Partito unico under construction

Page 1

EDITORIALE DI ADOLFO URSO

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Coordinatore organizzativo Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

mellone@farefuturofondazione.it

filipporossi@farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno II - Numero 13 - novembre 2008

MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste italiane s.p.a. Spedizione in abboonamento D.L. 353/003 (conv. in L. 7/0/004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (Roma)

Presidente

www. f aref u t u rofondazione.it

Partito unico unnder costruction

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa,contribuirealsuoprocessodiintegrazione, affermareunanuovaevitalevisione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientifica edell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

Mensile della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno II - n. 13 - novembre 2008 - Euro 8 Direttore Adolfo Urso

Quel che serve è un country party Sono passati oltre quindici anni da quando furono posti i primi semi di Alleanza nazionale. Il progetto fu ideato già nell’autunno del 2002 e poi dispiegato nell’arco del 2003, quando tutti ritenevamo ormai certo il successo della sinistra a fronte del disfacimento del blocco moderato e dello stesso partito socialista che avevano governato il paese. Il nome fu scelto in un locale di via Nazionale e fin da allora fu chiaro che l’intendimento non era di costruire una destra più moderna ma di realizzare un soggetto politico più vasto che si contrapponesse in una logica bipolare, tendenzialmente bipartitica, all’allora nascente Alleanza democratica. Il primo appello, molto ambizioso, si rivolse infatti all’intera area del centrodestra e ai tre filoni culturali della storia unitaria: cattolici, liberali e nazionali. Poi la politica imboccò un percorso diverso, con la scesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia che, se da una parte furono determinanti nel primo successo del ’94 e poi comunque nella storia successiva, dall’altra relegarono la destra a far la destra e solo la destra. Ora il percorso finalmente si compie e quel seme contribuisce a creare un albero ben più robusto e grande, verosimilmente il più grande partito della storia della democrazia italiana. Il Popolo delle libertà ha avuto il battesimo di piazza nel dicembre del 2006 nella ormai celebre piazza San Giovanni, con Fini e Berlusconi, e poi la piena consacraIl battesimo del Pdl fu zione nel successo elettorale alle recenti elezioni politiche. Ora quello che dovrebbe in piazza San Giovanni, essere il passaggio più semplice, in appacon la partecipazione renza solo una ratifica di decisioni già prese di Fini e Berlusconi e pienamente convalidate ma che non possono essere per questo ridotte ad una mera operazione burocratica, peraltro avvilita dall’uso di pesi e di bilance. Certo, la politica è anche questo e sarebbe ipocrita scandalizzarsi. Certo, l’attenzione è tutta sul governo e il neo-partito si misura sull’azione che il suo esecutivo saprà realizzare e sui successi che saprà conseguire. Certo, non si possono riproporre i teatrini di una volta e tanto meno la differenzazione tra l’azione del governo e quella del partito e ancor meno si può pensare ad una distinzione di leadership, quella del governo, carismatica, e quella del partito, inevitabilmente sbiadita. Tutto questo, e altro ancora, è vero e dobbiamo rifuggire dall’idea che si possa tornare indietro e fermare il percorso intrapreso e nemmeno rallentarlo che anzi forse troppo tempo si è già perso. Occorre, però, riempire di contenuti il contenitore e dare ad esso una forma nuova, diversa ma nel contempo capace di determinare gli assetti politici, selezionare e formare la classe dirigente, luogo di elaborazione e non solo di trasmissione di idee e soprattutto di progetti. Un partito “soggetto” della politica e non “oggetto” della politica. Un partito guidato dal leader naturale che lo ha fondato e che è stato consacrato dagli elettori ma nel contempo capace di


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 13 - NOVEMBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Partito unico under construction

ROMA

BERLINO

san sul federalismo, promosso insieme con la fon-

Mercoledì 3 dicembre

Richtungswechsel im Weißen Haus? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui possibili cambiamenti nella politica estera statunitense dopo la vittoria di Obama. Lunedì 8 e martedì 9 dicembre

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

La fondazione Farefuturo, dopo l’incontro biparti-

Philanthropy and Human Rights: Creating Space for Caritas in Civil Society Convegno sulla filantropia organizzato dall’Acton institute insieme all’ambasciata Usa presso la Santa Sede.

WASHINGTON

PARIGI

Red Hot Lies: How Global Warming Alarmists Use Threats, Fraud, and Deception to Keep You Misinformed. La Heritage foundation presenta uno studio critico sul movimento ambientalista. Giovedì 4 dicembre

Urbanisme et architecture. Seminario della Fondation pour la innovation politique. Mercoledì 10 dicembre

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

ROMA

Federalismo pratico Martedì 9 dicembre

Quel che serve è un country party ADOLFO URSO

Il partito unico è già presente, ora andiamo avanti! - 64 MARCELLO DE ANGELIS

Nuovo partito, nuova cultura - 2 ALESSANDRO CAMPI

Siamo i traghettatori per il futuro dell’Italia - 70 BENEDETTO DELLA VEDOVA

dazione Italianieuropei, ha organizzato un workshop ancora dedicato al federalismo, e in particolare, che si prefigge di esaminare gli aspetti teorici e istituzio-

Un partito in funzione della società globale - 7 INTERVISTA CON PIETRO GRILLI DI CORTONA di Rosalinda Cappello

Pdl: da lista elettorale a partito degli italiani - 75 FABIO TORRIERO

Dobbiamo attendere il post-berlusconismo - 12 INTERVISTA CON PIERO IGNAZI di Angelo Mellone

Mettiamo fine ai partiti ideologici - 80 LUIGI DI GREGORIO

Apriamo le porte all’intellighenzia civile - 18 PEPPINO CALDAROLA

La sfida è... modernizzare l’Italia - 84 COLLOQUIO TRA ROBERTO ARDITTI E STEFANO FOLLI

Al primo posto, il programma... - 28 DANIELE CAPEZZONE

Il Pdl è un’idea che viene da lontano - 96 ROSALINDA CAPPELLO

nali di esso. Prenderanno parte all’incontro dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

ROMA

Colloquia con Scajola Martedì 16 dicembre

BERLINO La fondazione Farefuturo ha organizzato il secondo

Non possiamo sparare sul partito carismatico - 34 GAETANO QUAGLIARIELLO

appuntamento, dopo quello con il ministro Matteoli

Dal leader di partito al partito dei leader - 40 SOFIA VENTURA

selezionato di stakeholder dal titolo Colloquia.

sul tema delle infrastrutture, della serie di incontri tra autorevoli esponenti del governo e un pubblico

Un partito unico con radici europee - 51 EMMANUELE FORLANI

Spunti di dialogo. L’incontro, a porte chiuse, si terrà con il ministro dello Sviluppo economico Claudio

STRUMENTI a cura di Bruno Tiozzo

sul tema “Obiettivi e strategie per l’energia del futuro”.

Superare la psicologia del provvisorio - 54 GIANNI SCIPIONE ROSSI

Partiti maggioritari a confronto - xx

Il Pdl come l’Europa - 56 INTERVISTA CON GIANLUCA SADUN BORDONI di Cecilia Moretti

La “grande tenda” repubblicana - xx

Sui valori di riferimento, la parola alle fondazioni - 59 GIUSEPPE PARLATO

Scajola e trenta manager e imprenditori del settore,

VANCOUVER

ROMA Le diverse anime dei tories - xx La maison comune della droite - xx

Zwanzig Jahre Demokratie in Mittel-, Mittelost- und Südosteuropa. La Konrad Adenauer Stiftung riunisce esponenti di centrodestra dei Paesi excomunisti per fare il punto sui quasi vent’anni trascorsi dalla caduta del muro di Berlino. Interviene l’ex Premier slovacco Mikulas Dzurinda. Giovedì 4 dicembre

Expo 2015: per l’Italia Gennaio

Understanding the Consequences of the U.S. Election. Il Fraser Institute analizza l’esito del voto negli Usa. Giovedì 4 dicembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il riformismo spagnolo di centrodestra - xx

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta

La destra socialdemocratica - xx

l’Italia per crescere e farsi conoscere.

WASHINGTON Oil Drilling and U.S. Energy Policy. Seminario dell’American Enterprise Institute sulle trivellazioni e la politica energetica Usa. Interviene Newt Gingrich. Lunedì 8 dicembre

WASHINGTON Regulation and Oversight: Advice for the New Administration. L’American Enterprise Institute presenta i suoi suggerimenti al governo entrante degli Stati Uniti. Mercoledì 10 dicembre

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it

PARIGI Quelles pistes d’action pour les travailleurs pauvre? La Fondation pour la innovation politique s’interroga sui lavori a basso reddito.

Mercoledì 17 dicembre WASHINGTON The Ten Comandments. Leon Kass, esperto di bioetica, interviene presso l’American Enterprise Institute sui dieci comandamenti. Lunedì 12 gennaio

Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Elise group s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 13 - NOVEMBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Partito unico under construction

ROMA

BERLINO

san sul federalismo, promosso insieme con la fon-

Mercoledì 3 dicembre

Richtungswechsel im Weißen Haus? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui possibili cambiamenti nella politica estera statunitense dopo la vittoria di Obama. Lunedì 8 e martedì 9 dicembre

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

La fondazione Farefuturo, dopo l’incontro biparti-

Philanthropy and Human Rights: Creating Space for Caritas in Civil Society Convegno sulla filantropia organizzato dall’Acton institute insieme all’ambasciata Usa presso la Santa Sede.

WASHINGTON

PARIGI

Red Hot Lies: How Global Warming Alarmists Use Threats, Fraud, and Deception to Keep You Misinformed. La Heritage foundation presenta uno studio critico sul movimento ambientalista. Giovedì 4 dicembre

Urbanisme et architecture. Seminario della Fondation pour la innovation politique. Mercoledì 10 dicembre

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

ROMA

Federalismo pratico Martedì 9 dicembre

Quel che serve è un country party ADOLFO URSO

Il partito unico è già presente, ora andiamo avanti! - 64 MARCELLO DE ANGELIS

Nuovo partito, nuova cultura - 2 ALESSANDRO CAMPI

Siamo i traghettatori per il futuro dell’Italia - 70 BENEDETTO DELLA VEDOVA

dazione Italianieuropei, ha organizzato un workshop ancora dedicato al federalismo, e in particolare, che si prefigge di esaminare gli aspetti teorici e istituzio-

Un partito in funzione della società globale - 7 INTERVISTA CON PIETRO GRILLI DI CORTONA di Rosalinda Cappello

Pdl: da lista elettorale a partito degli italiani - 75 FABIO TORRIERO

Dobbiamo attendere il post-berlusconismo - 12 INTERVISTA CON PIERO IGNAZI di Angelo Mellone

Mettiamo fine ai partiti ideologici - 80 LUIGI DI GREGORIO

Apriamo le porte all’intellighenzia civile - 18 PEPPINO CALDAROLA

La sfida è... modernizzare l’Italia - 84 COLLOQUIO TRA ROBERTO ARDITTI E STEFANO FOLLI

Al primo posto, il programma... - 28 DANIELE CAPEZZONE

Il Pdl è un’idea che viene da lontano - 96 ROSALINDA CAPPELLO

nali di esso. Prenderanno parte all’incontro dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

ROMA

Colloquia con Scajola Martedì 16 dicembre

BERLINO La fondazione Farefuturo ha organizzato il secondo

Non possiamo sparare sul partito carismatico - 34 GAETANO QUAGLIARIELLO

appuntamento, dopo quello con il ministro Matteoli

Dal leader di partito al partito dei leader - 40 SOFIA VENTURA

selezionato di stakeholder dal titolo Colloquia.

sul tema delle infrastrutture, della serie di incontri tra autorevoli esponenti del governo e un pubblico

Un partito unico con radici europee - 51 EMMANUELE FORLANI

Spunti di dialogo. L’incontro, a porte chiuse, si terrà con il ministro dello Sviluppo economico Claudio

STRUMENTI a cura di Bruno Tiozzo

sul tema “Obiettivi e strategie per l’energia del futuro”.

Superare la psicologia del provvisorio - 54 GIANNI SCIPIONE ROSSI

Partiti maggioritari a confronto - xx

Il Pdl come l’Europa - 56 INTERVISTA CON GIANLUCA SADUN BORDONI di Cecilia Moretti

La “grande tenda” repubblicana - xx

Sui valori di riferimento, la parola alle fondazioni - 59 GIUSEPPE PARLATO

Scajola e trenta manager e imprenditori del settore,

VANCOUVER

ROMA Le diverse anime dei tories - xx La maison comune della droite - xx

Zwanzig Jahre Demokratie in Mittel-, Mittelost- und Südosteuropa. La Konrad Adenauer Stiftung riunisce esponenti di centrodestra dei Paesi excomunisti per fare il punto sui quasi vent’anni trascorsi dalla caduta del muro di Berlino. Interviene l’ex Premier slovacco Mikulas Dzurinda. Giovedì 4 dicembre

Expo 2015: per l’Italia Gennaio

Understanding the Consequences of the U.S. Election. Il Fraser Institute analizza l’esito del voto negli Usa. Giovedì 4 dicembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il riformismo spagnolo di centrodestra - xx

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta

La destra socialdemocratica - xx

l’Italia per crescere e farsi conoscere.

WASHINGTON Oil Drilling and U.S. Energy Policy. Seminario dell’American Enterprise Institute sulle trivellazioni e la politica energetica Usa. Interviene Newt Gingrich. Lunedì 8 dicembre

WASHINGTON Regulation and Oversight: Advice for the New Administration. L’American Enterprise Institute presenta i suoi suggerimenti al governo entrante degli Stati Uniti. Mercoledì 10 dicembre

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it

PARIGI Quelles pistes d’action pour les travailleurs pauvre? La Fondation pour la innovation politique s’interroga sui lavori a basso reddito.

Mercoledì 17 dicembre WASHINGTON The Ten Comandments. Leon Kass, esperto di bioetica, interviene presso l’American Enterprise Institute sui dieci comandamenti. Lunedì 12 gennaio

Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Elise group s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


EDITORIALE DI ADOLFO URSO

Gianfranco FINI

fini@farefuturofondazione.it

Segretario generale

Adolfo URSO

urso@farefuturofondazione.it

Segretario amministrativo

Pierluigi SCIBETTA

scibetta@farefuturofondazione.it

Consiglio di fondazione Gianfranco FINI - Adolfo URSO - Alessandro CAMPI - Angelo MELLONE - Pierluigi SCIBETTA Ferruccio FERRANTI - Emilio CREMONA - Giancarlo ONGIS - Giancarlo LANNA - Vittorio MASSONE - Daniela

Direttore scientifico Alessandro CAMPI

Coordinatore organizzativo Mario CIAMPI

campi@farefuturofondazione.it

ciampi@farefuturofondazione.it

Direttore editoriale Angelo MELLONE

Coordinatore editoriale Filippo ROSSI

mellone@farefuturofondazione.it

filipporossi@farefuturofondazione.it

Nuova serie Anno II - Numero 13 - novembre 2008

MEMMO D’AMELIO - Piero PICCINETTI

Poste italiane s.p.a. Spedizione in abboonamento D.L. 353/003 (conv. in L. 7/0/004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (Roma)

Presidente

www. f aref u t u rofondazione.it

Partito unico unnder costruction

Farefuturoèunafondazionediculturapolitica,studieanalisisocialichesiponel’obiettivo di promuovere la cultura delle libertà e dei valori dell’Occidente e far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione. Essa intende accrescere la consapevolezza del patrimonio comune, di cultura, arte, storia e ambiente, con una visione dinamica dell’identità nazionale, dello sviluppo sostenibile e dei nuovi diritti civili, sociali e ambientali e, in tal senso, sviluppare la cultura della responsabilità e del merito a ogni livello. Farefuturosiproponedifornirestrumentieanalisiculturalialleforzedel centrodestra italiano in una logica bipolare al fine di rafforzare la democrazia dell’alternanza, nel quadro di una visione europea, mediterranea e occidentale. Essa intende operare in sinergia con le altre analoghe fondazioni internazionali, per rafforzare la comune idea d’Europa,contribuirealsuoprocessodiintegrazione, affermareunanuovaevitalevisione dell’Occidente. La Fondazione opera in Roma, Palazzo Serlupi Crescenzi, via del Seminario 113. Èun’organizzazioneapertaalcontributodituttiesiavvaledell’operatecnico-scientifica edell’esperienzasocialeeprofessionaledelComitatopromotoreedelComitatoscientifico. Il Comitato dei benemeriti e l’Albo dei sostenitori sono composti da coloro che ne finanziano l’attività con donazioni private.

Mensile della Fondazione Farefuturo Nuova serie anno II - n. 13 - novembre 2008 - Euro 8 Direttore Adolfo Urso

Quel che serve è un country party Sono passati oltre quindici anni da quando furono posti i primi semi di Alleanza nazionale. Il progetto fu ideato già nell’autunno del 2002 e poi dispiegato nell’arco del 2003, quando tutti ritenevamo ormai certo il successo della sinistra a fronte del disfacimento del blocco moderato e dello stesso partito socialista che avevano governato il paese. Il nome fu scelto in un locale di via Nazionale e fin da allora fu chiaro che l’intendimento non era di costruire una destra più moderna ma di realizzare un soggetto politico più vasto che si contrapponesse in una logica bipolare, tendenzialmente bipartitica, all’allora nascente Alleanza democratica. Il primo appello, molto ambizioso, si rivolse infatti all’intera area del centrodestra e ai tre filoni culturali della storia unitaria: cattolici, liberali e nazionali. Poi la politica imboccò un percorso diverso, con la scesa in campo di Silvio Berlusconi e la nascita di Forza Italia che, se da una parte furono determinanti nel primo successo del ’94 e poi comunque nella storia successiva, dall’altra relegarono la destra a far la destra e solo la destra. Ora il percorso finalmente si compie e quel seme contribuisce a creare un albero ben più robusto e grande, verosimilmente il più grande partito della storia della democrazia italiana. Il Popolo delle libertà ha avuto il battesimo di piazza nel dicembre del 2006 nella ormai celebre piazza San Giovanni, con Fini e Berlusconi, e poi la piena consacraIl battesimo del Pdl fu zione nel successo elettorale alle recenti elezioni politiche. Ora quello che dovrebbe in piazza San Giovanni, essere il passaggio più semplice, in appacon la partecipazione renza solo una ratifica di decisioni già prese di Fini e Berlusconi e pienamente convalidate ma che non possono essere per questo ridotte ad una mera operazione burocratica, peraltro avvilita dall’uso di pesi e di bilance. Certo, la politica è anche questo e sarebbe ipocrita scandalizzarsi. Certo, l’attenzione è tutta sul governo e il neo-partito si misura sull’azione che il suo esecutivo saprà realizzare e sui successi che saprà conseguire. Certo, non si possono riproporre i teatrini di una volta e tanto meno la differenzazione tra l’azione del governo e quella del partito e ancor meno si può pensare ad una distinzione di leadership, quella del governo, carismatica, e quella del partito, inevitabilmente sbiadita. Tutto questo, e altro ancora, è vero e dobbiamo rifuggire dall’idea che si possa tornare indietro e fermare il percorso intrapreso e nemmeno rallentarlo che anzi forse troppo tempo si è già perso. Occorre, però, riempire di contenuti il contenitore e dare ad esso una forma nuova, diversa ma nel contempo capace di determinare gli assetti politici, selezionare e formare la classe dirigente, luogo di elaborazione e non solo di trasmissione di idee e soprattutto di progetti. Un partito “soggetto” della politica e non “oggetto” della politica. Un partito guidato dal leader naturale che lo ha fondato e che è stato consacrato dagli elettori ma nel contempo capace di


far crescere la sua classe dirigente e supportare l’azione del governo, a tutti livelli, ovviamente anche a quelli locali, dove se ne avverte l’assoluta necessità. Un partito che non si limiti a declinare gli obiettivi o a fare da cinghia di trasmissione al governo ma che contribuisca a dar sostanza alla sua azione allargando la sfera della partecipazione, come è apparso necessario proprio nella recente fase delle riforme della scuola e delle università. L’Onda si è infranta alla Sapienza perché vi Occorre un partito è stata una duplice reazione culturale e orche dia sostanza ganizzativa, dal corpo docente, rettore in all’azione ampliando testa (se ci fosse stato altrettanto coraggio la partecipazione quarant’anni fa anche il Sessantotto avrebbe portato frutti migliori), e dagli studenti mobilitati dalle organizzazioni giovanili. C’è bisogno di più unità, non di meno, per dare via a un nuovo Grande Inizio. C’è bisogno di più confronto di idee e forse di meno pregiudizi per realizzare un percorso comune che susciti grande entusiasmo, pari per lo meno a quella che Berlusconi ha impresso, e non solo dal troppo conclamato predellino. C’è bisogno di più cultura e di meno slogan - confronti, seminari, documenti - pari almeno a quanto fu fatto in questi anni da chi anelava al partito unitario ma anche da chi, con altrettanto chiarezza ed onestà, vi si opponeva. Il prossimo anno non sarà un anno facile. Forse il più difficile degli ultimi trent’anni. Nel ’78, l’Italia dovette fronteggiare la spirale del terrorismo interno, ora deve farsi carico di fronteggiare la gravissima recessione internazionale che non ha confronti con le precedenti e di cui ancora non si conoscono le reali dimensioni. Nel prossimo mese di marzo, quando sorgerà il nostro nuovo soggetto politico, il popolo delle libertà sarà scosso dalle conseguenze della recessione che potrebbe anche essere intrecciata con il rigurgito del terrorismo internazionale, come emerge dalla strage di Mumbai, peraltro documentato dalle analisi dei servizi. Saranno mesi difficilissimi e il governo dovrà agire, come sta facendo, con fermezza, unità, visione. Ha bisogno non di uno sgabello e nemmeno di un megafono afono Serve una formazione ma di un grande soggetto politico, vitale e aperta e flessibile, consapevole, e di una classe dirigente adeaccogliente, pensante guata e partecipe, di strumenti e di idee ma non pesante moderne e adeguate. E quindi di circoli e di fondazioni, di luoghi in cui si discute e si agisce e di luoghi in cui si dibatte e si progetta. C’è bisogno di un partito che non occupi la cultura ma che sappia interpretarla così come emerge dal paese e che ne sia il suo riferimento naturale. C’è bisogno di un partito aperto e flessibile, non pesante ma pensante, di un partito accogliente mai ostile. Non di un partito ideologico ma nemmeno di un partito vuoto. E di una classe dirigente che sia espressione della più vasta classe dirigente del paese, capace di svolgere in politica quello che altri, insieme, svolgono in ogni assetto economico, sociale, istituzionale. C’è bisogno del country party. Non un partito che si autodefinisce, di destra o di centrodestra che sia, ma di un partito che ninterpreti e guidi il cambiamento, a prescindere dalle collocazioni e dagli schematismi del passato.

1


NUOVO PARTITO

2

L

’ambizione del nuovo centrodestra deve essere quella di innovare le idee che ha ricevuto in eredità, accettando la sfida che il cambiamento dei tempi impone alle certezze acquisite. Liberalismo, identità nazionale, popolarismo, conservatorismo, solidarietà sociale sono termini da formulare e declinare in una chiave più moderna che tenga conto delle trasformazioni avvenute DI ALESSANDRO CAMPI


L’ANALISI Alessandro Campi

NUOVA CULTURA

3

Le elezioni del 2008 hanno rappresentato, secondo molti osservatori, un punto di svolta. Non solo per la drastica riduzione del quadro politico-parlamentare prodotta dal voto popolare, ma anche per alcuni degli effetti per così dire “secondari” determinati da quest’ultimo: la scomparsa della sinistra antagonista dai luoghi della rappresentanza politica istituzionale, il fallimento fatto registrare alle urne dalla destra radicale e nostalgica, la cancellazione dei socialisti, il ruolo di opposizione a un governo di centrodestra nel quale si è trovata confinata l’Udc di Casini per un grave

errore di calcolo politico da lui commesso. Ma a essere cambiata radicalmente non è stata solo la geografia parlamentare: anche quella politico-culturale ha subìto una trasformazione profonda e per molti versi irreversibile. La vera novità delle ultime elezioni è stata infatti rappresentata dall’affermazione elettorale riportata, nei due diversi campi, da due formazioni politiche, il Partito democratico e il Popolo della libertà, che apparentemente non hanno quasi più alcun rapporto diretto di filiazione con le culture e tradizioni politiche che hanno fatto


la storia dell’Italia repubblicana e che per molti versi erano sopravvissute, almeno in parte, alla catastrofe prodotta da Tangentopoli. Questi due partiti, per quanto ancora scarsamente strutturati sul territorio e con un profilo identitario che per molti versi appare ancora debole o precario, hanno introdotto nella vita politica italiana un’effettiva discontinuità, sulla quale vale la pena soffermarsi. Cominciamo dal Partito democratico. Punto d’incontro e fusione in una chiave post-ideologica della tradizione comunista e di quella cattolico-democratica, quest’ultimo ha sicuramente prodotto una rottura molto netta e per certi versi definitiva tra i riformisti, tra coloro cioè che oggi a sinistra si richiamano al mercato, non demonizzano il merito individuale e la funzione della leadership politica e perseguono politiche di modernizzazione economica e sociale, e l’ala massimalista e antagonista più direttamente legata (almeno sul piano simbolico) alla memoria del comunismo storico, che ha invece come obiettivo quello di gestire e rappresentare il dissenso sociale e le nuove forme di antagonismo di classe prodotte dalla globalizzazione. L’Unione di Prodi teneva unite queste due anime attraverso un duplice collante: sul piano ideologico, l’antiberlusconismo; sul piano pratico, una tecnica di occupazione e gestione del potere che proprio nel tecnocrate Prodi – l’uomo delle partecipazione statali – aveva il suo garante. Ma ciò


L’ANALISI Alessandro Campi

avveniva, come si è visto, al prez- fesa dell’identità cattolica e della zo di contraddizioni e attriti che famiglia nasconde in realtà la nosi sono alla lunga rilevati fatali stalgia per le antiche pratiche per l’esperienza di governo del- clientelari. Anche in questo caso l’Unione. Veltroni, con un atto di c’è voluto del coraggio per romindubbio coraggio politico, ha pere con il fronte dei potenziali scelto invece di dividere la sua alleati, vecchi e nuovi, accettando strada, di democratico abbevera- così il rischio di una cospicua pertosi al pragmatismo anglosasso- dita di consensi. ne, sia da quella della sinistra che Ma gli italiani, come si è visto, ritiene il comunismo un orizzon- hanno premiato le scelte operate, te politico-simbolico ancora in modo pressoché simmetrico, plausibile sia da quella dei post- da Veltroni e Berlusconi. Hanno democristiani imbevuti di stata- concesso in maggioranza la loro lismo e fautori di una sorta di fiducia a due formazioni politiideologia del controllo sociale. che la cui ambizione dichiarata è quella di aprire Nell’immediato ha una fase nuova perso il confronto Il Partito democratico della storia italiaelettorale con Berna: non solo dal lusconi, ma ha così ha posto le basi punto di vista poposto le basi per la per la nascita in Italia litico-istituzionanascita anche in le, con il passagItalia di una sini- di una sinistra libera stra finalmente li- dai fantasmi del passato gio del nostro sistema dei partiti bera dai fantasmi verso un assetto stabilmente biideologici del passato. Per quanto riguarda invece il Po- polare-maggioritario, ma anche polo della libertà – da considerare sul piano culturale e delle identicome il punto d’incontro e fusio- tà collettive, attraverso la revine in una chiave post-ideologica sione critica e il superamento di delle tradizioni cattolico-liberale, culture e famiglie politiche – riformista-socialista e nazional- dalla socialista alla democristiaconsevatrice – l’annuncio della na, dalla comunista alla missina sua nascita ha generato a sua vol- – che hanno sicuramente contato ta una frattura politico-culturale moltissimo nella storia dell’Italia altrettanto importante: da un la- repubblicana e nel suo immagito, con la destra estrema, che ha nario politico, ma che da almeno scelto di chiudersi in una sorta di un decennio hanno largamente ghetto ideologico fatto di simbo- esaurito il loro ciclo vitale. li del passato, di appelli ai valori, Naturalmente, un simile cambiadi richiami allo spirito militante mento è tutt’altro che un dato e di parole d’ordine altisonanti ed scontato o irreversibile. La stabievocative; dall’altro, con il centro lizzazione di un bipolarismo “virpolitico di matrice democristia- tuoso” e funzionale dipende in na, che dietro la retorica della di- larga parte dal modo con cui, nel-

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l’immediato futuro, si strutture- ha penalizzato la partecipazione e ranno i due principali attori poli- inibito qualunque dibattito o ditico-partitici. E veniamo così al scussione. E resta anche da capire Popolo della libertà. Sino a que- come questo partito funzionerà sto momento, il partito che do- una volta costituito. Quale ruolo vrebbe organicamente rappresen- avranno in esso iscritti e militantare il centrodestra italiano – e ti? In che modo verranno prima che dovrebbe fare da pendant si- formati e poi selezionati i gruppi stemico al Partito democratico – dirigenti, a partire dal livello loè stato poco più di una sigla o di cale? Con quali regole e con quali un cartello elettorale, per quanto tempi si svolgeranno gli appunvincente sul piano politico-elet- tamenti congressuali? Ci sarà, cotorale e nato dunque sotto buoni me molti auspicano, una reale deauspici, poco più di un marchio mocrazia interna che consenta alcommerciale che ha tratto gran le varie anime presenti nel partito parte della sua forza elettorale dal di confrontarsi e di contarsi? Un partito che si suole carisma berlusconiano (nonché dal- L’auspicio è che il nuovo a vocazione maggioritaria sulla scela capacità mediana politica naziotico-finanziario partito possa dotarsi del Cavaliere). Il di una struttura stabile nale sarà a vocazione maggioritaria partito vero e proprio dovrebbe na- con dirigenti-funzionari anche sul piano inscere, come è or- selezionati “dal basso” terno o si prevede che a contare debmai noto, a marzo del 2009, nel corso di un’apposita bano essere sempre la volontà e la assemblea fondativa o costituen- parola di uno solo? te. Ma quali saranno le sue carat- Il Popolo della libertà, come teristiche “formali”? L’auspicio è molti sostengono, ha un senso soche possa dotarsi di una struttura lo se riuscirà a rappresentare il organizzativa stabile e radicata, punto d’approdo della “rivoluziodi regole organizzative e statuta- ne berlusconiana”: il suo obiettirie chiare e definite, di una rete di vo finale è quello di raccoglierne dirigenti-funzionari selezionata l’eredità rendendola una realtà “dal basso” e di una solida base stabile nel panorama politico namilitante. Ma il raggiungimento zionale. La nascita del Pdl, in aldi un simile obiettivo – che è poi tre parole, acquista un significato quello che fa la differenza tra un politico solo pensando al dopopartito “reale” e uno puramente Berlusconi: è lo strumento che “virtuale” – dipende ovviamente dovrebbe impedire che il centrodal percorso che, nei pochi mesi destra, una volta venuto meno il che mancano alla sua nascita, ver- suo naturale leader, colui che sirà seguito. L’impressione, però, è nora ha permesso a tutte le diverche si sia scelto un metodo di la- se anime di convivere e di trovare voro sin troppo verticistico, che un punto di equilibrio, finisca


L’ANALISI Alessandro Campi

Intervista con Pietro Grilli di Cortona

Un partito in funzione della società globale Quale modello organizzativo per il futuro partito unitario del centrodestra? Andiamo per esclusione. Non possiamo pensare al vecchio e tradizionale partito di massa perché sono cambiate le cose ed è cambiata la società. Però non possiamo nemmeno pensare al cosiddetto partito leggero perché in realtà è un’idea, un’utopia che in Europa non attecchisce. Ci vuole un partito che abbia un modello organizzativo adatto alla società di oggi, che tenga conto dello sviluppo dei mass media e che la fisionomia della società è cambiata. Un nuovo partito che pensi a un reclutamento di iscritti in modo da poter svolgere al meglio quelle che sono le tradizionali funzioni del partito. Come dovrebbe essere articolato sul territorio? Un tempo si chiamava sezione. Ora la sezione ha assunto altri nomi. Lascerei perdere il termine club. Li chiami circoli, sezioni, federazioni. Riprendere vecchie terminologie o coniarne di nuove? L’importante è che ci siano delle entità che presidiano il territorio. Non si fa tutto attraverso la televisione o il capo carismatico. Ci devono essere delle sedi territoriali veloci, snelle che svolgano una funzione di reclutamento.

per dissolversi e per disgregarsi. Ma proprio per questa ragione un simile partito deve poter aver una vita interna effettiva. Il che significa che non potrà essere, come è stata per lunghi anni Forza Italia, un partito interamente modellato dalla volontà di un solo uomo,

Come reperire la nuova classe dirigente, come formarla? Attraverso questa organizzazione e poi se i nuovi partiti lo ritengono, anche attraverso il meccanismo delle primarie. Può essere uno strumento utile, se fatto con certe garanzie. Il reclutamento non è un fatto sistematico, è anche occasionale. Si recluta il vecchio iscritto militante, il quale farà poi carriera nel partito, ma si recluta anche il professionista, il giornalista, il sindacalista. Non c’è un unico modo di reclutamento. Un bacino non prettamente politico, dunque. Il contatto del partito con la società civile ci deve essere, è un contatto importante, attraverso i gruppi, le lobby, i sindacati, i movimenti. Quindi c’è un lavoro di relazione orizzontale oltre al retroterra degli iscritti che rimane sempre una fucina di energie, di risorse interne, di volenterosi. Rosalinda Cappello

nel quale non esiste dialettica interna e nel quale gruppi dirigenti e parlamentari vengono semplicemente cooptati dall’alto. Un partito del genere non sopravviverebbe un solo minuto alla scomparsa del suo fondatore. Altro che “oggettivazione del cari-

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sma”. Si assisterebbe a un repen- narlo (che è cosa ovviamente ditino processo di sbriciolamento versa da un capo a vita). delle alleanze e a una inevitabile Quel che è certo è che una realtà spinta controriformistica, che ri- che si pretende nuova e innovatiporterebbe la politica italiana in- va non può accontentarsi di richiamare le culture o tradizioni dietro di quindici-venti anni. Naturalmente, le questioni orga- politiche dalle quale provengono nizzative sono importanti, ma i suoi principali esponenti e la non sono le uniche che contano. maggior parte del suoi elettori. Il Nel nuovo partito conteranno Pdl, se non vuole appunto risolanche i riferimenti ideali, la cul- versi in un cartello elettorale o in tura politica e l’ideologia che es- una diversa formula di alleanza so saprà darsi. Da questo punto politica, non potrà dunque essere di vista, cosa sarà il Popolo della un’aggregazione, aggiornata ai libertà: una semplice aggrega- tempi nuovi, di ex-democristiani, zione di forze e tradizioni politi- ex-socialisti, ex-missini, ex-radicali, ex-liberali, che, che si limitepersino ex-comuranno a convivere Occorrono nuovi nisti, che hanno l’una accanto alcome unico punto l’altra, oppure un orizzonti ideali di contatto e concontenitore plura- e normativi. Ci vuole vergenza il loro le e dialettico nel personale legame quale le diverse il coraggio di mettere di fedeltà a Berluanime troveranno tutto in discussione sconi. Un simile il modo di confrontarsi e di misurarsi alla ricer- partito non può nemmeno acconca di un punto di sintesi politi- tentarsi, come si è fatto per anni, co-culturale che sarà, per defini- di recitare un blando rosario libezione, sempre nuovo e diverso, rale, pragmatista e modernizzatoinevitabilmente condizionato re, dietro il quale si è spesso nadalle sfide provenienti dall’am- scosto il vuoto delle idee e una biente esterno? Sarà un “partito certa inclinazione alla spregiudidel leader”, nel quale si può pen- catezza. Occorrono nuovi orizsare quello che si vuole purché zonti ideali e normativi, ci vuole non ci si opponga alla volontà il coraggio – da parte di tutte le del capo indiscusso, o un “parti- diverse anime che lo costituiscoto per il leader”, nel quale le di- no – di mettersi culturalmente in verse correnti, anime e sensibili- discussione, in modo da affrontatà, esattamente come oggi avvie- re con nuovi strumenti e nuove ne in tutti i grandi partiti mag- visioni progettuali le grandi sfide gioritari nel mondo, finiscono che abbiamo dinnanzi. Bisogna, per esprimere, dopo un serio in altre parole, riuscire a fare confronto interno e dopo essersi quello che hanno fatto in Europa contate, un programma e una fi- le altre realtà di centrodestra che gura politica in grado di incar- si sono affermate sulla scena negli


L’ANALISI Alessandro Campi

ultimi anni. Si pensi, per fare degli esempi, al “neogollismo” di Sarkozy, ai new tories guidati da Cameron, ai popolari spagnoli o anche ai “nuovi moderati” svedesi. Caratteristica comune a queste diverse formazioni ed esperienze politiche è stata quella di innovare non solo sul piano tattico (spostandosi verso il centro dello schieramento a caccia di nuovi elettori), ma anche e forse soprattutto su quello delle idee e dei programmi. I conservatori inglesi e scandinavi, ad esempio, hanno

abbandonato strada facendo il credo liberista, l’avversione tutta ideologica allo Stato sociale e la convinzione che le politiche di taglio fiscali siano una garanzia di crescita economica. E hanno dimostrato una crescente sensibilità per le politiche di sostegno al lavoro e all’occupazione, per le politiche di tutela sociale a beneficio delle minoranze svantaggiate e per l’ambientalismo. Invece di un pragmatismo anti-ideologico che rischia di essere fine a se stesso hanno elaborato una com-

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plessa trama culturale nella quale risaltano parole quali “virtù”, “responsabilità” e “senso del dovere”. All’individualismo hanno sostituito l’ideale comunitario e il bisogno di una maggiore coesione sociale. L’approccio economicista alla vita sociale è stato sostituito da una crescente attenzione per i fattori morali e culturali che regolano l’ordine civile. Si tratta solo di esempi, ma sufficienti forse a far capire quale sia la strada lungo la quale anche il centrodestra italiano dovrebbe incamminarsi dopo che avrà imboccato il percorso dell’unità politica. L’obiettivo del nuovo partito, dunque, non è quello di rendere compatibili, in modo meccanico, tradizioni e identità politico-culturali che a loro volta sono nel frattempo entrate in crisi. Il partito unitario del centrodestra non può limitarsi a essere un contenitore, per quanto possibile virtuoso, di idee e contenuti ereditati dalla storia e assunti in maniera acritica o peggio dogmatica. La sua ambizione dovrebbe essere piuttosto quella di dare vita – se ne avrà, beninteso, la forza e la capacità – a una nuova cultura politica, di innovare le idee che ha ricevuto in eredità, accettando la sfida che il cambiamento dei tempi impone alle nostre certezze acquisite. Liberalismo, identità nazionale, popolarismo, conservatorismo, solidarietà sociale sono tutte parole-chiave che meritano di figurare nel bagaglio politicoculturale del centrodestra, ma sono anche termini che hanno biso-

gno di essere riformulati e declinati in una chiave più moderna e originale, che tenga conto delle profonde trasformazioni che il mondo ha conosciuto negli ultimi quindici-venti anni. Ed è esattamente questo lavoro di riformulazione che è sinora mancato in un centrodestra che si è sin qui accontentato, senza troppo pensare al futuro, di vivere nel fascio di luce creato da Berlusconi.

L’Autore ALESSANDRO CAMPI Professore associato di Storia delle dottrine politiche presso il Dipartimento di Filosofia dell’Università di Perugia, direttore scientifico della Fondazione Farefuturo. Tra le sue opere: Mussolini, Il Mulino (2001) Il ritorno (necessario) della politica (2002); Nazione, Il Mulino (2004); L’ombra lunga di Napoleone. Da Mussolini a Berlusconi, Marsilio (2007).



Dobbiamo attendere INTERVISTA CON PIERO IGNAZI DI ANGELO MELLONE

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ccorre aspettare per fare un’analisi completa sul futuro partito unico, almeno fino a quando Berlusconi non sarà andato in “pensione”. Ignazi, direttore de Il Mulino scommette anche che la fusione del Pdl alla fine vedrà emergere gli uomini espressi da Alleanza nazionale, a partire dal livello locale per poi arrivare più in alto, fino alla classe dirigente centrale

Piero Ignazi è stato uno dei primi politologi a occuparsi della destra politica, già negli anni Ottanta. E questo gli consente, oggi che occupa anche il ruolo di direttore del periodico Il Mulino, importante e storico cantiere di idee e riflessioni nella storia italiana del dopoguerra, di possedere una visione di lungo periodo quando si parla di ciò che accadrà nel centrodestra. E proprio a lui va posta una domanda che riaffiorerà più volte, in questi mesi, fino al congresso di nascita del Pdl, a marzo. Perché intorno al Pdl, alla costituzione del nuovo partito e a un momento che – a ogni modo – ha una valenza storica non indifferente per la storia del sistema politico italiano, si dibatte così poco? Sembra che un partito che si candida a essere una delle più grandi formazioni politiche europee interessi poco. E a pochi.

«Si potrebbe rispondere in maniera tranchant: perché si sa che, oggi certo più di qualche anno fa, a destra decide tutto Berlusconi. In modo meno netto, il ragionamento da fare è un altro. A destra non c’è mai stato spazio per la riflessione politica a tutto campo, e men che mai per la critica e l’autocritica. A sinistra, dalle parti


L’INTERVISTA Piero Ignazi

il post-berlusconismo

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del Partito democratico, libri, articoli, interventi, anche duri, anche “demolitori” sino all’eccesso, sono centinaia. Non c’è nulla di analogo sul versante destro della cultura politica italiana. Forse, dico forse, non c’è un clima culturale favorevole. E questa situazione si può addebitare tanto al potere indiscusso – e indiscutibile – di Berlusconi, quanto a una storica inattitudine al dibattito». Quale sarà, dovrebbe o potrebbe essere l’infrastruttura di cultura politica su cui costruire il Popolo della libertà?

In realtà, fare una previsione del genere, in assenza di materiale su

cui discutere, è molto difficile. E poi, per abitudine, non mi metto a dare consigli su quello che una forza politica dovrebbe fare. Un dato di realtà, però, c’è: contrariamente a quello che sento sostenere da tanti, esistono ormai molti punti di contatto tra Forza Italia e Alleanza nazionale. L’evoluzione, un poco “inconscia” e non troppo mediata ma ben rintracciabile, di An, va in direzione del conservatorismo di FI. Il perimetro comune entro cui i partiti troveranno una consonanza di cultura politica è questo, pur con il fiato grosso che in questi ultimi tempi sta mostrando il conserva-


torismo, in special modo nelle versioni più agguerrite. Ecco. Chi sono, oggi, i pensatori in grado di dettare, o anche suggerire, la linea politica del Pdl?

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Mah… i maggiori commentatori politici del Corriere della Sera, ad esempio, anche se tutti rifiuterebbero questo ruolo, pur esprimendo una sostanziale sintonia di idee con il centrodestra. E poi gli analisti del Foglio e poco altro: come si vede, si tratta di contributi che provengono più da organi di comunicazione che da veri e propri centri di riflessione. Accanto a questi, certo, ci sono le fondazioni come Magna Carta e la stessa Farefuturo, i think tank, i periodici più direttamente a indirizzo politico come il Domenicale, ma non mi pare che nel loro complesso facciano davvero massa critica o riescano a dettare modi, tempi e contenuti del dibattito politico. Poi, bisogna essere sinceri, non è che nel centrosinistra oggi gli intellettuali contino davvero nel processo decisionale: Michele Salvati, a mio giudizio, era quello che aveva le idee più chiare sul futuro del Partito democratico, ma alla fine che impatto reale ha avuto? Non decisivo, mi pare. Quale percorso può immaginarsi per il Pdl: la confederazione o una vera e propria fusione tra i soggetti costituenti?

La federazione può essere un momento di passaggio per arrivare all’unione, la strada che – mi pare – FI e An hanno deciso di intra-


L’INTERVISTA Piero Ignazi

prendere sotto l’egida di Berlusconi. Le resistenze a questo processo mi appaiono deboli e circostanziate. Anche qualche mal di pancia che ogni tanto appare in An è più riconducibile a questioni di folklore che di sostanza. Ignazi condivide il giudizio di chi, a prescindere dagli esiti, vede come un fatto positivo in sé la creazione, a sinistra e adesso anche a destra, di due grandi partiti “a vocazione maggioritaria”, come ormai si dice?

No, in questo sono molto freddo e pragmatico. Vediamo quali saranno gli esiti di questo processo e poi decidiamo se sarà positivo o negativo. Non sono un sostenitore accalorato dell’evoluzione bipartitica del nostro sistema politico: nel momento in cui dovesse permanere una frammentazione partitica non eccessiva e non patologica, non mi strappo certo i capelli. Non ho preoccupazioni di ordine sistemico. E poi, anche col Pdl a destra del Pd non si arriverà al bipartitismo, ma a un consolidamento del bipolarismo, e mi accontento di questo. E della convergenza di tutti i partiti di centrodestra, a parte la Lega, sotto l’ombrello protettivo del Partito popolare europeo. È una specie di tappa considerata da molti, moltissimi, un passaggio fondamentale.

Qui il discorso si fa, come possiamo dire?, scivoloso. Molto scivoloso. Ha molto significato? Non lo so. Il Pds è entrato nel Partito socialista europeo nel 1991, e questo non ha cambiato molto la sua percezione nell’opinione pub-

blica italiana. Per l’Italia, l’ingresso di An nel Pdl e del Pdl nel Ppe non ha molta rilevanza. Il Pdl può aiutarci a immaginare, in un futuro certamente non troppo prossimo, un dopo-Berlusconi?

Questo è un tema interessante, a cui però possiamo fornire, oggi, solo risposte aleatorie. Sarà interessante vedere cosa succederà nel Pdl tra x anni, quando Berlusconi lascerà il testimone, perché questo obbligherà il centrodestra a definire i suoi rapporti di forza interni e le sue linee guida, per ora piuttosto fumose e tutte contenute all’interno di una dinamica carismatica legata a Berlusconi. Formando nuova classe dirigente, magari.

La classe dirigente del centrodestra nel suo insieme, non solo del nascituro Pdl, soffre ancora di molti, molti deficit, soprattutto da parte di FI e Lega, che hanno imbarcato famiglie, cooptati, portaborse di ogni tipo. La qualità è modesta. Almeno An ha una storia, e offre maggiori garanzie in termini di professionismo politico. Il processo costituente può essere condizionato negativamente dal fatto che il centrodestra oggi sia al governo con tutti i suoi componenti più rappresentativi?

Non vedo quali problemi si possano creare. Quanti leader di partito sono stati capi di governo, e mi viene in mente Craxi. In realtà, tutto dipende da chi Berlusconi delegherà a gestire il

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Pdl. E mi permetto un’interpretazione finale di lungo periodo: al contrario di quello che pensano in molti, sono convinto che alla fine la fusione del Pdl andrà a vantaggio degli uomini di An. Sarà An, a partire dal livello locale e poi via via salendo alla classe dirigente centrale una volta che Berlusconi andrà in pensione, a fagocitare FI.

L’Intervistato

PIERO IGNAZI

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Direttore del periodico ll Mulino, insegna Politica comparata e Sistema politico dell’Unione europea nell’università di Bologna. Tra le numerose pubblicazioni sui partiti italiani figura Il Polo escluso (il Mulino 1989), il primo studio politologico di alto profilo scientifico sul Movimento sociale italiano. Ha scritto con Luciano Bardi e Oreste Massari I partiti italiani. Iscritti, dirigenti, eletti (ed. Università Bocconi, 2007) e Il potere dei partiti. La politica in Italia dagli anni Sessanta a oggi (ed. Laterza, 2002). Nel suo ultimo lavoro, Partiti politici in Italia (il Mulino, Bologna 2008, pp. 148, euro 8,80) ha tracciato un efficace ritratto delle principali forze politiche sorte e sviluppatesi negli anni Novanta.

L’Autore ANGELO MELLONE Direttore editoriale della Fondazione Farefuturo, è editorialista de Il Messaggero e di EPolis. Fa ricerca in scienza politica alla Luiss “Guido Carli” di Roma. Ha pubblicato diversi saggi sulla comunicazione dei partiti e dei governi, l’ultimo dei quali Dopo la propaganda (Rubbettino), e sull’analisi del costume politico, tra cui Dì qualcosa di destra. Da Caterina va in città a Paolo Di Canio (Marsilio).



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Il neo-partito deve rompere con la “casta”

Apriamo le porte all’intellighenzia civile Secondo lo storico esponente della sinistra italiana Caldarola, al Pdl serve una leadership sostenuta da una intellettualità in grado di rassicurare e di portare nella grande politica le masse spaventate dalla modernità e legate ai valori tradizionali DI PEPPINO CALDAROLA


L’INTERVENTO Peppino Caldarola

Non mi piace il nome che avete parire del tutto nuova. Per una rascelto per il vostro partito. Avrei gione precisa, credo non casuale. preferito Partito della libertà. Po- La nuova stagione politica, che polo della libertà è un nome pri- nasce dopo la morte dei partiti gioniero di una stagione politica tradizionali, ha conosciuto in Itache dovremmo metterci alle spal- lia l’improvvisa dilatazione della le. Partito della libertà è un pro- figura dei leader. C’erano leader getto. Popolo della libertà è divi- carismatici anche nel vecchio sisivo e soffre di quell’ansia di di- stema, ma la loro influenza faceva versità che affligge la sinistra più tutt’uno con partiti a forte insenostalgica. Il concetto di diversi- diamento e a forte identità. Il tà va ricondotto alla politica e ai nuovo sistema politico si è andato programmi e non all’antropolo- formando, invece, attorno a leagia. La particolarità della situa- dership pesanti che trascinano zione italiana sta nel fatto che le strutture di partito leggerissime. due formazioni politiche concor- Con Berlusconi si è affermato per la prima volta in renti hanno un coItalia una nuova mune destino. È Tatarella e Fini hanno personalità di leadifficile immagider in grado di nare che l’una si traghettato la destra combinare un prostrutturi mentre dal risentimento getto – meno Stal’altra viene meno. Partito democrati- nostalgico a un partito to, rivolta fiscale, nordismo, conco e Popolo della di governo nazionale trapposizione libertà, come la Dc e il Pci, uso una definizione di un frontale alla sinistra, euroscetticivecchio leader comunista, Palmi- smo e americanismo – con un caro Togliatti, sono destinati a esse- risma “pigliatutto” in grado di scavare sia nella pubblica opiniore l’uno scimmia dell’altro. Ciascuna delle due formazioni ne più tradizionale sia in quella sente impellente la necessità di che sognava un radicale rivolgirompere con il proprio passato al mento delle vecchie credenze poquale tuttavia ammicca. Per la si- litiche. nistra è fondamentale la disconti- Questa leadership non avrebbe nuità con il Pci, che è l’eredità più potuto affermarsi senza il contripesante che si porta appresso. Per buto della destra classica, cioè la destra si tratta di liberarsi di non sarebbe diventata così pervapiù eredità, da quella nostalgica a siva se una parte della destra quella che ha tenuto legata una l’avesse considerata estranea da parte del gruppo dirigente di For- sé. Qui il contributo di Tatarella za Italia ad alcuni partiti distrutti e di Fini si è rivelato decisivo nel da Mani Pulite. Paradossalmente, traghettare la destra antica verso pur essendo più pesante il fardello lidi più moderni mettendo l’acdell’eredità della destra, a questa è cento più che sulla nostalgia sulla riuscita meglio l’operazione di ap- prospettiva. Forse con il tempo

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apparirà anche ai militanti di de- vantano di essere più autenticastra il carattere decisivo del con- mente di sinistra di coloro che tributo revisionista di Gianfranco siedono dall’altro lato del ParlaFini. L’operazione “destra al go- mento, ovvero rivendicano antiverno” e nuovo partito di destra che provenienze socialiste o di alnon sarebbero stati possibili sen- tre origini. za il coraggio del leader di An La nascita della Pdl deve porre che ha ancorato il nuovo partito termine a questo imbarazzo, la lisu terreni meno scivolosi più di nea di confine deve restare mobile quanto il movimentismo di Ber- ma il solco deve essere tracciato. In politica è il presente che scrive lusconi avesse reso possibile. Che cos’è allora questo nuovo la biografia storica. Ciò che vopartito? Per le cose che ho appe- gliamo essere aiuta a rintracciare na elencato il nuovo partito, a le origini. Oggi la nuova destra mio parere, deve avere il corag- nata con Berlusconi e Fini può, gio di accettare le definizioni tra- anzi deve, ambire a dare una vera fisionomia al più dizionali senza vigrande partito verle come un in- La nuova destra deve conservatore, di gombro. Voglio dire che deve esse- abbandonare il modello destra, moderato, liberale e cattolico re un partito di democratico-cristiano che sia mai esistito destra, un partito nella storia italiaconservatore, un e seguire i paradigmi na. I filoni che partito liberale e gollista e popolare stanno contribuenmoderato, un partito di cattolici. Descrivo carat- do a questa nascita si esauriranno teristiche, alcune delle quali mi nel momento della creazione del sono estranee, che penso siano partito nuovo. Per dirla con Rofondamentali per costruire una bert Kagan «il mondo è tornato democrazia compiuta. Spesso nel ad essere normale». Anche il dibattito politico i leader rifiuta- mondo della politica. no antiche etichette nell’ansia di Insisto su questo punto perché i apparire nuovi. Il tema dell’iden- partiti, per essere grandi aggretità è il rovello del nostro tempo. gati di consenso, macchine eletCome scrive Perry Anderson «le torali, produttori di governabilicategorie di destra, centro e sini- tà, hanno bisogno di un fondastra conservano ancora un signi- mento culturale forte. Nella stoficato riconoscibile, nonostante ria italiana il fondamento cultula loro localizzazione e le linee di rale, all’affacciarsi della Repubconfine siano diventate alquanto blica, fu viziato dal peso dell’eremobili». Alcuni personaggi della dità storica e dal dramma della vita politica rifiutano di definirsi divisione del mondo. Le potenper come sono oggi. Nei mesi zialità della destra furono soffoscorsi abbiamo letto di esponenti cate dalla rigidità dell’esperienza dell’attuale maggioranza che fascista e nel caso del partito cat-


L’INTERVENTO Peppino Caldarola

tolico dall’essere diventato partito unico di governo. Dal lato sinistro, il peso del comunismo ha impedito la nascita di un vero grande partito riformista. Ora si può. Si può avere una forza di destra liberale e si può avere una forza di sinistra liberale. Primo compito per i fondatori della nuova destra è quello di scrivere le tavole della legge della nuova destra e mettere i nomi dei padri ispiratori. Voglio dire che sarà un gran momento per questo paese quando si potrà dire, suscitando contrapposizione ma non odio, “io sono di destra” ovvero “io sono di sinistra”. La cultura di destra che è egemone in gran parte del mondo occidentale deve uscire in Italia da una situazione di minorità, da una sorta di soggezione. Una grande possibilità è offerta ai costituenti dal fatto che oggi la connotazione destra-sinistra non identifica lo status quo opposto al progresso. Da Reagan in poi la destra mondiale innova, in una direzione non gradita alla sinistra, ma rompe antichi tabù e antiche credenze. Si può dunque essere innovatori stando a destra. Ma quel che occorre capire è quali sono le idee forti della destra. Qui ci si scontra con il limite maggiore della impostazione berlusconiana. Berlusconi esprime una cultura politica totalmente fondata sulla leadership e sulle necessità di movimento della leadership stessa da non dare spessore e profondità alla cultura della destra. Vorrei non essere frainteso. Non penso che non vi sia cultura politica in Ber-


lusconi, penso che questa subisca gli ondeggiamenti del navigare, mentre la destra moderna ha bisogno di ancore e porti sicuri per immaginarsi anche in epoca postberlusconiana. Forse è qui che il revisionismo di Gianfranco Fini può trovare uno spazio più utile per la destra e per il sistema politico. Invece di guardare ai modelli offerti dai partiti democraticocristiani europei, la destra italiana deve ispirarsi al modello gollista, a quello conservatore inglese, ai repubblicani americani. Modelli diversi ma che sono più aderenti a una società moderna rispetto al modello democraticocristiano. Cioè a forze incardinate su leadership forti sostenute da una intellettualità modernizzante e aggressiva in grado di rassicurare e di portare nella grande politica le masse spaventate dalla modernità, legate ai valori tradizionali, alla fede religiosa, allo spirito di comunità. Una destra così spingerebbe la sinistra a rompere gli ormeggi e a lavorare più in profondità su se stessa. La destra può realizzare quella parte del progetto veltroniano fallito, penso al partito dei cittadini e degli elettori. Per ragioni storiche la sinistra ha bisogno di radicamento e organizzazione in misura ben maggiore della destra. A mio parere le famiglie della sinistra sono talmente tante che non c’è possibilità per la sinistra se non di accettare il proprio pluralismo interno che prevede forme di organizzazione tradizionali. La destra può diventare invece il luogo della politica


L’INTERVENTO Peppino Caldarola

più leggero, dove la leadership si convivere con il conflitto sociale. misura meglio con i mutamenti C’è nella cultura di alcune comdi opinione pubblica senza aver ponenti della destra di governo bisogno di dare strutture buro- un fastidio per il conflitto che non cratiche alla propria organizzazio- aiuta l’evoluzione della situazione ne. La sinistra ha bisogno di fon- politica. La destra sembra tentata damenta pesanti, la destra può dal conflitto quando non governa, irritata quando governa. Il conincarcare il partito leggero. Vengo così al secondo consiglio. flitto non ha motivazione, ignora La destra non ha bisogno di avere la difficoltà di governare, è ispirafretta nel costituirsi in partito. to dall’opposizione: queste sono le Forse non deve neppure costituir- categorie interpretative del consi in partito, ma deve restare “mo- flitto che la destra di governo vimento che agisce come partito”. sembra descrivere. Sono categorie La fretta nella formazione dei par- di tecnocrazie della politica, non titi porta al prevalere delle identi- categorie di una politica di forte ambizione. Le sotà chiuse e delle orcietà moderne viganizzazioni perso- Un partito moderno vono sul conflitto nali. Il “movimene convivono con il to che agisce come assume il conflitto confli tto. N o n partito” è costretto come una ricchezza tutta l’esperienza a rifondarsi ogni di governo è volta che si modifi- per conoscere meglio “stanza dei bottoca la situazione in la società che governa ni”, ma è relazione cui opera. La destra più della sinistra può essere agile fra il governare e la formazione e persino disinvolta. Ma per far del consenso, ovvero la convivenquesto ha bisogno di annunciare za fra la durezza del governare e il progetto di partito, ma non de- la fermezza del conflitto. Un parve avere fretta a realizzarlo. Vi tito politico moderno assume il propongo, in pratica, una Costi- conflitto come una ricchezza, cotuente permanente, un cantiere di me il modo per conoscere la solavoro in cui quel che si edifica e cietà che governa. Il tema delle quel che si inizia a costruire siano “libertà” non è solo giuridico-forpresenti sullo stesso terreno senza male, ma è soprattutto la capacità dar mai l’idea di un progetto di misurarsi con quella parte di compiuto che debba essere volta a società che non condivide le scelvolta solo rimodellato. Questo te di chi governa. La destra deve può dare alla destra italiana una elaborare una propria teoria del capacità di incursione nel territo- conflitto se vuole presentarsi dario “nemico” che la sinistra ha di- vanti alla pubblica opinione come una formazione liberale che mostrato di non avere. L’ultima questione che vorrei sol- ha un progetto diverso dalla sinilevare è quella del conflitto socia- stra, ma non intende dar vita a le. Una destra di governo deve una società rigida né ha una vi-

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sione organicista. Pur essendo una piccola organizzazione, l’Ugl della Polverini dà l’esempio di come si possa convivere con un governo amico senza interrompere il canale di comunicazione con le dinamiche sociali. La questione del conflitto e la questione sindacale sono a mio parere i due punti inesplorati della cultura della nuova destra che devono entrare a far parte dei forum di discussione del nuovo partito. Infine, c’è un tema comune alla destra come alla sinistra. È il tema della democrazia di partito. Siamo di fronte a partiti di “nominati”, non di “eletti”. Chi è entrato è entrato. Le forze nuove restano fuori, a meno che non scatti il meccanismo della cooptazione. Non ce ne stiamo accorgendo, ma questa assenza di ricambio e di democrazia susciterà nei prossimi anni una vera ribellione. In America si vota su tutto e non ci sono incarichi a vita. I dirigenti politici scadono come le confezioni di latte. Se non arriva prodotto fresco, il consumatore-elettore va da un’altra parte. Il vero male dell’Italia politica è di dar sempre l’idea di creare caste inamovibili. Siamo entrati in una fase della nostra storia in cui i gruppi dirigenti dell’una e dell’altra parte hanno fatto l’esperienza di governo e hanno il dovere di garantire il ricambio. Dare un termine ai mandati, sottoporre a verifica la classe dirigente, cercare nuove energie deve essere il compito della politica che guarda lontano. Non propongo il passo indietro dei vecchi e degli esperti. Pro-

pongo più semplicemente che si aprano porte e finestre per consentire a chi è fuori di entrare, anche se questo significa che chi è dentro deve uscire.

L’Autore PEPPINO CALDAROLA Storico esponente della sinistra italiana, è stato direttore del quotidiano L'Unità dal 1996 al 1998. Eletto nel 2001 alla Camera dei deputati con i Ds, è riconfermato nel 2006 con l’Ulivo. Abbandona i Ds nel marzo del 2007, ponendosi in posizione critica nei confronti della fase costituente del Partito democratico. Dopo la candidatura di Walter Veltroni aderisce al Pd. Collabora con il Riformista.


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Il workshop di

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Nel percorso verso la costruzione del Popolo della libertà, un ruolo importante è occupato dalle fondazioni di centrodestra che con il loro contributo hanno arricchito di contenuti, e continuano a farlo, il soggetto che sta per nascere. Su questo versante, si inserisce anche l’attività della fondazione Farefuturo che ha organizzato un seminario al quale hanno partecipato altri think tank. L’obiettivo era quello di riflettere sul nascente Pdl, sulla sua caratterizzazione culturale, sull’organizzazione e sulla formazione della classe dirigente


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IL WORKSHOP


Il Pdl può contare sui think tank

Al primo posto, il programma...

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dl e Pd si dovranno attrezzare elettoralmente, organizzativamente, culturalmente e mediaticamente per evitare che Lega Nord e Italia dei valori si trovino nella felice condizione di godere di tutti i “dividendi” dello stare insieme, ma anche di tutte le royalties derivanti dal preservare la propria identità DI DANIELE CAPEZZONE


IL WORKSHOP Daniele Capezzone

Con le elezioni dello scorso 13 aprile, l’Italia ha compiuto un passo deciso – e speriamo anche decisivo – verso il bipartitismo. Oltre il 70% degli elettori ha infatti scelto i due maggiori partiti (Pdl e Pd), e oltre l’80% ha quanto meno optato per le due minicoalizioni (Pdl+Lega oppure Pd+Idv). Siamo dunque vicini a un risultato storico: quello di abbandonare un confuso bipolari-

smo, basato su cartelli elettorali larghi e rissosi, utili a prevalere nelle urne ma inservibili per governare, per approssimarci al tendenziale bipartitismo proprio dell’esperienza anglosassone e anche, a ben vedere, di alcune realtà europee. A onor del vero – e questo è un tema politico che meriterà un serio approfondimento nei prossimi mesi – sarà bene che Pdl e Pd si attrezzino (elettoralmente, organizzativamente, culturalmente e mediaticamente) per evitare che Lega e Di Pietro si trovino nella condizione di godere di tutti i “dividendi” dello stare insieme, ma anche di tutte le “royalties” del preservare la propria identità. Un altro problema, per il Pdl, per quanto la cosa possa apparire paradossale, deriva proprio dalla fragilità del Pd. Sarebbe stato e sarebbe quanto mai importante avere entrambi i “cantieri” politici sicuri e operosi. Purtroppo, sul lato del centrosinistra, le cose non stanno così, ed esiste il forte rischio che il Partito democratico subisca una erosione, avvantaggiando non solo Di Pietro, ma anche consentendo ai “nanetti” di rifarsi vivi alle prossime elezioni europee. Il che non sarebbe tanto rilevante per gli equilibri a Bruxelles (figurarsi), ma rialimenterebbe un circuito politico e mediatico italiano basato su un multipartitismo frazionato e litigioso. Esattamente ciò che gli elettori volevano e vogliono ancora archiviare. Sta qui il fallimento di Veltroni, che – in questi mesi – ha quasi sempre detto la cosa giu-

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sta, salvo poi fare quella sbagliata. Aveva detto che sarebbe andato da solo, e invece ha imbarcato l’Idv, che ora lo dissangua; aveva lanciato il Governo ombra, che sarebbe stato utilissimo per stimolare l’esecuEsiste il rischio che tivo oltre che il Pd possa perdere per semplificare la propria identità i meccanismi a favore di Di Pietro della comunicazione, ma non è stato minimamente in grado di animarlo e di renderlo credibile. Come si vede, i destini del Pdl sono anche legati a condizioni oggettive esterne. Ma intanto, il centrodestra, a mio avviso, si sta muovendo nel modo giusto. Il primo Congresso si terrà entro 30 marzo 2009; FI, An e gli altri alleati marciano in modo spedito e positivo; insomma, il cammino sembra felicemente irreversibile. Va anche detto che l’attuale centrodestra, a mio parere, dispone delle tre caratteristiche tipiche dei “partiti del bipartitismo” . In primo luogo, il Pdl ha il vantaggio di una leadership forte e popolare, quella di Berlusconi. Anche i suoi detrattori devono riconoscere di trovarsi dinanzi a una personalità dotata di una capacità più unica che rara di sintonizzarsi su una lunghezza d’onda di massa. Di più: a Berlusconi riesce la magia (bianca o nera, a seconda dei punti di vista!) di essere insieme uomo delle istituzioni e outsider, conciliando la credibilità di chi sta per la terza volta al governo con la freschezza di chi – comunque – non può essere confuso con “uno dei soliti”.

In secondo luogo, il centrodestra ha manifestato la capacità, nei momenti elettorali, di puntare su una invidiabile compattezza programmatica, isolando le sette-otto questioni su cui costruire l’agenda politica, e inchiodando gli avversari a discutere di quelle. Una volta è successo grazie allo strumento del “contratto con gli italiani”, altre volte in modo più tradizionale. Ma non c’è dubbio sul fatto che il centrodestra sia stato più abile sia nel costruire una sintesi immediatamente comprensibile (evitando i programmi-zibaldone buoni per accontentare i partiti,


IL WORKSHOP Daniele Capezzone

ma repellenti e respingenti dal punto di vista dei cittadini) sia nel costringere gli avversari a rispondere e a inseguire sul terreno meno comodo per il centrosinistra. Alzi la mano, invece, chi può dichiarare di conoscere e ricordare tre-proposte-tre di Veltroni: anche e soprattutto su questo punto è maturata la sua drammatica sconfitta. Infine, il nuovo Pdl può già farsi forte, sull’esperienza americana, di una rete di think tank, centri studi, fondazioni, giornali, riviste, come luoghi chiamati non a un generico o astratto “dibattito”, ma alla concreta produzione

di software, di contenuti politici, di “attrezzi” e proposte immediatamente trasferibili nell’attività elettorale, e poi soprattutto in quella di Governo. Si dirà che anche il centrosinistra dispone di questi strumenti, ed è vero: ma c’è il piccolo dettaglio che – in quel campo – si tratta piuttosto di realtà in competizione con il partito, e non di strumenti d’area desiderosi di supportarlo. Senza infilarci nell’eterno e stucchevole duello D’Alema-Veltroni, non vi è alcun dubbio sul fatto che l’ex ministro degli Esteri concepisca le sue creature editorial-associative come una delle leve con cui mettere nell’angolo la segreteria Veltroni, e non cer31 to come fucine di idee per sostenerla o irrobustirla. C’è un ultimo aspetto, a mio avviso, che merita una particolare considerazione, ed è legato al rapporto Itanes recentemente pubblicato da “Il Mulino”. Solitamente, dal 1994 ad oggi, cioè da quando l’Italia si è incamminata lungo il sentiero bipolare, ci si è detto che gli esiti elettorali erano essenzialmente determinati dall’andamento delle astensioni. Insomma, volta per volta, saIl Pdl ha già una rete rebbero gli di think tank reali, elettori delusi e concreti produttori scoraggiati di contenuti politici dell’una parte politica a determinare, astenendosi, il successo dell’altra. Il che è quasi sempre vero, naturalmente. Ma stavolta, secondo Itanes, sarebbe successo anche qualcos’altro: oltre al 4% complessivo di elettori del vec-


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chio centrosinistra rifugiatisi nell’astensione, vi sarebbe stato un 10% di elettori del vecchio Ulivo (cioè la lista che teneva insieme Ds e Margherita: e il 10% di loro vuol dire, complessivamente, un 3% abbondante di elettori) che si sarebbe spostato nel centrodestra, lo scorso 13 aprile. Insomma, il centrodestra ha manifestato (e a mio avviso questa sua attitudine può essere ulteriormente accentuata) una forte capacità di attrazione su una quota di elettori riformisti. Non si tratta, quindi, di inseguire spezzoni di ceto politico, ma di mettere in campo una proposta politica che parli – anche – a tanti elettori che nella prima repubblica sarebbero stati definiti liberali, repubblicani, socialisti, radicali, e così via. A ben vedere, è la stessa operazione compiuta, a parti invertite, da Tony Blair nelle sue tre vittorie elettorali: ha sempre tenuto con sé il suo elettorato tradizionale, ma ha saputo anche convincere una fetta di cittadini di appartenenza conservatrice. E così ha fatto e può fare anche il Pdl: unire all’elettorato tradizionale del centrodestra italiano anche una quota di elettori liberi e riformisti, incompatibili con il massimalismo della sinistra, il giustizialismo di Di Pietro, la linea tassa e spendi di Visco, e così via. Insomma, pur senza “impiccarci” a questa cifra, possiamo pensare ad un partito del “50%+1” (quando va bene) e del “50%-1” (quando va male). Nessuno abbia paura di perdere qualcosa della propria identità, delle radici e

delle matrici culturali e politiche: il tema, invece, è quello di una offerta politica che non deve mai – ripeto: mai – assumere profili e connotati non inclusivi, di chiusura, o legati a riflessi minoritari. Il che non vuol dire assumere posizioni sfuggenti o furbesche, visto che proprio la leadership forte e la compattezza programmatica impongono il contrario: ma sarà invece compito delle fondazioni e dei think tank animare la discussione e garantire cittadinanza politico-culturale anche alla posizione che, in quella occasione, non sarà risultata prevalente. Il resto sarà virtuosamente affidato alla grande medicina del “mercato” politico-elettorale. E, anche in Italia, arriverà inesorabile l’abitudine propria dei maggiori paesi occidentali: le sconfitte aiutano a rinnovare i programmi e a costruire nuove leadership.

L’Autore DANIELE CAPEZZONE

Portavoce di Forza Italia, è stato segretario dei Radicali italiani dal 2001 al 2006. Alle ultime consultazioni è stato eletto nelle file di FI.


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a grande formazione che stiamo costruendo è e deve restare un partito. Deve proporsi in maniera positiva lo spinoso problema del radicamento sull’intero territorio, raccogliendo la sfida che al nord e al sud i nostri alleati ci stanno lanciando

Raccogliamo l’eredità di Berlusconi

Non possiamo sparare sul partito carismatico DI GAETANO QUAGLIARIELLO

Dopo la scelta coraggiosa di intraprendere la costruzione di un grande soggetto politico a vocazione maggioritaria che potesse divenire la casa di tutti i moderati e i liberali italiani; dopo l’inequivocabile pronunciamento degli elettori a favore della semplifi-

cazione del quadro politico verso un sistema bipolare e tendenzialmente bipartitico; dopo la sindrome involutiva che ha colpito chi, in campo avverso, sembrava aver scelto il medesimo percorso, gli uomini e le donne del Pdl, e i diversi partiti che in esso hanno


IL WORKSHOP Gaetano Quagliariello

scelto di confluire, si sono trovati di fronte a un bivio. Di fronte a un bivio di sistema, ancor prima che a uno snodo politico. Dopo la svolta del 1994, infatti, il maggioritarismo apparente scaturito dal referendum elettorale non ha impedito che attorno ai rispettivi leader si formassero coalizioni rissose e viziate ancora dagli antichi mali del proporzionalismo; il centrodestra non ne è stato immune, ma in questo senso i due anni dell’ultimo governo Prodi sono stati addirittura paradigmatici. Per questo, il nuovo volto dell’Italia e del suo Parlamento che le elezioni del 13 e 14 aprile ci hanno consegnato va ben oltre la

dimensione contingente. Per comprendere la portata del cambiamento bisogna andare molto indietro nel tempo. Non si tratta soltanto della semplificazione della nostra rappresentanza istituzionale. C’è qualcosa di più profondo. In Parlamento non siedono più le forze comuniste, e neanche la loro versione post-moderna nascosta dietro l’ideologismo ambientalista; ed è stato risolto una volta per tutte l’equivoco del partito unico dei cattolici, poiché si è dimostrato che i cattolici, in politica, possono stare da una parte e dall’altra, e non hanno bisogno di auto-confinarsi nel minoritarismo identitario, in quella che è solo la versione in


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scala di una grande esperienza del re; di quei liberali che hanno conpassato giustificata da ragioni tinuato con orgoglio ad essere e storiche che oggi non ci sono più. definirsi liberali anche quando Ma la transizione non è ancora ciò era considerato poco più che compiuta. Ha bisogno di sedi- una parolaccia. È la rivoluzione mentarsi e di essere consolidata. di un paese che, nonostante tutto, Ha bisogno, cioè, che la rivolu- non vuole tornare indietro. zione iniziata nel 1994 con la di- Da parte di Forza Italia ma, ne scesa in campo di Silvio Berlusco- sono certo, anche da parte di Alni diriga verso il nuovo traguardo leanza nazionale e delle altre forze la sua spinta propulsiva. Per que- politiche che hanno scelto di adesto, la sufficienza con cui alcuni rire a questo grande progetto, il esponenti del centrosinistra han- percorso verso il Popolo della lino liquidato la scelta del Cavalie- bertà si pone nel solco tracciato re di rileggere la dichiarazione dagli elettori nello scorso mese di che segnò il suo ingresso in poli- aprile. Dirò di più: mentre nelle sedi preposte si è tica proprio nel momento in cui Noi giorno dopo giorno ancora alla ricerca della strada per Forza Italia si scioglieva, mi è ci amalgamiamo sempre adeguare la nostra architettura istitusembrata tradire più, confermando zionale e le relative una certa superfiregole di funzionacialità di analisi; la nostra volontà mento al nuovo asun’incomprensio- di parlare agli italiani setto politico, la ne profonda per quanto sta accadendo nel centro- nascita del Pdl è il primo atto di destra: per le potenzialità di una costituzione materiale che vada nuova fase e per i suoi rischi. Pro- esattamente in questo senso. A ridosso del 13 e 14 aprile, con vo a spiegarmi. Credo che la nascita del Popolo la costituzione del Partito demodella libertà sia un atto di cam- cratico e l’“abiura” del suo segrebiamento, ma anche di continui- tario rispetto alle “coalizioni tà con la rivoluzione berlusconia- monstrum” come quella che sona. È il proseguimento della rivo- steneva il governo Prodi, sembraluzione dei semplici e del buon va che anche i nostri avversari senso, che nel 1994 impedì che il avessero trovato il coraggio di fanostro paese, contro la storia, fi- re lo stesso, e ne avevamo dato lonisse nelle mani di chi dalla sto- ro atto. Ma, giunto a metà del ria era stato sconfitto. È un nuovo guado, il partito di Veltroni ha traguardo della rivoluzione dei scelto di tornare indietro. Ad tenaci: di quei cristiani che non aprile noi abbiamo rifiutato l’alhanno accettato che la loro fede leanza con formazioni nazionali scadesse a progressismo politica- che non avevano aderito al promente corretto; di quei socialisti getto del Pdl; loro si sono uniti in che non si sono fatti criminalizza- matrimonio con Antonio Di Pie-


IL WORKSHOP Gaetano Quagliariello

tro. Nei nostri gruppi il partito unico si costruisce un po’ ogni giorno, e ci si amalgama sempre più; loro si sono divisi, e risolvono le controversie interne attraverso processi ed espulsioni. Noi confermiamo quotidianamente la volontà di parlare ai moderati; loro si estremizzano perseverando nell’alleanza con l’Italia dei valori, che ogni giorno introduce elementi eversivi nella vita politica del nostro paese; nel primo appuntamento importante dopo le elezioni di aprile, in Abruzzo, noi abbiamo confermato la nostra scelta di semplificazione del quadro politico, e abbiamo assunto le nostre decisioni in un’ottica che andasse oltre la logica della sommatoria tra partiti; loro, in nome del veltronismo, sono tornati a proporre agli elettori una nuova versione dell’Unione prodiana. Fin qui, le differenze tra “noi” e “loro”. È necessario, però, che il legittimo e doveroso orgoglio per i passi avanti compiuti rispetto al processo involutivo dei nostri avversari – che, è bene ribadirlo, non è un fatto positivo per nessuno – non ci distolga dalla consapevolezza del lavoro che resta ancora da fare. Il grande partito moderno e carismatico che stiamo costruendo, infatti, è e deve restare un partito. Dunque, deve porsi positivamente il problema del radicamento territoriale, raccogliendo la sfida che a nord, e se non faremo attenzione presto anche a sud, gli alleati ci stanno lanciando. A nord, bisogna trovare le forme più efficaci affinché il rapporto con i citta-


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dini sia quotidiano e capillare. A gio di Silvio Berlusconi, di Giansud, è necessario interpretare le franco Fini, e per un periodo anragioni di un moderno meridio- che di Walter Veltroni, si trasfornalismo prima che esso diventi la mi in assetto formale e dunque sia bandiera di di un moderno meri- messo in grado di resistere oltre la dionalismo prima che esso diven- legislatura e oltre la fase di transizione che culminerà con la nascita ti la bandiera di altri. Inoltre, dobbiamo porci il proble- di questo nostro grande partito. ma del rapporto tra il governo, la In Parlamento questa transizione maggioranza e il partito in un l’abbiamo toccata con mano. Nei quadro politico e istituzionale gruppi, alla Camera e al Senato, profondamente mutato, quanto- il Pdl si costruisce un po’ ogni meno sul piano sostanziale. Per la giorno. Le diverse anime si conprima volta, infatti, dopo un lun- fondono sempre di più, senza per go periodo nel quale a far da con- questo rinunciare al bagaglio traltare al governo vi era la dialet- identitario che a ciascuno deriva dalla propria protica tra le forze politiche presenti in Dobbiamo tenere conto venienza. E più di qualsiasi dichiaraParlamento, si sta determinando un del rapporto tra partito, zione d’intenti è nuovo assetto si- governo e maggioranza v a l s o l o s f o r z o quotidiano di unistemico che preveficare strutture e de da una parte un in un quadro politico continuum tra il profondamente mutato uffici un tempo divisi, di amalgamagoverno e la sua maggioranza, e dall’altra un’op- re gestioni amministrative e moposizione che si candida alla suc- dalità operative. Non è stato facessione mediante la formulazione cile, soprattutto all’inizio. Ma di proposte alternative. Affinché giorno dopo giorno ci si è resi il governo sia messo nelle condi- conto che ne vale la pena, per zioni di realizzare il suo program- davvero. ma e onorare gli impegni assunti L’auspicio è che lo stesso percorso con gli elettori, e affinché questo possa essere portato a compimennon avvenga a scapito dei gruppi to al più presto a tutti i livelli e parlamentari della maggioranza in tutti i settori. Fra le classi diriche devono essere posti nella con- genti, negli enti locali, nella quodizioni di dare il proprio fattivo tidiana pratica politica sul terricontributo, è necessario che vi sia- torio. Ma altrettanto forte è la no delle camere di compensazio- speranza che in tempi rapidi si ne. E, in prospettiva, affinché la trovi la forza e la necessaria coevolontà espressa dagli elettori non sione perché le regole formali che sia confinata fra due parentesi, c’è sovrintendono al funzionamento bisogno che il nuovo equilibrio della democrazia siano adeguate sostanziale venga istituzionalizza- ai profondi mutamenti sostanziato. C’è bisogno, cioè, che il corag- li intervenuti.


IL WORKSHOP Gaetano Quagliariello

Innanzi tutto, mediante una riforma dei regolamenti parlamentari che riconosca al governo la funzione di guida del processo legislativo propria delle moderne democrazie bipolari, attraverso la definizione di tempi certi e rapidi per l’approvazione dei provvedimenti qualificanti del programma, e all’opposizione garantisca un effettivo ruolo di controllo e un’adeguata tribuna per presentare le proprie proposte alternative, superando la funzione di mera interdizione nella quale è oggi confinata. Ma non basta. Perché la modernizzazione del nostro sistema politico-istituzionale sia autentica e duratura, è necessario impedire che la frammentazione che gli elettori hanno cacciato dalla porta con il voto di aprile rientri dalla finestra. In questo senso, una prima occasione mancata è quella della riforma della legge elettorale europea. Non è difficile prevedere che ritroveremo in Europa soggetti politici che avevamo dimenticato, e che ora torneranno ad avere tribuna mediatica e finanziamenti elettorali. Il Partito democratico sconterà più di noi questo ritorno indietro, ma non è una consolazione sufficiente, perché anche noi subiremo una inevitabile erosione oltreché i contraccolpi di uno stimolo alla fuoriuscita. E non è difficile immaginare il titolo che avremo il giorno dopo: “I due giganti malati”. Per arginare i danni, nella costruzione del Popolo della libertà dobbiamo fare in fretta. La transi-

zione verso la seconda Repubblica nel nostro paese è durata anche troppo, dunque per il bene dell’Italia dobbiamo fare in modo che la gestazione del grande partito maggioritario dei moderati e dei liberali sia la più breve possibile. Dobbiamo evitare che l’effettivo amalgama tra i gruppi dirigenti resti troppo a lungo in sospeso. E dobbiamo anche schivare il rischio di non riuscire a interpretare a livello di sistema il fatto di rappresentare il primo vero partito carismatico della storia della democrazia italiana, o, invece, di interpretarlo troppo a livello di territorio. Potremo ricevere in ciò un aiuto indispensabile nella spinta propulsiva del carisma berlusconiano che continua e che Berlusconi ha inteso emblematicamente ribadire riandando alle origini della sua presenza in politica. Non gli si può chiedere di più. Come sedimentare e dare durata a quella epifania spetta a noi. Se sapremo dimostrarci in grado.

L’Autore GAETANO QUAGLIARIELLO Vicepresidente vicario dei senatori del gruppo PdL, è ordinario di Storia contemporanea e pubblicista. Presiede la fondazione Magna Carta.

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Dal leader di partito al partito dei leader

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l post-berlusconismo è già incominciato, anche se manca ancora qualche anno e non si sa chi sarà il suo successore, il Pdl si sta preparando al futuro con la formazione del partito unico di centrodestra, primo passo per continuare il progetto di Berlusconi, ma anche per superare lo stesso berlusconismo. Per questo il nuovo partito deve aprirsi alla società, non in maniera occasionale, e più o meno spettacolare, ma attraverso forme chiare e codificate che possano essere fonte di legittimazione, di arricchimento per la vita interna del partito e allo stesso tempo, garanzia di responsabilità politica DI SOFIA VENTURA

Forza Italia è stata governata per quattordici anni da un leader carismatico ed è questo stesso leader che ha fornito l’impulso per l’aggregazione del centrodestra, con la fusione tra il suo partito e Alleanza nazionale. Il Pdl nella sua prima fase sarà nuovamente guidato da Silvio Berlusconi, che

– prima con il suo discorso “dal predellino”, poi con una svolta più compiuta in campagna elettorale – ha saputo imprimere alla destra italiana una nuova spinta verso la creazione di un grande partito a vocazione maggioritaria, interpretando così un sentimento largamente diffuso tra gli


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elettori del centrodestra. Ma proprio perché anche il Pdl nasce con l’impronta del partito “carismatico” e nella sua prima fase è destinato ad essere guidato dal suo leader fondatore, per chi sta lavorando alla sua organizzazione si pone il problema della “routinizzazione del carisma”.

L’istituzionalizzazione di partiti carismatici e la loro sopravvivenza dopo il ritiro del leader, come ricordava nella sua classica opera sui partiti politici Angelo Panebianco, costituisce una rarità. In realtà, oggi a confluire nel Pdl sono un partito consolidato e radicato sul territorio come An e un


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partito, Fi, che negli anni ha co- più incisiva, il suo successore Genosciuto – nonostante l’origine orge Pompidou. L’azione sul parcarismatica – un importante con- tito condotta da Pompidou, in solidamento (Poli 2001). Rimane particolare con la riorganizzazioil fatto che a livello centrale il ne del 1967, che portò a una maspartito di Berlusconi ha mante- siccia campagna di reclutamento nuto un carattere proprio della e a un significativo rinnovamento sua originaria impronta carisma- della classe dirigente, consentì tica, ovvero quella particolare na- quella routinizzazione del caritura della coalizione dominan- sma indispensabile per il superate «coesa pur essendo rappresen- mento della fase “eroica” del goltata da varie tendenze», della lismo (Berstein 2002). quale il leader “rappresenta il ce- La situazione italiana è per molti mento” e le cui tensioni interne aspetti diversa. Noi non abbiamo sono il prodotto del desiderio di un presidente che governa e che «assicurarsi una maggiore prote- può avvalersi della collaborazione di un primo minizione e maggiori stro. Nell’attuale favori da parte del Berlusconi è un leader contingenza, inoll e a d e r » ( P a ne b i a n c o 1 9 8 2 , “antipolitico” e, quindi, tre, nemmeno possiamo aspettarci 131). Questo mo- ha dovuto anteporre che un’azione incidello sembra in siva per il consoligrado di imporsi i risultati dell’azione anche nella nasci- alle riforme istituzionali damento della sua stessa creatura postura formazione e pone, a nostro avviso, alcuni pro- sa provenire dal presidente del blemi rispetto alla successione e Consiglio. Da un lato, Berlusconi alla completa routinizzazione del si è trovato a operare in un contesto altamente instabile e conflitcarisma. Tra i rari esempi di partito cari- tuale, che ha reso difficile un lasmatico sopravvissuto al suo lea- voro di lungo periodo sulla forma der, la letteratura annovera il par- partito. Dall’altro, il suo essere tito gollista, che riuscì a consoli- un leader “antipolitico” come De darsi già negli anni della presi- Gaulle (Campus 2006) (dove con denza di De Gaulle e nel 1969 il termine di “antipolitica” intensuperò con successo la traumatica diamo un linguaggio e un’azione uscita di scena del suo fondatore. volti a sfidare e rinnovare il sisteOstile per principio ai partiti e ma), ha fatto sì che egli abbia andiffidente nei confronti del pro- teposto un atteggiamento pragprio, non fu De Gaulle a operare matico, mirante al raggiungiper il consolidamento dell’Union mento dei risultati e che fonda le pour la nouvelle république (Unr), aspettative di successo sulla bensì in un primo tempo Michel “buona volontà” e le capacità di Debrè (primo ministro sino al chi ha la responsabilità di gover1962) e poi, in maniera ancora nare, alla riflessione sulle riforme


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istituzionali e sugli strumenti e le regole della competizione. Per Berlusconi l’obiettivo primario è da sempre l’efficacia dell’azione di governo e il Pdl – come in passato Forza Italia – è strumentale a ciò. Il problema, oggi, è che, trovandosi il Pdl in una fase di “stato nascente”, accanto al compito di sostenere il governo deve anche perseguire quello di consolidarsi come forza in grado di competere – nel lungo periodo – nel sistema politico. Quest’ultimo è, a nostro avviso, il compito che i sub-leader che operano oggi all’interno della nuova formazione si devono dare. E tornando alla riflessione sulla natura carismatica del rapporto “leader-seguaci”, un passo che a noi pare necessario sarebbe proprio quello di introdurre sin da subito regole più certe di organizzazione, reclutamento e mobilità all’interno del vertice del partito. Regole che connetta-

no i ruoli di vertice anche e soprattutto alla capacità di creare consenso all’interno del partito, base compresa, una base la più ampia e “agile” possibile. A nostro avviso, solo in questo modo si può preparare il partito alla successione; solo in questo modo si può scongiurare il pericolo che quel momento colga di sorpresa la sua classe dirigente, che la colga impreparata ad affrontare le legittime “lotte per il potere” attraverso la proposta di opzioni politiche convincenti e la conseguente ricerca del consenso. La riflessione precedente ci conduce ad affrontare un tema che ha assunto grande rilevanza nei più recenti studi sulle trasformazioni dei partiti europei. Ovvero, quello della “democratizzazione” dei partiti, fenomeno strettamente legato a quello della loro “presidenzializzazione”. Con questo secondo termine si fa riferimento

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all’organizzazione della “macchina partito” attorno al suo leader, in vista della conquista della massima carica di governo (presidenza o premiership). Questo tipo di partito tende a essere anche market-oriented. Avendo come obiettivo la conquista del governo, esso deve necessariamente mirare alla conquista della maggioranza delle preferenze espresse dagli elettori. Per questo struttura il proprio comportamento per competere nel mercato elettorale, cercando di rispondere alle domande degli elettori e sforzandosi, al tempo stesso, di mantenere un equilibrio con le più generali visioni del partito e le preferenze dei suoi membri (Lees-Marshment 2008, 20-21). Queste attitudini “presidenziali” e market-oriented sono riscontrabili in diversi grandi partiti europei, dai conservatori e laburisti inglesi ai neo-gollisti e socialisti

francesi. In tutte queste formazioni politiche, tali attitudini si sono accompagnate, come si diceva, a una “apertura” del partito agli aderenti, ovvero a nuove forme di “democratizzazione”. Il declino del modello del partito di massa nella seconda metà del Ventesimo secolo è stato segnato anche dal declino del numero degli iscritti ai partiti politici. Il modello che si è affermato è divenuto quello del partito “professionale-elettorale”, caratterizzato, tra le altre cose, dalla «perdita di peso politico degli iscritti e un marcato declino del ruolo della militanza politica di base» e da un corrispondente rafforzamento del ruolo della leadership (Panebianco 1982, 479). Ciò nonostante, le analisi sul funzionamento interno dei partiti hanno mostrato che, in particolare a partire dagli anni Novanta, sono stati gli stessi leader di partito che hanno


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rivalorizzato la risorsa costituita va, ad esempio, che possono essedagli aderenti (Andolfatto 2001). re interpretate le riforme introA differenza di quanto accadeva dotte nel 1998 – dopo la sconfitnei tradizionali partiti di massa, i ta dell’anno precedente – dal leamembri del partito non sono sta- der conservatore William Hague ti più considerati individui da (The Fresh future), esplicitamente “socializzare” alla politica attra- pensate per rafforzare il carattere verso l’integrazione nelle struttu- market-oriented del partito e sostere del partito. Piuttosto, essi sono nute dalla convinzione dell’imdivenuti, grazie all’introduzione portanza della membership per di nuove forme di democrazia in- l’identificazione delle domande terna ed in particolare della de- degli elettori (il primo stadio del mocrazia diretta, parte dei pro- political marketing: il market intelcessi “vitali” delle organizzazioni ligence) e per la diffusione del sopartitiche, in diversi casi funzio- stegno al partito (Lees Marnali a processi di innovazione e shment e Stuart Quayle 2001). Con le riforme del rinnovamento. Ciò è accaduto senza I new labour tornarono 1998, sono stati introdotti forum compromettere il ruolo dei leader e al potere per il carisma per la definizione delle politiche nei la loro autonomia. di Blair e soprattutto quali è stata data L’equilibrio tra auuna voce, ancorché tonomia della lea- per il rinnovamento piuttosto debole, dership e l’intro- realizzato nel partito ai membri ordinaduzione di forme di democrazia procedurale è stato ri e per la prima volta è stato atraggiunto grazie all’attribuzione tribuito un ruolo nella scelta del di un peso rilevante ai membri leader agli aderenti, chiamati a ordinari, considerati più modera- esprimersi sui candidati proposti ti e più disponibili a sostenere le dal partito parlamentare (Hefferpolitiche proposte dai leader, di- nan e Webb 2005, 44-46). luendo in questo modo l’influen- Ma l’esempio più di successo è za dei membri più ideologica- probabilmente costituito dal New mente connotati e meno propensi Labour e dalle riforme introdotte, ai cambiamenti (Scarrow, Webb e a metà degli anni Novanta, da Tony Blair. Il processo di innovazioFarrel 2002, 131). In diversi partiti europei, l’intro- ne del partito, premessa necessaduzione di nuove forme di demo- ria del suo ritorno al potere nel crazia è stata concepita da leader 1997, è stato infatti caratterizzato modernizzatori come strumento da un massiccio reclutamento di sia di lotta interna contro le forze nuovi aderenti, rivolto principalpiù conservatrici, sia di legitti- mente agli appartenenti alle promazione delle nuove politiche ed fessioni liberali e alla classe meè spesso avvenuta in fasi di crisi dia, e dall’introduzione del sistedel partito. È in questa prospetti- ma one-member-one-vote all’interno

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di tutti i principali processi deci- retta del presidente del partito, sionali (Mandelson e Liddle 1996, una norma poi recepita nello sta216-220; Faucher-King e Le Ga- tuto dell’Ump nel 2002. Di quelès 2007, 123). In particolare, il sta norma poté approfittare nel voto degli aderenti è stato fatto 2004 Nicolas Sarkozy che, grazie pesare nella selezione del leader alla popolarità conquistata come (un terzo del collegio elettorale) e ministro degli Interni, riuscì a nella identificazione dei candidati strappare la presidenza agli chialle elezioni legislative; accanto a racchiani. Per facilitare la propria ciò, sono stati creati forum tema- corsa alla candidatura alle presitici per la definizione delle politi- denziali del 2007 e sconfiggere le che del partito, anche se – come resistenze provenienti dall’area nel caso dei conservatori – il con- fedele a Chirac, nel 2005 Sarkozy trollo della leadership sulle opzio- riuscì a imporre una nuova norma ni programmatiche è rimasto de- statutaria che prevedeva la desicisivo. Questo insieme di misure gnazione del candidato mediante il voto diretto deè stato utilizzato dalla leadership La forma di democrazia gli aderenti. Sulla scorta dell’espemodernizzatrice rienza britannica e laburista per im- diretta per la scelta per fornire una più porre il cambia- della leadership potente legittimamento e neutralizzare le resistenze ha modernizzato l’Ump zione al proprio progetto, tra il più conservatrici e le formazioni inglesi 2005 e il 2006 il degli attivisti locali e, dopo il 1997, per legitti- futuro presidente avviò anche una mare le politiche governative serie di convenzioni per la definizione del programma per le legi(Heffernan e Webb 2005, 47). A partire dalla metà degli anni slative del 2007, che prevedevano Novanta, anche i due maggiori la partecipazione e la consultaziopartiti francesi hanno introdotto ne (anche attraverso strumenti forme di democrazia diretta per elettronici) degli aderenti. Anche la selezione dei leader del partito, nell’esperienza dell’Ump di Sardei candidati alla presidenza e, kozy, inoltre, il reclutamento di nel caso dei socialisti, dei candi- nuovi iscritti è stato considerato dati alle legislative. Nell’espe- un passaggio di grande importanrienza dei neo-gollisti, l’introdu- za per il rinnovamento interno e zione di forme di democrazia di- per la legittimazione esterna delretta nelle scelte interne del par- le scelte del partito (Ventura tito è avvenuta nel contesto della 2007, 2008). sfida portata alla leadership di Ja- Queste esperienze rappresentano, ques Chirac. Fu infatti il suo av- a nostro avviso, un riferimento versario Philippe Séguin, presi- importante per coloro che stanno dente dell’Rpr dal 1997, che in- oggi mettendo mano allo statuto trodusse nel 1998 l’elezione di- del Pdl. Siamo consapevoli che la


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IL PERSONAGGIO

Pompidou: il vero eroe del post-gollismo Figlio di un maestro elementare, Georges Pompidou cresce ad Albi e compie gli studi liceali a Tolosa, nel sud-ovest della Francia. Sì laurea brillantemente in Lettere a Parigi, specializzandosi nella prestigiosa École normale supérieure. Si schiera con il generale Charles De Gaulle subito dopo la Liberazione di Parigi nel 1944. Dopo le dimissioni di De Gaulle da presidente del Consiglio nel 1946, rimane in disparte per tutta la durata della Quarta Repubblica francese. Direttore della Banca Rothschild dal 1956 al 1958. Nel 1958 è uno dei tessitori dell’avvento della Quinta Repubblica francese. Nel 1959 è nominato dal neoeletto presidente della Repubblica Charles De Gaulle membro del Conseil Constitutionnel. È nominato primo ministro nel 1962, mantenendo l’incarico ininterrottamente fino al 1968. Pur avendo superato indenne i moti studenteschi del maggio 1968 e l’ondata di scioperi che ne seguirà, dopo le elezioni anticipate del 1968 è costretto da De Gaulle a dimettersi, per cedere il posto all’incolore Maurice Couve de Murville. Sfidando una violentissima campagna diffamatoria orchestrata ai suoi danni fin dall’ottobre 1968 da alcuni esponenti dell’ala sinistra del movimento gollista, dopo le dimissioni di De Gaulle nel 1969 si presenta alle elezioni presidenziali. Al ballottaggio ha facilmente la meglio sul secondo candidato dei moderati, il presidente del Senato Alain Poher. Il 21 giugno s’insedia alla presidenza della Repubblica e nomina primo ministro Jacques Chaban-Delmas, che rappresenta l’ala riformista del gollismo. Il suo settennato interrotto si caratterizza per le scelte economiche lungimiranti e tese a raggiungere la pace sociale. Il suo obiettivo è fare della Francia un paese industrializzato, e si può dire che vi è riuscito perfettamente. Il simbolo del “pompidolismo” economico può essere individuato nell’aereo Concorde. Autorizza la costruzione delle prime centrali nucleari. Favorisce lo sviluppo urbanistico delle grandi città e la rinascita culturale del

paese. La sua cultura umanistica è sterminata. Nel corso di una conferenza stampa, lascia a bocca aperta l’uditorio rispondendo alla domanda imbarazzante di un giornalista citando a memoria una lunga poesia di Paul Éluard. È anche un bon vivant, amante della buona tavola e delle serate mondane. Gli è di grande ausilio sua moglie Claude, donna di straordinaria eleganza e profonda cultura. Da primo ministro, consente che la volta del Palais Garnier, il teatro dell’opera di Parigi, sia affrescata da Marc Chagall. Alla fine degli anni Sessanta immagina un centro multidisciplinare destinato all’arte contemporanea, da realizzare in un quartiere di Parigi, il Beaubourg, da tempo in forti condizioni di degrado anche a causa di alcune demolizioni rimaste a metà. Viene così costruito l’attuale Centre Pompidou, esito felice di un concorso internazionale che vide prevalere inaspettatamente due giovani e sconosciuti architetti stranieri, l’italiano Renzo Piano e l’inglese Richard Rogers. Tuttavia la morte gli impedisce di assistere all’inaugurazione della sua creatura nel 1977. Colpito dal morbo di Waldenstrom, rifiuta di dimettersi e continua a esercitare il suo mandato nonostante i sintomi della malattia siano ormai visibili e invalidanti. Muore il 2 aprile del 1974, non riuscendo a terminare in pieno il suo mandato che sarebbe scaduto nel giugno del 1976. È autore di alcuni volumi di argomento politico e letterario, tra cui un’Antologie de la poésie française.

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definizione delle regole di qual- sione di distribuire le cariche insiasi organizzazione scaturisce terne (e forse anche le future caninevitabilmente dai difficili equi- didature) sulla base della formula libri tra i principali attori in gio- 70-30, cioè sui rapporti di forza co e siamo ancor più consapevoli elettorale dei due partiti rilevati che scelte di apertura a nuovi attraverso sondaggi interni alla meccanismi decisionali e a nuove vigilia delle ultime elezioni, veidinamiche di partecipazione sono cola un’immagine di partito difficili da compiere. Le conse- chiuso in se stesso, più preoccuguenze per gli equilibri interni di pato dei rapporti tra le oligarchie quei meccanismi e di quelle dina- interne che di aprirsi alla società. miche non sono, infatti, facil- Per questo riteniamo auspicabile mente prevedibili. L’attuale con- che tale formula sia superata nei senso del quale godono il Pdl e – tempi più brevi possibili, con soprattutto – il suo leader, inol- l’introduzione di nuove regole tre, rischia di essere un fattore che spariglino le carte e risultino imprevedibili nelle non favorevole loro conseguenze all’innovazione. Il nuovo partito per tutti gli attori Ma agli uomini in gioco. Questi politici è lecito deve anche imparare ultimi sarebbero chiedere anche a democratizzarsi così posti su di un lungimiranza. I benefici che po- per scongiurare il rischio piano di parità e trebbero derivare di una fusione a freddo ciò consentirebbe probabilmente da una apertura del partito al proprio elettorato un’organizzazione del partito non sarebbero infatti numerosi: mag- più legata alle sue componenti giore legittimazione del partito, originarie. della sua leadership e delle sue Un partito retto da regole di depolitiche (con l’esclusione delle mocrazia interna, anche diretta, opzioni più estreme); recluta- sarebbe anche un partito più funmento di nuove forze e continua zionale rispetto alla democrazia capacità di rinnovamento della dell’alternanza, che si è affermata classe dirigente, maggiore accoun- nel nostro paese dopo il 1994. A tability di quella stessa classe diri- questo proposito, è di estremo interesse la riflessione condotta da gente, a tutti i livelli. Accettare anche “l’altra faccia Giovanni Guzzetta (2008) sul della medaglia” della “presiden- persistere nel nostro sistema polizializzazione” del partito, vale a tico di partiti “introflessi”, secondire una sua maggiore “democra- do un modello coerente con il tizzazione”, potrebbe rivelarsi funzionamento consensuale e utile anche per scongiurare il pe- “proporzionalistico” della demoricolo che la fusione tra Forza Ita- crazia. Secondo Guzzetta, la dinalia e Alleanza nazionale risulti mica competitiva sembra aver inuna fusione “a freddo”. La deci- vestito solo il livello esterno, in-


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terpartitico, senza intaccare quel- posito, costituire un esempio di lo interno ai partiti, limitando un certo interesse. I neo-gollisti, così la “sovranità” del cittadino infatti, hanno optato per il ricoalla sola scelta del governo e la- noscimento delle diverse sensibisciando alle burocrazie di partito lità, organizzate in associazioni un controllo totale e non respon- con propria personalità giuridica sabile su altri aspetti della vita (da Gay Lib ai cattolici di Chridemocratica (scelta dei rappre- stine Boutin ai liberali di Novelsentanti, grandi opzioni pro- li) e formalmente collegate algrammatiche). Il fenomeno appa- l’Ump. Si tratta di una scelta che, re ancora più evidente, inoltre, se se non è scevra da difetti, prima si riflette sul fatto che la drastica di tutto una certa opacità nei rap(e positiva) riduzione del numero porti con il vertice del partito, dei partiti pone un problema di senza pregiudicare l’unità di querappresentanza delle diverse posi- st’ultimo, permette comunque zioni partigiane, che per il corret- che le diverse sensibilità svolgano un ruolo attivo nel to funzionamento dibattito interno e della democrazia Bisogna riconoscere nella definizione dovrebbero trovare delle opzioni prospazio, in questa le diverse sensibilità grammatiche fase maggioritaria, che possono nascere (Haegel 2007). all’interno degli Una nuova attenstessi partiti. Que- all’interno e usarle zione verso gli sto, naturalmente, come risorsa esterna aderenti e la denon significa auspicare una riedizione del fenome- mocrazia interna non si traduce no correntizio «fondato sull’idea nel recupero delle logiche del di correnti i cui capi negoziano partito di massa. Tutt’altro. Essa continuamente tra di loro, secon- comporta, piuttosto, l’allontanado una logica di quote, le scelte mento dall’idea di un partito che politiche fondamentali», bensì si vuole interprete esclusivo del accettare l’idea del conflitto e la «bene comune» e guida di masse regola della maggioranza come «da educare», dove il potere è afrealtà fisiologiche della vita dei fare di oligarchie interne tendenzialmente irresponsabili. Parapartiti. L’organizzazione del pluralismo dossalmente, il Pdl, nell’unica interno appare, dunque, una ne- forma che ha per il momento ascessità per partiti che aspirano a sunto – quella governativo-parlaconquistare da soli il governo del mentare – appare ancora segnato paese, per partiti che aspirano a da alcuni tratti di quel modello, rappresentare una vasta porzione che tuttavia i suoi esponenti dichiarano ripetutamente di rifiudell’elettorato. L’esperienza dell’Ump – anch’es- tare. Ma per voltare pagina riso nato dall’aggregazione di più spetto a quel tipo di partito (che componenti – può, a questo pro- ha dominato nella fase consensua-

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le della nostra storia politica), non è sufficiente diventare un partito “leggero” e che utilizza internet e i blog. È anche necessario aprirsi verso la società, non in modo occasionale e più o meno spettacolare, ma attraverso forme chiare e codificate, che possano essere fonte di legittimazione, di

ricchezza per la vita interna del partito e al tempo stesso garanzia di responsabilità. Per un grande partito che si vuole presidenziale e a vocazione maggioritaria, l’apertura verso l’esterno e l’accettazione del conflitto e del pluralismo interni ci paiono rischi che vale la pena di correre.

Bibliografia Andolfatto, D. (2001), Les adherents: une ressource réévaluée, in D. Andolfatto, F. Greffet e L. Olivier (a cura di), Les partis politiques. Quelles perspectives?, Paris, L’Harmattan.

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L’Autore SOFIA VENTURA Professore associato presso la facoltà di Scienze politiche, sede di Forlì. Rappresentante dei professori di seconda fascia presso il Consiglio di Polo di Forlì. Tra i suoi libri: Il federalismo, Bologna, Il Mulino; La politica scolastica, Bologna, Il Mulino; La scuola tra Stato e Chiesa. La regolamentazione dell'insegnamento privato in Italia e in Francia, Rimini, Maggioli; Carl J. Friedrich, L’uomo, la comunità, l’ordine politico, Bologna, Il Mulino.


IL WORKSHOP Emmanuele Forlani

Guardiamo oltre confine

Un partito unico con radici europee Il Pdl dovrà fare assolutamente suoi i principi del Ppe riprendendo le peculiarità che sono affini al sistema economico, politico e sociale del nostro paese DI EMMANUELE FORLANI

Mi unisco non di rito ai ringraziamenti già manifestati da chi mi ha preceduto e lo faccio per due sostanziali motivi. Il primo, c’è l’assoluta necessità e urgenza di momenti come questo organizzato dalla fondazione Farefuturo nei quali dialogare e approfondire le prospettive di identità del costituendo partito del Pdl;

mi auguro che questa rappresenti la prima di una serie di occasioni di costruzione di un cammino comune. In secondo luogo, mi trovo particolarmente sintonico con l’ordine dei lavori proposto, affrontando in prima battuta la cultura politica del Pdl e il ruolo dei think tank, affrontando solo in un secondo mo-

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mento la forma – partito e la selezione della classe dirigente. Ritengo infatti decisivo affrontare i contenuti e i principi sui quali si fonda il partito del Pdl e costruire su misura un vestito organizzativo e formale. Il professor Campi ha descritto il contenuto e il contenitore, segnalando le urgenze e le necessità per affrontare ciascuna delle due facce della medaglia. Penso che sia più ragionevole correre il rischio di adeguare il contenitore al contenuto piuttosto che imbattersi nel procedimento inverso. Quindi, da dove partire nella individuazione dei contenuti, dei principi e delle prerogative del Pdl? Il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, con le sue recenti dichiarazioni non ha lasciato spazio a interpretazioni, segnalando l’assoluta condivisione dei principi del Partito popolare europeo. Da qui penso si debba partire, impegnandosi nella declinazione operativa di quanto rappresenta l’ossatura del Ppe. Il percorso non si può ridurre ad automatismi e non si risolve quindi nella traduzione in lingua italiana di quanto dichiarato in altre lingue. Occorre invece fare lo sforzo di individuare (e quindi di giudicare) le peculiarità del nostro sistema paese, in esso compresi il sistema sociale, economico e politico. A questo obiettivo possono autorevolmente concorrere le fondazioni, le associazioni e i think tank di cultura politica di centrodestra. Il fenomeno dei think tank è particolarmente sviluppa-


IL WORKSHOP Emmanuele Forlani

to negli altri paesi europei e ancor più negli Stati uniti; in Italia queste realtà si sono timidamente affacciate nel panorama sociale e politico all’inizio degli anni duemila e oggi manifestano tutta la maturità che occorre ad apportare un contributo fattivo. I comitati scientifici, la serietà e competenza delle riviste e delle ricerche che quotidianamente vengono realizzate, sono fattori decisivi per un reale contributo alla individuazione delle peculiarità e dei principi del costituendo partito. Vi è un altro punto non secondario nell’affrontare la costruzione di un nuovo partito, il rapporto con la società civile e i corpi intermedi. La storia di Forza Italia e di Alleanza nazionale è ricca di momenti di attenzione concreta e non corporativa alla società civile, riconoscendone il valore imprescindibile. Il principio di sussidiarietà, in numerose occasioni ripreso come bussola dell’intervento politico, rappresenta la modalità più corretta e naturale di rapporto con la società e con i corpi intermedi. Vi è poi un ulteriore approfondimento che ritengo indispensabile fare e riguarda il rapporto con il territorio. Come già avviene per il naturale sviluppo dei partiti Forza Italia ed Alleanza nazionale, il rapporto con il territorio non è un incidente di percorso, ma il punto cruciale di garanzia per il futuro. Occorre prevedere forme che favoriscano lo sviluppo del rapporto con il territorio, dove risulta ancor più efficace la capacità del partito di rispondere

concretamente ai problemi dei cittadini. È inoltre l’ambito naturale in cui sviluppare in modo trasparente rapporti trasversali tesi alla soluzione dei problemi concreti del cittadino in ambito locale. Sul territorio si gioca infatti la possibilità di battaglie culturali e politiche lontane da contrapposizioni ideologiche. In conclusione, ritengo che non si debba fare altro se non partire da ciò che già c’è, in ambito territoriale come in ambito nazionale e internazionale. La nascita, lo sviluppo e la prospettiva del partito gode infatti di una identità precisa e non della somma algebrica delle priorità dei singoli partiti fondatori.

L’Autore EMMANUELE FORLANI Segretario generale della fondazione per la Sussidiarietà dal 2002 al 2008, è stato direttore dell’ufficio Studi della Compagnia delle Opere. Dal 2003 è coordinatore della segreteria dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà. Dal maggio 2008 è capo della segreteria politica del vice presidente della Camera, Maurizio Lupi.

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Il grande bivio del centrodestra

Superare la psicologia del provvisorio Il nuovo Pdl dovrà essere moderno e pragmatico. Coeso, plurale e pronto a stilare l’agenda delle priorità in sintonia con la società. L’alternativa è quella di dare vita a un modello vecchio, formato da correnti litigiose DI GIANNI SCIPIONE ROSSI

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È di tutta evidenza che il passaggio del Pdl da cartello elettorale a partito politico non avrebbe potuto essere gestito in modo “normale”. Una fase di transizione commissariale era ed è nell’ordine delle cose. Sulla base di un programma elettorale condiviso e vincente è giustificato e opportuno che la fusione tra i soggetti politici preesistenti (FI e AN, ma non solo) avvenga in modo per così dire “guidato”. Il problema è, piuttosto, quanto tempo sarà necessario perché il nuovo partito diventi un partito “normale”, evitando il rischio di quella fusione fredda che sta creando difficoltà al progetto del Pd, per quanto in una situazione tutt’affatto diversa e più complessa, qual è quella della gestione di una grave sconfitta elettorale.

Al di là delle modellizzazioni care ai politologi, un partito normale è radicato nel territorio, ha i suoi iscritti e a questi garantisce opportunità di partecipazione, elabora un sistema di selezione dei quadri e degli eletti a ogni livello, nel rispetto del principio democratico. Il Pdl non potrà dunque essere un partito virtuale, creato su Facebook, né un partito estemporaneo, basato sui gazebo. Le nuove forme di partecipazione politica e culturale potranno essere un mezzo aggiuntivo ma non sostitutivo delle tradizionali forme di aggregazione. Nel caso contrario il Pdl rischierebbe di nascere come partito oligarchico, che a lungo andare si priverebbe del ricambio interno e della elaborazione delle idee. La scommessa potrà essere vinta –


IL WORKSHOP Gianni Scipione Rossi


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ovviamente in relazione alla efficacia dell’azione di governo nella legislatura in corso – solo superando alcune caratteristiche che appartengono – in maggiore o minore misura – ai soci fondatori. La prima di queste caratteristiche negative si può individuare nella sindrome dell’ex. Nonostante siano trascorsi tre lustri – un tempo “storico” - dalla fondazione di Forza Italia e di Alleanza Nazionale, entrambi i partiti sono riusciti solo parzialmente ad amalgamare le diverse culture politiche di cui i loro quadri erano portatori. Il fenomeno è più evidente in Forza Italia. Impegnato nella battaglia contro i “fannulloni” il ministro Brunet-

ta, in uno dei tanti interventi pubblici, ha tenuto ad affermare con forza di ritenere la sua iniziativa “di sinistra” e di condurla avanti da uomo di sinistra, rivendicando con comprensibile e legittimo orgoglio la propria identità di “socialista di Forza Italia”. Il messaggio che ne deriva è tuttavia equivoco, peraltro in relazione a una iniziativa politica correttamente percepita dalla pubblica opinione come “di destra”. Se ne può infatti dedurre che un esponente di rilievo del governo di centrodestra immagini che l’unico modo per rendere “commestibile” una linea politica sia attribuirla all’avversario, nei confronti del quale ci si pone quasi

Intervista con Gianluca Sadun Bordoni

IL PDL COME L’EUROPA Qual è la via migliore per la costruzione di un Popolo della libertà saldamente coeso? Attualmente all’interno del Pdl c’è una comprensibile tensione tra due ipotesi opposte: da un lato, l’idea di costruire un partito dotato di identità forte e principi declinati con nettezza, dall’altro, l’idea di privilegiare un partito pragmatico, del fare. Entrambe le alternative sono insoddisfacenti e occorre cercare la terza via, cioè un approccio di tipo funzionalistico, analogo a quello utilizzato nell’ambito della costruzione dell’Europa, che parta dalla declinazione di alcuni grandi principi, ma anche, e soprattutto, da progetti concreti. Ci sono principi ispiratori comuni alla base del programma del Pdl? Il nascente Popolo della libertà trae origine


IL WORKSHOP Gianni Scipione Rossi

in termini di supplenza. Ciò che la sinistra al governo avrebbe dovuto fare ma non ha avuto il coraggio o la capacità di fare, tocca alla destra portare a compimento. Tutto ciò non aiuta a definire i confini della cultura politica del Pdl. Inoltre alimenta una sorta di psicologia del provvisorio. Come se in qualsiasi momento – finita l’emergenza – ex-socialisti, exdemocristiani, ex-liberali, exmissini, ex socialdemocratici, exradicali potessero ri-disperdersi nelle case dei padri. Può apparire paradossale ma da queste autodefinizioni ricorrenti emerge una persistente nostalgia per la Prima Repubblica e, in fondo, per le ideologie del Nove-

dalla confluenza di due partiti diversi – Forza Italia e Alleanza Nazionale- che però ormai già da 15 anni operano sinergicamente all’interno del panorama politico italiano, con il raggiungimento di ipotesi di convergenza pragmatica di grande spessore politico e valore ideale. Due sono gli elementi di rilievo politico primario: il progetto istituzionale e la centralità del ruolo dello Stato. In entrambi i casi, a partire da nature politiche diverse, si è determinata una convergenza pratica che ha prodotto modelli organici. Così, sulla base delle sollecitazioni provenienti dai diversi partiti - FI, An e Lega -, si è definita una prospettiva strutturata di riforme, che si enuclea principalmente in Stato federale, Repubblica presidenziale e democrazia maggioritaria e, ugualmente, da culture politiche diverse che hanno stemperato i loro elementi più radicali, ha preso vita una costruzione politica con al centro uno

cento, proprio nel ceto politico che è stato protagonista e levatrice della Seconda Repubblica. L’impegno più gravoso che attende il Pdl oltre la fase costituente è dunque ridefinirsi come soggetto stabile e coerente nel quadro di un bipartitismo di tipo europeo. In un certo senso il Pdl, contenitore più grande dei soggetti originari e per sua natura a vocazione maggioritaria, è un’opportunità storica proprio per superare le tante sindromi “da ex”. Nel nuovo partito – in linea per ora puramente teorica – i sottogruppi portatori di specifiche identità politiche e culturali legate al passato potrebbero trovare il luogo adatto per una scomposizione e

Stato che agisce, ma non per questo è assistenzialistico. E in campo etico? Tale approccio funzionalistico non vuole però escludere del tutto il dibattito sul profilo identitario, inteso come declinazione di valori in campo morale. Anche in questo caso, tra le due ipotesi estreme, cioè, da un lato, l’idea di indicare valori forti e quindi come tali escludenti, dall’altro, quella di una mera sommatoria di valori diversi senza minimo comun denominatore, occorre cercare una terza posizione. Questa terza via deve trovare un terreno d’intesa sui valori per sottrazione, cioè individuare le posizioni più estreme, relegarle ai margini e ritagliare così lo spazio del dibattito centrale. Solo in questo modo il nuovo partito, abbandonate le posizioni più chiuse e vincolate al passato, può aprirsi al futuro e alle sue sfide. Cecilia Moretti

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ricomposizione secondo criteri contenutistici. In presenza di regole interne democratiche, anche di tipo maggioritario, è possibile e auspicabile che si passi dalla convivenza tra diversi a una fase di nuove sintesi. È già evidente che le sensibilità specifiche sono trasversali ai soggetti politici confluiti nel cartello elettorale e, quindi, nel governo. La diversa sottolineatura dei temi sociali ed etici, per fare solo due esempi, ha aggregato in passato e ancor di più potrà aggregare in futuro personalità e gruppi di diversa formazione. Al termine della transizione – che va immaginata non infinita, al massimo nei limiti della legislatura – il Pdl non potrà che essere un partito moderno e pragmatico. Coeso e plurale a un tempo, pronto a stilare l’agenda delle priorità in sintonia con la società. L’alternativa – il partito delle correnti in perenne conflitto di potere – prelude al fallimento. D’altra parte un altro rischio è insito nell’alleanza di governo con la Lega Nord. Pur presentandosi per certi versi come un partito “di scopo”, sotto il profilo organizzativo è un partito di tipo tradizionale, fortemente radicato, che riesce a cavalcare i disagi sociali con grande spregiudicatezza. In prospettiva la Lega potrebbe dunque minare la vocazione maggioritaria del Pdl. Anche qui, si tratta per il nuovo partito di mettere in evidenza le differenze valoriali. Un grande partito di centrodestra – per esempio – non potrà prescindere

dall’affermazione di un’identità nazionale interpretata in modo moderno, da un lato recuperando il patriottismo della tradizione risorgimentale, dall’altro confrontandosi in modo positivo con la sfida imposta da un fenomeno migratorio ormai strutturale e stabilizzato. A differenza della Lega, il Pdl ha la grande opportunità di puntare sull’inclusione dei “nuovi italiani” come fattore di arricchimento e di equilibrio sociale.

L’Autore GIANNI SCIPIONE ROSSI Giornalista e saggista, è vicedirettore di Rai Parlamento. È autore, tra l’altro, di Cesira e Benito. Storia segreta della governante di Mussolini (2007); Il razzista totalitario (2007); Mussolini e il diplomatico (2005); La destra e gli ebrei (2003). È vicepresidente della Fondazione Ugo Spirito.


IL WORKSHOP Giuseppe Parlato

Per un partito di sintesi politica

Sui valori di riferimento, la parola alle fondazioni Le matrici culturali del Pdl sono molteplici. Ciascuna trovi cittadinanza in un luogo di pensiero e si confronti con le altre per avere varie scelte DI GIUSEPPE PARLATO

Nel dibattito sul passaggio al “partito unitario”, sono emerse differenze notevoli circa le modalità da perseguire. Si va da chi propone una posizione identitaria molto “leggera”, quasi inesistente nella quale le differenze culturali sono viste soprattutto nel “fare” e risolte nell’ambito dell’azione di governo, a quelle di chi ritiene che il discorso dell’identità vada comunque affrontato. Storicamente siamo abituati a considerare la formazione dei partiti politici dell’Ottocento e del Novecento nell’ambito delle idee forza, a livello di cultura politica, e cioè dai percorsi ideologici che hanno caratterizzato l’Europa dalla Rivoluzione francese in poi. In quel caso, il nuovo partito politico doveva possedere una “visione del mondo” in grado di parametrare attraverso di essa tutto il suo rapporto con la cultura, con la politica e con la società. Oggi non è più tempo di Weltanshauung, i partiti politici hanno as-

sunto forme diverse, mentre la fine del proporzionale ha anche condannato la logica delle appartenenze minuscole e delle frazioni interne. Tuttavia, un partito che voglia rappresentare un momento di sintesi politica, soprattutto se indirizzato a costituire un punto di riferimento non episodico nel quadro politico nazionale, non può non tenere conto di alcuni elementi. In primo luogo si dovrà individuare il motivo per cui questo partito esiste, le ragioni che lo impongono: si tratta di un’esperienza ormai talmente radicata che per la prima volta una fusione di due partiti ha permesso di raggiungere un risultato elettorale anche superiore alla semplice sommatoria delle due forze politiche originarie. Se questo è vero, a maggior ragione bisogna individuare bene i motivi per i quali l’elettorato ha così ampiamente premiato l’operazione. E non pos-

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sono evidentemente essere motivi Il partito è radicalmente cambia“contro”, di pura opposizione nei to negli ultimi venti anni. Non confronti dell’altro schieramento c’è più il partito geloso difensore di una identità culturale o ideoloo dei suoi esponenti. In secondo luogo, occorre fare be- gica, non vi è più il partito garanne i conti con la propria storia, o te supremo della ortodossia rivocon le proprie storie. Il peso della luzionaria, non è più presente il storia nella politica italiana del partito di massa e ideologico che Novecento è sempre stato eccessi- ha determinato buona parte della vo e ingombrante, soprattutto storia del Novecento, anche dopo perché finalizzato direttamente la fine della Seconda Guerra alla politica. I conti con la storia mondiale. sono, per un partito di questo ti- Lo stesso rapporto tra militanti po, complessi perché deve esserci ed elettori si è modificato, renun confronto con le storie dalle dendo i primi meno essenziali di quali ciascuna componente pro- un tempo alle sorti del partito, il quale punta più viene ma al tempo che altro alle comstesso occorre di- La fine del sistema petizioni elettorali. videre il più possiUn partito siffatto bile la storia dalla proporzionale politica, attraverso ha contannato la logica non può (e forse non deve) operare un serio lavoro di culturalmente: si analisi storiografi- delle appartenenze tratta infatti di un ca che non sia e delle frazioni interne contenitore la cui strumentale a nessuna tesi precostituita, soprattut- linea politica si differenzia semto che non invada la politica, se- pre assai meno da quella degli alcondo il cliché consueto di una tri contenitori in competizione. storia che viene usata come clava Si tratta inoltre di un partito costruito per vincere, mentre negli contro o a favore della politica. Proprio per questi motivi è indi- anni del sistema proporzionale, spensabile considerare la storia in Italia, era facile assistere a parcome un momento autonomo ma titi che per quaranta, cinquannon estraneo dalla politica, nel t’anni si presentavano certi di solo senso che la storia (e quindi raccogliere i consensi di una picla riflessione su ogni passato poli- cola nicchia, testimoniale ma in tico) diventa un essenziale eserci- genere duratura nel tempo. In zio di libertà che ci libera dai questo senso, proprio la destra ha condizionamenti del passato e ci dato esempi significativi. rende indipendenti dalle ideolo- Tuttavia, un partito siffatto, oltre gie del Novecento. D’altra parte tutto a vocazione maggioritaria, si può fare la storia solo di qual- un rischio lo corre: che il contenicosa che non esiste più e non di tore si trasformi a un certo punto qualcosa che è talmente presente in un oggetto grigio privo di identificabilità, in una mera macda determinarci.


IL WORKSHOP Giuseppe Parlato

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china di potere, in uno strumento di individuare i valori di riferiche si distingue dagli altri com- mento, le motivazioni delle sinpetitori soltanto perché ha la gole scelte politiche, i percorsi maggioranza e quindi gestisce in che si dovranno fare. modo particolare il consenso dei Per elaborare questo ricupero delle culture politiche e per animare cittadini elettori. Verrebbe, in questo caso a man- il dibattito culturale anche all’incare un qualsiasi rapporto tra il terno del nuovo partito, il luogo partito e una qualunque cultura privilegiato non può essere il parpolitica di riferimento. Non è più tito stesso. Occorre individuare il caso, fortunatamente, di parlare dei “luoghi del pensiero”, esterni di ideologie, ma penso che non al partito, che elaborino - come sarebbe difficile affrontare la que- oggi in buona misura si sta costione, in un caso come il partito minciando a fare – le linee cultudel centrodestra – ma il discorso rali e i riferimenti ideali del parvale anche per gli altri schiera- tito. E poiché le matrici culturali del partito unitario menti –, delle culsaranno irrimediature politiche di Occorre individuare bilmente molte, riferimento, che perché molte sono sono diverse, come “luoghi di pensiero” le culture politiche già si è detto. In esterni al partito che lo hanno deteraltri termini, è minato, occorrepossibile sostitui- per elaborare le linee ranno più luoghi re alla parola ideo- culturali e ideali del pensiero, nei logia – che nessuno intende più proporre per sva- quali ciascuna componente trovi riati motivi e ciò credo sia un cittadinanza e si confronti con le gran bene per la stessa politica – altre, dando al partito un ventaquella di cultura politica, che per glio di scelte culturali. questo e per altri casi, andrebbe Ritengo che questi luoghi del declinata al plurale. Occorre in pensiero si debbano individuare altri termini affrontare il rappor- nelle fondazioni: sia in quelle più to, nello specifico della costituen- strettamente scientifico-culturada formazione politica, tra la po- li, sia in quelle più direttamente litica e le culture politiche di ri- politiche, con una diversità di approcci e di metodologia di elaboferimento. Ognuna delle componenti che si razione (e anche di temi affrontaritroverà all’interno della nuova ti) fra le due tipologie. formazione ha, o ha avuto, alle Più vivace, libero, al massimo spalle una cultura politica. E, no- con un leggero coordinamento nostante il Sessantotto e la crisi tematico, sarà il lavoro delle fondelle ideologie, le culture politi- dazioni, più esse sapranno dibatche esistono o comunque possono tere le tematiche culturali e poliessere ricuperate in un ambito di tiche, meglio emergerà da quel riflessione prepolitica, allo scopo dibattito l’identità plurale del


IL WORKSHOP Giuseppe Parlato

partito stesso, nel quale si dovrà individuare quel minimo comune denominatore in grado di trasformare in scelte politiche le elaborazioni culturali delle fondazioni. Inoltre, esse dovranno svolgere anche un’altra funzione (che in qualche misura alcune già svolgono): contribuire alla formazione della classe dirigente del partito che dovrà essere elaborata da questi luoghi del pensiero, affinché sia il comune denominatore, sia la necessaria pluralità delle culture politiche siano ben chiari a chi si appresta a ricoprire ruoli pubblici nel partito o nello Stato. Riguardo alle questioni relative all’identità, valori come libertà, solidarietà, efficienza dovrebbero costituire gli elementi identitari per la nuova formazione. Occorre affrontare anche la questione della nazione, che per una formazione che riunisce, tra l’altro, due partiti che il concetto di nazione lo portano nella denominazione stessa, dovrebbe essere uno dei temi di forza. La mia impressione è che se non se ne parla è perché noi siamo ancora legati all’idea della nazione come di quell’apparato un po’ conservatore e un po’ reducista che è ben presente nella storia della destra italiana. Ritengo invece che sia giunto il momento di affrontare, magari come tema in agenda per l’attività delle fondazioni, e dibattere la questione della nazione, impostandola su due piani a mio avviso necessariamente complementari: il concetto di nazione come cittadinanza, e quindi ciò che identifica l’appartenenza nazio-

nale non in termini esclusivisti verso l’esterno ma in termini inclusivi verso l’interno (si pensi, ad esempio, alla questione dei “nuovi italiani”); il rapporto tra nazione ed Europa, tra nazione e internazionalizzazione e globalizzazione.

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L’Autore GIUSEPPE PARLATO

Professore ordinario di Storia contemporanea presso la Libera università S. Pio V di Roma, è rettore dell’ateneo stesso . È presidente della fondazione Ugo Spirito e autore di diversi studi relativi al fascismo e al neofascismo.


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l Pdl è il punto di partenza per realizzare il progetto serio di una rinascita della Patria. Perché solo un partito unito negli intenti e che ha una schiacciante maggioranza in Parlamento può portare avanti le riforme necessarie restituendo all’Italia la dignità politica e il ruolo che aveva perduto con i governi precedenti

Il dibattito è solo sulle quote interne tra FI e An

Il partito unico è già presente, ora andiamo avanti! DI MARCELLO DE ANGELIS


IL WORKSHOP Marcello De Angelis

Il numero di incontri, seminari, convegni intitolati “verso il Pdl” ha raggiunto ormai le quattro cifre. Ci sarebbe da chiedersi quanto sia lunga la strada da percorrere se il “verso” dura così a lungo. In realtà è chiaro a tutti che il Pdl c’è ed è tempo di parlare d’altro, per andare oltre. Il Pdl è considerato ancora da molti “solo” un cartello elettorale e ci si interroga quindi sul quando e come diverrà un partito. Ma la questione è mal posta e deriva da una visione della politica che ormai non riguarda più gli elet-

tori, bensì alcuni gruppi di addetti ai lavori. Il Pdl ha già affrontato tre importanti competizioni elettorali (le politiche e amministrative di aprile, le regionali siciliane e le provinciali di Trento e Bolzano – e si presenta oggi alle regionali abruzzesi: per l’elettorato il passo è dunque già compiuto e il resto è storia. Le dialettiche tra An, Forza Italia e gli altri sono considerate – anche dai commentatori – “interne”. Non è realistico immaginare una possibilità di inversione di rotta. Quindi il Pdl è qui, è venuto lui “verso di noi” e a velocità precipitosa. I problemi strutturali, le quote di rappresentanza, gli equilibri e le cariche, sono argomenti che interessano poche centinaia di quadri, anch’essi ormai “interni”. Ma il Pdl, come forza di governo, ha ereditato una tara genetica della compagine mista che aveva già governato l’Italia nella precedente esperienza berlusconiana: una paradossale difficoltà nel proiettare immagini plastiche della propria azione e, soprattutto, della direzione della propria azione. Il paradosso è evidente, se si considera l’accusa reiterata – e ormai sedimentata – contro Silvio Berlusconi, seconda la quale avrebbe un controllo privatistico e quasi totalitario dell’informazione. Difficile è conciliare questa accusa con la pubblicità quasi ossessiva che se ne fa sui media nazionali ed europei (delle due l’una: o Berlusconi controlla i media e

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quindi non si dovrebbe sentir dire di lui altro che bene, oppure, se tutti dicono che lui imbavaglia l’informazione, vuol dire che il bavaglio non c‘è e che i media sono in mano ai suoi detrattori...). Quel che resta, comunque, è che il Pdl governa, ma non riesce a pubblicizzare, spiegare e illustrare ciò che fa. Persino le conferenze stampa del premier finiscono poi sommerse dai commenti e dalle esegesi negative che prevalgono sui media. Eppure, in linea di massima, le riforme già messe in atto dal centrodestra in molti campi, ma soprattutto il suo diverso approccio alla politica e alla gestione pubblica, riscuotono un plauso molto significativo all’Italia e all’estero.

Se il termine fosse ancora in auge, si potrebbe parlare di un vero e proprio “processo rivoluzionario” con i settori detentori di privilegi e di rendite di posizione che remano contro. D’altronde – come scrive Julien Freund – “un progetto è genuinamente rivoluzionario solo allorché costituisce una totale rottura con tutta la storia che conosciamo” ed è indubbio che – complici anche straordinari eventi internazionali – il governo attuale abbia la necessità oltre che la possibilità di realizzare cambiamenti davvero radicali. Straordinario evento va comunque ritenuto anche il grande consenso popolare di cui gode l’esecutivo e la grande e coesa mag-

Il PERSONAGGIO

L’ideatore dell’interesse pubblico moderno James Harrington nacque il 3 gennaio 1611 nel Northamptonshire. Molto poco si sa dei suoi primi anni di vita. Trascorse la sua infanzia nel Lincolnshire, dove ancora oggi si può vedere il monumento del padre, nella chiesa di St. Oswald, in quanto figura eminente. Nel 1629, entrò nel Trinity College, a Oxford. A vent'anni, però, abbandonando ogni proposito d'istruirsi nelle scuole secondo i metodi tradizionali, incominciò a viaggiare nel continente, desideroso di apprendere così altre lingue e di osservare da vicino uomini, costumi e paesi. Con il soggiornò in Olanda cominciò a fare del governo l’oggetto delle sue riflessioni. Prima di lasciare l’Inghilterra, infatti, i concetti di monarchia, anarchia, aristocrazia, democrazia, oligarchia e simili, li aveva appresi solo dai dizionari. Successivamente passò in Francia, dove osservò l’attività governativa di Luigi XIII e di Richelieu, due tra i più abili architetti del moderno assolutismo monarchico e statuale, ammirando la razionalizzazione delle sue strutture. Si pose il problema se l’efficienza politica richiedesse necessariamente un regime assolutistico. La visita in Italia diede la risposta a tale quesito, in quanto ebbe suggerimenti per coniugare l’efficienza delle istituzioni con la democrazia. In Italia fu prima a Roma e poi a Venezia. La città lagunare fu quella che più di tutte lo impressionò per la struttura del suo governo. Qui, fra le altre cose, esaminò, affascinato, il complesso sistema di votazioni del Gran consiglio, interessato a imparare sin nei particolari l’ingegnoso e complesso meccanismo del suo svolgimento, il quale esercitò su di lui un’influenza che durò per tutta la vita, al punto che questo e altri elementi contenuti nella sua opera, La Repubblica di Oceana, furono mutuati proprio dall’ordinamento politico veneziano.


IL WORKSHOP Marcello De Angelis

gioranza che lo sostiene in Parlamento, esito virtuoso della creazione del Pdl. Tutti i precedenti governi repubblicani sono stati rallentati, se non totalmente inibiti, nei loro intenti riformatori, dalla frammentazione del consenso elettorale e forse non è un caso che, nelle rare stagioni di consenso polarizzato, siano stati eventi esterni (attentati, minacce di colpo di Stato, pressioni esterne) a interrompere o ridurre l’intervento politico dei governi. L’elemento di forza più evidente del Pdl è quello di essere stato in grado di rigenerare una “massa critica” votata alla riaffermazione dell’interesse nazionale. “Solo il potere della maggioranza

– democraticamente espressa a sostegno di un governo dalla reale volontà riformatrice – può forzare la resistenza della somma dei poteri alleati in difesa dei propri privilegi”. “Il popolo, scomposto nei suoi elementi, non è altro che molti interessi privati, ma se questi vengono presi insieme costituiscono l’interesse pubblico”. Scriveva James Harrington nel 1656. La ragione per la quale siamo obbligati a ritenere determinante la volontà della maggioranza è che il governo diventa impossibile se ciascuno mantiene, con il suo dissenso, un diritto di ostacolare le risoluzioni dell’intero corpo” scriveva il pensatore neo–romano inglese Algernon Sidney nei pri-

Harrington in verità era giunto a Venezia già con un’idea positiva della città. Da tempo, in Inghilterra, c’era un vivo apprezzamento per Venezia, per la sua bellezza, per la sua politica, per l’asilo che dava ai perseguitati e ai riformatori, per la sua autonomia culturale di fronte all’accademismo cortigiano allora imperante e, infine, per la sua stabilità costituzionale e per il fatto che il suo governo svolgesse le proprie funzioni con efficienza e regolarità. Tutto questo concorreva a creare un’immagine significativa della città e della sua struttura politica. A testimoniare questa stima basti per tutti Shakespeare, che non a caso ambientò a Venezia l’Otello e Il mercante di Venezia. Sappiamo poi che Harrington reperì nella città lagunare l'opera omnia di Machiavelli, i libri di Giannotti, Contarini, Boccalini, Paolo Giovio, Tommaso Fazello, Carlo Sigonio e intere collezioni di trattati politici in lingua italiana. Del resto, nel ’600, quella italiana era letteratura che s’imponeva agli uomini e ai circoli dotti europei. Dopo questi istruttivi viaggi in Italia, Paesi Bassi, Francia, Danimarca e in alcune zone della Germania, ritornò in Inghilterra, dove trovò già i segni dell’incombente conflitto tra re e Parlamento.

James Harrington

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mi anni ottanta del Seicento. Una siano le minacce o le limitazioni considerazione che ben si adatta che il Pdl si propone di arginare o ad alcune recenti vicende nazio- rimuovere. nali, quali la crisi dell’Alitalia e Come illustrava Machiavelli, ci sono infatti due modi per un pola riforma dell’Università. “Per scardinare dunque questo si- polo di essere assoggettato alla stema di poteri particolari è ne- “schiavità pubblica”: quando la cessario che lo Stato, in rappresen- propria nazione è sottoposta altanza di tutta la collettività nazio- l’arbitrio di un’altra nazione o di nale, riprenda il controllo dell’ini- un potere all’esterno al proprio ziativa e, forte di un consenso su- Stato che gli impedisce di agire periore alla somma dei poteri che secondo l’interesse comune; e hanno interesse a ostacolare il quando esistono poteri interni, non rappresentativi della voloncambiamento, lo imponga. È più che mai paradossale, quin- tà popolare che in egual modo di, vedere giovani e studenti impediscono al governo di assolvere ai propri dospendersi oggi veri istituzionali a contro le riforme. Secondo Tito Livio profitto della Maggiormente i giovani devono la libertas è la capacita maggioranza dei cittadini. Noi, fiinvece compren- di stare in piedi nora, subivamo dere che per avere entrambe le conun futuro non con le propie forze possono prescin- senza dipendere da altri dizioni. La libertà civile di dere dalla messa in discussione delle strutture un cittadino –in particolare chi, della società che hanno ereditato, come molti giovani, non possiede perché, fintanto che queste ren- i mezzi economici, politici e sodite di posizione persistono i ciali per farsi valere – può realizgiovani non avranno alcuna pos- zarsi solo all’interno di una nazione libera e una nazione è libera sosibilità di accesso. Perché il Popolo della libertà? lo se è forte. Perché questa denominazione e E questa è la ragione per cui le non altra? Già nella scelta di non premesse del progetto del Pdl definirsi come partito proviene non possono ritenersi realizzate se una scelta culturale importante e non quando il centrodestra avrà cioè il rifiuto della dimensione un gruppo unico anche nel Parlapolitica faziosa e “di parte” insita mento europeo, andato a rapprenel termine partito. Non è altret- sentare la maggioranza relativa tanto ovvio il riferimento alla Li- nel gruppo di maggioranza del bertà, libertà che per essere ri- parlamento stesso. Solo allora, la chiamata e rivendicata, o almeno forza di questa nuova Italia, genegarantita, si presuppone essere rata dal consenso elettorale, potrà negata o minacciata. Bisogna far riconoscere alla nostra nazione quindi visualizzare anche quali un ruolo determinante anche nel


IL WORKSHOP Marcello De Angelis

contesto europeo e vieppiù internazionale. La libertas, secondo Tito Livio, è la capacità di stare in piedi con le proprie forze, senza dipendere dalla volontà altrui. Questo vale innanzitutto per gli Stati, che si possono così fare garanti delle libert\à dei singoli cittadini. È per questo che la priorità strategica è il ripianamento delle finanze pubbliche, ma è necessario che questa priorità venga resa comprensibile a tutti. In conclusione, l’impostazione comunicativa errata da noi adottata sinora sul Pdl, ha posto la costituzione di questa nuova formazione come punto d’arrivo di un percorso che ormai dura da anni e che presuppone il superamento di aggregazioni partitiche che, come An, hanno assolto a una funzione storica caratterizzando la fase di transizione che ha vissuto la politica europea, e in particolare nazionale, dopo la caduta del muro di Berlino, la sconfitta del comunismo e la teorica fine delle contrapposizioni ideologiche del Novecento. In realtà il Pdl è un punto di partenza per realizzare – con uno strumento più potente e al passo coi tempi – il progetto di rinascita della Patria. Solo una formazione che abbia una schiacciante maggioranza in Parlamento può portare avanti le riforme necessarie e, anche nel contesto continentale, solo una formazione che all’interno del maggior gruppo parlamentare europeo rappresenti la maggioranza relativa può restituire all’Italia la dignità politica

e il ruolo che con i precedenti governi aveva perduto. È per questo che, stufi dei discorsi vuoti sui condivisi percorsi “verso il Pdl”, crediamo sia ormai il momento di ragionare “dal Pdl in poi” e cioè su quali caratteristiche dovrà avere la nostra politica nazionale una volta superata l’attuale fase, che, proprio per le sue grandi capacità di trasformazione, non può che essere considerata come una fase di transizione. Essere in grado di fornire immagini, modelli, suggestioni di come sarà l’Italia “dopo” questo cambiamento è oggi la priorità, se non si vuole che il consenso, sotto la pressione della crisi economica e della propaganda avversa, finisca per logorarsi.

L’Autore MARCELLO DE ANGELIS È deputato nel gruppo del Popolo della libertà. È anche cantautore e leader dei 270bis, gruppo di musica alternativa di destra. Entra in Alleanza nazionale sin dalla fondazione e continua a svolgere l’attività di giornalista, illustratore e grafico. Collabora dalla fondazione con L’Italia settimanale diretto da Marcello Veneziani. Dal 1996 è il direttore del mensile Area. Nel 2004 viene pubblicato il suo libro Otto anni in Area di rigore, edito da Minotauro.

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Per un bipartitsmo efficiente

Siamo i traghettatori per il futuro dell’Italia Questa classe politica ha il dovere e la responsabilità di formare e consolidare un partito unico fondato non solo su regole “costituzionalmente” democratiche ma anche su un’apertura verso la società DI BENEDETTO DELLA VEDOVA

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Del Pdl prossimo venturo parleranno sicuramente i posteri. Come però ne parleranno non è ancora detto né scritto negli annali della politica. Speriamo, di tutto cuore, che vi riconoscano il fattore fondamentale e uno dei migliori esiti del processo di modernizzazione politica del nostro paese. Per il momento il cantiere si è aperto, sulla scorta dell’entusiasmo per il risultato elettorale, e i lavori sono in corso. E sono lavori complessi, visto che devono saldare le esigenze della congiuntura e del day by day con i doveri di una prospettiva politica che si misura sul metro dei lustri o dei decenni. Della discussione sulla forma-partito del nuovo soggetto, sui suoi assetti istituzionali e sulle sue regole di selezione politica (sia sul piano delle policy che sul quello delle leadership) questo volume ospita eccellenti contributi, di ri-

levante rigore scientifico e utilità pratica. Non mi avventuro dunque su questo terreno. Mi limito a convenire con quanti sostengono che la “questione del partito” vada affrontata in una prospettiva di medio-lungo periodo: costruire il Pdl significa lavorare ad un progetto che non ha un termine di legislatura, che non coincide, necessariamente, con l’attuale schieramento parlamentare e governativo e con i relativi rapporti di peso e di forza tra le sue diverse componenti, e che dovrà affidare la propria capacità di consenso, di insediamento e di egemonia a meccanismi diversi da quelli (del tutto irripetibili) oggi assicurati dalla leadership berlusconiana. D’altra parte, la portata della “questione del partito” (a destra come a sinistra) è favorita da una lettura più storico-politica e meno, per così dire, “funzionalistica” del ruolo che ai grandi soggetti politici – di governo o di opposi-


IL WORKSHOP Benedelle Della Vedova

zione – è riservato in un’Italia che voglia trarre un bilancio veritiero dalla propria storia recente. E questa seconda lettura dovrebbero, a mio parere, tenere a mente e meditare quanti più direttamente lavorano al cantiere del Pdl (e, a maggiore ragione, del Pd). La faticosa transizione che, dal collasso della Prima Repubblica, ha condotto il sistema politico ad una articolazione quasi bipartitica, ha coinciso con la traiettoria del berlusconismo e ne ha decretato, in termini storici, il successo. Non solo il governo, ma l’intero sistema politico uscito dalle urne testimonia di una rottura profonda e benefica. Questa situazione, visto lo stato delle forze in campo, affida innanzitutto al Pdl il compito di rimediare ai fattori di rischio e alle fragilità di un sistema politico-istituzionale tutt’altro che stabilizzato. Se infatti in questa transizione, malgrado l’eterogeneità dei sistemi elettorali, si è affermata una dinamica politica competitiva e, tutto sommato, efficiente – capace di affidare e sanzionare, ai diversi livelli istituzionali, le responsabilità di governo – di certo non si è consolidato un sistema di partiti capace di supportare e in prospettiva consolidare questa dinamica virtuosa. Nel Pdl i lavori procedono, ma sono tutt’altro che conclusi. Nel Pd si sono bruscamente interrotti dopo il rovescio elettorale e dopo una tregua interna che di certo non ha consolidato l’opzione bipartitica.


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Per dirla in altre parole: fatto, av- dal potere di interdizione delle venturosamente, il bipartitismo, forze politiche minori, e dall’imora occorre fare partiti capaci di potenza riformatrice di quelle, giocare alla grande il gioco bipar- cosiddette, maggiori. titico e di sfruttarne i vantaggi Eppure, nel Pdl, come del resto competitivi. In questo quadro, nel Pd, il passaggio logico e polispetta al Pdl dare il buon esem- tico dal “partito unico” al “partipio, anche per evitare che nel Pd to paese” (quel country party che si presti orecchio, come temo stia Beniamino Andreatta aveva auavvenendo, ai cattivi consigli di spicato che la Dc potesse diventachi propone di rimediare al cosid- re) non comporta solo formule detto bipolarismo coatto con il statutarie e assetti istituzionali ritorno alla logica della coalizioni capaci di rendere praticabile ed e della mediazione interpartiti- efficiente un rapporto vitale – che, che senza porre il paese al ri- osmotico, se non simbiotico – tra paro dalle derive “cesariste”, re- classe politica e opinione pubblica. A rendere posstituirebbe le disibile questo rapnamiche politiche Fatto il bipartitismo porto – o a pregiualle più tradizionali logiche oli- ora occorre fare partiti dicarlo – sarà anche il modo in cui garchiche. capaci di sfruttare il Pdl saprà essere e In questo percorso rimanere cultural– dove per andare i vantaggi competitivi mente aperto nel avanti sarebbe già di tale quadro politico senso in cui, in tersufficiente non tornare indietro –il Pdl a breve si mini popperiani, si definisce troverà di fronte il referendum aperta la società liberale: non per elettorale. Che oggi è, con ogni esprimere una misura di benevola evidenza, un ingombro e un pro- tolleranza verso le opinioni minoblema per gli equilibri della ritarie, ma per riconoscere la namaggioranza. Ma che, per le stes- tura relativa, congetturale e pose ragioni, potrebbe presto dive- tenzialmente erronea del sapere nire un’interessante opportunità politico e delle proposte che ne se, in assenza di accordi di alto conseguono – soprattutto di profilo e di – chiamiamole così – quelle maggioritarie, che sono, mediazioni più avanzate, consen- proprio per questa ragione, magtisse di consolidare dal punto di giormente suscettibili di discussiovista normativo un assetto istitu- ne e revisione critica. zionale tendenzialmente biparti- Il principio che affida la produtico, che le scelte politiche dei zione e l’innovazione politica alla vertici di Pd e Pdl hanno propo- libera discussione e selezione delsto al voto, e che l’elettorato ha le idee, riconoscendo a ciascuna saggiamente dimostrato di prefe- di esse non solo una legittimità rire al modello delle coalizioni teorica, ma una fondamentale pluripartitiche, contrassegnate utilità pratica, non rende un par-


IL WORKSHOP Benedelle Della Vedova

tito semplicemente più libero e da prudente relativista ritengo inclusivo, ma soprattutto più ef- che sulla libertà e dignità umana, ficiente e reattivo alle esigenze di anche nelle questioni bio-politicambiamento. Si tratta di un che, gravi un ben peggiore “riprincipio – è bene, a scanso di schio politico”, connesso ad un equivoci, ripeterlo – che non di- utilizzo spregiudicato della legisciplina solo, in termini di pote- slazione come strumento di pedare, i rapporti interni al partito (e gogia di massa. le alterne fortune della sua classe Ciò detto, non mi spaventa, né dirigente), ma che condiziona mi scandalizza (tutt’altro!) l’idea profondamente il funzionamento di militare in un partito che si del “mercato politico”, le relazio- mostra, oggi, compattamente ni tra domanda e offerta di inno- persuaso da diagnosi e da terapie vazione, e più in generale il rap- che non mi appaiono convincenti porto tra classe politica e opinio- e che potrebbe, domani, convinne pubblica. Questa mi pare esse- cersi (o convincermi) del contrario. Per essere re la pietra angolare chiari: non mi di una costruzione Il principio che affida spaventa che il politica liberale che Pdl abbia imvoglia conservare, l’innovazione politica presso alle pronel medio-lungo pe- alla libera discussione prie politiche riodo, una vera cadelle idee rende economico-sociapacità competitiva. Provo a spiegare un un partito più efficiente li svolte che, ben prima dello tsuragionamento che potrebbe apparire elusivo ed nami finanziario degli ultimi meastratto, con due esempi concreti si, hanno portato a riscrivere (nella proposta politica e nell’azione e “politicamente sensibili”. Malgrado i venti di tempesta, ri- di governo) i rapporti tra stato e mango un liberista impenitente, mercato secondo logiche assai diconvinto che il disastro della fi- stanti dall’originario liberismo nanza mondiale abbia avuto ori- berlusconiano. Né mi scandalizza gine non dall’assenza, ma dagli che vi sia chi reputa utile (o perfierrori della “mano pubblica” no doveroso) difendere un’etica (dalle istituzioni legislative e di pubblica direttamente dedotta governo alle autorità monetarie, dalle posizioni intransigenti della di regolamentazione e di vigilan- gerarchia ecclesiastica. za) e che a ciò si debbano gli spre- A sembrarmi quantomeno azzargiudicati azzardi della “mano pri- dato sarebbe invece il tentativo di vata” (gli investitori, gli interme- “costituzionalizzare” queste posidiari e gli speculatori drogati da zioni, che con una qualche ironia incentivi sbagliati). Allo stesso potrebbero definirsi, ad un temmodo, malgrado abbia ben chiaro po, da “sinistra fanfaniana” e da il “rischio antropologico” che può “destra legittimista”; né giudiderivare dalla scienza applicata, cherei promettente che il Pdl im-

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maginasse di rafforzarsi consolidando dall’alto, sul piano identitario, i contenuti della sua attuale piattaforma politica, prima di capire come, dal basso, sul piano programmatico, se ne possa sperimentare sul lungo periodo la validità, l’efficacia e la tenuta. I partiti e le leadership politiche – non diversamente dai paesi che rappresentano e governano – attraversano cicli complessi (segnati da dibattiti serrati, rotture dolorose e processi di rinnovamento) che non si possono leggere secondo uno schema di mera coerenza ideologica. Se, prescindendo dal merito dei problemi e delle soluzioni, qualcuno volesse rimproverare al Berlusconi “thatcheriano” le sue recenti posizioni sugli aiuti di stato, egli, dal suo punto di vista, avrebbe buon gioco a rispondere come Winston Churchill: “Preferisco essere nel giusto che essere coerente”. Se però la coerenza ideologica non è la chiave di lettura più adeguata per leggere e giudicare la parabola politica del Pdl, e le sue evoluzioni recenti, ancor meno servibile sarebbe l’utilizzo di una analoga logica identitaria come principio di verifica e di selezione delle idee e delle proposte politiche “ammissibili” per un partito che ambisca, oggi e nel futuro prossimo, a rappresentare e governare tutta la società italiana, la cui articolazione “molecolare” e individualistica, se ha decretato storicamente il tramonto del tradizionale partito di massa, ben difficilmente potrebbe garantire

il trionfo di un partito che torni a pensare il popolo (e il rapporto politico con esso) ed entro gli stretti parametri di un’identità sempre più esclusiva e “divisiva” in termini non solo politici, ma, perfino, antropologico-morali.

L’Autore BENEDETTO DELLA VEDOVA Politico ed economista italiano, attuale leader del movimento dei Riformatori Liberali e membro del Popolo della Libertà. Nella sua attività da parlamentare ha portato avanti alcune battaglie liberali, in particolar modo legate al settore economico. Di recente, ha lanciato l'idea di una fondazione liberale. Nell'ottobre del 2008 si fa promotore della istituzione della Legge annuale per la concorrenza, un provvedimento teso a recepire nella normative le segnalazione delle autorità indipendenti in materia di ostacoli normativi al libero svolgimento dei mercati.


IL WORKSHOP Fabio Torriero

Finiamola con i partiti “ideologici”

Pdl: da lista elettorale a partito degli italiani Il Pdl dovrà diventare un “partito-progetto” nel quale si fondino le identità di centrodestra e che esprima programmi nuovi di governabilità DI FABIO TORRIERO 75

Dunque ci siamo. Il Pdl, finora soltanto un’indicazione, un’aspettativa e una vittoriosa lista elettorale unitaria, si avvia a diventare realtà. Deve diventarlo e non solo per le imminenti consultazioni europee o per la ratifica ufficiale dell’ingresso nel Ppe. Ma per ragioni profonde. Il processo dall’“alto verso il basso”, il partito degli annunci, delle Costituenti verticistiche (come quella che si tenne al Palazzo de Il Tempo nel 2006, presente tutta la classe politica di centrodestra, per metà favorevole e per metà contraria... e che sostanzialmente continua a esserlo, frenando dall’interno), non potevano restare una costante. Nel frattempo (dal 2006 a oggi) c’è stato – e va opportunamente ricordato – l’importante impegno del “Comitato di Todi”, del “Comitato dei 30”,


espressione delle fondazioni (Fare Futuro, Liberal e Craxi). Un lavoro che andrebbe ripreso, specialmente per quanto riguarda la parte relativa alle regole e i contenuti da dare al Pdl. E cioè, un partito “presidenzialista e federalista”, al frutto di una classe dirigente scelta 70% sul territorio e al 30% scelta a livello nazionale; e una linea politica confermata o smentita ogni anno da appositi Stati generali, composti per un terzo dagli eletti, un terzo dagli iscritti e un terzo dal mondo della cultura, del lavoro e della società civile. Dopo le ultime elezioni e in vista del 2009, la spinta dall’alto (i partiti) e la spinta dal basso (le fondazioni, le associazioni, i vari 76 comitati promotori regionali costituitisi), dovranno necessariamente incontrarsi a metà strada. E la condizione dell’incontro è la formazione e la selezione di una nuova classe dirigente, in linea con un partito che guarda e parla alla maggioranza degli italiani. Un partito che non può essere inteso, né concepito come il mero prolungamento di Alleanza nazionale o di Forza Italia, più partner minori. Per guardare e parlare alla magLe fondazioni devono gioranza degli italiani, occorre dare il proprio contributo per stabilire esserne all’altezza. E ciò preregole e contenuti suppone un salto di qualità da parte di ogni soggetto interessato: operatori delle idee, dell’informazione, del lavoro, della politica. La transumanza di personale politico, come si è determinata

quantitativamente alle recenti elezioni, da un partito a un contenitore più ampio, giustificabile in momenti di transizione e di passaggio storico, e per di più nel quadro di un sistema elettorale di nominati, diventa inaccettabile in prospettiva per costruire il futuro. Anche perché il risultato è stato quello che si vive quotidianamente dentro le strutture sia di An, sia di FI: esponenti politici unicamente impegnati a salvaguardare le loro rendite di posizione, senza una maturazione da Pdl e una base inquieta e poco informata.


IL WORKSHOP Fabio Torriero

E veniamo al rapporto tra la destra, i suoi valori e il Pdl. Basta con la demagogia e con certe impostazioni da ghetto con cui si sta gestendo il dibattito costituente. Non è il Msi che deve scegliere se entrare o no nel Ppe italiano, mettendo sul tavolo la difesa (da proprietari privati) di un concetto sbagliato di identità (museale, ingessata), contro gli eventuali traditori; ma si tratta del coronamento, del completamento di un lungo percorso, cominciato col congresso di Fiuggi del 1995 e metabolizzato male da certa base e da certo vertice. Un percorso,

per altro, anticipato da alcuni progetti che hanno scandito, felicemente e non, gli anni Settanta e Ottanta (la Destra nazionale, la Costituente di destra per la libertà, Democrazia nazionale, le idee “oltrepoliste” di Pinuccio Ta- Fiuggi ha rappresentato il punto di dialogo tarella, il suo e unità tra le diverse sogno di partito realtà di destra in Italia unitario del centrodestra). Fiuggi ha rappresentato, prima della costituzione della stessa Forza Italia, il punto di dialogo e unità tra la tradizione missina, quella conservatrice, quella liberale, moderata, cattolica, in libera uscita da Tangentopoli. Ebbene, questo è ancora il cuore del Pdl. 77 Un cuore che ha visto, grazie al contributo del partito di Silvio Berlusconi, pure l’arrivo della componente socialista e liberalprogressista, che ha portato il riformismo dentro il nascente partito conservatore o liberale di massa, che stava progressivamente prendendo forma (prima nella coscienza degli elettori, molto più avanti delle nomenklature). E il Polo, gradualmente, si è trasformato ed evoluto da soggetto elettorale in soggetto politico (dalla Casa delle Libertà al Pdl). Il Pdl sarà, infatti, un partito nazionale e riformatore. Inteso come risultante delle identità evolutive e dinamiche delle famiglie politiche e culturali che lo hanno fondato e lo abitano tuttora. Riformatore, dunque, non riformista. Perché tale definizione sposterebbe la linea politica verso la tradizione social-democratica-


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impostazioni sbagliate, che si laburista che non gli appartiene. Ma soprattutto, il Pdl sarà un “vendono” con superficialità e ce“partito-progetto”, che specular- cità, ad esempio, nelle assemblee mente al Pd, segnerà concreta- di An, per preparare la fase costimente la svolta tra la vecchia e la tuente. L’affermazione comune nuova Italia. Il punto di partenza “portiamo in dote i nostri valori di un nuovo bipolarismo che, in- nel partito di plastica”, è demensieme alle riforme dello Stato, ziale e in malafede. Primo, Forza sancirà il battesimo della nuova Italia ha smesso da tempo di essere il partito di plastica. E in proRepubblica. Partito-progetto, sintesi di varie posito, non c’è nessuna superioriidentità (non la loro negazione) tà razziale che An può esibire riche si fondono, hanno della me- spetto al cosiddetto partitodesima identità un’idea non lega- azienda. FI si è ormai radicata e ha una sua più ta alla sterile rappresentanza-testi- Bisogna portare in dote che valida classe dirigente. Seconmonianza, ma alla g o v e r n a b i l i t à ; la capacità di declinare do, i famosi valoesprimono nuove legislativamente i valori ri in dote non sono né il trinomio sintesi, declinate in “dio-patriaprogrammi specifi- della tradizione come famiglia”, né ci di governo (la la legalità e il merito l’onore, la fedeltà, cultura del fare). I “partiti ideologici”, invece, so- degni di un concorso per entrare no destinati a scomparire con nelle Forze Armate. Se negli anni l’Italia di ieri. Non ci deve e non Settanta, di fronte all’anti-Italia ci può più essere spazio per il par- della sinistra, la destra è stata tito dei socialisti, dei missini, dei l’unica bandiera della patria (un comunisti, dei cattolici. Tale di- merito storico universalmente rivisione ha ritardato la nostra mo- conosciuto), oggi il patriottismo dernizzazione, ha impedito la in- è un valore condiviso, certamente dividuazione e affermazione di da tutti i partiti del centrodestra, una memoria condivisa e ha sepa- fino alla sinistra moderata. Stesso rato gli italiani in opposte tifose- dicasi per la famiglia e i valori rie. In “cittadini di patrie di par- spirituali. te”, da cui è scaturita “l’ideologia Si dovrebbe portare in dote, semdella storia” (la mistica dell’anti- mai, la “capacità di declinare lecomunismo, dell’antifascismo) e gislativamente i valori della trala perenne delegittimazione dizione, attualizzati: come la legalità, la moralizzazione, il meridell’avversario. Il passaggio dal “partito-ideolo- to etc”. E in tal senso – va amgico” al “partito-progetto” è fon- messo – si stanno muovendo con damentale per comprendere la maggiore capacità rispetto a natura e l’identikit del futuro quelli destristi, i ministri forzisti Pdl. E fa cadere una delle tante Brunetta e la Gelmini. Le loro ri-


IL WORKSHOP Fabio Torriero

forme sono molto più nel solco della “rivoluzione conservatrice” (il voto in condotta, il ritorno dell’educazione civica, la lotta contro i fannulloni), di tante frasi a sproposito sulla Rsi o il fascismo, che non preservano né tutelano la cultura di destra. Dal riformismo di Brunetta e la Gelmini esce infatti un messaggio basilare e molto di destra: che i bulli nelle scuole, i bamboccioni in famiglia, gli assistiti nella società e i nullafacenti nella P.A., sono i figli della cultura del Sessantotto, avendo in comune la mistica dei diritti e la deresponsabilizzazione individuale: chi sbaglia non paga mai, mentre chi sbaglia deve pagare e chi non sbaglia deve andare avanti nella società. Ecco un esempio tangibile di come dovrebbe muoversi un “partito-progetto”: valori sul campo, tradotti in legge e non valori annunciati. Senza dimenticare, infine, “il prodotto percepito”: le esigenze ed aspirazioni di chi vota Pdl. Che non sarà più soltanto il partito dei militanti o soltanto degli eletti, ma sarà il partito anche e soprattutto degli elettori. E interrogando “il prodotto percepito”, scopriamo che la piazza dei famosi due milioni di voti contro la Finanziaria di Prodi, la piazza delle categorie o del Family day, avevano già le idee chiare sulla casa comune del centrodestra (un partito liberale e nazionale, modernizzatore e identitario). L’opinione pubblica che vota Pdl, considera ancora oggi (studi e sondaggi ad hoc confermano) il Pdl

un partito anche “antipolitico”, “antisistema”, ed evocatore di un sogno liberale. Che ha in Berlusconi (leadership carismatica) la sua forza e debolezza. “Antipolitico”, perché il Cavaliere, anche se è in politica da 15 anni, viene visto come un imprenditore sceso in campo per risolvere i problemi (la cultura del fare); “antisistema”, perché i poteri forti, le lobby e le caste finanziarie, bancarie, universitarie, economiche, burocratiche, flirtano e continuano a flirtare con la sinistra; “sogno liberale”, perché in tale filone si inserisce il maggiore gradimento degli italiani circa le proposte di Berlusconi: il miracolo italiano, il milione di posti di lavoro, l’abolizione dell’Ici, la detassazione degli straordinari, la riduzione della spesa fiscale etc.

L’Autore FABIO TORRIERO Giornalista, docente di comunicazione, editorialista de Il Tempo, direttore de La Destra delle Libertà.

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Mettiamo fine ai partiti IDEOLOGICI La nuova classe politica dovrà legittimarsi per la bontà delle sue politiche pubbliche, per la cultura dell’efficacia e dell’efficienza, oltre che per quella identitaria DI LUIGI DI GREGORIO

Di fine delle ideologie si parla ormai da vent’anni, da quando numerosi cittadini di Berlino Est hanno sfidato la sorte abbattendo uno dei simboli più tragici, ma emblematici del secolo “breve” e oscuro che è stato il Novecento. L’Italia ha rappresentato, in Occi-

dente, il paese nel quale le ideologie novecentesche hanno pesato di più nel conflitto politico, nei blocchi sociali, nei comportamenti elettorali, nella formazione delle maggioranze e dei governi. Il crollo del muro (e il conseguente crollo di tutto il blocco dell’Est) e


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IL WORKSHOP Luigi Di Gregorio

Tangentopoli hanno avviato una fase di transizione politico-istituzionale ancora non pienamente compiuta, che ha visto finalmente l’Italia diventare un sistema bipolare, con alternanze di governo ed esecutivi relativamente più stabili rispetto al passato. Manca però ancora qualcosa per “chiudere la transizione”, serve un salto di qualità complessivo a livello di cultura politica che avvicini il nostro paese alle democrazie più mature e consolidate. Le ultime elezioni politiche hanno dato buoni segnali in tal senso: c’è stata finalmente una forte volatilità elettorale, che fa propendere verso la tesi del rafforzamento del voto di opinione nei confronti del voto di appartenenza (orientato cioè ideologicamente, o populisticamente pro o contro un leader) e c’è stata una competizione tra pochi partiti e due grandi li-

ste che si dividono oggi l’80% dei seggi in Parlamento. Anche l’azione del governo Berlusconi sembra beneficiare di questa situazione e sta agendo con un’efficacia e un’efficienza inusuale nella storia politica d’Italia. La nascita del Pdl è un’occasione importante per corroborare tale processo di maturazione. Un grande partito liberal-conservatore – mai esistito di fatto nell’Italia repubblicana – che si affianca ad un grande partito social-riformista sarebbe il segnale chiaro di una decisa tendenza verso un “bipartitismo imperfetto”, molto diverso questa volta dal bipartitismo imperfetto che ha caratterizzato la competizione tra Dc e Pci nella prima repubblica. Quello futuro dovrà essere infatti un confronto post-ideologico, che non vuol dire un confronto aridamente pragmatico, sia chiaro.

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Chiudere i conti una volta per tutte con le ideologie novecentesche non deve significare passare all’estremo opposto della politica come “amministrazione ordinaria” dei problemi quotidiani, con chiari rischi di derive populiste o, in alternativa, tecnocratiche. Occorre piuttosto aggiornare l’apparato valoriale e contenutistico dei partiti, abbandonando le posizioni identitarie forti e statiche delle ideologie moderniste del secolo scorso e orientandosi verso idee dinamiche e permeabili, in linea con l’era post-moderna che stiamo vivendo. Pragmatismo si dunque, ma anche capacità progettuale. Capacità di guardare oltre, di muoversi strategicamente in un mondo terribilmente complesso che non può più accettare né ideologie cristallizzate e totalizzanti, né un appiattimento sul quotidiano che fa perdere di vista le grandi dinamiche globali e fa prevalere la tattica sulla strategia. Per realizzare un progetto simile occorre chiaramente un partito “agile”, aperto al confronto interno e con una configurazione organizzativa in linea con queste premesse. Forma e contenuti sono sempre collegati tra loro. Un partito relativamente aperto e flessibile dal punto di vista dei principi e dei valori di riferimento deve propendere verso una formula organizzativa altrettanto plurale e competitiva. Da questo punto di vista, le recenti affermazioni del Presidente Gianfranco Fini circa l’opportunità di incentivare la democrazia interna nei partiti sono senz’altro un segnale confor-


IL WORKSHOP Luigi Di Gregorio

tante. Tanto più per il Pdl, se si considera che nascerà dalla fusione (prevalentemente) di due partiti – Alleanza nazionale e Forza Italia – che sono stati caratterizzati nella loro breve storia da un evidente “eccesso di leadership”. Tremonti ha sostenuto recentemente che Forza Italia è un partito monarchico al vertice e anarchico al suo interno; ritengo che anche Alleanza nazionale negli ultimi anni abbia assunto una configurazione simile. Dunque, lo sforzo che la classe dirigente del futuro soggetto unitario dovrà fare sarà quello di ridurre la “monarchia al vertice” – o quantomeno di regolarla, con procedure di selezione chiare e frequenti nel tempo – e di trasformare l’anarchia interna in una competizione virtuosa che possa garantire un confronto continuo sui temi-chiave della nostra società e possa quindi fare da supporto ai leader che di volta in volta si alterneranno alla guida del partito. Si tratta evidentemente di un progetto molto ambizioso, date le condizioni di partenza. Ma è un progetto necessario se vogliamo chiudere la transizione e trasformare l’intero circuito politico italiano in un sistema virtuosamente post-ideologico. Un sistema che abbandoni la politica degli “effetti annuncio” e del “fare le leggi” senza implementarle e senza valutarne la messa in opera, e che superi una volta per tutte i residui di logiche di appartenenza forti che ancora caratterizzano parte dell’elettora-

to, per andare verso una classe politica che finalmente si legittimi sull’output, oltre che sull’input, sulla bontà delle politiche pubbliche che è in grado di produrre, oltre che sulla partecipazione di massa, sulla cultura dell’efficacia e dell’efficienza, oltre che su quella identitaria.

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L’Autore LUIGI DI GREGORIO Ordinario di “Analisi delle politiche pubbliche” alla facoltà di Scienze Politiche dell’università della Tuscia di Viterbo. Collabora con il Centro di metodologia delle scienze sociali alla Luiss Guido Carli di Roma.


Il ruolo del centrodestra

La SFIDA è... modernizzare l’Italia COLLOQUIO TRA ROBERTO ARDITTI E STEFANO FOLLI

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a fondazione Farefuturo ha ospitato un dibattito sul Pdl, animato da Angelo Mellone, al quale hanno preso parte il direttore editoriale del Tempo, Roberto Arditti e l’editorialista del Sole 24 Ore, Stefano Folli. Dall’incontro emergono riflessioni e spunti utili a comprendere meglio il processo fondantivo del Popolo delle libertà, di cui vengono messi a fuoco l’atto di nascita e le fasi di costruzione, i punti di forza e quelli di debolezza, gli elementi di coesione e quelli di conflitto. E, ancora, i modelli organizzativi possibili e i principi ispiratori auspicabili, la percezione presso l’opinione pubblica e la risonanza nel mondo dei media, le previsioni per il futuro e il ruolo che Silvio Berlusconi ha e avrà. Confrontando i meccanismi del Pdl con quelli della controparte politica del Partito democratico e di altri Paesi del mondo. Con l’auspicio che al più presto si possa passare dal terreno dei dibattiti a quello del fare.


IL FORUM Roberto Arditti e Stefano Folli

STEFANO FOLLI: Perché lo si considera un processo abbastanza obbligato. Per certi aspetti il partito unico, inteso come alleanza tra Forza Italia e An, è nato con le elezioni politiche di aprile, e non riesco a immaginare chissà quali colpi di scena da qui al momento in cui il partito unico si costituirà formalmente. Di fatto, nell’immaginario collettivo, il partito del centrodestra già esiste e gli aspetti, che pure non sono da trascurare, di tipo organizzativo, politico e di combinazione di rapporti di potere tra le varie componenti sono problemi abbastanza spinosi, ma non arrivano all’opinione pubblica. L’esistenza

del partito unico è stata sancita con il voto di aprile e, ancora prima, dal discorso cosiddetto del “predellino” di Berlusconi, nel novembre 2007, a piazza San Babila. Il Pdl esiste, esiste un’alleanza forte con la Lega – che ha una sua specificità e la manterrà – ed è sufficiente. ROBERTO ARDITTI: Secondo me si dibatte il giusto. Vorrei contribuire a disincentivare l’eccesso di parole che popola la politica italiana. Anche la politica italiana sta arrivando faticosamente a due grandi aggregazioni. Dico “faticosamente” perché ciascuna parte ci arriva con percorsi strani: una ci 85


arriva con una quota cospicua di ex comunisti, fenomeno solo italiano, e l’altra ci arriva molto per l’iniziativa di uno strano signore che 15 anni fa ha deciso che la politica sarebbe diventata il suo mestiere: senza Berlusconi non ci sarebbe stata la svolta di Fini e la Lega avrebbe fatto tutta un’altra strada. Insomma, il percorso italiano è un po’ curioso. Ma, siccome è già in ritardo, se non lo carichiamo di troppo dibattito, quasi quasi a questo processo gli facciamo pure un favore…

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ANGELO MELLONE: Però, un po’ di paragoni bisogna farli. Se voi misurate la quantità di editoriali, analisi, articoli, libri, dibattiti televisivi, talkshow dedicati al processo costituente del Partito democratico e anche alla sua “messa in forma” mediatica, il rapporto è 100 a 0,5… ARDITTI: Mi viene un’interpretazione un po’ ironica, ed è che, venendo quelli là da una storia quasi tutta da dimenticare, quella di essere stati comunisti, c’è un processo di purgatorio inevitabilmente complesso. Siccome in larga misura l’intellighenzia italiana appartiene a questa storia, ecco che ne viene una faticosa produzione cartacea. FOLLI: Punto primo: gran parte del dibattito, diciamo cartaceo, che si è fatto sul Pd, è superfluo. Punto secondo: comunque, è un processo più complesso, e non a caso di scarso successo, quello che mette assieme varie componenti

della sinistra a pezzi di mondo cattolico. Investe diversi filoni culturali, diverse tradizioni, quindi non è strano che abbia ricevuto una maggiore attenzione. Terzo punto: il partito unico del centrodestra, anche se è un po’ un paradosso, in un certo senso nasce effettivamente quando Berlusconi scende in campo. Cioè, è Berlusconi, con la sua figura carismatica, che rappresenta in anticipo, anche rispetto ai tempi politici, questo processo. Non ci so-


IL FORUM Roberto Arditti e Stefano Folli

no dunque ragioni così cogenti per alimentare un dibattito straordinariamente interessante su se e come si farà il partito unico di centrodestra. Certo, ha la sua importanza, ma in un certo senso è una via obbligata: nel momento in cui Berlusconi consolida nel corso di ben 15 anni questa sua figura carismatica non c’è dubbio che attorno a lui si aggreghi inevitabilmente il tutto. L’unico elemento che effettivamente ha un suo interesse è stato l’episodio

della componente centrista che è entrata nel gruppo del centrodestra all’inizio, nel ’94, tra i soci fondatori, e poi si è staccata. Al di là di questo, sarebbe interessante capire quali saranno le prospettive del partito unico del centrodestra: Elemento di interesse questo è l’aspet- è l’uscita del centro to più interes- da una coalizione sante, non se si che aveva fondato farà. Va aggiunta un’ultima cosa: l’Italia è un paese, come ci ricorda sempre D’Alema, che dal dopoguerra ha sempre avuto una maggioranza moderata. Quindi, è più interessante, da un certo punto di vista, immaginare che la sinistra riesca a creare una forza tale da riuscire in futuro a scardinare 87 questo equilibrio. ARDITTI: Ha ragione Folli: l’elemento aggregante è Berlusconi e lo possiamo vedere da due punti di vista. Primo, perché su cinque elezioni politiche alle quali Berlusconi si è candidato, ne ha vinte tre, ne ha quasi vinta la quarta e ne ha “abbastanza” persa una. Secondo punto: nessuno si illuda che senza un collante di questo tipo, Fini, Formigoni, Cicchitto, Alfredo Biondi e Giorgio La Malfa sarebbero mai stati nello stesso partito. MELLONE: Passiamo dal partito agli elettori. È vero che l’elettorato di centrodestra esprime una consonanza di valori, di visione del mondo che è a un livello più avanzato dei conflitti che in parte continuano a spaccare la classe dirigente del centrodestra?


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FOLLI: Sì, è vero, nel senso che abbiamo detto fino ad adesso. In fondo, Berlusconi ha intuito che c’era questo sentimento nell’elettorato, Fini ha avuto l’intelligenza di assecondare da subito questa onda. Oggi, effettivamente, il punto è che si deve dare a questo elettorato quello che chiede, ovvero un processo di modernizzazione del paese credibile sul piano economico, sociale e istituzionale. E lo chiede, secondo me, in forme più nitide di quanto L’elettorato di destra è più disponibile non faccia a un certo grado l’elettorato di di innovazione centrosinistra, che magari tende di più a proteggere certe aree e a volersi sentire più protetto dalla politica. Quello di destra è un elettorato meno attento alle protezioni, più disponibile a un certo grado di innovazione, soprat-

tutto nel Nord (certo, senza esagerare: elementi corporativi si sono anche diffusi nell’elettorato di centrodestra). È su questo che si vince o si perde, non sulla rendita di posizioni dell’Italia tendenzialmente moderata, bensì sulla capacità di interpretare questa esigenza di modernizzazione. Qui bisogna vedere se Berlusconi ce la farà, perché questo comporta programmi, volontà, risorse e classe dirigente. Tutte cose che per adesso non ci sono o ci sono in maniera insoddisfacente. ARDITTI: Aggiungo una considerazione. Accettando una semplificazione funzionale a ciò che sto per dire, possiamo dire che la destra italiana prende i voti al Nord e al Sud e la sinistra al Centro. Io penso che moderno, nuovo, cambiamento, innovazione, stiano più a destra che a sinistra, in Ita-


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un elettorato che tende ai sistemi di potere più o meno consolidati. MELLONE: Non può darsi che per via di quel processo avviato da Giulio Tremonti, che ha assorbito un po’ di bagaglio ideologico della destra sociale ed è arrivato a soluzioni di tipo neokeynesiano, questi due elettorati stiano ritornando a chiedere la stessa cosa? Cioè, alla fine di tutta questa crisi, non potrebbe uscire un centrodestra con una cultura politica meno liberista, più interventista da un punto di vista pubblico, meno pro -global e più “nazionalista”? lia. Però, il blocco politico-sociale che vota a sinistra è secondo me più omogeneo, ancorché minoritario, di quello che vota a destra, perché le due grandi aree di consenso che votano la destra in Italia, la pianura Padana – con un’omogeneità molto consistente – e il Sud – a fasi un po’ alterne – sono portatrici di istanze conflittuali. E questa è una delle questioni che secondo me rendono la campagna elettorale della destra relativamente agevole, soprattutto se condotta da un leader carismatico come Berlusconi, mentre l’attività di governo è assai più complessa, perché l’istanza di modernità, efficienza, controllo della spesa pubblica, spazio all’iniziativa privata nella sanità, nella fornitura di servizi anche a carattere pubblico, nella scuola, è proposta dal Nord, mentre l’elettorato di centrodestra del Sud è

FOLLI: Non c’è dubbio che l’avvento di Forza Italia sia stato accompagnato da una retorica molto liberista. Poi le cose sono cambiate, soprattutto in questi ultimi anni. Quindi quello che dici è in parte vero, purché non si perda di vista il punto di fondo, cioè che questa è una società chiusa, troppo chiusa. Non bisogna confondere la necessità che in certi momenti contingenti lo Stato abbia un ruolo più incisivo, come nel momento che stiamo vivendo adesso, con un generico ritorno Il centrodestra allo statalismo e ha un’anima liberista, al protezioni- ma la sua classe smo. Questo sa- dirigente è fragile rebbe un errore gravissimo. Io credo che il centrodestra debba mantenere salda un’anima liberale, che a mio avviso possiede fino a un certo punto. E qui si torna al discorso della classe dirigente, ancora troppo

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fragile per interpretare in chiave moderna questo senso liberale dello Stato, delle istituzioni e del rapporto tra politica ed economia. Credo non sia interesse di nessuno tornare a un’Italia statalista. Il che non vuol dire escludere a priori ogni forma di intervento statale. Ora, una classe politica che riesca a unire la capacità di modernizzare il paese con quella di usare lo Stato in modo corretto è una classe politica che sa anche immaginare forme di intervento “alto” dello Stato – pensando al modello Iri nella sua accezione nobile e migliore, non certo alle sue degenerazioni. Naturalmente questo richiede forte capacità politica di guidare processi, forte leadership e anche delle istituzioni statali molto più efficaci, moderne ed efficienti di quanto non siano oggi. Ci vuole un forte potere politico per fare questo. ARDITTI: I Riguardo all’assenza dello Stato e alla necessità di intervento pubblico potremmo ritentare, magari in modo più razionale, la via della Democrazia cristiana, ma i vincoli di bilancio non ce lo consentono. Nessuno può andare in Campania e fare un milione di nuove assunzioni, magari con lo scopo di togliere manovalanza alla criminalità, perché non ci sono i soldi. Dobbiamo quindi renderci conto che, anche accettando l’idea che i prossimi anni saranno anni di intervento dello Stato, la reale praticabilità di questo in alcune delicate situazioni territoriali o di settori economici, è tutta da inventare.


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MELLONE: Ritorniamo al Popolo della libertà. Può ancora funzionare in sede di partito unico l’ipotesi del modello carismatico, il centrodestra fondato “solo” sul carisma di Berlusconi? FOLLI: Io penso che il partito del centrodestra dovrà comunque avere, anche in futuro, una struttura non troppo dissimile da quella che ha avuto in questi anni. Non riesco a immaginare un futuro del centrodestra fondato su tanti feudi politici, come era la Dc. Sarebbe fuori dal tempo. Dopo la lunga stagione di Berlusconi, è chiaro che bisognerà mantenere una struttura costruita intorno a un leader. Ora, chi sarà questo leader lo decideranno i tempi della politica, quello che è importante è che intorno al leader ci sia una classe dirigente strutturata, compatta, pro-governing: da questo punto di vista qualche progresso c’è stato, perché questa legislatura è cominciata totalmente diversamente dalla legislatura del 2001, però molto è ancora da fare. La classe politica del partito unico deve essere necessariamente una classe di governo, capace di porsi il problema di come innovare e riformare il paese in una stagione di penuria economica spaventosa, mancanza di risorse, debito pubblico soffocante. Il processo è lungo e complesso, riguarda la maturità di una classe dirigente di cui si vedono alcuni aspetti, ma non ancora un ordito, un disegno completo. Aggiungo un’altra considerazione. Per anni, abbiamo – giustamente – detto


che il governo centrale era troppo debole rispetto a un parlamentarismo un po’ paralizzante, adesso stiamo andando verso l’eccesso opposto. Quando si fa il discorso di un partito fondato su una leadership, va bene finché non si svuotano le istituzioni. Io ritengo che nel nostro ordinamento il Parlamento debba avere un ruolo importante e non possa essere mortificato, come talvolta avviene adesso, con l’eccesso di ricorsi ai decreti legge e un modo un po’ sprezzante di considerare il dibattito parlamentare…

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ARDITTI: Dal ’94 a oggi, il centrodestra italiano non si è mai presentato alle elezioni nella stessa configurazione. Primo: questo centrodestra, finora, esiste nella misura in cui ne esiste il leader. Secondo: il processo di assestamento politico non si può compiere fino a che non si stabilizza un confronto tra coalizioni che si presentano, nel corso degli anni, sempre uguali, sia che vinca sia che perda. MELLONE: Ragioniamo sul modello organizzativo futuro del Pdl. Dando per assodata la connotazione carismatica, si salderà col metodo delle primarie? Sarà un partito federato? Centralista o federalista? Ricalcherà il modello tradizionale del partito di massa? FOLLI: Se deve essere partito unico, partito unico sia. La “federazione” è puro politichese. Le primarie sono una moda un po’ di importazione: o si fanno molto seriamente, consolidandole nel

FOCUS

Le elezioni primarie sono una competizione elettorale attraverso la quale gli elettori o i militanti di un partito politico decidono chi sarà il candidato del partito (o dello schieramento politico del quale il partito medesimo fa parte) per una successiva elezione di una carica pubblica. La ragione delle elezioni primarie è la promozione della massima partecipazione degli elettori alla scelta dei candidati a cariche pubbliche, in contrapposizione al sistema che vede gli elettori scegliere fra candidati designati dai partiti. Le primarie sono utilizzate in particolar mo-

tempo, ma se devono essere una cosa finta, come ha fatto il centrosinistra, allora è meglio non farle. Parlare di primarie per il centrodestra mi sembra assolutamente un tema remoto. MELLONE: Però si faranno. FOLLI: È una concessione allo spirito del tempo, ma non serve a nulla. Quanto al partito “fede-


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PRIMARIE, FENOMENO DI IMPORTAZIONE colar modo negli Stati Uniti d'America e nascono come sistema locale: la prima di questo genere fu tenuta dal Partito democratico in Pennsylvania il 9 settembre 1842. Dopo la guerra civile americana (18611865) si diffusero negli Stati del Sud, dove ovviavano al problema di una rappresentanza politica di fatto mono-partitica. Alla fine del XIX secolo grazie alla spinta del movimento progressista sono divenute una istituzione pressoché generalizzata a livello nazionale. Nel paese nordamericano questo meccanismo era di tipo “chiuso”, ossia alle primarie di un partito potevano votare tutti i membri di quel partito. Negli anni 70 del XX secolo si sono diffuse le primarie di tipo “aperto”, che consentono il voto a tutti i cittadini. In un sistema bipartitico (o bipolare) le primarie aperte tendono a selezionare candidati più centristi rispetto all’elettorato (non rispetto ai militanti) e a favorire maggiormente la partecipazione alle elezioni, ma sono aperte al rischio di “inquinamento” da parte dei sostenitori del partito avversario. Per questa ragione si è affermato un tipo intermedio di primarie, che consente il vo-

ralista”, non lo so. Se intendiamo un partito che cerca di tenere in equilibrio varie parti del paese, anche con qualche concessione alle esigenze territoriali, questo non mi scandalizza: le distanze tra le tre aree Nord, Centro e Sud sono aumentate rispetto al passato, siamo un paese lacerato. Ma quello che è necessario è che ci sia la capacità al Centro di immaginare una sintesi di

to anche ai cittadini non iscritti al partito, ma potenzialmente sostenitori dei suoi candidati. In questo terzo tipo, i cittadini per poter votare alle elezioni devono “iscriversi” in un apposito registro presso uno dei partiti in lizza. L’iscrizione può aver luogo in qualità di aderente o indipendente. A partire dal 2005, il metodo delle elezioni primarie (di tipo “aperto”) è stato introdotto anche in Italia dalla coalizione di centrosinistra, l’Unione, formata il 10 febbraio 2005. La coalizione di centrodestra, finora, non ha mai organizzato elezioni primarie per scegliere i propri candidati. In Italia le elezioni primarie non sono previste o regolamentate per legge, come avviene negli Usa. Di conseguenza, da noi questo tipo di elezioni non ha alcun valore legale, anche se molti esponenti politici, considerandolo un modo diretto di partecipazione dei cittadini, ritengono necessario estenderne il più possibile l’utilizzo. Tuttavia, in Toscana esiste una legge, la legge regionale n. 70 del 17 dicembre 2004, che consente formalmente ai partiti di tenere elezioni primarie per la scelta dei candidati in ambito regionale. Gli unici ad avere usufruito in quella regione di questo strumento sono stati i Democratici di sinistra, in occasione delle regionali della primavera 2005.

un paese diviso, sforzo che il centrosinistra non ha fatto, perdendo infatti clamorosamente la sua sfida. Il centrodestra può farlo, ma non si è ancora posto tutti i problemi legati alla capacità di immaginare questa sintesi. Questa è la grande sfida che è di fronte a Berlusconi, a Fini e agli altri che dovranno rappresentare il gruppo dirigente del partito di domani.

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ARDITTI: A me non dispiacciono le primarie come meccanismo, da sperimentare soprattutto a livello locale, anche se è vero che vanno maneggiate con cura per evitare – soprattutto al Sud – fome di neoclientelismo, ed è verissimo che appartengono a un altro sistema: non a caso si fanno negli Stati Uniti, dove le persone devono iscriversi per andare a votare. Le primarie nel sistema americano sono funzionali ad accendere il motore che porta la gente a votare e, poi, sono una dignitosa rappresentazione politica dello spirito competitivo che gli americani cercano di tradurre in tutto il loro modo di agire. L’Europa ha una storia molto diversa. MELLONE: E la storia futura del Pdl? ARDITTI: Il centrodestra, negli anni, ha consolidato un comportamento elettorale che è – tutto sommato – diventato abituale per gli italiani e resterà tale anche nel post-Berlusconi. A mio avviso, le abitudini di comportamento nell’urna dell’elettore del centrodestra, del Nord e del Sud, si sono talmente consolidate che, per quanto qualcuno tenterà, litigando, di “rompere il giocatolo”, non ci riuscirà. Quanto al problema della leadership futura, è totalmente sbagliato porselo ora. In politica, il problema della successione al leader è inesistente fino a un minuto dopo che si è davvero manifestato. Per due ordini di ragioni: primo, perché porselo prima fa solo una gran confusione e

non approda a nessun risultato. Secondo, perché, più o meno volontariamente, finisce per indebolire la leadership esistente o “ammazzare” quella emergente. Soprattutto nella mia visione, in cui la leadership di governo e di partito, per chi ha vinto le elezioni, devono coincidere.

Gli autori STEFANO FOLLI La sua attività giornalistica inizia dalle colonne del quotidiano lla Voce Repubblicana, l’organo ufficiale del Pri. Nel 1981 diventa direttore della testata. Alla Voce Repubblicana, rimane fino al 1989 quando si trasferisce al quotidiano romano Il Tempo. L’anno successivo inizia a collaborare con il Corriere della Sera, come notista politico.Dal 2003 al 2004 sostituisce Ferruccio De Bortoli alla direzione del Corriere della Sera. Dopo la fine anticipata con il quotidiano di via Solferino, sarà proprio De Bortoli a offrirgli un contratto da editorialista con Il Sole 24 Ore. ROBERTO ARDITTI Laureato in Discipline economiche e sociali all'Università Bocconi di Milano, è stato uno degli autori storici della trasmissione Porta a Porta. È stato portavoce del ministro dell'Interno Scajola. Si occupa di politica interna e politica internazionale. Nel 2007 ha pubblicato il suo primo libro Obiettivi Quasi Sbagliati, editore Sperling & Kupfer, dedicato a 13 storie di vittime del terrorismo degli "anni di piombo". È Direttore Editoriale del quotidiano Il Tempo e ha condotto una trasmissione radiofonica su RTL 102.5 con Andrea Pamparana e Fulvio Giuliani.



Il Pdl è un’idea che viene da lontano Un lungo percorso a tappe durato quindici anni, per far nascere il partito unitario del centrodestra. Un susseguirsi di iniziative politiche e culturali per dare un corpo e un’anima al soggetto unico DI ROSALINDA CAPPELLO

Otto febbraio 2008: il processo di costituzione del Popolo della libertà registra una decisa accelerata con il raggiunto accordo tra Forza Italia e Alleanza nazionale di confluire in un unico corpo, con lo stesso simbolo in vista delle elezioni politiche che, con l’appoggio esterno della Lega al nord e del Movimento per le autono-

mie al sud, riporta una netta vittoria alle elezioni di marzo. La svolta arriva nel giorno dell’anniversario della scomparsa di Pinuccio Tatarella (An), che era stato tra i primi e più convinti sostenitori della realizzazione di un partito unitario. E arriva dopo due mesi in cui i rapporti tra i due maggiori schieramenti del


LA STORIA Rosalinda Cappello

centrodestra si erano fatti tesi in senza la Lega, che vedono l’afferseguito al colpo di mano con il mazione del centrosinistra. In ocquale Silvio Berlusconi, il 18 no- casione delle politiche del 2001, vembre 2007, a piazza San Babila e il ritorno al governo di Berlua Milano, luogo simbolo del Msi sconi, i partiti del Polo formano prima e di Alleanza Nazionale una nuova alleanza con la Lega di poi, aveva annunciato unilateral- Bossi e il Nuovo partito socialista mente la nascita del partito unico italiano e nasce la Casa delle lidel centrodestra, senza consultare bertà che si ripresenta con la stesgli alleati. Quello era, in ordine sa formazione anche alle Politiche di tempo, solo l’ultimo degli an- del 2006, che si risolvono a vannunci in questo senso fatti dal taggio dell’Unione prodiana. leader di Forza Italia, condivisi Fin qui, si è trattato di iniziative anche se, come vedremo, con dei politiche messe in campo in vista distinguo anche da Gianfranco delle consultazioni e il collante era il programma elettorale, non Fini e dal suo partito. c’era una vera sinLa via verso l’unifitesi tra le varie cazione ha radici La Carta dei valori anime né una prenel 1994, quando le due coalizioni di si ispira all’umanesimo cisa elaborazione di tipo culturale e centrodestra (Polo cristiano e laico di contenuti sulla delle libertà al centro-nord con FI, all’eredità repubblicana, struttura del nuovo organismo uniLega e Ccd, e Polo liberale e riformista tario. Occorre didel Buon Governo al centro-sud, con FI, Ccd e Alle- stinguere, infatti, i passaggi pretanza nazionale) vincono le elezio- tamente politici e quelli di segno ni politiche, dando vita al primo culturale, la cui iniziativa è stata in mano a gruppi e fondazioni. In governo di Berlusconi. All’indomani dell’affermazione primo luogo, il Comitato di Todi comincia a farsi strada il progetto – nato su iniziativa di Adornato e sostenuto dal forzista Ferdinando di Liberal, con la partecipazione e Adornato, oggi passato nelle file il contributo di altri esponenti dell’Udc, e da Pinuccio Tatarella, del centrodestra, tra cui, gli aensoprannominato il “ministro del- nini Maurizio Gasparri e Gennal’armonia” per la sua ferma con- ro Malgieri – che ha tracciato una vinzione che tra tutte le forze del road map in tappe che prevedeva centrodestra dovesse regnare la l’apertura di un dibattito in tutto il paese, a tutti i livelli, e l’avvio concordia. Dopo la fine anticipata dell’ese- di un comitato costituente dei cutivo di Berlusconi causata dalla partiti e dei movimenti aderenti fuoriuscita della Lega Nord, la al progetto, con rappresentanti coalizione si riorganizza in vista delle associazioni, del mondo deldelle elezioni politiche del 1996 le professioni e della società civicon il nome di Polo delle libertà, le, con il compito di definire va-

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lori e regole del nuovo soggetto e di redigere uno statuto da discutere in fase congressuale. I seminari di Todi hanno prodotto nel corso degli anni diversi documenti fino ad arrivare alla Carta dei valori che ha indicato gli orizzonti politico-culturali, programmatici e organizzativi del nascituro partito unitario del centrodestra. Un percorso, dunque, che ha proceduto all’inverso: invece di partire dalle idee e dallo statuto, si era cominciato dal livello politico, legato alle scadenze elettorali. L’entrata in campo degli “operatori delle idee” ha cercato di correggere il tiro e di dare contenuti al progetto. La Carta dei valori – sottoscritta nel 2005 da Berlusconi, Fini e Pieferdinando Casini quando, come dichiarò Adornato in occasione della manifestazione del 27 ottobre 2007, «il Partito democratico era un sogno» – è una sorta di carta d’identità di una

forza moderata che si ispira all’umanesimo cristiano e laico, all’eredità repubblicana, liberale e riformista, e pone l’accento sulla centralità della persona, sul rilancio dell’Occidente, sul legame tra Europa e Stati Uniti, sui valori della pace e della libertà, sul dialogo tra le civiltà, sull’economia sociale di mercato, su un’idea nuova di progresso e sull’identità di una nazione dai valori condivisi. Il cammino verso la realizzazione di contenuti ha un’altra tappa importante nella costituzione, nel giugno 2007, del Comitato dei Trenta che raccoglie politici e intellettuali aderenti alle Fondazioni Farefuturo, Liberal e Craxi. Un gruppo di persone al lavoro per indicare ai partiti della Cdl la strada per arrivare in tempi brevi «a una casa comune, per rilanciare e realizzare il partito delle libertà». Lo scopo del comitato, sulla scia di Todi, è quello di redigere lo statuto della nascitura


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formazione politica. Prima della frenata seguita a San Babila, il Comitato stava lavorando sulle regole e stava arrivando a un prodotto che era un partito un po’ presidenzialista e un po’ federalista, con elezione della classe dirigente al 70% in termini locali e al 30% in termini nazionali. Un partito-convention dove un terzo era rappresentato dagli iscritti, un terzo dagli eletti e un terzo dalla società civile. Intanto, parallelamente alle iniziative culturali, l’azione politica su questa strada continuava, con alti e bassi per via delle accelerate e delle frenate da parte dei leader del centrodestra. Berlusconi parla di un partito unitario nel corso della presentazione ufficiale dei circoli di Michela Brambilla nel novembre del 2006. L’anno precedente, nella primavera del 2005, aveva annunciato una costituente che si sarebbe svolta nei mesi successivi, che aveva registrato un’iniziale presa di distan-

za da parte di Marco Follini, allora nell’Udc, e di Fini secondo cui il progetto era affascinante ma difficile da realizzare in tempi brevi e non funzionale a un successo elettorale. Per lui il partito unico del centrodestra sarebbe stato possibile solo se basato su un programma comune, dei valori comuni dove fossero fatte salve le identità e le sensibilità diverse. Alleanza nazionale era per un progetto non di facciata né propagandista e indicava una via vicina al neogollismo promosso da Sarkozy in Francia, un modello “europeista ma non antiatlantista”, “laico ma non laicista”, “liberale ma solidarista”. Un documento a sostegno del progetto del partito unico, realizzato dai deputati di Alleanza nazionale Giampiero Cannella ed Enzo Raisi, sottolinea come nel ’94 An fosse nata dalla confluenza in un unico organismo politico dei filoni cattolico-popolare e laico-risorgimentale e come tra i principali ispiratori

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di questa svolta ci fosse la volontà la che è stata definita la rivoluziodi arrivare a un unico soggetto ne del predellino, quando Berlusconi dalla milanese Piazza San politico di centrodestra. Nel 2006 Berlusconi pubblica Babila dov’era stato invitato per un libro Verso il partito della liber- un comizio da Mariastella Gelmità che raccoglie tutti i suoi inter- ni, annuncia, in un bagno di folla venti più importanti degli ulti- – senza consultare gli alleati né il mi anni nella prospettiva della suo stesso partito – che i tempi costituzione del partito unitario. sono maturi per lo scioglimento Sempre nel 2006, a luglio, un al- di Forza Italia e per la nascita del tro contributo di An allo spirito partito del Popolo della libertà, del partito unitario del centrode- perché «la gente è più avanti di stra viene da un documento re- noi e ce lo chiede», pronunciando datto da Fini, Adolfo Urso e Pa- il celebre «basta con i parrucconi squale Viespoli, dove si parla di e i professionisti della politica». un “popolo delle libertà” che ha E ai cronisti che gli chiedono di An e Udc, risponde: preso per la pri«Se aderiscono, bem a v o l t a c o - Il Comitato dei Trenta ne. Io non voglio e scienza di sé e non devo convincere della necessità di sulla scia di Todi nessuno». Per tutta ripensare la Casa si riuniva per redigere risposta il forzista delle libertà e si Adornato, che per evidenzia che «il lo statuto del futuro anni si era impegnasoggetto unita- partito unitario to nel cercare di dario del centrodestra è una risposta di grande va- re contenuti e struttura al nuovo lore strategico che An intende soggetto, si tira fuori e passa nelproseguire». Ma lo si indica non la file dell’Udc, a sua volta in rotcome punto di arrivo bensì come ta con Berlusconi. La Lega non punto di partenza che «non può accoglie l’invito mentre Fini e il tradursi nella mera sommatoria suo partito hanno una presa di dell’esistente, né ridursi a posizione molto netta giudicando un’operazione di ingegneria in- confuso e superficiale il modo in tellettuale, verticistica ed autore- cui si pretendeva di far nascere il ferenziale, ma deve rappresentare nuovo organismo. «Siamo alle col’esito di un processo politico, miche finali», afferma il leader di culturale e sociale, ampio e par- An. Tutto sembra precipitare, ma tecipato, oltre i partiti e i confini la caduta del governo Prodi arriva stessi della stessa Casa delle li- a sedare gli animi e a mettere in primo piano la necessità di arrivabertà». Quindi un progetto ragionato, re uniti alle elezioni per sconfigcondiviso e non frutto di una de- gere il centrosinistra. cisione imposta dall’alto. Un pro- Berlusconi e Fini raggiungono cesso che rischia di naufragare il l’accordo di creare un partito con 18 novembre del 2007, con quel- un unico simbolo. L’Udc rifiuta di


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entrare e corre da sola, la Lega fa un’alleanza esterna. Dall’esigenza elettorale riprende in maniera decisa il cammino verso la nascita del Popolo della libertà nel marzo del 2009 che si compirà con il congresso nazionale unitario, preceduto dallo scioglimento di Forza Italia, avvenuto nel corso del consiglio nazionale del 22 novembre, e da quello di Alleanza nazionale il prossimo febbraio. Il resto è cronaca. Dopo le elezioni, per dare continuità al progetto sono stati creati dei comitati promotori regionali, che illustrano alla base perché bisogna entrare nel Popolo della libertà e quale tipo di scenario si profila. I comitati organizzano incontri ai quali partecipano anche i rappresentanti dei partiti che non hanno sottoscritto con Forza Italia, Alleanza nazionale e la Democrazia cristiana per le autonomie di Gianfranco Rotondi l’accordo sul Popolo della libertà». Così i giovaniardiani, gli ex radicali dei Riformatori Liberali di Della Vedova, il Movimento per l’autonomia di Lombardo, i repubblicani intervengono nei tavoli decisionali dei comitati promotori regionali e avranno una quota-parte nel nascente partito unitario. Prima di Natale saranno allestiti i gazebo dove gli elettori potranno votare tutti i delegati di FI al congresso di metà marzo e una parte di quelli di An. Per il partito di Fini, infatti, la maggioranza di essi sarà indicata nel corso dell’ultimo congresso. In questo processo, le fondazioni dei partiti coinvolti daranno il lo-

ro contributo alla riflessione politico-culturale sul futuro ormai prossimo e sulla formazione e selezione della classe dirigente del nuovo organismo, come ha fatto la Fondazione Farefuturo nel corso di un recente workshop al quale hanno partecipato gli esponenti delle fondazioni del centrodestra, politologi e intellettuali.

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L’Autore ROSALINDA CAPPELLO Giornalista culturale, si interessa di storia contemporanea e cinema. Ha curato per il web una rubrica di cinema off e collaborato con riviste di storia e sul terzo settore. Attualmente cura i contenuti del sito della Fondazione Farefuturo. Collabora con il Secolo d’Italia.


gli strumenti di

Nelle pagine che seguono è stato realizzato un viaggio 102

nel mondo dei partiti di centrodestra a vocazione maggioritaria che sono protagonisti nell’agone politico in vari paesi, dalla Francia con l’Ump, alla Spagna con il Pp, passando per il Moderata samlingspartiet in Svezia, fino al Partito repubblicano negli Stati Uniti d’America. Per ciascuno è stata ripercorsa la nascita, la struttura, l’organizzazione sul territorio e i motivi che li hanno ispirati. Un’analisi è stata dedicata anche al Partito popolare europeo, un composito mosaico del centrodestra continentale, dove ciascun partito, al di là degli egoismi nazionali, si riunisce nell’ambito della cooperazione europea per individuare un futuro percorso comune

a cura di Bruno Tiozzo


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PARTITI MAGGIORITARI A CONFRONTO

Tre lustri è un tempo importante in politica e ormai sono quasi quindici gli anni trascorsi da quando è nato il moderno centrodestra italiano con la candidatura di Gianfranco Fini a sindaco di Roma e la discesa in campo di Silvio Berlusconi. In quei tempi, alla metà degli anni Novanta, il modello rappresentato dal centrodestra italiano pareva a molti osservatori stranieri una anomalia nel panorama politico europeo. In parecchi Stati europei vigeva infatti, proprio come nell’Italia della Prima Repubblica, una marcata distinzione tra il centro, di impronta cristiano-democrati104 ca, e la destra nazionalista o conservatrice. Spesso i partiti centristi avevano lo sguardo rivolto verso sinistra e il modello politico consociativo, in cui governavano insieme cristiano-democratici e socialisti, era pressoché la regola in paesi come l’Italia, il Benelux e l’Austria. In realtà la nascita del Polo delle libertà, e successivamente della Casa delle libertà e idel Popolo della libertà, s’inserisce in un quadro politico europeo più vasto, che nel corso degli ultimi 10 anni ha visto il Partito popolare europeo (Ppe) spostarsi a destra, fino a diventare una vera e propria casa comune dello schieramento europeo alternativo alle sinistre. La democrazia dell’alternanza, con un sistema politico bipolare tendente verso il bipartitismo, s’è ormai affermata in quasi tutti gli Stati europei. Oggi, con il tramonto di molte delle ideologie del Novecento, sono invece il consociativismo e le grandi coalizioni a essere diventati delle eccezioni o misure di emergenza. In Italia, il percorso verso una forza unitaria si prospetta decisamente meno trava-

gliato per il centrodestra rispetto al centrosinistra. La quasi totalità dei grandi partiti europei di sinistra riformista si riconosce infatti nei principi del socialismo democratico e affonda le proprie radici nel pieno dell’era industriale o perlomeno (come nei casi francesi e greci) nel periodo della Guerra Fredda. Proprio per questo fatto risulta un compito per nulla semplice gettare le basi per una grande forza di centrosinistra in una società post-industriale, a maggior ragione quando manca l’ancoraggio a una determinata famiglia politica europea. Diverso il discorso per lo schieramento di centrodestra: la forza dei partiti alternativi alla sinistra si trova proprio nel fatto di non accettare la pretesa di un pensiero unico applicabile in tutte le nazioni. Il centrodestra è per la sua natura eterogeneo e riunisce diversi filoni ideologici (conservatori, liberali, cristiano-democratici) intorno ad alcuni valori imprescindibili, che sono poi gli stessi che contraddistinguono l’Occidente. Un concetto che non è più riconducibile a una determinata area del pianeta, infatti sono entrati a far parte dell’Occidente anche delle realtà situate in altre zone geografiche, quali il Giappone e la Turchia, oltre ovviamente a Israele e Australia. Ogni forza politica che forma un tassello nel composito mosaico del centrodestra europeo affonda le proprie radici in una storia individuale assai particolare, che a sua volta rispecchia le peculiarità della nazione di appartenenza. Superando gli egoismi nazionali, i partiti del centrodestra, nell’ambito della cooperazione europea, hanno individuato un futuro percor-


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so comune nel portare avanti valori come la difesa della libertà, coniugata con l’ordine, l’economia sociale di mercato, il principio di sussidiarietà e i diritti della società civile nei confronti del potere pubblico. Emblematica la definizione in questo senso data da José María Aznar nella sua biografia politica Otto anni di governo: «Non ho mai obbligato nessuno a definirsi dal punto di vista ideologico in un senso o nell’altro. Una dottrina essenzialmente basata sul principio di responsabilità ha sempre meritato tutta la mia stima. Pertanto, eravamo portati sin dall’inizio a condividere un modo di fare nel quale primeggiassero la disposizione al dialogo e il rispetto. L’integrazione risultava naturale e come tale venne realizzata, senza la necessità di forzare alcunché. Eravamo tutti d’accordo intorno ai principi fondamentali e a una dottrina di libertà, di stabilità e di riforma». Nei decenni passati, i partiti appartenenti all’Internazionale socialista si presentava-

no come una vera e propria macchina da guerra, mentre le forze alternative si ritrovavano divise e spesso con un atteggiamento fin troppo remissivo. Oggi è invece il nuovo Ppe, la casa comune del centrodestra, a costituire la forza politica più grande e incisiva a livello europeo, mentre la sinistra fatica a trovare una nuova formula per reinventarsi e superare i tanti limiti del socialismo che si sono resi sempre più evidenti nel Terzo millennio. Un particolare rilevante è rappresentato dal fatto che le realtà più significative dello schieramento moderato europeo nascono a destra e con la forza delle proprie proposte sono riuscite a conquistare anche il centro della politica nei loro rispettivi paesi. Una tendenza che si è rafforzata negli ultimi anni con l’emergere di leader come Nicolas Sarkozy, David Cameron e Fredrik Reinfeldt che senza rinnegare il loro essere di destra si rivolgono apertamente anche a quelle fasce dell’elettorato che da sempre vengono considerate voti sicuri per la sinistra.


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Negli ormai quasi quindici anni di Seconda Repubblica (o tempi supplementari della Prima Repubblica citando Bruno Vespa) s’è spesso udito il ritornello, solitamente proveniente da piccole forze di centro, secondo cui il bipolarismo rappresenterebbe un’anomalia non solo per l’Italia, ma addirittura nel contesto europeo. La realtà è ovviamente un’altra: si alternano al governo due coalizioni, se non addirittura due partiti, in paesi come Francia, Gran Bretagna, Spagna, Grecia, Portogallo e Svezia. Anche il tanto citato esempio della Germania riguarda una democrazia impostata sull’alternanza al governo di Cdu e Spd dove solo in due occasioni s’è fatto ricorso alla “grosse koalition”. Non si capisce quindi perché proprio l’Italia dovrebbe essere condannata al mix poco invidiabile di consociativismo e proliferazione di piccole liste. Anche perché gli altri paesi dove sono ricorrenti gli accordi di governo tra socialisti e moderati, come il Belgio e l’Austria, non sono certamente dei modelli da imitare. Sarebbe un interessante argomento per una ricerca individuare se la Democrazia cristiana (Dc) sarebbe stata in grado di svolgere il ruolo di partito unico dei moderati, un po’ come la Cdu tedesca, qualora non ci fosse stato Tangentopoli. La risposta è probabilmente negativa, la Dc non fu mai realmente un partito di centrodestra, aveva fin dall’inizio dentro di sé un importante filone di cattolici progressisti che guardavano a sinistra e riuscì a monopolizzare lo schieramento moderato innanzitutto grazie a quella particolare situazione storica che si era creata con la Guerra Fredda.

Il Popolo della libertà rispecchia molto meglio della Dc le diverse anime che costituiscono il centrodestra italiano. Il Pdl sarà una forza pluralista con vocazione governativa che, oltre alle forze politiche europee più affini come l’Ump francese e il Pp spagnolo, avrà molti aspetti in comune anche con il Partito repubblicano negli Stati Uniti. Il Pdl, già nato nelle urne, adesso aspetta la fase costituente e la nuova forza -che comunque ha avuto un periodo di gestazione durato 15 anni- si prospetta già come un protagonista sul palcoscenico internazionale in seguito alle imminenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo.


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LA “GRANDE TENDA” REPUBBLICANA

Negli Stati Uniti lo schieramento di destra è rappresentato dal Partito repubblicano, una forza politica unitaria in cui le diverse anime, spesso apparentemente discordanti tra di loro, hanno saputo trovare una sintesi che rappresenta un interessante modello anche per il centrodestra del Vecchio continente. Il Partito repubblicano nacque in una riunione organizzata da politici di provenienze diverse in una scuola a Ripon nel Wisconsin il 28 febbraio del 1854. I fondatori, tra i quali figurava l’ex deputato whig Abraham Lincoln, si opposero all’estensione dello schiavismo dei neri da parte dell’amministrazione federale in mano al Partito democratico (a sua volta fortemente radicato nel Sud schiavista). Il principio della libertà è quindi stata una stella polare per il Partito repubblicano fin dalla sua fondazione. Il nome del nuovo partito faceva riferimento ai valori repubblicani americani, come la libertà e le virtù civiche, in opposizione agli interessi di parte portati avanti dai democratici. Contro il latifondismo basato sulla schiavitù, i repubblicani abbracciarono la visione di una economia dinamica e modernizzatrice basata sulla libertà. Il Partito repubblicano si presentò per la prima volta alle elezioni presidenziali del 1856, candidando l’esploratore John C. Frémont con lo slogan “Libero suolo, libero lavoro, libertà di parola, uomini liberi”. Perse, ma il partito riuscì ad affermarsi come la forza politica principale nel Midwest e nel New England. Andò decisamente meglio nel 1860, quando per la prima volta i repubblicani, con Abraham Lincoln, conquistarono la Casa Bianca. Seguirono

la dolorosa guerra di secessione (1861-65) e l’assassinio di Lincoln. La vittoria dei nordisti portò, oltre all’abolizione della schiavitù, anche all’affermazione del Partito repubblicano come forza politica dominante degli Usa e fino al 1933 erano quasi sempre i repubblicani a uscire vittoriosi dalle elezioni presidenziali. Da questo periodo risale il simbolo del partito, un elefante, che per la prima volta venne utilizzato nel corso della campagna elettorale del 1874 in una caricatura nella rivista Harper’s che raffigurava il pachiderma impegnato a demolire gli steccati eretti dai democratici. Due anni più tardi, nel 1876, si incominciò a riferirsi ai repubblicani con il nome di Grand Old Party e l’abbreviazione Gop viene tuttora usata per indicare il partito. Il lungo periodo di amministrazione repubblicana degli ultimi decenni dell’Ottocento e nei primi del Novecento fu segnato da una economia in fortissima espansione, ma il trend demografico, con un incremento soprattutto di immigrati cattolici e di religione ebraica che si stabilizzarono nelle grandi città, andava a favore del Partito democratico. All’epoca le divisioni tra le due forze politiche non erano in primo luogo di natura ideologica, si basavano piuttosto su dei criteri etnico-culturali e sulla provenienza geografica. Il Gop era il partito degli yankee, ovvero la gente del nord (soprattutto nell’area delle grandi pianure), degli aderenti alle chiese carismatiche protestanti, della grande industria e dei pochi afro-americani che andavano a votare. Il Sud stava invece dalla parte dei democratici, come la maggior parte delle nuove ondate migratorie non

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protestanti. Con i presidenti William McKinley (1897-1901) e Theodore Roosevelt (1901-1909), i repubblicani si sforzarono tuttavia di estendere l’elettorato del partito anche ad altri gruppi etnici e sociali. Gli stati del Sud rimasero invece fuori portata del Gop fino agli anni Sessanta, circa un secolo dopo la fine della guerra civile! Il lungo periodo di dominio repubblicano ebbe fine con la grande depressione in seguito al martedì nero di Wall Street nell’ottobre 1929. Le politiche economiche laissez-faire portate avanti dai presidenti repubblicani Calvin Coolidge e Herbert Hoover negli anni Venti non vennero ritenute in grado di ribaltare la crisi economica e alle elezioni del 1932 trionfò il democratico Franklin D. Roosevelt. Con il “New Deal”, un programma di interventi statali, riuscì a rinsaldare un vasto elettorato che andava dal profondo Sud alle metropoli del Nord, dagli agricoltori agli operai delle industrie, dai neri ai gruppi di più recente immigrazione. La cosiddetta “New Deal coalition” garantì il potere ai democratici per la maggior parte dei successivi 36 anni. Il New Deal portò a una maggiore ideologizzazione dello scontro politico americano. Con l’opposizione al dirigismo governativo di Franklin Roosevelt, i repubblicani del Congresso, guidati dal senatore Robert A. Taft, cominciarono sempre di più a prendere i connotati di una moderna forza conservatrice. L’inizio della Guerra Fredda trasformò l’anti-comunismo in un importante fattore politico e i repubblicani tradizionalmente isolazionisti (si erano infatti oppo-

sti alla partecipazione degli Usa nei due conflitti mondiali) dimostrarono con la presidenza del generale Dwight “Ike” Eisenhower (1953-1961) la loro adesione al nuovo ruolo degli Usa come superpotenza mondiale e baluardo della libertà. L’agenda politica veniva tuttavia dettata dai “liberal” del Partito democratico e nel 1950 l’intellettuale Lionel Trilling scrisse: “Al momento, negli Stati Uniti, il liberalismo è non solo la tradizione intellettuale dominante, ma anche l’unica esistente. È infatti chiaro a tutti che non ci sono idee conservatrici o reazionarie in circolazione”. La controffensiva conservatrice nacque negli anni Cinquanta con l’obiettivo di portare il Partito repubblicano a destra, vincendo la sfida delle idee. Dietro c’era anche la delusione dei conservatori per la politica dell’amministrazione Eisenhower. Il Gop era riuscito a riconquistare la Casa


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Bianca per la prima volta in oltre 20 anni, ma la sua politica non si discostava particolarmente da quella portata avanti dai democratici. Nel 1953, Russell Kirk pubblicò The Conservative mind, in cui inserì la tradizione conservatrice americana nel contesto di quella mondiale, con riferimenti a Edmund Burke e all’importanza del cristianesimo per la formazione della civiltà occidentale. Due anni dopo, nel 1955, William F. Buckley jr. (recentemente scomparso) diede vita alla rivista di destra National review che presto arrivò a vendere 125.000 copie. Le primarie repubblicane del 1964 videro prevalere l’ala destra con la candidatura del senatore Barry Goldwater, che sconfisse il moderato Nelson Rockefeller, esponente di punta dell’ala moderata dell’East Coast. Goldwater, autore nel 1960 del libro The Conscience of a Conservati-

ve (pubblicato in Italia nel 1962 dalle edizioni del Borghese come Il vero conservatore) ebbe un ruolo determinante nel formulare una visione politica alternativa a quella “liberal” dei democratici, che dopo Franklin Roosevelt avevano trovato un nuovo campione in John F. Kennedy. Il clima politico-sociale non era ancora maturo per una destra più combattiva e Goldwater perse le presidenziali. Negli anni successivi crebbe tuttavia il malcontento con l’ingerenza dei democratici del Presidente Lyndon B. Johnson (la sua amministrazione fu probabilmente quella più a sinistra degli ultimi decenni), soprattutto nel Sud, che a partire dagli anni Sessanta iniziò a premiare sempre di più i repubblicani. Di grandissima importanza in questo senso fu anche la forte crescita demografica della Sun Belt, dove Stati come la California e il Texas iniziarono a rappresentare delle realtà sempre più dinamiche. I repubblicani fecero ritorno alla Casa Bianca con Richard Nixon nelle elezioni del 1968 -in seguito a una campagna giocata sulla sicurezza- rivolgendosi alla “maggioranza silenziosa”. Pur essendo considerato piuttosto conservatore per l’epoca, Nixon era fondamentalmente un pragmatico e Gerald Ford, il suo successore alla presidenza, proveniva dall’ala moderata del partito. Il seme gettato dagli intellettuali conservatori e da Goldwater negli anni Cinquanta e Sessanta iniziò finalmente a germogliare negli anni Ottanta con la presidenza di Ronald Reagan (1981-1989). Considerato il secondo presidente repubblicano più importante dopo Lincoln, Reagan ridiede

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agli americani fiducia in se stessi e ottimismo per il futuro dopo i problematici anni Settanta che avevano scosso gli Usa con la sconfitta nel Vietnam, lo scandalo Watergate e la crisi degli ostaggi in Iran. Reagan mandò definitivamente in soffitta il modello del New Deal con una liberalizzazione dell’economia, le cosiddette “reaganomics”, ed ebbe un ruolo determinante nell’accelerare il crollo dell’impero sovietico e la minaccia del comunismo mondiale. Allargò l’elettorato repubblicano a settori che in precedenza avevano votato democratico, come i colletti blu, da allora denominati “Reagan democrats”. All’interno del Gop, diede vita a quella coalizione tra varie destre sulla quale tuttora si regge l’equilibrio del partito. Reagan incarnò nella sua politica le tre anime del conservatorismo americano: la destra economica e liberista (contraria all’ingerenza dello Stato nella sfera privata), la destra religiosa (fautrice di una moralizzazione della società) e la destra law and order (che invoca misure per garantire la certezza della pena e la sicurezza dei cittadini). Il suo successore alla guida della Casa Bianca, George Bush (padre dell’attuale presidente) veniva considerato più distante dalla base repubblicana e perse le elezioni del 1992 contro il democratico moderato Bill Clinton. Il momentum dei democratici non durò tuttavia a lungo. In vista delle elezioni di mid-term del 1994, il Gop, su iniziativa di Newt Gingrich (capogruppo alla Camera dei rappresentanti) lanciò il “contratto con l’America”, una piattaforma politica di dieci punti con la quale i repubblicani per la prima volta in 40 anni riuscirono a conquistare la mag-

gioranza in entrambe le camere. In seguito il partito è rimasto in una posizione di maggioranza sia alla Camera che al Senato più o meno ininterrottamente fino al voto mid-term del 2006. Le elezioni del 1994 furono significative soprattutto perché i repubblicani riuscirono a dimostrare di essere in grado di formare una maggioranza al Congresso, oltre a saper vincere le elezioni presidenziali e governatoriali. L’elezione di George W. Bush alla presidenza degli Usa nel 2000, portò a una nuova svolta nell’orientamento politico del Gop. Già governatore del Texas e decisamente più vicino al popolo repubblicano rispetto al padre, Bush ha introdotto il concetto del “conservatorismo compassionevole”, lanciato qualche anno prima dallo studioso Marvin Olasky. Ovvero, una maggiore attenzione alla dimensione sociale e al ruolo d’indirizzo dello Stato. Di conseguenza, il baricentro nel Gop durante i due mandati presidenziali di Bush s’è spostato in favore dei conservatori sociali (destra religiosa e destra “legge e ordine”), mentre l’ala liberista è stata ridimensionata. La politica estera merita un commento a parte. Eletto nel 2000 su una piattaforma che non prestava un particolare interesse alle questioni internazionali, gli attacchi terroristici a New York dell’11 settembre 2001 con la successiva guerra al terrorismo hanno portato Bush sulle posizioni dei “neo-conservatori”. Fautori dell’idea “imperiale” degli Usa come baluardo dei valori occidentali, i neocon hanno lasciato un’impronta interventista in politica estera. Il candidato repubblicano del 2008, il senatore John McCain, si dichiara invece un


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“maverick” con posizioni spesso fuori dagli schemi tradizionali, proprio come David Cameron e molti leader emergenti del centrodestra europeo. Con 25 anni di servizio al Congresso, McCain si è infatti distinto come promotore di numerose iniziative bipartisan, un fatto che ha insospettito parte dell’ala destra del partito. Inoltre presta molta attenzione al tema dell’ambiente (e qui può contare sul sostegno di Arnold Schwarzenegger, governatore della California). Per quanto riguarda la politica dell’immigrazione, ha optato per un approccio meno rigido di altri esponenti repubblicani. Nota è infine la disistima reciproca tra il senatore e i principali rappresentanti della destra religiosa, anche se bisogna sottolineare che McCain non è da considerare un “liberal” sugli argomenti etico-sociali. In politica estera è un convinto assertore della guerra al terrorismo. La base elettorale del Gop ha subito delle importanti trasformazioni negli ultimi decenni. Da partito del Nord, forte nelle grandi città, il partito repubblicano ha oggi le sue roccaforti elettorali nel Sud e nelle zone rurali dell’America profonda. Inizialmente debole al di fuori della popolazione White anglo-saxon protestant, ovvero i protestanti bianchi di origine inglese, il partito prende oggi più della metà dei voti cattolici e oltre il 40 per cento di quelli ispanici e gli americani di origine asiatica votarono repubblicano alle presidenziali del 2004. Il consenso raccolto dal partito dell’elefante tra gli afro-americani e la popolazione di religione ebraica resta tuttavia decisamente inferiore a quello ottenuto dai democratici in questi stessi gruppi.

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Si può paragonare il partito repubblicano a una grande tenda, sotto la quale convivono le varie anime del centrodestra statunitense. Ogni tanto possono entrare in contrasto tra di loro, ma in comune hanno l’interesse per il bene della nazione. Un sondaggio del 2005 dimostra infatti che il 71% degli elettori repubblicani si ritiene “estremamente orgoglioso” di essere americani, contro il 54% dei democratici. Non esiste un tesseramento di tipo europeo negli Stati Uniti, chiunque ha il diritto di partecipare alle elezioni primarie dei partiti senza essere per forza formalmente iscritto o aderire a determinati valori. Le strutture partitiche si occupano principalmente di procurare finanziamenti, mentre le posizioni ideologiche vengono elaborate dai think-tank o vari gruppi di pressione. Il Republican national committee (Rnc) si occupa quindi di finanziamenti e campagne elettorali, oltre a organizzare le convention in cui ogni quattro anni i grandi elettori, scelti nelle primarie, approvano il candidato presidenziale. Il presidente (chairman) dell’ Rnc viene nominato dal presidente degli Usa quando i repubblicani sono alla Casa bianca e dalle rappresentanze locali quando sono all’opposizione. L’attuale presidente, Mike Duncan, è stato scelto nel 2007. L’ Rnc è formato inoltre dai presidenti del partito eletti negli Stati e nei territori, insieme a due rappresentanti (un uomo e una donna) per ogni Stato e territorio. I criteri per la loro elezione vengono stabiliti a livello locale e la carica dura quattro anni (da una convention alla successiva). I componenti dell’Executive committee del Rnc vengo-

no eletti ogni due anni, tra questi c’è il vicepresidente vicario (che deve essere di sesso diverso dal presidente) e il segretario amministrativo. Molto importanti sono anche i comitati federali del Congresso, che contribuiscono ai finanziamenti e alle campagne elettorali di deputati e senatori in carica. L’organizzazione giovanile Young republican national federation è stata fondata nel 1931. Si rivolge ai giovani tra i 18 e i 40 anni ed è formalmente indipendente dall’ Rnc. Il direttivo viene eletto da una convention e resta in carica due anni. Presidente dal 2007 è Jessica Colón, 33 anni. Le federazioni negli Stati godono di una ampia autonomia. Nei campus universitari operano invece i College republicans, organizzazione nata nel 1892. Il presidente nazionale e l’esecutivo vengono eletti ogni due anni da una convention. L’attuale presidente, Charlie Smith, è stato eletto nel 2007. Molti sono gli esponenti repubblicani che hanno mosso i primi passi politici nelle strutture giovanili, che in occasione delle elezioni partecipano attivamente a sostegno dei candidati del partito.


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LE DIVERSE ANIME DEI TORIES

Il Partito conservatore britannico è la realtà più antica del centrodestra europeo: la denominazione Tory, che spesso viene utilizzata in riferimento ai conservatori del Regno Unito, risale infatti alla fine del Seicento. Inizialmente i tories sostenevano il casato degli Stuart, a differenza dei Whigs, che invece volevano una monarchia costituzionale. Entrambe le sigle che si alternavano alla guida dei governi di Sua Maestà erano da considerare conservatori. Infatti era un whig anche lo stesso Edmund Burke, spesso considerato il padre del pensiero conservatore anglosassone. Il moderno Partito conservatore, alternativo ai liberali prima e ai laburisti poi, nacque in vista delle elezioni del 1835 su iniziativa dell’allora primo ministro Robert Peel (famoso anche come padre della forza di polizia londinese, i bobbies), autore del manifesto di Tamworth, in cui si auspicava un riformismo moderato e graduale in risposta alle proposte di cambiamenti più bruschi. Il primo grande leader conservatore fu però Benjamin Disraeli, premier più volte dal 1868 al 1880 e da origine italo-ebraica. Molto attento al sociale, Disraeli lanciò il concetto del conservatorismo “One nation” per sanare la frattura tra l’antica Inghilterra rurale e la nuova realtà industriale tramite un’alleanza tra l’aristocrazia terriera e la emergente classe operaia. Le divisioni nel Partito liberale sulla questione irlandese portò a quasi vent’anni di governo conservatore per gran parte del periodo dal 1885 al 1906. In quest’ultimo anno furono invece i tories a uscire sconfitti dalle elezioni, a causa di una profonda

frattura nel partito sulle misure protezioniste varate dall’esecutivo. Dopo essere stati al governo in coalizione con i liberali di David Lloyd George dal 1918 al 1922, in seguito alla fine della Grande Guerra, i conservatori – sotto l’egida di Stanley Baldwin – rimasero alla guida del Paese per la maggior parte del periodo tra le due guerre. A Baldwin seguirono i governi conservatori di Neville Chamberlain e Winston Churchill. Quest’ultimo, premier durante i difficili anni del secondo conflitto mondia-


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le, tiene ancora un posto di riguardo nel pantheon conservatore britannico. Lo statista, che aveva criticato duramente la linea di appeasement dei governi precedenti verso la Germania nazista, fu anche un anticomunista convinto e tra i primi a denunciare la cortina di ferro scesa sui paesi dell’Europa centro-orientale. A sorpresa i tories vennero sconfitti nelle elezioni del 1945, per poi tornare al governo con Churchill (1951-1955), seguito da Anthony Eden (1955-57) costretto alle dimissioni in seguito alla Crisi del Suez e Harold Macmillan (1957-1963), che dovette lasciare a causa dell’affaire Profu-

mo. La politica economica dei conservatori si caratterizzava negli anni Cinquanta e Sessanta per un approccio piuttosto statalista e keynesiano, non molto diverso da quello laburista. Era un moderato anche Edward Heath e fu sotto il suo governo, dal 1970 al 1974, che la Gran Bretagna aderì alla Comunità economica europea. Ai tories venne il dubbio che Heath fosse l’uomo giusto a tirare fuori il Regno Unito dalla crisi economica in cui gravava il paese e nel 1975 scelsero come nuovo leader Margaret Thatcher, la “Lady di ferro”. Diventata Premier nel 1979, la Thatcher riportò il partito a destra con una


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politica economica monetarista, liberalizzazioni e misure severe contro il terrorismo dell’Ira. In politica estera rafforzò il legame con gli Stati Uniti, guidati da Ronald Reagan, e imbarcò il paese su una linea più attenta agli interessi nazionali nei confronti dell’Europa. Nel 1990 fu costretta a dimettersi in seguito a una rivolta, partita dall’ala moderata del partito, contro la sua leadership che veniva ritenuta autoritaria. Il successore John Major riuscì inaspettatamente a vincere le elezioni del 1992 e rimase in carica fino alla vittoria del “new Labour” di Tony Blair. Il periodo di governo più recente dei tories durò quasi un ventennio, dal 1979 al 1997, e fu senz’altro dovuto anche alla forte virata a sinistra da parte dei laburisti a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta. Fino ai primi anni Novanta i laburisti non venivano considerati una seria alternativa di governo agli occhi dell’elettorato britannico. Dopo la sconfitta elettorale del 1997 sono invece stati i conservatori a sprofondare in una crisi di credibilità. Le profonde divisioni nel partito sull’Europa insieme al profilo troppo marcatamente di destra dei successori di Major alla guida dei tories William Hague (1997-2001) e Lain Duncan Smith (2001-2003) finirono per rafforzare la permanenza al potere di Blair. Hague, considerato un oratore brillante, è rimasto nella leadership del partito come responsabile esteri nel “governo ombra” conservatore. Duncan Smith, di fede cattolica, è invece responsabile di un gruppo di lavoro per l’inclusione sociale. Con l’arrivo alla guida del partito, nel 2003, del veterano Michael Howard (già

ministro dell’Interno con Major), i tories optarono per una linea più pragmatica e le ultime elezioni politiche del 2005 segnarono un recupero di consensi per il partito. Controverse furono invece le dure critiche rivolte da Howard al governo Blair per l’impegno militare in Iraq, con il risultato di vedersi negare l’invito a partecipare alla convention dei repubblicani Usa nel 2004. Nel dicembre 2005 la leadership è toccata al carismatico David Cameron (nato nel 1966), che s’è adoperato per rinnovare il profilo del partito, rivolgendo una maggiore attenzione a tematiche tradizionalmente non collegate ai conservatori come l’ambiente, la sanità e l’inclusione sociale. Si ritiene generalmente che Cameron sarà in grado di realizzare una triangolazione simile a quella fatta a suo tempo da Blair nei confronti delle riforme thatcheriane, ovvero andare al governo senza smantellare la maggior parte delle misure introdotte dai governi precedenti. Il Partito conservatore non è tuttavia una forza monolitica, esistono tre filoni dominanti anche se non sono per niente insolite delle alleanze trasversali tra esponenti di correnti diversi. A sinistra troviamo il conservatorismo sociale One nation che si rifà a Disraeli. Era il filone dominante nel partito fino alla Thatcher con leader come Baldwin, Macmillan e Heath. Moderati nei metodi, i conservatori sociali sono in generale tra i più filo-europeisti nei tories e tra gli esponenti attuali spiccano Kenneth Clarke (ministro dell’Economia sotto Major ed eterno candidato alla guida del partito) e Michael Heseltine (che sfidò la Thatcher

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nel 1990). In opposizione alla “Lady di ferro”, ebbero più influenza con Major e adesso appoggiano Cameron. Più a destra ci sono i thatcheriani, favorevoli a una riduzione drastica dell’intervento pubblico in economia. In politica estera sono prevalentemente euroscettici e fortemente filo-atlantici. Sul versante dei valori, sono divisi tra esponenti più tradizionalisti come la stessa Thatcher e Hague e fautori di posizioni più liberal come Michael Portillo (ex ministro della Difesa) e lo sfidante di Cameron per la leadership, David Davis. Infine, i conservatori tradizionalisti, l’ala destra del partito. Fervidi sostenitori del trinomio Dio, Patria e famiglia, sono vicini al concetto continentale di destra. Sensibili alle scritte di Roger Scruton, sono opposti all’integrazione europea, alla libertà di costumi, a un’immigrazione eccessiva e propongono pene più severe. Qui troviamo nomi come quelle che i deputati Bill Cash e Ann Widecombe, già sottosegretario all’Interno, entrambi di fede cattolica. I partiti “pesanti” sono estranei alla tradizione politica britannica e i tories non rappresentano una eccezione. Il Conservative and unionist party, come si chiama ufficialmente dal 1912, dopo l’ingresso dell’ala destra del vecchio partito liberale, conta intorno a 290 mila iscritti, numero superiore a quello dei tesserati laburisti e liberaldemocratici messi insieme. Prima i tories venivano rappresentati da separati partiti unionisti in Scozia e in Irlanda del Nord. Gli unionisti scozzesi si sono però integrati nel partito inglese nel 1965, mentre i rapporti tra i conservatori e gli

unionisti moderati nord-irlandesi dell’Ulster unionist party (Uup) s’incrinarono nel 1973. Quest’anno è però stato siglato un nuovo accordo con l’Uup che d’ora in poi rappresenterà i tories nell’Ulster. Un ruolo centrale nella vita del Partito conservatore viene svolto dal gruppo parlamentare. Fino al 1922 non c’era neanche un leader ufficiale del partito, i “capigruppo” nelle due camere erano congiuntamente alla guida dei tories, qualora nessuno dei due avesse un peso maggiore in quanto primo ministro o ex premier. Con la minore importanza della Camera dei Lord in seguito alla riforma parlamentare del 1911 fu introdotto un meccanismo per scegliere il leader tramite una consultazione informale dei parlamentari. La prima elezione formale con la presentazione di più candidati ebbe luogo nel 1965 quando fu eletto Heath. All’epoca non era previsto un limite di mandato per il leader e non c’era quindi la possibilità di sfidarlo. Nel 1975, in risposta alle dure critiche interne al partito verso il suo operato, Heath accettò l’introduzione di una rielezione annuale del leader. Lo stesso anno fu sconfitto nelle consultazioni interne dalla Thatcher. Di solito la rielezione annuale del leader da parte del gruppo parlamentare rappresentava una mera formalità, soprattutto quando il partito si trovava al governo, ma nel 1989 la Thatcher fu sfidata per la leadership che perse l’anno successivo. Un nuovo regolamento per scegliere il leader fu introdotto nel 1998 da Hague e messo alla prova per la prima volta nel 2001. Il nuovo sistema prevede l’eliminazione di tutti i candidati tranne due,


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tramite una serie di votazioni da parte del gruppo alla Camera dei comuni. I due candidati rimasti vengono poi sottoposti al giudizio degli iscritti in una elezione diretta. Dal voto uscì vincitore Duncan-Smith, che tuttavia non godeva del sostegno della maggioranza dei parlamentari e fu costretto a rimettere il mandato dopo un voto di sfiducia. Il suo successore, Howard, non fu eletto dagli iscritti in quanto era l’unico candidato alla leadership. Il sistema per scegliere il leader è controverso, ma nessun nuovo meccanismo è stato introdotto e anche Cameron fu eletto con le regole attuali. Un ruolo molto importante viene svolto dal cosiddetto 1922 committee composto dai back-benchers (i deputati appartenenti al governo ombra). Il suo direttivo gestisce infatti le elezioni del leader e i voti di sfiducia verso questo. I componenti del governo ombra (shadow cabinet) sono anche responsabili dei rispettivi settori nel partito e vengono scelti dal leader. Al governo ombra partecipa anche il presidente (chairman) del partito che guida la struttura organizzativa dei tories. Il posto è attualmente ricoperto da Caroline Spelman. Sempre ai tempi di Hague venne istituito un esecutivo organizzativo, il management board, composto dai rappresentanti dei tre principali componenti del partito: la base volontaria attiva sul territorio, i funzionari della sede centrale e il gruppo parlamentare. Spetta ai circoli del partito nei vari collegi elettorali scegliere i candidati per le elezioni. Com’è noto i deputati britannici

mantengono un rapporto stretto con i rispettivi collegi uninominali. I congressi del partito sono in realtà delle conferenze celebrate annualmente, gli interventi fatti dai candidati in queste occasioni possono tuttavia incidere sul voto per la leadership, com’è avvenuto nel 2005. Il movimento giovanile del partito si chiama Conservative future ed è stato fondato nell’ottobre 1998 con la fusione delle precedenti strutture giovanili vicine ai tories, come i Young conservatives e i Conservative students. Gli iscritti sono circa 15 mila e hanno meno di 30 anni. Il presidente viene eletto insieme ai sei membri dell’esecutivo da parte di tutti gli iscritti per voto di corrispondenza e resta in carica un anno. L’attuale presidente si chiama Michael Rock e ha 29 anni.

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LA MAISON COMUNE DELLA DROITE

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Storicamente non esiste un concetto univoco della droite, come si usa chiamare il centrodestra in Francia. Seguendo lo schema delineato dallo storico René Rémond nel suo celebre studio La destra in Francia. Dalla Restaurazione alla Quinta Repubblica (1968), è tuttavia possibile raggruppare la destra francese in tre filoni principali: legittimista, orleanista e bonapartista. Il concetto di destra legittimista faceva riferimento alle idee controrivoluzionarie di tendenza monarchica, oggi il termine potrebbe essere applicato sul pensiero souverainiste ed euroscettico, vicino al cattolicesimo tradizionalista presente innanzitutto nel movimento politico del conte vandeano Phillipe de Villiers, ma anche nell’estrema destra del Front national e in settori della stessa Ump. La destra orleanista prende invece il proprio nome dai Borbone-Orléans, il ramo “illuminato” della dinastia reale francese che cercava di coniugare l’assetto monarchico con i principi liberali. In tempi più recenti la definizione è stata utilizzata per la destra “borghese” di Valéry Giscard d’Estaing, liberale in politica economica e favorevole all’integrazione europea. Il bonapartismo infine, da epiteto dato ai seguaci della famiglia dell’imperatore Napoleone è finito per comprendere anche altre tendenze di destra “plebiscitaria”, favorevole a un rapporto diretto tra il popolo e “l’uomo forte” alla guida della nazione, come il movimento boulangista di fine Ottocento e il gollismo. Per completare il quadro del centrodestra d’Oltralpe, bisogna aggiungere anche il cattolicesimo poltico, che si colloca più al

centro. In Francia non ha mai avuto una influenza simile a quella esercitata in Italia o in Germania. La “laïcité” ha infatti un forte radicamento che tra l’altro ha portato alla legge del 1905 sulla separazione tra Stato e Chiesa. La Dc francese ebbe il suo momento di gloria, con il Mouvement républicain populaire, nei primi anni della Quarta Repubblica (dopo l’ultimo conflitto mondiale). Nel primo decennio della Quinta Repubblica, con Charles de Gaulle ancora all’Eliseo, il movimento gollista deteneva un predominio totale nella maggioranza presidenziale. Complice anche il sistema elettorale maggioritario a due turni che negli anni Sessanta permise ai gollisti (prima dell’Unr e poi dell’Udr) con oltre il 30 per cento dei voti di prendere il doppio di seggi dei propri alleati centristi, che complessivamente arrivarono a circa il 20 per cento dei consensi. Nel gollismo iniziale convivevano anime molto diverse tra loro, ma unite dalla lealtà verso il leader. Si andava dall’anima sociale di Jacques Chaban-Delmas a quella tecnocrate più simile al conservatorismo liberale intorno a Georges Pompidou. Le contraddizioni interne esplosero infatti dopo la scomparsa del fondatore, e nel 1974 il conflitto tra Chaban-Delmas e il giovane Jacques Chirac contribuì in maniera decisiva a portare Giscard d’Estaing, esponente di spicco della destra nongollista, alla presidenza della repubblica. Negli anni Settanta, sotto la presidenza di Giscard, la droite si diede quella struttura a due gambe che restò in piedi per i successivi 20 anni. Da una parte il partito neo-gollista rifondato da Chirac sotto il


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nome di Rassemblement pour la République (Rpr). Dall’altra l’Union pour la démocratie française (Udf) nata nel 1978 su iniziativa di Giscard. L’Udf non era un vero e proprio partito, ma una confederazione che permise finalmente alle forze del centrodestra non-gollista di prendere più o meno lo stesso numero di seggi del Rpr. I principali componenti dell’Udf furono il Parti républicain di Giscard, i cristianodemocratici del Centre des démocrates sociaux (Cds) e i radicali. L’alleanza tra Rpr e Udf era meno unita di quanto fosse la Casa delle libertà in Italia. Si collaborava alle politiche, ma non c’era un leader indiscusso e le due formazioni presentavano sempre candidati diversi al primo turno delle presidenziali. A partire dal 1984, veniva presentata una lista unica per le europee, anche se i componenti poi finirono per dividersi in tre gruppi diversi. I gollisti facevano gruppo a sé, men-

tre i giscardiani andarono nel gruppo liberale e il Cds nel Ppe. Negli anni Novanta cominciarono tuttavia ad assottigliarsi le differenze tra le due anime della droite. Particolarmente in occasione del referendum su Maastricht nel 1992 e durante le presidenziali del 1995 (quando l’intera coalizione si divise sui due gollisti in gara) risultò evidente che il divisorio non passava più tra le due formazioni alleate, bensì in modo trasversale per l’alleanza in base agli argomenti trattati di volta in volta. Soprattutto le elezioni presidenziali del 1995 confermarono questa tendenza, quando Edouard Balladur (gollista liberalconservatore) ebbe il sostegno non solo di Nicolas Sarkozy e gran parte dell’Udf, ma anche di un gollista classico come Charles Pasqua, mentre Chirac - (più attento al sociale) - incassò, oltre all’appoggio del tradizionalista Philippe Séguin, an-

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che quello del liberista giscardiano Alain Madelin. Una spinta molto importante al processo di unificazione della droite venne poi dalla grande crisi in cui versava il centrodestra francese dopo la sconfitta alle elezioni politiche anticipate del 1997 e le europee del 1999. Una certa delusione per la presidenza Chirac, soprattutto dopo l’arrivo al governo della gauche plurielle di Lionel Jospin, insieme alla continua crescita dell’estrema destra di JeanMarie Le Pen rafforzarono in molti la convinzione che bisognava arrivare a una svolta. Il malessere del centrodestra in questo periodo veniva evidenziato dalle sue continue divisioni. Con l’uscita di Pasqua, che aveva dato vita al Rassemblement pour la France (Rpf), i gollisti si erano spaccati in due tronconi in occasione del voto europeo. L’Udf si era divisa sul comportamento da tenere verso il Front National nelle assemblee regionali. I giscardiani sotto Madelin lasciarono la federazione per dare vita alla Démocratie Libérale (Dl) e il centrista François Bayrou rispose riorganizzando la Nouvelle Udf come un partito unitario, più distante dalla destra. Divisi in patria, le varie anime della droite ritrovarono invece l’unità in Europa con l’ingresso nel Ppe anche dei giscardiani e dei gollisti. Un grande interesse veniva inoltre dedicato allo spirito unitario dimostrato dal centrodestra italiano in occasione della vittoria elettorale del 2001. La nascita nel giugno 1998 dell’associazione Dialogue et Initiative, animata da esponenti dei tre partiti principali come il gollista Michel Barnier, Jacques Barrot


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(Udf) e Jean-Pierre Raffarin (Dl) fu tra le prime iniziative in favore di una forza unitaria. La discussione prese una piega più concreta nel gennaio 2001 con la pubblicazione su Le Figaro di un appello per l’unità del centrodestra firmato da 337 parlamentari, per iniziativa di Jérôme Monod, consigliere politico di Chirac. Alcuni giorni dopo l’appello di Monod nacque l’associazione Alternance 2002, che nell’aprile 2001 cambiò nome in Union en mouvement (Uem). Dietro l’appello e la costituzione dell’associazione c’era un duplice obiettivo preparare il terreno per una rielezione del presidente, conferendogli allo stesso quella stabilità politica che poteva solo essere garantita da una maggioranza più coesa. Le presidenziali nell’aprile 2002 portarono a un’accelerazione del processo unitario. Sulla scia della vittoria di Chirac venne annunciata la trasformazione dell’Uem in Union pour la majorité présidentielle (Ump) in vista delle successive elezioni politiche. Coordinatore dell’operazione era l’ex Premier Alain Juppé, chirachiano di ferro. Nei giorni successivi l’esecutivo dell’Rpr (con la sola astensione di Séguin) e la maggioranza dei parlamentari giscardiani dichiararono l’intenzione di dare vita a una “grande formazione unita, plurale, democratica e decentralizzata in sostegno al Presidente della Repubblica”. L’Udf di Bayrou decise di non aderire al progetto, con la conseguente uscita di alcuni dei suoi principali esponenti come il capogruppo all’Assemblea nazionale, Philippe Douste-Blazy. I candidati dell’Ump per le politiche di giugno dovettero garantire di iscriversi al

futuro gruppo comune e di partecipare alla costruzione della forza unitaria. A urne chiuse, con il centrodestra di nuovo a Matignon, venne creato un direttivo provvisorio per l’Ump presieduto da Juppé, ma con rappresentanti di tutte le forze coinvolte. Si prevedevano fin dall’inizio diverse forme di adesione al progetto e alcuni movimenti come il Rpf di Pasqua, il Parti radical e il Forum des républicains sociaux della cattolica Christine Boutin firmarono degli accordi di associazione senza sciogliere i propri partiti. Il 21 settembre 2002 i massimi organi di Rpr e Dl si espressero per entrare nel nuovo contenitore e due mesi più tardi, al congresso fondativo a Le Bourget il 17 novembre, nacque ufficialmente il partito unitario con il significato dell’acronimo cambiato in Union pour un mouvment populaire. Chirac scelse di non apparire in prima persona e si limitò a inviare un telegramma di congratulazioni a Juppé, eletto leader dell’Ump. Ospite d’onore era José María Aznar, che portava la testimonianza del centrodestra unitario spagnolo. Al congresso furono approvati la carta dei valori, lo statuto e il regolamento interno della nuova formazione. Il diritto di voto era garantito a tutti gli iscritti che parteciparono in 24mila. L’Ump ritiene di aver riunito i filoni gollisti, liberali, radicali e cristiano democratici del centrodestra francese. La carta dei valori indica le proprie parole d’ordine nel trinomio libertà, responsabilità e sicurezza. Nella nazione vede il fondamento della sua identità e nell’Europa l’orizzonte verso cui lavorare.

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Si contano varie associazioni o fazioni, in rappresentanza delle diverse anime dell’Ump, che sono tuttavia molto meno strutturate rispetto alle correnti di molti partiti italiani. Oltre a queste, esistono ancora i partiti associati che hanno il doppio tesseramento e una certa autonomia organizzativa. I loro candidati sono però tenuti a presentarsi nelle liste dell’Ump in occasione delle consultazioni elettorali. Non fu esaltante l’accoglienza iniziale per la maison bleue, come Juppé amava chiamare la casa comune. Al suo primo vero test elettorale, in occasione delle amministrative nel marzo 2004, l’Ump vinse solo in due regioni su 22. Alle europee qualche mese dopo il partito prese il 17 per cento dei voti, contro il 12 per cento dei centristi di Bayrou. La svolta arrivò nel novembre 2004 con il passaggio della leadership da Juppé a Nicolas Sarkozy, che già si era distinto per il suo dinamismo alla guida del ministero dell’Interno e veniva ritenuto l’uomo emergente della politica francese. Sotto la guida carismatica di Sarkò, l’Ump iniziò a volare nei sondaggi fino a superare il traguardo delle elezioni presidenziali e politiche del 2007. La figura di Sarkozy, grazie alla sua rupture anche con le posizioni collaudate del gollismo, è quindi stata decisiva per dare un’anima alla nuova casa comune del centrodestra francese. Le novità introdotte da Sarkò in campi come la politica estera e i valori di riferimento (con la rivalutazione della religione) permettono di parlare di una nuova sintesi tra le diverse anime della droite. L’Ump è il più grande partito francese per

voti e per iscritti, con 370.247 aderenti al dicembre 2007. Il congresso del partito è aperto a tutti gli iscritti e viene convocato ogni tre anni. Spetta al congresso eleggere il presidente dell’Ump e decidere il candidato alle elezioni presidenziali. Sarkozy viene tuttora considerato il leader naturale del partito, che ha deciso di sopprimere il posto di presidente fino alle elezioni del 2012. Al suo posto operano due organi: un “polo legislativo” composto dall’ufficio di presidenza del parlamentino del partito e un “polo esecutivo” composto dal segretario generale e i suoi vice. Il parlamentino del partito, si riunisce almeno due volte l’anno, si chiama Conseil national e viene eletto dalle federazioni (non solo territoriali, ma anche professionali). Il suo ufficio di presidenza è composto da Jean-Pierre Raffarin (ex Dl) che ne è vicepresidente vicario, Pierre Méhaignerie (ex Cds), e Jean-Claude Gaudin (ex Dl). Sono membri di diritto dell’assemblea che tutti i parlamentari e i ministri del partito. Si riunisce almeno due volte l’anno. Il Bureau politique è l’esecutivo del partito. Trenta dei suoi membri vengono eletti dal Conseil national e 10 in rappresentanza dei movimenti politici federati. Gli altri sono membri di diritto e qui rientrano, oltre ai capigruppo, al responsabile giovanile, al segretario amministrativo, anche gli ex Premier e gli ex presidenti del partito. Il segretario generale è alla guida della struttura del partito, un incarico attualmente ricoperto da Patrick Devedjian (ex Rpr). Viene affiancato da tre vicesegretari (tutti provenienti dall’Rpr): Xavier Bertrand (ministro del Lavoro), Christian


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Estrosi (sottosegretario all’Interno) e Nathalie Kosciusko-Morizet (sottsegretario all’Ambiente). Vengono eletti dal bureau su proposta del presidente. Le candidature alle consultazioni elettorali nazionali e locali vengono decise da una Commission nationale d’investiture, nominata dall’esecutivo. Sul territorio l’organizzazione del partito si basa sui dipartimenti amministrativi (equivalenti alle nostre provincie). Il presidente della federazione provinciale viene eletto dall’esecutivo della stessa. Gli organi esecutivi delle federazioni provinciali costituiscono insieme il coordinamento regionale. In ogni federazione c’è un segretario provinciale che viene nominato dal presidente nazionale del partito, ma è soggetto all’approvazione della struttura locale. Il movimento giovanile dell’Ump si chiama Jeunes populaires (Jp) e raggruppa gli iscritti tra i 16 e i 29 anni di età. I membri dell’Ump al di sotto dei 30 anni sono automaticamente tesserati anche con il movimento giovanile. L’organizzazione, che è stata creata nel febbraio 2003, conta 30mila iscritti. Il suo presidente viene eletto ogni due anni da un congresso composto dai delegati scelti dagli iscritti. L’attuale presidente, Benjamin Lancar (nato nel 1985), è stato eletto nell’agosto di quest’anno. L’elezione dell’esecutivo nazionale del movimento è abbinata a quella del presidente. Proprio, come la vecchia struttura giovanile dell’Rpr, i giovani dell’Ump sono strettamente legati al partito. Il responsabile dei giovani in ogni dipartimento amministrativo viene infatti scelto dal presidente nazionale giovanile in accordo con il segre-

tario provinciale del partito. L’Ump non ha correnti organizzate, ma il nuovo partito è completamente dominato dagli esponenti provenienti dal Rpr. Sono infatti gollisti i presidenti delle due camere, 10 ministri su 16 (tra cui il premier François Fillon) e il capogruppo all’Assemblea nazionale. Sembra che il principale motivo dietro l’insuccesso di Raffarin nelle recenti primarie interne al gruppo Ump al Senato, per ottenere la candidatura alla presidenza della Camera alta, fossero proprio le sue origini politiche non-golliste. Importanti incarichi sono tuttavia stati affidati anche a esponenti delle forze minori, e meno organizzate, federate con l’Ump. Il radicale Jean-Louis Borloo è diventato ministro per l’Ambiente e le infrastrutture e la cattolica Boutin ministro per la Casa e le aree urbane. Al governo partecipa anche il Nouveau centre, che è nato dopo l’ennesima scissione nell’Udf. Il suo leader Hervé Morin è ministro della Difesa.

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IL RIFORMISMO SPAGNOLO DI CENTRODESTRA

Il centrodestra spagnolo, rappresentato dal Partido popular (Pp), si presenta come un punto di riferimento molto interessante per il Pdl italiano, soprattutto in una fase di riassetto come quella attuale. Oltre alla naturale affinità tra sorelle latine che si affacciano sul Mediterraneo, esistono alcuni motivi che rendono il modello del Pp spagnolo particolarmente interessante per la realtà italiana, anche rispetto agli altri esempi presenti nel variegato panorama del centrodestra europeo. Proprio come l’Italia anche la Spagna ha alle spalle l’esperienza di una dittatura con la quale la destra, in tempi abbastanza recenti, ha dovuto fare i conti. La democrazia è tornata in Spagna poco più di

30 anni fa, ma la nazione iberica è arrivata a una democrazia compiuta con la piena legittimazione reciproca dei due partiti principali e l’alternanza al governo ben prima dell’Italia. Entrambi i Paesi hanno vissuto la tragica vicenda di una guerra civile, con un dibattito storiografico ancora in corso sulle atrocità commesse e sulla necessità di una riappacificazione nazionale. Le forti identità regionali e la presenza imprescindibile della Chiesa cattolica che spesso condizionano le scelte politiche sono altri due fattori in comune. Il Pp ha le sue origini a destra, ma con il passare degli anni è riuscito a convincere anche l’elettorato di centro per il suo progetto riformista e il conservatorismo compassionevole di José María Aznar viene oggi ritenuto un punto di riferimento ideologico per il centrodestra in tutto il mondo. Quali sono allora le tappe con cui la destra spagnola è riuscita a porsi prima in una posizione centrale dello scacchiere politico per arrivare poi al governo della nazione 21 anni dopo la morte del generalissimo Francisco Franco? Il padre della destra postfranchista si chiama Manuel Fraga Iribarne (nato nel 1922). Già ministro del Turismo negli anni Sessanta e ministro dell’Interno durante la transizione democratica, nell’ottobre 1976 diede vita all’associazione politica Reforma democrática. Fraga intavolò subito discussioni con altre personalità di area conservatrice e con un congresso celebrato a Madrid nel marzo 1977 nacque Alianza popular (Ap), inizialmente una federazione di sette partiti. Molti degli esponenti di spicco, come Gonzalo Fer-


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nández De La Mora, Laureano Lopez Rodó e Federico Silva Muñoz, avevano proprio come Fraga avuto esperienze di governo con Franco. Gli ex componenti del Movimiento si riversarono principalmente in tre direzioni diverse con il ritorno del pluralismo politico. Tra i personaggi di spicco l’ultimo segretario generale del partito unico, Adolfo Suárez, che fondò il cartello elettorale centrista Unión de centro democrático (Ucd) insieme a esponenti cristiano-democratici, liberali e socialdemocratici che precedentemente erano stati all’opposizione. Molti esponenti del Pp, tra cui Ángel Acebes, segretario del partito fino a pochi mesi fa, iniziarono la propria attività politica nell’Ucd. I falangisti ideologicamente più convinti e contrari al processo di democratizzazione si raggrupparono intorno alla Fuerza nueva di Blas Piñar, che dal 1982 non è più stata in grado di trovare rappresentanza parlamentare. A differenza del trasformismo di molti esponenti falangisti confluiti nell’Ucd e la sterile nostalgia di Pinar, l’Ap di Fraga si caratterizzava invece fin dall’inizio per l’ambizione di riscoprire e ridare voce a quei valori di destra moderata preesistenti al regime di Franco. Si guardava infatti con interesse all’esperienza storica del Partido conservador, fondato nel 1876 da Antonio Cánovas del Castillo. «Crediamo nella democrazia, ma in una democrazia coniugata all’ordine, alla legge e alla autorità» disse Don Manuel in occasione della fondazione di Ap. Le prime elezioni libere del giugno 1977 vide il trionfo dell’Ucd con il 34,5 per cento e i centristi rimasero al potere fino al 1982,

prima con Suarez e poi con Leopoldo Calvo-Sotelo. Con l’8,2 per cento al suo primo test elettorale, l’Ap sembrava inizialmente destinata a un ruolo marginale nella nuova Spagna democratica. Alle elezioni del 1979 andò ancora peggio, e l’Ap, riunita con alcune formazioni minori di centrodestra nella Coalición Democrática, prese solo il 5,9 per cento. La destra era il quarto partito al Congreso, dietro l’Ucd, i socialisti del Psoe e i comunisti. L’ostacolo al progetto di sfondare al centro, auspicato da Fraga, veniva principalmente dall’Ucd che però si disintegrò in occasione delle elezioni del 1982. Passata la fase costituente della Transición e il fallito golpe di Antonio Tejero, Suarez non era riuscito di trovare una sintesi tra le diverse forze che formavano il cartello elettorale di centro. Gli esponenti socialdemocratici, come Francisco Fernández Ordóñez passarono al Psoe, mentre intere formazioni, come il Partido demócrata popular, di ispirazione cristiano democratica, dove militava il futuro ministro dell’Interno Jaime Mayor Oreja, e il Partido liberal, si avvicinavano all’Ap. Insieme con i fuoriusciti dell’Udc e alcune forze regionali, alla guida della cosiddetta Coalición popular (Cp), Fraga riuscì nelle elezioni del 1982 a conquistare la leadership nel centrodestra con il 26,4 per cento dei voti. Suarez continuò l’attività politica ancora per alcuni anni con un nuovo partito il Centro democrático y social (Cds), di tendenza liberale, rappresentato in parlamento fino al 1993. Nel febbraio 2006, anche il Cds entrò a far parte del Pp, da tempo diventato la vera casa comune del centrodestra spagnolo.

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Con le elezioni del 1982 ebbe inizio il lungo regno del socialista Felipe González,, che rimase in carica fino al 1996. Si delineò adesso un sostanziale bipartitismo tra il Psoe e il rassemblement di Fraga. In seguito alle elezioni del 1986, dove la Cp prese il 26,2%, si cominciava a parlare del techo de Fraga, un tetto intorno al 26 % che il centrodestra non sembrava essere in grado di sfondare finché rimase alla guida Don Manuel. Evidentemente l’immagine del leader veniva considerata troppo legata al passato. I socialisti invece viaggiavano su cifre intorno al 44%. Un primo tentativo, nel 1987, di lanciare un nuovo e più giovane leader, con Antonio Hernández Mancha (nato nel 1951), non andò a buon fine e Fraga dovette tornare alla guida dell’Ap dopo solo un anno di assenza. Nello stesso periodo andò brevemente in crisi anche il rapporto con i partiti alleati, il Pdp aveva cambiato nome in Democracia cristiana (Dc) e uscì dalla Cp per imbarcarsi su una linea più centrista con esiti elettorali a dir poco deludenti. Il congresso di svolta per la destra spagnola ebbe finalmente luogo a Madrid nel gennaio 1989 con l’integrazione dei partiti alleati di centro e il cambiamento del nome in Partido popular. In un congresso a Siviglia nell’aprile dell’anno successivo venne eletto anche un nuovo leader, su proposta di Fraga, José María Aznar (nato nel 1953), fino ad allora presidente della regione Castiglia e León. I vertici del nuovo Pp, che fin dalla nascita si è presentato come forza unitaria del centrodestra spagnolo, individuò subito nel Partito popolare europeo (Ppe) la sua famiglia di appartenenza. In seguito alle elezioni

europee del 1989, gli eurodeputati del Pp vennero accolti come membri indipendenti nel gruppo Ppe e due anni più tardi, nonostante l’opposizione dei cristiano-democratici baschi e catalani, il Pp entrò a pieno titolo anche nel partito transnazionale. Da allora il Pp ha assunto un ruolo di primo piano nello sviluppo del centrodestra a livello europeo e mondiale. È del Pp spagnolo l’attuale segretario generale del Ppe Antonio López-Istúriz, proprio come il suo predecessore Alejandro Agag. Con l’arrivo di Aznar alla guida del Pp ebbe inizio una lunga stagione di crescita elettorale nelle consultazioni amministrative che portò a una vera e propria conquista dell’elettorato di centro. Per la prima volta apparve realistica la possibilità di scalzare i socialisti dal governo e nelle elezioni del giugno 1993, il Pp arrivò vicino, prendendo il 34,7 dei voti contro il 38,7% del Psoe. La maledizione del techo de Fraga era finalmente stata regalata al passato con la cura Aznar. Il traguardo dell’alternanza venne centrato con le elezioni successive, del marzo 1996, vinte dal Pp con il 38,7%. Dopo una prima legislatura a capo di un governo di minoranza, Aznar riuscì poi nelle elezioni del marzo 2000 a conquistare la maggioranza assoluta in Parlamento con il 44,5% dei voti. Gli otto anni di governo popolare, segnato da un forte sviluppo economico, dalla pace sociale e da una cresciuta importanza della Spagna sulla scena internazionale, sono stati raccontati dallo stesso Aznar nel libro Otto anni di governo. Prima delle ultime elezioni spagnole del marzo 2004, perse dal Pp a causa delle


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polemiche seguite all’attentato terrorista contro la stazione ferroviaria di Madrid, Aznar aveva rinunciato a ricandidarsi, cedendo la guida del partito a Mariano Rajoy, nato nel 1955 e, proprio come Fraga, nativo della Galizia. Alla guida del think-tank Fundación para el Análisis y los Estudios Sociales (Faes), Aznar è comunque rimasto un punto di riferimento ideologico per il centrodestra in Europa e nel mondo, anche dopo aver lasciato il palazzo del Moncloa. La ricetta vincente per quanto riguarda la comunicazione politica consiste innanzitutto in una fermezza nei principi (la dura lotta al terrorismo basco e islamico, ai

regimi liberticidi come quello venezuelano insieme alla difesa della Hispanidad e i valori liberali e cristiani dell’Occidente) che ha impedito la nascita di formazioni a destra del Pp, senza per questo cedere a improponibili nostalgie per il passato. La direzione di marcia del Pp è rivolta verso il futuro, con l’obiettivo di collocare il proprio riformismo moderato in una posizione centrale e determinante nello scenario politico. L’obiettivo non centrato di spodestare il Premier socialista José Luis Rodríguez Zapatero nelle ultime elezioni a marzo di quest’anno portò a una certa turbolenza nel partito in occasione del congresso nel

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mese di giugno. Rajoy fu riconfermato alla guida del Pp senza candidature alternative, ma ricevette anche dure critiche dall’ala più vicina ad Aznar per una gestione troppo autoritaria della leadership, una linea non sufficientemente dura verso il nazionalismo basco e una mancata valorizzazione degli esponenti storici del partito. Il leader attuale s’è difeso argomentando la necessità di ringiovanire la classe dirigente e di allargare la base elettorale del Pp. Un’interessante osservazione al riguardo è che gran parte degli esponenti che vengono annoverati nell’ala “dura” del partito provengono da esperienze politiche diverse della vecchia Ap, come la combattiva Esperanza Aguirre, presidente della regione di Madrid, con un passato liberale, e Jaime Mayor Oreja (ex Pdp), mentre il capofila dei “liberal”, il sindaco di Madrid Alberto Ruiz-Gallardón è praticamente nato a destra (il padre fu tra i fondatori dell’Ap ed è sposato con la figlia di un ex ministro franchista). Anche lo stesso Fraga sostiene la linea più morbida di Rajoy. Aznar illustra nell’autobiografia politica Otto anni di governo il ragionamento dietro la costruzione di una forza unitaria del centrodestra in Spagna: “Nel suo lavoro rivolto verso l’esterno, il partito doveva iniziare a occupare seriamente lo spazio del centro politico e della moderazione, nel quale si muove quella gente che non ammette che gli si dica come debbano essere le cose e che preferisce piuttosto assumersi la responsabilità della propria vita e delle proprie decisioni. Così come non dovevamo avere nessuno alla nostra destra, non dovevamo nemmeno avere

nessuno tra noi e il Psoe. Era pertanto opportuno avere chiaro in mente che si doveva sommare, non sottrarre. Bisognava includere nel Partido popular tutto quanto fosse espressione politica del centro. Sempre a partire della stessa premessa: nel nuovo partito non c’era spazio per fazioni né famiglie. Ormai non ci sarebbero stati più democristiani, liberali o quant’altro. Tutti avrebbero fatto riferimento ad un’unica base”. Con i suoi 707.000 iscritti il Partido popular supera il Psoe. Fino a quest’anno il partito è stato presente in ognuna delle 17 comunidades autonómas (regioni), tranne la Navarra, dove il partito veniva rappresentato dall’Unión del Pueblo Navarro (Upn). Adesso il patto s’è incrinato e il Pp ha dato vita a una propria struttura locale anche in Navarra. L’organo supremo del Pp è il congresso che viene convocato ogni tre anni. L’ultimo è stato tenuto a Valencia dal 20 al 22 giugno quest’anno e ha visto la partecipazione di 3025 delegati. 485 di questi erano delegati di diritto, 99 espressi dal movimento giovanile e 40 dai circoli all’estero. Il resto dei posti veniva assegnato alle federazioni regionali sulla base di un conguaglio tra il numero di iscritti e il risultato elettorale ottenuto nelle ultime elezioni politiche. Il presidente è affiancato da un segretario generale, che coordina l’organizzazione del partito. Il segretario generale viene eletto dall’esecutivo del partito su proposta del presidente. In occasione dell’ultimo congresso la scelta di Rajoy è caduta su una donna, la combattiva María Dolores de Cospedal García, nata nel 1965.


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Il segretario generale è a sua volta coadiuvato da tre vicesegretari. Il potente Javier Arenas (che ha esordito in politica con i cristiano-democratici) è responsabile per gli enti locali, oltre che coordinatore regionale del Pp in Andalusia. Ana Mato, con una lunga militanza alle spalle nell’Ap/Pp, è responsabile per la struttura del partito e le campagne elettorali. Infine Esteban González Pons (con un passato nel Cds) svolge la mansione di portavoce. Anche i vicesegretari, come il segretario amministrativo, vengono eletti dall’esecutivo su proposta del presidente. La Junta directiva è il parlamentino del

partito tra i congressi e si riunisce almeno ogni quattro mesi. Oltre ai componenti eletti dal congresso partecipano di diritto ai suoi lavori i coordinatori regionali del partito, i capigruppo di Camera, Senato e Parlamento europeo, il responsabile giovanile, il presidente onorario (Aznar) e il presidente fondatore (Fraga). I congressi regionali devono avere luogo entro quattro mesi dallo svolgimento di quello nazionale, salvo nei casi in cui l’esecutivo decide diversamente. Anche a livello locale viene utilizzato il sistema di liste bloccate per eleggere il presidente e i componenti dell’esecutivo. A ogni livello territoriale operano anche le commissioni elettorali (Comité electoral). I loro componenti vengono scelti dai rispettivi esecutivi e hanno il compito di individuare i candidati per le varie consultazioni elettorali. I candidati per le elezioni politiche ed europee, oltre ai candidati presidenti nelle regioni e i candidati sindaci, vengono decisi dalla commissione elettorale nazionale. Spetta invece alle comissioni elettorali locali decidere la lista dei candidati alle assemblee regionali e comunali. Dal congresso di svolta nel 1989 in poi il Pp s’è contraddistinto per l’assenza di correnti organizzate, nonostante l’origine eterogenea di molti suoi esponenti. Di solito i congressi sono stati manifestazione di grande unità e le contestazioni all’operato del presidente molto rare. In vista dell’assise di giugno erano però emerse delle crepe nell’unità in merito all’operato di Rajoy e all’opportunità che rimanesse alla guida del Pp dopo la seconda sconfitta consecutiva. Le critiche

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più ricorrenti verso l’attuale leader sono di aver ammorbidito in modo eccessivo il profilo ideologico del partito, soprattutto per quanto riguarda la linea inflessibile nei confronti del nazionalismo basco, ma anche i valori etici. Il sindaco madrileno Ruiz-Gallardón, che ha dimostrato aperture verso la legge sui matrimoni omosessuali, viene infatti considerato tra i principali alleati di Rajoy. Al leader Pp vengono anche contestate alcune nomine, come quella della giovane Soraya Sáenz de Santamaría (nata nel 1970) alla presidenza del gruppo Pp alla Camera. Alla fine il congresso di Valencia s’è chiuso in modo unitario, ma in molti ritengono che lo scontro tra Rajoy e la parte più “aznarista” del partito sia solo stato rinviato. Le divisioni attuali nel Pp non rispecchiano tuttavia la provenienza politica dei diversi esponenti. Dalla parte del “moderato” Rajoy sono schierati nomi storici di Ap come Fraga e Ruiz-Gallardón, insieme a nuove leve come la Sáenz de Santamaría ed ex centristi come Arenas. Dall’altra parte, a destra, sono posizionati esponenti provenienti da Ap, come Francisco Álvarez-Cascos e Alejo Vidal-Quadras, ma anche dirigenti con un passato più centrista come la Aguirre, Jaime Mayor Oreja e Angel Acebes. Questo superamento delle vecchie sigle di appartenenza dimostra quanto il Pp sia diventato veramente una casa comune del centrodestra spagnolo. L’organizzazione giovanile del Pp si chiama Nuevas generaciones (Nngg), conta 65mila iscritti ed è strettamente legata al partito. Si rivolge ai giovani tra i 16 e i 28

anni. Gli iscritti maggiorenni diventano automaticamente membri anche del partito. Fondata nel 1977, la prima leader di Nngg fu il futuro commissario europeo Loyola de Palacio. Lo statuto dell’organizzazione fissa il congresso ogni tre anni. L’ultimo congresso Nngg, a Toledo nel settembre 2006, ha eletto presidente Ignacio Uriarte Ayala (nato nel 1980) che in seguito al voto di marzo quest’anno è entrato alla Camera.


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LA DESTRA SOCIALDEMOCRATICA

Tra i leader emergenti del centrodestra europeo spicca il nome dello svedese Fredrik Reinfeldt, che è riuscito nell’impresa di rinnivare l’immagine del suo partito e di portarlo a una storica vittoria elettorale nel paese che spesso viene considerato la terra promessa della socialdemocrazia. La Svezia ha infatti avuto governi socialdemocratici per 65 degli ultimi 76 anni, e il welfare state che accompagnava il cittadino dalla culla alla bara è diventato un tratto irrinunciabile della identità del paese scandinavo. Fino a non molti anni fa, il Partito moderato (Moderata samlingspartiet) di Reinfeldt veniva considerato impresentabile da gran parte dell’opinione pubblica e tenuto a distanza anche dagli altri partiti non socialisti. A questo isolamento della destra aveva contribuito in modo determinante il clima culturale dello Stato scandinavo, ancora fortemente influito dalle idee sessantottine. Una ricerca del 2005 dimostra infatti che il 67% dei giornalisti svedesi si dichiara di sinistra, contro solo il 13% favorevole ai moderati. Il Partito moderato affonda le proprie radici nella cosiddetta Unione generale degli elettori, fondata nel 1904 in sostegno dei candidati di destra. I conservatori si alternavano al governo del paese prima con i liberali e a partire dall’inizio degli anni Venti con i socialdemocratici. La destra svedese propugnava un riformismo graduale e fu infatti un governo presieduto dall’uomo forte dei conservatori, l’ammiraglio Arvid Lindman, a introdurre il suffragio universale maschile nel 1909. Con l’estensione del diritto di voto anche alle donne (nel 1921) iniziava un lento de-

clino elettorale per la destra che, tuttavia fino alla metà degli anni Trenta prendeva intorno al 25% dei voti. Le vere difficoltà per i conservatori cominciarono però nel 1932 con l’ascesa al governo del Partito socialdemocratico, destinato a rimanerci ininterrottamente per i successivi 44 anni. L’Unione generale degli elettori, che nel 1938 si era trasformato in una forza unitaria sotto il nome di Destra, veniva percepita alla stregua di un partito anti-sistema, che contestava le fondamenta del tanto declamato assistenzialismo di Stato introdotto dai governi socialdemocratici. Nel dopoguerra si aggiunsero anche le divisioni in politica estera con la Destra che con-


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testava la neutralità dei socialisti in favore di una decisa scelta di campo per l’Occidente. Il sostegno elettorale per la destra si aggirava intorno al 15% fino alla fine degli anni Sessanta. Le altre due formazioni non socialiste, liberali e centristi (gli ex agrari), prendevano insieme il doppio dei voti e preferivano accordarsi con i socialdemocratici anziché con la Destra. Negli anni Sessanta soffiavano particolarmente forti i venti di sinistra con l’uomo emergente dei socialdemocratici, Olof Palme, che in modo virulento contestava l’impegno militare americano nel Vietnam, oltre a ipotizzare una ulteriore socializzazione dell’economia svedese. Nel 1969 la Destra, sempre più isolata, cambiò il nome in quello attuale Partito moderato e alle elezioni dell’anno successivo ebbe il suo peggior risultato elettorale. Con solo l’11,5% dei voti era stato ridotto al più piccolo dei partiti non socialisti. La rinascita dei moderati ebbe inizio dopo la disfatta elettorale del 1970 per opera del nuovo leader Gösta Bohman, proveniente dall’ala destra del partito. Il carismatico Bohman aveva quasi 60 anni, ma seppe rinnovare i moderati, ma optando per una linea più aggressiva e meno accomodante verso il potere socialdemocratico. Al pari di altri leader conservatori del periodo prese spunto dalle teorie neoliberiste e meritocratiche di Friedrich von Hayek nella sua critica verso le politiche stataliste. Alle elezioni del 1976 i tre partiti del centrodestra riuscirono per la prima volta nel dopoguerra a superare i socialdemocratici e per i successivi sei anni la

Svezia ebbe degli instabili governi non socialisti. I moderati di Bohman, si ritrovarono spesso in disaccordo con la politica troppo tentennante dei partner centristi e uscirono dalla coalizione in ben due occasioni. La linea coerentemente antisocialista di Bohman venne premiata dagli elettori e nelle politiche del 1979, con il 20,3% dei voti, i moderati divennero la prima formazione del centrodestra. Gli anni Ottanta segnavano il consolidamento del partito come la forza trainante e meglio organizzata del centrodestra. I consensi arrivavano però principalmente dai partiti alleati, complessivamente lo schieramento non


STRUMENTI

socialista si era indebolito e nel 1982 ritornarono al governo i socialdemocratici. Carl Bildt, eletto alla guida dei moderati nel 1986 all’età di 37 anni, veniva considerato l’erede naturale di Bohman di cui era anche genero. Freddo, grande oratore e molto preparato in politica estera, Bildt divenne il primo capo di governo conservatore in più di 60 anni dopo la vittoria elettorale del centrodestra nel 1991, sulla scia dell’onda anti-socialista giunta anche in Svezia dopo il crollo del muro di Berlino. Benché la coalizione di centrodestra (a cui si erano aggiunti anche i cristianodemocratici) fosse più coesa rispetto alla volta precedente, non riuscì a realizzare la

maggior parte del suo programma a causa della crisi economica del 1992 e della mancata maggioranza in Parlamento. Ciò nonostante vennero varati importanti provvedimenti per la liberalizzazione dell’economia e per avviare il paese all’ingresso nell’Unione europea. Il Partito moderato uscì rafforzato dall’esperienza del governo Bildt con il 22,3% alle elezioni del 1994, mentre gli alleati centristi continuavano a perdere consensi. Quando nel 1999 Bildt decise di lasciare la guida del partito, stanco di continuare l’opposizione per un’altra legislatura, i moderati commisero l’errore di rinunciare a un rinnovamento generazionale. Al posto di Bildt fu scelto un suo coetaneo dotato di meno carisma, l’ex ministro delle Finanze Bo Lundgren. Il programma di radicale opposizione all’assistenzialismo socialdemocratico fu accolto in modo meno positivo senza la leadership carismatica di Bohman o Bildt e alle elezioni del 2002 i moderati scesero al 15,2%. Una sconfitta dovuta anche al fatto che le elezioni caddero in una fase particolarmente felice per il premier socialdemocratico Göran Persson, che si era fatto molto apprezzare durante la presidenza svedese dell’Ue. I media avevano inoltre preso di miro la destra per alcune affermazioni di sapore xenofobo pronunciate in una trasmissione televisiva da attivisti del partito moderato, causando un travaso di voti verso i liberali. Nell’ottobre 2003 venne eletto alla guida dei moderati Fredrik Reinfeldt (nato nel 1965), che nei primi anni Novanta era stato leader dei movimento giovanile del partito. Reinfeldt avviò subito un profon-

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do rinnovamento dell’immagine del partito e della sua comunicazione politica. Prendendo atto del fatto che due terzi della popolazione svedese dipendono dallo Stato per la propria sopravvivenza e che la sicurezza sociale viene percepita come più attraente della libertà economica, i moderati hanno attenuato la critica ideologica verso il welfare state. Sottolineando di non voler abbattere lo Stato sociale, ma riformarlo in modo da permettere a più persone di vivere del proprio lavoro anziché di sussidi. Per rendere il messaggio ancora più chiaro il partito ha cominciato a chiamarsi “i nuovi moderati”, o addirittura “il nuovo partito dei lavoratori”. Reinfeldt ha anche svecchiato il vertice del partito, mandando in pensione la generazione precedente, anche se Bildt è stato chiamato alla guida del ministero degli Esteri. In passato, il sistema proporzionale svedese aveva portato i partiti del centrodestra a consumare energie attaccando più i potenziali alleati che l’avversario socialdemocratico. Una delle prime mosse di Reinfeldt fu pertanto quella di dare vita alla cosiddetta Alleanza per la Svezia, di fatto una federazione dei quattro partiti del centrodestra, due anni prima delle ultime elezioni. Per la prima volta il centrodestra svedese si presentò davanti agli elettori con una piattaforma comune e appare così più unito rispetto allo schieramento rosso-verde. La vittoria elettorale del centrodestra nel settembre 2006 è da considerare storica per almeno due aspetti. A differenza di 15 anni prima, il centrodestra riuscì non solo a vincere, ma anche a costituire un gover-

no di maggioranza e con il 26,2% dei voti i nuovi moderati superano da soli il voto complessivo raggiunto dai partiti alleati. Per la prima volta la crescita dei moderati era avvenuta togliendo voti direttamente ai socialdemocratici. Un grande merito dello storico risultato è senz’altro da attribuire alla figura dello stesso Reinfeldt, che con il suo calmo conservatorismo compassionevole ha demolito il luogo comune del moderato svedese come un arrogante e inflessibile nemico di tutto quanto realizzato in settant’anni di governi socialisti. Non possiede l’eloquente ironia di Bildt, né il piglio decisionista di Göran Persson, ma si è dimostrato un grande stratega capace di


STRUMENTI

realizzare gli obiettivi che si è proposto. Diventato deputato a solo 26 anni, è anche stato alla guida dell’organizzazione giovanile del Ppe. Un’esperienza che sicuramente è servita per trasformare un partito di destra votato anche da elettori centristi in una vera e propria formazione di centrodestra. I circa 53mila iscritti del partito sono organizzati in 600 circoli territoriali che a loro volta formano le 26 federazioni provinciali. Le città di Stoccolma e Goteborg costituiscono anch’esse delle federazioni. In ogni federazione c’è un segretario (ombudsman) nominato dalla segreteria nazionale. Gli organi direttivi locali vengono rinnovati ogni anno e scelgono a loro volta i delegati al congresso nazionale che si riunisce ogni due anni. Il congresso elegge il presidente del partito e i componenti dell’esecutivo tra cui due vicepresidenti. In linea con la tradizione svedese Reinfeldt è rimasto alla guida del partito anche quando è diventato premier. Il segretario del partito viene nominato dal presidente e coordina la struttura interna. Dalle elezioni 2006 l’incarico è ricoperto da Per Schlingmann. Il capogruppo del Parlamento unicamerale svolge invece un ruolo di poco rilievo nella vita interna del partito. I candidati alle elezioni politiche e amministrative vengono decisi dalle commissioni elettorali scelte dai congressi provinciali del partito. Il movimento giovanile, Moderata ungdomsförbundet (Muf), fondato nel 1934, ha preso il suo nome attuale nel 1969. Nel corso dei decenni ha giocato un ruolo importante interno ai Moderati e molti dei

suoi esponenti sono in seguito passati alla guida del partito. Conta circa 7000 iscritti e celebra il proprio congresso ogni due anni. Il presidente e i componenti dell’esecutivo vengono scelti dai delegati delle federazioni provinciali. Presidente dal 2006 è Niklas Wykman (nato nel 1981). Non è insolito per il movimento giovanile prendere posizioni diverse da quelle del partito e il leader attuale è per esempio contrario all’adesione svedese all’euro. Possono aderire al Muf i giovani tra i 12 e i 30 anni. Gli attivisti nelle scuole sono organizzati nell’associazione studentesca Moderat skolungdom (Msu).

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SOMMARIO

APPUNTAMENTI

NUOVA SERIE ANNO II - NUMERO 13 - NOVEMBRE 2008

A CURA DI BRUNO TIOZZO www.farefuturofondazione.it

Partito unico under construction

ROMA

BERLINO

san sul federalismo, promosso insieme con la fon-

Mercoledì 3 dicembre

Richtungswechsel im Weißen Haus? Conferenza internazionale della Konrad Adenauer Stiftung sui possibili cambiamenti nella politica estera statunitense dopo la vittoria di Obama. Lunedì 8 e martedì 9 dicembre

Direttore Adolfo Urso urso@farefuturofondazione.it

La fondazione Farefuturo, dopo l’incontro biparti-

Philanthropy and Human Rights: Creating Space for Caritas in Civil Society Convegno sulla filantropia organizzato dall’Acton institute insieme all’ambasciata Usa presso la Santa Sede.

WASHINGTON

PARIGI

Red Hot Lies: How Global Warming Alarmists Use Threats, Fraud, and Deception to Keep You Misinformed. La Heritage foundation presenta uno studio critico sul movimento ambientalista. Giovedì 4 dicembre

Urbanisme et architecture. Seminario della Fondation pour la innovation politique. Mercoledì 10 dicembre

Direttore responsabile Pietro Urso ursop@chartaminuta.it

ROMA

Federalismo pratico Martedì 9 dicembre

Quel che serve è un country party ADOLFO URSO

Il partito unico è già presente, ora andiamo avanti! - 64 MARCELLO DE ANGELIS

Nuovo partito, nuova cultura - 2 ALESSANDRO CAMPI

Siamo i traghettatori per il futuro dell’Italia - 70 BENEDETTO DELLA VEDOVA

dazione Italianieuropei, ha organizzato un workshop ancora dedicato al federalismo, e in particolare, che si prefigge di esaminare gli aspetti teorici e istituzio-

Un partito in funzione della società globale - 7 INTERVISTA CON PIETRO GRILLI DI CORTONA di Rosalinda Cappello

Pdl: da lista elettorale a partito degli italiani - 75 FABIO TORRIERO

Dobbiamo attendere il post-berlusconismo - 12 INTERVISTA CON PIERO IGNAZI di Angelo Mellone

Mettiamo fine ai partiti ideologici - 80 LUIGI DI GREGORIO

Apriamo le porte all’intellighenzia civile - 18 PEPPINO CALDAROLA

La sfida è... modernizzare l’Italia - 84 COLLOQUIO TRA ROBERTO ARDITTI E STEFANO FOLLI

Al primo posto, il programma... - 28 DANIELE CAPEZZONE

Il Pdl è un’idea che viene da lontano - 96 ROSALINDA CAPPELLO

nali di esso. Prenderanno parte all’incontro dirigenti ed esperti delle fondazioni politiche, politologi e intellettuali.

ROMA

Colloquia con Scajola Martedì 16 dicembre

BERLINO La fondazione Farefuturo ha organizzato il secondo

Non possiamo sparare sul partito carismatico - 34 GAETANO QUAGLIARIELLO

appuntamento, dopo quello con il ministro Matteoli

Dal leader di partito al partito dei leader - 40 SOFIA VENTURA

selezionato di stakeholder dal titolo Colloquia.

sul tema delle infrastrutture, della serie di incontri tra autorevoli esponenti del governo e un pubblico

Un partito unico con radici europee - 51 EMMANUELE FORLANI

Spunti di dialogo. L’incontro, a porte chiuse, si terrà con il ministro dello Sviluppo economico Claudio

STRUMENTI a cura di Bruno Tiozzo

sul tema “Obiettivi e strategie per l’energia del futuro”.

Superare la psicologia del provvisorio - 54 GIANNI SCIPIONE ROSSI

Partiti maggioritari a confronto - xx

Il Pdl come l’Europa - 56 INTERVISTA CON GIANLUCA SADUN BORDONI di Cecilia Moretti

La “grande tenda” repubblicana - xx

Sui valori di riferimento, la parola alle fondazioni - 59 GIUSEPPE PARLATO

Scajola e trenta manager e imprenditori del settore,

VANCOUVER

ROMA Le diverse anime dei tories - xx La maison comune della droite - xx

Zwanzig Jahre Demokratie in Mittel-, Mittelost- und Südosteuropa. La Konrad Adenauer Stiftung riunisce esponenti di centrodestra dei Paesi excomunisti per fare il punto sui quasi vent’anni trascorsi dalla caduta del muro di Berlino. Interviene l’ex Premier slovacco Mikulas Dzurinda. Giovedì 4 dicembre

Expo 2015: per l’Italia Gennaio

Understanding the Consequences of the U.S. Election. Il Fraser Institute analizza l’esito del voto negli Usa. Giovedì 4 dicembre

Presso la sede della fondazione Farefuturo sarà presentato il libro di Marco Reguzzoni: “Milano Expo

Il riformismo spagnolo di centrodestra - xx

2015. Un’opportunità per tutti”. L’iniziativa ha come obiettivo quello di far comprendere che l’importante evento assegnato alla città di Milano servirà a tutta

La destra socialdemocratica - xx

l’Italia per crescere e farsi conoscere.

WASHINGTON Oil Drilling and U.S. Energy Policy. Seminario dell’American Enterprise Institute sulle trivellazioni e la politica energetica Usa. Interviene Newt Gingrich. Lunedì 8 dicembre

WASHINGTON Regulation and Oversight: Advice for the New Administration. L’American Enterprise Institute presenta i suoi suggerimenti al governo entrante degli Stati Uniti. Mercoledì 10 dicembre

Direttore editoriale Angelo Mellone mellone@farefuturofondazione.it Coordinatore editoriale Filippo Rossi filipporossi@farefuturofondazione.it

Collaboratori di redazione: Roberto Alfatti Appetiti, Alessandra Bergamasco, Guerino Nuccio Bovalino, Rosalinda Cappello, Diletta Cherra, Valeria Falcone, Filippo Lonardo, Cecilia Moretti, Michele De Feudis, Giuseppe Proia, Adriano Scianca. Direzione e redazione Via del Seminario, 113 - 00186 Roma Tel. 06/97996400 - Fax 06/97996430 E-mail: redazione@chartaminuta.it ursop@chartaminuta.it; direttorecharta@gmail.com Segreteria di redazione Cecilia Moretti moretti@chartaminuta.it

PARIGI Quelles pistes d’action pour les travailleurs pauvre? La Fondation pour la innovation politique s’interroga sui lavori a basso reddito.

Mercoledì 17 dicembre WASHINGTON The Ten Comandments. Leon Kass, esperto di bioetica, interviene presso l’American Enterprise Institute sui dieci comandamenti. Lunedì 12 gennaio

Progetto grafico Elise srl www.elisegroup.tv Editrice Charta s.r.l. Abbonamento annuale € 70, sostenitore da € 200 Versamento su c.c. bancario n. 87827/33, Cab 05066, Abi 3002 Banca di Roma, Ag. 246, intestato a Editrice Charta s.r.l. - C.c. postale n. 73270258 Registrazione Tribunale di Roma N. 419/06

Amministratore unico Gianmaria Sparma Segreteria amministrativa Silvia Rossi Tipografia Elise group s.r.l. - Roma Ufficio abbonamenti Domenico Sacco

www.chartaminuta.it


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