La Moda che canta

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Musica e moda da sempre sono andate a braccetto. In ambedue i casi, chi voleva distinguersi dagli altri ha cercato di creare uno stile che potesse definire “suo”, diverso, unico (per l’epoca) e a volte contraddittorio rispetto alle regole che la Moda e la Musica dettavano. Succede assai spesso che questa originalità venga travolta e diventi la Normalità perdendo quello spirito creativo che la infiammava. Questo progetto, molto modesto, vuole ripercorrere, attraverso una serie di fotografie, gli anni del 1900 dal punto di vista della Moda, per puntare l’attenzione su come i giovani che hanno vissuto intensamente quegli anni si vestivano e dal punto di vista della Musica, per scoprire cosa si ascoltava, chi fece il suo “debutto” proponendo nuove sonorità e nuovi stili musicali, facendo uscire dagli angoli bui e nascosti canzoni e melodie che hanno modificato in modo incredibile il nostro gusto musicale. Il progetto è dedicato a Jim Marshall, a Nicola Arigliano e Peter Gowland, Persone che con il loro talento ci hanno fatto sognare, cantare e crescere e che ci hanno lasciato in tempi recenti.

Nota Bene. Per questioni di spazio, non sono stati inseriti alcuni compositori, musicisti e gruppi musicali. Me ne scuso con i fedeli ascoltatori, ma non ho proprio potuto inserire tutti.



Gli anni 1920 e 1930 non possono essere slegati gli uni dagli altri. L’Europa, dopo essere stata piegata dal Primo Conflitto Mondiale esce spaccata a metà: da un lato le potenze legate alle potenze che hanno perso la guerra (che devono rimettersi in sesto) e dall’altra quelle vincitrici. Tra queste ultime soprattutto la Francia vede una rinascita a livello culturale mai vista. Ritorna ad essere il centro del mondo culturale, richiamando a se anche gli artisti oltreoceano. Proprio oltreoceano, nel sud degli Stati Uniti, sta nascendo e prendendo sempre più piede il Jazz. Una musica che nacque nei quartieri di New Orleans e che si diffusa nel nord degli Stati Uniti, quando molti musicisti si spostarono a causa della chiusura di alcuni locali notturni dalla città del sud. Arrivando al Nord si estese anche alla cittadinanza bianca che la riprese e ne modificò alcune particolarità. Una fra tutti fu l’assenza del solista. Nelle band jazz nere, c’era sempre stato un solista, un musicista che prendeva possesso della scena; mentre ora c’erano le grandi orchestre formate da tanti componenti che faranno il loro successo negli anni 1940. Nelle jazz band nere, fece capolino uno strano personaggio, un trombettista. Questo trombettista non sono era bravo con il suo strumento, ma imparò a suonare anche altri strumenti e alla fine della sua brillante carriera si cimentò anche nel ruolo di cantante. Louis Armstrong fu uno di quei tanti musicisti che da New Orleans si spostò al Nord per cercare di sfruttare le sue capacità musicali. E ci riuscì. Tanto da diventare famoso in tutto il mondo e cominciare a girare per l’Europa. Un altro personaggio carismatico quanto Louis fu Cole Porter. Cole Porter era un grandissimo compositore statunitense che scrisse alcune delle più meravigliose canzoni che cantiamo tutt’ora. Ma non scrisse solo canzoni nella sua vita: lavorò come sceneggiatore per alcuni musical di Broadway e per alcuni film di Hollywood che ebbero un ottimo successo di pubblico e di critica. Sempre parlando di compositori, non si può non ricordare Gershwin, forse l’ultimo compositore di opere che il XX secolo abbia mai conosciuto. Nei primi anni della su carriera, George Gershwin, scrisse opere e canzoni nuove per il periodo, che non si erano mai ascoltate prima d’ora e che valsero al compositore ed al fratello, numerosi premi. Durante il suo soggiorno in Europa, dove era venuto per imparare composizione, scrisse “An American in Paris”, che ebbe subito successo. Ma bisogna aspettare fino al 1935 quando “Porgy e Bess”, il primo melodramma moderno, consacrerà il compositore come uno dei più grandi di tutto il secolo. “Porgy e Bess” è propsio l’esempio di come la classicità si può mescolare, senza alcun problema a canoni jazzistici e popolari dell’epoca. Ma questi anni sono contrassegnati anche dalla presenza di grandi cantanti come la tedesca Marlene Dietrich e la francese Edith Piaf. Ambedue straordinarie cantanti ed interpreti del proprio periodo storico. Marlene Dietrich, nata come attrice, aveva avuto esperienze precedenti in scuole di canto e questo la aiutò a contrapporsi a Greta Garbo, che invece sapeva solo recitare. La Dietrich si impose al grande pubblico grazie al film “L’Angelo Azzurro”in questo ma anche in altri film, Marlene cominciò ad impersonare il personaggio della donna spavalda, dominatrice, sensuale. Edith Piaf, nacque invece subito come cantante. La sua famiglia è povera e per questo si deve arrangiare a cantare durante gli spettacoli del padre. Nel 1935 venne scoperta da un impresario che educò la voce di Edith e la fece conoscere al grande pubblico. La sua voce non è melodiosa, è ruvida, è rabbiosa, come se avesse un segreto che non vuole tirare fuori. Proprio per questa particolarità tutti i parolieri di Francia volevano scrivere per lei. Nei primi momenti della sua carriera, Edith incarna la vivacità del periodo storico in cui vive. Ascoltando la “Vie en rose” cantata da Edith o da Louis Armostrong possiamo immaginarci seduti ad un caffè su un viale alberato durante una giornata di primavera.



In Europa infuria la seconda Guerra mondiale, preannunciata dai regimi dittatoriali della Germania e dell’Italia, che in potere di una autarchia condanna la musica che viene dall’estero. In aiuto degli Alleati inglesi e francesi arrivano gli Stati Uniti d’America, che oltre a portare aiuti militari ed economici portano anche una figura nuova nel mondo della musica. Le truppe alleate, infatti vengono seguite da disc jockey che hanno il compito di “allietare” con la musica che si ascolta oltreoceano, soprattutto le grandi orchestre jazz. La grande rinomanza che ebbe il Jazz nel continente Americano e successivamente anche in Europa, lo si deve principalmente a Duke Ellingthon, compositore afroamericano che fa uscire il Jazz dalla definizione di “musica per neri” e la fa conoscere al più vasto pubblico americano e successivamente anche Europeo. Glenn Miller fu trombettista ed anche un compositore molto acclamato nell’epoca in cui il jazz ebbe il suo periodo d’oro. Grandi sale piene di gente con magnifici vestiti eleganti che ascoltano o ballano le musiche di questo grande compositore. Oltre a Glenn Miller vi erano anche le orchestre, non meno famose, di Duke Ellinghton, di Benny Goodman. Tutte queste orchestre potevano contare sulla partecipazione canora, in particolari occasioni di voci meravigliose quali Ella Fiztgerald o della scatenata vivacità delle Andrews Sisters (gruppo canoro tutto al femminile). Se si dovesse scrivere questo tipo di musica con una parola o un aggettivo, sarebbe sicuramente “sofisticato” o “elegante”. Queste grandi orchestre le si potevano ascoltare nelle sale delle emittenti radiofoniche (da dove si cominciavano a trasmettere i primi radiodrammi, ovvero una riduzione dei grandi capolavori della letteratura) o nei teatri dove andavano in scena gli spettacoli di cabaret tanto amati dal cinema al punto da portarli sul grande schermo con tanto di coreografie e di grandi ballerini come Fred Astair e Chid Charisse. Mescolando il cinema con la musica, in questi anni si afferma il musical che si diffuse a macchia d’olio. Ma non vi erano solo orchestre formate da elementi “bianchi”. Luois Armstrong dopo una vita in giro per gli USA e per l’Europa, decise di stabilirsi a New York, senza smettere però di suonare nei locali jazz. Gli anni 40 cominciano a gettare le fondamenta per il superamento di alcune delle barriere razziali che ancora esistono negli Stati Uniti: infatti secondo alcuni, gli artisti di colore non potevano suonare con artisti bianchi. Benny Goodman e la sua orchestra, furono i primi a cercare di superare queste “dicerie” lavorando fianco a fianco con artisti quali Ella Fitzgerald. Ci furono musicisti jazz del calibro di Thelonius Monk che non si lasciano prendere dalla frenesia dell’ondata swing, ma restano aggrappati ad una precisa logica (che non viene capita dai più) che verrà decifrata solo in seguito. Thelonius era il jazzista che pose le basi, insieme ad altri per lo sviluppo di quello che possiamo considerare oggi come Jazz moderno. Non si legava ai canoni della musica che venivano dettati (musica orecchiabile e piacevole), ma ne scriveva di sempre nuovi, lasciando a bocca aperta sia i critici musicali del tempo che i propri colleghi. A Chicago, fa il suo debutto il padre del Blues, Muddy Waters. La musica Blues è la musica degli schiavi di colore del sud degli Stati Uniti, che racchiude in se le canzoni religiose e le canzoni che gli schiavi cantavano nelle piantagioni di cotone. Grazie allo stile di Muddy Waters, possiamo oggi ascoltare il rock’n’roll di Chuck Berry che si ascolterà negli anni 50, possiamo chiamare i Rolling Stones con questo nome. Muddy Water scrisse alcune delle più grandi canzoni che oggi vengono riprese e ricantate e che piacciono ancora oggi.



La decade degli anni 1950 fu una decade piena di euforia e di voglia di sciogliere quei canoni che tenevano legata la musica. Il rock si faceva sempre meno musica per neri e molti giovani bianchi cominciarono ad ascoltarlo, a seguirlo e a suonarlo. Elvis Presley, fu senza alcun dubbio, uno di quelli che lo suonò, lo fece diventare una moda e fece uscire questa “musica del diavolo” (come veniva e viene definita da alcune frange molto cattoliche, il rock’n’roll) dalle piccole radio locali per approdare alle grandi emittenti. Di famiglia non proprio abbiente, Elvis registrò il suo primo disco per fare un regalo alla madre: non a caso il titolo del dsico fu “That’s all right, mama!”. Da questo disco in poi, i suoi dischi finivano sempre in cima alle classifiche. Il segreto di Elvis? Il fondere lo stile che ascoltava nei locali per persone di colore con quello della musica bianca. Fece piacere un genere che ai bianchi neanche sarebbe passato per la testa di ascoltare. Per la stessa casa discografica di Elvis (la Sun Records di Nashville), facevano parte anche altri due importanti personaggi: Jerry Lee Lewis e Jhonny Cash. Jerry Lee Lewis, proveniva da una famiglia molto religiosa della Lousiana che pensava che il dono che Jerry aveva ricevuto (cioè quello di saper suonare il pianoforte) sarebbe stato solo per le orecchie del Signore. Ma Jerry Lee non è che la pensasse proprio allo stesso modo. All’inizio della sua carriera era solamente uno dei musicisti che facevano da spalla ad altri grandi musicisti come Elvis o Carl Perkins. Fu solo nel 1957 che con “Whola shackin goin’on” che Lee ebbe il successo che meritava. Quando suonava al piano, era un killer (non a coas il suo soprannome fu “The Killer”): suonava con le mani, con i piedi, in piedi. Riusciva (e riesce tutt’ora ) a far scatenare un intero teatro affollato di gente. Jhonny Cash, indiscusso esponente per la Sun Records dello stile country gospel. Tutto quello che imparò da bambino sulla musica, Cash lo deve alla madre, che molto religiosa, gli insegnava i canti da cantare in chiesa. Durante il servizio militare in Germania acquistò la sua prima chitarra e si fece dare lezioni per imparare a suonarla, anche se molto di quello che imparò, lo imparò da solo. Personaggio molto “testardo” che non temeva di dire quello che pensava, soprattutto quando questo andava contro il pensiero dominante. Ma oltre a questi artisti ce ne furono altri che infiammarono gli anni 1950. Chuck Berry, per esempio, è colui il quale viene definito “il padre del rock’n’roll” perchè introdusse testi che avevano come centralità la vita dei ragazzi giovani. Le sue canzoni facevano scatenare intere schiere di ragazzi di tutte le età, in tutto il mondo. Maybelline fu il suo primo successo e ne seguiro tanti altri come “Jhonny B Gooode”, “Rock’n’Roll Beethoven” e tanti tanti altri. Il Rock’n’roll di questi anni, sono esisterebbe se non fossero state introdotte nei primi anni 50 le prime Fender Stratocaster, le prime chitarre elettriche. Queste, a differenza delle chitarre tradizionali, non avevano bisogno di una cassa di risonanza per produrre un suono. Il suono delle corde viene rilevato da uno o più pick up e convogliato in un amplificatore. I primi a credere fermamente nella chitarra elettrica come strumento furono non a caso, due dei più grandi virtuosisti e grandi musicisti: Chuck Berry e Bo Didley che nel 1955 pubblicarono il loro primo album suonando una chitarra elettrica. Iniziarono anche ad essere ricercati effetti sonori particolari per le chitarre mediante l’introduzione di distorsori di varia natura. La musica di questi anni ebbe anche una grande diffusione grazie all’introduzione del Juke-Box, dove, per pochi soldi, si potevano ascoltare i dischi in vinile che le varie case discografiche facevano uscire. Anche la radio in questo periodo ebbe un incremento vertigionoso. Non c’era piccolo paese che non avesse la sua radio locale.



Se gli anni 50 sono stati quasi interamente dominati dalla musica americana, gli anni 60 sono di dominio dell’Inghilterra, che detterà regole anche nel campo della moda e in moltissimi altri campi. Proprio per questo motivo, quando si parla di musica degli anni 60, si parla di “British Invasion” e di “Swinging London”. Certo, ci sono anche esponenti oltreoceano come Aretha Franklin, i Beach Boys, Bob Dylan che rivoluzionano il mondo della musica. Ma la vera rivoluzione accadde in Inghilterra con i Beatles. Una band che grazie al loro primo manager, Brian Epstein, arriva ad avere uno Stile: che è elegante, preciso e alternativo rispetto alla moda dell’epoca. Mary Quant accorciò di molto le gonne che le ragazze portavano ed ebbe un successo straordinario, grazie anche a Twiggy, che indossò nelle reclame dell’epoca i vestiti disegnati dalla giovane stilista londinese. Il giovane Bob Dylan nei primi anni della decade, fu molto influenzato dalla musica folk degli anni 50, entrò a far parte della scuderia della Columbia (sopportato anche dalla figura di Jhonny Cash), ma per svariati motivi abbandonò il segmento folk nella seconda metà della decade per iniziare la carriera più elettrica della sua vita (scelta molto criticata dai suoi fan). Alla fine della decade, Bob è una leggenda, non solo dal punto di vista musicale, ma anche perché è uno dei primi a prendere posizione riguardo a questioni civili e politiche. Nel 1962 arriva un gruppo che diventerà famoso quasi quanto i Beatles. Anche loro sono Inglesi, ma loro sono molto molto scatenati. Prendono il nome da una canzone di Muddy Waters: sono i Rolling Stones. Se i Beatles sono “bravi ragazzi”, i Rolling Stones non lo sono: sono ribelli, scrivono canzoni che contengono temi provocatori che parlano di droga e di sesso in modo esplicito. Se dovessimo trovare un band per descrivere il Rock, questa sarebbe proprio i Rolling Stones. Negli USA cominciarono ad esserci i primi scontri per la lotta per i diritti civili degli AfroAmericani. Una lotta che ebbe come colonna sonora, quella delle band e degli artisti che la Motown di Detroit produceva: artisti del calibro dei Jackson 5 e dei Temptation giravano gli Stati Uniti portando in giro il sound tipico che sarebbe poi stato ribattezzato come R’n’b (Rithm and blues) e che non si è perso nel corso degli anni. Jimi Hendrix, dopo essere passato da una band all’altra a causa delle continue divergenze con alti altri componenti della band, inizia la sua Jimi Hendrix Experience. E questo grazie alla fidanzata di Keith Richards che lo fece conoscere a Chas Chandler. Jimi Hendrix non era un musicista come tutti gli altri, nessuno sarebbe riuscito a suonare per 40 minuti di fila al Monterey Pop Festival del 1967 in un modo quasi surreale e unico. Tanto che alla fine, la chitarra fu letteralmente distrutta proprio dal chitarrista stesso. Jimi non aveva solo rotto una chitarra, ma aveva inventato un nuovo modo di suonare. Una cosa molto strana e anacronistica balza agli occhi: questa “rivoluzione culturale”, si verificò in un periodo storico molto strano per l’Inghilterra. In UK il rock’n’roll non veniva trasmesso dalla BBC (perché secondo il governo Inglese questo tipo di musica non seguiva il clima di austerity che il Paese doveva seguire). Per questo motivo nacquero le Radio Pirata che trasmettevano tutto il giorno e tutta la notte solamente Rock’n’Roll, non solo inglese, ma anche quello oltreoceano. La più famosa fu Radio Caroline, immortalata in un recente film dal titolo “I Love Radio Rock”, che trasmetteva al di fuori delle tre miglia nautiche.



Il Big Bang, a confronto, è stato un'esplosione di miccetta, per i sensibili d'orecchie di un raudo o semplicemente il rombo di due motociclette che percorrono strade assolate come in Easy Ridere, il film che diede inizio a questa decade musicale. Gli anni 70 sono un gran cazzo di casino, un'infinità di stelle e di galassie che aspettavano solo il via da parte di qualcuno per propagarsi; non si sa bene chi sia stato lo starter ma di certo ha svolto il suo compito egregiamente. I sentori si avvertivano già nel 1968 o anche prima, dando un'occhiata ai Beatles, icone dei '60, che zitti zitti (mica tanto) uscivano con un Sgt. Pepper. Conterranei meno noti i Pink Floyd, guidati da un diamante pazzo di nome Syd Barrett, lo stesso anno sancivano un altro, decisivo, spartiacque. Però è il 1969 a segnare l'inizio e a dare il via al baccano, con quattro ragazzi inglesi, i Led Zeppelin. Delle due fatiche partorite dai britannici durante l'ultimo anno dei sessanta a solcare un netto taglio è “II”, con il riff di Jimmy Page a spezzare la voce sensualmente femminea di Robert Plant, come a dire: “love bene, ma peace mica tanto... meglio fare casino”. Page-Plant-Bonham-Jones nascono settantiani, anche se attingono a piene mani da monumenti del Blues, che negli anni 70 non ha certo dormito (Rory Gallagher vi dice qualcosa?). Il genere hard 'n' heavy è un altro elemento di forza (o, in termini rugbystici, un pilone); durante i '70 traccia il marchio della strega, o degli stregoni: Black Sabbath, Deep Purple, AC/DC; una triade, anche se è ingeneroso ridurre il movimento a tre miseri nomi (tanto per citarne un altro, i Judas Priest). Inutile dire che non è finita qui: tra il 1970 ed il 1980, l'esplosione musicale è incontrollabile. Negli USA nascono realtà che ancora oggi sono definite mitiche per il suono caldo e profondo che sanno trasmettere: i Lynyrd Skynyrd. Ascoltando le loro canzoni ci si immagina subito a cavallo di una motocicletta, senza pensieri importanti nella testa, guidando su strade solitarie nel deserto. Sono un gruppo molto impegnato e fondono in un solo stile musicale (il southern rock, appunto) stili musicali come il gospel, blues, country, il rithm’n’ blues che prima nessuno avrebbe mai unire in maniera così prepotente e folgorante. I Lynyrd Skynyrd non hanno molta vita: nascono nel 1970 e a causa di un incedente aereo, alcuni dei principali componenti muoiono nel 1977. Il gruppo viene ricomposto, ma l’originalità del gruppo viene persa con la morte del frontman Ronnie Van Zant. Scopriamo altre stelle nel firmamento: David Bowie chiede aiuto agli extraterrestri per produrre Ziggy Stardust (che diventa l’icona per antonomasia degli eccessi in tutti i campi), i Pink Floyd ribadiscono una leadership “sociale” leggendaria con The Dark Side of the Moon e The Wall, la discomusic riempie le sale da ballo e viene consacrata da John Badham, regista esordiente con “La febbre del sabato sera”, il rock “classico” battezza i Queen che tra gli anni 70 e il decennio successivo sforneranno una quantità a dir poco incredibile di canzoni e di successi. Non è finita: una stella dalla luminosità violenta e dannosa per le cornee si afferma sul finire dei 70: il punk. Con una vena autodistruttiva in poco tempo Sex Pistols nascono, sconvolgono il mondo musicale (anche in termini di management) e muoiono, come un’araba fenice che troverà nei Ramones il lato più scherzoso, nei Clash quello più profondo e, forse, musicalmente più interessante. Succede anche una cosa interessante: un ragazzo di colore, con tanti dreadlock fa il suo ingresso sulla scena musicale. Stiamo parlando del giamaicano Bob Marley. Bob cominciò la sua carriera artistica nel 1964 con i Wailers, ma è nel 1974 che con “Burnin’” Bob Marley si consacra al grande pubblico, diventado da subito una icona del mondo della musica. Nei successivi anni Bob fece uscire altri grandi album come “Exodus” che contiene alcuni brani storici della discografia dell’autore giamaicano. Con lui il reggae comincia a farsi conoscere e a diffondersi in tutto il mondo, Italia compresa. Dopo una tale esplosione era inevitabile che branchi di ragazzini cominciassero a suonare nei garage, in cantina o addirittura in casa: un terreno che spianerà la strada alla miriade di nomi degli anni 80 che, rispetto ai seventies, saranno molto meno ingenui, più duraturi ma forse meno sinceri.



Con gli anni 1980 c’è solo l’imbarazzo della scelta per quello che riguarda la musica. Non esiste in questi anni un genere che predomini sugli altri. Tutti i generi hanno avuto la loro importanza, i loro grandi esponenti e i loro grandi successi. Avete voglia di rock? Eccovi serviti degli ottimi AC/DC, Iron Maiden, Queen, Black Sabbath, Metallica. Il rock non vi piace, preferite qualcosa di più, elettronico? Non c’è nessun problema, perché allora gli anni 1980 con i Depeche Mode o i Joy Division prima e i New Orders dopo, faranno proprio al caso vostro. Molta della musica inglese dell’epoca è nata non a Londra, ma a Manchester o Madchester come veniva allora chiamata. Il periodo più tossico che la città abbia vissuto, ma che portò prosperità alla città. Il perno di questa industria musicale alternativa fu la casa discografica Hacienda o Factory 51, da cui tutti i maggiori gruppi passarono. Gli anni del punk non sono ancora finiti, ma nasce già l’epoca del post-punk. Non è che il punk finisca, ma viene fatto miscelare con elementi più morbidi che lo rendono più “vendibile”. I Sex Pistols continuano a fare danni, i Clash non hanno ancora finito la loro vena creativa, ma altri piccoli gruppi vogliono emergere. Con i Joy Division è finita l’epoca del cantante sorridente sul palco, che si diverte. L’epoca in cui sono immersi non è un’epoca in cui sorridere non viene proprio spontaneo, soprattutto in Inghilterra, dove il Primo Ministro, Margaret Thacher, non esita ad usare le maniere forti per reprimere gli scioperi dei sindacati dei minatori. I Joy Division non scrivono canzoni “felici”, al contrario. Sono però uno dei principali gruppi che invece di suonare con strumenti veri e propri, comincia ad utilizzare l’elettronica in modo serio. I Joy Division, divennero i New Order dopo la morte del loro cantante, ma continuarono a tenere lo stile che li aveva resi famosi. Preferite qualcosa di più solare?? Nessun problema. Gli anni 1980 sono soprattutto famosi per il genere pop che dilaga. Non a caso i cantanti di questo genere, sono diventati, nella maggior parte dei casi, delle vere e proprie icone musicali. Una per tutti è Madonna. Le sue doti di ballerina prima e di cantante poi la portarono molto presto al successo. I suoi primi brani erano brani di musica da discoteca, solamente dopo qualche anno la cantante cominciò a scrivere e pubblicare musica pop. In uno dei primi tour che la cantante americana fece in giro per gli USA, un gruppo di giovani rapper la seguiva: erano i Beasty Boys. Madonna fu ed è un’icona per quanto riguarda lo stile nel vestire e nel lanciare nuove mode che si diffusero in un battibaleno in tutto il mondo. I rap e l’hip hop in questa decade si diffusero non solo nelle grandi metropoli americane, ma arrivarono in un po’ tutto il mondo. Il rap, al contrario del resto dei generi, non prevedeva che si cantasse sulla musica, ma che si parlasse su di essa. E nella stragrande maggioranza dei casi, non era musica nuova: i dj, grazie all’utilizzo di p iatti, mixer e altri congegni riuscivano a creare delle basi partendo da pezzi di canzoni provenienti da vecchi dischi. Si creava da quello che altri avevano suonato. All’inizio il rap era una musica per gente di colore e i Beasty Boys fecero scalpore perché non erano di colore, non provenivano da quartieri “pericolosi”. Inizialmente erano un gruppo cross over, che, grazie all’aiuto di un produttore quale Rick Rubin, fece passare il gruppo alla scena hip hop, in cui i ragazzi si trovarono a loro agio. Gli anni 1980 vedono anche l’entrata nelle classifiche di un gruppo musicale proveniente dall’Irlanda e che cavalcherà l’onda delle classifiche fino ad oggi: gli U2. Fin dall’inizio della loro carriera, gli U2 hanno riscosso un successo mondiale. Non c’è Paese in cui loro non siano acclamati a gran voce.



Grazie ai film degli anni 90, il grande pubblico “scopre” il disagio giovanile non solo del periodo che si sta vivendo, ma anche del passato: “Il Giardino delle Vergini Suicide” di Sofia Coppola, “Trainspotting” di Terry Gillian, “American Beauty” di Sam Mendes, “American History X” di Tony Kaye e tanti altri. Il punto che li accomuna tutti è che parlano di questi problemi al pubblico senza mezzi termini. E senza mezzi termini parlano i musicisti che si sono affermati in questa decade musicale, riprendendo lo stesso tema ed ampliandolo, unendo vari generi musicali che fino ad allora erano divisi creandone di nuovi come il Nu Metal (che unisce l’hip Hop e il rock) dove i Korn, i Limp Bizkit, P.O.D., Papa Roach, Slipknot e Deftones la faranno da padroni per molto tempo. Sul fronte del Pop, nasce il BritPop, con la rivalità tra gli Oasis (dei fratelli Gallagher) e i Blur (di Damon Albarn) che porterà i due gruppi a vendere milioni di dischi in tutto il mondo e a creare capolavori come “Song 2”, “Wonderwall”, “Don’t look back in anger” e “Come togheter”. Ma gli anni 90 verranno ricordati soprattutto per il rock e per tutte le derivazioni che nasceranno, ma anche per i lutti che in questi anni ci porteranno via alcuni dei più grandi cantanti che il mondo dl rock abbia mai avuto, Freddy Mercury in primis. I Metallica pubblicano il loro album “The Black Album” e diventano uno dei gruppi Heavy metal più importante e più longevi della storia della musica. Oltre che uno dei più criticati e più imitati. Ma se si pensa agli 90, si pensa ad alcuni grandi gruppi che descrivono molto bene il senso di disagio dei giovani che si avverte in tutto il mondo. Sono gruppi del calibro di Alice in Chain, SoundGarden, The President of United States of America. Ma soprattutto ci sono i Nirvana che con “Nevermind” si affermano al grande pubblico. I Nirvana erano capitanati da Kurt Cobain che non abbracciò mai del tutto la popolarità che il gruppo ottenne. I componenti di questi gruppi, che vengono definiti “grunge”, hanno uno stile di vestire nuovo: si presentano al pubblico con camicie di flanelli a quadri, scarpe da ginnastica strausate, jeans rotti e capelli lunghi. Questo per andare in completa antitesi con quello che si pensava dei gruppi nelle decadi precedenti. I membri del gruppo, ma in particolare chi cantava, doveva essere perfetto in tutto: abbigliamento, capelli e modo di presentarsi. Ora si pensa solamente alla negazione delle regole imposte: se prima i parolieri scrivevano canzonette, per gente che voleva apparire e vendere più dischi e continuare ad essere in classifiche, i nuovi gruppi musicali prendono questo clichè e lo sbattono nel cesso tirando l’acqua: sembra quasi che dicano: i testi li scriviamo noi, saranno non proprio corretti, ma renderanno meglio l’idea di quello che vogliamo dire. Appariremo nelle interviste come vogliamo noi, tanto non ce ne importa di quello che direte. Noi siamo la realtà di tutti i giovani di cui parliamo, mentre voi non siete che canzonette e marionette. Nel mondo del Rap, assistiamo ad una ascesa di personaggi del calibro di Dr. Dre, l’entrata in scena di Snoop Doggy Dogg di 2 Pac e Notorius Big (che ne usciranno violentemente a causa di una rivalità che si insegue lungo tutto l’intero continente americano), dei Fugees e del rapper bianco che fece più scalpore di tutti: Eminem.



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