Laicità e diritti

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FEDE e POLITICA,

Dopo due secoli di rapporti difficili, religione e Stato si confrontano, tentando di superare le resistenze di integralismi e laicismi esasperati. DI FEDERICO EICHBERG

La scia di livori che attraversa due secoli, dall’assalto alla Bastiglia di Parigi alle crepe del Muro di Berlino, segna profondamente le reciproche percezioni fra potere politico ed elemento religioso: prende forma alla fine del XVIII secolo con l’iconoclastia del giacobinismo, si snoda attraverso la Terza Repubblica francese, i rancori di Porta Pia e le misure restrittive del Kulturkampf, fino a sfociare nei totalitarismi atei del XX secolo, e nel laicismo militante contemporaneo. Duecento


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un incontro è possibile anni di reciproci disagi e complessità che hanno progressivamente indotto l’elemento religioso a concepire il potere politico “come bene provvisorio o male necessario”.1 La caduta del muro e lo scongelamento dei blocchi (1989) apre un decennio “bifronte” che si concluderà l’11 settembre 2001. In questo decennio di fine XX secolo – con il tramonto dei totalitarismi atei – prende forma, da un lato, un recupero della dimensione spirituale, una de-secolarizzazione, coincidente con il ritorno delle religioni e delle identità2. Una nuova primavera per un’Europa che “respira con due polmoni” ed un mondo che riscopre la prospettiva di fede autentica quale percorso individuale, storicoidentitario delle nazioni, fino ad una lettura escatologica dell’avventura umana. Dall’altro lato nel decennio di fine XX secolo si consolida, in particolare nelle istituzioni multilaterali, un secolarismo militante “quale programmatica esclusione della religione dalla società e come dichiarazione almeno metodologicamente atea di procedere etsi Deus non daretur”3. Sulla scia di questi assiomi si fa strada, per dirla con Sweetman, l’idea di una seculocracy4. Un modello finalizzato all’«edificazione di una società dichiaratamente secolarista, nella quale la religio-

ne può avere spazio unicamente nella sfera privata. In conformità a questo modello secolarizzato, la religione deve essere separata sia dallo Stato che dalla società: non deve avere alcuna influenza sullo sviluppo sociale, né interferire nella vita politica»5. I due fenomeni – ritorno del sacro e secolarismo militante – conoscono una simmetrica degenerazione ed esasperazione nel primo decennio del XXI secolo, quale eco del drammatico fragore dell’11 settembre 2001. Da un lato, infatti, un istintivo “stringersi attorno all’identità cristiana e occidentale”, finisce per alimentare l’idea del «Cristianesimo come una religione civile, come mero cemento etico, capace di fungere da collante sociale per la nostra democrazia e per le democrazie europee in grave affanno. Se una simile posizione è plausibile in chi non crede, a chi crede deve essere evidente la sua strutturale insufficienza»6. Ed infatti tale insufficienza genera approssimative formulazioni identitarie (dalla valenza perlopiù tattica) il cui unico fine è accrescere la faglia fra Cristianesimo ed altre religioni, brandendo il primo come un’ideologia ed il crocifisso come strumento di polemica politica, fatta di vessilli piuttosto che di idee. Tale posizione si è andata, più o meno consapevolmente, ad innestare su una visione

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light della fede, che non prevede verso chi professa la religione criimpegno ed ascetica personale ma stiana10 – rispondente all’assioma si risolve nell’elemento indivi- “dell’irrilevanza della religione: a duale identitario; un sostanziale più modernità corrisponde meno “credere senza appartenere”7, cre- religione e più secolarizzazione dere senza donarsi, un valore pre- (...) La libertà della religione diminentemente (se non esclusiva- ventava libertà dalla religione.”11 mente) identitario e “di faglia”, “una spiritualità vuota di ogni La laicità positiva oggi contenuto effettivo e caratterizza- I due poli – risultato della degeta da un approccio fortemente in- nerazione ideologica post 11 setdividualistico al sacro”8. tembre – ovvero “la religione coDall’altro lato – e con rinnovato me ideologia politico-identitaria” vigore – si è innestato, sulla già da un lato e “l’assioma della limenzionata aspirazione alla secu- berta dalla religione” dall’altro locracy, un sentimento di allonta- sono lo specchio simmetrico di una corsa dissennanamento dalla reta all’abbandono ligione, in quanto Con l’11 settembre della ragione. «Il fattore ritenuto asimmetrico ed ir- la religione è stata vista cristianesimo, fin dal principio, ha razionale, con un come un fattore compreso se stesso portato intrinseco come la religione di violenza come irrazionale, portatore del logos, come la dimostrerebbe il intrinseco di violenza religione secondo presunto sfondo “mistico” degli attentati dell’11 ragione. – ricorda Benedetto XVI settembre. Le religioni (indistin- – Non ha individuato i suoi pretamente) sarebbero alla base di cursori in primo luogo nelle altre infinite tensioni nel corso della religioni, ma in quell’Illuministoria, perché “nel nome di Dio è smo filosofico che ha sgombrato storicamente e statisticamente la strada dalle tradizioni per volpiù frequente che ci si ammazzi e gersi alla ricerca della verità e stermini reciprocamente anziché verso il bene, verso l’unico Dio aiutarsi solidalmente a vicenda”, che sta al di sopra di tutti gli dèi. commenta l’Economist nello spe- In quanto religione dei perseguiciale In God’s name. Prevale l’idea tati, in quanto religione univerdella religione, quale fattore di sale, al di là dei diversi Stati e poasimmetrica irrazionalità e, po- poli, ha negato allo Stato il dirittenzialmente, di violenza, una to di considerare la religione co“malattia degli uomini” che me- me una parte dell’ordinamento rita diffidenza. Tale tendenza ha statale, postulando così la libertà assunto – specialmente in Europa della fede. Ha sempre definito – la forma di un’autentica “cri- gli uomini, tutti gli uomini senstianofobia”9 – intesa come di- za distinzione, creature di Dio e scriminazione ed intolleranza immagine di Dio, proclamando-


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ne in termini di principio, sep- questione della laicità procedere pure nei limiti imprescindibili con una disponibilità reciproca degli ordinamenti sociali, la ad apprendere tra ragione secolare, ragione metafisica e fedi relistessa dignità».12 Come si vede il Cristianesimo, giose, e a riconoscersi reciprocalungi dal voler asservire l’ordina- mente, nonché a cercare i beni mento civile, concepisce l’assolu- fondamentali che rendono possita dignità ed autonomia alla sfera bile una vita comune»13. Quindi politica ed al contempo fonda rilevanza pubblica della religione sulla ragione la sua visione del- come antidoto al radicalismo e l’uomo e della realtà. Tale visione “interazioni” per un positivo arè a fondamento di una corretta ricchimento culturale anche per relazione fra sfera politica e sfera la leitkultur14, per la cultura prereligiosa che va sotto il nome di valente (che non va assolutamenlaicità positiva. Vediamo gli ele- te disconosciuta o negata15). E menti che possono corroborare qui veniamo al secondo punto. tale prospettiva. Una corretta laiciUn primo punto è Il Cristianesimo tà positiva comil superamento prende la ricchezdell’idea che «la concepisce dignità za che può discenreligione abbia ri- ed autonomia alla sfera dere dall’interalevanza esclusivazione fra culture e mente privata: il politica e fonda sulla sensibilità religiodibattito sulla lai- ragione la sua visione se, comprende che cità della politica «siamo sempre andrebbe svecchiato e rinnovato, più coinvolti in quel (...) meticciariconoscendo il valore sociale del- to di civiltà e culture. Con questa le religioni e il loro compito ver- formula non intendo dire che il so la vita civile. Una nuova laicità meticciato debba essere perseguinon può assumere nei confronti to come un ideale positivo. Vodella religione il carattere ostile o glio semplicemente descrivere un marginalizzante di antichi e nuo- processo che, come tutti i procesvi laicismi. Sotto questo profilo è si storici, non chiede il permesso saggio rendersi conto che una di accadere, ma ci domanda la relunga epoca in cui perlopiù Illu- sponsabilità di orientarlo alla vita minismo, liberalismo e altre cul- buona, personale e comunitature operarono per rendere il fat- ria»16. E più avanti: «il rapporto to religioso qualcosa di assoluta- tra verità e pluralismo non dice mente privato, di seccamente in- che ci sono tante verità. La verità dividuale e spesso anche di so- nella sua ricchezza e complessità spetto, si è chiusa in maniera for- è una sola. Ma ci sono numerose se definitiva. In una società po- vie alla verità. La verità non è stsecolare, in cui non è più vero plurale, ma esiste un pluralismo che a più modernità corrisponde delle verità, nel senso che la verimeno religione, occorre sulla tà possiede più lati. L’esemplifi-

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cazione migliore di questa idea la posso trovare nell’immagine della montagna, dove una sola è la vetta, e tante le vie per raggiungerla, alcune più agevoli altre meno»17. Un terzo elemento da tener presente se si La dignità della persona vuole formuè il terreno d’incontro lare un corretfra sfera politica to rapporto e sensibilità religiosa fra “sfera politica” e sensibilità religiosa è il grande terreno di incontro rappresentato dalla dignità della persona, intesa come fine e mai come mezzo, cifra della visione antropologica che le religioni possono e debbono portare al dibattito pubblico. Monsignor Elio Sgreccia, presidente 42 emerito della Pontificia accademica sulla vita ha ricordato come «i temi sui quali il mondo cattolico intende portare il suo contributo sono temi non definibili come precetti religiosi; sono temi che riguardano i diritti fondamentali dell’uomo, come il diritto alla vita, il rispetto della vita, i diritti che riguardano l’unità del matrimonio e della famiglia. Non sono precetti religiosi, ma sono iscritti nella natura umana, difendibili con la ragione e La Chiesa pone temi iscritti anche non confessionali, nella Costituafferenti alla ragione, zione»18. E ha nel dibattito politico aggiunto: «I cattolici non hanno mai preteso che si facessero leggi basate unicamente sui precetti religiosi, come andare a messa. Quello su cui si discute sono tutti qualificabili come diritti fondamentali della

persone. Vorremmo anzi che il fatto che siano i cattolici a difenderli non facesse pensare che per questo sono meno carichi di valore umano e che la difesa fatta dai cattolici sia di una razionalità minore. A noi la fede ci conforta nell’argomentazione razionale, non sostituisce mai la ragione umana»19. Posizioni che hanno segnato i passaggi epocali e in cui più alto è stato il contributo del pensiero cristiano al pensiero politico contemporaneo come nel caso della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo20 e la Dichiarazione conciliare Dignitatis humanae nel contesto del Concilio Vaticano II 21. Proprio questa consapevolezza che la Chiesa pone argomenti “non confessionali” nel dibattito politico, che afferiscono alla sfera della ragione e non dell’irrazionalità dovrebbe rendere del tutto superfluo ribadire il quarto punto della laicità positiva, ovvero la piena legittimità del diritto di parola nella sfera pubblica in capo alle chiese ed alle confessioni religiose: «Se ciò fosse maggiormente compreso, anche dagli stessi cattolici, verrebbero meno le ricorrenti e pretestuose accuse di ingerenza che spesso oggi vengono accampate, quando i pastori della Chiesa ricordano ai fedeli, e a tutti gli uomini di buona volontà, quei valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione»22. Al netto delle fittizie etichette, che certo riduzionismo mediatico attribui-


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sce e giustappone, non si vede ragione per cui debba essere limitata – proprio in nome della laicità – la possibilità di parola nel dibattito pubblico per esponenti religiosi, per cui la libertas ecclesiae debba sottostare a limitazioni di intervento. Una sana laicità positiva vede con favore il contributo al dibattito che, con argomenti logici fondati sulla dignità della persona, le religioni forniscono. Si tratta di “favorire un rapporto tra religione e politica fondato su quello che il cardinale Bagnasco ha definito come un “concetto positivo di laicità”, in cui anche le religioni sono chiamate, “come le scuole filosofiche e le tradizioni etiche, ad abitare le società pluraliste e ad offrire argomentazioni pubbliche su cui avverrà il confronto e il riconoscimento reciproco”. E può consentire quindi di affrontare finalmente su basi nuove e più mature (oltre che più laiche) la questione del contributo della Chiesa cattolica alla vita del paese.”23 Esemplare di tale positiva relazione l’appello sul tema della famiglia che il cardinale Carlo Caraffa ha inviato al presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani e al Consiglio regionale. Significativamente l’appello si conclude con una precisazione: «Sono troppo convinto del vostro senso dello Stato democratico per pensare che qualcuno di voi, ricevendo questo appello, possa parlare di “indebita ingerenza clericale” nell’ambito pubblico, di grave vulnus alla laicità dello Stato. Laicità dello Stato significa che tutti, nessuno

escluso, possono intervenire nella discussione pubblica in vista di una decisione – che è di vostra esclusiva competenza – riguardante il bene e l’interesse di tutti. La laicità non è un fatto escludente, ma incluFavorire un rapporto dente». Così tra religione e politica come esemfondato su un concetto plare quanto positivo di laicità avvenuto negli Stati Uniti con la Dichiarazione di Manhattan, un forte appello pubblico a difesa della vita, del matrimonio, della libertà religiosa e dell’obiezione di coscienza, lanciato congiuntamente da 11 acrivescovi e vescovi cattolici, dal primate della Chiesa ortodossa in America, 43 dal presidente della Coalition of African-American Pastors, dal primate della Chiesa anglicana dell’America del nord e dal primate della Chiesa anglicana nigeriana. Un appello su più punti indirizzato alla Casa Bianca che – logicamente secondo una sana prospettiva di laicità – nessuno ha bollato come ingerenza. Un quinto elemento è quello della religione come sentinella e custode dell’idea di limite della politica (riprendendo la posiLa religione funge tiva eredità di da sentinella di fronte John Locke a tentativi assolutistici contrapposta della politica all’assolutismo politico di Thomas Hobbes), di freno di fronte a tentativi assolutistici della politica, che la spingono ad ingerire nelle questioni strettamente personali fino a configurare forme striscianti di


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totalitarismo anche nei regimi ne del limite umano della vita democratici più evoluti. Questo personale26. Riconoscere la verità si declina innanzitutto nella bat- significa porre un argine al positaglia che le religioni conducono tivismo giuridico, «secondo cui è in nome della possibilità per l’uo- diritto positivo valido qualsiasi mo di conoscere la verità contro diritto, purché posto da un potere un relativismo gnoseologico dif- fattualmente in carica. Ed anche fuso (anticamera dei totalitari- il diritto nazista restò per lui dismi, come sottolineato da Gio- ritto, perché validamente posto vanni Paolo II nella Centesimus da una volontà in vigore (...). In annus24). Ricorda Sergio Belardi- sostanza il diritto diventa la pronelli: «Quando, ad esempio, di- duzione di una tecnica specifica, ciamo che un’affermazione è vera, posta al servizio della volontà poimplicitamente riconosciamo che litica al momento vigente»27. essa non dipende da noi, ma dalla L’istanza etica, invece, è un elesua conformità all’oggetto di cui mento imprescindibile, «una si parla. In questo conquista della raè come se tenessi- Affermare che esiste gione e dell’umamo viva un’istanza nità, prima che – l’indisponibili- una verità è ricordare una peculiarità del tà, appunto – che che esiste qualcosa cattolicesimo» 28 . si rivela estremaProprio questo remente preziosa di indisponibile per cuperare la dimenproprio allorché la politica e per l’uomo sione etica, del liparliamo di antromite rispetto alle pologia e di umana dignità»25. prevaricazioni della politica, ed Ecco, ricordare che esiste una ve- in ultima analisi la difesa dell’inrità significa ricordare che esiste difeso rispetto al più forte, può qualcosa di indisponibile per la svolgere un ruolo fondamentale politica e per l’uomo, qualcosa per le Chiese, in particolar modo che va oltre un assioma contem- per le Chiese in Europa. Una inporaneo per cui la scienza rende defettibile percezione storica (ed possibile tutto e la politica do- una correlata, approssimativa icovrebbe sancire tale diritto, una nografia) giustappone le battaglie nuova trinità “desiderio – possi- per i diritti condotte fra il XVIII bilità – diritto”, per cui ad un de- ed il XX secolo al ruolo delle siderio da soddisfare si affiancano Chiese, quasi queste abbiano insempre maggiori possibilità vece rappresentato un elemento scientifiche grazie alle quali si di arroccamento assolutista conpretende il riconoscimento di un tro le rivendicazioni dei più dediritto. L’autodeterminazione in- boli. Tale visione, oltre a rappredividuale che sfocia nelle politi- sentare una evidente forzatura se che del desiderio soggettivo e non mistificazione, costituisce un della mistificazione giuridica ha limite storico alla considerazione per terribile corollario la violazio- più completa della antropologia


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cristiana, sempre attenta, nella contro gli interrogativi fondasua versione più propria, alle mentali della sua ragione, e così istanze dignitarie contro le inge- potrebbe subire un grave danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza renze della politica. Un sesto elemento della laicità della ragione, non il rifiuto della positiva consiste nel riconoscere sua grandezza: è questo il proalle religioni il loro contributo, gramma con cui una teologia imciò che hanno fatto nei secoli. Va- pegnata nella riflessione sulla fele innanzitutto per quelle formu- de biblica, entra nella disputa del lazioni che hanno un valore so- tempo presente»30. E il non interstanzialmente fondativo: è laicità rogare la ragione sui fini ultimi positiva chiedere, come fu fatto porta all’insensatezza, nel senso in occasione della Convenzione letterale di in-sensensatezza della europea da parte del governo ita- modernità di cui parla Augusto liano, che all’articolo 2 del pro- Del Noce31. Se il “perché” appargetto del trattato, quello sui valo- tiene alla missione della Chiesa il ri dell’Unione, sul “come” – è imporrispetto della di- Il principio di laicità, tante ribadirlo – gnità umana, della esula da essa. È libertà e della de- se ben compreso, questo lo spirito mocrazia, venisse appartiene alla della laicità posiinserita la menziotiva di cui ha bisone delle «comuni dottrina sociale gno l’epoca conradici giudaico- della Chiesta temporanea. «Cocristiane come vame possiamo esselori fondanti del suo patrimo- re realisti e pratici, senza arrogarnio». È laicità positiva riconosce- ci una competenza politica che re, come fece Nicholas Sarkozy non ci spetta? Potremmo anche nel celebre saluto di indirizzo ri- dire: si trattava del problema di volto al papa Benedetto XVI, che una laicità positiva, praticata ed «le radici della Francia sono cri- interpretata in modo giusto»32. E stiane. (…) Mi auguro l’avvento questo perché «il principio di laidi una laicità positiva che, pur cità, se ben compreso, appartiene vegliando sulla libertà di pensare, alla dottrina sociale della Chiesa. non consideri le religioni un peri- La non confessionalità dello Stato colo ma un punto a favore»29. permette, infatti, a tutte le comUn ulteriore elemento di laicità ponenti della società di lavorare positiva consiste nel non intrap- insieme al servizio di tutti e della polare la Chiesa in dibattiti sul comunità nazionale […]. La laicome ma interrogarla sul perché, cità, lungi dall’essere un luogo di sul senso. È il perché, da esplora- scontro, è realmente l’ambito per re attraverso l’aiuto della ragione, un dialogo costruttivo nello spil’ambito d’azione della Chiesa: rito dei valori di libertà, ugua«L’occidente, da molto tempo, è glianza e fraternità»33. La laicità è minacciato da questa avversione quindi un canone metodologico.

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L’INTERVENTO di Sergio Belardinelli*

Quando Illuminismo e religione dialogano

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Le difficoltà che incontriamo a gestire un pluralismo caratterizzato da tensioni sempre più laceranti, la radicalizzazione delle differenze culturali esasperata fino al fanatismo, le divisioni che emergono sul fronte della bioetica, della biopolitica e del biodiritto sono problemi che interessano in primo luogo il livello filosofico delle nostre concezioni del mondo, della verità e del bene, prima ancora che il livello, non meno rilevante, della decisione politica. I due livelli si richiamano strettamente, ma non vanno confusi. In una società pluralista, quale è quella in cui viviamo, nessuno può pretendere che una determinata verità o una determinata concezione del bene vengano imposte con la forza, senza il consenso almeno della maggioranza degli interessati. Ma non si può nemmeno pretendere che l’opinione della maggioranza coincida con la verità; né sarebbe sensato supporre che, in materia etica, bioetica o biopolitica, tutte le opinioni abbiano lo stesso valore, poiché la verità, diciamo pure, un riferimento oggettivo ai nostri discorsi, non esiste. Sul piano filosofico generale, ciò significa che di qualsiasi cosa si tratti, se di scienza, di morale o di politica, non bisogna mai stancarsi di cercare ciò che vale per tutti gli uomini. Ragionare significa inevitabilmente fare i conti con la verità dei nostri discorsi. Poiché però il tempo stringe e poiché persino sulle più gravi questioni bioetiche occorre decidere quale strada intraprendere tra le molte che vengono indicate, ecco che a questo livello, al livello delle decisioni politiche, ad un certo punto si interrompe la discussione e si decide secondo la volontà della maggioranza.

Tutto ciò suscita invero non poche perplessità, specialmente se pensiamo che le questioni bioetiche sono spesso questioni ultime, questioni di vita e di morte. Come si può, ad esempio, decidere a maggioranza quando incomincia la vita di un uomo o quando una vita umana è da considerarsi degna di essere vissuta? Non è vero, piuttosto, che proprio grazie all’idea che nessun uomo può decidere dell’umanità di un altro, si è potuta affermare un’idea di dignità umana, la quale rappresenta in ultimo la vera condizione, grazie alla quale la decisione a maggioranza ha potuto configurarsi come il metodo più ragionevole (leggi: più conforme alla suddetta dignità) per dirimere i vari conflitti? E allora perché non dire a chiare lettere che sulla dignità umana non si vota? Si tratta ovviamente di una domanda retorica, pleonastica. È ben noto, infatti, il motivo per cui oggi siamo indotti a pensare che si debba votare su tutto. Essendo venuto meno il consenso sulle cosiddette concezioni del “bene” e della stessa dignità, nonché la fiducia che su questi temi sia possibile un discorso razionale vero e proprio, ossia un discorso universale che è tale semplicemente perché è conforme alla realtà, non ai nostri gusti o alle nostre inclinazioni individuali, dobbiamo ormai accontentarci delle “procedure” che meglio sono in grado di garantire una pacifica convivenza, nel reciproco rispetto, tra cittadini di diverso orientamento morale. In presenza di una divergenza d’opinione, in democrazia si vota e la maggioranza vince. Ma questo, contrariamente a quanto credono in molti, non significa che il cittadino ideale di una liberaldemocrazia sia colui che sa fare un uso scettico, neutrale della ragione, mettendo tra parentesi le proprie convinzioni morali e religiose. È vero


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piuttosto il contrario: proprio perché siamo fermamente convinti della verità di ciò che diciamo, ma soprattutto della inviolabile dignità di ogni nostro interlocutore e quindi della impossibilità che una verità gli venga imposta con la forza, senza almeno il consenso della maggioranza dei concittadini, crediamo che il metodo migliore di dirimere i conflitti sia quello di affidarsi alla conta dei voti. Pensare che la pratica liberaldemocratica sia possibile soltanto a condizione che i cittadini facciano un uso neutrale della ragione significa porre una cattiva filosofia, se così posso dire, alla base della prassi delle nostre liberaldemocrazie, le quali, a mio modo di vedere, traggono principalmente la loro forza, diciamo pure, il loro primato rispetto ad altre forme politiche e istituzionali, proprio dall’assimilazione teorica e pratica di una serie di principii, primi fra tutti la verità e la dignità umana, considerati conoscibili, riconoscibili e, soprattutto, indisponibili per chicchessia. Considero invero assai preoccupante che la nostra cultura liberaldemocratica, allorché discute di questioni bioetiche fondamentali, dimentichi spesso certi ambiti

di non disponibilità che l’hanno resa possibile o certe ragioni che la rendono migliore di altre culture politiche. Ma questo, lungi dal costituire un argomento a favore di una preventiva divisione del campo tra le diverse scuole filosofiche o tra credenti e non credenti, dovrebbe costituire una spinta ulteriore a discutere, ad approfondire le questioni più scottanti, con la speranza che le buone ragioni prevalgano su quelle meno buone. Tanto più le questioni sono spinose e tanto più occorre ragionarci sopra con la radicalità, la competenza e la responsabilità che esse meritano. Ma non dobbiamo rinunciare alla ricerca della verità. La religione, una religione che sappia mantenerne viva l’istanza, rinunciando alla pretesa di imporla, può costituire in questo senso un pungolo prezioso. In ogni caso questa dovrebbe essere la consapevolezza di un Illuminismo che riesca a far tesoro della secolarizzazione, mettendosi nel contempo al riparo dalla sua deriva più estrema: il nichilismo. È fuori discussione che la verità religiosa sia stata utilizzata in passato e venga utilizzata ancora oggi come strumento di

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L’INTERVENTO

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dominio sugli individui e sui popoli. Il mondo cristiano ha impiegato molti secoli per liberarsi di questa tentazione; quello islamico fa ancora molta fatica. Il processo occidentale di secolarizzazione ha rappresentato in questo senso una grande opportunità, non fosse altro per l’autonomia che ha prodotto tra la religione e gli altri sistemi sociali, in particolare la politica e la scienza. Quanto alla Chiesa cattolica, nonostante la diffidenza e l’aperta ostilità da essa manifestate nei confronti del processo di cui stiamo parlando, possiamo dire che col tempo ha saputo senz’altro farne tesoro, imparando come pochi altri dai propri errori; è riuscita cioè, da un lato, a conservare il suo fondamentale orientamento alla verità; dall’altro, facendo leva sulla incommensurabile dignità di ogni uomo, è riuscita poco a poco a riconoscere che nessuna verità può essere imposta con la forza. Ieri, per fare un esempio, sarebbe stato impensabile proclamare un diritto a qualcosa di non conforme alle verità della fede. L’errore, si sarebbe detto, non può accampare diritti. La verità invece sì, e allora anche il battesimo forzato o la messa al bando degli “eretici” potevano andar bene, visto che servivano alla salvezza dei singoli individui e al bene della comunità. Oggi, almeno in Occidente, nessuno si sognerebbe di imporre a un altro una verità, con la convinzione di farlo per il suo bene. Ciò sarebbe non soltanto contrario alla dignità dell’uomo e allo spirito di verità, ma verrebbe anche impedito dalle istituzioni dello Stato liberaldemocratico. Sarebbe tuttavia un errore se interpretassimo il processo di secolarizzazione, il processo di costituzione della nostra cultura liberale e pluralista, come un processo estraneo o addirittura ostile all’idea di verità. Senza la fiducia in una verità che in ultimo ci si rivela, della

quale quindi non siamo padroni (ecco l’indisponibilità), nemmeno i nostri grandi valori politici avrebbero consistenza. Pluralismo, tolleranza, l’idea stessa di Stato di diritto finirebbero inevitabilmente per confondersi con la demagogia, con lo scontro tra posizioni ritenute per principio incommensurabili tra loro e la lotta per il potere fine a se stesso. L’odierna cultura dominante tende invero a fondare il pluralismo e la tolleranza sulla convinzione che non esista alcuna verità o, che è lo stesso, sulla convinzione che esistano tante verità quanti sono gli individui. Una sorta di pirandellismo preso alla leggera domina in questo senso i nostri discorsi. Ma un campione dell’Illuminismo, Immanuel Kant, ci direbbe il contrario: ci direbbe che bisogna essere tolleranti, non perché la verità non esiste, quanto piuttosto perché nessuno di noi sbaglia mai totalmente in ciò che dice. Come si legge nelle sue Lezioni di logica, «Non si dà alcun giudizio senza un ingrediente di verità; da ciò segue necessariamente che dobbiamo moderare di molto i nostri giudizi intorno agli errori degli altri». I singoli individui, al pari degli Stati, tendono spesso al dispotismo. Ma il Kant del famoso scritto Per la pace perpetua direbbe che «la natura vuole altrimenti». E come ha creato molti uomini (non l’uomo!), ognuno dei quali unico e irripetibile, così ha creato diverse lingue e diverse culture, affinché cerchino «un accodo e una pace che, a differenza del dispotismo, vera tomba della libertà, non sono prodotti e garantiti dall’indebolimento di tutte le energie, ma dal loro equilibrio nei contrasti della più viva emulazione». «Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio», ci ha ricordato Benedetto XVI nel suo grande discorso all’Università di Re-


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gensburg. «Nel profondo», come dice il papa, qui si tratta davvero «dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico Illuminismo e religione». Ed è da questo incontro che soltanto può scaturire un vero dialogo tra persone, tra culture e tra religioni diverse. Una ragione che, anziché cimentarsi con la verità o con le grandi domande della religione, le spinge nell’ambito dei desideri “privati”, non è capace di promuovere alcuna forma di autentico dialogo. Al contrario. Una tale ragione può solo generare diffidenza e ostilità; e questo non soltanto da parte di coloro che magari identificano tout court la verità con la propria cultura e la propria religione, ma anche da parte di coloro che, pur sensibili alla differenziazione di religione e politica, religione e scienza, religione e arte, diciamo pure fede e ragione, non si rassegnano ad accettare un concetto troppo angusto di ragione, che consideri magari “irrazionale” tutto ciò che non rientra nei rigidi canoni di ciò che è semplicemente ragione scientifica. Anche l’ultimo Habermas sembra avvicinarsi a questa prospettiva allorché riconosce che «anche i cittadini laici possono a volte imparare qualcosa dai contributi religiosi, ad esempio quando nei contenuti normativi di verità di un enunciato religioso riconoscono intuizioni proprie, cadute sovente in oblio» (Habermas 2006, 34). Ancora con le parole di Benedetto XVI: «L’Occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire un grave danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza: è questo il programma con cui una teologia impegnata nella riflessione sulla fede biblica, entra nella disputa del tempo presente». Ma aggiungerei che questo deve essere anche

il programma di una laicità e di una modernità che vogliano uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciate, allorché hanno smesso di prendere sul serio sia la verità sia la religione. In gioco, se ci pensiamo bene, non è soltanto la verità, ma l’idea stessa che esista qualcosa che l’uomo può riconoscere, ma non determinare, costruire, esserne padrone. Quando, ad esempio, diciamo che un’affermazione è vera, implicitamente riconosciamo che essa non dipende da noi, ma dalla sua conformità all’“oggetto” di cui si parla. In questo è come se tenessimo viva un’istanza – l’indisponibilità, appunto – che si rivela estremamente preziosa proprio allorché parliamo di antropologia e di umana dignità. Tramontate le grandi concezioni metafisiche e divenuta controversa la similitudine dell’uomo con Dio, garantita per secoli dalla tradizione religiosa, la dignità umana sembra in effetti aver perduto il suo fondamento. Gli “equivalenti funzionali” della società secolarizzata – la ragione, la libertà, il rispetto, il consenso –, da soli, sembrano non riuscire a fornirne un altro ugualmente solido. Sembra addirittura che più si va avanti sulla strada di una certa secolarizzazione e più vengono intaccate alcune condizioni culturali che l’hanno resa possibile. Sintomatico in proposito il discredito che nell’odierna cultura dominante colpisce la nozione di “natura umana”, ridotta per lo più a “cultura” ossia a qualcosa che, dipendendo soprattutto dalle nostre scelte, non ha in se stessa nulla che possa costituire, di per sé, un criterio normativo e quindi un “limite” per i nostri discorsi sull’uomo. *docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi all’Università di Bologna

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Come dice Umberto Cerroni, «laico è chi guarda le cose con spirito di osservatore e quindi agisce avendo osservato assumendosi la responsabilità dell’agire», un «concreto esercizio di razionalità. La laicità come impegno all’uso della ragione è qualcosa di simile all’invito kantiano al sapere aude: abbi coraggio di conoscere e sapere!»34.

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Il futuro della laicità positiva Nella consapevolezza dei rispettivi ambiti, autorità religiose e politiche possono trovare massima collaborazione su alcuni temi specifici di grande importanza nella società contemporanea. Innanzitutto il tema dell’emergenza educativa. Una sfida che non riguarda solo la famiglia e la scuola ma la società nel suo insieme, per la promozione di una solida etica delle responsabilità presso le nuove generazioni. Estremamente significativo che la conferenza episcopale abbia posto la questione dell’educazione come l’asse portante dell’azione pastorale della Chiesa italiana nel decennio 2010-202035. Vi è poi il tema della legalità che fu oggetto di una pubblicazione specifica ad inizio anni Novanta36 e che racchiude «l’idea di popolo come unione ordinata di persone che cercano sotto la rule of law un bene comune politico e che sono legate da tradizioni, costumi e comunicazione reciproca»37. Il tema della morale politica della cittadinanza, come definito da Martin Rhonheimer «quel vincolo mutuo che defini-

sce ciò che il politologo tedesco Dolf Sternberger ha chiamato Verfassungpatriotismus (patriottismo costituzionale), un atteggiamento civico di lealtà alle istituzioni politiche dello Stato costituzionale democratico e alle sue regole del gioco». E poi promuovere l’idea di partecipazione alla cosa pubblica, ossia «una democrazia discorsiva che in quanto governo di tutti, coinvolga tutti nel processo deliberativo: un assunto che accomuna filoni e autori come il personalismo comunitario (Maritain e Mounier), la democrazia dialogica di Apel e Habermas, A. Sen e altri»38. Da ultimo riconoscere «l’esistenza di una comunità internazionale in certo modo anteriore agli Stati, e criteri ultimi non soggetti o creati dal consenso»39. Come si vede ambiti di impegno alto e condiviso in cui primaria è l’importanza del messaggio religioso, non solo nel prospettare per chi vi aderisca un futuro “oltre la storia” (funzione escatologica), ma anche nel partecipare alla costruzione della res publica (funzione politica), come originale ed insostituibile attore. Alle religioni questo è giusto chiedere e riconoscere.

L’Autore FEDERICO EICHBERG Direttore Relazioni internazionali della fondazione Farefuturo.


LAICITÀ POSITIVA Federico Eichberg

Note 1

Francesco Valerio Tommasi, Divergenze parallele. Il voto cattolico ed il nuovo paradosso teologico-politico, in «ParadoXa», 2 (2008), 97-101. 2 Cfr. G.Kepel, La rivincita di Dio. Cristiani, ebrei, musulmani alla riconquista del mondo, Rizzoli, Milano 1991. 3 Vittorio Possenti, Fondamenti religiosi e laici della democrazia, Società Italiana di Filosofia Politica, 11 luglio 2005. 4 Cfr. Brendan Sweetman Why Politics Needs Religion , InterVarsity Press, 2006 5 Hilarion Alfeyev L’aiuto che la Chiesa ortodossa russa può dare all’Europa, introduzione a Joseph Ratzinger/Benedetto XVI Europa, patria spirituale, Mosca/Roma, 2009. 6 Angelo Card. Scola, Laici e cattolici in una società plurale. Sul crinale tra religione civile e criptodiaspora, 20 febbraio 2009. Su tale argomento dello stesso autore si veda soprattutto Una nuova laicità. Temi per una società plurale, Marsilio, Venezia 2007. 7 La religione nell’era della globalizzazione: credere senza appartenere, intervista al professor Joan-Andreu Rocha Scarpetta. Su questo tema si veda anche G. Davie, Religion in Britain since 1945. Believing without Belonging, Blackwell, Oxford 1994; G. Giordan, Tra religione e spiritualità. Il rapporto con il sacro nell’epoca del pluralismo, Franco Angeli, Milano 2006; P. Heelas-L. Woodhead, The Spiritual Revolution, Why Religion is Giving Way to Spirituality?, Oxford 2005. 8 Angelo Card. Scola Fine della modernità: eclissi e ritorno di Dio. Intervento del Patriarca di Venezia all’evento internazionale Dio Oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto, promosso dal Comitato per il progetto culturale della Cei, dall’11 al 12 dicembre a Roma presso l’Auditorium Conciliazione.

9 Sul concetto di cristianofobia cfr. Rino Fisichella Identità dissolta. Il cristianesimo lingua madre dell’Europa Mondadori 2009. 10 Su questo si veda la documentazione raccolta da Europe for Christ consultabile sul sito www.christianophobia.eu 11 Vittorio Possenti Dare solo a Cesare è un modo per non dare niente a nessuno Il Foglio, 12novembre, 2004. 12 Joseph Card. Ratzinger L’Europa nella crisi delle culture – conferenza tenuta il 1 aprile 2005 a Subiaco, Monastero di Santa Scolastica. 13 Vittorio Possenti Laicità e Verità su http://www.vanthuanobservatory.org. 14 Sul concetto di Leitkultur si veda Bassam Tibi Europa ohne Identität? Die Krise der multikulturellen Gesellschaft, München: Bertelsmann 1998. 15 Questa tendenza – figlia del secolarismo militante – alla negazione della Leitkutlur è assai diffusa come dimostra la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo del 3 novembre 2009, relativa all’affissione del crocifisso nei luoghi pubblici. L’inoppotunità ed impraticabilità della sentenza appare ancora più evidente se pensiamo che delle 194 nazioni al mondo 48 hanno un simbolo religioso sulla bandiera nazionale. 16 Angelo Card. Scola, Laicità e libertà religiosa, Cattedrale di Genova, 21 gennaio 2009. 17 Vittorio Possenti Laicità e Verità, ivi. 18 Corriere della Sera, 18 maggio 2009. 19 ibidem. 20 Cfr Vittorio Possenti Universalismo dei diritti e governance politica globale. Il cammino verso una società politica planetaria”, relazione al convegno di studio promosso dal Cirdu: Governance globale e diritti dell’uomo. Come possiamo prendere

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Note

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sul serio i diritti nel XXI secolo? (Venezia, 17-19 novembre 2005). Su questi temi cfr. anche gli scritti di Mary Ann Glendon, docente ad Harvard ed in particolare il suo discorso di saluto a Benedetto XVI del 5 luglio 2009. 21 Cfr. Intervento del Card. Camillo Ruini Laicità positiva per il futuro “Per una nuova laicità. Libertà, religioni, politica”, in margine al libro Confini Milano, Palazzo Marino, 9 settembre 2009. 22 Discorso di Benedetto XVI al presidente della Repubblica Italiana, 20 novembre 2006. 23 Roberto Gualtieri La laicità positiva, Il Mattino, 30 maggio 2008. 24 “Oggi si tende ad affermare che l’agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l’atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità ed aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito bisogna osservare che,se non esiste nessuna verità ultima la quale guida e orienta l’azione politica, allora le idee e le convinzioni possone essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in una totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia” (n. 46). 25 Sergio Belardinelli Fede cristiana e cultura politica moderna, relazione tenuta al Convegno organizzato dalla Università Pontificia della Santa Croce, 26 e 27 febbraio 2009. 26 Cfr. G. Battioni Le radici cristiane della laicità, ffwebmagazine, 14 maggio 2009. 27 Vittorio Possenti cit.

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«Il vero progresso? Una laicità positiva» Il vescovo Fisichella: dimensione etica imprescindibile Avvenire, 28 settembre 2008. 29 Allocution de M. le Président de la République dans la salle de la signature du Palais de Latran, Roma, 20 Dicembre 2007. 30 Viaggio Apostolico di Benedetto XVI a Munchen, Altotting e Regensburg (9-14 settembre 2006), incontro con i rappresentanti della scienza. Discorso del Santo Padre, Aula Magna dell’Università di Regensburg, 12 settembre 2006, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni. 31 Cfr. A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna 1964. 32 Discorso di Benedetto XVI ai Cardinali, Arcivescovi, Vescovi e Direttori del Governatorato Scv, per la presentazione degli auguri natalizi, 21 dicembre 2009. 33 Lettera Di Giovanni Paolo II a Mons. Jean-Pierre Ricard, Arcivescovo di Bordeaux, presidente della Conferenza dei vescovi di Francia e a tutti i vescovi di Francia 11 febbraio 2005 34 Vittorio Possenti “Laicità e Verità” cit. 35 Cfr. Comitato per il Progetto Culturale della Conferenza episcopale italian (a cura di) La sfida educativa, Laterza, Bari, 2009 . 36 Commissione ecclesiale Giustizia e pace Educare alla legalità - Roma, 4 ottobre 1991 37 Vittorio Possenti - Fondamenti religiosi e laici della democrazia, Società Italiana di Filosofia Politica 11 luglio 2005. 38 Vittorio Possenti ivi. 39 Vittorio Possenti ivi.


LA NOSTRA DESTRA

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ui temi eticamente sensibili, la destra si è spesso trovata “dalla parte sbagliata”, seppure cercando motivazioni altre rispetto a quelle “reazionarie” della Dc o “rivoluzionarie” della sinistra. Ma oggi non si può più svicolare fra le sfide della modernità. La dissoluzione delle ideologie ci ha resi tutti più liberi e i diritti hanno perso la loro etichetta progressista. È giunto il momento di restaurare la vocazione originaria del Pdl, che ha voluto la parola “libertà” nella sua stessa denominazione. DI FLAVIA PERINA

«La consapevolezza del primato della dignità della persona è il valore principale che va garantito e tutelato da un’azione politica. Non è l’autorità dello Stato, è la dignità della persona. E il valore cui orientare una politica è quello di tutta evidenza che lo Stato non può limitare la libertà. Lo Stato deve esaltare la libertà, lo Stato deve garantire a tutti l’esercizio della libertà… Non ci piace l’ordine delle caserme, una società è invece coesa quando viene difesa e in qualche modo incrementata la dignità della persona umana, quale che sia il colore della pelle, quale che sia il Dio in cui credi,

quale che sia il ruolo sociale». Queste le parole “definitive” con cui Gianfranco Fini, al congresso fondativo del Pdl, ha incardinato nell’orizzonte del nuovo partito la “destra dei diritti”, riprendendo un filo rimasto spesso nascosto del dipanarsi della storia della destra italiana, ma che pure è esistito e ha lasciato le sue tracce. Qui non interessa ricordare come e perché la destra si è trovata troppo spesso e troppo a lungo “dalla parte sbagliata” della barricata nel dibattito sui diritti delle persone, interpretandolo sistematicamente come uno “strappo alla tradizione” e all’ordine costituito


DIRITTI CIVILI Flavia Perina

DEI DIRITTI

della norma. Piuttosto, vale sottolineare come aree (minoritarie) del nostro mondo, anche nel clima dello scontro ideologico su questi temi, abbiano cercato di sottrarsi a una visione puramente conservatrice per tentare una declinazione “alternativa” sul terreno dei diritti individuali. Un buon esempio riguarda i diritti delle donne, dove con diverse esperienze associative si provò a elaborare il tema della complementarietà come via maestra in contrapposizione sia all’emancipazionismo femminista sia al sostanziale maschilismo della destra borghese, rileggendo temi

quali famiglia, aborto e pari opportunità e riscoprendo figure come Evita Peron, Cristina Campo, Teresa Labriola. La stessa ricerca di una posizione autonoma rispetto a quelle espresse dalla dicotomia conservazione/rivoluzione ha dominato l’elaborazione su altri argomenti oggi al centro dell’attenzione. Si pensi all’immigrazione, che la destra mise – assai prima di molte altre forze politiche – al centro delle sue riflessioni. È rimasta memorabile, e fu per anni oggetto di infinite ironie, l’esclamazione di Pino Rauti dopo gli scontri razziali a Brighton, in Inghilterra – «Ma



DIRITTI CIVILI Flavia Perina

che ci fanno 150mila giamaicani esclusività, solidarietà contro pria Brighton?» – che aprì la strada vilegio, laicità contro confessionaall’idea che gli aiuti allo sviluppo lismo, riconoscimento dell’altro del Terzo Mondo fossero l’unica contro xenofobia e razzismo, intesoluzione per evitare un’ondata grazione contro separazione, legamigratoria di disperati in Euro- lità contro arbitrio. E se al centro pa. Qualcosa di analogo accadde di questa riflessione poniamo, cosui temi eticamente sensibili del- me è naturale fare a destra, la dil’epoca – dal divorzio all’aborto – gnità della persona e la sua inaliedove si fiancheggiarono posizioni nabile libertà, non è difficile capiconservatrici ma cercando sempre re da che parte si deve stare. una motivazione “altra” rispetto La destra dei diritti a noi pare, all’approccio reazionario della Dc oltre a ogni considerazione di e quello “rivoluzionario” delle si- merito, anche il solo antidoto alnistre. Il minimo comune deno- la deriva di cupezza e depressione minatore era quello della “terza che rischia di impadronirsi del paese. Diritti e via”, una posizione ottimismo, diritti fondata sicuramen- La dissoluzione e speranza sociale, te su elaborazioni sono categorie di spessore ma che delle ideologie ha reso in tante situazioni tutti più liberi e i diritti strettamente collegate: la più ha costituito anche grande stagione un facile alibi per hanno perso la vecchia di fiducia e aspetnon prendere par- connotazione eversiva tative positive, in te, per tirarsi fuori dalla scelta di alternative chiara- Italia, ha coinciso non a caso con l’età del riformismo craxiano e mente definite. Oggi questa idea di svicolare tra con i suoi “strappi” in materia le sfide della modernità è definiti- sociale ed economica, primo tra vamente tramontata. La dissolu- tutti la rottura del tabù della scazione delle ideologie ci ha reso la mobile. Il crollo dell’inflaziotutti più liberi e i diritti hanno in ne legato a quella scelta segnò gran parte perso l’etichetta “pro- anche la fine del pessimismo digressista” o addirittura “eversiva” struttivo con cui il mondo comuche hanno avuto appiccicata per nista teneva in scacco l’immagitanto tempo. Il discrimine della nario italiano, diffondendo l’idea politica non passa più attraverso di un cupio dissolvi nazionale verle categorie del comunismo/anti- so il disastro e l’impoverimento comunismo, fascismo/antifasci- di massa. «È l’individuo il sogsmo e anche destra/sinistra, che getto principale dello sviluppo per un secolo hanno incasellato economico e civile; è la libertà il valori e scelte in modo ciecamente sale della democrazia. Modernizalternativo, ma su un crinale di- zare vuol dire ampliare la sfera verso: diritti civili contro diritti della libertà individuale, dimidi casta, molteplicità contro nuire i vincoli, gli automatismi,

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ritrarre lo Stato dal terreno non delineare l’unica alternativa a suo»: questo, nella sintesi di sua tutto ciò restaurando la vocazione figlia Stefania, il nocciolo del- originaria del Pdl, che ha voluto l’elaborazione di Craxi in materia la parola “libertà” nella sua stessa di diritti. E questa la chiave per denominazione proprio in concapire la ventata nuova che spaz- trapposizione a una visione cupazò gli anni Ottanta riportando mente immobilista della società. nella politica, e nelle vite delle Eppure quell’imprinting iniziale persone, la categoria della spe- sembra cancellato dalla coazione a ranza e di quello che fu definito battere le strade del passato e da un provincialismo intellettuale “ottimismo della volontà”. È una stagione che il Popolo del- che isola l’Italia dall’intero contela libertà dovrebbe tenere presen- sto delle destre europee. Persino te ogni volta che si abbandona al- Nicholas Sarkozy, il leader più la politica della lagna, del com- “populista” fra i premier continenplotto, dell’identità minacciata, tali – quello che vinse le elezioni gridando “Racaildel “mamma li le”, “canaglia”, ai turchi”, del rigori- Destra dei diritti teppisti delle bansmo regolatorio filieu – ha messo al ne a se stesso con significa restaurare centro della sua la moltiplicazione la vocazione originaria esperienza di godei divieti che complicano la vita del Pdl, che ha la parola verno una nuova visione del rappordelle persone e libertà nel suo nome to tra ordine e lidelle ordinanze a raffica che ti impongono come e bertà, in cui l’ordine non è perpedove bere, cosa e dove mangiarlo, tuazione della tradizione che deve dove sedersi, dove fumare, dove essere preservata da ogni modifica radunarsi e dove passeggiare col e sommovimento, ma l’esatto cane o coi bambini, con una gri- contrario: una condizione necessaglia ridicola di norme sulle pan- ria all’esercizio più largo e diffuso chine, sul kebab, sui vespasiani, della libertà e quindi il fondasulle code dei cani da caccia, sulle mento dell’innovazione, del cammerendine a scuola. Ai grandi in- biamento, del “movimento”. cubi che non riusciamo a gestire «L’ordine senza il movimento è la – primo tra tutti l’immigrazione conservazione e io non sono un – si aggiungono i piccoli, quoti- conservatore. Ma il disordine è diani disagi provocati da una ge- ingiustizia e io non voglio l’instione della cosa pubblica che sta giustizia»: così il capo dello Stato virando verso logiche da ammini- francese si espresse in uno dei strazione di condominio e inne- suoi discorsi programmatici più scando il sordo rancore collettivo famosi e commentati, rivendicando il principio di autorità non cotipico di quel contesto. Ecco, a me pare che dire “destra me una camicia di forza alla modei diritti” significhi soprattutto dernità ma come presupposto


DIRITTI CIVILI Flavia Perina

L’INTERVENTO di Domenico Naso*

DiDoRe, primo passo verso il riconoscimento? «Non è un progetto del governo, né della maggioranza; nel programma di governo infatti non c'è»: era stato chiaro Renato Brunetta quando per la prima volta aveva parlato dei DiDoRe . Chiarezza che nasceva dalla necessità di non affossare sul nascere un progetto di legge che rappresenterebbe qualcosa di molto importante. Non tanto perché i Diritti e Doveri di Reciprocità dei conviventi siano così rivoluzionari, ma semplicemente perché i primi diritti alle coppie omosessuali in Italia verrebbero riconosciuti da un governo e una maggioranza di centrodestra, dopo le polemiche infinite sui Dico del governo Prodi. La mappa sui diritti alle coppie gay, redatta ogni anno dall’Ilga (International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association) parla chiaro: in Europa occidentale solo Italia e Irlanda non hanno una legislazione sul tema. Altrove, dal matrimonio in Spagna a leggi più blande in Ungheria, Croazia e Slovenia, i rapporti omoaffettivi sono riconosciuti dal legislatore. Il progetto firmato dai ministri Brunetta e Rotondi, dunque, assume una certa rilevanza culturale prima che politica. Ma vediamo, nello specifico, quali sono le norme previste dai DiDoRe. Nell’articolo 1 si riconosce l’esclusività della famiglia basata sul matrimonio, alla quale sono rivolti, appunto esclusivamente, sgravi fiscali, incentivi e agevolazioni che siano a carico dello Stato. Il secondo articolo definisce quali debbano essere i rapporti di convivenza interessati dalla norma: soggetti maggiorenni, “conviventi stabilmente da almeno tre anni, […] uniti da legami affettivi e di so-

lidarietà ai fini di reciproca assistenza e solidarietà materiali e morali, non legati da rapporti di parentela né vincolati da precedenti matrimoni”. Successivamente, dal terzo al settimo articolo, si entra più nello specifico con disposizioni riguardanti l’assistenza in caso di malattia o di ricovero, decisioni in materia di malattia o in caso di morte, diritto di abitazione, obbligo alimentare. Tutto senza gravare sui conti pubblici, preoccupazione principale di Brunetta, secondo il quale i Dico prodiani puntavano alla “roba”, ai soldi del welfare. Il presidente della Camera Gianfranco Fini, incontrando qualche tempo fa le associazioni glbt a Montecitorio, aveva auspicato una modifica di questo progetto di legge, definito piuttosto “mortifero”. Non si può negare, in effetti, che i DiDoRe di Brunetta e Rotondi si preoccupino esclusivamente di casi limite di malattia o morte, per tutelare l’altro partner. Del resto del rapporto affettivo tra due persone (gay o etero che siano) non c’è alcuna traccia. Ma la domanda che bisogna porsi, se si hanno davvero a cuore le sorti dei diritti omosessuali, è la seguente: nel panorama politico e culturale italiano di oggi è possibile ottenere di più? Realisticamente, no. Per questo, e per cominciare un po’ a smuovere le acque dell’indifferenza, si potrebbe partire proprio dai DiDoRe. Senza pensare, però, che i problemi delle coppie omosessuali in Italia si risolvano definitivamente così. Sulla strada tortuosa dei diritti sarebbe solo il primo, anche se importante, passo. Lo devono capire, innanzitutto, alcune associazioni gay. Un apparente passo indietro equivarrebbe a dieci passi avanti per le persone che pretendono di rappresentare. *giornalista

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delle speranze di progresso individuale e collettivo. E persino Angela Merkel, massima esponente del centrodestra più tradizionalista e cauto del Vecchio Continente, ha da tempo scelto un approccio pragmatico ai temi “sensibili” che in Italia provocano un quotidiano scontro di religione: l’idea che la regolamentazione delle coppie o le norme contro l’accanimento terapeutico, il diritto di famiglia o i principi del welfare debbano “costruire” nei cittadini un’inclinazione morale, un’idea della vita e della morte, una concezione delle relazioni personali, un giudizio su eterosessualità e omosessualità, è mille miglia lontana dall’approccio della leader della Cdu (nata e cresciuta nella Germania orientale). Che a coloro che si stupiscono del suo atteggiamento aperto ripete in ogni intervista: «Io so cosa significa vivere in un paese senza libertà». Osservava qualche tempo fa Benedetto della Vedova sul Secolo d’Italia: «Si dirà che l’Italia non è la Germania (come non è la Francia, la Spagna e l’Inghilterra…) e che quindi il centrodestra italiano deve essere diverso. Ma perché “deve”? In nome di cosa, “deve”? Per quale obiettivo di governo, in nome di quale interesse politico generale? Per quale interesse di “partito”? Ma siamo sicuri che gli elettori del Pdl siano così diversi da quelli del centrodestra del resto d’Europa?». Già, siamo sicuri? In una delle scene più significative del libro Taking Woodstock, trasformato in film da Ang Lee, i consiglieri co-

munali conservatori del paesino americano di Bethel, dove sta per svolgersi il festival rock, convinti di interpretare la “maggioranza morale” della loro comunità decidono di bloccare l’autostrada che sta portando decine di migliaia di persone al concerto. Si piazzano in mezzo alla carreggiata con i loro cartelli. La folla, che è un vero fiume umano, semplicemente gli scivola a fianco degnandoli appena di uno sguardo. Gli stessi poliziotti scherzano con i ragazzi, i commercianti si fregano le mani perché non hanno mai visto tanti incassi. E quei politici poco accorti restano lì, con i loro cartelli, scoprendo all’improvviso di rappresentare una minoranza assai poco rilevante, di cui nessuno si cura. Ecco, fino ad ora il centrodestra ha potuto permettersi di trattare con superficialità e noncuranza il tema dei diritti, forte del richiamo carismatico di Silvio Berlusconi che vale a prescindere dei “contenuti”, ma stiamo attenti a non prepararci un futuro come quei politici di Bethel, improvvisamente travolti da una società che vuole altre cose e va da un’altra parte.

L’Autore FLAVIA PERINA Direttore del quotidiano Secolo d’Italia e parlamentare del Pdl.


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