome era il messaggio) e ideologie democristiane puriste, radicate in Italia e nei paesi del poi in Rue D’Arlon. Il segretariato Ude era invece di Benelux, erano in declino. Daldimensioni ridotte: non si tratta- l’altro lato, l’uscita di scena di va di un vero e proprio quartier Margaret Thatcher e il successivo declino dello stesgenerale, ma piutso thatcherismo, tosto di una stanza L’Ude è stato il primo insieme all’autodi compensazione imposto isolamenal servizio dei par- gruppo transnazionale to dei conservatori titi membri per a sostenere le forze del Regno Unito quanto riguardava dalle questioni eula loro cooperazio- democratiche ropee, portava a ne internazionale. nell’Europa orientale una perdita di inCon solo un numero limitato di dipendenti a tem- fluenza anche per l’altro versante po parziale, l’Ude si appoggiava del centrodestra. Il risultato è stasui partiti membri per le sue ri- to uno spostamento generale versorse umane – cioè contava sulle so posizioni di centrodestra. Inolsegreterie dei singoli partiti – tre, l’ingresso nel Ppe dei partiti creando una rete a livello euro- conservatori del Nord Europa, in seguito all’allargamento dell’Ue peo. del 1995, portò a una svolta ideologica. In seguito hanno aderito La necessità di unire le forze Al momento della loro fondazio- al Ppe anche Forza Italia e il Rpr ne negli anni Settanta, era facile francese. Al Parlamento europeo, distinguere i compiti del Ppe da il Ppe ha continuato a costituire quelli dell’Ude: il Ppe serviva per un gruppo insieme ai conservatola cooperazione tra i cristiano de- ri britannici e altri partiti consermocratici all’interno della Comu- vatori dell’Europa centro-orientanità europea con un’enfasi sulle le. questioni comunitarie, mentre Passando al secondo dei due elel’Ude si occupava di agevolare la menti, l‘allargamento dell’Uniocooperazione a livello europeo per ne europea nel 2004 rese superun più ampio spettro ideologico, flua la divisione del lavoro tra

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Ude e Ppe su base geografica. Nel periodo precedente al loro ingresso nell’Ue, i cristiano-democratici, i conservatori e i partiti simili a loro dell’Europa centro-orientale avevano praticamente già beneficiato di un pieno status all’interno del Ppe. Entrambi gli elementi, l’avvicinamento ideologico e la convergenza degli allargamenti, richiedevano una integrazione tempestiva delle due organizzazioni. Un processo di integrazione riuscito

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I tentativi per arrivare a una più stretta collaborazione tra i partiti di centrodestra hanno un lunga tradizione. Nel corso degli anni Novanta furono adottate un certo al fine di evitare duplicazioni nelle attività dell’Ude, dell’Uecd e del Ppe. Tuttavia, le organizzazioni erano ancora troppo distanti per poter realizzare riforme strutturali. La diciottesima conferenza dei leader dell’Ude a Salisburgo il 24 e 25 aprile 1998 diede un nuovo impulso. Fu adottata una nuova missione per l’Ude intitolata Verso la maggioranza: La cooperazione all’interno dell’Unione democratica europea ha dimostrato di essere una storia di successo: partiti provenienti da tradizioni diverse, conservatori, cristiano-democratici o partiti simili di centro, da nazioni piccole o grandi, dagli Stati membri dell’Unione europea e dagli Stati non aderenti all’Ue, hanno lavorato insieme per i loro principi comuni. Il comunismo e il socialismo vecchio stampo sono stati

sconfitti nel nostro continente, e i nostri principi hanno plasmato la politica europea degli ultimi anni. Ci sono, tuttavia, delle nuove sfide. La sinistra e i partiti socialisti hanno spostato la loro retorica verso il centro, e nuove forme di partiti e movimenti populisti stanno guadagnando terreno. In molti paesi europei, i partiti dell’Ude sono all’opposizione. Ciò deve cambiare. Per contro, la cooperazione internazionale dei partiti dell’Ude non è ancora sufficientemente razionalizzata per massimizzare il potenziale dei nostri partiti. A parte l’Unione democratica europea, molti dei membri dell’Ude fanno anche parte del Ppe e dei suoi gruppi all’interno delle istituzioni parlamentari europee; altri sono membri dell’Unione per l’Europa in seno al Parlamento europeo e del Gruppo democratico europeo al Consiglio d’Europa. L’Unione europea dei cristiano-democratici esiste ancora, anche se attualmente è in fase di integrazione nel Ppe. Le iscrizioni multiple rappresentano un freno per massimizzare il potenziale dei partiti Ude nella cooperazione europea, sia nel campo politico, dove i nostri avversari potrebbero approfittare di suddetta frammentazione, come in quello economico dove rappresenta un onere di risorse umane e finanziarie per i membri dell’Ude. A vent’anni dalla sua fondazione, l’Ude si impegna, quindi, in un nuovo sforzo per realizzare i principi della dichiarazione di Klessheim: unire i cristiano-


L’INTERVENTO Alexis Wintoniak

democratici, i conservatori e simili partiti di centro e per fondere le organizzazioni esistenti in una nuova organizzazione a livello europeo, nel rispetto delle diverse identità e degli approcci di questi partiti europei. I leader dei partiti chiedono pertanto al presidente dell’Ude di avviare delle consultazioni con i partiti nazionali e le altre organizzazioni delle parti interessate e di preparare una relazione per i leader di partito per settembre 1998. Su questa base, la leadership Ude s’è consultata con i partiti membri e con la presidenza del Ppe. Due opzioni principali venivano discusse: una regolare fusione (una organizzazione unitaria sarebbe stata istituita da un congresso di fondazione oppure attraverso atti costituzionali dai rispettivi organismi del Ppe e dell’Ude) o una fusione graduale, tramite cui l’Ude e il Ppe si sarebbero integrati passo dopo passo. Appariva subito chiaro che né all’interno del Ppe, né all’interno dell’Ude, sarebbe stato possibile trovare la maggioranza necessaria per approvare il grande salto di una regolare fusione. Pertanto, i primi passi verso una fusione graduale vennero fatti con un accordo congiunto tra le presidenze del Partito popolare europeo e dell’Unione democratica europea nel settembre 1998. S’individuò l’obiettivo in una singola organizzazione del centrodestra europeo. In primo luogo, i gruppi negli organismi parlamentari europei si sarebbero uniti; comuni gruppi di lavoro, seminari, confe-

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renze e missioni Ude/Ppe, sareb- dell’Ude nel Ppe più probabile bero diventati la regola; e le ri- di una fusione delle due organizspettive associazioni dei giovani, zazioni. delle donne, degli imprenditori e Alla loro conferenza a Berlino il dei pensionati si sarebbero an- 16 settembre 1999, i leader dei partiti Ude decisero che, ch’esse unite. Inoltre avrebbero avviato una oltre alla prosecuzione delle più stretta cooperazione gli uffi- commissioni di lavoro comuni ci di presidenza e le segreterie Ppe/Ude, gli organismi decisiodelle due organizzazioni. Nella nali delle organizzazioni avrebstessa occasione, il Ppe rinnovò bero dovuto cooperare per quanl’invito al Rpr francese di aderire to possibile. Le due organizzaal suo gruppo parlamentare. A zioni avrebbero inoltre condiviso questo proposito bisogna ricor- le proprie infrastrutture, e di dare che solo pochi mesi prima, conseguenza si sarebbe spostato all’inizio del 1998, si diceva che il segretariato dell’Ude da Vienna a Bruxelles. Forza Italia e il Tutto ciò è entrato Rpr stessero per Dopo un lungo in vigore nell’apriformare un nuovo le 2000. Nelle riupartito europeo processo, il Ppe nioni del Comitabasato sul loro ha integrato, nel 2002, to direttivo delgruppo al Parlai valori e i punti l’Ude e dell’Uffimento. cio politico del Tuttavia, a causa di forza dell’Ude Ppe, a gennaio e delle imminenti elezioni europee del giugno febbraio 2000, vennero concor1999, nei mesi seguenti non si dati gli ulteriori dettagli di queregistrarono grandi progressi in sta più stretta cooperazione. questo senso. Poi, un accordo si Mentre gli organi decisionali raggiunse nel luglio 1999, in ba- continuarono a operare in modo se al quale i conservatori del Re- indipendente – date, riunioni e gno Unito, il Rpr francese e For- ordini del giorno venivano arza Italia entrarono nel gruppo monizzati – tutte le commissiodel Ppe. Questo sarebbe certa- ni di lavoro, conferenze, seminamente stato il momento giusto ri e missioni diventarono conper mettere ordine anche nella giunti, e le segreterie finirono a cooperazione a livello di partito; lavorare insieme sotto lo stesso tuttavia, il tempo era scarso e fu tetto a Bruxelles. più importante arrivare a una ra- La Conferenza dei leader dei parpida costituzione del gruppo titi Ude e il Congresso Ppe a parlamentare. La costituzione Berlino nel gennaio 2001 deciseriuscita di un gruppo al Parla- ro un comune programma di lamento europeo, comprendente i voro, l’istituzione di commissiopartiti membri del Ppe e del- ni di lavoro Ppe/Ude sulla politil’Ude, rendeva un’integrazione ca europea, la politica estera e di


L’INTERVENTO Alexis Wintoniak

sicurezza, la politica economica e sociale, la gestione delle campagne elettorali e l’allargamento, insieme a un Forum paneuropeo e un’iniziativa per la democrazia nei Balcani occidentali. Questi organismi venivano presieduti da esponenti nominati dal Ppe e dall’Ude, e i rispettivi gruppi decisionali si accordavano sulle regole interne di suddette commissioni. La fusione graduale stava per raggiungere l’obiettivo fissato dai leader di partito nel 1998. Il passo finale è stato fatto alla conferenza dei leader dei partiti Ude nell’ottobre 2002. I leader decisero che il viaggio della vecchia Unione democratica europea era giunto al capolinea. Lasciarono tuttavia aperta la possibilità di una piattaforma politica che permettesse all’Ude di poter continuare nella veste di una conferenza annuale dei leader di partito all’interno dell’ Unione democratica internazionale (Udi). Tuttavia, i mesi e gli anni successivi hanno dimostrato che i partiti Ude si sentono a proprio agio con il Ppe. Pertanto, la disposizione non ha portato al proseguimento di una organizzazione separata fuori dal Ppe.

cinamento, il Ppe ha integrato i punti di forza dell’Ude, la cooperazione si basa su una più ampia visione ideologica e geografica e sui singoli partiti nazionali. Questa visione ha sostenuto il proprio coinvolgimento nelle strutture e nelle politiche Ue, e ha ulteriormente sviluppato il suo potenziale come partito europeo. Questa è la base per una maggioranza duratura in Europa. Copyright European View vol. 3 (Spring 2006)

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Conclusioni

Il processo di integrazione europea è una impresa riuscita, proprio come la cooperazione tra i partiti di centrodestra. Partendo da diverse origini ideologiche e geografiche, l’Ude e il Ppe si sono fusi in una sola, potente organizzazione del centrodestra europeo. Dopo un lungo processo di avvi-

L’Autore ALEXIS WINTONIAK Segretario esecutivo dell’Ude dal 1996 al 2002 e vice segretario generale del Ppe dal 2000 al 2002, è ora vicesegretario generale del Parlamento austriaco.


Linee guida per un partito plurale

Cristiani e laici insieme nella grande FAMIGLIA del Ppe

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LibertĂ coniugata con responsabilitĂ , rispetto dei diritti fondamentali, giustizia e solidarietĂ . Questi i valori universali della nuova casa del centrodestra europeo: una visione che si oppone alle proposte collettiviste di sinistra e agli eccessi del mercatismo senza regole.

DI BRUNO TIOZZO


IL MANIFESTO Bruno Tiozzo

Il Partito popolare europeo (Ppe) è la più importante delle forze politiche a livello continentale. Tra partiti membri a titolo pieno e osservatori conta oggi più di 70 movimenti politici provenienti da 39 paesi diversi. Il suo gruppo parlamentare è il più grande al Parlamento europeo con 288 eurodeputati su 785. Al Ppe fanno inoltre riferimento 14 dei capi di

governo degli Stati membri Ue e dieci dei componenti della Commissione europea, tra cui il presidente José Manuel Durão Barroso. Si presenta, di conseguenza, all’appuntamento con gli elettori per il rinnovo del Parlamento europeo a giugno con un elaborato manifesto elettorale. Questo a dispetto di chi sostiene che l’ampliamento che ha portato il Ppe

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negli ultimi quindici anni a di- taforma politica Ppe si basano ventare la casa comune del cen- sullo spirito universale, le radici trodestra europeo, avrebbe snatu- giudaico-cristiane insieme alla rato il partito trasformandolo in comune eredità del continente, dalla storia classica e umanista alun contenitore vuoto. Le trenta pagine della bozza del le conquiste dell’illuminismo. manifesto, presentata dal bureau Sarebbe tuttavia sbagliato definipolitico del Ppe lo scorso 30 gen- re il Ppe come una forza confesnaio, toccano infatti gli aspetti sionale, soprattutto dopo l’inpiù spinosi della realtà odierna gresso del partito islamico turco europea, offrendo delle soluzioni Akp e i conservatori scandinavi concrete e coraggiose. «Vogliamo con la loro concezione piuttosto promuovere il dibattito con i cit- laica del rapporto tra Chiesa e tadini su come l’Ue possa affron- Stato. Tant’è vero che il Ppe sul tare i suoi problemi quotidiani», suo sito internet ormai non si auha spiegato il presidente del Ppe, todefinisce più cristiano-democratico, bensì come Wilfried Martens, «la famiglia politiin occasione della La libertà viene intesa ca del centrodepresentazione. In c o n t e m p o r a n e a non solo come l’essere stra». Il pensiero politico con la bozza del indipendenti, si basa inoltre su programma eletvalori universali torale è infatti sta- ma soprattutto come come la libertà coto dato il via alla una responsabilità niugata con la rewebtv del Ppe, http://dialoguetv.epp.eu/, un sponsabilità, il rispetto dei diritti nuovo strumento interattivo per fondamentali, la giustizia e la sopermettere ai cittadini europei di lidarietà. La libertà viene intesa seguire alla campagna elettorale e non solo come l’essere indipencontribuirvi. Spetterà poi al con- denti, ma soprattutto come una gresso Ppe in programma a Var- responsabilità. In altre parole, il savia dal 29 al 30 aprile approva- Ppe si oppone sia alle proposte re la versione finale del manifesto collettiviste della sinistra, sia alelettorale, prendendo in conside- l’individualismo egoista del liberazione gli emendamenti e, per rismo spinto. quanto concerne le questioni le- Questo concetto ricorre come un gate al mondo giovanile, gli esiti filo rosso nel manifesto, dove il del congresso della struttura gio- Ppe di fatto si pone in una posivanile Yepp, che si celebra a Ro- zione centrale, e non centrista, rispetto agli eccessi ideologici ma dal 2 al 5 aprile. delle ali estreme del panorama politico. Nell’ottica del Ppe le Valori di riferimento Per quanto riguarda i valori di ri- persone non vengono intese solferimento, l’introduzione stabili- tanto come singoli individui, ma sce che le fondamenta della piat- come degli esseri umani investiti


IL MANIFESTO Bruno Tiozzo

di diritti e di doveri che a loro to dell’economia sociale di mervolta compongono delle entità cato, da sempre un caposaldo per più vaste: famiglie, comunità e il Ppe. «Non possiamo permettere al settore finanziario di andarregioni. Il moltiplicarsi delle sfide poste sene con i profitti, lasciando al dalla crescente instabilità mon- pubblico le perdite», reca il prodiale richiede una cooperazione gramma, richiedendo più regolaeuropea più forte ed efficace, dice mentazioni. Non si tratta tuttail manifesto. L’impegno convinto via di sposare idee socialiste e si del Ppe in favore di un rafforza- sottolinea, di conseguenza, che le mento dell’Unione europea con misure per uscire dalla crisi, col’entrata in vigore del Trattato di me l’incremento della spesa pubLisbona, che porta a un potenzia- blica, devono essere limitate nel mento delle istituzioni sovrana- tempo. Lo sviluppo economico zionali, viene comunque bilan- viene sempre considerato un preciato dall’adesione al principio di supposto imprescindibile per avere coesione sosussidiarietà. Tale ciale e stabilità principio mira in- L’economia non è fine politica. Un ragiofatti a garantire namento che si che le decisioni a se stessa, ma è sposa bene con la siano adottate il uno strumento linea economica più vicino possibiper raggiungere espressa dal goverle al cittadino. no italiano. N e l m a n i f e s t o la coesione sociale Al centro delle vengono delineate cinque priorità per la prossima proposte in materia economica legislatura europea: creare benes- del Ppe c’è la creazione di nuovi sere per tutti; fare dell’Europa un posti di lavoro. Solo con un alto posto più sicuro; affrontare il livello di occupazione sarà possicambiamento climatico; vincere bile garantire benessere per tutti la sfida demografica; rendere più e il futuro del modello di sicurezcoesa la voce europea sulla scena za sociale europea. La creazione di nuovi posti di lavoro può soltanto mondiale. avvenire in una economia dinamica e, in linea con gli obiettivi Creare benessere per tutti Il primo tema a essere trattato nel della Strategia di Lisbona; bisomanifesto Ppe è l’economia. Per gna quindi investire nella formail Ppe l’economia non è fine a se zione per rendere il sistema ecostessa, ma uno strumento al servi- nomico europeo sempre più comzio dei cittadini che punta alla petitivo. Le spese destinate a rirealizzazione di una società basata cerca e sviluppo devono arrivare sulla libertà e la coesione sociale. al 3% del Pil europeo nel 2010, e La crisi finanziaria mondiale cau- al 4% nel 2015. sata dalla mancanza di controlli Si sottolinea l’importante ruolo rende ancora più valido il concet- delle imprese per creare lavoro

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insieme alla necessità di semplificare le procedure burocratiche per avviare un’attività economica. Viene anche riconosciuto il ruolo svolto dai sindacati nella difesa dei diritti dei lavoratori. Bisogna aumentare gli sforzi per realizzare un vero mercato unico, rimuovendo gli ostacoli che impediscono la mobilità della forza lavoro e fare in modo che l’euro diventi moneta unica nell’intera Unione. Un passaggio che risulta indigesto per i partiti meno europeisti, e i conservatori britannici hanno infatti annunciato la loro uscita dal gruppo Ppe. Resta però un mistero con quali partner credono di essere in grado di formare un nuovo gruppo e molti 84 scommettono su un ripensamento di David Cameron, che più che altro è stato costretto a onorare una promessa fatta ai tempi della gara per la leadership dei tories. Si approva, inoltre, il Patto di stabilità e di crescita, sottolineando che la stabilità macroeconomica sia una condizione necessaria per raggiungere gli obiettivi di crescita economica. Per quanto riguarda più specificamente l’attuale crisi economica vengono richieste delle misure Il Ppe giudica a livello globala pressione fiscale le. Le regolatroppo alta e chiede mentazioni Ue un taglio delle tasse non bastano per uscire da una crisi mondiale e si chiede pertanto una profonda riforma del sistema finanziario internazionale, eventualmente con la creazione di nuovi organismi di sorveglianza economica. Si


IL MANIFESTO Bruno Tiozzo

mette però in guardia dalla tentazione di utilizzare la crisi come scusa per rinviare delle riforme strutturali, ove necessarie. Viene anche bocciato il ricorso a misure protezionistiche. La pressione fiscale in Europa Il fondamentalismo viene ritenuta islamico impedisce troppo alta dal agli Stati arabi Ppe che propola democratizzazione ne un taglio generale delle tasse, oltre a un’armonizzazione dei vari sistemi fiscali. Una parte del capitolo economico del manifesto viene dedicata ai cosiddetti fondi sovrani che sono molto discussi, ad esempio in Francia. L’orientamento del 85 Ppe è tendenzialmente positivo, anche se viene richiesta una maggiore reciprocità e apertura dei mercati da parte dei paesi proprietari dei fondi. Fare dell’Europa un posto più sicuro

Per rendere il nostro continente più sicuro, il Ppe vuole combattere il terrorismo e la criminalità organizzata, contrastare l’immigrazione clandestina e provvedere a maggiori garanzie per la sicurezza. Quasi otto anni sono passati dalla strage alle Torri gemelle di New York, ma la guerra al terrorismo che minaccia i valori europei non è ancora vinta. Si precisa che il nemico sta nel terrorismo e non nella religione islamica in quanto tale. Anzi, proprio il terrorismo di matrice islamica rappresenta l’ostacolo principale per lo svil-


luppo e la democratizzazione dei paesi musulmani. All’Ue viene richiesta una tolleranza zero verso ogni tipo di terrorismo, internazionale come interno, e si sottolinea la necessità di maggiori sinergie tra le misure anti-terroristiche delle figure istituzionali coinvolte a livello europeo, come il Commissario al-

la giustizia, libertà e sicurezza, il Coordinatore anti-terrorismo e il direttore di Europol. L’integrazione e l’inclusione sociale degli immigrati di religione islamica e dei loro figli vengono caldeggiate anche per rendere meno fertile il terreno di reclutamento dei terroristi. Si ricorda però allo stesso tempo che biso-

FOCUS

I dubbi italiani sul pacchetto clima 86

«Io non avrei firmato». Con questa dichiarazione di Silvio Berlusconi si era aperto, durante l’ultimo Consiglio europeo di Parigi, il confronto tra Italia e Ue sui provvedimenti previsti dal pacchetto clima. Le misure messe a punto dalla commissione (e in particolare dal popolare Stavros Dimas, commissario all’Ambiente) erano racchiuse nella formula 20-20-20: ridurre le emissioni di gas serra del 20%, portare al 20% la quota di energia rinnovabile e migliorare del 20% l’efficienza energetica, il tutto entro il 2020. I motivi addotti da Berlusconi in quella occasione erano stati molto chiari: misure del genere penalizzavano oltremodo le aziende europee, considerando che i concorrenti nordamericani e asiatici non avrebbero avuto gli stessi problemi, visto che i rispettivi governi non avevano firmato il Trattato di Kyoto. L’Italia, poi, paese tradizionalmente manifatturiero, avrebbe subito un contraccolpo maggiore, soprattutto nel settore automobilistico. Secondo il nostro premier, quindi, si sarebbe dovuta trovare una soluzione più equa, che spartisse gli

oneri in maniera eguale tra gli Stati membri dell’Ue, senza chiedere sacrifici troppo grossi a pochi paesi. Altro punto contestato dal nostro governo, lo strano sistema del commercio delle quote-clima. Le nazioni più virtuose, in sostanza, avrebbero potuto vendere a quelle meno ligie al pacchetto le loro quote di eccedenza rispetto agli obiettivi fissati. È quello che Berlusconi ha definito un “meccanismo perverso”, con il pericolo di creare titoli ancora più tossici dei mutui subprime. Ed è proprio la crisi finanziaria mondiale ad aver dato all’Italia un argomento in più da usare contro il pacchetto: in un momento già difficile, le aziende europee non po-


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gna essere «intolleranti verso l’intolleranza» nei confronti del nostro credo e dei nostri valori, di cui dobbiamo andare fieri e pretendere che vengano rispettati. L’immigrazione clandestina non crea solo tensioni nel paese ospitante, ma rappresenta anche una potenziale «fonte per la criminalità organizzata e il traffico di es-

trebbero sostenere gli oneri di adeguamento alle nuove misure comunitarie. E a dar man forte al nostro paese c’ha poi pensato l’agguerrito gruppo dei nuovi membri dell’Ue capitanati dalla Polonia. Le economie dei paesi dell’Est, infatti, si basano principalmente sul carbone, il cui utilizzo verrebbe drasticamente ridotto dalle norme previste. L’Italia si è dunque trovata al centro di una prolungata polemica nei mesi scorsi. Da più parti provenivano attacchi al presunto disinteresse ambientale di Roma. Molto più semplicemente, però, il nostro governo aveva tentato di calcolare, insieme ai vantaggi, anche gli innegabili svantaggi di una svolta così repenti-

seri umani». Il Ppe ritiene che l’immigrazione clandestina debba essere considerato un problema comune europeo da affrontare con un’azione coordinata degli Stati membri. Si propone tra l’altro il rafforzamento di Frontex, la creazione di una guardia costiera europea, l’armonizzazione delle politiche nazionali sull’asilo poli-

na. L’economia europea è già in un periodo di forte recessione e non sembra proprio il momento adatto per chiedere ulteriori sacrifici alle imprese. Come ha precisato nelle scorse settimane Andrea Ronchi, ministro per le Politiche comunitarie, “se il cosiddetto pacchetto 2020-20 fosse stato applicato nella formulazione così come lo avevamo ereditato, il costo a carico dell’Italia sarebbe stato del 40% più alto di quello medio europeo. Il rischio che correvamo era la delocalizzazione di aziende e investimenti, e dunque disoccupazione”. Dal Consiglio europeo di Parigi in poi, Palazzo Chigi ha cercato il dialogo con i partner continentali, incontrando soprattutto le resistenze di Nicolas Sarkozy, grande sponsor del nuovo corso ambientalista dell’Ue. Ma la mediazione tra la nostra posizione e quella di altri paesi europei, Francia in testa, dopo un primo momento di stasi e di forte rischio di nulla di fatto, sembra aver scongiurato le conseguenze negative per il nostro sistema produttivo, pur non scalfendo l’impegno ambientalista di Bruxelles. Con buona pace di chi, in nome di un ambientalismo radicale fuori dal tempo, sarebbe pronto a mettere in ginocchio un’economia già messa a dura prova dalla crisi finanziaria in atto.

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tico e sull’acquisizione della cit- sviluppo per nuove tecnologie tadinanza, oltre ad accordi di par- alimentari». Non manca comuntenariato con i paesi di origine que l’impegno a proteggere e promuovere i prodotti e le ricette dei flussi migratori. Un’altra priorità nel manifesto è tradizionali e regionali. rappresentata dalla sicurezza alimentare. Il morbo della mucca Affrontare il cambiamento clipazza, l’afta epizootica e l’in- matico fluenza aviaria hanno in anni re- Al capitolo “verde” del manifesto centi dimostrato quanto sia im- elettorale è stata dedicata decisaportante la questione. Gli elevati mente più attenzione rispetto alla standard europei in materia di precedente edizione di cinque anqualità alimentare danno diritto ni fa. Le misure contenute nella ai cittadini Ue di richiedere gli terza priorità Ppe riprendono sostessi standard per quanto concer- stanzialmente quelle dell’ambine il cibo d’importazione. Si sot- zioso Pacchetto clima dell’Ue, tolinea al riguardo approvato lo scorso il ruolo importan- Gli investimenti dicembre dopo una te dell’Autorità estenuante serie di europea per la si- nelle tecnologie verdi trattative. Il comcurezza alimentare sono un possibile missario all’Am(Efsa) con sede a biente, Stavros DiParma, aggiun- volano per la ripresa mas, considerato il gendo però che dell’economia globale padre del pacchet«non dovrebbe to, è infatti in quoimpiegarsi in compiti al di fuori ta Ppe. Molti governi, tra cui andelle sue competenze». che quello italiano, hanno tuttaIl Ppe vede nell’agricoltura un via espresso delle perplessità sulla settore cardine del modello euro- fattibilità di alcuni obiettivi prepeo; per il suo significato econo- visti nel pacchetto, soprattutto mico, per il suo legame con alla luce dell’attuale congiuntura l’identità locale e per il suo im- economica. patto ambientale. La politica Il Ppe individua nel surriscaldaagricola comune deve però essere mento globale una delle princiripensata, in una chiave di lettura pali minacce per la sopravvivenza globale per meglio rispondere a del pianeta e chiede di consesfide come la fame nel mondo e il guenza una riduzione delle emiscambiamento climatico. Le sov- sioni di gas serra e il passaggio a venzioni attuali devono essere so- fonti energetiche a bassa intensità stituite con misure di maggiore di carbonio. La formula per l’Ue, flessibilità che tengono conto prevista dal pacchetto clima, è di dell’andamento del mercato. Gli 20-20-20, ovvero di ridurre le Ogm non vengono menzionati emissioni di gas serra del 20%, espressamente, ma ci si pronun- portare al 20 % la quota di enercia in favore della «ricerca e lo gia rinnovabile e migliorare del


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20% l’efficienza energetica. Il tro della nostra società e guardiana dei nostri valori». Si auspica tutto entro il 2020. L’Ue deve continuare ad avere una maggiore flessibilità lavorauna leadership mondiale in questo tiva ed azioni mirate per superare settore, e si vede negli investi- gli ostacoli che impediscono ai menti nelle tecnologie “verdi” un giovani di formarsi una famiglia. possibile volano per l’economia La responsabilità per realizzare europea. A livello globale viene tutto ciò deve essere condivisa dal auspicato il raggiungimento di settore pubblico e quello privato. un accordo alla conferenza inter- Pollice verso per la tendenza a rinazionale di Copenaghen a di- correre al prepensionamento cocembre, in modo da coinvolgere me via d’uscita dal mondo del lanel trattato post-Kyoto anche gli voro. Il sistema pensionistico deve essere riformulato in modo da Usa e le economie emergenti. Strettamente legato al discorso meglio rispecchiare lo sviluppo clima è quello sulla sicurezza demografico e i fondi privati di pensione saranno energetica. La rid u z i o n e d e l l e Il sistema pensionistico necessari come supplemento di emissioni di gas serra dovrebbe in- deve essere riformulato quelli pubblici per meglio distrifatti rendere l’Eu- in modo da meglio buire il costo assiropa meno dipendente dalle impor- rispecchiare lo sviluppo stenziale tra le generazioni. tazioni di gas e di demografico dell’Ue Sotto questa priopetrolio. Positive le considerazioni sull’energia nu- rità rientrano anche delle misure cleare, per la sua capacità di limi- per favorire l’apprendimento pertare le emissioni CO2 e per la dif- manente (life-long learning) e la ficoltà di garantire il fabbisogno “immigrazione scelta”, un conenergetico solo con le fonti rinno- cetto lanciato dal Presidente franvabili. Si sottolinea tuttavia che cese Nicolas Sarkozy per attirare spetta a ogni Stato membro sce- lavoratori qualificati. gliere su quale mix energetico puntare, in base alle proprie ca- Rendere più coesa la voce euroratteristiche geografiche, econo- pea sulla scena mondiale miche, regionali e climatiche. Henry Kissinger si lamentava di non avere un numero di telefono per parlare con l’Europa. Il Ppe Vincere la sfida demografica Le previsioni demografiche per il riconosce che l’Ue negli ultimi Vecchio Continente, con bassi anni, con lo sviluppo della Politassi di natività e un ulteriore in- tica estera e di sicurezza comune nalzamento dell’età media, ri- (Pesc), ha compiuto dei passi chiedono - secondo il Ppe - in- importanti nella direzione di nanzitutto delle politiche in favo- una voce più coesa sulla scena re della famiglia, definita «il cen- mondiale. Non è tuttavia suffi-

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ciente. Si riconosce che il ruolo dell’Ue, nelle situazioni di crisi e negli organi internazionali, è ancora quello dello spettatore passivo, piuttosto che del protagonista propositivo. L’Ue dovrebbe quindi scrollarsi di dosso l’immagine di una super Ong, per meglio affrontare le sfide del terzo millennio e portare avanti gli interessi europei. Il cammino verso una voce europea più incisiva nel mondo passa per l’approvazione del Trattato di Lisbona, che permetterà all’Unione di prendere maggiori responsabilità in materia di politica estera e di sicurezza. A tal fine, sottolinea il documento, è anche importante prestare maggiore attenzione ai valori condivisi in occasione di futuri allargamenti dell’Unione. La Politica europea di vicinato (Pev) potrebbe infatti essere una valida opzione per molti paesi confinanti con l’Unione, piuttosto di entrare come Stati membri con il rischio di rallentare il processo di integrazione. Anche perché l’Ue dovrebbe mettere a punto una propria agenda in politica estera, in modo che la linea europea possa diventare qualcosa in più rispetto alla ventottesima presa di posizione in aggiunta a quelle espresse dagli Stati membri. Alla base della politica estera europea deve esserci un partenariato paritario con gli Stati Uniti, afferma il Ppe. Le priorità americane ed europee non sono sempre le stesse, ma in comune c’è la condivisione dei valori democratici e l’obiettivo di sopprimere il

terrorismo integralista e anti-occidentale. Si auspica anche un rafforzamento del lato politico del partenariato transatlantico con rapporti sempre più approfonditi tra le forze politiche europee e quelle statunitensi. Più problematico il rapporto con la Russia. Si riconosce infatti nel testo che non è più possibile pretendere che gli obiettivi strategici di Mosca combacino con quelli dell’Europa. Ciò nonostante resta indispensabile un rapporto di buon vicinato e cooperazione, che tuttavia non dal criticare lo stato della democrazia in Russia e il suo comportamento verso i paesi dell’Europa orientale e del Caucaso. La coesistenza pacifica tra l’Ue i suoi vicini deve infatti basarsi sul rispetto delle regole internazionali, sul riconoscimento dei confini e sul diritto per ogni paese di scegliere liberamente alleanze e partner internazionali. La bozza di manifesto non si sbilancia sul conflitto medio-orientale, oltre a ribadire l’impegno nella lotta al terrorismo integralista in cooperazione anche con i paesi musulmani, e la necessità di lavorare per la formula di due Stati, uno per Israelee uno per la Palestina. Risalta la mancanza nella bozza di un riconoscimento del ruolo di Israele come unica democrazia nella regione, e non dovrebbe essere impossibile un emendamento in questo senso al congresso di Varsavia. Nel capitolo della politica internazionale viene richiesto un generale rafforzamento del multilateralismo e delle organizzazio-


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ni internazionali, dall’Onu al Fondo monetario internazionale passando per il Wto, per meglio risolvere i conflitti e garantire lo sviluppo. Vengono di fatto stroncate le politiche nazionali di difesa come un anacronistico e inutile spreco di risorse. Gli Stati membri dell’Ue spendono insieme 250 miliardi di dollari, ovvero la metà del bilancio militare Usa, per finanziare 27 eserciti, 23 aeronautiche e 20 marine militari, senza poter mandare più del 2 % delle proprie truppe in combattimento. Si ricorda al riguardo la difficoltà dell’Ue di predisporre una decina di elicotteri per contribuire al mantenimento della pace nel Darfour. Il Ppe propone pertanto di allegare al Trattato di Lisbona un Patto per la sicurezza e la difesa europea, per meglio coordinare la politica dell’Unione in questo settore. Il Patto dovrebbe, tra l’altro, permettere agli Stati membri favorevoli di procedere subito verso una difesa comune, dotata di una propria forza di intervento multi-nazionale. Il ruolo della Nato non viene messo in discussione, anche se si precisa che occorre ridefinire i suoi compiti con il rafforzamento del pilastro europeo. Un manifesto, quindi, pieno di proposte concrete che mirano a rafforzare la collaborazione europea, nel rispetto delle tradizioni e delle sensibilità locali. Per la sua realizzazione, nei lavori del Parlamento, avrà un ruolo particolarmente importante nella

prossima legislatura la delegazione italiana del Popolo della Libertà. Il Pdl ha infatti buone possibilità di uscire dalle elezioni di giugno come la componente più numerosa del Ppe. La formazione del demos europeo passa infatti anche per la creazione di una politica condivisa a livello continentale. Le donne e gli uomini che andranno a rappresentare il Pdl in Europa hanno quindi una enorme responsabilità nel formulare il contributo del centrodestra italiano alla creazione delle convergenze di idee e di interessi che rende il progetto europeo qualcosa di più alto e nobile della mera sommatoria delle singole posizioni nazionali.

L’Autore BRUNO TIOZZO Laureato in Legge, collabora con il dipartimento Esteri di An. Cura i rapporti con le fondazioni estere per Farefuturo. È autore di articoli di politica internazionale per varie riviste e quotidiani.

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gli strumenti di

Nella sezione che segue Charta Minuta offre ai lettori una 92

sorta di vademecum per comprendere la storia e i valori del Partito popolare europeo. Le prime pagine sono dedicate a un excursus storico dal 1926 ai giorni nostri, passando per la fondazione ufficiale del Ppe nel 1976. A completare la parte storica una dettagliata cronologia che, anno per anno, riassume i passi piĂš importanti nella creazione di quella che oggi è la casa del centrodestra in Europa. Infine, la versione originale in francese dello Statuto del Partito popolare europeo, un documento fondamentale che racchiude i valori e gli ideali alla base del partito piĂš grande dell’Europarlamento.


STRUMENTI


STORIA DEL PPE Le formazioni politiche del centrodestra risalgono ai primi anni Venti. Al contrario dei socialisti, la collaborazione a livello europeo fra cristianodemocratici e conservatori è nata dai partiti nazionali ed è derivata da una tradizione federale. Le esperienze della Prima Guerra Mondiale e la minaccia del fascismo, aveva convinto molti leader che per preservare la pace fosse necessario superare il nazionalismo. Il primo tentativo di cooperazione fra cristianodemocratici fu presentato nel 94 1926, quando fu fondato il Segretariato internazionale di partiti democratici di ispirazione cristiana (Sipdic). Il fascismo (inteso come nazionalsocialismo), però, aumentò le tensioni fra i governi e lo spirito di vendetta e l’ossessione per il potere dei dittatori misero fine alla cooperazione fra i partiti cristianodemocratici e sociali. Una fase che culminò nello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Le lezioni e le esperienze della collaborazione fra il 1925 e il 1939 furono importanti quando i leader dei rifondati o neonati partiti cristianodemocratici in Europa istituirono la Nouvelles equipes internationales (Nei) nel 1946. Gli elementi ecumenici furono decisivi: la ricostruzione e la riconciliazione nascevano dalle rovine degli Stati nazionali, insieme all’idea di un continente unito per il futuro. Dopo l’avvento del comunismo, i partiti cristianodemocratici furono proibiti nell’Europa centro-orientale. Nel luglio del 1950, i loro rappresentanti in esilio fondarono l’Unione cristianodemocratica dell’Europa centrale (Cduce). La loro attività

politica, giornalistica e lobbista era tesa soprattutto a combattere il comunismo, attaccare l’Unione Sovietica e a liberare e democratizzare i loro paesi. I rifugiati politici in America latina contribuirono all’istituzione di una rete intercontinentale. Dalla metà degli anni Cinquanta in poi, la Nei perse importanza. Con l’Unione per il carbone e l’acciaio e l’istituzione della Comunità economica europea (Cee), la cooperazione pratica fra i cristianodemocratici si spostò gradualmente nella cornice offerta dall’Assemblea comune e dal Parlamento europeo. L’organizzazione si ribattezzò Unione europea dei cristianodemocratici (Eucd) e rielaborò i suoi scopi. L’Eucd strinse un rapporto più stretto con il gruppo parlamentare dei cristianodemocratici europei e i partiti membri nazionali e, gradualmente, elaborò una visione dell’Europa più ambiziosa. Nel 1978 fu introdotta l’elezione diretta per il Parlamento europeo e divenne evidente la necessità di un vero partito europeo. Il Partito popolare europeo (Ppe) fu istituito formalmente nel 1976 a Lussemburgo; ne facevano parte i partiti dei paesi della Cee: Belgio, Germania, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo e Olanda. Il programma, che riscosse notevoli consensi, esprimeva l’intento condiviso di promuovere l’integrazione nel contesto della Comunità europea, per arrivare ad un’unione politica provvista di istituzioni federali e democratiche. Fondato il Ppe, i partiti dell’Eucd che non erano membri della Comunità europea iniziarono a premere per istituire legami formali fra le forze cristianodemocratiche e quelle conservatrici. E tuttavia l’ostinata


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insistenza del Ppe per il modello federale di integrazione europea portò alla formazione dell’Unione cristianodemocratica (Edu), un’organizzazione paneuropea più ampia. Così ora esistevano tre organizzazioni politiche parallele di cristianodemocratici e conservatori. Presto il Ppe prevalse politicamente sull’Eucd e quei partiti che erano membri di entrambe le organizzazioni, concentrarono il loro lavoro sempre più nell’ambito del Ppe. L’idea di fondere le due organizzazioni riemerse nel 1986, quando Spagna e Portogallo entrarono nella Comunità europea, ma gli eventi rivoluzionari che avvenivano a Mosca e nelle altre capitali dell’Europa orientale ritardarono la formazione di un “grande” Ppe. Inoltre la cornice leggera dell’Ucd si adattava meglio alla situazione politica incerta dei paesi orientali; l’organizzazione, infatti, ebbe un ruolo importante nel sostenere il progresso democratico e nel definire il panorama politico nei paesi post comunisti.

Dopo gli sconvolgimenti politici del 1989, era necessario ripensare e riformulare le posizioni precedentemente prese dal Ppe. Il crollo del Muro di Berlino e la fine del conflitto ideologico fra Est e Ovest avevano mutato il contesto internazionale. Ed era chiaro che i cittadini della Repubblica democratica tedesca, oltre alla democrazia, volevano riunificarsi con la Repubblica federale. Anche l’opinione pubblica era mutata: il cambiamento previsto dal Trattato di Maastricht comportava anche una ridefinizione politica dell’Europa. Nell’aprile del 1991 i leader dei partiti e dei governi del Ppe decisero di aprire il partito ai conservatori britannici e scandinavi, mantenendo però la tradizione cristianodemocratica come pietra angolare dell’identità del Ppe. Il Partito popolare europeo doveva integrare le forze omologhe per raggiungere la maggioranza necessaria a trasformare le sue idee e i suoi concetti in realtà. Anche se il partito greco Nea demokratia era già entrato nel Ppe


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nel 1983, fu all’inizio degli anni Novanta che, sotto la leadership di Wilfried Martens, furono ammessi i partiti spagnoli e quelli dei paesi nordici. Con la prospettiva dell’ingresso dei paesi dell’Europa centrale e orientale nell’Unione europea (Ue), persero importanza le tesi a sostegno dell’esistenza dell’Eucd, che nel 1999 confluì nel Ppe. Allo stesso modo con l’adesione della maggior parte dei partiti conservatori europei provenienti dai paesi dell’Unione e oltre nel Ppe, anche l’Edu divenne obsoleta e fu assorbita dal Ppe nel 2002. L’evoluzione del Ppe rifletteva quella dell’Unione stessa; l’allargamento ai paesi di centrodestra dell’Europa centrale e orientale fu particolarmente riuscita. I nuovi membri portarono una dimensione nuova al Ppe e contribuirono a farne la principale forza di centrodestra a livello europeo. Nel 2008 il Ppe raccoglieva 73 partiti provenienti da 38 paesi dell’Unione europea e non. La Gran Bretagna non è rappresentata, ma dal 1992 il Partito conservatore è alleato con il Ppe, perché fa parte del gruppo Ppe-De nel Parlamento europeo.

CRONOLOGIA 1925-1975 1 9 2 5 Primo Congresso internazionale dei partiti cristiano cattolici. Venne deciso di tenere ulteriori riunioni e di istituire a Parigi il Segretariato internazionale dei partiti democratici di ispirazione cristiana (Sipdic); il segretariato ha

continuato ad esistere fino al 1939. I partiti di Belgio, Germania, Italia, Francia, Olanda, Lussemburgo, Austria, Svizzera, Cecoslovacchia, Ungheria, Spagna, Portogallo e Lituania hanno partecipato alle sue attività. 1 9 4 6 Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale la cooperazione fra i partiti politici a livello europeo è stata ripresa. Un’iniziativa dei cristianodemocratici svizzeri porta alla istituzione delle Nuove squadre internazionali (Nei-Nouvelles equipes internationales). 1 9 4 7 Congresso costitutivo delle Nei a Chaudfontaine (Belgio). Le Nei si impegnano a cooperare attivamente nella rifondazione dell’Europa a livello statale, sociale ed economico per la coesistenza pacifica, il rispetto dei diritti umani, la libertà ed il progresso sociale. 1 9 4 8 In qualità di elemento attivo del movimento europeo le Nei partecipano alla preparazione dell’organizzazione del famoso Congresso d’Europa dell’Aia. 1 9 5 3 I membri cristianodemocratici dei Parlamenti dei sei paesi membri fondano al primo gruppo dei cristianodemocratici all’interno dell’Assemblea parlamentare della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. 1 9 6 5 Le Nei diventano l’Unione europea dei cristianodemocratici (Eucd). Mariano Rumor (Dc) viene eletto presidente e Leo Tindemans (Cvp) è nominato segretario generale.


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1 9 7 0 Fondazione di una conferenza permanente (all’interno dell’Eucd) dei presidenti e dei segretari generali dei partiti cristianodemocratici degli Stati membri dela Comunità europea. 1 9 7 2 Istituzione del Comitato politico dei partiti cristianodemocratici della Comunità europea allo scopo di migliorare il coordinamento della politica e della cooperazione europea. 1 9 7 3 - 1 9 7 4 Cambio di leadership al’Eucd: Kai-Uve Von Hassel (Cdu) diviene presidente e Arnaldo Forlani (Dc) segretario generale. 1 9 7 5 Istituzione di un gruppo di lavoro “partito europeo” con l’incarico di redigere una bozza di Statuto per un’unione di partiti europei. Wilfried Martens, presidente del Cvp-B e Hans August Luecker, presidente del gruppo cristianodemocratico al Parlamento europeo, vengono nominati relatori.

1976-2003 1 9 7 6 L’8 luglio a Lussemburgo il Comitato politico approva all’unanimità gli statuti del Partito popolare europeo (Ppe). Leo Tindemans viene eletto presidente del partito. I seguenti partiti sono membri fondatori: Cdu e Csu (Germania), Psc e Cvp (Belgio), Cds (Francia), Fine Gael (Irlanda), Dc (Italia), Csv (Lussemburgo), Kpv, Chu e Arp (Olanda).

1 9 7 8 Il primo Congresso a Bruxelles adotta il programma politico del Ppe. 1 9 7 9 II secondo Congresso decide la piattaforma elettorale per le prime elezioni dirette al Parlamento europeo. Il Ppe ottiene 107 dei 419 seggi. 1 9 8 0 III Congresso del Ppe a Colonia. 1 9 8 1 A seguito dell’entrata della Grecia nella Comunità europea il numero dei seggi del Parlamento europeo sale a 434 e la quota del gruppo Ppe a 109 seggi. 97

1 9 8 2 Dopo le elezioni di giugno in Grecia il numero dei membri del Parlamento del Ppe sale a 117. IV Congresso a Parigi. 1 9 8 3 Fusione del segretariato Eucd (finora a Roma) e del segretariato Ppe a Bruxelles. Thomas Jansen diviene segretario generale del Ppe e del’Eucd. La Nea democratia greca aderisce al partito. 1 9 8 4 Il V Congresso del Ppe a Roma adotta un programma d’azione per le seconde elezioni del Parlamento europeo. Il Ppe ottiene 110 seggi alle seconde elezioni dirette del Parlamento europeo. 1 9 8 5 Piet Buckman (CdaA) è eletto presidente e Thomas Jansen segretario generale. 1 9 8 6 VI Congresso del Ppe a l’Aia. Dopo l’ingresso di Spagna e Portogallo il numero dei seggi del Parlamento europeo sale ad un totale di 518. La portoghese Cds, la spagnola Pdp (successivamente ribattezzata Democracia cri-


stiana) la catalana Udc e la basca Pnv aderiscono al Ppe. Il gruppo Ppe cresce di 9 parlamentari europei fino ad un totale di 118. 1 9 8 7 Jacques Santer è eletto presidente. Thoams Jansen è eletto segretario generale per la seconda volta. 1 9 8 8 VII Congresso Ppe a Lussemburgo. Adozione del programma di lavoro “Dalla parte del popolo” .

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1 9 8 9 Dopo la terza elezione diretta del Parlamento europeo in giugno, i membri spagnoli del Parlamento europeo appartenenti al Partito popular aderiscono al gruppo Ppe. 1 9 9 0 Wilfried Martens è eletto presidente e Thomas Jansen è rieletto segretario generale. VIII Congresso Ppe a Dublino: adozione del programma “Ppe per l’Unione europea” . 1 9 9 1 Il Partido popular spagnolo aderisce al Ppe. I partiti cristiano-democratici dell’Austria (Vp), Svezia (Kds) e Malta (Pn) sono ammessi come membri associati. I membri conservatori inglesi e danesi del Parlamento europeo, insieme con alcuni membri francesi dell’Udf aderiscono al gruppo Ppe come membri alleati, portando il totale a 162 membri. Il programma di base del partito è adottato dal IX Congresso di Atene. 1 9 9 3 I partiti conservatori scandinavi sono ammessi al Ppe come osservatori permanenti. La Cds portoghese viene espul-

sa. Wilfried Martens è rieletto presidente e Thomas Jansen segretario generale per la quarta volta. Il X Congresso Ppe a Bruxelles adotta il programma d’azione “Europa 2000-Unità nella diversità” per il IV mandato parlamentare. 1 9 9 4 In seguito all’istituzione del Comitato delle regioni (Cor) come nuova istituzione dell’Unione europea, il gruppo popolare viene costituito nel Cor con circa 85 membri sotto la presidenza di Jos Chabert. Il partito cristianodemocratico del popolo (Cvp) svizzero e l’Unione democratica (Dr) di Cipro sono ammessi nel Ppe come membri associati. I partiti membri conquistano 125 seggi nella IV elezione europea di giugno. L’ingresso dei parlamentari conservatori danesi e inglesi e liberali francesi porta il totale dei membri del gruppo Ppe a 157. Klaus Welle è eletto segretario generale del partito. 1 9 9 5 I parlamentari europei del Kristdemokratiska Samhällspartiet e Moderata Samlings (Svezia), Kansallinen Kokoomus (Finlandia) e ?sterreichische Volkspartei (Austria) aderiscono al gruppo Ppe. Questi partiti, insieme a Moderata Samlings Partiet e Kristdemokratiska Samhällspartiet (Svezia), Det Konservative Volkeparti (Danimarca), divengono membri del Ppe a pieno titolo. Hoyre (Norvegia) ottiene lo status di membro associato. Il Centro cristiano democratico (Ccd) e i Cristiani democratici uniti (Cdu) divengono membri del Ppe a pieno titolo. XI Congresso a Madrid: “Ppe- Forza dell’unione”. Fondazione dell’Unione dei senior europei (Esu).


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1 9 9 6 Fondazione della Economic and independent business association del Ppe o Unione del sistema monetario europeo. A febbraio sette partiti dei paesi membri candidati nell’Europa centrale e orientale vengono designati per lo status di osservatori nel Ppe: Kdu/Csl e Oda (Rep. Ceca) Kdh e Mkdm (Slovacchia), KdnpP e Mdf (Ungheria), Pntcd (Romania). 1 9 9 7 XII Congresso Ppe a Tolosa: “Siamo tutti parte di un solo mondo”. 1 9 9 9 XIII Congresso a Bruxelles: Programma d’Azione 1999-2004 “Sulla strada del XXI secolo”. Il Congresso rielegge presidente Wilfried Martens mentre Alejandro Agag diventa segretario generale e succede a Klaus Welle, il quale è nominato segretario generale del gruppo Ppe-De del Parlamento europeo. Viene conclusa formalmente la fusione dell’Eucd nel Ppe. Il Partito popolare europeo è riconosciuto come organizzazione regionale dell’Internazionale cristiano-democratica (Cdi). 2 0 0 0 Lo status di membri associati è riconosciuto al Tautas Partiya (Lettonia), Smk-Mkp (Slovacchia), Us (Rep. Ceca), Fkgp e Fidesz-Mpp (Ungheria). Fusione del segretariato dell’Unione democratica europea (con sede a Vienna) con il segretariato Ppe a Bruxelles. 2 0 0 1 A gennaio, il XIV Congresso Ppe diBerlino approva il documento di base “Un’unione di valori”. Lo status di membro associato è assegnato al Mdf (ungherese). Lo status di membro a pieno titolo è riconosciuto all’Udeur italiana e alla Rpr francese.

2 0 0 2 In marzo l’Ufficio politico accetta per acclamazione la proposta di sostituire il segretario generale Agag con Antonio Lopez-Isturiz. Su iniziativa del presidente Martens viene istituito il gruppo del Congresso del Ppe. Lo status di mebro associato del Ppe è riconosciuto all’Evp svizzera e alla Kdh slovacca. Lo status di membro osservatore del Ppe è riconosciuto alla Sdku slovacca. A ottobre il Congresso a Estoril, Portogallo, approva “Una Costituzione per una forte Europa”. La fusione della Edu nel Ppe è formalmente conclusa. 99

2003-2009 2 0 0 3 A novembre il Ppe, insieme con altri partiti a livello europeo, riceve il riconoscimento formale da parte delle istituzioni comunitarie a seguito dell’approvazione del “Regolamento Eu che governa i partiti politici a livello europeo e le regole che riguardano la loro fondazione”. 2 0 0 4 Il XVI Congresso, tenuto a febbraio a Bruxelles, approva il “Programma d’azione 2004-2009” per le elezioni europee di giugno. In maggio, a seguito dell’adesione di 10 nuovi Stati membri dell’Ue, tutti i partiti associati di questi paesi diventano membri a pieno titolo del Ppe. A giugno il Ppe vince le elezioni europee. Il gruppo Ppe-De è ancora una volta il più numeroso del Parlamento con 268 seggi. Come conseguenza di questa vittoria il Ppe riesce a nominare Josè Manuel Barroso come nuovo presidente della Commissione europea. A settembre Hdz


(Croazia) viene promosso da osservatore a membro associato. In dicembre lo status di osservatore è attribuito a tre partiti bosniaci: Pdp, Sda e Hdzbih. 2 0 0 5 A gennaio lo status di osservatore è assegnato al partito turco Akp e al blocco ucraino “La nostra Ucraina”. A giugno il Ppe vara il suo primo giornale accademico European View. A settembre lo status di osservatore è assegnato al Pd romeno.

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2 0 0 6 Al XVII Congresso di Roma, il 30 e 31 marzo, il Ppe adotta il manifesto “I cittadini e l’Europa: priorità chiare per una Europa migliore”. Il presidente Martens ed il segretario generale Lopez Isturiz vengono rieletti. Ad aprile il senatore Usa John Mc Caine parla al convegno del Ppe di Bruxelles sulle relazioni transatlantiche. A giugno a due partiti della Bielorussia viene riconosciuto lo status di osservatore: il Fronte popolare ed il Partito civile unito. A novembre il Pd romeno passa da osservatore a membro associato. 2 0 0 7 A gennaio, con l’adesione della Romania e della Bulgaria, i seguenti partiti divengono membri a pieno titolo: Pd, Rmdsz e Pntcd (Romania) e Dsb, Udf, Banu-Pu e Dp (Bulgaria). A maggio il Kdnp ungherese diventa membro a pieno titolo e il Vmro-Dpnme della Repubblica di Macedonia (Fyrom), diventa osservatore. In settembre il croato Hss passa da osservatore a membro associato. L’emendamento del regolamento che governa i partiti politici a livello europeo e le regole che riguardano la loro fondazio-

ne, dà mandato al Ppe e a tutti i partiti europei di fare campagna per le elezioni europee. Il regolamento consente anche la creazione di fondazioni legate ai partiti politici. Il Centro di studi europei (Ces) è riconosciuto come fondazione think-tank del Ppe 2 0 0 8 A febbraio Gerb (Bulgaria) diventa membro a pieno titolo e Batkivshchyna (Ucraina) membro osservatore. Ad aprile il Ppe è riconosciuto come Unione regionale dall’Unione democratica internazionale (Idu). 2 0 0 9 A giugno sarà rinnovato il Parlamento europeo


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STATUTS DE L’ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF “PARTI POPULAIRE EUROPEEN” PRÉAMBULE «Les partis politiques au niveau européen sont importants en tant que facteur d'intégration au sein de l’Union. Ils contribuent à la formation d’une conscience européenne et à l’expression de la volonté politique des citoyens de l'Union.» (Article 191 du Traité établissant la Communauté européenne). Sur base – de la vision chrétienne de l’Homme et de la conception démocrate chrétienne de la société qui en découle, –

de leur volonté commune de fonder une Union européenne fédérale en tant qu’union de peuples libres et de citoyens conscients de leurs responsabilités, les partis démocrates chrétiens, centristes et apparentés du Parti Populaire Européen, en tant qu’héritiers des Fondateurs de l’Europe, acceptent ces responsabilités et créent une association internationale sans but lucratif. Cette association sera membre de l’Internationale Démocrate Chrétienne /Centriste (Idc), une organisation mondiale de Démocrates Chrétiens et de partis politiques apparentés. Pour ces raisons, 1) – le “Christen Democratisch Appèl (Cda)”, dont la personnalité juridique est conforme au droit néerlandais, celle d’une association ayant pleine capacité juridique (Verening met volledige rechtsbevoegdheid), dont le siège social est à 2512 XA La Haye, Buitenom 18, représenté par Wilfried Martens, avocat, domicilié à 1050 Ixelles (Bruxelles), place Marie–José 14/10, titulaire d’une procuration sous seing privé à la participation de la constitution de l’association internationale sans but lucratif “Parti Populaire Européen, en abrégé Ppe/Evp/Epp”; 2) – le “Partido Popular (Pp)”, dont la personnalité juridique est conforme au droit espagnol, celle d’un parti politique ayant pleine capacité juridique (enregistré au Registre des Partis politiques (Ministère de l’Intérieur)), dont le siège social est à 28004 Madrid, Calle Génova n° 13, représenté par Antonio López–Istúriz, juriste, Avda Menendez Pelayo 27, Madrid, Espagne, titulaire d’une procuration sous seing privé à la participation de la constitution de l’association in-

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ternationale sans but lucratif “Parti populaire européen, en abrégé Ppe/Evp/Epp”; décident de constituer une association internationale sans but lucratif de droit belge et fixent ses statuts comme suit :

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I. Denomination – Siege – Objet – Duree Article 1: L’association, une alliance de partis politiques au niveau européen, est dénommée “Parti Populaire Européen/ Europese Volkspartij/Europäische Volkspartei/European People’s Party”, en abrégé “Ppe/Evp/Epp”). Ce nom doit toujours être précédé ou suivi des mots “association internationale sans but lucratif/internationale vereniging zonder winstoogmerk” ou de l’abréviation Aisbl/ Ivzw. L’association est régie par les dispositions du titre III de la loi du 27 juin 1921 sur les associations sans but lucratif, les fondations et les associations internationales sans but lucratif. Article 2: Le siège de l’association est établi à la Rue d’Arlon 67, 1040 Bruxelles, dans l’arrondissement judiciaire de Bruxelles. La Présidence est autorisée à transférer le siège de l’association à un autre endroit dans les limites de cet arrondissement judiciaire et de décider de la création d’antennes et/ou filiales au sein ou en dehors de cet arrondissement judiciaire. Article 3: L’association a pour objet de: – promouvoir et favoriser une collaboration étroite et permanente entre ses membres dans le but de réaliser leur politique commune au niveau européen; – favoriser et organiser une action commune de ses membres au niveau européen; – oeuvrer

(i) en faveur d’une démocratie libre et pluraliste, (ii) et du respect des droits de l’Homme, des libertés fondamentales et de l’Etat de droit, sur base d’un programme commun; – promouvoir le processus d’unification et d’intégration fédérale en Europe en tant qu’élément constitutif de l’Union européenne. Afin de réaliser ces objectifs et d’établir, développer, mettre en oeuvre et promouvoir sa politique, l’association organise de nombreuses discussions et des forums de décisions, des événements majeurs et des missions d’informations selon des principes démocratiques stricts et édite des publications variées. L’association est également autorisée à passer tous les actes (y compris les opérations immobilières) directement ou indirectement utiles ou nécessaires à la promotion et la réalisation des objectifs précités. A travers leurs politiques nationales, les partis membres de l’association soutiennent les positions prises par l’association dans le cadre de l’Union européenne. Dans le contexte de leurs responsabilités nationales, ils maintiendront leur nom propre, leur identité et leur liberté d’action. L’association est représentée au Parlement européen par le Groupe du Parti Populaire Européen (Démocrates–Chrétiens) et des Démocrates européens (Groupe du Ppe/De au Parlement européen). Les partis membres obligent les parlementaires élus au Parlement européen sur leur liste, et/ou délégués au Comité des Régions, ou aux Assemblées parlementaires du Conseil de l’Europe, de l’Ueo, de l’Osce et de l’Otan, à rejoindre les Groupes Ppe respectifs.


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Article 4: L’association est constituée pour une durée indéterminée. II. Membres Article 5: Le nombre de membres est illimité, mais il doit être de deux au minimum. Les demandes d’adhésion seront soumises à la Présidence, par écrit. Elles sont constituées non seulement d’une déclaration d’adoption du Programme politique, des statuts et du Règlement intérieur de l’association, mais aussi d’une copie des statuts du parti candidat à l’adhésion et d’informations sur l’historique et l’organisation de ce parti. La Présidence transmettra la demande d’adhésion au Bureau Politique. Le Bureau Politique est autorisé à accor-

der le statut de membre à tout parti politique d’orientation démocrate-chrétienne ou apparentée, établi au sein de l’Union européenne, qui souscrit au programme politique de l’association et accepte ses statuts et son Règlement intérieur (ciaprès dénommés « Partis Membres ordinaires »). Le Bureau Politique est également autorisé à accorder le statut de membre à tout parti politique d’orientation démocratechrétienne ou apparentée, établi hors de l’Union européenne, en provenance d’Etats qui ont soumis leur candidature d’adhésion à l’Union européenne et/ou d’Etats faisant partie de l’Association européenne de Libre-Échange (Aele), qui souscrivent aux objectifs auxquels fait ré-


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férence l’article 3 des statuts, et au programme politique de l’association, et acceptent ses statuts et son Règlement intérieur (ci-après dénommés « Partis Membres associés »). Ils ne participeront pas aux décisions concernant la politique et la structure de l’Union européenne ou son système institutionnel. Si l’Etat dans lequel le Parti Membre associé est établi, adhère effectivement à l’Union européenne, ce Parti Membre associé deviendra automatiquement un Parti Membre ordinaire dès la date d’adhésion de l’Etat à l’Union européenne. En outre, tous les membres du Groupe Ppe/De au Parlement européen élus sur une liste d’un parti membre, sont également membres ex officio de l’associa-

tion (ci-après dénommés “Membres individuels”). Les autres membres du Parlement européen peuvent devenir Membres individuels de l’association par décision du Bureau Politique, sur proposition de la Présidence de l’association. Les droits de parole et de vote des Membres individuels dans les organes de l’association sont personnels et inaliénables. Si un candidat à l’adhésion à l’association est une personne morale au sens de la loi qui lui est applicable, il mentionne dans sa demande d’adhésion une personne physique chargée de le représenter dans l’association. La même disposition est d’application si le candidat à l’adhésion n’a pas de personnalité morale au sens de


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la loi qui lui est applicable. Il désignera alors une personne physique qui agira au nom de tous les membres du candidat à l’adhésion sans personnalité juridique, comme son représentant. En cas de changement du représentant, le Président de l’association en est immédiatement informé par écrit. Dans les dispositions transitoires, il est fait exception à ces dispositions afin d’accorder le statut de membre aux Partis Membres ordinaires, Partis Membres associés, Partis Membres observateurs et Membres individuels qui adhérent à l’association immédiatement après sa constitution, avant la première réunion du Bureau Politique. Article 6: Aux partis proches du Ppe, en provenance (i) des Etats Membres de l’Union européenne, (ii) des pays candidats à l’adhésion à l’Union européenne, ainsi que (iii) des Etats européens qui sont membres du Conseil de l’Europe, le Bureau Politique peut accorder le statut d’observateur sur proposition de la Présidence, exception faite des partis auxquels le statut d’observateur est accordé immédiatement après la constitution de l’association et avant la première réunion du Bureau Politique, conformément aux dispositions transitoires. Cette catégorie de membres est dénommée «Partis Membres observateurs». Article 7: Les Partis Membres ordinaires, les Partis Membres associés et les Partis Membres observateurs s’acquittent individuellement d’une cotisation financière annuelle qui ne dépasse pas 500.000 (cinq cent mille) euros. Le montant de la cotisation est fixé chaque année par le

Bureau Politique. La cotisation sera redevable deux semaines après avoir été fixée et communiquée aux membres par le Bureau Politique. Article 8: La Présidence conserve au siège de l’association un registre des membres. Ce registre mentionne les nom, prénom, lieu de résidence, date et lieu de naissance ou, dans le cas des personnes morales ou des associations de fait, les nom, forme juridique, adresse du siège social, identité du représentant et, le cas échéant, le numéro d’inscription conformément à la législation et/ou la réglementation en vigueur. Tous les membres peuvent consulter ce registre au siège de l’association. Article 9: Chaque membre peut à tout moment démissionner de l’association. Il informe la Présidence de sa décision de démissionner par lettre recommandée. Tout membre démissionnaire reste tenu de remplir ses obligations financières à l’égard de l’association concernant l’exercice annuel au cours duquel il donne sa démission et tous les exercices antérieurs. La suspension et l’exclusion d’un membre ne peuvent être décidées que par le Bureau Politique. Il n’est pas tenu de communiquer ses motifs. Une proposition d’exclusion d’un membre peut uniquement être soumise par la Présidence ou par sept Partis Membres ordinaires ou associés issus de cinq pays différents. Une proposition d’exclusion d’un Membre individuel peut uniquement être soumise par la Présidence du Groupe Ppe/De au Parlement européen. L’affiliation d’un membre prend automa-

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tiquement fin en cas de décès, d’incapacité, de liquidation, de mise sous administration provisoire, de concordat judiciaire ou de faillite. L’affiliation d’un Membre individuel prend automatiquement fin quand il cesse d’être membre du Parlement européen. Les membres démissionnaires ou exclus et les successeurs légaux des membres démissionnaires, exclus ou décédés, n’ont aucun droit sur l’actif de l’association et ne peuvent en aucun cas obtenir le remboursement des cotisations versées à l’association, des apports ou de toute autre contribution, sauf disposition contraire expressément indiquée dans les présents statuts. En aucun cas, un membre démissionnaire ou exclu ne peut exiger la communication ou une copie des comptes, la mise sous scellés des biens de l’association ou l’établissement d’un inventaire. III. Organes de l’association Article 10: Les organes de l’association sont : (i) La Présidence; (ii) Le Bureau Politique; (iii) Le Congrès. IV. La presidence Article 11: L’association est gérée par la Présidence, l’organe d’administration. La Présidence est composée du Président, du (des) Président(s) honoraire(s), de dix Vice-Présidents, du Président du Parlement européen pour autant qu’il soit membre d’un Parti Membre ordinaire du Ppe, du Président du Groupe Ppe/De au Parlement européen, du Trésorier, et du Secrétaire Général. Exception faite du (des) Président(s) honoraire(s), qui est

(sont) élu(s) par le Bureau Politique, du Président du Parlement européen et du Président du Groupe Ppe/De au Parlement européen, qui sont membres ex officio de la Présidence (et Vice-Présidents), les membres de la Présidence sont élus par le Congrès par vote secret et séparé, pour un terme renouvelable de trois ans. Cependant, la première nomination des membres de la Présidence qui suivra la constitution de l’association, se fera conformément aux dispositions transitoires. Le Congrès élit d’abord le Président, qui, ensuite, propose au Congrès un Secrétaire Général à élire. Seuls les représentants des Partis Membres ordinaires et associés sont éligibles pour ces fonctions. Les candidats qui obtiennent une majorité simple des votes valables seront élus. Les abstentions ne sont pas considérées comme des votes valables. Les candidats pour les fonctions de Président, Vice-Présidents et Trésorier doivent être proposés par écrit au Secrétariat Général, sept jours avant la date de l’élection. Les Présidents et Secrétaires Généraux ont le droit, au nom des Partis Membres ordinaires et associés, de proposer des candidats. Tous les Partis Membres ordinaires et associés seront informés des noms des candidats, au moins trois jours avant les élections. Les membres de la Présidence peuvent démissionner à tout moment, et doivent pour ce faire en informer la Présidence par lettre recommandée. Leur mandat peut être révoqué par le Congrès à tout moment.


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Si un mandat devient vacant, le Bureau Politique peut, conformément aux paragraphes précédents du présent article, élire un remplaçant. Cette élection devra être confirmée par le Congrès suivant cette élection, lequel déterminera la durée du mandat. Les membres de la Présidence peuvent être réélus. Les membres de la Présidence dont le mandat va prendre fin doivent, avant l’échéance, convoquer un Congrès afin de nommer de nouveaux membres de la Présidence. S’ils omettent de le faire, ils sont tenus de poursuivre leur mandat jusqu’à ce qu’un remplaçant leur soit trouvé, sans que cela n’affecte leur responsabilité en cas de dommages occasionnés par leur omission. Sur proposition du Président et en fonction des points à l’ordre du jour, la Présidence peut inviter à ses réunions les personnes suivantes : – des membres de la Commission européenne qui sont membres d’un Parti Membre – le Président du

Groupe Ppe aux Assemblées parlementaires du Conseil de l’Europe, de l’Ueo, de l’Osce et de l’Otan, ainsi qu’au Comité des Régions. Les personnes suivantes sont des invités permanents : – les Secrétaires Généraux adjoints du Ppe – le Secrétaire Général du Groupe Ppe/De au Parlement européen. Les membres de la Présidence ne sont pas rémunérés pour exercer leur mandat, sauf décision contraire du Bureau Politique. Au cas où le Président serait empêché d’exercer ses devoirs, qui lui sont attribués par les présents statuts et par le Règlement intérieur, il désignera un des VicePrésidents comme son représentant. Article 12: La Présidence dispose des compétences qui lui ont été attribuées par la loi, les présents statuts et le règlement intérieur. Ses compétences consistent, entre autres à – Assurer l’exécution des décisions prises par le Bureau Politique; – Préparer les comptes annuels et le budget; – Assurer la présence politique


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permanente du Ppe; – Contrôler le fonctionnement du Secrétariat Général, et plus spécifiquement la gestion budgétaire; – Emettre des déclarations au nom du PPE dans le cadre de son programme politique, suite à une décision du Bureau Politique ; – Proposer des candidats au Bureau Politique aux postes de Secrétaires Généraux adjoints, en accord avec le Secrétaire Général; – Proposer des candidats au Bureau Politique à la nomination de Président Honoraire. Article 13: Les membres de la Présidence se réunissent au moins huit fois par an, sur convocation du Président, laquelle se fera par lettre, fax ou email, au plus tard deux semaines avant la date de la réunion, sauf en cas d’urgence. L’avis de convocation mentionne le jour, l’heure et le lieu de la réunion et contient également l’ordre du jour établi par le Président. La Présidence ne peut débattre que des points figurant à l’ordre du jour, à moins que tous les membres ne soient présents et qu’ils n’acceptent à l’unanimité de délibérer et de voter l’ordre du jour tel que modifié le jour de la réunion. La Présidence peut délibérer valablement si une majorité de ses membres est présente. Au cas où ce quorum n’est pas atteint, une deuxième réunion sera convoquée avec le même ordre du jour, et pourra délibérer valablement, quel que soit le quorum atteint. Les décisions seront prises à la majorité absolue des voix. Tous les membres de la Présidence disposeront d’une voix. En cas

de parité des voix, celle du Président est prépondérante. Les réunions sont présidées par le Président. Le Secrétaire Général ou un Secrétaire Général adjoint rédigera les procès–verbaux des réunions, qui seront consignés au siège de l’association. L’adhésion à la Présidence est strictement personnelle. Un représentant d’un membre de la Présidence ne sera pas admis aux réunions. Le mandat des membres de la Présidence prendra automatiquement fin si, au cours de l’année, un membre n’a pas participé à au moins la moitié des réunions. Sur proposition du Président, la Présidence peut partager les tâches entre ses membres ou mandater certains membres pour des tâches spécifiques et déléguer des compétences spécifiques à l’un ou plusieurs de ses membres. Article 14: Si le Président le juge oppor-


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tun, la Présidence peut approuver une proposition à condition que tous ses membres signent pour accord une circulaire présentant cette proposition. Dans ce cas, la Présidence ne doit pas être convoquée. La circulaire doit mentionner: – qu’il s’agit d’une proposition de décision de la Présidence; – que, pour être approuvée, la proposition devra être signée par tous les membres de la Présidence; – que la proposition ne peut pas être amendée et qu’aucune réserve ne peut être émise par les membres de la Présidence; – que tous les membres de la Présidence doivent renvoyer le document signé et y indiquer la mention manuscrite «lu et approuvé»; – que la circulaire signée doit être renvoyée dans les dix jours à l’association. Les réunions de la Présidence peuvent également être organisées par vidéo – ou téléconférence. V. Bureau Politique Article 15: Le Bureau Politique est l’organe stratégique de l’association. Il se compose de: a. Membres ex officio: – Les membres de la Présidence; – Les membres de la Présidence du Groupe Ppe/De au Parlement européen; – Les Présidents des Partis Membres ordinaires ou associés ou leurs représentants mandatés; – Les Présidents des délégations nationales de partis membres du Groupe Ppe/De au Parlement européen; – Les Présidents ou, à leur place, un Vice-Président ou le Secrétaire Général des Associations reconnues (telles que définies dans le règlement intérieur); – Les mem-

bres de la Présidence du Parlement européen, de la Commission européenne et de la Présidence du Comité des Régions, à condition qu’ils soient membres d’un Parti Membre ordinaire; – Les Présidents des Groupes Ppe au Comité des Régions et aux Assemblées parlementaires du Conseil de l’Europe, de l’Ueo, de l’Osce et de l’Otan. Le mandat de ces membres du Bureau Politique prend fin au moment où ils perdent la capacité en laquelle ils sont devenus membres du Bureau Politique. b. Membres délégués – Les représentants des Partis Membres ordinaires et des Partis Membres associés. Les Partis Membres ordinaires et les Partis Membres associés nommeront leur(s) délégué(s) et un nombre équivalant de suppléants o Les délégués et les droits de vote des Partis Membres ordinaires sont attribués proportionnellement au nombre de Membres individuels de l’association; o Les délégués et les droits de vote des Partis Membres associés sont attribués par la Présidence. – Les représentants du Groupe Ppe au Comité des Régions, dont le nombre et les droits de vote seront fixés par la Présidence; Le mandat de ces membres du Bureau Politique prend fin au moment où cesse d’exister la délégation par laquelle ils sont devenus membres du Bureau Politique. La composition du Bureau Politique est calculée par le Secrétaire Général, deux fois au cours d’une législature du Parlement européen : (i) au début et (ii) à michemin de la législature du Parlement européen (tout report de ces calculs est limité à un maximum de six mois). Ce calcul doit

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être approuvé par le Bureau Politique. c. Membres sans droit de vote : – Le(s) Secrétaire(s) Général(aux) adjoint(s) de l’association; – Le Secrétaire Général du Groupe Ppe/De au Parlement européen, et les Secrétaires Généraux du Groupe Ppe au Comité des Régions et aux Assemblées parlementaires du Conseil de l’Europe, de l’Ueo, de l’Osce et de l’Otan; – Deux délégués de chaque Parti Membre observateur. Sur proposition du Président, le Bureau Politique peut inviter aux réunions certaines personnalités à titre consultatif. Article 16: Le Bureau Politique dispose des pouvoirs attribués par la loi, les présents statuts et le Règlement intérieur. Ses compétences consistent, entre autres à : – Assurer l’unité d’action du Ppe et influencer la réalisation de la politique européenne dans l’esprit de son programme; – Elire le(s) Secrétaire(s) Général(aux) adjoint(s) sur proposition de la Présidence; – Stimuler et organiser des relations systématiques entre les groupes parlementaires nationaux et les Partis Membres en accord avec le Groupe Ppe/De au Parlement européen; – Approuver les comptes annuels et le budget; – Se prononcer sur les demandes d’adhésion des candidats membres ainsi que sur la reconnaissance d’Associations; – Décider de l’exclusion de membres et révoquer la reconnaissance des Associations reconnues; – Fixer le montant des cotisations annuelles à payer par les membres; – Formuler des recommandations au Congrès sur les modifications des statuts; – Approuver le règlement intérieur; – Élire le(s) Président(s) Honoraire(s) sur

proposition de la Présidence, à l’exception du (des) premier(s) Président(s) Honoraire(s) élu(s) avant la première réunion du Bureau Politique conformément aux dispositions transitoires; – Désigner le commissaire-réviseur statutaire. Le Bureau Politique peut établir des commissions permanentes et des groupes de travail ad hoc pour examiner des problèmes spécifiques, et décider de les dissoudre après avoir entendu le président de la commission ou du groupe de travail. Article 17: Sur convocation du Président, le Bureau Politique se réunit au moins quatre fois par an, chaque fois que l’exige l’objet ou l’intérêt de l’association; une réunion extraordinaire peut être tenue à la demande d’un tiers des Partis Membres ordinaires et des Partis Membres associés, ou de la Présidence du Groupe Ppe/De au Parlement européen. Le Bureau Politique délibère valablement s’il a été convoqué régulièrement, à savoir par lettre, fax ou email et au plus tard deux semaines avant la date de la réunion, sauf en cas d’urgence, et si une majorité de ses membres sont présents. L’absence de quorum ne peut être constatée que sur base d’une demande formelle, à la requête des délégations d’au moins sept Partis Membres ordinaires ou Partis Membres associés. Si une deuxième réunion a été convoquée avec le même ordre du jour, au plus tôt deux semaines et au maximum deux mois après constatation de l’absence de quorum, cette deuxième réunion peut délibérer valablement, quel que soit le quorum atteint. La convocation contient l’ordre du jour.


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Les réunions ont lieu au siège de l’association ou à l’endroit indiqué dans la convocation de la réunion. Un point qui ne figure pas à l’ordre du jour ne peut être valablement mis au vote, que si deux tiers des membres présents y consentent. Tous les votes et les procédures d’élection se feront à la majorité absolue des membres présents. En cas de parité de voix, la voix du Président est prépondérante. Les réunions sont présidées par le Président. Le Secrétaire Général ou un Secrétaire Général adjoint rédige les procès-verbaux des réunions, qui seront consignés au siège de l’association. Tous les membres reçoivent une copie de ces procèsverbaux endéans les quatre semaines suivant chaque réunion. Le Bureau Politique se réunit normalement à huis clos. A la demande de la Présidence ou d’un dixième des délégués, le Bureau Politique peut décider, par majorité simple, de rendre la réunion publique. VI. Congrès Article 18: Le Congrès dispose des compétences suivantes: – Adopter le programme politique du Ppe; – Adopter les modifications aux statuts; – Elire le Président, les Vice-Présidents, le Secrétaire Général et le Trésorier; – Décider de la dissolution de l’association. La composition et le fonctionnement du Congrès sont définis par le règlement intérieur. VII. Secrétarie général Article 19: Exception faite de la première nomination du Secrétaire Général qui suit

la constitution de l’association, à laquelle il sera procédé conformément aux dispositions transitoires, le Congrès élit, sur proposition du Président, un Secrétaire Général, en charge de la gestion journalière de l’association, y compris la représentation de l’association, dans les limites de la gestion journalière. Cette gestion journalière inclut, entre autres (i) la gestion du Secrétariat Général et la mise en oeuvre des décisions prises par les organes, (ii) la supervision de la coopération entre les Secrétariats Généraux des Partis Membres ordinaires et des Partis Membres associés, les Associations reconnues, et le Secrétariat Général du Groupe Ppe/De au Parlement européen, (iii) la rédaction, en accord avec le Président, des ordres du jour des réunions des organes, la supervision de la convocation des réunions, leur préparation et la rédaction des procès-verbaux, (iv) la responsabilité envers la Présidence et le Bureau Politique de la gestion budgétaire appropriée et adéquate, et (v) la rédaction d’un rapport sur les activités du Secrétariat Général et les perspectives organisationnelles, à l’intention du Bureau Politique, au début de chaque année. Le Secrétaire Général a également le droit d’exécuter les décisions de la Présidence et en particulier de mandater un avocat pour représenter l’association dans des actions judiciaires en tant que requérant ou défendeur. Sur proposition de la Présidence et en accord avec le Secrétaire Général, le Bureau Politique, après les élections de la Présidence, élit le(s) Secrétaire(s) Général(aux) adjoint(s) pour un terme de trois ans.

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VIII. Repréntation Article 20: Tous les actes juridiques passés au nom de l’association, ne relevant pas de la gestion journalière ou d’une délégation spéciale de pouvoirs, doivent être signés par le Président ou par deux membres de la Présidence.

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IX. Modifications des status Article 21: Les propositions de modifications aux statuts peuvent être soumises par la Présidence, par les Partis Membres ordinaires ou les Partis Membres associés et par le Groupe Ppe/De au Parlement européen et par les Présidents des Groupes Ppe au Comité des Régions et aux Assemblées parlementaires du Conseil de l’Europe, de l’Ueo, de l’Osce et de l’Otan, à condition qu’ils soient membres d’un Parti Membre ordinaire ou d’un Parti Membre associé, et par les Présidents des Associations reconnues. Les propositions doivent être présentées par écrit au Secrétaire Général, qui les transmettra aux membres du Bureau Politique pour délibération, au moins quatre semaines avant la réunion du Bureau Politique, lequel délibérera sur ces propositions. Les propositions ne seront présentées au Congrès pour adoption, que si elles ont obtenu une majorité de deux tiers au Bureau Politique. L’adoption des modifications aux statuts proposées par le Bureau Politique requiert une majorité simple des membres du Congrès présents. Le Congrès peut, avec une majorité de deux tiers des membres présents, rejeter les propositions du Bureau Politique.

X. Exerice annuel – Comptes annuels et budget – Commisarie–Réviseur Article 22: Les Partis Membres ordinaires, les Partis Membres associés et les Partis Membres observateurs contribuent au financement de l’association. Les conditions sont strictement définies par le règlement intérieur. Article 23: L’exercice annuel de l’association court du 1er janvier au 31 décembre. A la fin de chaque exercice, la Présidence clôture les comptes de l’exercice écoulé et établit le budget de l’exercice suivant, conformément aux dispositions légales applicables; les comptes annuels sont soumis à l’approbation du Bureau Politique. Le Trésorier assiste la Présidence dans l’établissement des comptes et du budget. Il contrôle la gestion budgétaire du Secrétariat Général et fait rapport à la Présidence. Il est responsable, en particulier, du financement de l’association et de ses activités par l’entremise des cotisations des membres, de donations et autres. Le boni augmente l’actif de l’association et ne peut en aucun cas être versé aux membres sous forme de dividendes. Article 24: Exception faite de la première désignation du commissaire-réviseur qui suit la constitution de l’association, qui se fera conformément aux dispositions transitoires, le Bureau Politique désigne un ou plusieurs commissaire(s)-réviseur(s) chargé(s) de contrôler les comptes présentés par la Présidence et d’élaborer un rapport à ce sujet. Le commissaire-réviseur est nommé pour une période de trois ans renouvelable. Le Bureau Politique fixe sa rémunération.


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Son mandat est à tout moment révocable par la Présidence. A défaut d’un commissaire-réviseur ou si celui-ci se trouve dans l’incapacité de remplir ses fonctions, le Président convoque dans le mois une réunion du Bureau Politique afin de procéder à la désignation ou au remplacement du commissaire-réviseur. Le commissaire-réviseur nommé en remplacement d’un commissaire-réviseur qui a démissionné en cours de mandat, termine le mandat de ce dernier. XI. Dissolution Article 25: L’association n’est pas dissoute suite au décès, à la dissolution ou à la démission d’un membre, pour autant que le nombre de membres ne soit pas inférieur à deux. L’association peut être dissoute volontairement sur décision du Congrès, prise à une majorité de trois quarts des membres présents, conformément aux règles applicables à son fonctionnement, telles que décrites dans le règlement intérieur. En cas de dissolution volontaire, le Congrès désigne le(s) liquidateur(s). A défaut de liquidateur(s), les membres de la Présidence tiennent lieu de liquidateur(s). En cas de dissolution, le Bureau Politique décide de l’affectation des biens, laquelle doit servir un but désintéressé. XII. Règlement intérieur Article 26: Sur proposition de la Présidence, le Bureau Politique décide du Règlement intérieur, qui règlera les questions d’ordre intérieur et financier non traitées dans ces statuts. Dans le Règle-

ment intérieur, des organes supplémentaires seront créés, tels que le Sommet Ppe, et les notions d’“Associations reconnues” et “Membres sympathisants“ seront définies. Les propositions d’amendements au règlement intérieur peuvent être soumises par les Partis Membres ordinaires, par la Présidence et par les Présidents des Associations reconnues. Ces propositions doivent être soumises par écrit au Secrétaire Général quatre semaines avant la réunion du Bureau Politique où elles seront prises en considération et communiquées aux membres. 113


Minuta REPORTAGE

Il sogno baltico fa i conti con la crisi Pierluigi Mennitti ECONOMIA

Lavoro, il mondo tenta la ripresa Giuseppe Pennisi CULTURA

Tra legge, politica e letteratura intervista a Gianrico Carofiglio di Silvia Grassi IMMAGINARIO

Supereroi: la nuova identità del terzo Millennio Giampiero Ricci SOCIETÀ

Gioventù bruciata o società liquida Pietro Urso



Pierluigi Mennitti

Il sogno baltico fa i conti con la crisi Dopo anni di crescita economica a due cifre, Estonia, Lettonia e Lituania affrontano lo spettro della recessione mondiale. Con il rischio di scatenare tensioni sociali che si credevano consegnate al passato.


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Nell’era della comunicazione il marchio è tutto. Ed è un amaro paradosso che vent’anni dopo la caduta dei muri nel mezzo dell’Europa, il marchio di Europa dell’Est sia tornato di attualità per descrivere quell’area del Continente un tempo rinchiusa nei mondi totalitari dello spazio sovietico. La denominazione d’origine incontrollata è stata appioppata ai paesi recentemente entrati nelll’Unione proprio dal vertice dei ministri finanziari europei a Bruxelles, chiamati all’inizio dello scorso marzo a prendere misure operative contro la crisi che dopo aver investito il settore finanziario globale sta ora azzannando la polpa viva delll’economia internazionale. Se i paesi della vecchia Europa occidentale affrontano momenti difficili, drammatici sono quelli che si vivono ad est di quella linea d’acqua formata da mari e fiumi (Baltico e Adriatico, Oder, Neisse e Danubio) che aveva sostituito nell’immaginario della nuova Europa la cortina di ferro. La geografia è la nuova malattia del vecchio Continente. E così il marchio di Europa dell’Est ha ripreso a circolare, se non nei documenti ufficiali, di certo nelle dichiarazioni dei ministri e nei titoli dei giornali: “Niente soldi per l’Europa dell’Est”, “L’Europa dell’Est non può fare affidamento sugli aiuti dell’Ovest”, “Bruxelles limita il suo impegno per l’Est”. Vent’anni sono trascorsi dalla fine del comunismo, almeno in Europa. Due decenni nei quali tutti i paesi compresi fra Berlino e Kiev, fra Tal-

lin e Sofia – in quello spazio dove s’incrociano, si mescolano e convivono germani, slavi, magiari, bulgari e rumeni – hanno lottato per molti obiettivi, ma soprattutto per scrollarsi di dosso il marchio orientale. E riappropriarsi di un baricentro che è storico, culturale, economico, geografico. Insomma esistenziale. E quasi ce l’avevano fatta. Nei vent’anni passati dalla notte del 9 novembre 1989, si era imposto a fatica il marchio di Europa centrale, al massimo centro-orientale per inglobare anche i vicini che non ce l’avevano fatta (gli ucraini, i serbi) ma che restavano in qualche modo aggrappati alla boa. Tutto vanificato dall’onda della crisi finanziaria. Con lo spettro della bancarotta degli Stati si è riaffacciato il vecchio marchio della povertà e della miseria. Una beffa. Fino a pochi mesi fa le cifre degli istituti statistici raccontavano i successi delle economie emergenti. I reportage descrivevano la rinascita delle capitali, la fioritura di nuove stagioni culturali, l’esplosione di società rimaste per decenni soffocate dal conformismo e dall’ideologia. Un pezzo d’Europa finalmente tornata a casa, dopo aver superato i primi, faticosi anni della transizione: il passaggio all’economia di mercato, la diffusione della democrazia, l’affermazione di società aperte, diritti civili e politici, libertà di stampa e di opinione. Le tigri economiche avevano trovato dimora sulle sponde del Baltico, la stabilità politica si era finalmente im-

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posta in Polonia e Ungheria. Praga zata. I suoi fondatori e manager, e Bratislava, sorelle divise, faceva- Valery Kargin e Viktor Krasovitsky, no a gara per diventare le prime uomini simbolo degli anni del bodella classe. Finanche Romania e om, vengono oggi messi alla berliBulgaria, negli ultimi tempi, mostra- na dagli stessi media che anni privano indici di Pil che facevano spe- ma li avevano eletti a simbolo della nuova società baltica emergente e rare in una svolta decisiva. Ora sembra tutto finito nel breve vol- opulenta. In un solo mese, via le ricgere di qualche mese: panorami ra- chezze, sparite le Ferrari, venduti i dicalmente mutati, prospettive fo- jet privati, abbandonati i locali notsche, timori di collassi: per alcuni turni: e con tutto l’armamentario delStati addirittura lo spettro della ban- l’effimero se ne è andata l’illusione carotta e la necessaria iniezione di che il gioco della finanza producesdenaro da parte di Bruxelles. La cri- se ricchezza di per sé, per il solo si economica ha investito le giovani fatto di muovere crediti e denaro, azioni e titoli. Podemocrazie con più co più avanti, olviolenza perché ha In un solo mese via tre la bella cattetrovato sul suo cammino strutture ancora frale ricchezze, le Ferrari, drale sotto le cui arcate una mostra gili e classi politiche venduti i jet privati, fotografica ricorche hanno risposto abbandonati i locali, da la rivoluzione con ritardo all’emerche nel 1990 genza che montava. resta solo l’illusione spinse i lettoni a Nel piccolo centro strappare ai soviestorico di Riga la topografia urbana racconta le tappe tici la propria indipendenza sotto il di una disillusione crescente. All’an- cappello protettivo della Chiesa golo fra la Vajnu iela e la Kalku jela protestante, c’è il Parlamento naziosi fronteggiano le entrate di due isti- nale con le facciate scheggiate dai tuti bancari, la svedese Seb e la let- sassi e i vetri rattoppati con il nastro tone Parex Banka. La prima è la te- adesivo. Contro questo simbolo s’è stimonianza di quanto la Lettonia scatenata un paio di mesi fa la prosia dipendente dal credito straniero, testa violenta dei cittadini, centinaia che oggi si ritira a casa propria ab- di giovani infuriati per la leggerezbandonando regioni tornate a pie- za con cui la classe politica stava no titolo nel novero delle aree a ri- affrontando la crisi economica e soschio. La seconda descrive la fragili- ciale. Non erano più abituati alle tà del sistema indigeno: gravemen- dimostrazioni, da queste parti. Trante esposta alla bolla immobiliare quillità e laboriosità nordica, l’ecamericana, prima ha ottenuto un ro- centricità relegata ai fine settimana busto finanziamento dal governo, alcolici delle notti mondane di Riga. poi è stata completamente stataliz- Poi la dichiarazione del ministro del-


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le Finanze, Atis Slakteris, davanti al- segno meno di 2,3. E ora arriva la le telecamere di un talk show di disoccupazione, che in Lettonia cosuccesso. Cosa accade ministro? E me in molti altri paesi centro-orientalui, sfoderando un inglese indurito li, ha due facce: quella dei locali dalla pronuncia lettone, candida- che perdono il posto di lavoro e mente: «Nothing special», nulla di quella degli emigranti che rientrano speciale. Alla gente non è andata a casa, espulsi dai mercati occidengiù. “Nothing special, just crisis” tali. Era l’Irlanda la mecca dei lavoera la scritta che campeggiava sulle ratori baltici (ma anche polacchi, magliette dei ragazzi armati di sam- slovacchi, ucraini), la tigre celtica pietrini la notte delle violenze da- dalle industrie tecnologiche fiorenti, vanti al Parlamento e alle sedi delle in grado di assorbire la forza lavoro banche. Poche settimane dopo il giovane e vogliosa di Occidente primo ministro, con tutto il suo go- che abbonda in queste zone assicuverno, ha abbandonato il campo. rando alti salari. Ma l’isola verde è oggi la grande Ora c’è un nuovo esemalata d’Europa cutivo, il quindicesimo L’aeroporto di Vilnus e deve confrondall’indipendenza del tarsi con una si1991, quasi uno alsembra una landa tuazione draml’anno: la debolezza deserta, aerei fermi, matica, molto sidella politica è una conessuno che arriva, mile a quella che stante strutturale. Il si vive più ad est. compito è immane: nessuno che parte E allora ai lavoraevitare la bancarotta, tori della nuova restituire stabilità. Come? Attraverso un piano di risana- era, quelli senza contratto fisso e mento rigido e impopolare: e la dif- con dimora altrove, non resta che ficoltà è tutta nel secondo aggetti- fare i bagagli e rimpatriare. L’assenvo, perché la società lettone sembra za delle rimesse dall’estero sarà non volerne sapere di rimboccarsi un’altra tegola con la quale l’economia di Riga dovrà misurarsi. le maniche ancora una volta. Deve essere dura passare in pochi Per i lituani rimpatriare è ancora più mesi da una tigre economica a un difficile. Non fosse altro perché la topolino della recessione. Ma le ci- compagnia di bandiera non c’è fre non lasciano scampo.Quelle del più. Fallita. L’aeroporto di Vilnius Pil, ad esempio. Più 10,3% nel sembra una landa deserta: aerei 2007, la crescita più alta di tutta fermi sulla pista, nessuno che arriva l’Unione europea. Meno 6,9 è la e nessuno che parte. Il silenzio delstima, forse pure ottimistica, per la grande sala dell’aerostazione è l’anno corrente. In mezzo il terremo- imbarazzante. Il tabellone delle parto del 2008 che si è mangiato la tenze e degli arrivi è quasi vuoto, crescita dei primi mesi lasciando un solo pochi scali europei illuminano

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la griglia. Eppure Vilnius si festeggia quest’anno come capitale europea della cultura (assieme all’austriaca Linz). Doveva essere il riconoscimento di un lungo percorso, la celebrazione della ritrovata centralità continentale. In un anno, il Pil Centrotrenta chilituano è sceso l o met ri pi ù a al 3,4%. E il 2009 ovest si trova la avrà segno negativo cittadina di Marijampole, cinquantamila abitanti stretti al confine fra l’enclave russa di Kaliningrad e la Polonia. È qui che i geografi avrebbero localizzato il centro esatto del nuovo continente allargato: Europa centrale, dunque, che più centrale non si

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può, anche se la medaglietta del baricentro se la contendono altre città rivali. Negli anni dell’occupazione sovietica i russi le avevano cambiato identità e connotati, chiamandola Kapsukas, dal nome del fondatore del partito comunista lituano. Periferia estrema dell’occidente sovietico, avamposto del bastione rosso. Poi il crollo dell’impero di Mosca, l’indipendenza e nuovo nome e nuove coordinate geografiche: misurando latitudini e longitudini, il centro è proprio qui. Peccato che l’economia non segua le leggi degli atlanti. Tornando nella capitale, il centro storico magnificamente ristrutturato


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si snoda attraverso stradine contorte, circondate da casette basse in calce bianca: Vilnius ricorda più l’urbanistica delle città polacche, la Lituania è a suo modo un’intrusa nel cartello delle Repubbliche Baltiche. E anche la crisi ha ragioni diverse: qui ha attecchito di meno la spregiudicatezza finanziaria di casa in Lettonia e nel momento delle difficoltà ci si aggrappa all’antica solidità dell’industria pesante. I numeri dell’economia, tuttavia, sono ugualmente in rosso. Il prodotto interno lordo è passato dall’8,9% del 2007 al 3,4 del 2008, mentre per l’anno in corso la stima è di un meno 4%: in tre anni un crollo del

13%. Si stanno assottigliando gli investimenti diretti, passati dal 3,6 di due anni fa all’1 previsto per il 2009. Il governo smentisce una svalutazione della lita, la valuta locale, ma dovrà confrontarsi con una decisione europea Chiude la centrale che casca pronuclerare di Ignalina: prio nel momento copriva l’80% del p e g g i o re : l a fabbisogno energetico chiusura della centrale nucleare di Ignalina, che finora ha coperto l’80% del fabbisogno energetico. Il complesso nucleare ha già subito nel corso degli anni la chiusura di due dei tre reattori esistenti. L’ultimo si spegnerà quest’anno, anche se i lituani spera-

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no ancora che Bruxelles conceda una deroga. Difficile, perché il reattore di Ignalina è perfettamente identico a quello che era in funzione a Chernobyl e la sua chiusura è già stata altre volte dilazionata: è raffreddato a grafite e non ha alcun sistema di contenimento, per cui i rischi di emissioni radioattive in caso di incidente sono altissimi. Per questo la questione energetica è nell’agenda delle priorità e i tre Stati baltici stanno valutando, assieme alla Polonia, di realizzare un consorzio per costruire una centrale di terza generazione che rimpiazzi quella di Ignalina. Lo spettro è l’eccessiva dipendenza dalla Russia. Una preoccupazione che da queste parti non si limita solo ai rifornimenti energetici, al contrario investe l’intera politica estera dell’area. A volte con eccessi che il resto dell’Europa fatica a comprendere. Nel grande scatolone cubico del Parlamento, a due passi dai resti delle barricate che nel 1990 difesero i rivoltosi dai carri armati di Mosca, il presidente della Commissione esteri si dilunga sugli aiuti culturali ai gruppi di opposizione bielorussi. Minsk è il campo di battaglia che contrappone il Cremlino ai suoi agguerriti vicini occidentali, ma negli ultimi anni la contrapposizione ha preferito puntare sui tempi lunghi e sul lavoro culturale: scambi universitari e formazione dei giovani, lavoro nel quale eccelle l’Università di Vilnius che propone un master in diritti umani e democratizzazione cui partecipano studenti bie-

lorussi. Visto che Lukashenko, l’ultimo satrapo europeo, resta ben saldo al potere, l’opzione è di prenderla alla larga e togliergli il terreno da sotto i piedi. Ma la Russia resta un partner importante per l’economia e anche qui cominciano a capire che il muro contro muro porta in un vicolo cieco: da un rilassamento dei rapporti hanno da guadagnarci tutti e una nuova Ostpolitik occidentale (europea e americana) può dare ai paesi baltici un importante ruolo strategico. Per restare al campo dell’energia, tuttavia, i lituani mantengono per ora le loro posizioni e si dicono disposti a tutto: ad opporsi al gasdotto subacqueo North Stream, che porterà direttamente il


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gas russo in Germania passando sotto le acque del Baltico, saltando l’intermediazione delle terre di mezzo; a guardare con sospetto il tracciato del South Stream, che porterebbe in Europa il gas russo e turkmeno dal Mar Caspio attraverso il Mar Nero, il terminale bulgaro e poi un reticolo di condotte verso sud (Italia compresa) e verso nord che privilegia i territori dei Balcani occidentali; ad appoggiare invece il progetto Nabucco che viene dalla Turchia e passa per Bulgaria, Romania e Ungheria, tenendo la Russia al margine. Qualsiasi cosa, basta che Mosca rimanga più in là, lontana da tentazioni revansciste: quarant’anni di dominio sono difficili da dimenticare in soli vent’anni.

Si rafforza il legame tra Estonia e Italia

Il 18 marzo scorso, a Tallinn, il sottosegretario agli Affari esteri Alfredo Mantica ha firmato una Dichiarazione congiunta con il suo omologo estone Harri Tiido, volta a rafforzare la collaborazione tra i due ministeri degli Esteri su temi bilaterali europei e internazionali di comune interesse. “Sono molto soddisfatto della firma della Dichiarazione è il commento da Tallin del sottosegretario Mantica - che rafforza i meccanismi di consultazione fra i due governi, in un’ottica di sinergie operative di cui entrambi non possiamo che beneficiare, tenuto anche conto della complessità delle questioni che dobbiamo affrontare, secondo modalità sempre più coordinate, a livello internazionale”. L’Italia, dunque, sembra finalmente interessarsi ad

Nel frattempo Vilnius spera che la cultura le dia una mano. Il cuore della città è tirato a lucido, le pensioni e gli alberghi si sono rinnovati, i ristorantini romantici attendono i clienti, l’illuminazione notturna valorizza i monumenti e le chiese. Mancano appunto i turisti, ma la bella stagione è ormai alle porte, le notti bianche – quando il sole tramonta tardi e fa luce fino alle undici di sera – non tradiranno le aspettative degli organizzatori: Vilnius 2009 sarà una boccata d’ossigeno in un anno difficile. Qualche chilometro più a nord, dove la pianura polacco-lituana si stempera nelle sabbie bianche del Baltico, l’atmosfera è ancora diversa. Siamo in Estonia, la perla delle

un’area come quella baltica che negli ultimi anni ha rappresentato la locomotiva della nuova Europa unita. I nostri interessi strategici sono da sempre concentrati nella zona balcanica, con rapporti stretti (e altalenanti) con Slovenia, Croazia e Albania. Ma Estonia, Lettonia e Lituania sono paesi ormai troppo importanti perché l’Italia possa trattarli con sufficienza e, peggio ancora, lasciare l’esclusiva di un rapporto importante ai paesi scandinavi o alla Germania. L’accordo bilaterale siglato a Tallin dal sottosegretario Mantica può finalmente rappresentare un primo passo verso una cooperazione più stretta tra il nostro paese e un’area strategica di quella nuova Europa che anche l’Italia ha contribuito a costruire.

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tre repubbliche, la prima della clas- solo in speculazioni finanziarie ma se, la tigre dagli artigli più aggres- hanno impiantato aziende di nuova sivi. Flat tax, liberismo senza se e era, realtà tecnologiche che possosenza ma, deregulation. Le torri di no subire un rallentamento ma rapTallin sorvegliano che il mantra del presentano la spina dorsale di libero mercato non subisca contrac- un’economia votata al futuro. Appecolpi né ripensamenti. Qui le rifor- na la crisi passerà, ne sono certi, si me le hanno fatte sul serio, da subi- riprenderà a navigare: chip, innoto, e non hanno intenzione di torna- vazione e ricerca. Intanto, mentre a re indietro. L’Estonia guarda alla Riga e a Vilnius si leccano le ferite, Scandinavia da sempre, più delle qui possono contare su un fondo consorelle baltiche. I grandi ma- speciale accumulato negli anni gazzini del porto somigliano a grassi. Il governo taglierà il budget quelli che si trovano a un’ora di na- statale del 10% ma nella popolavi g az i o n e v e r s o zione c’è il consennord. Passeggiando so giusto per condiIn Estonia la crisi sulla banchina semvidere le politiche si avverte di meno: bra di stare a Helsindi austerità. Intanto ki, docks e moli e si punta all’euro, digli investimenti costruzioni in mattovenuto l’ancora di non si sono persi solo in salvezza per econe rosso, rivive lo spirito dell’Hansa speculazioni finanziarie nomie ancora fragili e monete volatili. portato dalle correnIn Ungheria il fioriti umide che vengono da ovest. Nel palazzo che ospi- no sta trascinando il paese alla ta il ministero degli Esteri, una mo- bancarotta, a Bratislava tirano un stra commemorativa ripercorre le sospiro di sollievo per aver aggantappe dall’indipendenza ad oggi. ciato la moneta europea appena in Il momento centrale non è il 2004, tempo. A Tallin vogliono fare altretquando il paese è entrato nel- tanto: ce la faremo in un anno, dice l’Unione europea, ma il 2008, oggi il Capo dell’esecutivo. quando Schengen è arrivato fino La modernità la avverti nella qualità qui. Libertà. Di viaggiare senza do- superiore dei servizi, nella cura dei cumenti, senza file ai confini, senza ristoratori, nell’inglese che tutti parintoppi. “No more passport, just lano perfettamente, nei ristoranti e pass the port” era lo slogan di quei nelle taverne, nelle farmacie e nei negozi. Anche la periferia sa di giorni. Efficace. La libertà è come la religione di nuovo. È diversa da quella di Vilqui: stampo protestante, senza com- nius. Lì, appena esci dal centro ripromessi. La crisi è arrivata ma si trovi i casermoni del tempo socialiavverte di meno. Gli investimenti fin- sta, le vecchie case cadenti, le fablandesi e svedesi non si sono persi briche chiuse arrugginite: segni di


REPORTAGE

un tempo passato non ancora cancellato dal panorama urbanistico. E sebbene abbia ragione il romanziere bulgaro Ilija Trojanow, che la pulizia delle facciate nasconda la povertà e la corruzione che si sono mangiate le rivoluzioni del 1989, è pur sempre un indicatore del cambiamento da prendere con le dovute precauzioni. A Tallinn hanno lavorato meglio e si vede. L’aeroporto non è una scatola di prefabbricati, ma un cubo di mattoni rossi e vetro che sembra una stazione esplorativa dell’Artico. Le strade sono pulite, i palazzi ristrutturati, anche i casermoni con gli spazi verdi curati, come a Berlino est. Qui non sono solo facciate. Basta fare i confronti con le situazioni vicine. Quattro paesi rischiano la bancarotta: l’Ungheria, l’Ucraina, la Romania e la Lettonia. In Estonia il rischio non c’è. Viaggiando verso est, verso l’odiata Mosca, si arriva al nuovo confine d’Europa. Narva, una cittadina moderna, ricostruita di sana pianta nel secondo dopoguerra dai sovietici dopo i bombardamenti che ne distrussero il centro barocco. Immersi nella neve di gennaio, si fronteggiano sul confine formato dall’omonimo fiume due fortezze, una sul lato estone, l’altra su quello russo. Narva e Ivangorod. Uguali e contrapposte. Siamo sul limes orientale dell’Unione, per venire di qua ci vuole ancora il passaporto e il visto. Sì, è un confine vero ma sembra di stare più al centro d’Europa che a Marijampole. L’Est non è una

condizione geografica. È uno stato mentale, una condizione economica, una depressione esistenziale. Dalla quale i paesi che hanno riscoperto la libertà vent’anni fa pensavano di essere fuggiti per sempre. La crisi, come una corrente maledetta, ce li sta trascinando di nuovo. Ma non è solo la crisi, è anche l’indifferenza del resto d’Europa, nonostante gli aiuti che ora arrivano da Bruxelles, nel timore che economie ormai strettamente intrecciate subiscano l’effetto domino del tracollo “dell’Est”. Un vero paradosso nell’anno del ventennale. 125

l’autore

PIERLUIGI MENNITTII Giornalista, si occupa da Berlino prevalentemente di Germania ed Europa centro-orientale, Scandinavia e Balcani. Su questi temi collabora anche con i quotidiani Il Giornale, Il Foglio e Il Secolo d’Italia. In passato ha diretto la rivista di cultura politica Ideazione e il quindicinale di geo-economia Emporion.


Giuseppe Pennisi

LAVORO, IL MONDO TENTA LA RIPRESA

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inquanta milioni di posti di lavoro in meno in due anni, con l’Europa che risente degli effetti della crisi in maniera più acuta. In un quadro certamente non certo confortante, i paesi economicamente più avanzati studiano il modo di uscire dall’impasse. Con un occhio al modello danese e la tentazione della concertazione aggressiva. Nella veste di presidente di turno del G8, l’Italia ha ospitato a Roma il 29 marzo il G8 sui temi dell’occupazione e del lavoro. La riunione, presieduta dal ministro per il Lavoro, la previdenza, gli affari sociali e la salute (in breve, Welfare, utilizzando un vocabolo inglese entrato nell’uso corrente italiano) è estesa ad un totale di 14 paesi – si trattà, dunque, di un G14 che coinciderà quasi con il G20 dei Capi di Stato e di governo in programma dal 2 aprile a Londra. È un evento importante che merita la massima attenzione e che non dovrebbe risolversi in monologhi alterni e in comunicati densi d’auspici, ma privi di programmi concreti. I problemi dell’occupazione e del

lavoro sono tanto gravi almeno quanto quelli della crisi finanziaria. Nei giorni in cui questo articolo viene redatto, la sede centrale dell’Ufficio internazionale del lavoro ha diramato stime impressionanti: nel periodo tra il dicembre 2007 ed il dicembre 2009, 50 milioni di lavoratori al mondo (indipendenti ed autonomi) perderanno la loro occupazione e, quindi, la loro principale fonte di reddito. La contrazione dell’occupazione, afferma Nicolas Véron dell’istituto di ricerca europeo Bruegel (la sede centrale è a Bruxelles, ma è una delle fonti principali di analisi dell’Economist intelligence unit), si sta verificando ad una velocità ben superiore a quanto avevano stimato anche coloro che aveva-


ECONOMIA

no previsto gli effetti della crisi finanziaria sull’economia reale. Sotto il profilo politico, oltre che economico e sociale, il nodo si presenta particolarmente grave proprio in Europa, dove negli ultimi cinque anni, nonostante la crescita rasoterra del Pil e del valore aggiunto, si pensava che le riforme attuate (specialmente in materia di normativa sul lavoro) avessero fugato per sempre lo spettro della disoccupazione di massa. Un anno e mezzo fa, ad esempio, quando si respirava già l’atmosfera di crisi finanziaria incipiente, pure un quotidiano francese tradizionalmente a sinistra del centro ha dedicato un numero speciale a La fine della disoccupazione di massa. Le cifre parlavano chiaro. Almeno così si pensava. In primo luogo, a fine aprile 2007, in Europa (tanto nella zona dell’euro quanto nell’insieme dell’Ue a 27), il numero di coloro alla ricerca di lavoro (nel lessico giornalistico il tasso di disoccupazione) era sceso al 7,1% delle forze di lavoro (due punti percentuali in meno rispetto a quanto registrato due anni prima). L’Italia era entrata a buon diritto tra i paesi con un tasso di disoccupazione moderato (il 6,2% a livello nazionale, ma concentrato nel Mezzogiorno e nei bacini a riconversione industriale nel centro-nord). In Francia, il tasso di disoccupazione era ancora l’8,6% della forza lavoro, ma, per la prima in 25 anni, era sceso, in termini assoluti, al di sotto di due milioni di uomini e donne. La Polonia e l’Estonia contavano, nell’Ue,


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tassi di disoccupazione più alti di le accompagnata da ammortizzatori quello della Francia. Ancora mag- e passerelle per transitare da un imgiore il successo segnato in Germa- piego all’altro. Tuttavia, era sempre nia: si era passati dai 5 milioni di l’Employment outlook dell’Ocse a ridisoccupati nell’aprile 2005 ai 3,7 cordare come “un’altra strada possimilioni due anni dopo: la disoccu- bile consiste nel rendere più flessibili pazione diminuiva, senza interruzio- le normative sul lavoro”. ne, ogni mese da 15 mesi. Quindi, In terzo luogo, non era soltanto né le nuove tecnologie dell’informa- l’Ocse, ma anche l’esclusivo (il nuzione e della comunicazione né il mero dei soci non può superare 30 processo d’integrazione economica e devono essere tutti accademici di internazionale avevano creato, in rango) Cercle des economistes franEuropa, quella disoccupazione di cese (un circolo – occorre rammenmassa, senza alternative concrete di tarlo – in generale a sinistra del centro) a riconoscepolitica economica re come l’allontanaed industriale, temuCresce l’interesse mento dello spettro ta una diecina di per la flexsecurity della disoccupazioanni fa: si pensi, ad ne di massa doveva esempio, alla visioche permetterebbe attribuirsi alle riforne apocalittica delil transito me in senso liberale la raccolta di saggi Disoccupazione di da un impiego all’altro del mercato del lavoro. Quelle già fatfine secolo, curata te in Italia ed in da Pierluigi Ciocca, e nata in gran misura nell’ambito Germania. Quelle di cui la Francia del servizio studi della Banca d’Ita- ha mutuato alcuni istituti (quali il contratto di primo impiego) tre anni lia alla metà degli anni Novanta. In secondo luogo, non era tutto oro fa e che Oltralpe il nuovo esecutivo ciò che luccicava. L’Employment ou- si appresta ad estendere ed approtlook dell’Ocse pubblicato a fine fondire con una normativa di urgengiugno 2008 sottolineava che a za. Un sindacato vasto ed intellipartire dal 1995 erano aumentate gente, e vigorosamente anti-comuniin misura considerevole le differen- sta, come Force ouvrière aveva conze salariali (specialmente se compu- cluso il 29 giugno 2007, a Lille, il tate sulla base del netto in busta pa- proprio ventunesimo congresso ga). Per questo motivo, c’era un cre- chiedendo, in pratica, l’abolizione scente interesse (anche in Italia) nel- di quel resta delle pensioni di anla flexsecurity: lavoratori e sindacati zianità e misure per favorire l’occudovrebbero essere pronti a rinuncia- pazione e dei più giovani e dei più re alla sicurezza nel posto di lavoro anziani. specifico per una maggiore sicurez- Mi sono soffermato sulla situazione za nel mercato del lavoro in genera- e le prospettive quali percepite in


ECONOMIA

Europa quando la crisi finanziaria e stagionalizzate, espongono un tasla recessione (il Fondo monetario so d’aumento dell’output impercettiprevede una contrazione del 2% bile (attorno all’1% su base annua) del Pil dei paesi Ocse nel 2009, la per gli ultimi tre mesi del 2008. È in più grave dalla Grande Depressio- atto una migrazione di circa 20 mine degli anni Trenta) cominciavano lioni di cinesi che tornano da aree a battere i primi colpi proprio per industriali (dove le fabbriche sono sottolineare come il drastico cam- state chiuse) verso campagne dove biamento di scenario, in gran misu- la rivoluzione tecnologica ha fatto sì ra giunto inaspettato, rappresenti un che ci vogliano molte meno braccia problema politico ancora più grave per giungere a rese soddisfacenti; di quello, pur serissimo, economico inoltre, la domanda dei mercati urbae sociale. C’è un continente dove la ni si è prosciugata a ragione proprio svolta occupazione è ancora più della fuga verso il settore rurale di lagrave che in Eurovoratori di manifattupa: crolla l’Asia, non esistono Nell’ultimo trimestre repiù.chePoche che con un tasso le notizie del 2008 le tigri medio di crescita che escono dalla Cidel 7,5% l’anno na: sembra che siaasiatiche hanno (due volte e mezzo no in corso, da mesubito un calo più sostenuto di si, veri e propri moti quello del resto del di senza lavoro. Cirdel Pil del 15% mondo) ha trainato ca sei anni fa, orl’intera economia inganizzata dalla ternazionale. Nell’ultimo trimestre Scuola superiore della Pubblica amdel 2008 (i consuntivi sono stati ap- ministrazione e dalla Banca monpena resi disponibili dall’ufficio sta- diale, si tenne alla Reggia di Casertistico della Commissione economi- ta un seminario a porte chiuse a cui ca delle Nazioni unite per l’Asia) parteciparono quasi tutti i ConsiglieHong Kong, Singapore, la Corea ri economici dei primi ministri o dei del Sud e Formosa hanno accusato ministri economici dell’Asem (Asia un tasso annuale di contrazione del europe meeting), un’associazione Pil del 15% e le loro esportazioni creata dopo la crisi dell’indebitahanno segnato una riduzione (sem- mento estero del continente nel pre annualizzata) del 50%. E la Ci- 1996-98. Ne scaturì un messaggio na? Occorre fare attenzione alle ci- chiaro: l’Asia in generale e la Cina fre: i dati ufficiali (riportati dalla in particolare non avrebbero potuto Commissione economica Onu) par- sostenere a lungo tassi rapidi di crelano di crescita ad un tasso annuo scita senza una rete di tutela sociale del 6,8% (un rallentamento pur sem- per i più poveri e senza un aumento pre marcato rispetto all’oltre 9,5% del tasso di consumo. Da un canto, dei tre trimestri precedenti) ma, de- la rete di tutela si stava appena alle-

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stendo e, dall’altro, i consumi non crescono non tanto perché – come afferma la pubblicistica recente – gli asiatici sono iper-risparmiatori ma poiché i redditi da lavoro sono rimasti molto bassi ed in molti casi si sono contratti: in Cina (il paese più importante se non altro per le sue dimensioni) nel 1998 i salari contribuivano al 53% del Pil, nel 2007 al 40% e stime preliminari per il 2008 li portano a meno del 38%. Ciò non è solamente il risultato di un destino cinico e baro che nella Repubblica popolare milita contro i lavoratori oppure il frutto di datori di lavoro (in primo luogo lo Stato nelle sue varie guise e forme) rapaci. I bassi tassi d’interesse, un tasso di cambio non rappresentativo del valore della valuta estera e sussidi ad industrie di vario tipo, unitamente ad una politica d’infrastrutturazione di base, sono all’origine di un nodo abbastanza simile a quello che Italia, Germania, Giappone ed Ungheria dovettero in vario modo affrontare al termine del miracolo economico, alla fine degli anni Sessanta. Fu difficile risolverlo nei nostri paesi; è molto più arduo farlo in Estremo Oriente. Ove il quadro non sia abbastanza fosco, occorre pensare che i problemi dell’occupazione e del lavoro minacciano di durare molto più a lungo di quelli della crisi finanziaria e della stessa recessione. Nel numero di dicembre di Strategic Analysis, un saggio di Wynne Godley, Dimitri Papadimitriou e Gennaro Zezza documenta che, nonostante la mano-

vra espansionista in atto (e che sarà verosimilmente accentuata da Obama) il tasso di disoccupazione Usa (oggi al 7,2% della forza lavoro) arriverà al 10% entro il 2010. Il fenomeno dell’isteresi (ossia del trascinamento o del lasso temporale tra ripresa dell’economia e quello dell’occupazione) oggi appare più grave di quello che avvenne dopo la recessione del 1979-82 per due ragioni concomitanti: lo spessore della contrazione del Pil e del commercio internazionale; e l’integrazione economica internazionale. Lo afferma, con ricchezza di dati e d’analisi, Rajarshi Majumber in un saggio di spessore nell’ultimo fascicolo del 2008 dell’Indian Journal of Labour Economics. In questo quadro, peggiorano, in tutto il mondo, le condizioni di lavoro: salari, precariato, ammortizzatori. Nel prossimo decennio, il tema centrale delle politiche economiche nazionali ed internazionali sarà la ripartizione del Pil tra i redditi da capitale e da lavoro – una situazione analoga a quella in cui Usa ed Europa furono alla fine degli Anni Sessanta. Le risposte che in giugno potrà dare la conferenza annuale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil) saranno deboli se non arriveranno segnali forti dal G8-G14 lavoristico-occupazionale di fine marzo a Roma. L’Italia sarà tanto più in grado di fornire indirizzi quanto meglio mostrerà di avere la propria casa in ordine. Per questo motivo, è molto utile che il confronto in atto su contrattazione e ammortizzatori stia


ECONOMIA

Flexsecurity: è ancora valido il modello danese?

Come il Lego, i biscotti al burro e le fiabe di Andersen, anche la flexsecurity (crasi tra flexibility e security) viene dalla Danimarca. E dal Mare del Nord, questo nuovo modo di intendere il mercato del lavoro ha conquistato (e sta ancora conquistando) le economie capitaliste di tutto l’Occidente. Il sistema è piuttosto semplice da spiegare: si tratta di una combinazione tra estrema facilità di assunzione e licenziamento per il datore di lavoro e consistenti ammortizzatori sociali per i lavoratori dipendenti. Garantendo sia le imprese che i lavoratori, la flexsecurity permette innanzitutto una grande mobilità occupazionale, alleggerendo da un lato le aziende e dall’altro permettendo a chi perde il lavoro, con cospicui ammortizzatori sociali, di vivere dignitosamente. La ricetta danese, esplosa durante i governi socialdemocratici degli anni Novanta, per molto tempo è stata considerata miracolosa, soprattutto nel Vecchio Continente. La reazione entusiastica dell’Europa, in verità, è comprensibile: i dati macroeconomici danesi sono più che confortanti. Basti pensare che nel 2008 il tasso di disoccupazione si è assestato al 2,8%, con un tassi di crescita dell’economia nazionale superiore di molto rispetto alla media continentale. C’è da dire, tuttavia, che gli ultimi governi liberalconservatori di Rasmussen, pur non intaccando la filosofia di base delle normative relative al lavoro, hanno accentuato la flessibilità a scapito della sicurezza, spingendo verso riforme ancora più radicali. Ciò non ha evitato alle istituzioni comunitarie, tuttavia, di prendere il caso danese come modello per il futuro sviluppo della legislazione che regola il mercato del lavori. In un paragrafo dell’Integrated Guidelines for growth and employment (Linee guida per la crescita e l’occupazione) per il periodo 2005-2008, l’Ue invitava gli Stati membri a “promuovere la flessibilità combinata alla sicurezza dell’impiego e a ridurre la segmentazione del mercato del lavoro, avendo il dovuto riguardo nei confronti del ruolo delle parti sociali”. Ricette del genere, tuttavia, possono funzionare forse in paesi con sindacati non troppo radicali, aperti al dialogo e al confronto con le forze riformatrici. Non stupisce, dunque, che la flexsecurity abbia trovato terreno fertile soprattutto in paesi nordici come Finlandia e Olanda.

avendo buon esito. Anche se all’interno della maggioranza ci sono pareri discordi, sarebbe positivo estendere il confronto alla previdenza sia alla definizione dei nuovi coefficienti di trasformazione – il termine tecnico per indicare la formula in base alla quale i contributi accumulati vengono “trasformati” in rendite

annue – sia al ripensamento dei tempi della transizione da metodo retributivo a metodo contributivo – in Svezia realizzato in tre anni mentre in Italia se ne sono previsti da 18 a circa 30, includendo nel computo le pensioni di reversibilità. In questo quadro, si dovrebbe anche risolvere il nodo della disparità (tra

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uomini e donne) dell’età per fruire di pensioni di vecchiaia – una disparità esistente in pochissimi paesi e, se giustificata alcuni decenni fa, oggi minaccia di penalizzare i lavoratori di genere femminile. Un’Italia con il welfare ben equilibrato potrebbe proporre un piano internazionale per l’occupazione, analogo al World employment program lanciato dall’Oil negli anni Settanta (quando le crisi petrolifere facevano temere una crisi mondiale dell’occupazione) supportato da una più rigorosa, e meglio monitorata, applicazione delle convenzioni internazionali sul lavoro al fine di contenere il dumping sociale. L’Italia, soprattutto, potrebbe dare il la in un approccio moderno alla concertazione, almeno nell’ambito dei paesi sviluppati ad economia di mercato ed ad alto reddito medio pro-capite. Il termine concertazione viene dal francese, che, a sua volta, lo ha

mutuato dal tedesco. Si riferisce ad accordi tra parti sociali (i rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro) e tra questi ultimi e la mano pubblica per il raggiungimento di determinati obiettivi di politica o aziendale o settoria economisti e sociologi di varie parti del mondo (specialmente in quello anglossassone, come rivelano scritti poco noti di Schumpeter e di Keynes). Negli anni Sessanta e Settanta, non si parlava di concertazione, ma ci fu la lunga fase di accordi interconfederali, spesso troppo prontamente tradotti in legge da un Parlamento che aveva in parte abdicato al proprio ruolo: un frutto ne fu la normativa sulla previdenza del 1968-69 che, nel giro di pochi anni, ci regalò uno dei sistemi previdenziali più squilibrati (ed uno dei debiti previdenziali in rapporto al Pil più alti) al mondo. Gli anni Ottanta sono stati l’epoca della concertazione pro-


ECONOMIA

priamente detta: il metodo è stato utilizzato per accompagnare il percorso di rientro dall’inflazione e di riassetto della finanza pubblica – il suo momento più alto è stato l’Accordo di San Tommaso (dal nome del santo patronimico del giorno incui è stato concluso), il patto sociale del 23 luglio 1993. A quasi 15 anni da allora, si può dire che il patto sociale ha avuto un ruolo chiave nella riduzione degli aumenti dei prezzi grazie, principalmente, all’introduzione del concetto di inflazione programmata come guida per la politica economica e per le relazioni industriali, mentre si è rivelato caduco in molti altri aspetti (la contrattazione collettiva a più livelli, la consultazione nella definizione dei documenti di politica economica). In una proposta al resto del mondo, occorre guardare più indietro per andare più avanti. Alla metà degli anni Novanta un rapporto dell’Oil (un’istituzione non certo di parte e comunque distinta e distante dalle nostre beghe) differenziava nettamente tra concertazione difensiva e concertazione aggressiva o positiva. La prima cerca di tutelare l’esistente, ove non di guardare al passato; la seconda era, invece, rivolta all’avvenire. Nel documento si sottolineava come le relazioni industriali avrebbero dovuto affrontare le sfide poste dalla trasformazione economica, l’innovazione e l’integrazione economica, pena il pericolo di diventare irrilevanti. Il primo e più significativo patto di concertazione aggressiva o offensiva in Eu-

ro p a è s t a t o l ’ A c c o rd o d i Wasenaar (dal nome della località dove è stata stipulata) conclusa in Olanda nel lontano 1984. I Paesi Bassi erano afflitti da quello che gli economisti chiamavano “il mal olandese” – bassa crescita dovuta al flusso di valuta e sovrapprezzamento del cambio, derivante dal gas naturale del Mare del Nord. L’accordo comportò un nuovo disegno del mercato del lavoro e dello Stato sociale (in senso liberale) di fronte alla constatazione che, ad esempio, operando unicamente sull’età legale per la pensione (senza toccare contributi e livello degli assegni rispetto alle ultime remunerazioni) la si sarebbe dovuta portare a 80 anni. Possiamo andare verso la concertazione aggressiva e proporla al resto del mondo? Un libro di circa un lustro fa, ma ancora attuale nei suoi contenuti – La società attiva di Maurizio Sacconi, Paolo Reboani e Michele Tiraboschi (Marsilio Editore, 2004) – rispondeva positivamente. E Sacconi presiederà il vertice di fine marzo.

L’autore

GIUSEPPE PENNISI Docente di economia all’Università europea di Roma e all’Univeristà di Malta, ha guidato il settore politiche pubbliche alla Scuola superiore della pubblica amministrazione per 15 anni. In precedenza è stato direttore generale in due ministeri e ha compiuto una prima carriera in Banca mondiale. È autore di circa 20 libri e collabora a quotidiani e periodici.

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Silvia Grassi

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TRA LEGGE, POLITICA

na carriera in magistratura, poi l’amore improvviso per la letteratura, i successi di critica e pubblico e la candidatura al Senato con il Pd. In un colloquio a tutto tondo, Gianrico Carofiglio racconta la sua storia tra aule di tribunale, suggestioni letterarie e impegno politico e istituzionale. 134

Dalla magistratura alla letteratura, dal legal thriller alla politica. Gianrico Carofiglio, classe 1961, stessa età di Obama, dopo aver venduto più di due milioni e mezzo di copie, tradotte in tutto il mondo, dopo essersi aggiudicato prestigiosi premi tra cui il Bancarella e il Grinzane Cavour, nonché il titolo di inventore del legal thriller all’italiana, ha fatto una scelta controcorrente: arruolarsi nelle fila del Pd al seguito del soldato Walter.

strato e la scrittura stavano diventando incompatibili. L’impegno di lavoro in una procura della Repubblica è delicatissimo e mi aveva stancato anche psicologicamente. Nel 2007 ero già consulente a tempo pieno della Commissione parlamentare Antimafia, e non esercitavo funzioni giudiziarie (tecnicamente ero fuori ruolo) e quando mi è arrivata questa, francamente, inattesa proposta ero pronto a tornare nel mio ufficio giudiziario.

Perché è sceso in campo? Preciso e meticoloso, purista della lingua, l’inventore dell’avvocato Guerrieri, ama le puntualizzazioni e parte subito con la prima.

I fatti, però, sono andati diversamente e lei ha accettato la chiamata senza esitazioni. Si è chiesto perché l’ex segretario del Pd ha voluto candidare proprio lei?

L’espressione scendere in campo non mi fa impazzire. La verità è che l’offerta mi è arrivata nel momento giusto per motivi personali prima ancora che politici. Mi stavo rendendo conto di come il mio lavoro di magi-

Mi hanno riferito, non so se sia vero, che sono stato uno di quei rari casi in cui D’Alema e Veltroni erano d’accordo. Credo che mi abbiano voluto entrambi più per la mia figura di scrittore che per la mia attività di


INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO

E LETTERATURA

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magistrato. La mia visibilità di magistrato, infatti, aveva probabilmente raggiunto un punto più consistente ben prima e nessuno, a sinistra, si era mai sognato per questo di farmi proposte di candidatura. Si può dire, quindi, che come magistrato non si erano accorti di lei? Mentre come scrittore.

Può darsi. E peraltro mi fa molto piacere perché significa che ho esercitato il mio ruolo di magistrato in modo perfettamente imparziale e percepibilmente imparziale. Con questo non voglio dire che i miei

colleghi magistrati candidati lo siano stati perché hanno esercitato il loro ruolo in modo parziale. Altra puntualizzazione. La proposta di candidatura del Pd non è stata l’unica. E in un passato, non troppo remoto, precisa Carofiglio, le offerte erano già fioccate.

Sì, ma sempre dalla destra. La prima, quando ero in Procura a Foggia, all’inizio degli anni Novanta. Mi proposero di fare l’assessore alla Trasparenza. Mi parve un bel riconoscimento perché mi arrivò da persone che sapevano perfettamen-


Silvia Grassi

te che il mio punto di vista era differente, ma ovviamente rifiutai per più di una ragione. Poi nel ‘94 o ‘96 un amico mi chiese di candidarmi con il centrodestra per le politiche. Io apprezzai il gesto ma rifiutai. Chi è l’amico di destra che le propose la candidatura?

Non faccio nomi. Ma ricordo che mi disse che per me avrebbero trovato un posto anche all’ultimo. Non so se scherzasse. Ma non avevano capito che aveva altre idee?

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Ognuno ha il proprio punto di vista, anche i magistrati ce l’hanno. Il problema non è se un magistrato possa o non possa, debba o non debba avere opinioni politiche. Tutti i cittadini hanno opinioni politiche: il pericolo è il magistrato inconsapevole delle proprie opinioni politiche perché rischia di esserne inconsapevolmente condizionato. Il magistrato deve essere eticamente solido e professionalmente attrezzato, per essere in grado di portare avanti il proprio lavoro con imparzialità, indipendentemente dalle sue convinzioni. Torniamo al suo partito, il Partito democratico. Questione morale, debacle elettorale, cambio ai vertici della segreteria, il Pd in questo primo anno di vita non ha dato una bella prova di sé. Sono cambiate le sue aspettative?

Ognuno deve sempre rimodulare le proprie aspettative in relazione a quello che succede, ma mi sento

perfettamente a mio agio perché ho un modo di vedere le cose che tende a considerarle non come singoli fotogrammi, ma come un film. Certo, se uno guarda il fotogramma di oggi rimane sconfortato, ma bisogna immaginarsi il film, proprio come dice Lao Tse, che cito nell’epigrafe del mio primo libro, Testimone inconsapevole: “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il mondo chiama farfalla”. Quello che oggi ci sembra un momento di clamorosa crisi, nell’incessante trasformarsi delle cose, è poi l’inizio di qualcosa d’altro e sono curioso di scoprire cos’è. Come dire: “Si chiude una porta, si apre un portone”. è ancora fiducioso?

Più che fiducioso. Io direi che la vita è troppo interessante e molto più complessa della fotografia sbiadita che noi mettiamo e irrigidiamo nella “camicia di forza” della cronaca. Come spiega il successo della destra alle politiche e alle amministrative?

Credo che la destra sia stata capace di interpretare e raccontare in una forma di metafora politica che funziona alcuni dei bisogni della gente, e meglio di tutti l’ha fatto la Lega. Il centro-sinistra attualmente non è capace di farlo anche a causa di questa confusione sull’identità valoriale. Bisogna che il Pd prima chiarisca a sé stesso quali sono i valori, per poi essere in grado di raccontare alla gente storie esemplari che li raccontino. Oggi, purtroppo, il Pd non è capace di emo-


INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO

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zionare gli elettori, la destra, invece, è stata capace di mettere in moto alcuni meccanismi profondi di identificazione. Andiamo sul suo territorio. Pretore a Prato, pm a Foggia, sostituto procuratore alla Dda di Bari, i gradi di membro della commissione antimafia se li è con-

quistati sul campo, ed oggi non è prolifico solo di libri (viaggia su una media di uno all’anno) ma anche di interventi legislativi. L’attività di legislatore lascia spazio alla creatività?

Credo che qualsiasi attività, tranne alcune particolarmente usuranti, lascino spazio alla creatività. Posso dire che ora ho più tempo rispetto


Silvia Grassi

al lavoro in procura o alla Direzione antimafia. Il lavoro di magistrato è un’attività delicatissima, in cui una persona ha la diretta e quotidiana responsabilità di vite e conduce indagini sulle quali deve prestare un’attenzione quotidiana a volte spasmodica. Non voglio dire che in Parlamento non sia la stessa cosa ma non si tratta di un ruolo monocratico: il parlamentare semplice, come me, senza presidenze di commissioni o incarichi specifici, ha un ritmo meno frenetico rispetto ad un sostituto procuratore.

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Come si trova nella nuova veste di legislatore? Meglio scrivere, fare indagini o legiferare?

Fare l’investigatore dà una gratificazione immediata, ma la cosa che nel complesso dà una gratificazione incomparabile è la scrittura. Se mi chiedessero di scegliere, non avrei dubbi, voglio continuare a fare lo scrittore. La politica è una parentesi, ma tutto del resto è una parentesi. Mi piacerebbe molto poter partecipare ad “una bonifica della politica” anche rispetto a certi toni che trovo insopportabili e mortificanti. Nella scorsa legislatura si è parlato di rendere più stringente la normativa che regolamenta la discesa in politica dei magistrati. Cosa ne pensa?

Sono d’accordo sul principio che bisognerebbe ulteriormente rafforzare la cesura tra il luogo di lavoro di un magistrato e il collegio della sua candidatura. Servirebbero delle nor-

me ancora più stringenti per separare l’ambito territoriale. Ho molti dubbi, infatti, sul fatto che un magistrato possa fare il sindaco nello stesso luogo dove ha esercitato l’azione giudiziaria. Sulla questione dell’ eventuale rientro nelle funzioni giurisdizionali, invece, la soluzione non può risiedere in un divieto né in drastiche ipotesi legislative. In passato i magistrati erano di più. In questa legislatura tra Camera e Senato si arriva al massimo a un 2%, ma la percezione esterna è che ce ne siano molti di più, questo perché spesso in Parlamento ci vanno magistrati visibili o molto visibili che producono una sorta di illusione ottica. La letteratura è ricca di precedenti su magistrati che, diventati deputati o senatori, cambiano il loro giudizio negativo su chi è chiamato a fare le leggi. Il suo sta cambiando?

Mai avuto un giudizio negativo tout court. Avevo un punto di vista molto critico su come le leggi vengono scritte e approvate e lo mantengo, anche se cambiare idea, in generale, non mi sembra una cattiva abitudine. Altro tema caldo, le intercettazioni. Da magistrato, quale ritiene debbano essere i paletti tra tutela della privacy, esigenze degli inquirenti e diritto di cronaca?

Una premessa è utile. Io non ero affatto popolare tra i giornalisti quando facevo il magistrato perché dal mio ufficio non usciva niente. Questo fa capire, più di mille di-


INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO

scorsi teorici, come io la pensi in materia di tutela della riservatezza dell’indagine e delle persone coinvolte nell’indagine. Esiste sicuramente il problema, perché certe fughe di notizie sono inammissibili, ma la soluzione che si cerca di dare con questo disegno di legge sulle intercettazioni, così com’è oggi [al 4 marzo, ndr], è una pura aberrazione. Ma, non ha mai avuto la percezione di un uso disinvolto o eccessivo delle intercettazioni da parte di suoi colleghi?

Assolutamente sì, non posso negarlo. Ricordo quando venivano da me ufficiali di polizia giudiziaria a chiedermi in un colpo solo trenta o quaranta intercettazioni a pioggia. Io le rigettavo perché le intercettazioni devono, già ora, essere specificatamente pertinenti ad un obiettivo investigativo. Non sono contrario ad introdurre dei limiti temporali perché consentono di evitare gli ascolti a tempo indeterminato ma è al tempo stesso necessario garantire la possibilità di continuare le intercettazioni se succede qualcosa di eccezionale verso la scadenza del termine, una specie di valvola di sicurezza. Le intercettazioni non vanno eliminate ma sono del parere che si debba restringerne l’uso. Sarei favorevole ad istituire dei meccanismi più stringenti di controllo sulla divulgazione delle intercettazioni, a renderle più rapidamente smaltibili, a ridurne la durata, ma tutto questo va affrontato con un approccio serio.

Processi in tv: Cogne, Garlasco, Perugia. Che effetto le fa la giustizia mediatica?

Io mi sono sempre rifiutato di partecipare a questo genere di programmi televisivi. Del resto oggi non se ne vedono più di magistrati che vi partecipano. Penso malissimo di queste trasmissioni in cui si anticipano o si riproducono i processi che dovrebbero celebrarsi nella sede propria. Ci sono colpe collettive in cui si mischiano alcune spregiudicatezze professionali, cospicue vanità e a volte dei progetti piuttosto spregiudicati di alcuni avvocati che vorrebbero interferire nel processo vero e proprio, grazie al processo mediatico. Ma questo è un altro capitolo di cui si è già occupato il garante. Bisognerebbe normare anche questo ambito trovando un punto d’equilibrio tra diritto di cronaca e necessità di evitare strumentalizzazioni mediatiche. Figlio d’arte, ha iniziato la sua carriera di scrittore a quarant’anni, mentre si districava tra processi e faldoni. Cosa l’ha fatta iniziare a scrivere? Era una vecchia passione sopita o un amore tardivo?

Una vecchia passione. Una cosa che avevo sempre desiderato fare ma che non riuscivo mai ad iniziare per pigrizia o per vigliaccheria. Poi nel 2000, dopo un’estate di crisi personale, ho capito che era proprio arrivato il momento di iniziare. Il mio inconscio me l’ha detto facendomi stare male. Mi sono reso conto di non avere scelta e quindi a settembre ho iniziato a scrivere quello

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che sarebbe diventato “Testimone inconsapevole”, il mio primo libro che ho finito nel maggio del 2001. Per gli amanti delle metafore, nove mesi esatti. Dall’esordio nel 2002 con Testimone inconsapevole, edito da Sellerio, al primo romanzo, Né qui né altrove. Una notte a Bari, pubblicato lo scorso novembre da Laterza, in cui, per la prima volta, raccontando la sua città, lei parla in prima persona e si svela. Dopo che l’hanno paragonata a Turow e a Grisham, in quanto narratore preciso e attento della realtà processuale, perché ha deciso di cambiare genere e casa editrice? Una svolta o un caso?

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È solo una coincidenza. La casa editrice Laterza ha questa collana di libri che si chiama Contromano sulle città raccontate da narratori che le vivono. A me aveva chiesto una pubblicazione su Bari, già molto tempo fa. Questo libro è diverso dagli altri sia per il genere sia perché è quello a più alto tasso di autobiografia. Molti flashback, infatti, raccontano fatti realmente accaduti. Ma è solo un’autobiografia sentimentale, la struttura narrativa è romanzesca. Dall’avvocato Guerrieri, protagonista del foro, ai ricordi che si dipanano nella notte di Bari. “Écrire un roman ou en vivre un, n’est pas du tout la même chose, quoi qu’on dise. Et pourtant notre vie n’est pas séparée de nos oeuvres”. Parola di Marcel Proust, per cui scrivere un romanzo o viverne uno non è affatto la stessa cosa.. E tuttavia, non è possibile

separare la nostra vita dalle nostre opere. Cosa c’è di Carofiglio nell’avvocato Guerrieri?

Me lo chiedono da diversi anni e rispondo sempre nello stesso modo: è un bene che il mio personaggio sia un avvocato, e non magistrato, perché mi ha permesso di raccontare un mondo a me molto noto con un angolo visuale del tutto diverso e questo penso sia fondamentale per la qualità della scrittura. Proprio


INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO

Proust diceva che il vero viaggio di scoperta non è vedere posti nuovi ma avere occhi nuovi. Per me raccontare dal punto di vista dell’avvocato è stato avere degli occhi nuovi sul mondo dei tribunali che conoscevo molto bene e che altrimenti, proprio per questo eccesso di conoscenza e consuetudine, avrei rischiato di raccontare tralasciando dei particolari importanti. La scrittura, invece, si fa soprattutto con i

particolari. Quando mi facevano la domanda sull’avvocato Guerrieri, all’inizio rispondevo che non c’era nulla di autobiografico, poi visto il suo successo con il pubblico femminile, sono diventato più flessibile. Umane debolezze. Mi dica qualcosa in più, altrimenti non c’è niente di nuovo.

Ha ragione. Faccio una considerazione. Penso che in questo personaggio si mescolino una serie di

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caratteristiche mie con altre che vorrei avere. Questo meccanismo si è intensificato con il passare del tempo, quasi che mi sia reso conto della possibilità di poter soddisfare qualche mio desiderio attraverso questa mediazione letteraria. Che cosa ha in più di lei l’avvocato Guerrieri?

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Io non mi sono mai buttato con il paracadute, anche se mi sarebbe piaciuto molto, a lui l’ho fatto fare in Ad occhi chiusi. Tante esperienze che non ho fatto le faccio fare a lui. Gli attribuisco delle qualità che io non ho, ma che vorrei avere. Ma non vi dirò quali sono. L’editore Elide Fazi, noto per aver trasformato in un caso editoriale Melissa P. e i suoi Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire, in un’intervista al Corriere Magazine, alla domanda: “Ha mai rifiutato un autore che poi ha avuto successo?”, cita il suo nome dopo quello di Dan Brown e racconta che lei ha incorniciato e messo in bella mostra, nel suo salotto a Bari, la lettera di rifiuto. Com’è andata?

È tutto vero, tranne la storia della cornice. Loro mi risposero molto tempo dopo, quando il manoscritto era già stato pubblicato, dicendo che per loro, testualmente: “si trattava di opera senza prospettive commerciali”. Il tempo è stato galantuomo. Basti pensare che in questi giorni è uscita la cinquantesima ristampa di Testimone inconsapevole, una vera consacrazione


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per lei, che si aggiudica il record italiano, tra gli autori viventi, di ristampe del suo primo libro, un best seller che ha superato Camilleri (46 edizioni) e l’autore di “Gomorra”, Roberto Saviano, arrivato a quota 49. Come legge quell’episodio, con il senno di poi?

Certamente è un episodio che ricordo con simpatia. In senso metaforico è come se l’avessi incorniciato nella memoria, quel primo rifiuto. A volte, infatti, succede che i manoscritti, se arrivano in casa editrice senza segnalazione, vengano letti in modo burocratico o non vengano letti del tutto. Ma è una prassi assolutamente normale, sono tantissimi i manoscritti che arrivano alle case editrici e serve un criterio di selezione. La vera scrittura è l’arte del togliere, il labor limae tanto caro ad Orazio. Questo è anche uno dei pregi riconosciuti ai suoi thriller, che l’hanno fatta salire nella top10 degli scrittori italiani più seguiti. Quando scrive pensa al pubblico o lo fa perché è un’esigenza ineluttabile?

sato è una terra straniera, diretto dal regista Daniele Vicari, che ha debuttato al Festival di Roma. Sullo schermo, però, le sue storie non hanno la stessa fortuna che sulla carta, come se lo spiega?

Quello di Vicari mi è sembrato un buon film, con la sua personalità. È diverso dal libro. Ma questa diversità è inevitabile. I film per la televisione sui miei precedenti libri, invece, sono stati frutto di un equivoco, non mi sono piaciuti particolarmente. Sono stati fatti alcuni errori che li hanno resi deboli, primo tra tutti l’ambientazione. Sono stati girati in un paese (Trani) e non a Bari, privando le storie del loro fondamentale connotato metropolitano. Come ascolti sono andati molto bene, ma non rappresentavano appieno i miei libri.

Né l’uno, né l’altro e tutti e due. Bisogna scrivere per comunicare. Non esiste un lettore ideale o un pubblico personale. Il lettore che mi piace è quello che più mi si avvicina: preferisco i libri in cui ci siano dei personaggi in cui ci si possa immedesimare, con delle buone storie in cui i personaggi scavano nell’intimo e l’autore non ti salti addosso, non pretenda di spiegarti come funziona il mondo.

Top secret, sono progetti internazionali importanti. Per quanto riguarda la scrittura è in uscita, ad aprile, per la collana i Sassi di nottetempo un libricino di quaranta pagine, Il paradosso del poliziotto, un dialogo tra uno scrittore e un ispettore sull’arte dell’interrogatorio. In questo piccolo libro è nascosto un manuale di tecnica investigativa che, inaspettatamente, racchiude diversi piani di lettura e ha anche una dimensione filosofica. Sto scrivendo anche un altro romanzo con l’avvocato Guerrieri. Uscirà entro l’anno, spero.

I suoi libri sono stati trasposti sul piccolo e sul grande schermo. Ultimo Il pas-

Parliamo del suo “nuovo lavoro” al Senato. Come si trova a Palazzo Madama?

Altri progetti cinematografici?

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Bene. Sono un curioso. È un’esperienza molto interessante che però presenta dei rischi, come quello di perdere il contatto con la realtà. Io credo di esserne parzialmente immune, perché una persona che si occupa anche di altro resta ancorata alla realtà. Il rischio maggiore lo corrono i “politici di professione” che hanno un grado di autoreferenzialità molto alto.

un lavoro d’individuazione di questi valori fondanti, poi bisogna dar loro dei nomi impostando il successivo lavoro politico in coerenza con questi valori. Solo dopo si potrà vedere chi sta dentro e chi fuori. Se non si fa questo lavoro preliminare non si va da nessuna parte. Il collante di un partito non può essere semplicemente quello di tenere insieme qualcuno contro qualcosa.

Il Senato diventerà mai scenario di un suo libro?

Concorda anche che il Pd cerca di tenere insieme anime incompatibili, come gli ex democristiani e gli ex comunisti e che, come qualcuno ha rimproverato a Veltroni, è mancata la linea politica?

Non credo, perché non sono molto attratto dal Palazzo, ma mai dire mai. 144

Come si trova con le diverse anime del suo partito? Con i tanti ex Dc? O con i teodem?

Mi riconosco nella posizione maggioritaria del partito. Sul testamento biologico, per esempio, esiste una posizione maggioritaria, quella del ddl Marino, in cui io mi riconosco. Poi è vero che su molte questioni non si è ancora arrivati alla sintesi, non c‘è ancora un punto di vista comune. Come dicevo prima, il problema più grave del Pd, è che non ha espressamente fatto un lavoro di individuazione dei suoi valori fondanti, non li ha nominati.

Il Pd organizza una miriade di iniziative e incontri pubblici ma poi la sostanza non è ancora definita. Ci illumini: qual è l’anima del Pd?

Sono d’accordo con lei e credo che prima di tutto è necessario fare

Io non so se siano incompatibili. La compatibilità o meno si valuta dopo aver fatto un lavoro di individuazione dei valori fondanti. Non c’è dubbio che c’è anche il problema della collocazione europea, che credo si risolverà con la federazione con il Pse. E penso che non ci si possa permettere di andare oltre il congresso. C’è un bel libro di Norberto Bobbio, Destra e sinistra, in cui l’autore spiega molto bene perché hanno senso le distinzioni, io parlo di valori di quel genere. Sono rispettabili sia gli uni che gli altri, poi ognuno può scegliere con quali valori identificarsi. Fantapolitica. Passa la riforma presidenzialista, si candida, viene eletto dagli italiani, cosa farebbe?

Non mi candido. Non sono per il presidenzialismo. Ci sono molte altre cose che vorrei fare, non questa. Negli ultimi tempi, mi sono arrivate


INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO

molte lettere, in cui alcuni miei lettori mi chiedono di candidarmi alla segretaria del Pd. Non lo farei mai, non è il mio mestiere, il potere non mi ha mai attratto. Non farei mai né il ministro né il presidente di Regione, il potere non è per me. Lo detesto. Mi piace partecipare alla discussione che spero porterà a un cambiamento nel Paese. Voglio dare il mio contributo di pensiero. Torniamo a Carofiglio scrittore. I suoi libri riescono a mettere d’accordo maggioranza e opposizione. Le è riconosciuto il merito di saper raccontare. Tra i suoi estimatori vanta anche un gruppo di detenuti che, dopo essere stati condannati da lei, hanno voluto l’autografo.

Confermo. Il loro avvocato mi ha avvicinato e mi ha chiesto di firmare le loro copie del mio libro. Ma c’è stato anche un episodio più toccante. Tempo fa, mi scrisse un ragazzo che avevo fatto arrestare per associazione mafiosa, e mi chiese di avere un mio libro, perché in carcere, nonostante andasse a scuola, non lo riusciva ad avere. Io glieli feci avere tutti e cinque. Mi ringraziò con una lettera molto bella in cui mi scrisse che li avrebbe regalati alla biblioteca perché voleva che li potessero leggere anche gli altri detenuti. L’idea che la gente possa cambiare mi è sempre piaciuta molto.

L’Intervistato

GIANRICO CAROFIGLIO

Barese, classe 1961, entra in magistratura nel 1986. È stato pretore a Prato, pubblico ministero a Foggia e sostituto procuratore alla Direzione distrettuale antimafia di Bari. L’esordio nella letteratura è del 2002, con la pubblicazione di Testimone inconsapevole (Sellerio), giunto alla cinquantesima ristampa e seguito da altri quattro romanzi. Nel 2005 ha vinto il premio Bancarella con Il passato è una terra straniera (Rizzoli). È stato eletto senatore per il Partito democratico alle ultime elezioni politiche ed è membro della commissione antimafia e della commissione giustizia.

L’Autore SILVIA GRASSI

Giornalista, conduttrice e autrice televisiva in Rai e in Tv locali. Collabora con il quotidiano Il Mattino ed è direttore responsabile del sito www.7itv.tv.

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ra fumetti e politica, ecco la parabola ideologica dei protagonisti dei comics americani, che dopo guerre, battaglie per i diritti civili e lotta al terrorismo, affrontano la difficile situazione economica mondiale.

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Supereroi: la nuova identitĂ del terzo Millennio


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La storia degli intrecci tra fumetto e società è lunga e articolata. Perché i balloons dei Comics sono passati dalla propaganda in periodo di guerra, alla rappresentazione dell’incubo nucleare, dalle curiosità su mondi e realtà extraterreni alle più consolidate paure metropolitane, passando per la stagione della rivendicazione dei diritti civili. La storia recente del fumetto supereroistico, anche grazie alle mega produzioni hollywoodiane, racconta poi di un successo così straripante da superare i confini statunitensi sdoganando nell’immaginario collettivo dell’intero villaggio globale gli eroi in calzamaglia e il loro affiancarsi all’attualità politica e internazionale in un interessante e scambievole rapporto di pulsioni e suggestioni. A partire dagli anni Ottanta e per più di un decennio la storia dei Comics americani e dei supereroi può essere letta come un grande romanzo a puntate sulla giustizia e il senso di sicurezza. Personaggi da campioni di virtù diventati vendicatori dubbiosi in primo luogo sulle capacità delle istituzioni di riuscire a difendere i cittadini, in un crescendo del livello di realismo contenuto negli albi, tale da riuscire a travalicare il carattere bidimensionale dei book e consegnare il meglio delle storie patinate direttamente al genere dell’anteprima cinematografica in fotogrammi. Il climax di questo percorso viene raggiunto con la pubblicazione di 300 (Dark Horse Comics, 1998) di Frank Miller e con Watchmen (DC Comics, 1986-

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1987) di Alan Moore, per poi, nel polavori Batman Year One (Batpieno dell’era di George W. Bush man: Year One, DC Comics, aprirsi un momento di riflessione e 1987 nn. 404-407) e The Dark di innovazione che verterà sopra gli Knight Returns (Dc Comics, 1986), effetti dell’11 settembre e della un’ossessione che aveva rigenerato guerra al terrorismo. non solo la tradizione legata alla Nel bagno di sangue dei 300 alle creatura di Bob Kane (1939) ma Termopili Frank Miller rinnova e tutto il Comic World. consegna all’estetica popolare Una indagine sul senso antropologil’origine della nostra civiltà, risco- co della paura, invece, è quella prendo le fondamenta dello Stato che Alan Moore completa con la di diritto. La sua graphic novel non pubblicazione di Watchmen (dal 6 è che il racconto dei momenti della marzo del 2009 il film è nei cinema nascita di questa idea, momenti per la regia sempre di Zack Snycolti così magistralmente, sia nel fu- der). La DC Comics gli mette nelle metto che nella trasposizione cine- mani un universo di supereroi di sematografica di Zack condo piano apSnyder, attraverso la pena riscattato da Alan Moore voce del fedele soldauna casa editrice con la pubblicazione to del Re Leonida, Deminore e Moore lio, che nel mentre la ne organizza una di Watchmen indaga lega greca si apprecoerente apocail senso antropologico sta a cogliere la vittol i s s e. Who della paura ria definitiva a Platea watchs the watcontro l’oscurità della chmen. La gente schiavitù persiana, spiega perché si è stufata dell’impunità con la quaessi (i greci, ma leggi anche gli le i supereroi possono muoversi. americani) salveranno un mondo Danni collaterali, perdite da fuoco “da tradizioni vecchie, antiquate, amico, l’umanità si è dimenticata stupide” in nome della giustizia e dei servigi durante la guerra e del della libertà (“Daremo inizio a un vantaggio tattico che essi rapprefuturo più luminoso di quanto pos- sentano contro il nemico sovietico. siamo immaginare”) contro il misti- Così sullo sfondo di una classica cricismo e la superstizione. Dopo que- si nucleare Usa/Urss, la polizia ha sto lavoro Miller letteralmente frena indetto uno sciopero perché il suo la sua vena produttiva, è infatti lavoro si è fatto impossibile e la giunto al termine della sua persona- gente è con lei, contro gli eroi; il sele ricerca sul senso della giustizia e natore Keene riesce a far approvare della lotta degli uomini per rag- un decreto che pone fine alle attivigiungerla, un’ossessione che lo tà supereroistiche, dichiarando illeaveva accompagnato dalle prime gale l’utilizzo di “talenti strategicafasi della sua carriera e nei suoi ca- mente utili” al di fuori dell’iniziativa


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governativa. L’uomo conoscerà (Born, n. 4 Marvel Entertainment l’apocalisse non tanto da dover 2003), ovvero le esperienze vietscomparire, ma purtroppo la cono- namite che portarono Frank Castle scerà perché è irrimediabilmente a diventare lo psicotico vigilante corrotto. La serie Watchmen pur che conoscono tutti i lettori dei fucollocandosi temporalmente in un metti Marvel. mondo ante caduta del Muro di L’attualità oramai supera per violenBerlino e avvalendosi della grafica za la finzione. La guerra in Iraq ridi un cartoonist impeccabile ma pri- porta a galla le scorie del Vietnam vo di originalità come Gibbons, ed Ennis con il suo Punitore fa entraapre le porte al mondo del fumetto re con quaranta anni di ritardo i letverso tutta quella letteratura fantasy tori di oggi dei Comics nel peggior che scandaglia il senso dell’ansia Vietnam che cinematografia ricordi, da ultimo giorno, una natura umana un mondo non così distante dalle vista sotto una lente esistenzialista immagini a tinte rosso cremisi che i quasi sartriana, una lettura che ha Tg sparano sui media a diffusione one-to-one delfatto di Watchmen il l’era digitale glocapolavoro fumettistico Dagli anni Ottanta considerato più di sinibale, così se Milla storia dei Comics stra dagli anni Ottanler e Moore sono americani è un grande giunti alla realizta. Watchmen anticipa romanzo sulla giustizia zazione compiualcuni aspetti della trata della elaborae sul senso di sicurezza zione estetica di ma dei disneyani Inun’idea di crimicredibili (2004), temi del mega-crossover della Marvel ne e ad una disamina sulla natura Civil War (2006-2007), ispira evi- umana, realista, coraggiosa e scordentemente il truculento The Boys retta, che sconfessa l’indulgenza (Wildstorm e poi Dinamite Enter- con cui le istituzioni democratiche tainment - 2007) di Garth Ennis (in occidentali negli ultimi decenni si Italia, Le regole del gioco, 2008, sono rapportate in materia di sicuPanini Comics), fumetto in cui degli rezza o corruzione, i personaggi di agenti della Cia, archètipi di anti- Ennis non si limitano a combattere supereroismo, se ne vanno in giro titanicamente l’ingiustizia, diventaper il mondo a punire eroi in calza- no ingranaggi della malvagità in maglia corrotti e arroganti facen- uno straniante rapporto che confondolo nei modi più violenti. Ed Ennis de bene e male in un unico momenè diventato l’autore di questo filone to di depravazione. giustizialista, erede designato di Ma la guerra al terrorismo è là, le Frank Miller, dopo aver dato alle Torri Gemelle sono venute giù e nulstampe una versione delirante e la è più come prima. La spaccatura splendida delle origini del Punitore nella coscienza del paese a stelle e

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strisce diventa ora centrale nel rac- intellettuale no-global che spacca il conto supereroistico. Così con le se- gruppo. Emblematica nella serie Ulrie degli Ultimate (2002), la Mar- timates, oltre la dialettica tra neovel, attraverso il lavoro di nuovi car- con e liberalismo di sinistra, resta la toonist come lo scozzese Mark Mil- vignetta in cui un Cap alle prese lar, consacra alla visione neocon- con un extraterrestre nazista indicanservatrice Capitan America e i Ven- dosi la “A” sopra la testa grida: dicatori (Capitan America, Giant «Credi che questa lettera significhi Man, Hulk, Iron Man, Occhio di Francia?», riferimento piuttosto esplicito alle tensioni diplomatiche Falco, Thor, Wasp). Quando appare la prima serie de- tra l’America di Bush e la Francia gli Ultimates l’idea è quella di forni- di Chirac, laddove gli americani re una versione strettamente contem- non si arrendono e i francesi inveporanea e aggiornata, ultimate ap- ce sì. In una sola vignetta diventa quindi estetica anpunto, degli eroi che la crisi nei rapmarvelliani. George Nell’era di Bush jr. porti transatlantici, W. Bush ha richiesto anche i supereroi una crisi su cui si riche i supereroi fossetorna nella seconro impegnati nella hanno intrapreso da serie degli Ultilotta al terrorismo e la war on terror mates, allorché i Capitan America supereroi di Mark accetta senza tenpost 11 settembre tennamenti. È un CaMillar saranno copitan America che oltre ad indossa- stretti ad affrontare un asse del mare la bandiera americana e a bran- le riveduto e corretto (Cina, Corea dire il tradizionale scudo volante, fa del Nord, Iran, Russia e Siria) che uso di armi pesanti: bombe a mano si giova dell’appoggio di una pare pistole; quasi un ritorno ai tempi te deviata dei servizi segreti, nemdel fumetto di propaganda nei qua- meno a dirlo, francesi. li il vecchio supersoldato Steve Ro- Ma Cap e Iron Man sono coadiugers, che per puro patriottismo ave- vati da altri supereroi europei, Capiva accettato di farsi iniettare il siero tan Bretagna, Capitan Spagna e che lo avrebbe reso invincibile e Capitan Italia (avete letto bene), i senza età, combatteva i nazisti al quali da Bruxelles si preparano a fianco dei Marines. Capitan Ameri- non lasciar soli i Vendicatori. Come ca organizza spedizioni sotto co- dire che esiste però un’Europa buopertura in Iraq per salvare ostaggi, na (leggi l’Inghilterra di Blair, la si batte senza quartiere per far com- Spagna di Aznar e l’Italia di Berluprendere la natura di questa guerra sconi). La serie oltre che per l’inteanche a riluttanti membri del grup- ressante trasposizione in chiave pop po come Thor, il cui alter-ego non è di serie questioni geopolitiche, per più il timido dottor Don Blake ma un le scelte grafiche e per le novità ap-


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portate nella caratterizzazione dei personaggi segna una svolta significativa nel rapporto tra cinema e fumetto. I disegni di Brian Hitch sono infatti qualcosa di molto diverso dalla classica tavola dei Comics americani e di più vicino alle esperienze estetiche nipponiche come il famoso Akira (Manga di Katshuiro Otomo 1982/1990). Il tenebroso Tony Stark, alias Iron Man, diventa il frivolo genialoide che abbiamo visto nel recente film (2008) impersonato da Robert Downey Junior, i Vendicatori si fanno più cosmopoliti con un Occhio di Falco che da biondo con gli occhi azzurri finisce per assumere tratti latini, una Wasp che diventa asiatica e con un Nick Fury, il mitico capo dello S.h.i.e.l.d., il super

servizio segreto governativo della Marvel, che assume i tratti inconfondibili di Samuel Lee Jackson: se grazie a Frank Miller il fumetto ha assunto stilemi cinematografici con le storie di Mark Millar e Brian Hitch diventa difficile stabilire i confini tra i due media. Il fumetto supereroistico è oramai talmente compenetrato con il cinema da divenirne indivisibile, molto più di un mero soggetto o uno spunto per un adattamento. I Vendicatori che prossimamente verranno proiettati sul grande schermo non saranno che una copiatura in celluloide dei fotogrammi della versione ultimate degli eroi della Casa delle idee, con un intrecciarsi tra realtà storica contemporanea simile a

Capitan America, paladino dei diritti civili e coscienza critica della società americana

Creato da Joe Simon e Jack Kirby nel 1941, Steven “Steve” Rogers, aka Capitan America, nasce come personaggio di propaganda durante il periodo bellico. Conosciuto anche come Sentinella della libertà, rappresenta gli ideali di democrazia e libertà dell’America rooseveltiana contro i totalitarismi europei. Con la vittoria bellica degli Stati Uniti, il personaggio perde molto del suo appeal. Solo nel 1964, Stan Lee decide di riesumarlo all’interno della serie Avengers. Il Capitan America degli anni Sessanta è però un superoe diverso, dotato di una sensibilità che si adatta allo spirito di quegli anni. Cap è ora un paladino dei diritti civili, che lotta contro le ingiustizie sociali, di-

ventando, almeno fumettisticamente, la coscienza critica della societa americana. Le ultime avventure di Capitan America lo vedono addirittura scatenare una guerra civile tra supereroi, schierandosi contro il Superhero Registration Act, un provvedimento governativo ritenuto illiberale e che calpesta i diritti civili. In molti, e non a torto, hanno interpretato la posizione di Capitan America in chiave anti-Bush e contro il Patriot Act approvato dall’amministrazione americana negli anni immediatamente successivi alla caduta delle Twin Towers. La conclusione è tragica: Cap si arrende, si consegna alla giustizia e viene ucciso da un cecchino mentre si reca in tribunale per il processo.


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quanto osservato sempre nel recente film Iron Man, ambientato per lunghi tratti nell’Afghanistan di Enduring Freedom, in cui il protagonista Tony Stark rimane ferito. Arriva però il momento del disincanto dalla sbornia neo-con, è il risultato delle battute di arresto nella guerra al terrorismo e del dibattito oramai giunto nel paese oltre la soglia del dubbio amletico dopo l’approvazione del Patriot Act: è giusto restringere la libertà individuale in cambio di una maggiore sicurezza? Nelle edicole e nelle librerie americane arriva l’epopea di Civil War (2006-2007). Proprio la lotta senza quartiere tra Iron Man e Capitan America, la rottura della loro amicizia ultrade-

cennale e lo scontro fratricida è il tema centrale di Civil War (imperdibile il cofanetto deluxe edito in Italia dalla Panini Comics in cui in tre libri sono contenuti tutti i numeri della serie e i crossover - 2008). Dei giovani supereroi sprovveduti, durante un reality show nel quale devono catturare dei super-criminali, provocano la reazione violenta di uno di questi, nello scontro si scatena un’esplosione catastrofica che cancella una pacifica cittadina causando centinaia di morti. Gli eroi devono scegliere se sottoporsi al censimento governativo, rivelando la loro identità, oppure se diventare fuorilegge. Tony Stark alias Iron Man sta dalla parte del governo, Capitan America a sorpresa si ribella rivendicando la lontananza di tale legge dagli ideali americani. Si formano due distinte coalizioni di supereroi e presto diventa guerra. Spiderman confesserà la sua identità in diretta Tv in un primo momento appoggiando la visione di Iron Man, ma visitando il carcere di massima sicurezza per i supereroi fuorilegge, realizzato da Reed Richards il leader dei Fantastici Quattro, dove indipendentemente dalle accuse questi vengono privati di ogni più elementare diritto. Trovatosi a scegliere tra dovere e coscienza, Peter Parker opterà per quest’ultima dissociandosi da Tony Stark e unendosi al gruppo di Cap. La metafora di Guantanamo è immediata quanto scontata. È invece sorprendente la conclusione della saga, dove Capitan America si ar-

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rende in nome dell’unità del paese 676-681) il Cavaliere Oscuro muoe dei supereroi e nel porre fine alla re (Batman n. 681). Bruce Wayne lotta fratricida confida nel fatto che è a bordo di un elicottero che il vasto sentimento anti legge sul esplode... ma niente paura nessucensimento dei supereroi sia suffi- no trova il corpo e c’è da immagiciente a garantire un futuro agli narsi che l’uomo pipistrello tornerà ideali americani. Tutto ciò non ba- presto. Autore della saga è un altro sterà a salvarlo, Cap verrà infatti uc- maestro scozzese dei cartoon, ciso in un agguato proprio mentre Grant Morrison, i disegni sono delviene portato a giudizio. La saga l’ottimo Tony Daniel. Morrison rivisiporta ancora la firma di Mark Mil- ta la notte più importante nella vita lar e di un certo valore sono anche del miliardario di Gotham City, i crossover dei Nuovi Vendicatori quella in cui furono assassinati i di Brian Michael Bendis, autore col- suoi genitori. Nella saga Batman R.I.P. si raccontano tivato nel filone Ultiretroscena inediti. mate, da segnalarsi Patriot Act, guerra anche le matite di Un criminale, il Dr. al terrorismo e crisi Hurt, si rivela a BatSteve McNiven e Humber to Ramos economica: i Supereroi man per essere Thomas Wayne, il ch e d i se g na u n si schierano sui temi padre, dicendogli Wolverine – il mutante dallo scheletro che dividono l’America di essere stato lui tanti anni prima ad di adamantio e gli artigli retrattili già membro storico organizzare l’omicidio di Martha degli X-Men – al massimo delle sue Wayne. Il presunto padre di Bruce potenzialità nei crossover di Mark partecipava a festini a base di sesGuggenheim (autore Tv per The so e cocaina sul modello di quelli Practice, Law and Order, Brothers in cui è stato colto il presidente della Formula Uno Max Mosley e lo and Sisters). Ma se con il Patriot Act muore Ca- faceva assieme a sua moglie Marpitan America, con la crisi econo- tha, la mamma di Bruce. Da qui il mica dei nostri giorni che travolge ricatto: Bruce Wayne deve rinunun’idea di sogno americano tutta ciare alla sua identità notturna e da ridefinire, è Batman a morire: la appendere la maschera al chiodo, DC Comics sentenzia infatti “la viceversa verranno rese pubbliche morte” anche del suo più prestigio- le prove dello scandalo. so character e nel momento di Grant Morrison rimescola tutte le maggior successo e visibilità del- carte sui personaggi protagonisti l’uomo pipistrello dopo il risultato della notte dell’omicidio dei genitori di botteghino del Dark Knight di del Cavaliere Oscuro, lo stesso fido maggiordomo Alfred viene ventilato Christian Bale. Nella saga Batman R.I.P. (Batman fosse il vero padre di Bruce, in una


IMMAGINARIO

saga che disorienta non solo Batman, ma anche il lettore e dà un volto alla confusione e alla perdita dei punti di riferimento di una società che si credeva giunta ad un livello di intangibilità ultrasecolare e che invece dopo l’orrore dell’attacco terroristico apocalittico deve osservare le proprie prestigiose istituzioni economiche in bilico sull’orlo del baratro: è stato tutto un inganno? Batman come gli States danza sull’orlo delle sue allucinazioni, in un abisso che per troppo tempo non ha avuto il coraggio di affrontare, sconvolto e disorientato troverà la morte volendo a tutti i costi arrivare finalmente a vedere il fondo di quel baratro. C’è da augurarsi che il sogno americano rinasca, come necessariamente sarà per il Cavaliere Oscuro. Un augurio che Stan Lee, il Guru della Marvel, dirige direttamente al neo presidente americano attraverso la bocca di uno Spiderman che gli dà il benvenuto. Nel numero 583 di The Amazing Spider-Man, Spidey incontra proprio Barack Obama e i due si ringraziano a vicenda. «Questo è il tuo giorno - dice Spidey a Obama - e non penso sia il caso di farti vedere in giro con me. E poi credo che Biden sia ancora arrabbiato con me perché quella volta sul treno l’ho scambiato per l’Avvoltoio». «Hey, aspetta - risponde Obama Sono un tuo fan da tanto tempo e prima che vai volevo dirti: “Grazie amico!”». Il giorno dell’investitura del presidente degli Stati Uniti, non abbia-

mo visto Spiderman sul palco accanto a Bruce Springsteen e Will Smith, ma, potete giurarci, stava lì da qualche parte sul tetto del Lincoln Memorial ad aspettare come tutti gli Usa, con il petto gonfio di speranza, l’arrivo a Washington D.C. di Barack Obama. Stava lì, pronto come tutti gli altri supereroi, a contribuire in qualche modo alla rinascita del paese a stelle e strisce.

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l’autore

GIAMPIERO RICCI Giornalista pubblicista, si occupa di letteratura, cinema e cultura pop. Collabora con il quotidiano liberal, il Domenicale, l’Occidentale e Ffwebmagazine.


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La crisi dei valori tra i ragazzi

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Gli adolescenti di oggi cercano con ogni mezzo di accelerare il loro ingresso nel mondo degli adulti. Ma questo desiderio frenetico li porta a vivere la realtà in modo sempre più distorto. DI PIETRO URSO

A chi si occupa di educazione e di problemi dell’età giovanile non è certamente sfuggito quanto negli ultimi anni la stampa, in particolare, e tutti i mass-media in genere, hanno messo in evidenza a proposito dell’uso superficiale o distorto della sessualità, e quindi di ciò che viene denominato “analfabetismo affettivosessuale”, dei giovani d’oggi. L’età dell’adolescenza si sta sgretolando e si sta sempre più assotti-

gliando, sta anzi quasi scomparendo, e in questo modo l’età dell’infanzia e quella adulta si stanno sempre più avvicinando. Gli adolescenti cercano continuamente nuovi limiti da superare, da oltrepassare. I giochi della propria età non bastano più, ne cercano altri, ora desiderano quelli degli adulti sperando in questo modo di diventare grandi prima del tempo, perché essere grandi per loro è sinonimo di libertà. Vo-


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gliono sentirsi liberi da ogni cosa, da ogni costrizione, da ogni limite. I ragazzi di età compresi tra gli 11 e i 15 anni sono freneticamente spinti a voler provare ogni cosa che ritengono prerogativa del mondo degli adulti, dalle libertà sessuali, alla droga e all’alcol, probabilmente perché pensano, in questo modo, di avere la capacità di saper scegliere quello che vogliono sentendosi così in grado di superare le costri-

zioni sociali imposte da un mondo che loro stessi vogliono imitare, ma che allo stesso tempo non vogliono capire. L’inchiesta Viaggio nel nuovo bullismo. Sesso a scuola di Stella Pende, pubblicata da Panorama, ad esempio, offre un interessante quanto inquietante contributo conoscitivo sull’argomento e non può non suscitare qualche seria riflessione su alcuni dei più importanti problemi che


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imperversano sul “pianeta giovani”. levisione dove la velina è l’unico e Certamente lo svilimento dei corpi, ultimo desiderio». Per tutti, poi, «il la mercificazione della sfera sessua- telefonino è un totem abbagliante, le, la facile dissacrazione di ciò che lo specchio delle loro bravate, l’occostituisce la dimensione essenziale chio per esplorarsi con la stessa cudell’essere umano, messi in eviden- riosità ghiacciata che userebbero za dall’inchiesta sopracitata, non ri- per provare la nuova playstation guardano la totalità dei giovani e 3». Una sorta di nuovo bullismo imdei giovanissimi ma, piuttosto, fran- perante ormai fa un massiccio utilizge di questo loro microcosmo, che zo della videocamera ed i filmetti tende a dilatarsi e ad espandersi erotici finiscono su Emule o Youtusotto l’influenza del massiccio con- be. Emule, in particolare, doveva dizionamento negativo della socie- essere un sito dove scambiarsi file, tà edonistica e consumistica. foto e video, invece è diventata la Quanto ci evidenzia spazzatura dei corla cronaca, però, inpi e dei sentimenti “Se fai la cubista terpella il mondo degli adolescenti adulto, promotore e sei una donna. Non più italiani, una sorta responsabile della di bolgia di video una ragazzina. Con formazione delle sexy dove, soprati clienti della disco nuove generazioni, tutto su un palcoperché venga argiscenico insospettatreschi solo se ti va” nata, quanto più bile come la scuopossibile, la banalizla, allievi e compazazione del sesso che colpisce gli gne danno prove di acrobazie sesadolescenti ed i giovani, con il di- suali incredibili, addirittura estreme. sincanto e il lacerante senso di vuo- Ho dodici anni faccio la cubista mi to che comporta. Da soli, o abban- chiamano principessa, è il titolo del donati alle leggi del branco, in no- libro di Marida Lombardo Pijola, me di una presunta, mascherata li- una giornalista-mamma che ha scobertà, infatti, i ragazzi sono incapa- perchiato il mondo delle discoteche ci di scoprire la bellezza e la fecon- pomeridiane, lasciando disorientati dità di un corretto e sano cammino nugoli di genitori davanti a frasi di verso I’alterità e l’amore; è facile, bambine come: «Se fai la cubista pertanto, che si verifichino determi- sei una donna. Non più una ragaznate dinamiche, dalle più semplici zina. Con i clienti della disco treschi via via fino alle più terrificanti:«Uo- soltanto se ti va. E puoi farti pagamini-bambini travolti dalla loro leg- re, se vuoi, così ti diverti e ci guadagerezza e da una specie di sec- gni. È come se fossi già grande, cochezza interiore» che fa usare loro me se avessi già un lavoro». Oppu«i corpi come fantocci da spettaco- re: «Naturalmente le cubiste anche lo. Piccole donne allattate dalla te- quest’anno dovranno essere pronte


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a servire se stesse nei bagni a pa- gazzi con una percentuale lievegamento su rikiesta. Prezzi modici mente inferiore. dai 5 ai 20 euro, sul cubo dovran- Chat, messenger, mail, mms e sms. no uscire le doti di lesbika con i ca- Tutto va bene per inviare le proprie pezzoli coperti da un nastro adesi- immagini ad amici e non. I dati, vo, e dovrete fare i giochini con le inoltre, sono destinati ad aumentare tette». Non è fantasia, è pura realtà nella fascia dei giovani adulti: un della società giovanile. È qualcosa ventenne su tre conferma di aver inche da noi è arrivato da pochissimi viato almeno una fotografia che lo anni, probabilmente importato da- ritraeva nudo o svestito; anche in gli Stati Uniti. Era del 2003 Thirte- questo caso la percentuale femminien, 13 anni, il film-choc ambientato le (36%) è più alta rispetto a quella a Los Angeles con protagoniste due maschile (31%). ragazzine (tredicenni, appunto) che L’espressione della propria sessualità online, comunque, vivono vite sempre non si esprime solo più pericolose tra Rete e telefonia sono con l’invio di fotosesso promiscuo, droga, fumo, alcol, grafie senza veli, il mezzo preferito piccoli furti, accenni ma anche con le dai teenager di lesbismo. chat e gli sms sul per dimostrare E ovviamente ogni cellulare. Il 39% debravata e ogni ricergli adolescenti dila loro indipendenza ca del limite deve chiara di inviare essere documentata messaggi a sfondo per essere inviata ovunque tramite sessuale, percentuale che raggiunge Internet o cellulare, perché i giovani il 59% tra i ventenni. In questo caso, d’oggi vivono nella filosofia della sono i ragazzi ad inviare un magcomunicazione globale e multime- gior numero di messaggi legati al diale, mentre il concetto di vita pri- sesso rispetto alle coetanee. Nella vata si disgrega sempre più, come maggior parte dei casi, gli scambi la stessa adolescenza. Rete e telefo- hot sono tra giovani che si frequennia sono il tramite preferito dai tee- tano e che hanno una relazione stanager per esprimere la propria ses- bile. Circa il 70% degli intervistati sualità e nello stesso tempo la pro- ha infatti confermato di aver inviato pria indipendenza. Durante una re- materiali a sfondo sessuale al procente indagine una ragazza su cin- prio partner. Tuttavia, un terzo degli que ha ammesso di aver inviato al- adolescenti ha dichiarato di aver meno una volta una fotografia che spedito immagini e testi allusivi a la ritraeva nuda o seminuda attra- persone conosciute da poco, ma verso il telefono cellulare o un mes- con le quali speravano di instaurare saggio mail. La stessa abitudine, un rapporto stabile. Ma dalla statisticomunque, è seguita anche dai ra- ca è emerso anche un 15% del

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campione che si è messo a nudo per soggetti dalla sola identità virtuale. Di schiena o davanti, maliziose ma non troppo: sono queste le foto che le ragazze si auto-scattano davanti allo specchio. Tutto destinato a coetanei e fidanzati. Perché la nuova moda delle ragazze di oggi è fotografarsi e spedire le proprie immagini. A volte anche dietro un pagamento, pari all’equivalente di una ricarica telefonica. Ed è proprio vero che i migliori affari si fanno sul web. Sulle bacheche che si trovano in Internet ci sono veri e propri tariffari. Dieci, quindici, venti euro. A seconda del tipo di fotografia. Un mondo dove ormai tutto si compra con il proprio corpo. Soprattutto se si è ragazzine e si è disinibite. Sembra, infine, certo che Internet e il cellulare abbiano ampliato l’esposizione ad una sessualità priva di inibizione e di tenerezza. L’allarme lanciato dalle divisioni investigative della polizia postale per la valanga di foto e video, così, non può lasciare indifferenti genitori e insegnanti dato che ragazzini di 12-15 anni recitano il sesso come adulti e l’età degli attori scende ogni giorno di più. Stando all’Eurispes, l’età del primo rapporto sessuale si è ulteriormente abbassata e risulterebbe a 11-12 anni per il 4% dei ragazzi e per il 2,2% delle ragazze, a 15-17 anni per il 19,3% dei maschi ed il 19,2% delle femmine, mentre il 57,2% degli adolescenti non avrebbe ancora sperimentato la sua “prima volta”. Interessante è anche la scelta del partner

per il primo rapporto: il 40,9% sarebbe avvenuto con una persona con la quale si ha avuto o si ha ancora una storia importante; il 13,3% con una persona con la quale la storia è stata di breve durata; il 6,6% con una conoscenza occasionale. Se per qualcuno, infatti, tali comportamenti sono frutto di esibizionismo o riguardano una forsennata ricerca del limite, per altri scivolano nella violenza di branco tanto che ricatti, soprusi e abusi non risparmiano nemmeno i ragazzi più deboli, o addirittura i portatori di handicap. Secondo la sessuologa Alessandra Graziottin, esisterebbe una sessualità “di deriva”, sempre più in aumento, mentre diminuisce lo zoccolo duro della sessualità sana. La sessualità, cioè, per i giovanissimi sembra sempre più slegata dall’affettività, una cosa drasticamente sperimentale dove il rapporto sarebbe visto e considerato prevalentemente in termini utilitaristici. Molte giovani, infatti, preferiscono mercificare il proprio corpo per arrotondare la paghetta dei genitori che non basta per uscire la sera, per comprarsi i vestiti griffati o per ricaricare il cellulare e parlare con gli amici. Ma non è solo colpa di Internet e telefonia mobile. Un ruolo importante è anche quello dei modelli comportamentali proposti, spesso nel modo più volgare, dalla televisione, che lancia come vincenti personaggi che sarebbero screditati in qualsiasi società che conservasse ancora intatti alcuni valori morali e perso-


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La girl culture raccontata dalle foto di Laureen Greenfild

Soggetti delle fotografie di Laureen Greenfield sono soprattutto i giovanissimi teenager americani, quella community di ragazze, che ai genitori chiedono regali sofisticati come un naso rifatto o seni al silicone. L’interesse dell’artista non sembra incentrarsi tanto sul piano estetico quanto, piuttosto, sui contenuti delle immagini, quasi voler tentare un reportage sulla rincorsa frenetica di molte ragazze per il raggiungimento di quella bellezza ideale proposta quotidianamente dai nostri mezzi di comunicazione. Una problematica tipica di una società estetizzante. L’obiettivo della Greenfield scorge una parata di tante Barbie maggiorate in concorso per Miss America, si intrufola negli spogliatoi di un grande magazzino, mostrandoci due ragazze intente a provarsi un Wonderbra, finisce per mostrarci teenager che appaiono come cloni in miniatura delle starlette, delle icone a cui tentano di assomigliare. Non è casuale che gran parte delle fotografie abbiano come sfondo la California e che siano state scattate a Los Angeles, capitale per eccellenza del mondo cinematografico e mass mediatico. È interessante notare come i lavori dell’artista spesso appaiono anche su riviste di moda, ovvero proprio accanto ai modelli in cui i soggetti dei suoi lavori cercano un punto di riferimento. Girl culture è il titolo dell’ultimo libro pubblicato dalla fotografa, ad indicare non una realtà esclusivamente americana, ma un vero e proprio fenomeno culturale, che colpisce il sesso femminile. I soggetti vanno dai quattro ai quarant’anni. Fotografie luminose, a colori vivaci, leggere, che in realtà nascondono profonde inquietudini e debolezze. Tutti i lavori sono accompagnati da un breve testo, estratto dalle interviste realizzate dalla Greenfield alle ragazze ritratte: tra le immagini - qualche volta sconcertanti, qualche volta divertenti (come quella in cui una bambina di quattro anni ha un trucco degno di un’attrice o quella che ferma una tredicenne intenta a depilarsi nel giardino di casa) - traspare un bisogno di essere desiderate e sentirsi riconosciute ad ogni costo. Ed è un mondo che l’artista sente molto vicino, dato che è nata e cresciuta a Los Angeles e che anche lei ha vissuto - come ha scritto in un suo catalogo - la sindrome da Beverly Hills 90210.

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nali. Scene di sesso in Tv influenzerebbero il comportamento sessuale dei teenager anche in età precoce. Ad essere messe sotto accusa sarebbero le trasmissioni che alludono al sesso senza però proporlo in maniera diretta con immagini o scene. È quanto sostiene la psicologa Rebecca Collins della Rand corporation, alla luce di uno studio pubblicato sulla rivista Pediatrics. La psicologa ha stimato che i ragazzi spettatori di questi programmi hanno una probabilità doppia di avere rapporti, rispetto ai giovanissimi che invece non dedicano molto del loro tempo a questo tipo di trasmissioni. L’indagine, che ha coinvolto 1.792 adolescenti tra i 12 ed i 17 anni, è durata due anni. I ragazzi dovevano compilare questionari per descrivere il tipo di prodotti televisivi di cui erano fruitori e quale fosse l’attività sessuale da loro svolta. I ragazzi sono stati richiamati a un anno di distanza per valutare eventualii cambiamenti nei loro comportamenti sessuali. I ricercatori hanno analizzato che i

ragazzi che l’anno precedente avevano assisitito a molte trasmissioni con contenuti che richiamano al sesso (un 10% del campione) avevano probabilità doppia di aver già intrapreso la loro attività sessuale rispetto ai coetanei che invece avevano visto pochi programmi con richiami al sesso. L’influenza della tv sui comportamenti dei giovanissimi è così dirompente, che anche un cambiamento minimo nei contenuti della programmazione di cui si fanno fruitori può avere un effetto profondo sui loro comportamenti sessuali. Dal momento che in media i giovanissimi vedono fino a tre ore di televisione al giorno, suggerisce la Collins, i genitori dovrebbero aver cura di controllare quantomeno la fascia oraria preferita dei propri figli evitando quella di prima serata che è di solito la più ricca di contenuti sessuali. Sono certamente dati che dovrebbero far riflettere un po’ tutti, dalle famiglie, che spesso non esercitano il loro ruolo di agenzia prima-


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ria educativa, alla scuola e a tutte struzzi per salvare l’immagine degli le altre agenzie il cui ruolo, spes- istituti scolastici; tutto ciò mentre da so, è solo proibizionistico, autorita- più parti si moltiplicano gli appelli rio e punitivo. Bisognerà far com- dei cittadini perché riconquistino prendere ai giovani che la sessua- l’autorità perduta, con le buone o lità è una componente importante con le cattive. della vita intima ed è per questo Dando uno sguardo alle odierne che occorre attribuirle un valore di- dinamiche sociali può essere utile verso da quello che spesso viene riscontrare la veridicità e l’attualità dato nei vari programmi televisivi, delle teorie di alcuni filosofi condove personaggi discutibili diven- temporanei volte ad interpretarne tano centrali nella conduzione dei genesi, articolazioni, sviluppi. Si programmi stessi indicando, di fat- pensi, ad esempio, all’opera di to, come l’uso del proprio corpo Zygmut Baumann e a quanto sostiene nella sua possa essere una facile acuta, e a tratti scorciatoia per ragLe giovani scelgono feroce, analisi giungere obiettivi di di mercificare il proprio a proposito del“fama” e di “denaro”! La cosa più grave è corpo per arrotondare la nostra epoca liquida, nella che tale tipo di spettala paghetta dei genitori quale tutto quelcolo può entrare senza alcun controllo nelle lo che fino a ieche non basta più case di ciascuno di ri ha dato sicunoi, trasmesso in prima rezza, ciò che serata, mentre altri programmi in- ha aiutato le generazioni passate formativi e formativi vengono rele- a fondare la propria vita, si sta digati in ore notturne. sciogliendo attraverso un cambiaNaturalmente, non influisce solo la mento di stato globale. televisione su determinati comporta- Per il sociologo e studioso britannico menti. Spesso, molto più importante di origini ebreo-polacche, la società è il ruolo e l’influsso della crisi della è liquida in tutte le sue espressioni: famiglia e della società nel suo liquido l’amore, liquidi i legami facomplesso. Lo sradicamento affetti- miliari, liquido il lavoro, liquidi i rapvo dal nucleo parentale fa aumenta- porti sociali, liquidi la solidarietà, la re la vulnerabilità dei giovani ed sicurezza, il diritto e la giustizia, gli abbassa le difese morali. ideali, l’identità, la stessa verità. Genitori e docenti annaspano in un Mentre nella società moderna del mare nero; presidi e professori, poi, XX secolo il problema dell’identità spesso a torto, vengono accusati personale e collettiva consisteva nel dall’opinione pubblica di avere costruirla e mantenerla stabile, sia paura di tali esecrabili fatti e di mi- dal punto di vista sociale, politico, nimizzarne la gravità facendo gli ideologico che da quello individua-

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le, nella società post-moderna, la nato, instaurare relazioni». Avere nostra, pare che il fine sia innanzitut- contatti, cioè “essere connessi” (coto quello di evitare ogni tipo di lega- me se si trattasse di internet) conta me, per lasciare aperte tutte le possi- più che il legarsi. Così come in rete, bilità. Se prima l’identità era un pro- connettersi e disconnettersi, seconblema da risolvere, un impegno, ad- do Bauman, avviene sempre più tandirittura un compito, ora è sradicata, to nei rapporti reciproci che nelle reè incertezza, non definizione di sé, lazioni. Purtroppo, però, se gli indisola affermazione di inadeguatezza vidui apparentemente mettono al pried incompletezza e si nasconde mo posto queste ultime, investendovi dietro la libertà di scelta, ma di una molte energie, in realtà non pensascelta mai definitiva e raggiunta. Se no ad altro che alla soddisfazione prima il problema era la “durabilità”, che da esse si può ricavare, «come ora è evitare impegni, se il moderno se si potesse godere delle gioie delsi caratterizzava per la relazione senza acciaio e cemento, il ingoiarne i bocconi Il protagonista post-moderno è fatto amari», o si potesdell’epoca di plastica biodegrase prendere senza dabile, se le parole dare, chiedere sencontemporanea d’ordine erano creaza offrire, avere è l’uomo senza re e struttura, ora sosenza soffrire. Il no riciclare e rete. legami affettivi «mondo pieno di II protagonista delpossibilità», specifil’epoca contemporaca ancora Baunea è l’uomo senza Iegami affettivi: man, «è come un buffet ricco di precosì gli uomini e le donne di oggi libatezze che fanno venire l’acquolisono «disperati perché abbando- na in bocca», tanto che l’individuo nati a se stessi, che si sentono de- può coglierle con il solo fine di gogli oggetti a perdere, che anelano derne e provare il massimo di soddila sicurezza dell’aggregazione e sfazione possibile. una mano su cui poter contare nel Alla luce di quanto considerato, rimomento del bisogno, e quindi an- sulta legittimo ascrivere consequensiosi di instaurare relazioni, ma nel zialmente la causa di alcuni fenocontempo timorosi di restare impi- meni che rileviamo ai nostri giorni gliati in relazioni stabili, per non di- proprio a questo humus culturale re definitive, poiché paventano serpeggiante nelle varie relazioni, che tale condizione possa compor- nelle famiglie, nella comunità civile. tare oneri e tensioni che non vo- I dati relativi a matrimoni, separagliono, nè pensano di poter sop- zioni, divorzi, figli, lavoro femminiportare e che dunque possano for- le, così, rapportati a quest’ultimo, temente limitare la loro tanto ago- assumono valenze e significati inegnata libertà di...sì, avete indovi- diti. Ne consideriamo alcuni a sco-


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po esemplificativo. Nel corso degli ultimi venti anni la convivenza familiare, da un punto di vista strutturale, ha subito una serie di contraccolpi consistenti, che ne hanno modificato l’impalcatura unitaria tipica del passato. Oggi, infatti, i tempi di formazione e di crescita della famiglia sono molto più lenti in quanto ci si sposa sempre più tardi (l’età media al primo matrimonio è di 32,2 anni per i maschi e di 29,5 per le femmine) e si rimanda la procreazione ad età sempre più avanzate. Su una popolazione di 1.000 abitanti, nel 1970 si avevano 15 nuovi coniugi ogni anno, nel 2005 solo 4,3. Nel 1971, ogni 100.000 maggiorenni si avevano 75 separati e divorziati all’anno, nel 1994 170 e nel 2003 il numero sale a 265. Dal 1992 gli ultrasessantacinquenni hanno superato per numero i bambini fino a 14 anni e il tasso di attività femminile ha raggiunto il 37,9%. I nuclei di convivenza solo nel 41% dei casi sono costituiti da una coppia con figli. Le coppie senza figli sono il 21%. Gli individui soli rappresentano il 26% delle famiglie. Le famiglie con un solo genitore sono arrivate all’8,7% del totale. II numero di figli per donna in media in Italia si attesta attorno ad una cifra ben modesta, 1,3, la più bassa nella classifica dei paesi europei. La tradizionale famiglia mononucleare, attaccata e pressocché distrutta da comportamenti superficiali, da mode, costumi e politiche irresponsabili che minano la sua stessa sopravvivenza, si è frantuma-


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ta in tante sottospecie diverse, con luogo le famiglie che hanno il diritproblemi differenti a seconda della to-dovere di orientare il progetto composizione, delle diverse modali- educativo dei loro figli e, in secontà di convivenza, delle condizioni do luogo, tutte le altre figure di riferimento, tra le quali g!i insegnanti. sociali ed economiche. Nonostante le difficoltà, le insuffi- Anche se la principale agenzia forcienze, i drammi che la connotano, mativa è la famiglia, la scuola decomunque, tale famiglia costituisce ve assolvere al compito dell’educaa tutt’oggi la cellula più importante zione sessuale intesa come avvio della società in quanto luogo privi- ad una “amministrazione” intellilegiato degli affetti, culla naturale gente e razionale, “umana”, insomdella vita e della formazione uma- ma, della propria sessualità. Essa è na, nonché unica, preziosa realtà uno dei determinanti più forti del nella quale I’accadimento e la cura rapporto umano: è una pulsione violenta verso l’altro della persona, fino che supera quella al tramonto dell’esiÈ corretto che a farsi della generica simstenza, pur richiedendo sacrificio, si carico dell’educazione patia, quella dei comuni interessi investono di tenerezsessuale siano tellettuali e, talvolta, za, d i g ra t u i t à , le famiglie e anche quella della d’amore. È quindi stima personale. È necessario che la nogli insegnanti una forza che ha il stra società diventi potere di stravolgepiù solida perché più familiocentrica; la famiglia, infatti, re i sentimenti e la ragione dell’uopuò contribuire a promuovere il pro- mo condizionandolo a sé. È quindi gresso sociale solo se fondata sul- un “qualcosa” che riguarda l’uomo l’amore solido, cioè su legami per nella sua totalità, che lo investe e lo lo più stabili che, conferendo una coinvolge interamente. Essendo la forte coesione e protezione recipro- sessualità una spinta al rapporto, ca ai suoi membri, ne alimentano la costitutiva addirittura molto spesso crescita ed il benessere fisico e spiri- del rapporto, l’educazione sessuale tuale. Perché l’amore diventi solido non può che essere l’educazione e possa solidificare sempre più la dell’uomo al rapporto con l’altro società mediante l’insostituibile fun- poiché è parte integrante dell’eduzione della famiglia, l’educazione cazione affettiva, sentimentale e affettivo-sessuale deve costituire uno dell’educazione alla vita. Si pone, dei capisaldi della formazione del- così, come pedagogia del rapporla persona, sin dalla più tenera età. to umano, dell’interrelazione, intesa È metodologicamente corretto che come rispetto reciproco e come aiua farsi carico dell’educazione ses- to vicendevole alla sublimazione suale siano gli educatori, in primo delI’io. Questi, ben strutturato, con-


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sapevole e ben identificato nel sé, Una materia così delicata che rideve entrare nella mistica del noi e guarda i meccanismi più sensibili anche nel campo della sessualità, dello psichismo di ogni uomo e in l’educazione deve mirare a vincere ogni momento della sua vita, pogla logica egocentrica dell’io per gia su una data concezione specifipassare a quella del noi. Un proget- ca della persona e della società imto moderno di educazione sessuale plicante un determinato modo di indeve pertanto rispondere alla ne- tendere la sessualità e la sua attivicessità di dare informazioni biologi- tà. Nel rapporto educativo, infatti, che associate a un’educazione so- la trasmissione dei contenuti non è cio-affettiva tesa non solo alla cono- mai avulsa da certi atteggiamenti, scenza dell’anatomia degli organi né per sua natura è neutra. L’enorsessuali e della fisiologia della ri- me letteratura sull’educazione sesproduzione, ma anche della dimen- suale si richiama, in modo ora implicito, ora esplisione relazionale a esse cito, a diverse correlata. Per citare un La sessualità vissuta antropologie, giudizio di Abbagnano, da cui i vari siamo nel settore più difmale è intrisa aspetti contenuficile, delicato e instabile di egoismo e tende tistici e metododella formazione giovaa usare le persone logici ricevono nile, nel quale nessuno si sente mai del tutto a per il proprio piacere coerenza. Scrittori ed edusuo agio, anche se ha catori, oggi, si davanti a sé un lungo iter di riflessione. Si dà educazione attengono, in sostanza, a tre grandi non del sesso, realtà biologica e in- antropologie: la permissiva, la nadividuale, ma della persona sessua- turalistica, la personalistica. Quata, ossia dell’uomo e della donna lunque filosofia di vita o religione che, sin dall’infanzia, devono essere che si ponga a fondamento delaiutati a prepararsi al loro stadio l’educazione sessuale deve essere adulto o a inserirsi come tali nel illuminata da alcuni principi accetcontesto socioculturale con piena tati a priori, che sostanzialmente ne consapevolezza della vocazione e costituiscono gli obiettivi: il rispetto del destino personali in ordine all’in- della persona umana come bene contro con l’altro e alla famiglia dì assoluto; la fedeltà agli impegni inelezione. I giovani che si appresta- terpersonali; l’umanizzazione del no alla vita, infatti, hanno bisogno sesso per sublimazione dalla sua di conoscenze precise e scientifica- angusta dimensione erotica a quelmente elaborate, ma soprattutto di la della fecondità e della creatività, essere orientati circa il significato a quella dell’amore; il senso del miglobale della sessualità e le sue fi- stero e della sacralità dei rapporto nalità. dell’individuo con se stesso, con gli

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altri, con la realtà. Tali principi sono propri dell’antropologia personalistica. In essa confluiscono gli psicologi umanisti come Bühler, Allport, Maslow, Rogers, avversi tanto al freudismo classico quanto al behaviorismo, mentre accolgono idee e intuizioni presenti in Brentano, Adler, Jung, Rank, Hartmann e Fromm. Si ricollegano a tale antropologia anche diversi pedagogisti come Braido, Agazzi, Stefanini, Flores d’Arcais, in Italia, e Ricoeur, in Francia. Di tale visione, o lettura antropologica della sessualità umana, vanno sottolineati, in particolare, alcuni punti salienti: la persona è percepita come essere raziona168 le, dotata di libertà e pertanto di responsabilità, orientata al trascendente e aperta all’altro, non per contingenze sociali, ma per necessità interiori; la maturazione sessuale implica oblatività e responsabilità; il rimando della soddisfazione sessuale è possibile se nell’individuo sono presenti valori che lo giustificano e appagano il soggetto nella sua totalità; la sessualità non è mai da giudicare un assoluto perché deve essere vivificata continuamente dallo L’educazione sessuale spirito e trova la deve vincere la logica sua piena dignità egocentrica dell’io per passare a quella del noi n e l l ’ a m o re d i coppia, quindi nello stato sponsale; l’amore può essere inquadrato nella prospettiva dell’impegno, purché la vita sia vissuta all’insegna della serietà e del progetto. La sessualità vissuta male è intrisa di

egoismo perché, tendendo a strumentalizzare le persone come oggetti da utilizzare per il proprio piacere, divide l’uomo sdoppiandolo in angelo e demone e lo rende falso a se stesso e agli altri, “uno, nessuno, centomila”. Pertanto, in un campo delicatissimo a causa della potenziale dissociazione della persona in nobiltà spirituale ed istintività animalesca, gli educandi debbono essere formati a vivere la sessualità in modo armonioso coniugando le due componenti in un contesto di umana grandezza, in un cammino


COSTUME E SOCIETÀ

che dura tutta la vita. Il primo ambiente dell’educazione sessuale, si è detto, è la famiglia; il secondo è la scuola che, come istituzione educativa, non può ignorare i problemi dello sviluppo emotivo degli alunni e permettere che subiscano gli influssi dannosi di modelli alternativi e dell’esasperazione dell’egoismo istintuale. In un campo largamente dominato dagli istinti dove l’arroganza del sesso ha spesso la meglio sulla debolezza della mente, si sottolinea l’importanza dell’idea di educazio-

ne socioaffettiva e sessuale come percorso trasversale: non si tratta, infatti, di una “materia a se stante” quanto piuttosto dell’acquisizione e della messa in gioco di competenze professionali basate sulla ca- La sessualità non è mai pacità di educa- da giudicare un assoluto zione ai rapporperché deve essere ti: al rapporto vivificata dallo spirito positivo di conoscenza, ascolto ed espressione di sé in quanto globalità corpo-psiche, al rapporto positivo con gli altri, fatto di confronto, condivisione, affermazione di sé, educazione alle differenze, capacità di vivere positivamente i conflitti; obiettivi, que169 sti, che sono ormai da tutti ritenuti alla base di progetti di prevenzione del disagio giovanile e di educazione alla salute, così come prevede la concezione dell’Organizzazione mondiale della sanità. Affrontare il tema della sessualità con i bambini e i ragazzi è più facile se, da parte dei docenti, si dispone di un itinerario metodologico serio e correttamente impostato. AI pari delle altre forme di educazione, quella sessuale richiede una programmazione rigorosa e si appella alla competenza degli insegnanti per aumentare negli alunni la consapevolezza dei propri cambiamenti affettivi e sessuali, come pure la capacità di riconoscerli e di accettarli per sviluppare un atteggiamento positivo verso la sessualità; individuare collegialmente vari e specifici contenuti per ogni classe intorno alle aree tematiche della


Pietro Urso

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sfera emozionale, relazionale e della corporeità sessuale per dare agli alunni la possibilità di affrontarle da più punti di vista, con approcci diversi e mediante un ventaglio di proposte didattiche e attività molto diversificato; calibrare gli interventi sul livello di maturazione della classe; apprestare strumenti efficaci e predisporre condizioni adeguate di apprendimento anche con l’ausilio di esperti vari. La costruzione di un percorso di insegnamento-apprendimento sul tema dell’educazione affettivo-sessuale deve prevedere un forte coinvolgimento delle famiglie; esse vengono a far parte della proposta educativo-didattica dell’istituzione scolastica sia come coprotagoniste di una tale educazione che come destinatarie di una specifica formazione sulla medesima ad opera di psicologi, sessuologi, medici. Deve, altresì, prevedere la più scrupolosa ed accurata formazione degli educatori affinché sviluppino una sempre maggiore consapevolezza della propria identità e sessualità, possano riappropriarsi delle conoscenze derivate dalla loro esperienza, sappiano scegliere contenuti rilevanti armonizzandoli con le diverse metodologie e strategie d’insegnamento e, soprattutto, sviluppino le modalità più adeguate ed efficaci per trasmetterli. Certamente, in un percorso informativo e formativo di educazione affettiva e sessuale, sono particolarmente chiamati in causa la maturità psicologica e l’equilibrio dell’adulto. Del re-

sto, se un tale percorso deve condurre il minore o il giovane alla serena padronanza di sé e alla completezza, egli ha bisogno, particolarmente in questo settore, di specchiarsi nell’esemplarità dell’educatore. L‘amore diventa solido se si condensa in gesti, in necessità, in cure, presenza e scelte, in doveri, attese e pazienza, in parole e silenzi. Attraverso una sana e corretta educazione affettivo-sessuale, e nonostante la drammaticità che lo connota data la debolezza e l’imperfezione umana, acquista un sapore e una consistenza nuovi: porta a svuotare se stessi per fondersi con l’altro; in altre parole, a “farsi uno”. Come in un atto d’amore.

L’Autore PIETRO URSO

Giornalista e direttore responsabile del bimestrale della Fondazione Farefuturo, Charta minuta. È esperto di comunicazione e storia del giornalismo italiano ed europeo.


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SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 15 - MARZO/APRILE 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

La svolta popolare

ROMA

Donne e politica Martedì 28 aprile La Fondazione Farefuturo organizza nella sua sede di via del Seminario 113 a Roma un convegno sul

Mai più Dc, siamo popolari ADOLFO URSO

STRUMENTI

Don Luigi Sturzo, il padre della destra moderna - 2 GENNARO MALGIERI

Storia del Ppe - 94

ruolo delle donne nell’ambito della politica e delle

PARIGI

VANCOUVER

L'Italie entre innovation et conservation. Giornata di studio della Fondation pour l'innovation politique dedicata al nuovo scenario politico italiano. Interventi di Giovanni Guzzetta, Sofia Ventura e Marc Lazar. Lunedì 6 aprile

Canada’s Economic Relations with China. L’ex ministro degli Esteri canadese, David Emerson, interviene presso la Fraser Institute sui rapporti commerciali Canada-Cina.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Intervengono Sofia Ventura, docente di Scienza po-

Ppe, tra visione e realismo - 14 INTERVISTA A JOSEPH DAUL di BARBARA MENNITTI

Cronologia - 96 Statuts de l’association internationale sans but lucratif “Parti populaire europeen” préambule - 101

ganizzazione presso l’Università di Bologna, e Donata Francescato, docente di Psicologia clinica e di comunità presso l’Università La Sapienza di Roma.

Laicità non vuol dire relativismo morale - 20 MARIO CIAMPI Francesco Cossiga, il ribelle delle istituzioni - 22 DIEGO NADAL Il popolarismo come teoria dello Stato - 26 EUGENIO GUCCIONE Pdl, un’identità da costruire in Italia - 28 ALESSANDRO CAMPI Un partito votato all’accoglienza - 37 THIERRY MARIANI Cdu, alle origini del popolarismo europeo - 40 ECKHARD JESSE Popolo della libertà, una sfida per le riforme - 50 ALBERTO CARNERO Unione europea, ultima chiamata - 56 FEDERICO EICHBERG Viaggio nei partiti dell’Europa popolare - 62 DOMENICO NASO Parola d’ordine: integrazione - 69 ALEXIS WINTONIAK

Die neue "politische Farbenlehre". Seminario della Konrad Adenauer Stiftung per fare un bilancio sugli anni di “grosse koalition” in vista delle elezioni politiche di settembre. Martedì 7 – Mercoledì 8 aprile

ROMA

MINUTA Il sogno baltico fa i conti con la crisi - 116 PIERLUIGI MENNITTI Lavoro, il mondo tenta la ripresa - 126 GIUSEPPE PENNISI

Individuo e Stato nell’era post-globale Venerdì 15 maggio Seminario di studi organizzato dalla fondazione Farefuturo in collaborazione con la Konrad Adenauer Stiftung. Intervengono Christoph Boehr, Georg Mil-

Tra legge, politica e letteratura - 134 INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO di SILVIA GRASSI Supereroi: la nuova identità del terzo Millennio - 146 GIAMPIERO RICCI Gioventù bruciata o società liquida - 156 PIETRO URSO

WASHINGTON The Reagan Revolution and Its Discontents. Seminario dell’American Enterprise Institute sulla presidenza di Ronald Reagan. Lunedì 13 aprile

bradt, Rupert Scholz.

STOCCOLMA

ROMA

Il parlamentarismo tra Italia e Germania Venerdì 19 giugno

Valde dagspressen sida i Gazakriget? Presentazione da parte del centro studi Timbro di un rapporto sul grado di obiettività nella copertura del conflitto a Gaza da parte dei media svedesi. Martedì 14 aprile

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema

CITTÀ DEL MESSICO La politica educativa y el nuevo rol del estado en America latina. Conferenza internazionale sulle politiche per l’educazione. Organizzata dalla Fundacíon Rafael Preciado Hernandez, con la partecipazione della Konrad Adenauer Stiftung e ospiti di altri paesi dell’America latina. Mercoledì 22 – giovedì 23 aprile

BERLINO Gott und Darwin! Dibattito della Konrad Adenauer Stiftung sull’immagine dell’uomo tra religione e scienza, 150 anni dopo la pubblicazione dello studio di Charles Darwin. Lunedì 27 aprile

LONDRA Giving urban voters a choice. Seminario del Bow Group sulla possibilità di modificare la legge elettorale inglese. Giovedì 7 maggio

“Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in Germania” presso la sede del Cnel a Roma, sala del

Cristiani e laici insieme nella grande famiglia del Ppe - 80 BRUNO TIOZZO

SCHLOSS WENDGRÄBEN

Parlamentino. Sono previste le relazioni di Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati e della Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert, presidente del Bundestag.

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Michele De FeudisValeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Domenico Naso, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 60, sostenitore da € 200

Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi

LONDRA Families in Britain: the impact of changing family structures - and what the public think. Policy exchange presenta uno studio sulla famiglia nel Regno Unito. Martedì 21 aprile

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Martedì 21 aprile

sue istituzioni. litica, Donatella Campus, docente di Teoria dell’or-

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON For Truth and Goodness: Russia's Moral Revolution, 1987-91. Convegno dell’American Enterprise Institute sugli anni della Perestrojka di Gorbaciov in Russia. Lunedì 11 maggio

Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO III - NUMERO 15 - MARZO/APRILE 2009

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

La svolta popolare

ROMA

Donne e politica Martedì 28 aprile La Fondazione Farefuturo organizza nella sua sede di via del Seminario 113 a Roma un convegno sul

Mai più Dc, siamo popolari ADOLFO URSO

STRUMENTI

Don Luigi Sturzo, il padre della destra moderna - 2 GENNARO MALGIERI

Storia del Ppe - 94

ruolo delle donne nell’ambito della politica e delle

PARIGI

VANCOUVER

L'Italie entre innovation et conservation. Giornata di studio della Fondation pour l'innovation politique dedicata al nuovo scenario politico italiano. Interventi di Giovanni Guzzetta, Sofia Ventura e Marc Lazar. Lunedì 6 aprile

Canada’s Economic Relations with China. L’ex ministro degli Esteri canadese, David Emerson, interviene presso la Fraser Institute sui rapporti commerciali Canada-Cina.

Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Intervengono Sofia Ventura, docente di Scienza po-

Ppe, tra visione e realismo - 14 INTERVISTA A JOSEPH DAUL di BARBARA MENNITTI

Cronologia - 96 Statuts de l’association internationale sans but lucratif “Parti populaire europeen” préambule - 101

ganizzazione presso l’Università di Bologna, e Donata Francescato, docente di Psicologia clinica e di comunità presso l’Università La Sapienza di Roma.

Laicità non vuol dire relativismo morale - 20 MARIO CIAMPI Francesco Cossiga, il ribelle delle istituzioni - 22 DIEGO NADAL Il popolarismo come teoria dello Stato - 26 EUGENIO GUCCIONE Pdl, un’identità da costruire in Italia - 28 ALESSANDRO CAMPI Un partito votato all’accoglienza - 37 THIERRY MARIANI Cdu, alle origini del popolarismo europeo - 40 ECKHARD JESSE Popolo della libertà, una sfida per le riforme - 50 ALBERTO CARNERO Unione europea, ultima chiamata - 56 FEDERICO EICHBERG Viaggio nei partiti dell’Europa popolare - 62 DOMENICO NASO Parola d’ordine: integrazione - 69 ALEXIS WINTONIAK

Die neue "politische Farbenlehre". Seminario della Konrad Adenauer Stiftung per fare un bilancio sugli anni di “grosse koalition” in vista delle elezioni politiche di settembre. Martedì 7 – Mercoledì 8 aprile

ROMA

MINUTA Il sogno baltico fa i conti con la crisi - 116 PIERLUIGI MENNITTI Lavoro, il mondo tenta la ripresa - 126 GIUSEPPE PENNISI

Individuo e Stato nell’era post-globale Venerdì 15 maggio Seminario di studi organizzato dalla fondazione Farefuturo in collaborazione con la Konrad Adenauer Stiftung. Intervengono Christoph Boehr, Georg Mil-

Tra legge, politica e letteratura - 134 INTERVISTA A GIANRICO CAROFIGLIO di SILVIA GRASSI Supereroi: la nuova identità del terzo Millennio - 146 GIAMPIERO RICCI Gioventù bruciata o società liquida - 156 PIETRO URSO

WASHINGTON The Reagan Revolution and Its Discontents. Seminario dell’American Enterprise Institute sulla presidenza di Ronald Reagan. Lunedì 13 aprile

bradt, Rupert Scholz.

STOCCOLMA

ROMA

Il parlamentarismo tra Italia e Germania Venerdì 19 giugno

Valde dagspressen sida i Gazakriget? Presentazione da parte del centro studi Timbro di un rapporto sul grado di obiettività nella copertura del conflitto a Gaza da parte dei media svedesi. Martedì 14 aprile

La fondazione Farefuturo e la Konrad Adenauer Stiftung organizzano il convegno di studi sul tema

CITTÀ DEL MESSICO La politica educativa y el nuevo rol del estado en America latina. Conferenza internazionale sulle politiche per l’educazione. Organizzata dalla Fundacíon Rafael Preciado Hernandez, con la partecipazione della Konrad Adenauer Stiftung e ospiti di altri paesi dell’America latina. Mercoledì 22 – giovedì 23 aprile

BERLINO Gott und Darwin! Dibattito della Konrad Adenauer Stiftung sull’immagine dell’uomo tra religione e scienza, 150 anni dopo la pubblicazione dello studio di Charles Darwin. Lunedì 27 aprile

LONDRA Giving urban voters a choice. Seminario del Bow Group sulla possibilità di modificare la legge elettorale inglese. Giovedì 7 maggio

“Il futuro del Parlamentarismo in Italia e in Germania” presso la sede del Cnel a Roma, sala del

Cristiani e laici insieme nella grande famiglia del Ppe - 80 BRUNO TIOZZO

SCHLOSS WENDGRÄBEN

Parlamentino. Sono previste le relazioni di Gianfranco Fini, presidente della Camera dei deputati e della Fondazione Farefuturo, e di Norbert Lammert, presidente del Bundestag.

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Michele De FeudisValeria Falcone, Filippo Lonardo, Barbara Mennitti, Cecilia Moretti, Domenico Naso, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/96996400 - Fax 06/96996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 60, sostenitore da € 200

Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi

LONDRA Families in Britain: the impact of changing family structures - and what the public think. Policy exchange presenta uno studio sulla famiglia nel Regno Unito. Martedì 21 aprile

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it

Martedì 21 aprile

sue istituzioni. litica, Donatella Campus, docente di Teoria dell’or-

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

WASHINGTON For Truth and Goodness: Russia's Moral Revolution, 1987-91. Convegno dell’American Enterprise Institute sugli anni della Perestrojka di Gorbaciov in Russia. Lunedì 11 maggio

Distribuzione Soc.i.d s.r.l Via Carducci, 10 00187 Roma Tipografia Renografica s.r.l. - Bologna Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

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