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LA LETTERATURA DAL 1000 A PETRARCA LA NASCITA DEL LINGUAGGIO VOLGARE Mentre il latino continua ad essere utilizzato come lingua della cultura, ottenendo poi una irrefrenabile ripresa nel 1400 (UMANESIMO) in tutti i campi di scrittura, non più solo in quelli della cultura, già intorno al 1000 – 1100 emergono una serie di volgari (volgare = lingua discendente dal latino ed usata dal vulgus ovvero il popolo) caratterizzati da una inconfondibile identità linguistica (i volgari europei discendenti dal latino furono infatti denominati romanzi, in quanto la loro culla originaria era stata Roma), e in alcuni casi (come Spagna e Francia) coincidenti sul piano politico – statuale. La base romanza comune consentì una serie di contatti e di processi di scambio/influenze. Come Dante teorizza nel “De vulgari eloquentia”, ci furono letterature in: •

lingua d’Oc in Occitania e Provenza

lingua d’Oil nella Francia del Nord e in Bretagna

lingua “del sì” in Italia

lingua castigliana in Castiglia

Il linguaggio volgare prese definitivamente il sopravvento sul latino solo nel XVI secolo. LA SOCIETA’ CORTESE E I SUOI VALORI: EPOS (CAVALLERIA) ED EROS (AMOR CORTESE) Nella società feudale, I SIGNORI sono impegnati nell’esercizio della guerra e delle armi. Da ciò derivavano una serie di ideali e miti: il coraggio, la generosità, lo sprezzo del pericolo, l’eroismo  sono i valori della cavalleria. Tutti questi valori sono alla base dell’epica cavalleresca che si sviluppa in questo periodo. Ma nel privato delle corti, assumeva importanza un altro tema: quello dell’Amore cortese, basato su un complicato cerimoniale di corteggiamento, devozione, soggezione alla donna vista come signora, madonna, patrona; soggezione spinta appunto fino all’estremo, tanto da istaurare un rapporto di vassallaggio (dama – amante = signore – vassallo).

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LE FORME ESPRESSIVE Anche esse si adeguano al rinnovamento profondo delle tematiche e dei valori della nuova società. In questa fase si distinguono due grandi categorie: la poesia e la narrativa. Narrazione = qualsiasi tipo di racconti di fatti ed azioni svoltisi in qualsiasi condizione temporale o spaziale. Può essere sia in prosa che in versi. In questo periodo è il racconto epico romanzesco, un racconto in cui si esalta la figura dell’eroe o degli eroi, che è anche un racconto morale in quanto serve ad ammaestrare il lettore e ad impartirgli insegnamenti utili. Ma è anche un racconto dilettevole in quando ha lo scopo di divertire il lettore. Poesia = espressione letteraria particolarmente raffinata e costruita, con cui si vuole prevalentemente rendere uno stato d’animo, un sentimento, legato a una specifica situazione. E’ solo in versi. La poesia lirica in lingua d’Oc che nasce in questo periodo storico è molto legata al tema dell’amore. ________________________________________________________________________________

LETTERATURA CAVALLERESCA: POEMI (CHANSONS DE GESTE) Negli stessi anni in cui in Provenza nasceva la poesia dei trovatori, nel nord della Francia circolavano le chansons de geste, POEMI EPICI in lingua d’oil cantati nelle corti e nelle piazze da una categoria specializzata di giullari. Il loro tema principale è costituito dalle imprese di Carlo Magno e dei suoi paladini in lotta contro i musulmani: infatti l’insieme delle Chansons de geste è chiamato CICLO CAROLINGIO. I fatti storici dell’epoca carolingia sono rielaborati e idealizzati per offrire un monolitico e incisivo modello di comportamento per la società francese dell’epoca delle crociate. I valori celebrati sono quelli della cavalleria: o

nobiltà di sangue

o

coraggio

o

forza fisica

o

fedeltà fino alla morte alle gerarchie ecclesiastiche e feudali

o

“guerra santa” contro nemici della fede.

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Anche quando cominciano ad essere tramandate per iscritto, le chansons mantengono le caratteristiche tipiche della trasmissione orale: ripetitività, suddivisione in episodi autosufficienti, semplicità di linguaggio. La fortuna delle chansons dura fino al XIII secolo, quando lasciano posto a rimaneggiamenti in prosa. Solo nelle canzoni più tarde compaiono elementi amorosi, comici, fantastici, in risposta alle nuove esigenze del pubblico delle corti, stanco del rude ascetismo del modello cavalleresco e affascinato da un ideale di vita più raffinato e gaudente. Il poema più famoso del ciclo carolingio (e dunque una delle chansons de geste) è la CHANSON DE ROLAND: scritta probabilmente tra il 1080 e il 1100 da un letterato di cui non sappiamo nulla, tratta il tema di un episodio della spedizione compiuta da Carlo Magno contro i musulmani di Spagna nel 778: nella finzione letteraria (nel senso che la vicenda presentata è un po’ “esaltata” rispetto alla realtà dei fatti) l’imperatore Carlo, con una guerra di sette anni, ha sottomesso quasi tutta la Spagna sconfiggendo i Saraceni. Il loro re, Marsilio, è assediato a Saragozza. Vengono avviate trattative di pace e Carlo invia come ambasciatore il conte Gano di Maganza, padre di Orlando (Rolando). Il conte però tradisce e si mette d’accordo con Marsilio: convince dunque Carlo a ritirarsi e a lasciare indietro una retroguardia che è capeggiata dal figlio Orlando, dando modo ai Saraceni di attaccare la retroguardia stessa. Viene narrata la morte eroica di Orlando e dei suoi compagni, e poi il ritorno di Carlo, che sconfiggerà i Saraceni e punirà il traditore. La morte di Rolando: Rolando viene qui raffigurato come eroe e paladino di re Carlo. La sua morte di Rolando viene descritta come l’offerta del guanto al cielo di Rolando, e l’arcangelo Gabriele che lo prende  APOTEOSI DI TIPO RELIGIOSO  epica guerriera che si congiunge con l’epica religiosa. Lo stile di questa chanson è organizzato in semplici strutture metriche denominate lasse (unità fondamentale di gruppi di versi estremamente variabili) che parlano di prodi cavalieri in lotta per l’onore e per la fede. Il racconto è elementare e potente, senza analisi psicologiche o divagazioni avventurose, tutto basato sulla netta contrapposizione tra bene e male, cristiani e non cristiani.

Questo tipo di letteratura cavalleresca non si diffonde solo nella Francia del nord, ma anche in Spagna: il Cantar de mio Cid (dove Cid è, in arabo, signore, capo militare) è un poema epico anonimo risalente al 1140 circa che racconta le gesta del condottiero Rodrigo Díaz de Vivar, chiamato El Cid dai musulmani, e Campeador (guerriero, capo militare) dai cristiani. Egli sconfisse 3


i mori in una serie epica di battaglie e conquista Valencia. Il poema fu diffuso da giullari e poeti erranti che si spostavano di luogo in luogo. ________________________________________________________________________________

LETTERATURA CAVALLERESCA: ROMANZO CORTESE Come detto in precedenza, ad un cero punto emersero da parte del pubblico delle corti nuove esigenze, che si manifestarono nella comparsa di elementi amorosi, comici, fantastici. Questi elementi cominciano ad intravedersi in alcune canzoni più tarde, ma il genere che meglio risponde a questa evoluzione del gusto è il romanzo cortese: nasce in Francia nel XII secolo. A differenza delle canzoni di gesta, non racconta imprese militari collettive, ma avventure di singoli cavalieri che perseguono una propria meta individuale. È scritto in versi ma concepito per la lettura e non per la recitazione. Grande spazio è dato al tema dell’amor cortese, agli elementi meravigliosi e fiabeschi. Due filoni: •

Materia antica: rielaborazione in chiave medievale di storie e leggende dell’antichità classica (es. Romanzo di Tebe).

Materia di Bretagna: dedicata alle favolose imprese di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Viene chiamato anche “CICLO BRETONE”. La lingua è d’Oil: gli autori inglesi scrivevano in francese antico con le varietà dialettali del normanno. La produzione si colloca tra la metà del XII secolo (1150) e i primi decenni del XIII. Al centro della narrazione c’è il mito di Re Artù e della Tavola Rotonda, la figura di Merlino (come impronta degli antichi sacerdoti celtici, i Druidi), e i cavalieri: Tristano (che presenta tratti spirituali e tragici  TRISTANO E ISOTTA), Lancillotto (che presenta tratti appassionati e mondani  LANCILLOTTO E GINEVRA) e Parsifal (alla ricerca del Santo Graal). La figura del cavaliere: il cavaliere della tavola rotonda, alla corte di re Artù, non è più l'Orlando della Chanson de Roland che muore con tutta la sua schiera a Roncisvalle come un martire, ma è un solitario cavaliere errante che va alla ricerca di prove sempre più difficili per esaltare se stesso e per conquistare la donna amata.

Dalla Francia, la poesia cavalleresca (chansons de geste e romanzo cortese) si diffusero in Spagna, Inghilterra, Germania, Italia, ed influenzò molto gli sviluppi delle diverse letterature nazionali, dando vita a numerosissime rielaborazioni, riprese, contaminazioni, sia in prosa che in poesia, e sia 4


a livello dotto che a livello popolare. Nella fattispecie queste storie si diffusero in Italia a partire dal 1200. ________________________________________________________________________________

UNA NARRATIVA PIU’ … COMICA Tornando nella Francia del nord, sempre in questo periodo (1200) fiorì una diversa forma di narrativa in versi: il FABLIAU (diminutivo di fable, significa alla lettera “favoletta”). Si tratta di racconti in versi di argomento comico, composti da giullari e destinati ad essere recitati davanti a un pubblico che poteva essere di estrazione sociale varia. Attraverso di essi parla lo spirito del popolo francese del tempo. Sono racconti molto brevi, di intonazione decisamente comica, in cui si narrano beffe e burle, vigorose imprese sessuali e poderose canzonature. I protagonisti sono cavalieri ed ecclesiastici, ma anche contadini, artigiani, donnine allegre e gente di malaffare. ________________________________________________________________________________

… e UNA NARRATIVA PIU’ … “MORALE” La DISCIPLINA CLERICALIS, una raccolta di sentenze e apologhi morali di varia provenienza, scritta in latino, è un racconto di tipo morale finalizzato a trasmettere un insegnamento al lettore. Autore dell’opera fu Pedro Alfonso, un ebreo spagnolo convertitosi al cristianesimo nel 1106, che conosceva lo spagnolo, il latino, l’ebraico e l’arabo. ________________________________________________________________________________

LA LIRICA PROVENZALE L' amore ha rappresentato uno dei temi fondamentali della poesia di tutti i tempi e non c'è stato poeta che non l'abbia trattato, eccetto quelli di ispirazione religiosa come S. Francesco e Jacopone da Todi. La lirica provenzale, scritta in lingua d’Oc, fiorisce appunto in Provenza tra la fine dell’ XI e la fine del XIII secolo. Grandi protagonisti di questa poesia furono i trovatori e i giullari: i primi erano gli inventori dei testi (trovatori  trovare nel senso di inventare le forme e i temi più adeguati); i secondi invece erano gli uomini di recitazione e di spettacolo, che giravano di corte in corte recitando o cantando i componimenti dei trovatori. Questa lirica è infatti strettamente legata all’ambiente delle corti, dove il benessere e l’affinamento dei costumi della classe nobiliare producono una domanda di cultura elitaria, elegante, capace di dar lustro al signore e di cantare 5


una visione del mondo diversa da quella trasmessa dalla tradizionale cultura clericale. È dunque una letteratura a circuito chiuso: i poeti (trovatori) vivevano all’interno della corte, e scrivevano i testi ma spesso anche le musiche, dato che i componimenti venivano cantati con l’accompagnamento di uno strumento a corde. L'amore è assunto come tema dominante, se non proprio esclusivo, ed assume un aspetto nuovo che non ha alcun riferimento con la tradizione classica e si inserisce a pieno titolo nella più recente tradizione cavalleresca. Si tratta infatti di un "Amore cortese" (termine creato dal critico francese Gaston Paris nel 1883), un sentimento puro dell'anima rivolto ad una donna irraggiungibile: la donna (qui definita come una “signora”, riprendendo il rapporto di vassallaggio) è un essere superiore in ogni senso, al quale il poeta offre omaggio, devozione e una sconfinata sottomissione. Infatti venerazione per la donna, desiderio erotico spesso non soddisfatto ed esperienza amorosa come perfezionamento ed elevazione spirituale sono i punti chiave di questi scritti. L’amore si presenta qui come esperienza ambivalente fondata sulla compresenza di piacere e sofferenza. Tale "ambivalenza" è detta mezura, cioè la "misura", la giusta distanza. Tipico della lirica provenzale è che i poeti si dichiarino continuamente vassalli della loro donna amata e sognino incontri vagheggiati in giardini fioriti e nella stagione primaverile: situazioni e ambienti comuni che ci fanno comprendere come essi, per la maggior parte, aderissero al tema dell'amore per consuetudine, secondo un canone ben definito, con risultati artistici di grande rilevanza ma il più delle volte estranei alle loro reali esperienze sentimentali (finzione poetica). Ma a prescindere che si tratti di un rapporto sincero o di una finzione, è sicuro che il rapporto rappresentato sia incentrato sul punto di vista maschile, e cioè sull’immaginario dell’uomo e non su quello della donna. Dal punto di vista metrico e stilistico emergono due modi di poetare, una forma semplice (e quindi più accessibile) e una più chiusa (tale da non rendere troppo banale la poesia). Inoltre i trovatori, estremamente attenti agli aspetti tecnici della loro arte, distinguevano tre tipi di stile: il trobar clus (enigmatico e oscuro), il trobar leu (semplice e aggraziato) e il trobar rich (ricco e adorno). Inizialmente le liriche dei trovatori erano scritte per essere cantate e accompagnate dalla musica, ma solo a partire dal XIII secolo iniziano a circolare raccolte scritte finalizzate alla lettura, complete di spiegazioni e biografie degli autori: segno di un interesse (nuovo per il Medioevo) per l’individualità dell’artista. Inizi: Il più antico trovatore è Guglielmo IX duca d’Aquitania, grande signore feudale. 6


Fine: fra il 1208 e il 1228 papa Innocenzo III proclamò contro questa regione una vera e propria crociata, detta degli Albigesi (dal nome della città di Albi, che insieme a Tolosa erano le roccaforti). Una guerra santa violentissima, scatenata appunto dalla Chiesa, ma anche dalla corona francese, nel Sud del regno, che estirpò in un bagno di sangue la fede catara e le sue proposizioni ritenute eretiche (prima fra tutte la convinzione che non esistesse un solo dio, ma due: quello del bene che regna nei cieli, creatore degli spiriti umani, e quello del male che regna sulla terra, creatore dei corpi e di tutte le cose visibili). L’enorme diffusione dell’eresia infatti nella Francia del sud allarmò la Chiesa cattolica, che rispose dapprima con l’istituzione dell’ordine dei domenicani, poi con lo scatenamento della crociata e il rafforzamento dell’Inquisizione. Il re di Francia, Filippo Augusto, colse l’occasione della crociata per riconfermare il proprio dominio politico sulle ricche e raffinate regioni meridionali, da sempre gelose delle proprie autonomie e dei propri privilegi. Questa crociata distrusse le corti provenzali; da quel momento la poesia provenzale subì un declino e numerosi trovatori trovarono riparo presso altre corti: così la lirica dell’amor cortese si diffuse in Europa. CONCLUSIONE GENERALE: nel periodo della nascita delle letterature europee romanze, l’amore, rapporto che può essere sentimentale, passionale, sessuale, a seconda dei casi, tende comunque ad essere sempre visto dal punto di vista dell’immaginario maschile.

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LA POESIA LIRICA IN ITALIA SCUOLA SICILIANA: furono i Siciliani presso la corte di Federico II ad impiegare per la prima volta un volgare italiano nella lirica d’amore, ispirandosi a quella provenzale. La corte di Federico II di Svevia era impegnata nella costruzione di uno stato “moderno”, accentrato, autonomo dalle ingerenze della Chiesa. È dunque una cultura di ispirazione laica (a differenza delle culture precedenti), e i poeti di questa scuola sono funzionari di corte, magistrati, notai alle dipendenze dell’imperatore, legati alla sua politica culturale. Il nuovo ceto laico intellettuale si contrappone dunque a quello religioso. Oggi si parla di Scuola siciliana solo per indicare il gruppo di poeti (25 circa) attivi nel periodo fra il 1230 e il 1266, quando, con la battaglia di Benevento in cui venne sconfitto il figlio e successore di Federico, Manfredi, il sogno ghibellino della dinastia sveva subì una crisi rapida e definitiva. In 7


realtà, il periodo di fioritura vera e propria della Scuola siciliana fu ancora più breve e si concentrò nel ventennio 1230-1250. Nonostante la vita molto breve, questa scuola influì molto su temi e forme della lirica Italiana in generale. Tra i maggiori poeti siciliani spicca Giacomo da Lentini. Rispetto al modello provenzale, cambia anzitutto la figura del poeta. Questi non è più un professionista proveniente dalle file dei cavalieri poveri e della piccola nobiltà, né un giullare, ma, quasi sempre, un borghese che esercita funzioni giuridiche e amministrative a corte (funzionari di corte, magistrati, notai, al servizio dell’imperatore), e che si dedica alla poesia solo per diletto. Il tema unico delle loro liriche è l’amore cortese secondo il modello dei trovatori, ridotto però ad alcuni motivi ricorrenti: le manifestazioni dell’amore, la gioia, la sofferenza che ne conseguono, la visione della donna e i suoi effetti sull’innamorato. Resta il motivo del vassallaggio d’amore preso in prestito dalla società feudale, con le offerte, da parte del soggetto poetico, del "servizio" d’amore nella speranza di avere in cambio dalla donna una ricompensa. Ma una differenza importante è la figura della donna: è meno delineata, eterea, lontana, spesso inaccessibile, celebrata per la sua bellezza e per le sue virtù morali, superiore rispetto a tutte le altre (si usano molti paragoni naturalistici per descriverla). Dunque anche per i siciliani si tratta di un amore cortese rivolto ad una donna che è da tutti ritratta allo stesso modo: bionda la testa, chiaro il viso, amabile il tratto, nobile il sentimento: "rosa profumata, "stella lucente" sono gli epiteti che più frequentemente ricorrono nelle loro poesie. Anche qui non è assente il tema della lontananza, come nella lirica "Meravigliosamente" del Notaro da Lentino, che si consola con l'immagine della donna che si è dipinta nel cuore. In questa poesia appare già la confessione da parte del poeta di un certo turbamento che gli deriva dalla occasionale vicinanza della donna, turbamento che gli impedisce di dichiarare il suo amore e che diventerà tipico della poesia stilnovistica. Le strutture metriche principali sono due: •

la canzone (derivata dalla canso provenzale), che diventa la forma più elevata e illustre di poesia lirica;

il sonetto, che è una vera e propria invenzione siciliana, essendo stato usato per la prima volta dal caposcuola dei Siciliani, Giacomo da Lentini. Il sonetto tratta argomenti diversi, prevalentemente, presso i Siciliani, discorsivi, teorici, filosofici e morali (è usato, per esempio, per le tenzoni sull’amore di Giacomo da Lentini con Pier delle Vigne e altri rimatori siciliani e toscani), ma anche amorosi e scherzosi. Il sonetto sarebbe nato da una stanza di canzone, di soli endecasillabi, con fronte di otto versi e sirma di sei versi. È un 8


componimento di minore impegno rispetto alla canzone e per questo può aprirsi, in una certa misura, anche alla realtà quotidiana. I poeti siciliani scrivono in un siciliano arricchito da innesti provenzali e latini, a cui Dante attribuirà la qualifica di volgare illustre, per la nobiltà della sua intonazione.

Giacomo da Lentini: Jacopo da Lentini, conosciuto anche come Giacomo da Lentini o "Il Notaro" (Lentini, 1210 circa – 1260 circa), è stato un poeta e notaio italiano. Fu uno dei principali esponenti della Scuola siciliana. È considerato l'ideatore del sonetto.

MERAVIGLIOSAMENTE:

1. Meravigliosamente

1. In modo straordinario

2. un amor mi distringe

2. un amore mi lega

3. e mi tene ad ogn’ora 1.

3. e sempre mi tiene afferrato.

4. Com’om che pone mente

4. Come uno che guarda attentamente

5. in altro exemplo pinge

5. un modello e dipinge

6. la simile pintura,

6. un quadro ad esso simile,

7. così, bella, facc’eo,

7. così, bella, faccio io,

8. che ‘nfra lo core mei

8. che all’interno del mio cuore

9. porto la tua figura 2.

9. porto la tua immagine.

10. In cor par ch’eo vi porti 3,

10. Sembra che io vi porti nel cuore,

11. pinta como parete,

11. dipinta così come realmente apparite,

12. e non pare di fore.

12. e non appare all’esterno.

13. O Deo, co’ mi par forte.

13. O Dio, come mi pare difficile.

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14. Non so se lo sapete 4,

14. Non so se lo sapete,

15. con’ v’amo di bon core:

15. come vi amo con cuore sincero:

16. ch’eo son sì vergognoso 5

16. perché io sono così timido

17. ca pur vi guardo ascoso

17. che vi guardo rimanendo nascosto

18. e non vi mostro amore.

18. e non vi dimostro il mio amore.

19. Avendo gran disio,

19. Avendo gran desiderio,

20. dipinsi una pintura,

20. dipinsi un quadro,

21. bella, voi simigliante,

21. bello, a voi somigliante,

22. e quando voi non vio 6,

22. e quando non vi vedo,

23. guardo ‘n quella figura,

23. guardo quell’immagine,

24. e par ch’eo v’aggia avante:

24. e mi sembra di avervi davanti:

25. come quello che crede 7

25. come fa il credente

26. salvarsi per sua fede,

26. che pensando di salvarsi per la sua fede,

27. ancor non veggia inante.

27. anche se non ha davanti il suo oggetto.

28. Al cor m’arde una doglia 8

28. Nel cuore mi brucia un dolore,

29. com’om che ten lo foco

29. come un uomo che tiene fuoco

30. a lo suo seno ascoso 9,

30. nascosto nel petto,

31. e quando più lo ‘nvoglia,

31. e quanto più lo avvolge

32. allora arde più loco

32. tanto più vi arde

33. e non pò stare incluso:

33. e non può stare chiuso:

34. similemente eo ardo

34. allo stesso modo io brucio

35. quando pass’e non guardo 10

35. quando vi passo davanti e non vi guardo

36. a voi, vis’amoroso.

36. per celare il mio sentimento d’amore.

37. S’eo guardo, quando passo 11,

37. E se invece quando passo vi guardo,

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38. inver’voi, no mi giro,

38. verso di voi poi non mi giro,

39. bella, per risguardare.

39. bella, per guardarvi una seconda volta.

40. Andando, ad ogni passo

40. Camminando, a ogni passo

41. getto uno gran sospiro

41. faccio un profondo sospiro

42. che facemi angosciare;

42. che mi fa respirare affannosamente;

43. e certo bene ancoscio,

43. e mi angoscio a tal punto

44. c’a pena mi conoscio,

44. che a malapena sono in possesso di me,

45. tanto bella mi pare 12.

45. tanto bella mi appari.

46. Assai v’aggio laudato,

46. Vi ho lodato a sufficienza,

47. madonna, in tutte parti

47. mia signora, dovunque,

48. di bellezze ch’avete.

48. per la vostra bellezza.

49. Non so se v’è contato

49. Non so se vi è stato detto

50. ch’eo lo faccia per arti,

50. che io lo faccio per finzione o scherzo,

51. che voi pur v’ascondete.

51. visto che continuate a nascondervi.

52. Sacciatelo per singa 13,

52. Ma comprendete dai segni,

53. zo ch’eo no dico a linga,

53. ciò che non dico a voce,

54. quando voi mi vedrite.

54. quando mi vedete.

55. Canzonetta novella,

55. Canzonetta appena composta,

56. va’ canta nova cosa;

56. vai a cantare questa nuova cosa,

57. lèvati da maitino 14

57. alzati di buon’ora

58. davanti a la più bella,

58. davanti alla più bella,

59. fiore d’ogni amorosa,

59. fiore di ogni donna capace d’amore,

60. bionda più c’auro fino 15:

60. bionda più dell’oro più prezioso:

61. “Lo vostro amor, ch’è caro,

61. “Il vostro amore, che è prezioso,

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62. donatelo al Notaro

62. donatelo al notaio

63. ch’è nato da Lentino” 16.

63. che è nato da Lentino”.

Sin dai primi versi, si vede come il testo si concentri sulle reazioni intime dell’innamorato, alleggerite dalla scelta del settenario, tesa a rendere il ritmo della canzone più semplice e orecchiabile. VERSI 1-3: descrive in breve che ciò che l’attanaglia è l’amore. VERSI 4 - 12/ 19 - 27: descrive cosa il poeta ha fatto per vedere la donna  crearsi una immagine di come realmente è, perché è l’unico modo in cui può vederla. VERSO 10: Jacopo da Lentini qui si serve della replicazione, tecnica molto usata nella lirica trobadorica e dai poeti siciliani, ovvero della ripresa di concetto e parole presentate nella chiusa della strofa precedente. VERSO 20: la metafora dell’immagine della donna amata che il poeta porta dipinta nel cuore occupa le prime tre stanze di Meravigliosamente. Si sta costruendo nella mente dell’autore l’immagine (o l’exemplum) della DONNA AMATA. Troviamo in questo caso un tema che verrà molto utilizzato nello stilnovo: l’innamoramento, il sentimento amoroso, deve essere nascosto e viene quindi trasferito in una immagine figurativa esteriore. Inoltre proprio perché questo sentimento è “nascosto”, e anche perché la figura della donna è ritenuta superiore ( nello stilnovismo addirittura donna – angelo), il poeta non può volgere lo sguardo ad essa e dichiararle il proprio amore. L’amore per la donna (e per Dio) è limitato dal fatto che io debba contemplarlo di continuo, e quindi l’immagine è un sostegno per la memoria. La pittura è un sostituto/segno della figura. [Nel medioevo l’iconografia era a volte sostitutiva della scrittura, e la figurazione, per molte donne, era l’unica fonte di accesso alla conoscenza]. Sicuramente in questo periodo siciliano la donna non è ancora “conoscenza” (nel senso di conoscenza divina) ma è sicuramente, forse ancor più che nelle liriche provenzali, un elemento che rivela la nobiltà d’animo dell’uomo, e che lo porta a migliorarsi. VERSI 13 - 18: il poeta è timido e nasconde il suo amore all’amata, senza palesare i propri sentimenti. Ch’eo son sì vergognoso: il tema dell’amante timido è un topos già presente nella poesia provenzale in langue d’oc. VERSO 28-45: dentro di lui il poeta ha un dolore che lo brucia, come chi vuole tenere il fuco nascosto. Questo fuoco è il desiderio di vederla, ma invece è costretto a non volgergli lo sguardo. Gli occhi sono la parte più importante, il senso più utilizzato nella lirica d’amore, perché è l’organo 12


attraverso il quale penetra il sentimento amoroso. Lui ha desiderio di guardarla, ma se la guarda anche solo una volta gli prende un sentimento di angoscia. VERSI 46-54: si rivolge all’immagine della donna, ed emerge la sincerità del suo amore. VERSO 49-50: l’autore si rivolge all’immagine della donna che si è costruito, dicendole “non so se ve lo abbiano detto che io lo faccio per finta”. VERSI 55-63: il poeta si rivolge infine alla canzone stessa, la quale viene caricata di uno scopo sociale: recare il messaggio di come il perfetto amante si riveli attraverso la scrittura, nella sua cerchia ristretta, utilizzando il codice dell’amore gentile, riconosciuto solo nel suo ambito. Emerge la nobiltà d’animo e non di nascita. L’amore è celato, l’innamorato è al servizio dell’amore, della “madonna”, ed in lui avviene una trasformazione  opera di raffinamento. Alla fine, il poeta “firma” il proprio testo e lo indirizza alla donna amata, secondo una tradizione poi recuperata dagli stilnovisti e da Petrarca. ________________________________________________________________________________

Pier delle Vigne Pier delle Vigne fu un politico, scrittore e letterato del Regno di Sicilia. Ha dato un contributo anche allo sviluppo del volgare di scuola siciliana con alcune canzoni e un sonetto.

AMORE, IN CUI DISIO ED HO SPERANZA Amore, in cui disio ed ho speranza,

Amore, che desidero e nel quale pongo la mia speranza,

di voi, bella, m’ha dato guiderdone, e guardomi infinché vegna allegranza, pur aspettando bon tempo e stagione. Com’om ch’è in mare ed ha spene di gire, e quando vede il tempo, ed ello spanna,

mi ha dato voi, bella, come ricompensa, e sto in attesa che giunga la felicità, sempre aspettando il tempo e la stagione favorevoli. Come chi sta navigando e spera di procedere, e quando vede il tempo propizio esce dalla panna (termine marinaresco per l’allineamento delle vele con la direzione del vento, che lascia ferma la nave),

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e la speranza non lo abbandona mai, e già mai la speranza no lo ’nganna,

così faccio io, madonna, venendo verso di voi.

così facc’io, madonna, in voi venire.

Ah se io potessi venire da voi, amorosa donna,

Or potess’eo venire a voi, amorosa,

come fa il ladro di nascosto, senza farmi vedere!

com’ lo larone ascoso, e non paresse:

Lo considererei davvero una gioia fortunata,

be’l mi ter[r]ia in gioia aventurusa

se Amore mi concedesse un bene così grande.

se l’Amor tanto bene mi facesse.

Con voi, o donna, sarei molto eloquente,

Sì bel parlante, donna, con voi fora,

e vi direi quanto vi ho amata da tanto tempo,

e direi como v’amai lungiamente,

più dolcemente di quanto Piramo abbia amato Tisbe

più ca Piramo Tisbia dolzemente,

(i due innamorati che nelle Metamorfosi di Ovidio si tolgono la vita, ciascuno credendo che l’altro sia morto), e vi amerò sempre finché avrò vita. È il vostro amore a mantenermi nel desiderio

ed amerag[g]io infinch’eo vivo ancora.

e a darmi speranza e grande gioia,

Vostro amor’ è che mi tene in disi[r]o

tanto che non m’importa se provo dolore e

e donami speranza con gran gioi, ch’eo non curo s’io doglio od ho martiro,

sofferenza, immaginando l’ora in cui verrò da voi; giacché se aspetto troppo, mi sembra di morire,

membrando l’ora ched io vegno a voi: ca s’io troppo dimoro, par ch’io pèra, aulente lena, e voi mi perderete; adunque, bella, se ben mi volete, guardate ch’io non mora in vostra spera.

o respiro profumato, e voi mi perderete; dunque, bella, se mi volete bene, badate che io non muoia nell’attesa di voi. Nell’attesa di voi io vivo, o donna mia, e il mio cuore chiede continuamente voi,

14


In vostra spera vivo, donna mia,

e mi pare (che sia sempre) tardi il momento

e lo mio core adessa voi dimanda,

in cui l’amore puro mi manda dal vostro cuore:

e l'ora tardi mi pare che sia

e aspetto il tempo che sia propizio

che fino amore a vostro cor mi manda;

e spieghi le mie vele verso di voi, o rosa,

e guardo tempo che sia a piacimento

e giungo in porto là dove il mio cuore

e spanda le mie vele inver’ voi, rosa,

trova

e prendo porto là ove si riposa lo meo core a l[o] vostro insegnamento.

riposo

nella

perfezione

del

vostro

comportamento. Canzonetta mia, porta questi lamenti a colei che ha in suo potere il mio cuore,

Mia canzonetta, porta esti compianti a quella ch’ha ’n bailïa lo meo core, e le mie pene contale davanti e dille com’eo moro per suo amore; e mandimi per suo messag[g]io a dire com’eo conforti l’amor che lei porto;

e (giunta) davanti a lei raccontale le mie pene e dille che io, per il suo amore, sto morendo; e (che) mi mandi a dire, tramite un suo messaggero, come io possa rendere più forte l’amore che provo per lei; e (che) se io le avessi fatto qualche torto, mi assegni la penitenza che lei vorrà.

e s[ed] io ver’ lei feci alcuno torto, donimi penitenza al suo volire.

COMMENTO Qui la forma della canzone, in endecasillabi, si articola in cinque strofe (o ‘stanze’) divise in due parti (la ‘fronte’ e la‘sirma’, la prima a sua volta divisa in due ‘piedi’ e la seconda in due ‘volte’), con lo schema AB AB (1° e 2° piede della fronte) e CD DC (1° e 2° volta della sirma); le rime sono, 15


nella terminologia provenzale, a coblas capfinidas (‘stanze capo-finite’: l’inizio del primo verso di una strofa riprende una parola o un concetto dell’ultimo verso della precedente); l’ultima stanza fa da ‘congedo’. È la struttura portante di una delle principali forme metriche della letteratura italiana In questa canzone viene descritto il concetto astratto dell’amore: l’amore, che desidero e nel quale pongo la mia speranza, mi ha dato voi, bella, come ricompensa (guiderdone = beneficio ricevuto). L’amore nascosto è un amore perfetto che sa riconoscere i segni quando esso è corrisposto. Si narra la nascita di questo sentimento amoroso, che dura da lungo tempo ed è più dolce di quello tra Piramo e Tisbe [la leggenda vuole che l’amore dei due giovani fosse contrastato dai parenti, e i due erano costretti a parlarsi attraverso una crepa nel muro che separava le loro case. Questa difficile situazione li indusse a programmare la loro fuga d’amore. Nel luogo dell’appuntamento, che era vicino a un gelso, Tisbe, arrivata per prima, incontrò una leonessa dalla quale si mise in salvo perdendo un velo che fu stracciato e macchiato di sangue dalla belva. Piramo trovò il velo dell’amata macchiato e credendola morta si trafisse con la spada. Tisbe, tornando sul luogo, lo trovò così, e dunque si uccise. I due sfortunati amanti morirono insieme ed il gelso, intriso del loro sangue, tramutò i propri frutti in color vermiglio].

È l’amore di lei che lo tiene in desiderio e sofferenza, cose che lui sopporta pensando al tempo in cui potrà andare da lei. Chiede però un’accelerazione dell’incontro, per evitare la fine di Piramo e Tisbe. Il troppo tempo (usato nel verso) sta ad indicare che è una attesa che eccede la misura dell’amor cortese, indicata come il giusto tempo, il giusto mezzo, lontana dagli estremi (mezura). e spanda le mie vele inver’ voi, rosa: usa la similitudine dell’arrivo in porto per “arrivo dalla rosa” = donna amata. Anche qui, il poeta alla fine si riferisce alla canzone, esortandola ad inviare al messaggio al destinatario, che viene qui specificato  la donna, appunto. Ma non solo la canzone ha la funzione di messaggero; infatti deve anche occuparsi di “prendere” la risposta della donna. Diventa dunque un sostituto dell’incontro. ________________________________________________________________________________ LA POESIA CORTESE TOSCANA: La poesia siciliana si diffonde nell'Italia centrale grazie alle traduzioni e alle imitazioni, adattate al proprio volgare (dunque non più volgare siciliano ma volgare toscano) che ne elabora, nei decenni immediatamente successivi, un gruppo di poeti toscani che riconosce come proprio maestro Guittone d'Arezzo. Questa poesia viene innestata nel clima dinamico e conflittuale delle città 16


comunali: se sul piano formale il riferimento resta l’imitazione dei provenzali, sul piano tematico all’amore cortese si affiancano nuovi contenuti politici e morali, legati alle vicende contemporanee. La figura di Guittone d’Arezzo: intellettuale e uomo pubblico guelfo, considerato un maestro di prosa volgare per le sue Lettere di argomento religioso ed edificante. Il fatto saliente della sua vita è una crisi religiosa che, intorno ai 30 anni, gli fa abbandonare moglie e figli per entrare nell’Ordine dei Cavalieri di Santa Maria. Le poesie precedenti alla conversione sono di argomento prevalentemente amoroso. Quelle successive invece polemizzano aspramente contro i vizi dei concittadini e le lotte intestine che dilaniano le città toscane. Formato sui provenzali e sui latini, studioso di retorica, Guittone è molto attento agli aspetti tecnici e formali della scrittura poetica: l’uso del virtuosismo e il gusto per le soluzioni difficili e oscure lo avvicinano alle esperienze provenzali del trobar clus. Sara criticato da Dante, che nel de vulgari eloquentia relegherà la sua produzione nel campo della lirica municipale, “rozza e campagnola”. Importanti però in questa momento di transizione e di trasformazione della lirica dalla siciliana alla toscana sono anche Bonaggiunta Orbicciani (ritenuto appunto “il tramite”), e Compiuta Donzella (poetessa fiorentina, importante perché è una figura femminile e quindi vediamo il punto di vista femminile nelle sue poesie).

Bonagiunta Orbicciani Esercitò la professione di notaio presso Lucca, e fa dunque parte di un contesto diverso da quello dei Siciliani: non è la corte, ma il comune. Il potere nel comune infatti non è rappresentato da un 17


uomo, ma dal “popolo grasso”, cioè la classe mercantile, finanziaria, le corporazioni: essi si individuavano nel popolo, ma la realtà era che componevano solo il ceto elevato di esso. Come poeta fu attivo nella seconda metà del XIII secolo, ispirandosi più direttamente ai modi della poesia "siciliana". A lui si attribuisce l’introduzione del modello siciliano in Toscana. È noto anche per essere entrato in polemica contro gli stilnovisti Guinizzelli e Cavalcanti: sostiene che non hanno mantenuto la continuità che c’era stata dalla poesia provenzale, a quella siciliana, a quella toscana. Infatti, secondo lui, Guinizzelli e Cavalcanti erano andati proprio verso un’altra direzione, non rimanendo fedeli al modello. Quello che lui critica in particolare non sono i contenuti, ma lo stile (lingua): essi puntano ad una revisione stilistico – linguistica e non ad una modifica dei contenuti di base. Il problema, secondo Bonagiunta, è che il loro linguaggio (in particolare quello di Guinizzelli) sta diventando alquanto criptico, e comprensibile solo ad una elite ancora più ristretta.

VOI CH’AVETE MUTATA LA MAINERA Voi ch’avete mutata la mainera de li piagenti ditti de l’amore de la forma dell’esser là dov’era, per avansare ogn’altro trovatore, avete fatto como la lumera, ch’a le scure partite dà sprendore, ma non quine ove luce l’alta spera,

Voi, che avete cambiato la maniera poetica dei piacevoli discorsi sull’amore allontanandola dalla sua forma naturale per superare tutti gli altri trovatori, avete fatto come il lume che fa risplendere le parti più oscure,

la quale avansa e passa di chiarore. Così passate voi di sottigliansa, e non si può trovar chi ben ispogna,

ma non qui (in Toscana) dove brilla la sorgente più luminosa, che (tutto) supera e sovrasta con il suo chiarore.

cotant’è iscura vostra parlatura. Ed è tenuta grave ’nsomilliansa, ancor che ’l senno vegna da Bologna, traier canson per forsa di scritura.

Così voi esagerate in sottigliezza, e non si può trovare chi sia in grado di spiegare chiaramente, tanto è oscuro il vostro discorso.

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Ed è considerata una grave stravaganza, benché il senno venga da Bologna, comporre una canzone a colpi di formule scritturali.

COMMENTO Con questo sonetto Bonagiunta da Lucca inizia, con garbato sarcasmo, una tenzone con Guido Guinizzelli, il primo rappresentante del “dolce stil novo”, la cui canzone programmatica Al cor gentil è da lui considerata troppo difficile, filosofeggiante, tradotta in concetti oscuri e incomprensibili nonostante provengano dalla tradizione dotta dell’università di Bologna. In realtà Bonagiunta coglie acutamente l’elemento di maggior rottura portato da poeti come Guinizzelli e Cavalcanti rispetto ai siciliani, a lui e a Guittone d’Arezzo, e cioè un’analisi psicologica dell’amore più approfondita, ispirata a una cultura filosofica intellettualmente superiore. La struttura del sonetto: nelle prime due strofe a quattro versi, si pone la questione; nelle due strofe finali a tre versi, si dà la soluzione. Dice: “avete fatto como la lumera, ch’a le scure partite dà sprendore, ma non quine ove luce l’alta spera, la quale avansa e passa di chiarore” Qui usa la similitudine della fiamma che illumina le zone buie, ma non lui, che è illuminato da una luce intensa. [L’immagine della luce è una metafora evangelica fortissima]. ________________________________________________________________________________

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Compiuta Donzella: Si tratta, forse, della prima poetessa italiana: la prima cioè a comporre versi in volgare. Nulla si sa con certezza della sua vita. Lo stesso nome è uno pseudonimo. Probabilmente visse in ambiente fiorentino, nella seconda metà del XIII secolo. La sua autenticità verrebbe confermata dalla presenza del suo nome fra i sonetti del medico Mastro Torrigiano e da un alquanto esplicito richiamo a lei in una lettera di Guittone d'Arezzo. Le sono stati attribuiti tre sonetti. In base a queste poesie, di maniera provenzaleggiante, passata per l'esperienza della Scuola poetica siciliana, doveva aver ricevuto un'educazione e una cultura rare in tempi in cui l'analfabetismo era molto diffuso, specialmente tra le donne. I tre sonetti giunti sino a noi si intitolano A la stagion che 'l mondo foglia e fiora, Lasciar vorria lo mondo e Dio servire, Ornato di gran pregio e di valenza.

A LA STAGION CHE ‘L MONDO FOGLIA E FIORA « A la stagion che ‘l

Nella stagione in cui il

mondo foglia e fiora

mondo produce foglie e fiori

acresce gioia a tut[t]i

Cresce la gioia di tutti gli

fin’ amanti:

amanti cortesi:

vanno insieme a li giardini alora che gli auscelletti fanno dolzi canti;

girano insieme per i giardini nel momento in cui gli uccelletti

la franca gente tutta s’innamora, e di servir ciascun trag[g]es’ inanti, ed ogni damigella in

fanno

dolci

canti; tutta la gente nobile si innamora e tutti si offrono al 20


gioia dimora; e me, n’abondan mar[r]imenti e pianti. Ca lo mio padre m’ha messa ‘n er[r]ore,

servizio d’amore ed

ogni

damigella

è

gioiosa; e

io

invece

sono

sommersa da afflizioni e e tenemi sovente in forte doglia:

pianti. Poiché mio padre mi ha messa in una situazione

donar mi vole a mia forza segnore,

di

sofferenza

e

di

smarrimento

ed io di ciò non ho disìo E mi tiene sempre in una né voglia,

situazione

di

grande

e ‘n gran tormento vivo dolore: a tutte l’ore; però non mi ralegra fior né foglia. »

mi vuole dare marito contro il mio volere ed io di ciò non ho né desiderio né voglia, e vivo tutte le ore in un grande tormento; perciò non mi rallegrano né i fiori, né le foglie.

Il sonetto si apre col motivo del paesaggio primaverile, come invito a gioire e ad amare, consueto nella tradizione cortese (sia nei trovatori che nei poeti siciliani). La poetessa dipinge infatti chiaramente l’immagine di gioia di tutte le damigelle, nei cui cuori la primavera esultante fa fiorire l’amore cortese. È una stagione in cui gli amanti possono dare libero sfogo ai loro sentimenti e ai loro amori. Ma a questa immagine contrappone la sua condizione e l’infelicità che le reca: l’impotenza davanti alla decisione di un padre di farla sposare con un uomo contro la sua volontà. (Scopriremo 21


poi nel secondo sonetto un ulteriore motivo di dissidio col padre: emerge il contrasto fra il suo proposito di diventare monaca e quello del padre deciso ad obbligarla a contrarre matrimonio). La poetessa non può dunque subire il fascino dell'innamoramento e non può abbandonarsi all'amore. E la natura fiorente non la "ralegra", anzi, a causa della condizione inamovibile in cui si trova, ella vive a maggior ragione un tormento continuo. Dal punto di vista stilistico, emerge qui tutta la sua preparazione: riesce infatti a sviluppare il sonetto con naturalezza, grazie a una costruzione equilibrata e armoniosa: o

suddivisione del testo in due parti uguali, corrispondenti ai due nuclei tematici della poesia (invito della natura alla gioca VS infelicità della protagonista), scandita dall’ “a me”.

o

La ripresa nell’ultimo verso del motivo iniziale, che conferisce al testo un andamento circolare.

Per la prima volta abbiamo un nuovo punto di vista: non più quello di un autore uomo, ma quello di una autrice “donna”. A differenza del modello che abbiamo visto fin’ora, in cui l’amante è l’uomo, e la donna è più una “idealizzazione” che non una realtà concreta: la donna di cui parlano è al di sopra di tutto, e portatrice di valori elevatissimi, cosa che si contrappone moltissimo alla realtà delle donne dell’epoca, che certo non erano ritenute esseri superiori agli uomini. A tal riguardo la poesia di Compiuta Donzella è chiarissima: nonostante essa fosse già una donna “diversa” dalle donne comuni, in quanto faceva sicuramente parte di un ceto elevato e aveva avuto la possibilità di studiare ed acculturarsi in maniera molto raffinata, rimane pur sempre una donna che, come tutte, è sottomessa a un codice diverso  quello paterno. Dunque possiamo vedere che il modello di fine amante (cioè dell’amante che si innamora e dedica tutte le sue attenzioni e concentrazioni alla persona amata) non è un modello femminile, ma SOLO un MODELLO MASCHILE. Infatti alla donna “non spetta la franchezza”, ovvero la libertà di innamorarsi, perché è soggetta al volere di un uomo (il padre). DONZELLA CI FA RILEVARE LA CONTRADIZIONE FRA I DUE SISTEMI CULTURALI: QUELLO LETTERARIO, E QUELLO ETICO-SOCIALE. L’immagine della donna che viene presentata nei testi non è quella della donna reale dell’epoca, ma è quella trasfigurata: cioè l’autore la collega LUI VOLUTAMENTE a una serie di valori che intende anche “mettere in evidenza come giusti e da perseguire”  donna è mezzo di trasmissione di quei valori. 22


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LO STILNOVO In polemica con le oscurità e le durezze di Guittone, si definisce la poetica di un gruppo di poeti per lo più fiorentini, attivi fra la fine del Duecento e l’inizio del Trecento, intenzionati a elaborare un modo nuovo di fare poesia, basato su scelte linguistiche eleganti, armoniose, equilibrate: caratteri che Dante, nel Canto XXIV del Purgatorio, riassumerà nella formula “dolce stil novo”. 23


Gli stilnovisti sono esponenti delle famiglie agiate, di formazione universitaria (vedi nel testo di Bonagiunta il riferimento a Bologna), attivamente impegnati nella politica del comune, tanto da finire prima o poi, quasi tutti, in esilio. Sono consapevoli di costituire una èlite intellettuale contrapposta alla vecchia classe feudale, e nei loro testi elaborano un nuovo concetto di gentilezza: viene intesa come elevatezza morale e non come nobiltà di nascita. Essi scrivono in un fiorentino colto e raffinato, per un pubblico ristretto di affini. Affrontano la lirica amorosa con un impegno filosofico e intellettuale nuovo, inquadrando il tema dell’amore nell’ambito dei problemi teologici che appassionano la cultura del tempo: rapporto tra corpo e anima; tra passioni terrene e devozione a Dio; tra Bellezza e Verità. La concezione cortese dell’amore viene profondamente rimaneggiata, inquadrata in un’ottica cristiana, investita di un gusto per la speculazione filosofica (nel medioevo la filosofia è teologia), tutte cose che erano assenti nelle opere dei provenzali e dei siciliani. Punti chiave: •

Innamoramento come fenomeno oggettivo e universale, slegato dalle vicende biografiche del poeta;

DONNA NON COME CONCRETO ESSERE UMANO MA COME UNA ASPIRAZIONE IDEALE PERSONIFICATA, SENZA CARATTERI FISICI O PSICOLOGICI INDIVIDUALI.

Intensità straordinaria dell’esperienza d’amore, dove la visione della donna si traduce ora in contemplazione e lode delle sue virtù beatificanti, ora in sgomento e angoscia per la sua inafferrabile superiorità.

Guido Guinizzelli: Maestro fondatore è ritenuto GUIDO GUINIZZELLI: nato a Bologna, fu lì giudice di professione, e si impegnò nella politica esponendosi dalla parte dei ghibellini [I guelfi e i ghibellini designavano 24


all’origine i due partiti politici nati in Germania nel XII secolo, dalle lotte per la successione al trono di Enrico V. In seguito però la lotta tra questi partiti politici assunse le sembianze del conflitto tra l’autorità dell’impero e della Chiesa e nel XIII secolo la lotta passò in Italia. I ghibellini sostenevano la supremazia dell’impero sulla Chiesa, mentre i guelfi (al loro interno divisi in “bianchi” e “neri”) erano favorevoli ad una politica d’accordo con i pontefici]. Quando nella sua città si imposero i guelfi, andò in esilio a

Monselice, dove morì. Prime poesie: sono di ispirazione guittoniana. Seconde poesie: segnano il passaggio verso lo stilnovo: nella canzone Al cor gentil rempaira sempre amore si dà il via alla nuova moda poetica: la donna, nella canzone, è rappresentata come un angelo, che gisce beneficamente sull’anima dell’innamorato, con la stessa efficacia delle forze che governano l’universo (il sole e le stelle, che infondono virtù nelle pietre preziose; la luce di Dio, che guida l’azione delle intelligenze angeliche).

LO VOSTRO BEL SALUTO E ‘L GENTIL SGUARDO Lo vostro bel saluto e 'l gentil sguardo che fate quando v'encontro, m'ancide: Amor m'assale e già non ha reguardo s'elli face peccato over merzede,

Il vostro bel saluto e lo sguardo gentile Che fate quando vi incontro, mi uccide: mi assale Amore, e già non si cura di capire se commette un’ingiustizia (peccato) o procura il giusto contraccambioper il mio servizio

ché per mezzo lo cor me lanciò un dardo

d’amore (over merzede)

che d oltre 'n parte lo taglia e divide; parlar non posso, ché 'n pene io ardo

poiché mi lanciò un dardo in mezzo al cuore che da parte a parte lo taglia e divide;

sì come quelli che sua morte vede. Per li occhi passa come fa lo trono,

non posso parlare, poiché io brucio nelle sofferenze

che fer' per la finestra de la torre e ciò che dentro trova spezza e fende; remagno como statüa d'ottono,

così come colui che vede la sua morte. Passa per (davanti a) gli occhi come fa il

ove vita né spirto non ricorre, 25


se non che la figura d'omo rende.

fulmine Che colpisce attraverso la finestra della torre E ciò che trova dentro spezza e divide. Rimango come una statua di ottone In cui non scorrono più le facoltà vitali E che dell’uomo ha solo l’aspetto esteriore.

“Non ha… merzede”: non si cura di capire se commette un’ingiustizia (peccato) o procura il giusto contraccambio per il mio servizio d’amore (over merzede). Il tema dell’ambivalenza degli effetti prodotti dall’amore, diffusosi nella poesia cortese e trecentesca, è poi entrato a far parte del linguaggio comune (si pensi ad espressioni come morir d’amore). “Lo trono”: il fulmine tonante. “Ottono”: ottone. Annichilito nelle sue facoltà vitali, l’uomo diventa come una statua in cui non scorrono più le facoltà vitali.Vita né spirto sta per spirito vitale (endiadi). “Se non che… rende”: e che dell’uomo ha solo l’aspetto esteriore (proprio come la torre devastata internamente dal fulmine). CONTENUTO: la parola (il bel saluto) si aggiunge alla vista come elemento determinante dell’amore cortese. L’amore può essere sofferenza o ricompensa e conquista il poeta come un dardo (richiamo a Cupido), che lo colpisce creandogli un disagio simile a quello dell’uomo morente. Fa uso della figura retorica della sinestesia (vedo il suono, ecc), per evidenziare la forza dirompente dell’amore che lo fa rimanere inanimato come un uomo cui siano state distrutte le sue parti vitali, e quindi una statua. Colpiti dall’amore, è impossibile proferir parola. Particolarità stilistiche Come nei contenuti, anche nella forma il sonetto è lontano dallo stile dolce di Al cor gentil rempaira sempre amore o di Io voglio del ver la mia donna laudare. A livello fonico, ad esempio, in molti passaggi, alle dolorose conseguenze della passione s’associano suoni non melodiosi e catene di parole difficili da pronunciare: si notino le allitterazioni, al v. 7, parlar non posso che ’n pene io

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ardo, i suoni duri dell’espressione ciò che dentro trova spezza e fende (v. 11), le rime siciliane ancide-merzede e divide-vede e la rima aspra torre ricorre. Dal punto di vista ritmico, poi, l’andatura è rotta e prevalentemente ipotattica, con disposizione degli elementi sintattici oltre i limiti consueti del verso: si considerino, ad esempio, il periodo che occupa le prime due quartine, la posizione del ché in principio di seconda strofa e la presenza di frequenti subordinate.

COMMENTO: è un sonetto legato alla poesia cortese prima e stilnovistica poi. L’azione svolta dalla donna e dal suo saluto, apporta sofferenza, e l’amore si caratterizza qui come forza distruttrice. La scuola stilnovistica si sofferma molto sulla sofferenza (anche se tra Guinizzelli e Cavalcanti quello che affronterà maggiormente questo aspetto sarà Cavalcanti). Ma non siamo giunti ancora alla donna angelo.

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Guido Cavalcanti Come abbiamo già detto in precedenza, la visione della donna si traduce ora in contemplazione e lode delle sue virtù beatificanti, ora in sgomento e angoscia per la sua inafferrabile superiorità. Mentre Guinizzelli si concentra sia su l’uno che sull’altro (esempio della lode delle virtù  Io voglio del ver la mia donna laudare), e Dante, nella Vita Nuova, si concentra sul primo di questi due temi, il tema dello sgomento e dell’angoscia sono propri del modo di poetare di Cavalcanti. Cavalcanti è nato a Firenze, da una nobile famiglia guelfa, e ha partecipato attivamente alla vita politica del comune, occupando diverse cariche. Nelle lotte tra Bianchi e Neri, si schierò con i Bianchi, sostenendo la famiglia dei Cerchi contro quella dei Donati. [ Guelfi bianchi e i guelfi neri furono le due fazioni in cui si divisero intorno alla fine del XIII secolo i guelfi di Firenze, ormai il partito egemonico in città dopo la cacciata dei ghibellini. Le due fazioni lottavano per l'egemonia politica - e quindi economica - in città. A livello della situazione extracittadina, seppur entrambe sostenitrici del papa, erano opposte per carattere politico, ideologico ed economico. I guelfi bianchi, un gruppo di famiglie magnatizie aperte alle forze popolari, perseguivano l'indipendenza politica ed erano fautori di una politica di maggior autonomia nei confronti del pontefice, rifiutandone l'ingerenza nel governo della città e nelle decisioni di varia natura. Mentre i guelfi neri, che rappresentavano soprattutto gli interessi delle famiglie più ricche di Firenze, erano strettamente legati al papa per interessi economici e ne ammettevano il pieno controllo negli affari interni di Firenze, incoraggiando anche l'espansione dell'autorità pontificia in tutta la Toscana].

Fu questo il motivo che lo vide coinvolto in disordini e scontri violenti. Nel 1300 i Priori, tra i quali vi era lo stesso Dante, decisero di esiliarlo insieme ai rappresentanti più autorevoli delle due fazioni. Rifugiatosi a Sarzana, fu colpito da una febbre malarica e morì poco dopo a Firenze, dove era tornato per la revoca della condanna. Nelle sue poesie, l’amore non è presentato alla maniera di Guinizelli (cioè come sintesi di bontà e di bellezza, di sentimento e di spiritualità), ma come sconvolgente conflitto tra i sentimenti e la ragione: l’innamorato è sbigottito di fronte all’irraggiungibile splendore della donna, incapace di coglierne ed esprimerne l’assoluta perfezione, e il suo cuore si fa teatro di un drammatico scontro fra le diverse facoltà psichiche, che lo precipita nella paura e nella morte. 28


CHI E’ QUESTA CHE VEN, CH’OGN’OM LA MIRA Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,

Chi è costei che avanza, che ogni uomo la guarda con ammirazione,

che fa tremar di chiaritate l’âre e mena seco Amor, sì che parlare null’omo

che fa vibrare di luce l’aria attorno a se e porta con sé Amore [cioè fa innamorare chi la contempla] così che nessun uomo può parlare, ma ciascuno sospira?

pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando li occhi gira,

O Dio, che cosa sembra quando volge lo sguardo, lo dica Amore, perchè io non lo saprei riferire (dichiarazione della sua incapacità ad

dical’Amor, ch’i’ nol savria contare:

esprimerlo): mi sembra a tal punto umile e benevola che ogni altra donna al suo confronto può essere

cotanto d’umiltà donna mi pare, ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira.

chiamata superba/sdegnosa ( antitesi umiltà/ira). Non si potrebbe raccontare la sua bellezza/avvenenza (sottolinea ancora il concetto dell’ineffabilità della bellezza femminile, come già aveva espresso al verso 6

Non si poria contar la sua piagenza,

ma mentre prima si trattava di un’impossibilità soggettiva, "i’ nol savria", ora è un’impossibilità assoluta "non si poria") dato che a lei si inchina ogni nobile virtù e la bellezza la indica come sua dea (la donna appare come una manifestazione di virtù ideali 29


ed in primo luogo della benignità/umiltà - vedi verso 7- e della bellezza) La nostra mente non fu mai così elevata ch’a le’ s’inchin’ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra.

né fu posta in noi tanta grazia divina/salvezza dell’anima (salute) da poterne adeguatamente avere conoscenza.

Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose ’n noi tanta salute,

che propiamente n’aviàn conoscenza

CONTENUTO: da Guinizzelli Cavalcanti riprende il tema della lode e la concezione trascendente della donna, vista come una creatura eccezionale, dotata di virtù fisiche e spirituali, che rimandano a realtà soprannaturali. Tipicamente cavalcantiano è invece il tema introdotto a partire dal verso 6: i’ nol savria contare  l’essenza della donna è tanto elevata e irraggiungibile da non poter essere espressa a parole né compresa intellettualmente (cioè con l’intelletto). Il tema della lode sfocia così in una denuncia dei limiti della conoscenza umana, incapace di afferrare e descrivere ciò che l’uomo ama e desidera più di ogni altra cosa. Il sonetto si apre con una lunga interrogazione, che esprime con slancio e naturalezza lo stupore del poeta di fronte all’apparizione della donna. Appunti della professoressa: questo sonetto è sempre relativo all’amor cortese, ma da un punto di vista dell’averroismo cavalcantiano (Averroe, filosofo e scienziato arabo, che rifacendosi alla dottrina aristotelica sostiene la “dottrina della doppia verità”, cioè una verità di ragione e una verità di fede): l’amore è energia che modifica il sistema di relazioni, il cui effetto è che nessuno riesce più a parlare  l’amore toglie all’essere umano la capacità di parlare (ecco perché egli sospira). Dal punto di vista di Cavalcanti, la donna è veicolo, non realistico, per la via della conoscenza 30


(conoscenza divina). Ma in quanto tale, la donna, essere angelico e superiore, diventa sempre più lontana e irraggiungibile, e il sentimento amoroso si caratterizza per i suoi effetti distruttivi sull’uomo. Essa produce l’afasia (ovvero l’alterazione del linguaggio: una parola al posto di un’altra, impossibilità di esprimersi …) nell’uomo. L’umiltà della donna diviene un concetto morale legato al sentimento d’amore, per cui si assiste ad uno slittamento dal piano del sentimento individuale al piano del sentimento etico espresso da una cultura/civiltà. L’umiltà è infatti il riconoscimento della sottomissione al signore divino, ed è il primo valore (fondamentale nello stilnovo) posseduto dalla donna, in contrapposizione all’ira. Da notare che con Cavalcanti è ancora impossibile, per il poeta, riuscire a fare il percorso di conoscenza che la donna che gli sta davanti gli imporrebbe. Si arriverà a questo con Dante. [Averroè affermò che tra religione e filosofia non vi è alcuna conflittualità, poiché le eventuali divergenze sono riconducibili solo a differenze d'interpretazione, o meglio le due discipline perseguono due strade per raggiungere la stessa verità: quella religiosa si basa sulla fede, non può essere testata e non richiede una particolare formazione per capirla, mentre quella filosofica è riservata a una élite di pochi intellettuali, capaci di approfondire studi difficili. Nella sua disquisizione sull'anima, si soffermò sulla duplice natura di quest'ultima, suddivisa in una parte individuale non eterna, e in una divina, condivisa da tutti gli esseri umani.

STILE: dal punto di vista metrico, c’è un solo enjambement, e il ricorrere frequente di stessi suoni. La domanda della prima quartina è lasciata volutamente senza risposta, a significare l’inconoscibilità della donna, che è il tema a cui sono dedicate le strofe successive. Queste ultime hanno un andamento più faticoso della prima, come per sottolineare la tensione della mente verso qualcosa che non può raggiungere.

CONCLUSIONI Nella letteratura religiosa la donna, ad eccezione delle sante, era connotata negativamente e diabolicamente in quanto rappresentava la natura, il peccato, rispetto all’uomo che invece era la ragione (basta vedere la mitologia che gira attorno al paradiso: Eva (un cattivo femminile) contro Adamo (un buono maschile): è lei che non si attiene alle norme divine. 31


Invece nella nuova letteratura c’è una modernizzazione del concetto di donna: si passa dalla donna portatrice di valori elevati (nella lirica provenzale, siciliana e toscana) fino a giungere (con lo stilnovismo) alla figura di una DONNA ANGELO, “madonna” da contrapporre alla donna “diabolica”, restituendole così un valore positivo. La donna angelo però non è più una donna “fisicamente” identificabile, ma una entità astratta, una idealizzazione estrema, che permette un percorso conoscitivo. Attraverso l’innamoramento per una donna dotata di virtù, l’uomo può fare un percorso di purificazione, di conoscenza filosofica, e quindi teologica, che porta alla conoscenza per eccellenza, e dunque a Dio. Ma questo percorso lo può fare solo una èlite: quella del ceto elevato delle città comunali di Firenze e Bologna: non più il ceto aristocratico della corte, ma il ceto “mercantile” del comune (il popolo grasso). Nb: ci troviamo ancora in un quadro in cui il personaggio femminile non è statico (come l’immagine di Maria, figura statica caratterizzata dai suoi simboli): la cultura laica è una cultura più mobile, per cui pur essendo la figura femminile quella della donna – angelo, ha dei suoi spazi di originalità e mobilità.

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Dante Alighieri Sulla vita di Dante abbiamo poche notizie sicure. Nasce nel 1265 a Firenze, e proviene da una famiglia di piccola nobiltà. Suo padre Alighiero (o Alighiero di Bellincione), guelfo senza ambizioni politiche, era un cambiavalute, e ciò consentiva alla famiglia di vivere in un moderato benessere. La madre, invece, era Bella degli Abati (Bella è diminutivo di Gabriella), figlia di una importante famiglia ghibellina, non è mai menzionata da Dante nelle sue opere, e di lei si sa in generale molto poco: morì quando Dante aveva 5 o 6 anni, e poco dopo Alighiero si sposò con un’altra donna, Lapa di Chiarissimo Cialuffi, che mise al mondo due (o tre) fratelli di Dante, Francesco e Tana (Gaetana). 32


Dante era convinto che la sua famiglia discendesse dagli antichi romani (ce ne parla nell’Inferno, Canto 25, verso 76), ma in realtà il parente più lontano di cui egli fa nome è Cacciaguida degli Elisei, vissuto intorno al 1100 (Paradiso, Canto 25, verso 135). Sicuramente la presunta nobiltà derivatagli da questa “parentela” con Cacciaguida (se davvero è vera) si era ormai estinta da tempo, visto che il nonno paterno di Dante, Bellincione, era un popolano, e la sorella di Dante andò in sposa a un popolano. A 12 anni il padre lo vincola, per contratto (come si usava allora), a sposare Gemma Donati: il matrimonio avviene una decina di anni dopo, e da esso nascono tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia (forse anche un quarto, un certo Giovanni che compare come testimone in un atto dell’epoca). Sembra che Antonia, per volere del padre, divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice (perché per Dante Beatrice è un essere angelico che rappresenta la teologia). Alla morte del padre (1283), a Dante tocca amministrare i beni di famiglia, ma la sua agiatezza gli consente di non dover lavorare per vivere; dunque ha tempo di dedicarsi alle guerre fra comuni, come quella di Campaldino. Dopo l’entrata in vigore di alcuni regolamenti che escludevano l’antica nobiltà dalla politica, permettendo ai ceti medi di ottenere ruoli importanti, purchè iscritti ad un’Arte, Dante si immatricola all’Arte dei Medici e Speziali. Stringe nel frattempo varie relazioni con letterati e poeti, e comincia a dedicarsi alla poesia. I suoi principali punti di riferimento sono Brunetto Latini (intellettuale e poeta dell’epoca) e Guido Cavalcanti, uno dei primi esponenti dello stilnovismo. Con lui Dante è particolarmente amico. Verso la fine del secolo ha una serie di incarichi politici, alcuni dei quali ci sono noti grazie alle fonti dell’epoca: •

1295-1296: è nel Consiglio del Popolo, e nel gruppo dei Savi (che rinnovarono le norme per l’elezione dei priori. I priori in alcuni comuni del medioevo erano i componenti dell'organismo di governo della città.

1296: fa parte del Consiglio dei Cento: il Consiglio dei Cento, insieme al Consiglio dei Savi, al Podestà e al Capitano del Popolo fu parte del governo della città di Firenze del XIII secolo e rappresentava nel governo la parte riguardante gli aspetti economici. Nella pratica il Consiglio dei Cento di occupava dell'amministrazione del denaro pubblico.

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1300: è Priore dal 15 giugno al 15 agosto. In quanto priore, non esitò a condannare al confino, tra i capi più violenti delle fazioni contrapposte, anche esponenti del suo partito, compreso l’amico Guido Cavalcanti.

Ma il contesto storico della Firenze del tempo è quello di un Comune lacerato dalle lotte tra fazioni (non solo tra guelfi e ghibellini, ma anche tra guelfi bianchi, tra i quali c’era anche Dante stesso, e guelfi neri), e minacciato dai disegni espansionistici di papa Bonifacio VIII. In quegli stessi anni esplode con violenza la diatriba fiorentina tra le due parti della città, storicamente e tradizionalmente guelfa, ma divisa tra la famiglia dei Cerchi, di recente ricchezza commerciale e finanziaria, e quella dei Donati, di antica nobiltà oligarchica. I Cerchi furono identificati con i Bianchi, ed i Donati con i Neri. La controversia fra le due parti è durissima e senza esclusione di colpi: il 18 aprile 1300 tre fiorentini residenti alla corte pontificia vengono condannati per alto tradimento: il papa interviene subito in loro difesa ed invia in città, anche dopo i gravi disordini di Calendimaggio del 1300, il cardinale Matteo d'Acquasparta, con poteri molto ampi. Il cardinale viene molto osteggiato da Dante. Peraltro il cardinale non riesce a ottenere i risultati sperati dal pontefice ed è costretto, dopo un grave attentato alla sua persona, a lasciare Firenze, decretando la scomunica contro i maggiorenti cittadini e l'interdetto contro l'intera città. Bonifacio decide allora di mandare a Firenze Carlo di Valois, già accolto in Italia con grandi onori, e nominato, tra l'altro, paciere di Toscana: egli interviene nella città, con i suoi numerosi armati e con grande determinazione, tra il novembre 1301 e l'aprile 1302, portando alla supremazia della parte Nera (Donati), maggiormente gradita al pontefice. In quegli stessi anni Dante Alighieri si trova più volte in contrasto con il papa: agli inizi del 1302 Dante viene inviato a Roma con un'ambasceria per trovare un accordo con Bonifacio, ma è trattenuto presso la corte papale -anche con pretesti- per lunghissimo tempo, forse per ordine del pontefice, mentre, in quello stesso periodo, veniva posto a Firenze il nuovo Podestà, Cante Gabrielli: di parte guelfa nera, egli da inizio a una persecuzione dei guelfi bianchi tra i quali lo stesso Dante, che viene accusato di essersi opposto al papa e di essersi appropriato di denaro pubblico (la seconda delle accuse era infondata). Al rifiuto di Dante di presentarsi a Firenze segue la condanna al rogo ed la perdita delle proprietà. Dante viene quindi esiliato. L’esilio sconvolge la vita del poeta, che è costretto a vagare di corte in corte nell’Italia centrale e settentrionale, in cerca di ospitalità. 34


Nella fattispecie, tra le varie corti, giunge anche a quella degli Ordelaffi, signori ghibellini di Forlì. Insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì, e insieme all’esercito degli esuli, tenta di rientrare a Firenze con una impresa che si rivela sfortunata: il podestà di Firenze Fulcieri da Calboli, che era un altro forlivese, riusce ad avere la meglio nella battaglia di Castel Puliciano. Fallisce anche un successivo tentativo diplomatico legato al cardinale Niccolò da Prato. Al terzo tentativo sceglie di non partecipare: ritiene infatti fosse corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, e si schiera contro l’ennesima lotta armata, trovandosi non solo in minoranza, ma in un situazione vista come “sospettosa” dagli altri guelfi neri. Non partecipa dunque a una battaglia che si rivelò, come aveva preannunciato, disastrosa: morirono 400 uomini fra ghibellini e guelfi. Ormai l’orizzonte di Dante non è più ristretto alla società fiorentina, ma si apre sull’Italia e sull’intera cristianità: la sua vicenda di uomo accusato ingiustamente ed allontanato dalla sua città natia gli sembra assumere un valore esemplare, segno del disordine e dell’ingiustizia che dominano il mondo. Comincia dunque a sentirsi investito di una missione profetica, della funzione di portatore di messaggio per ricondurre l’umanità intera all’ordine e alla pace. Questo lo allontana molto anche dal mondo dei suoi “colleghi” esuli. Comincia così a dedicarsi caparbiamente al lavoro letterario, superando lo stilnovismo della Vita Nova, per dedicarsi ad opere in cui la riflessione scientifica e filosofica si coniuga con un’urgente ispirazione religiosa, politica e morale: tra il 1303-1304 scrive, durante i suoi spostamenti di corte in corte, il Convivio, il De vulgari eloquentia, l’Inferno e il Purgatorio. L’idea di Dante è quella della restaurazione delle due autorità universali: un imperatore che sappia governare con forza e giustizia, e un papa che si dedichi totalmente ai problemi religiosi e spirituali. Questa sua visione appare chiara nel De monarchia (1312-1313). Come possibile “restauratore del potere temporale” vede Arrigo VII (cioè l’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, che entrò in Italia nel 1310): Dante vede in lui il nuovo Cesare, che sarà in grado di far cessare le lotte fratricide e le ingiustizie. Ma nel 1313 Arrigo morì senza aver portato a compimento la sua impresa. Nonostante la delusione, Dante resta fermamente convinto di quello in cui crede. Tra il 1313 e il 1318 è a Verona, alla corte di Cangrande della Scala. Termina le sue peregrinazioni a Ravenna, sotto la protezione di Guido Novello da Polenta: circondato da una solida fama, può lavorare in un clima sereno all’ultima parte del suo poema, il 35


Paradiso. Spera di poter ritornare con onore a Firenze, visto il riconoscimento del suo valore di poeta, ma viene mandato da Guido Novello a Venezia come ambasciatore, e sulla via del ritorno si ammala gravemente, morendo a Ravenna nel 1321.

OPERE: tra le poesie scritte a Dante, alcune sono state antologizzate da lui stesso nella

Vita

nuova e nel Convivio; le altre, composte in diversi momenti della vita e non raccolte in un libro organico, son oggi comprese sotto il titolo generico di Rime. •

RIME GIOVANILI: sono le più antiche, scritte a partire dal 1283 (cioè dopo la morte del padre). Riprendono inizialmente la maniera artificiosa e oscura di Guittone d’Arezzo, ma ben presto cominciano ad avvicinarsi alla poetica stilnovista di Cavalcanti e Guinizzelli. Tema centrale  l’Amore che fa soffrire o gioire l’innamorato, e lo eleva spiritualmente. L’innamoramento di Dante è quasi sempre rivolto a Beatrice: probabilmente Bice Portinari, sposata con Simone de’ Bardi e morta prematuramente nel 1290. Nella realtà i contatti con lei devono essere stati rari e occasionali. Ma l’amore stilnovista si nutre di lontananza e di impossibilità. Dante vede in Beatrice l’ideale supremo, la sintesi dei valori spirituali che danno un senso alla vita.

VITA NOVA: scritta nel 1293-1294, dopo la morte di Beatrice. Questo evento è molto traumatico per il poeta, che attraversa un periodo di profondo smarrimento. Questo smarrimento lo induce ad approfondire, con l’aiuto della teologia e della filosofia, la sua concezione dell’esperienza amorosa: nella Vita Nuova infatti egli vuole riepilogare la storia del suo amore per Beatrice, per metterne in luce il significato più autentico, che solo ora gli sembra di aver compreso a fondo. Il titolo ha un duplice significato: 1. Vita nova significa materialmente “vita giovanile”, e infatti la narrazione dantesca

comincia da un episodio, che è il primo incontro tra Dante e Beatrice, avvenuto quasi in coincidenza del nono compleanno dell’autore (1274), e giunge fino ad un’epoca di poco successiva al 1292. 2. Vita nova ha anche il significato spirituale di vita rinnovata, rigenerata

dall’amore. È lo stesso senso per cui si dice, da San Paolo in poi, che il battesimo 36


trasforma l’uomo vecchio in una creatura nuova  Dante già al titolo pone un legame fra l’esperienza amorosa e l’esperienza di fede. Tra le poesie del decennio precedente, raccoglie quelle che si prestano meglio allo scopo, e le alterna a brani di prosa che commentano i versi e fanno da filo conduttore alla storia. Ne nasce una sorta di “romanzo” fatto di 42 capitoletti in prosa e 31 liriche. TEMA: racconto di una vicenda interiore, di un percorso morale e intellettuale in cui più che i fatti concreti conta il loro significato spirituale e simbolico. Attraverso alcune tappe fondamentali (primo incontro con Beatrice bambina; morte prematura di Beatrice; contemplazione della sua gloria nei cieli) Dante traccia un percorso di progressiva spiritualizzazione dell’amore, che culmina nella decisione finale di non parlare più di Beatrice fino a quando non sarà in grado di dirne “quello che mai non fue detto d’alcuna”. Quella che Dante racconta è certamente una storia d’amore basata su alcuni fatti reali, ma l’indeterminatezza dei luoghi, delle persone, delle vicende, l’atmosfera rarefatta che la circonda, il ricorso alla simbologia dei nomi e dei numeri, la proietta su un piano astratto e intellettualistico: o

Beatrice non si chiama così per caso, ma perché dà beatitudine;

o

il suo saluto è una offerta di salvezza  salus in latino;

o

tutte le date della sua vicenda terrena sono basate sul numero nove (9 è la radice di 3  TRINITA’).

Attraverso la scoperta progressiva del significato profondo del suo sentimento, Dante passa gradualmente dall’amore-passione cantato da Cavalcanti, che turba e fa soffrire, all’amore-carità, che si appaga dell’essenza spirituale della donna.

DA AMORE – PASSIONE - - - - - - - - - - - - - - - - - - > AD AMORE – CARITA’

Il motivo guinizzelliano della DONNA-ANGELO che perfeziona il “cor gentile” dell’innamorato si colora di intonazioni mistiche e visionarie: o

la morte di Beatrice è annunciata da sconvolgimenti cosmici simili a quelli che nei Vangeli accompagnano la morte di Cristo; 37


o

Dante febbricitante crede di vederla ascendere al cielo tra gli angeli.

Alcune considerazioni (prof):  ci troviamo di fronte ad una biografia letteraria.  Tutti gli elementi dell’innamoramento sono standard: corrispondono alla

modalità degli amanti cortesi. Ad esempio, la donna si incontra di venerdì, alle funzioni religiose  luogo quindi di simbologia sacra. Il venerdì oltre tutto è anche il giorno della passione di Cristo.  I fatti sono narrati in una duplice forma: sia versi che prosa  prosimetro,

data dall’esigenza di affiancare al suo componimento poetico la spiegazione dei versi grazie alla prosa.  Imita il testo universitario, dove la glossa spiega il contenuto del testo.  Oltre alla contaminatio di versi e prosa, nella composizione poetica ci sono

altre “contaminazioni”:  Biografia personale – Biografia poetica;  Forma del testo universitario – Raccolta di poesie precedenti.  La VITA NUOVA finisce con la morte di Beatrice  cfr Canzoniere di

Petrarca, diviso in due parti: in vita e in morte di Laura  nel senso che anche qui la lirica è organizzata attorno alla vita di questa persona, e alla morte come discrimine centrale. Dopo la morte di Laura, l’amore assume funzioni filosofiche piuttosto che interiori, nel poeta. La donna, che già era una figura “inavvicinabile e lontana” in precedenza, deve scomparire completamente diventando esclusivamente immagine del ricordo, per consentire il processo di raffinamento  DONNA DEVE DIVENTARE UNA ENTITA’ COMPLETAMENTE ASTRATTA.  In

questo componimento è presente l’anticipazione della Divina

Commedia: nel momento in cui Beatrice diventa completamente astratta, Dante si astiene dal parlare di lei finchè non saprà farlo degnamente  dunque parla di ciò che accadrà nella Divina Commedia: qui Beatrice si 38


presenterà sotto forma di spirito. Diventerà nella Divina Commedia la rappresentazione di quella guida psicologica e intima che, come ha guidato Dante a perfezionarsi sulla terra, ora lo guida a perfezionarsi moralmente, spiritualmente, aiutando Dante a “perdere” anche lui il corpo (la materialità)  tralasciare le cose terrene perché sono futili ed accogliere quelle spirituali e divine.  Nella Vita Nuova, da un lato i componimenti in versi che appunto la

costituiscono sono il vertice dello stilnovismo, e quindi di tutta la poesia d’amore fino ad allora compiuta nella lingua del sì; dall’altro, le parti in prosa, che fanno da introduzione e commento alle rime, riprendono la tradizione della trattatistica d’amore inaugurata in Provenza, e forniscono ai versi gli assunti filosofici e dottrinari. La Vita Nuova è un elemento importante per Dante non solo riguardo il suo percorso di conoscenza, ma anche per quello della sua poetica (che si evolve all’interno del componimento).

Tenzone con Forese Donati: tre sonetti in cui avviene una specie di duello verbale tra i due poeti. Sono stati scritti intorno al 1290. Qui Dante si cimenta nello stile comico. Dante in generale nella sua attività poetica sperimenta una amplissima gamma di forme, metri, temi e stili che la lirica del suo tempo gli offriva. È un poeta straordinariamente eclettico

Le Rime petrose: sono dedicate a una donna detta Pietra, per la granitica durezza del suo cuore. L’amore è rappresentato qui come un sentimento rabbioso e insoddisfatto, una lotta feroce tra il poeta, incalzato dalla passione, e la donna. Non c’è nulla del dolce stil novo qui.

Rime filosofiche e dell’esilio: a dimostrazione ancora una volta del suo stile eclettico.

CONVIVIO: durante l’esilio, Dante, strappato dai suoi affetti e dalla sua vita politica, ha tempo di fare molte riflessioni filosofiche, teologiche, letterarie, le quali trovano sbocco 39


in due trattati, scritti tra il 1304 e il 1307: uno è il Convivio e l’altro il De vulgari eloquentia. Per quanto riguarda il primo, sappiamo che doveva essere composto di 15 parti: una di introduzione, e 14 di commento ad altrettante canzoni. Ma l’opera non viene portata a termine: Dante infatti fa solo l’introduzione e 3 canzoni con relativi commenti.

Il titolo “CONVIVIO” significa “banchetto”, riferendosi all’intenzione di offrire il cibo della sapienza a quanti ne sono privi: l’opera vuole inquadrare in un organismo unitario tutti i temi della cultura del tempo, secondo la classica mentalità enciclopedica medievale. Ma la novità sta nel fatto che mentre di solito questi temi erano affrontati in latino e riservati a una cerchia ristretta di dotti, principalmente chierici, QUI sono affrontati in LINGUA VOLGARE e sono DESTINATI A UN PIU’ AMPIO PUBBLICO.

Alcuni dei temi affrontati: o

Dante ci tiene a precisare che l’uso del volgare non abbassa il tenore della materia trattata, perché il volgare può esprimere “altissimi e nobilissimi concetti”, e trattare dunque tutti gli argomenti. È un sole nuovo che sorgerà quando l’ usato (cioè il Latino) tramonterà.

o

Dante ripropone il CONCETTO STILNOVISTA che LA NOBILTA’ VERA NON è LEGATA ALLA NASCITA MA ALLA BONTA’ D’ANIMO.

o

Afferma la necessità dell’impero come unico governo per tutta l’umanità.

Funzione: diffondere il sapere significa combattere contro il disordine che opprime l’umanità, e richiamarla al vero scopo della sua esistenza. Attribuisce a sé stesso questo compito  prosegue nella costruzione di quella figura di solitario e profetico cantore della rettitudine, che troverà pieno compimento nella Commedia.

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DE VULGARI ELOQUENTIA:

è un trattato in prosa, scritto in latino,

progettato per 4 libri, ma mai completato (ha scritto solo il primo e parte del secondo). Perché sceglie il latino? Perché lo destina, a differenza del Convivio, a un pubblico di specialisti.

Temi: o

Supremazia del volgare sul latino: il volgare è una lingua naturale, che si impara fin dall’infanzia; il latino è una lingua “artificiale”, inventata dai dotti, che si apprende solo con lo studio.

o

Definisce il volgare italiano come lingua del sì, e ne passa in rassegna le varietà regionali.

o

Serve un volgare illustre che possa trattare adeguatamente argomenti elevati. Ma questo è difficile che succeda perché dovrebbero collaborare i più validi letterati di Italia cercando di superare i volgari regionali

Nonostante le sue teorie siano un po’ datate e bizzarre, nel trattato compaiono però importanti concetti nuovi che si dimostreranno tipici di Dante:  I giudizi, molto duri, che Dante pronuncia sui poeti del suo tempo e della

generazione precedente.  Il rapporto tra unità linguistica e unità politica d’Italia.  La tesi che una lingua italiana debba nascere dal contributo di diversi dialetti.  Mette in discussione il fatto che il latino possa essere meglio del volgare: il

volgare, lingua parlata, ha una nobiltà maggiore di una lingua codificata dalla tradizione letteraria. La catalogazione dei volgari italiani offre una prima carta dialettale d’Italia.

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DE MONARCHIA:

scritto in latino, rivolto a un pubblico europeo di dotti. È un

trattato di tre libri, di data incerta, ma probabilmente scritto dopo la discesa i Italia di Arrigo VII.

Tema: già ne parla nel Convivio. Qui lo riprende e affronta meglio. Si tratta di una sorta di utopia (per come la vediamo noi), anche se per Dante era realizzabile. o

Serve una monarchia universale per la salvaguardia della pace e della giustizia.

o

Dio ha scelto l’impero di Roma per questa funzione.

o

Papa e imperatore traggono entrambi il loro potere da Dio, ma chi detiene il potere temporale deve essere l’imperatore, chi detiene il potere, per così dire, “spirituale” deve invece essere il Papa. L’imperatore deve essere guida degli uomini sulla terra, perché si comportino bene nella loro vita terrena. Il papa deve essere invece guida degli uomini per la salvezza nella vita ultraterrena.

o

Dunque l’uomo ha bisogno di 2 guide: una per la vita terrena e una per la salvezza nella vita ultraterrena  senza guide è perduto. Ma le guide non possono “scambiarsi” i ruoli, e l’una non può avere la presunzione di volersi occupare anche della “funzione” dell’altra.

Questo trattato, dopo la morte di Dante, verrà pubblicamente bruciato perché ritenuto libro eretico. •

La

COMMEDIA:

scritta probabilmente tra il 1304-1307 e l’anno della sua morte.

Interrompe il Convivio e il De vulgari eloquentia, due trattati, per scegliere un altro genere letterario per comunicare il messaggio che vuole trasmettere. Un genere che può essere più incisivo ed efficace, cioè la poesia.

Modello di mondo Dantesco: o

INFERNO: la Terra è una sfera (non è piatta) divisa in due emisferi: quello superiore è ricoperto dall’oceano; quello inferiore invece è abitato. Nell’emisfero abitato c’è Gerusalemme. Al di sotto di Gerusalemme inizia quello che Dante chiama 42


INFERNO: esso ha una forma di cono che si apre al di sotto di Gerusalemme, vicino alla quale c’è una selva oscura con una porta che introduce al “pre – inferno”  il limbo. La parte finale del cono si trova al centro della Terra. Questo “cono” fu creato dalla caduta di Lucifero, che Dio gettò giù dal paradiso a causa della sua superbia. E infatti, al centro della Terra, c’è incastrato Lucifero. L’Inferno si compone di 9 cerchi, dove sono disposti i peccatori. Tanto sono più bassi i cerchi, tanto la colpa da espiare è grave. Possiamo sostanzialmente raggruppare i peccatori in tre grandi gruppi: incontinenti, violenti, fraudolenti. Una volta giunti da Lucifero, nella parte finale dell’Inferno, si può raggiungere il Purgatorio tramite una natural burella, cioè una sorta di “corridoio” che dal centro della terra porta alla superficie dell’emisfero opposto, quello delle acque. o

PURGATORIO: in questo emisfero, conseguentemente alla caduta di Lucifero, della terra fu spostata creando la montagna del Purgatorio, un monte in cui le anime dei peccatori possono espiare le loro colpe e giungere in Paradiso. Ma questo percorso è graduale: devono salire tutte le VII cornici del purgatorio. Non si trovano quindi in una posizione statica come i dannati dell’Inferno. Alla cima del Purgatorio si trova il Paradiso Terrestre, dove Dante incontra Beatrice.

o

PARADISO: dal paradiso terrestre, una volta purificatisi, si può giungere al Paradiso vero e proprio: circonda la sfera della terra, ed è composto da nove sfere mosse da nove schiere di angeli. Queste nove sfere sono chiamate “i cieli” del Paradiso, ed hanno una loro organizzazione diversificata, basata sulla specifica virtù che appartiene a ciascuno di essi e sulla diversa velocità della loro rotazione, proporzionale alla vicinanza a Dio, “l’amor che move il sole e le altre stelle”. Oltre l’ultimo cielo, si trova l’Empireo, luogo in cui vivono i beati (nella Rosa dei Beati), la Madonna, e infine Dio.

L’uomo è posto al centro dell’universo, libero di scegliere tra il bene e il male (libero arbitrio) ed esposto sia agli influssi benefici provenienti dal cielo che alle tentazioni e agli orrori provenienti dall’Inferno. Quanto più ci si allontana dal centro della terra, dove è incastrato Lucifero, tanto più si attenua l’influsso malefico del diavolo e si accentua l’influenza salvifica di Dio.

43


TRAMA: il viaggio di Dante attraverso i regni dell’aldilà dura 7 giorni della primavera del 1300 (se non sbaglio è la settimana santa). -

Smarritosi nella selva oscura, che simboleggia il peccato, Dante incontra Virgilio, che viene mandato in suo soccorso da Beatrice. Virgilio gli annuncia che, per uscire dalla selva, deve percorrere l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Nei primi due regni lui gli farà da guida; nel terzo questo compito toccherà a Beatrice. Inizia così il viaggio di Dante.

-

Dante scende nell’Inferno, e ha l’opportunità di conoscere molti personaggi che lo popolano, conoscendo quali fossero i loro peccati, e quale fosse la pena che dovevano subire. Scopre così che i dannati sono puniti secondo la legge del contrappasso, ovvero con un supplizio che richiama per somiglianza o per contrasto il peccato da loro commesso. Questo percorso lo colpisce molto, e spesso si commuove per il loro destino. Giunto al fondo dell’Inferno, dove Lucifero è conficcato nel ghiaccio al centro della Terra, risale lungo la natural burella verso la superficie, ed arriva su un’isola in mezzo all’oceano, agli antipodi di Gerusalemme. Su questa isola si erge la montagna del Purgatorio.

-

In questo monte i peccatori non dimorano in un solo girone, ma li percorrono tutti e sette, sostandovi più o meno a lungo, secondo le loro colpe. Anche qui Dante istaura con alcuni di loro, in maniera serena e affettuosa. Come per le anime, anche per Dante l’ascesa della montagna si configura come l’esperienza di graduale purificazione.

-

Giunto alla vetta, si trova in un vasto giardino fiorito, il paradiso terrestre, luogo dal quale furono cacciati Adamo ed Eva. Qui Virgilio se ne va per lasciare il posto alla guida Beatrice  per raggiungere la salvezza, la ragione umana (Virgilio) non può bastare  occorre che l’uomo sia illuminato dalla fede e dalla rivelazione divina.

-

Guidato da Beatrice, Dante sale attraverso i ove cieli che circondano la terra. Lì i Beati, scesi dal paradiso per ordine divino, sono collocati nei cieli che corrispondono alle loro qualità e virtù. Questo è un disegno divino  Dante deve conoscerli e parlare con loro, e quindi loro vengono momentaneamente collocati lì. Ma la loro ubicazione non sono i nove cieli, bensì la rosa dei venti.

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-

Man mano che sale, ogni parvenza terrena e umana comincia a dissolversi fino a scomparire, e le anime appaiono come fiamme, splendori, luci, in un clima sempre più rarefatto e luminoso.

-

Nell’ottavo cielo, Dante è interrogato da San Pietro, San Giacomo e San Giovanni sulle tre virtù teologali (fede, speranza e carità).

-

Superato l’esame, e visitato il nono cielo, Dante giunge nell’Empireo, dove viene assistito non più da Beatrice, bensì da San Bernardo (terza guida). Qui può contemplare la Vergine, e i beati, nella Rosa dei Venti, ed infine , in un’illuminazione improvvisa e sconvolgente, può immergersi nella visione di Dio.

Concetti importanti: il viaggio di Dante nei tre regni è sì una esperienza spirituale personale, nel quale lui si libera dei peccati e delle cose terrene, si purifica, e giunge alla salvezza; ma è anche un messaggio: Dio affida a Dante il compito di annunciare l’urgente bisogno di una conversione radicale, che coinvolga tutti gli aspetti della vita degli uomini: i comportamenti morali, politici, le concezioni teologiche e filosofiche, sono profondamente corrotte  onde evitare una irreversibile punizione divina, è necessario un cambiamento globale.

Il termine Commedia (Divina viene aggiunto da Boccaccio) allude a un’opera che ha un inizio orribile e fetido, e una conclusione prospera, desiderabile, e grata; il personaggio principale non è l’eroe, come Enea dell’Eneide, ma un semplice uomo.

Stile: 3 sono gli stili presenti nella Commedia, che si rifanno sostanzialmente agli stili medievali, e vengono utilizzati a seconda della materia trattata e dell’argomento: -

Comico

-

Elegiaco (tipico della poesia d’amore)

-

Tragico (tipico della poesia epica e della tragedia, per Dante è lo stile più elevato). 45


Questa tripartizione si coniuga abbastanza con la tripartizione dei Regni, passando da uno stile molto basso (nell’Inferno) a uno stile elevatissimo (nel Paradiso); ciononostante compare in molti casi l’uso di uno stile diverso a quello utilizzato per quel regno, nel momento in cui quel diverso tipo di stile si accorda meglio con l’argomento trattato in quella specifica circostanza.

Vita Nova 46


Trama: o

Dante incontra Beatrice quando lui ha 9 anni e lei è entrata nel suo nono anno di età. Se ne innamora all’istante.

o

Nove anni dopo il primo incontro, ne avviene un altro: Dante riceve il dolcissimo salutare di Beatrice, apportatore di suprema beatitudine. Attraverso il saluto Beatrice dona la salute (che in latino significa salvezza). Beatrice è descritta da Dante come una donna vestita di bianco e di rosso. Il bianco è simbolo di purezza, mentre il rosso, nonostante nel medioevo fosse il colore di cui sono ammantate le prostitute, è anche un riferimento alla passione di Cristo. Infatti Beatrice vestirà di rosso nell’atto dell’assunzione in cielo alla sua morte.

o

Il poeta si rifugia dunque nella sua camera, e nel sonno sogna che Amore porta fra le braccia Beatrice, le dà da mangiare il cuore dell’amante, e piange. Il Poeta scrive dunque il primo sonetto della raccolta, in cui descrive il sogno, e lo invia ai più famosi trovatori del suo tempo. Il sonetto in questione è “A ciascun’alma presa e gentil core”. Tra coloro che rispondono all’interpretazione del sogno, c’è anche Guido Cavalcanti, futuro primo amico di Dante. Ma nemmeno lui sa riconoscerne il vero significato (CIOE’ QUELLO DI ANNUNCIARE LA MORTE PREMATURA DI BEATRICE).

A CIASCUN’ALMA PRESA E GENTIL CORE A ciascun'alma presa, e gentil core, nel cui cospetto ven lo dir presente, in ciò che mi rescrivan suo parvente

A ciascuna anima innamorata e cuore gentile, nella cui presenza viene il presente scritto, affinché

mi

scrivano

in

risposta la

loro

(SUO:usato comunemente nella lingua antica anche per il plurale) interpretazione , <porgo> il mio saluto in nome del loro signore, cioè Amore.

salute in lor segnor, cioè Amore. Era già passato quasi un terzo delle ore del tempo in cui tutte le stelle splendono Già eran quasi che atterzate l'ore

quando improvvisamente mi apparve Amore, 47


del tempo che onne stella n'è lucente, quando m'apparve Amor subitamente

di cui mi procura orrore ricordare il modo di essere (essenza).

cui essenza membrar mi dà orrore. Amore mi sembrava allegro mentre teneva in mano il mio cuore, e tra le braccia aveva Allegro mi sembrava Amor tenendo

la mia signora avvolta in un drappo mentre dormiva.

meo core in mano, e ne le braccia avea madonna involta in un drappo dormendo.

Poi la svegliava e, di questo cuore che ardeva con tenera sollecitudine nutriva la donna timorosa:

Poi la svegliava, e d'esto core ardendo

poi lo vedevo andarsene in lacrime.

lei paventosa umilmente pascea: Questo sonetto si divide in due parti; appresso gir lo ne vedea piangendo.

nella prima parte saluto e domando risposta, nella seconda spiego a quale domanda si deve rispondere. La seconda parte comincia qui: “già

Questo sonetto si divide in due parti; Che ne la prima parte saluto e domando risponsione, e la seconda significo a che si dee rispodere. La seconda parte comincia quivi: gia’ eran.

eran”. A questo sonetto fu risposto da molti e con diverse opinioni; tra i quali rispose quello che io chiamo il primo dei miei amici, e scrisse allora un sonetto che comincia con “Vedeste, al mio parere, onne valore. E questo sonetto fu, per

A questo sonetto fue risposto da molti e di così dire, l’inizio dell’amicizia fra lui e me, diverse sentenzie; tra le quali fue risponditore quando lui seppe che ero io quello che gli aveva quelli cui io chiamo primo de li miei amici, e mandato

il

componimento.

La

vera

disse allora uno sonetto, lo quale comincia: interpretazione del sogno in questione non fu Vedeste, al mio parere, onne valore. E questo vista allora da nessuno, ma ora è del tutto fue quasi lo principio de l’amistà tra lui e me, 48


quando elli seppe che io era quelli che li avea evidente anche ai più ignoranti. ciò mandato. Lo verace giudicio del detto sogno non fue veduto allora per alcuno, ma ora è manifestassimo a lì più semplici.

NOTE: Prima quartina: il riferimento al «gentil core» e alla signoria di Amore individua i destinatari della lirica nella cerchia dei poeti stilnovisti, cui Dante andava accostandosi negli anni giovanili. È presente un provenzalismo (parvente) e il termine salute, complemento oggetto di un verbo sottinteso, conforme all’uso latino. Seconda quartina: Le ore della notte sono dodici: quando ne è passato un terzo ci troviamo alla quarta ora (corrispondente alle dieci di sera). Come si è visto, nella prosa, Dante spiega questo dato secondo il simbolismo del numero nove. Prima terzina: è da notare come l’uso del gerundio sia nella lingua letteraria del Duecento assai più libero che nell’italiano attuale; non c’è infatti l’obbligo di riferire il verbo al gerundio allo stesso soggetto della proposizione che lo regge. Nella parafrasi occorrerà rendere questi gerundi con il participio presente («dormendo» può essere parafrasato con dormiente) o, come abbiamo fatto noi, con una subordinata esplicita. Seconda terzina: piangendo è riferito ad Amore, sta per piangente. Prosa: le poesie della Vita nuova sono ordinariamente seguite da una sorta di analisi tematica del testo, a volte corredata da altre informazioni. Livello

tematico:

La prima quartina si rivolge direttamente agli innamorati e ai cuori gentili, ossia a quei «fedeli d’Amore» (i poeti stilnovisti) alla cui cerchia il giovane Dante andava accostandosi, e tra cui individuava gli unici interlocutori in grado di discutere della materia amorosa. Il sonetto si presenta come un’epistola; contiene perciò l’indicazione del destinatario e la salutatio, retoricamente esemplata sui modelli classici (da qui l’ellissi del verbo “dire”, “augurare” e simili, come nelle epistole di Cicerone) e ricalcata sulla formula religiosa del saluto “in Cristo” (qui sostituito da Amore, che pertanto si presenta con una forte connotazione religiosa). Il sonetto di Dante — databile intorno al 1283 — si configura come il primo atto di una tenzone, ossia di una disputa 49


poetica su un determinato tema (in questo caso il significato del sogno). L’epistola è quindi destinata a suscitare diverse e contrastanti risposte. Maggiore interesse, nell’economia della Vita nuova, presentano però la seconda quartina e le due terzine, che trattano del sogno di Dante. Bisogna precisare che Dante intende questo sogno come momento di verità, in quanto profetico della morte di Beatrice. Riepiloghiamo schematicamente i temi trattati: 1. Dante vede in sogno una figura che gli mette paura (Amore); 2. Amore appare allegro; 3. Amore tiene in mano il cuore del poeta; 4. Amore tiene in braccio una donna addormentata avvolta in un drappo; 5. Amore sveglia la donna e le fa mangiare il cuore del poeta; 6. Amore va via piangendo.

Nella prosa, in questo caso l’analisi ci dice che il testo si divide in due parti: la prima dove saluta e chiede di rispondere a quel momento; la seconda, dove invece pone il tema sul quale devono elaborare una risposta. Tra i poeti che risposero al sonetto si ricordano anche Cino da Pistoia e Dante da Maiano. Ma più importante di tutti, e citato anche nel sonetto, è Guido Cavalcanti, che rispose a Dante con un altro sonetto. Questo primo contatto stabilì l’inizio della loro amicizia. Cavalcanti è quello che Dante definisce “il suo primo amico”. L’incontro ed il saluto di Beatrice rappresentano anche il momento di incontro con il suo amico intellettuale Cavalcanti. Dante è qui all’inizio della sua carriera poetica, ed al momento del suo ingresso nella cerchia dei poeti. Nella prospettiva del narratore consapevole, alla luce degli eventi successivi, il significato del sogno appare evidente: nel momento in cui il narratore scrive il pianto di Amore può essere collegato alla morte di Beatrice, cosa che non era stato possibile fare quando il poeta-amante aveva avuto la visione e scritto il sonetto. Al centro del sonetto c’è dunque la vicenda del cuore mangiato dalla donna su invito di Amore. Come si è già visto, mangiare il cuore di qualcuno implica, nell’immaginario medievale (tipico anche dei provenzali, ma presente successivamente anche in Boccaccio), l’impossessarsi della sua anima (e certamente la donna amata si impossessa di quella dell’amante); il fatto che la donna appaia titubante fa forse riferimento alla sua riluttanza ad accogliere l’amore del poeta. 50


Questo tema è analogo a quello della prosa. È però necessario tenere presente che la stesura del sonetto è di parecchi anni precedente; in esso, pertanto, opera la prospettiva del poetaamante, non quella del narratore consapevole.

Studiando le differenze fra le due, appare

evidente, dunque, come la spiegazione della visione in chiave mistico-simbolica appartenga alla prospettiva del narratore consapevole e non a quella del poeta-amante. Solo dopo la morte di Beatrice Dante focalizza l’attenzione su nuovi particolari che gli permettono di interpretare retrospettivamente i momenti della sua passione giovanile come altrettante tappe di un cammino di salvezza. Come si vede, dunque, nella Vita nuova la prosa ha funzione ben più pregnante che quella di un semplice commento alla poesia (se isolassimo il sonetto da essa, a rigore, non potremmo neanche essere certo che esso riguardi Beatrice). E lo stesso Dante insiste sull’importanza di questa consapevolezza a posteriori quando, commentando il sonetto giovanile, sottolinea il fatto che «allora» nessuno aveva inteso il vero significato del sogno; e aggiunge che questo significato può essere

manifesto

a

tutti

solo

«ora»,

cioè

dopo

la

morte

di

Beatrice.

Livello metrico: sonetto con rime incrociate nelle quartine e ripetute nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDC, CDC. Lessico e struttura: il lessico utilizzato è quello della tradizione stilnovistica, di cui si riprendono elementi topici come quello del «gentil core» o la personificazione di Amore; con la stessa tradizione si spiega il ricorso a provenzalismi come «parvente». Tipicamente dantesco è invece il neologismo «atterzate» (trascorse per un terzo), che sembra anticipare le ardite creazioni lessicali della Commedia. Nelle terzine fitto è il ricorrere dei gerundi (quattro parole-rima su sei), che spesso hanno peraltro funzione di participi presenti. Il testo si articola in quattro periodi, ciascuno dei quali coincide con una quartina o una terzina. (CONTINUA LA TRAMA …) o

Dante patisce le consuete pene dell’amore, ma non rivela a nessuno l’identità della donna amata. Decide addirittura di nasconderla, lasciandosi credere innamorato di un’altra donna (che fa da schermo a Beatrice). Arriva a tal punto ad impegnarsi in questa sua nuova finzione amorosa che si diffonde la fama della sua sensualità.

o

Per punirlo, Beatrice gli nega il saluto.

o

Privato di tale beatitudine, Fante si rifugia nella sua stanza, si addormenta, piangendo, e sogna nuovamente Amore, che questa volta gli spiega il motivo del gesto di Beatrice: il 51


comportamento di Dante reca “noia” (molestia, disonore) alla donna – schermo, e Beatrice è contraria a tutte le “noie”. o

Una persona amica conduce Dante ad una festa nuziale. A questa festa appare Beatrice, e Dante cade in uno stato di profonda ed evidente prostrazione, che provoca la derisione delle donne.

o

Il poeta si allontana per piangere, e vuole invocare, in un nuovo sonetto, la pietà della sua donna, che l’ha visto “umiliarsi” davanti ad altre donne.

o

Dopo l’incontro, il poeta scrive gli ultimi tre sonetti in cui il narratore-poeta si rivolge direttamente a Beatrice, nei quali ci sono riflessioni sulla dinamica del desiderio per la donna e su ciò che gli accade quando le sta vicino. I sonetti successivi avranno una materia “nuova e più nobile che la passata”.

o

Per una misteriosa situazione, accade a Dante di trovarsi nelle vicinanze di una gioiosa compagnia di donne che hanno intelletto d’amore, e di essere interpellato da esse. Le donne conoscono il suo segreto, e cioè l’identità della donna che ama, e oltretutto hanno anche già avuto occasione di assistere agli atteggiamenti di Dante dinanzi a Beatrice (il suo stato di annichilimento che lo rende incapace di parlare o addirittura lo rende incosciente).

o

Esse dunque gli domandano con quale scopo egli ami quella donna, visto che non riesce neanche a sopportarne la presenza. La risposta del narratore ci mostra che la crisi dovuta alla negazione del saluto è una cosa che ormai ha superato, e che per grazia d’Amore, egli colloca ora il suo fine nella pura e semplice lode della donna amata, al di fuori di ogni logica di scambio o di richiesta.

o

Beatrice, in quanto somma di virtù e veicolo di beatitudine, è assimilabile a una santa. Di conseguenza la lode di Beatrice, per Dante, è assimilabile a una preghiera  amore e poesia sempre più coessenziali.

o

Le donne con cui Dante parla sono donne che, come dicevo prima, hanno intelletto d’amore, e cioè una intelligenza ed esperienza dell’eros più raffinato e cortese. Una di queste, dopo aver fatto la prima domanda, ed aver ascoltato la risposta, prega Dante, anche a nome delle altre, di raccontargli “dove si trova” questa beatitudine, e Dante risponde che si trova nelle parole che lodano la sua donna.

52


o

Dopo aver udito la risposta, le donne gli fanno notare che le sue rime, descrizioni della pena d’amore, non sono in effetti canti di lode per Beatrice. La lode dunque non si è ancora tradotta in poesia. Il poeta si accorge della verità del rimprovero, e quasi vergognoso si allontana interrogandosi.

o

Decide di prendere dunque la via della poesia di lode, anche se per un periodo resta in uno stato di limbo, intimorito dal dire e cominciare. Dante è convinto che la creazione lirica sia qualcosa che viene naturalmente per una necessità oggettiva, e non come una scelta arbitraria. E questo accade anche a lui, quando compone DONNE CH’AVETE INTELLETTO D’AMORE.

DONNE CH’AVETE INTELLETTO D’AMORE 1. Donne ch'avete intelletto d'amore,

1. Donne che comprendete la vera essenza di amore,

2. i' vo' con voi de la mia donna dire,

2. voglio parlare con voi della mia donna

3. non perch'io creda sua laude finire,

3. Non perché pretenda di esaurire la sua lode

4. ma ragionar per isfogar la mente.

4. Ma per sfogare la mente ragionando.

5. Io dico che pensando il suo valore,

5. Io dico che pensando a quale sia la sua virtù

6. Amor sì dolce mi si fa sentire,

6. Amore si fa sentire così dolcemente

7. che s'io allora non perdessi ardire,

7. Che se io in quel momento non perdessi coraggio

8. farei parlando innamorar la gente.

8. Farei innamorare (di lei) la gente parlando.

9. E io non vo' parlar sì altamente,

9. E io non voglio cantarla in stile così alto

53


10.ch'io divenisse per temenza vile;

10. Da esser inadeguato per il timore di non riuscirci;

11.ma tratterò del suo stato gentile

11. ma tratterò della sua nobiltà

12.a rispetto di lei leggeramente,

12. in modo semplice rispetto alle sue qualità

13.donne e donzelle amorose, con vui,

13. con voi, oh donne e donzelle amorose

14.ché non è cosa da parlarne altrui.

14. Poiché non è argomento da trattare con altri.

15.Angelo clama in divino intelletto

15. Un angelo invoca l’intelletto divino

16.E dice: “Sire, nel mondo si vere

16. E dice: “Signore, nel mondo si può vedere

17.Meraviglia ne l’atto che procede

17. Un miracolo incarnato che proviene

18.D’un’anima che ‘nfin qua su

18. Da un’anima che risplende fin quassù.

risplende. 19.Lo cielo, che non have altro difetto 20.Che d’aver lei, al suo segnor la chiede,

19. Il cielo, al quale null’altro manca per essere perfetto 20. Se non possedere lei, al suo Signore la reclama

21.e ciascun santo ne grida merzede. 22.Sola pietà nostra parte difende, 23.che parla Dio, che di madonna intende:

21. E ciascun santo invoca a gran voce la grazia per lei. 22. Solo la divina misericordia difende la nostra causa 23. In quanto Dio, alludendo a Beatrice, dice

24.“Diletti miei, or sofferite in pace 25.Che vostra spene sia quanto me piace 26.Là ‘v’è alcun che perder lei s’attende 27.E che dirà ne lo inferno: O mal nati,

24. “O miei amati, sopportate con pazienza 25. Che la vostra speranza per tutto il tempo che desidero 26. Resti là dove c’è chi si aspetta di perderla. 27. E che anche tra le pene dell’inferno dirà: “Oh sventurati 28. Io ho potuto vedere la creatura che gli stessi beati potevano solo sperare di vedere”.

28.io vidi la speranza de’ beati.

29. Beatrice è desiderata nell’alto dei cieli; 54


30. ora voglio mettervi a conoscenza del suo potere. 29.Madonna è disiata in sommo cielo

31. Io esorto qualunque donna che voglia risultare nobile

30.Or voi di sua virtù farvi savere.

32. ad accompagnarsi con lei, perché quando lei passa

31.Dico, quale vuol gentil donna

per strada,

parere

33. Amore getta il gelo nei cuori villani

32.Vada con lei, che quando va per

34. Cosicchè ogni loro pensiero si paralizza e si spegne.

via, 35. E chiunque sopportasse di continuare a guardarla, 33.gitta nei cor villani Amore un gelo, 34.per che onne lor pensero agghiaccia e pere; 35.e qual soffrisse di starla a vedere 36.diverria nobil cosa, o si morria.

36. si trasformerebbe in un essere nobile, oppure morirebbe. 37. E quando incontra qualcuno degno di guardarla (cioè un cuore nobile) 38. Costui sperimenta l’effetto miracoloso di lei 39. Perché tutto ciò che ella emana si trasforma per lui in

37.E quando trova alcun che degno sia

un senso di beatitudine 40. E a tal punto lo rende umile che egli si dimentica ogni offesa ricevuta.

38.Di veder lei, quei prova sua vertute

41. E inoltre Dio, come maggiore grazia, le ha concesso

39.Chè li avvien, ciò che li dona, in salute, 40.e sì l’umilia, ch’ogni offesa oblia.

42. Che chiunque abbia parlato con lei non possa essere condannato all’Inferno. 43. Amore dice di lei: “una creatura mortale

41.Ancora l’ha Dio per maggior grazia dato 42.Che non po’ mal finir chi l’ha parlato.

44. Come può essere così fornita di grazia e così pura?”. 45. Poi la osserva attentamente e tra se e sé conclude con sicurezza 46. Che Dio intenda fare di lei una creatura straordinaria. 47. Ha quasi una (pelle) color di perla, e nella misura 55


43.Dice di lei Amor: “Cosa mortale 44.come esser po’ sì adorna e sì

48. Che si addice a una donna, non di più:

pura?” 45.Poi la reguarda, e fra se stesso giura

49. lei è quanto di più perfetto la natura possa fare; 50. la bellezza si misura prendendo lei come modello.

46.Che Dio ne’ ntenda di far cosa

51. Dai suoi occhi, non appena lei li muova

nova.

52. Escono spiriti fiammeggianti d’amore

47.Color di perle ha quasi, in forma

53. Che feriscono gli occhi di chi la guardi in quel

quale 48.Convene a donna aver, non for misura: 49.ella è quanto de ben po’ far natura; 50.per essemplo di lei bieltà si prova. 51.De li occhi suoi, come ch’ella li mova,

momento, 54. e sono così penetranti che ciascuno di loro giunge dritto al cuore: 55. voi potete vederle Amore dipinto nello sguardo, 56. là dove nessuno può guardarla fisso (cioè negli occhi). 57. Oh canzone, io so che parlerai 58. A molte donne, quanto io ti avrò diffusa.

52.escono spirti d’amore infiammati, 53.che feron li occhi a qual che allor la quati, 54.e passan sì che ‘l cor ciascun retrova:

59. Ora perciò io ti ammonisco, dal momento che ti ho allevata 60. Come una figliuola di Amore giovane e semplice, 61. affinchè, dovunque tu giunga, dica in forma di preghiera:

55.voi le vedete Amor pinto nel viso, 56.là ‘ve non pote alcun mirarla fiso.

62. “indicatemi la via, perché io sono stata mandata 63. da colei delle cui lodi sono piena”. 64. E se non vuoi girare a vuoto

57.Canzone, io so che tu girai parlando

65. Non restare dove ci sia gente villana: 56


58.A donne assai, quand’io t’avrò avanzata. 59.Or t’ammonisco, perch’io t’ho allevata 60.Per figliuola d’Amor giovane e piana, 61.che là ‘ve giugni tu diche

66. ingegnati, per quanto ti sia possibile, di rivelarti 67. solo con donne o ad uomini cortesi 68. che ti porteranno là (cioè da Beatrice) per la via più veloce. 69. Così tu troverai Amore e insieme a lui, lei; 70. raccomandami a lui come ti si addice.

pregando:

62.“Insegnatemi gir, ch’io son mandata 63.A quella di cui laude so’ adornata”. 64.E se non vuoli andar sì come vana, 65.non restare ove sia gente villana: 66.ingegnati, se puoi, d’esser palese 67.solo con donne o con omo cortese 68.che ti merranno là per via tostana.

69.Tu troverai Amore con esso lei; 70.raccomandami a lui come tu dei.

TRAMA: Nella Vita Nuova, la canzone è presentata come la prima vera attuazione della poetica della LODE: l’Amore preme per essere rappresentato attraverso la parola. Esso è visto come un processo di miglioramento di se stessi, e parlare dell’Amore porta all’innamoramento. I cieli desiderano Beatrice, creatura straordinaria, senza la quale si sentono imperfetti. Si lamentano del fatto che lei appartenga ancora al mondo terreno. (Per questo la frequentazione di Beatrice permette 57


di avere le stesse grazie). Ma, per pietà degli uomini, che dalla vista di Beatrice ricavano una letizia indelebile, Dio non accoglie la preghiera degli angeli. L’incontro con un’anima gentile (in questo caso Beatrice) permette di capire a che stadio del percorso di “purificazione” si è giunti. Essa ha tante qualità: abbatte l’arroganza di chi la incontra; chi le parla non può commettere colpe; Gli effetti morali della presenza di Beatrice (terza stanza) sono questi: dinanzi a lei, gli ignobili diventano nobili o si annientano; coloro che sono degni di lei ne ricavano piena felicità e un sentimento di amorosa mitezza. Si contempla anche la bellezza del corpo di Beatrice, soffermandosi sul suo candore e sulla fiamma amorosa degli occhi, che nessuno può fissare (quarta stanza). Beatrice è un tutt’uno con l’amore. Essa rappresenta al massimo grado la forma dell’amore cortese (virtù tipiche del cammino di perfezione laico) e la conoscenza e cioè Dio (virtù tipiche del cammino di perfezione cristiano). Dio con lei vuole realizzare una cosa nuova  dai suoi occhi passano fiamme d’amore che colpiscono gli occhi di chi guarda e arrivano al cuore. Ad un certo punto del componimento (Verso 60) Dante si rivolge direttamente alla Canzone, esortandola a non seguire i cuori villani. Si arriverà poi, nel 21° capitolo della Vita Nuova, a una Beatrice completamente angelicata, che trasforma l’uomo da villano a uomo cortese. COMMENTO: Si tratta del componimento manifesto dello stile della loda, innovazione poetica di Dante costituente il superamento della stagione cavalcantiana, e che interessa i capitoli centrali del libello giovanile. L'Alighieri è dunque autore di "rime nuove" che costituiscono un concreto scarto rispetto alla tradizione precedente e ai contemporanei. Mentre Dante prima scriveva in conseguenza di un evento materiale (es. un incontro), qui Dante scrive perché vuole semplicemente farlo, spinto da una riflessione interiore in solitudine. Cambia anche il destinatario: Dante individua subito il suo pubblico nelle donne e, tra di esse, in quelle che hanno intelletto (piena conoscenza, esperienza) d'amore, sempre più inteso come amore caritas. Di solito sono gli uomini che hanno intelletto d’amore (cioè i poeti), ma qui Dante cerca come interlocutori delle interlocutrici (sempre figurate): donne capaci di comprendere il sentimento cortese d’amore.

58


Dante dice di non poter parlare a chiunque, e di doversi servire in ogni casi di “donne gentili” come tramite, e non di donne in generali. Chiaro è poi il tributo a quello che Dante nella Commedia riconosce come padre dello stilnovo, Guido Guinizzelli, per mezzo di richiami evidenti al sonetto Io vogli' del ver la mia donna laudare. Struttura della canzone: la canzone è composta da cinque stanze di endecasillabi, ciascuna con lo schema ritmico di un sonetto ABBC (fronte) CDD (coda). I versi possono essere uniti da un verso chiamato CHIAVE, e finire con un verso chiamato CONGEDO. Lo stilema usato (“avvenne che” annuncia l’ingresso di un cambiamento che sovverte l’ordine ricorrente nelle narrazioni del Medioevo.

(CONTINUA LA TRAMA …) o Su richiesta di un amico, Dante scrive un sonetto in cui spiega cosa sia l’Amore. Già nel primo verso “Amore e ‘l cor gentil sono una cosa” si intuisce che Dante ha preso come punto di riferimento per le sue nuove rime la poesia di Guinizzelli.

AMORE E ‘L COR GENTIL SONO UNA COSA Amore e ’l cor gentil sono una cosa,

Amore e il cuor gentile sono una sola (una) cosa,

sì come il saggio in suo dittare pone,

così come il saggio (Guido Guinizzelli) afferma nel suo scritto,

e così esser l’un sanza l’altro osa com’alma razional sanza ragione.

e l’uno può esistere senza l’altro tanto quanto l’anima razionale <può esistere> senza la ragione.

La natura li crea quando è disposta all’amore, Falli natura quand’è amorosa, Amor per sire e ’l cor per sua magione, dentro la qual dormendo si riposa

l’Amore come signore e il cuore come sua dimora, dentro la quale <l’amore> si riposa dormendo, a volte per breve tempo e a volte a lungo.

tal volta poca e tal lunga stagione. 59


La bellezza si manifesta poi in una donna di animo Bieltate appare in saggia donna pui,

nobile, che piace tanto agli occhi <dell’uomo>, che dentro il suo cuore

che piace a gli occhi sì, che dentro al core

nasce un disio de la cosa piacente;

nasce il desiderio della creatura che piace;

e talora <il desiderio> dura tanto a lungo nell’uomo che fa svegliare lo spirito d’Amore.

e tanto dura talora in costui, che fa svegliar lo spirito d’Amore.

E allo stesso modo opera un uomo di animo nobile nell’animo di una donna.

E simil face in donna omo valente.

TRAMA: i versi sono anticipati da una prosa (qui è direttamente parafrasata): “Dopo che questa canzone fu abbastanza conosciuta tra a gente, poiché un amico la udì, la volontà lo spinse a pregarmi di dirgli che cosa sia Amore, poiché quest’amico aveva forse, a causa della poesia ascoltata, un’aspettativa nei miei confronti superiore ai miei meriti. Per cui io, pensando che dopo una tale trattazione sarebbe stato bello discutere un po’ d’Amore, e pensando che l’amico era degno di essere soddisfatto, decisi di scrivere una poesia in cui trattasi di Amore.” Quindi qui spiega il motivo che lo ha indotto a scrivere questo “sonetto esplicativo” sull’Amore. Seguono i versi: l’amore e il cuore gentile sono due facce di una stessa identità, come definisce il saggio Guinizzelli: così come l’anima razionale non può esistere senza l’uomo, alla stessa maniera l’amore e il cuore gentile non possono esistere separatamente, ma sono due facce della stessa medaglia. la natura, in particolari condizioni, crea un cuore nobile in cui risiede Amore in potenza; la visione di una bella e saggia donna (l’identità è secondaria, è ciò che fa che è importante, è il suo cuor gentile che è importante) suscita poi un desiderio che, prolungandosi, risveglia l’amore. Interessante l’ultima notazione, che stabilisce la completa simmetria dell’innamoramento nell’uomo e nella donna. 60


COMMENTI: La scelta del modello guinizzelliano risponde evidentemente alla nuova poetica della lode, con cui Dante ha superato la visione “oscura” tipica di Cavalcanti. Quest’ultimo non è però dimenticato; anzi non è improbabile che proprio lui sia l’amico cui sono rivolti questi versi. In tal caso, l’accento posto sulla stretta connessione tra amore e qualità etico-intellettuali avrebbe il senso di una presa di distanza dal modello seguito fino a poco tempo prima. La stessa funzione polemica sembra avere il v. 4, in cui si sottolinea come l’anima razionale non possa esistere senza la ragione: è probabile che il verso voglia esplicitamente contestare la visione averroistica adottata da Cavalcanti, che negava all’uomo l’anima razionale, facendo da ciò discendere persino la negazione dell’immortalità dell’anima. Tale presa di distanza non esclude l’obbligo di pagare i debiti al proprio modello. Il v. 9 («Bieltate appare in saggia donna pui»), che configura l’aspetto fisico della donna come una manifestazione sensibile dell’ideale della bellezza (non a caso il soggetto dell’enunciato è il sostantivo astratto «bieltate»), richiama il v. 50 di Donne ch’avete intelletto d’amore («per essemplo di lei bieltà si prova» ) ma sembra risalire, attraverso la canzone dantesca, al cavalcantiano «e la beltate per sua dea la mostra» di Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira [E7, v. 11]. Resta invece escluso dal sonetto qualsiasi riferimento all’ineffabilità della bellezza femminile, elemento – anch’esso di derivazione cavalcantiana – che tanta importanza assume nella nuova poetica dantesca. Del resto questo sonetto viene presentato dal narratore quasi come un corollario della precedente canzone, dalla quale emergevano già molte novità nel rapporto con il modello cavalcantiano; ed è seguito da un altro sonetto, Ne li occhi porta la mia donna Amore, che ne completa e approfondisce la tematica in senso propriamente religioso. NB: in questo sonetto c’è anche un riferimento ad Aristotele, perché nella prima parte si parla di amore in potenza, nella seconda di amore in atto. Forma e materia (in questo caso Amore e Anima Gentile) sono in rapporto come potenza e atto.

(CONTINUA LA TRAMA …): o Ma a limitazione della teoria appena esposta, Dante compone il sonetto Negli occhi porta la mia donna Amore, in cui sostiene che la visione di Beatrice può suscitare miracolosamente l’amore anche là dove esso non si trovava neanche in potenza. Infatti l’amore per Beatrice ha una qualità del tutto eccezionale, e non è riconducibile al quadro dottrinario.

61


NEGLI OCCHI PORTA LA MIA DONNA AMORE Ne li occhi porta la mia donna Amore,

La mia donna porta Amore negli occhi,

per che si fa gentil ciò ch’ella mira;

per cui diventa spiritualmente nobile tutto ciò che lei guarda;

ov’ella passa, ogn’om ver lei si gira, e cui saluta fa tremar lo core,

là dove essa passa, ciascuno si gira verso di lei, e <Beatrice> fa tremare il cuore a chiunque essa saluta, sicché

sì che, bassando il viso, tutto smore,

<costui>,

abbassando

lo

sguardo,

impallidisce completamente, e si pente di ogni suo difetto:

e d’ogni suo difetto allor sospira: fugge dinanzi a lei superbia ed ira.

fuggono davanti a lei (Beatrice) superbia ed ira. Aiutatemi, o donne, a farle onore.

Aiutatemi, donne, farle onore. Ogni dolcezza, ogni pensiero umile Ogne dolcezza, ogne pensero umile nasce nel core a chi parlar la sente,

Nasce nel cuore di chi la sente parlare per cui ne ha lode chi la vide per primo.

ond’è laudato chi prima la vide. Quel che essa appare quando sorride un po’ Quel ch’ella par quando un poco sorride, non si pò dicer né tenere a mente,

non si può dire né conservare nella memoria, tanto è miracolo straordinario e nobile.

sì è novo miracolo e gentile.

NOTE:

62


Ne li occhi… mira: l’azione beatificante di Beatrice arriva a sostituirsi alla natura, facendo nascere con il suo sguardo la “gentilezza” anche là dove essa non esiste.

ov’ella… sospira: i sospiri, tradizionalmente considerati manifestazione di desiderio e di infelicità amorosa, diventano qui segno di pentimento religioso.

superbia ed ira: sono due peccati capitali, distrutti dalla vista di Beatrice; sono entrambi soggetti del verbo «fugge».

Ogne… umile: sono le virtù contrapposte ai vizi nominati al v. 7. L’opposizione è sottolineata dal chiasmo: la dolcezza si contrappone all’ira e l’umiltà alla superbia. La forma «umile», con accentazione piana e non sdrucciola, è di derivazione provenzale.

onde… vide: per cui ne ha lode chi la vide per primo. Non è chiaro se si tratti di un riferimento generico, se l’espressione voglia indicare Dio o se si riferisca a un uomo (forse il padre di Beatrice, oppure lo stesso Dante).

TRAMA: Come la precedente, anche qui è presente una prosa introduttiva (qui direttamente parafrasata): “Dopo che ebbi trattato d’Amore nella precedente poesia, ebbi voglia di scrivere anche, per lodare questa donna assai nobile, come si sveglia per lei questo Amore, e come non solo si sveglia là dove dormiva, ma (anche) là dove non è in potenza, ella, operando in maniera miracolosa, lo fa nascere (dunque non solo l’amore passa in atto laddove è in potenza, ma nasce anche laddove non era vi era proprio, neanche in potenza, grazie a Beatrice). E allora scrissi questo sonetto, che comincia con “negli occhi porta”.” Nei versi non fa altro che spiegare quello che è anticipato dalla prosa (e che ho scritto sopra). L’amore nella donna “gentile” è già in ATTO, mentre nell’uomo può essere in Potenza o non esserci proprio. Nel sonetto precedente Dante aveva detto che solo i cuori gentili potevano avere AMORE IN POTENZA e farlo tramutare in ATTO. Ma qui ritratta la dottrina dicendo che con Beatrice questo non vale: infatti la visione di Beatrice non solo porta in Atto l’Amore che già era in Potenza negli uomini, ma fa nascere l’Amore anche in quei cuori vili che non lo possedevano nemmeno in potenza. L’Amore di Beatrice e negli occhi. Abbassare lo sguardo è un simbolo di umiltà.

63


(CONTINUA LA TRAMA …) o Il padre di Beatrice muore, e Dante comincia a concepire il pensiero che anche una creatura così nobile come Beatrice dovrà morire; entra in un momento di turbamento, e viene consolato e destato da una serie di donne presenti all’avvenimento. o Qualche tempo dopo, il poeta incontra una tale Giovannna, una figura femminile che precede sempre Beatrice, così come Giovanni Battista precedeva Cristo. Era detta “primavera” perché “prima verrà” della gentilissima. o Beatrice, come Cristo a Gerusalemme, si apre massimamente al pubblico esplicando la sua missione di salvezza. Dante descrive con mirabile letizia cosa accade quando la donna passa e quali sono i suoi effetti. L’avvenimento è addirittura descritto sia in prosa che in poesia. Il sonetto si chiama Tanto gentile e tanto onesta pare.

TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE 1.

Tanto gentile e tanto onesta pare

1. Tanto nobile e tanto decorosa nei suoi

atteggiamenti si manifesta 2.

la donna mia quand’ella altrui saluta,

3.

ch’ogne lingua deven tremando muta,

4.

e li occhi no l’ardiscon di guardare.

2. La mia donna quando saluta qualcuno 3. Che ogni lingua diventa muta, tremando 4. E gli occhi non hanno il coraggio di

guardare. 5. Ella procede, sentendosi lodare

5.

Ella si va, sentendosi laudare,

6.

benignamente d’umiltà vestuta;

7.

e par che sia una cosa venuta

8.

da cielo in terra a miracol mostrare.

6. Benevolmente vestita di umiltà 7. E si manifesta come una creatura scesa 8. Dal cielo in terra per mostrare un

miracolo di Dio. 9. Appare così bella a chi la guarda

9.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,

10.

che dà per li occhi una dolcezza al core,

10.

Che trasmette attraverso gli occhi

una dolcezza al cuore 64


11.

11.

che ‘ntender non la può chi no la prova;

12.

e par che de la sua labbia si mova

13.

uno spirito soave pien d’amore,

14.

che va dicendo a l’anima: Sospira.

Che non può capire chi non la

prova: 12.

E sembra che dal suo volto emani

13.

Uno spirito soave pieno d’amore

14.

Che

va

dicendo

all’anima:

Sospira.

COMMENTO: Avendo il personaggio Beatrice la forza di generare il sentimento d’amore, la fama della forza salvifica di questa donna si diffonde e quindi si crea un certo pubblico: è ammirata. Dante, oltre che essere innamorato di lei, prova gioia nell’ammirazione degli altri verso di lei. Il verbo “parere” ricorre in tre punti cruciali del testo: ovviamente non ha il significato italiano di “sembrare”, ma quello di apparire  come una apparizione soprannaturale. È come se Beatrice si manifestasse pienamente, e mostrasse tutta la sua vera essenza. Un significato analogo ha il verbo “mostrarsi”, presente nel sonetto. Non si tratta dunque della semplice descrizione di una bella donna che passeggia e saluta le persone che incontra, allietandole con la sua bellezza, ma si tratta di una apparizione straordinaria attraverso la quale si svela una verità assoluta. SOSPIRO: ESPRESSIONE DELLA MODIFICAZIONE/MUTAZIONE CHE HA SUBITO. Gli attributi morali di Beatrice (gentile, onesta, benignamente d’umiltà vestuta) e la bellezza (piacente) sono una manifestazione terrena di realtà soprannaturali, un veicolo del messaggio di salvezza inviato da Dio agli uomini! Anche il saluto stesso, che lascia senza parole coloro che lo ricevono, non è un semplice geto di gentilezza ma un vero e proprio atto salvifico (salus in latino è salvezza). Per questo Beatrice è presentata come una creatura celeste: una cosa venuta da cielo in terra a miracol mostrare. Beatrice non è una donna intesa come femmina, ma uno dei bellissimi angeli del cielo  la donna angelicata. D’altro canto, che Beatrice fosse una figura angelicata lo si presagiva anche dal simbolismo numerico che pervade tutta la Vita Nova: 9 anni di Dante, nono anno di vita di Beatrice  primo incontro. Morte di Beatrice nel 1290 (ancora presenza del 9). Il 9 è la potenza del numero 3 (la trinità, il numero perfetto). Guardandola si perde la

65


parola e si riesce solo a sospirare. Gli interlocutori non riescono a descriverla e l’unico modo per parlare di lei è il discorso poetico (di nuovo poesia e amore e religione profondamente legate). Il carattere dell’apparizione è sottolineato dalla totale assenza di riferimenti all’aspetto fisico di Beatrice, e alla situazione concreta nella quale si svolge la scena. Ciò che interessa a Dante è far comprendere l’efficacia salvifica della donna. Il possessivo “mia” è l’unico riferimento al poeta (siamo molto oltre l’amor cortese  Beatrice non è trasfigurata dallo sguardo soggettivo di un innamorato che proietta su di lei i suoi sentimenti, ma è presentata per quello che è veramente, per le sue qualità oggettive che si riversano su tutti gli astanti e che ogni uomo benintenzionato può riconoscere).  poesia coinvolge nella lode un vasto pubblico (carattere corale). Diciamo che Dante prende le distanze dai poeti che narrano i propri sentimenti e li proiettano su una determinata donna. Dante, nella sua rivoluzione poetica, non è qui l’innamorato, ma un narratore che trasmette al pubblico quale sia per tutti l’esperienza salvifica della apparizione di Beatrice. In questo si pone, dal suo punto di vista, a un livello di oggettività (nel senso che l’esperienza è oggettivamente uguale per tutti) molto diverso dal livello di soggettività dei trovatori. È come se volesse dire che quello che dice lui a tal riguardo è una cosa universale perché la provano tutti. Ovviamente ancora una volta si tratta molto di finzione poetica. MIO PUNTO DI VISTA: Difficile credere che la Beatrice dell’epoca fosse proprio come quella che ci descrive Dante, e che le sue apparizioni in pubblico scatenassero un tale sgomento.

CURIOSITA’: diciamo che Dante in questa sua opera (Vita Nova) sperimenta molte forme di generi letterari, e fa anche una narrazione autobiografica. Alcuni studiosi, come Petrocchi (critico letterario) hanno affermato che Dante abbia fatto uso di un altro genere, quello delle leggende agiografiche: sostengono di vedere la Vita Nova anche come possibile leggenda della Santa Beatrice, che ha la capacità di modificare chi ha di fronte. Dante d’altro canto usa lo stile tipico delle agiografie (nate per istruire i processi di santificazione): sembra nel suo stile il religioso, il confessore, che scrive la biografia per dimostrare la capacità attiva della grazia del santo.

(CONTINUA LA TRAMA …) o

Si arriva alla conclusione dell’opera, con la morte di Beatrice, che però è solo un passaggio all’eterna beatitudine. 66


o

Passa del tempo dalla morte di Beatrice, e in un giorno imprecisato Dante ha la visione di Beatrice novenne in abito rosso.

o

L’ultimo sonetto della Vita Nova è quello che è riportato sotto:

OLTRE LA SPERA CHE PIU’ LARGA GIRA Oltre la spera che più larga gira

Al di là della sfera celeste che ha la circonferenza più larga

Passa ‘l sospiro ch’esce del mio core: intelligenza nova, che l’Amore piangendo mette in lui, pur su lo tira.

Passa il sospiro che esce dal mio cuore: una eccezionale capacità di intendere, che Amore mette in esso tramite il pianto, lo tira continuamente verso l’alto. Quando egli è giunto là dove desiderava

Quand’elli è giunto là dove disira, vede una donna, che riceve onore, e luce sì, che per lo suo splendore

Vede una donna, che viene onorata E risplende così tanto che per lo splendore Lo spirito pellegrino la contempla

lo peregrino spirito la mira. (il sospiro) la vede così perfetta che quando me lo Vedela tal, che quando ‘l mi ridice,

riferisce Io non lo capisco, tanto parla profondamente

io no lo intendo, si parla sottile

Al cuore dolente, che lo spinge a parlare

al cor dolente, che lo fa parlare. Io so che parla di quella donna gentile So io che parla di quella gentile,

Poiché spesso ripete il nome di Beatrice 67


Però che spesso ricorda Beatrice,

Sicchè io intendo bene questo, o mie care donne.

sì ch’io lo ‘ntendo ben, donne mie care.

COMMENTO: La sfera in questione, quella che gira più in alto e che ha la circonferenza più grande, è il Primo Mobile, il più esterno e dunque il più grande dei nove cieli mobili, al di là del quale c’è l’Empireo. Nella prosa esplicativa Dante chiarisce che “il sospiro” di cui parla deve essere identificato con il suo pensiero, designato metonimicamente tramite un suo effetto. Comprendiamo che il sospiro-pensiero parla al cuore del poeta. Quella gentile: è l’ultimo riferimento a Beatrice nella Vita Nova. O mie care donne: Dante già da un po’ le designa come destinatarie privilegiate delle sue opere. Inoltre questo sonetto è stato scritto su invito di due donne gentili (lo dice nella prosa). È l’ultimo testo poetico della Vita Nova di Dante, e Beatrice è finalmente un essere angelico (trasformazione avvenuta totalmente) nel Regno dei Cieli. Beatrice è qui già santa. Ma Dante non è in grado di parlare di Beatrice; è in un processo di acquisizione della conoscenza, ma solo una parte del suo intelletto capisce che Beatrice è ormai una essenza divina perché sta nell’empireo. “Non ha la lingua per dirlo”  lo stile della lode ormai non basta più per esprimere tanto splendore. Così si ripropone di non trattare più l’argomento fino a quando non può parlare di Beatrice in maniera degna. Dante ha già in mente la Commedia, e sta pensando a Beatrice come guida che gli consentirà di effettuare il viaggio che poi lo guiderà nel mondo trascendente. Beatrice, soprattutto qui, ha niente a che fare con la carnalità che può essere legata alla figura femminile. Qui è piuttosto una figura simbolica platonica. Ci sono tre forme di rappresentazione dell’Amore a livello letterario:  Letteratura religiosa  amore carnale  condannato (concezione negativa);  Poesia comico-realistica  amore carnale nei suoi elementi umoristici e comici.  Poesia erotico – stilnovista  rappresentazione di un essere carnale che non ha nulla di 68


carnale perché è astratto. Sarà Petrarca a reinserire la Fisicità nello stilnovo.

Francesco Petrarca VITA: Petrarca fu il primo ad avere un orizzonte di interessi italiano ed europeo, superando il municipalismo dell’età comunale. Suo padre, ser Petracco, era un notaio che aveva dovuto fuggire dalla città di Firenze in seguito al colpo di stato dei Neri del 1300, lo stesso che costò a Dante l’esilio. Così Francesco Petrarca, seppure di origini fiorentine, nacque ad Arezzo nel 1304, e otto anni dopo lui e la sua famiglia si trasferirono ad Avignone (da poco divenuta sede papale), centro di affari propizio per l’attività del padre. Fu avviato agli studi giuridici e dal 1320 al 1326 fu a Bologna, sede della più importante facoltà di diritto nel Medioevo.

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Ma gli interessi del giovane erano tutti volti alla letteratura, così alla morte del padre abbandonò il diritto, rientrò a Avignone e per qualche anno fece una vita mondana nell’alta società che ruotava attorno alla Curia, consumando rapidamente l’eredità paterna. A questo periodo risale l’amore per Laura, alla quale il poeta giurò devozione a vita, anche dopo la morte stessa della fanciulla, avvenuta nel 1348 durante la grande pestilenza. Probabilmente Laura era una dama avignonese sposata, secondo la logica dell’amor cortese (amore adultero e sostanzialmente impossibile). Fu sicuramente un sentimento di amore vero, anche se vissuto tutto su un piano mentale; infatti nella vita “reale” il poeta si fece chierico ed ebbe due figli naturali, frutto di relazioni temporanee. La cosa non era scandalosa per il costume dell’epoca. Dunque abbracciò la vita ecclesiastica, e questo lo portò a contatto con la famiglia dei Colonna, per i quali entrò in servizio come cappellano. Ebbe in seguito un diritto, non strano all’epoca, di riscuotere le rendite ecclesiastiche di varie località pur senza nessun obbligo, nemmeno di visitarle. Questo gli garantì una certa agiatezza. Sia per lavoro che per indole naturale cominciò a spostarsi in Francia, nella Fiandre e in Germania. Nel 1337 fu per la prima volta a Roma. Comprò poi un podere a Valchiusa (vicino Avignone) dove si ritirò e poté realizzare il suo ideale di vita appartata e dedita agli studi, mentre la sua fama di erudito e di poeta andava crescendo, e si intensificavano i contatti con personaggi importanti della Chiesa, della politica, e della cultura europea, grazie anche ad una fittissima corrispondenza in latino. Nel 1341 fu incoronato “poeta” a Roma, in Campidoglio, per iniziativa del re di Napoli Roberto d’Angiò, grande protettore dei letterati. Si colloca in questo periodo una crisi spirituale stimolata da vari episodi, tra i quali la monacazione del fratello Gherardo, suo compagno di studi e di svaghi in gioventù. Questo dibattito interiore tra la vita mondana che perseguiva e la fede cristiana cui aderiva è testimoniato nel Secretum, un dialogo scritto in latino e cominciato nel 1342. Nell’opera appare chiaro come Petrarca non fa una scelta netta tra i due stili di vita, ma cerca di conciliare il cristianesimo con l’amore per la cultura pagana antica, la poesia, la gloria. Ma il conflitto rimase sempre aperto nel suo animo.

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Un episodio cruciale nella vita del poeta fu il tentativo di Cola di Rienzo: egli, eletto tribuno del popolo romano nel 1347, ambiva a fare della Repubblica romana il centro di un impero italiano e universale  rispondeva all’esigenza di superare la frammentazione politica italiana. Petrarca, imbevuto di cultura antica, aderì con entusiasmo al programma, e vi collaborò da pubblicista con una serie di violente lettere in cui esaltava il tribuno, lo ammoniva per i suoi errori, lo difendeva quando, sconfitto, venne fatto prigioniero dall’imperatore e poi dal papa. Non ebbe paura dunque di rompere i rapporti con la Curia avignonese e con la famiglia dei Colonna. Questa rottura fu tra i motivi che lo spinsero ad abbandonare la Provenza. Nel 1353 si stabilì a Milano, ospite di Giovanni Visconti; gli vennero qui affidate alcune missioni diplomatiche: a Venezia, a Parigi (presso il re), a Praga (presso l’imperatore). Ma fu molto criticato da alcuni, in particolare dagli amici fiorentini tra i quali Boccaccio, come incoerente, in quanto, dopo aver criticato le corti, si era fatto cortigiano. Essi gli rimproveravano di essersi posto al servizio dei tiranni nemici della libertà comunale fiorentina. La sua risposta fu che una dipendenza materiale non intaccava la sua libertà interiore e la possibilità di arricchire e continuare gli studi. Nel 1361 lasciò Milano e si trasferì a Venezia, dove ottenne una casa col patto che avrebbe lasciato in eredità alla Repubblica di Venezia la sua biblioteca. Ma dopo qualche anno il poeta lasciò anche Venezia, e divenne ospite di un signore di Padova, dal quale ottenne una villa ad Arquà. Partecipò alla campagna per il ritorno dei papi da Avignone a Roma, e si dedicò all’interminabile revisione delle sue opere latine e volgari, nonché alla corrispondenza coi suoi numerosi amici e discepoli. Morì nel 1374.

CARATTERISTICHE: •

L’ “IO” DEL POETA: l’IO del poeta domina, sia nelle opere in volgare che in quelle in latino. Non si tratta di un “Io” proposto come esempio ideale del percorso di redenzione di ogni cristiano, (come nella Commedia), ma si tratta dell’ “io” individuo concreto, con le sue vicende e le sue contraddizioni. Ecco perché nelle sue opere è come se ci fosse una ininterrotta autobiografia.

LE CONTRADDIZIONI: il successo esterno si accompagna al conflitto interiore: infatti egli si dichiara afflitto da una perenne irrequietudine. Da una parte infatti c’è il desiderio 71


di GLORIA E AMORE (quest’ultimo per Laura), dall’altra c’è l’aspirazione alla PERFEZIONE DI VITA CRISTIANA, intesa asceticamente come disprezzo dei valori mondani. In questa crisi “esistenziale” si sente solo, ed esalta ancor di più la sua individualità nelle opere.

CONTINUA RICERCA DELLA “PERFEZIONE” NEI TESTI: la maggior parte delle sue opere vengono revisionate molte volte; non ultimo il Canzoniere, del quale l’ultimo manoscritto che abbiamo non era stato revisionato totalmente.

LA PERCEZIONE DEL TEMPO: la sua angoscia e irrequietudine nonché il senso di solitudine lo fanno sentire limitato, in quanto “individuo soggetto al tempo e alla morte”, un sentimento che lo tormenta spesso nei suoi scritti.

L’OTIUM DI PETRARCA: è un poeta e studioso distaccato dalle miserie della vita pratica, e assorto negli studi delle cose antiche e nelle meditazioni: può considerarsi un poeta dedito all’otium, inteso alla maniera degli antichi. La meditazione avviene attraverso la frequentazione assidua dei grandi libri di antichità: visto che l’età presente gli appare corrotta e vile, tutta presa da bassi interessi materiali, nei classici trova una realtà superiore e veramente sua. “mi diletto a stare coi morti piuttosto che coi vivi”  non stupisce dunque che la raccolta delle Familiares, lettere familiari, sono destinate ai grandi scrittori latini come fossero suoi amici.

IL VALORE SOCIALE DELLA LETTERATURA: la letteratura permette di comunicare esperienze ed insegnamenti. Ma solo pochi spiriti eletti possono coglierne l’utilità: sono rarissimi ingegni d’indole eccelsa e nobilmente distaccati da tutte le cose umane. Tutti gli altri, ai quali la letteratura non è destinata, sono il volgo, inteso non solo come gli strati inferiori esclusi dalla cultura, ma come tutti coloro che danno la preminenza a interessi materiali. Nella storia della cultura Petrarca è stato il primo che ha considerato la letteratura come propria esclusiva professione. Ha potuto realizzare questo perché era in “sintonia” con le 72


esigenze di politica culturale delle corti signorili, presso le quali passò gran parte della vita: in questi ambienti la cultura non era più intesa alla maniera comunale (come strumento di regolazione della vita sociale, o di educazione popolare) ma come modo per dare lustro alla signoria. Petrarca HA insomma INAUGURATO LA FIGURA SOCIALE DEL POETA CORTIGIANO, figura che sarà dominante nella letteratura successiva. Questa posizione comporta per il letterato il rischio di servilismo (accusa che gli viene mossa anche da Boccaccio, e alla quale rispose che nonostante fosse a servizio delle corti, era comunque il più libero degli uomini.

IL PADRE DELL’UMANESIMO: Petrarca ritiene il “latino” come unica lingua di cultura. Il suo latino è diverso da quello medievale, che era in primo luogo la lingua della filosofia scolastica, povera e schematica. Petrarca si sforza di imitare i grandi classici e soprattutto Cicerone e Virgilio, cercando di riprodurre la loro sonora eleganza sia in prosa che in versi. Il poeta è anche un grande ricercatore delle opere antiche trascurate dalla cultura medievale, che giacevano dimenticate nelle biblioteche dei monasteri. Una delle sue scoperte furono le Lettere di Cicerone, dalle quali prese ispirazione per pubblicare le proprie. La letteratura antica non viene più vista da lui come patrimonio chiuso da conversare, ma come terreno da esplorare. Questa sua scelta darà il via al movimento che dominerà dopo la sua morte: “l’umanesimo”.

RAPPORTO TRA PETRARCA E LA FILOSOFIA: Petrarca ostenta disinteresse per Aristotele, e disprezzo per l’aristotelismo delle università, dedicandogli sferzanti scritti polemici. Disprezza soprattutto gli studi di filosofia naturale. Per lui vale solo la filosofia morale: lo studio dell’animo e delle vie per la sua salvezza, un campo non tanto di dimostrazioni razionali quanto di persuasione, educazione, eloquenza. I suoi autori sono i grandi moralisti dell’antichità: Cicerone, Seneca, e soprattutto Sant’Agostino (modello per lui di introspezione morale e di conciliazione tra amore per la cultura e fede cristiana).

IDEA DI IMPERO: nell’impero non vede tanto la monarchia universale della cristianità quanto proprio la continuazione dell’impero romano antico, il dominio imposto ai “barbari” a un popolo superiore di civiltà. Roma è ancora di diritto la signora del mondo. Nella 73


canzone Italia mia emergono i motivi di orgoglio nazionalistico e di aspirazione alla concordia tra gli stati italiani contro i barbari (e non all’unità).

OPERE LATINE IN PROSA:  L’EPISTOLARIO: circa 550 lettere suddivise in varie raccolte; hanno le caratteristiche

delle lettere private, ma sono concepite come un’opera letteraria, e comprendono notizie private, riflessioni morali, politiche, attacchi e autodifese. L’idea di pubblicarle venne al poeta dopo aver scoperto le Lettere di Cicerone. Anche se in gran parte furono spedite realmente ai destinatari, l’autore nel raccoglierle le sottopose ad una accurata revisione, eliminando i particolari troppo privati, fondendone diverse in una, aggiungendone anche di nuove di sana pianta.

 IL SECRETUM: sono tre dialoghi che avvengono in tre giorni consecutivi e sono scritti in

tre libri. La figura con cui parla è Sant’Agostino, che guida l’evoluzione del pensiero di Francesco fino a raggiungere la chiara consapevolezza dei propri peccati. Vi è, in apertura al proemio, l’apparizione al poeta della personificazione della Verità, nell’aspetto di una bella donna di età imprecisabile, accompagnata dal Santo. Essa, dopo aver convinto Agostino a venire in soccorso dell’anima di Petrarca, rimane in silenzio. I temi sono:

-

Accusa al poeta di essere causa della propria infelicità perché non si libera dagli affetti terreni che lo turbano.

-

Esame di coscienza attraverso lo schema canonico ei sette peccati capitali.

-

Accusa sull’amore per Laura e sul desiderio di gloria, che sono le due passioni centrali della vita del poeta. Egli tenta di giustificarle come mezzo di elevazione morale.

Il conflitto resta irrisolto, perché Francesco non può in coscienza promettere di abbandonare del tutto i suoi interessi mondani.

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L’interesse nel Secretum è lo scavo nella propria interiorità: per la prima volta la psicologia di un individuo viene valorizzata nella sua complessità e nelle sue contraddizioni.  I TRATTATI.  GLI OPUSCOLI POLEMICI.

OPERE LATINE IN VERSI: -

AFRICA: poema epico che doveva celebrare in dodici libri la vittoria di Scipione Africano sui Cartaginesi. Un poema che seguiva l’esempio dell’Eneide. Rimase incompiuto ma ebbe molta fama all’epoca e fu il motivo per cui venne incoronato poeta a Roma.

-

EPISTOLE METRICE (cioè in versi).

OPERE IN VOLGARE:  IL CANZONIERE (vedi dopo)

 I TRIONFI: poema allegorico in terzine, cominciato in età matura e non terminato, che

parla di grandi temi del destino umano in una ideale ascesa dal terreno all’eterno, dall’individuale all’universale, sull’esempio della Commedia, e in competizione con essa. Ma bisogna dire che non si trova l’inventiva di quel modello, la sua forza di rappresentazione: la narrazione appare fiacca e sconclusionata.

Trionfo d’Amore  su amore trionfa Pudicizia  sulla quale trionfa Morte  sulla quale trionfa Fama  sulla quale trionfa Tempo (che vince anche la fama)  sul quale trionfa il Trionfo dell’Eternità.

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Canzoniere LINGUA E STRUTTURE: Petrarca non aveva stima della poesia in volgare, ed infatti il titolo dell’opera non era “Canzoniere” ma Rerum vulgarium fragmenta (frammenti di cose in volgare). Esso comprendeva sì la raccolta delle sue rima, ma non in maniera frammentaria come vuole far apparire il titolo: aveva una sua organicità derivata dalla sua esperienza umana e poetica. Come già detto in precedenza, lo revisionò varie volte: il manoscritto più tardo che abbiamo risale all’anno prima della sua morte e presenta ancora annotazioni per ulteriori revisioni. Il Canzoniere comprende 366 liriche: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate, 4 madrigali. Bisogna notare che l’opera non raccoglie tutti i componimenti poetici del Petrarca, ma solo quelli che il poeta scelse con grande cura; le altre rime andarono perdute o furono incluse in altri manoscritti. TEMI: Poche di queste liriche hanno motivi morali o politici (le canzoni Italia mia, Spirto gentil dedicata a Cola di Rienzo, e i sonetti contro la Curia avignonese). In tutte le altre tema centrale è l’AMORE PER LAURA: esso è il fulcro della vita del poeta. La successione delle rime è attentamente calcolata, volta a costruire una specie di storia ideale di questa passione: i sonetti dedicati di anno in anno all’anniversario dell’innamoramento danno una scansione temporale; uno stacco di alcuni fogli bianchi dopo il sonetto 263 segna approssimativamente il passaggio dalle “rime in vita” alle “rime in morte” di Laura. Infatti la struttura del componimento si divide in due parti: Rime in vita e Rime in morte. Evidentemente il componimento non poteva avere inizio se non dopo la morte della donna, che è un evento fondante. Essa crea le condizioni per un ravvedimento e per la redenzione dell’innamorato, cosa che non avrebbe potuto accadere prima. Inoltre la morte della donna amata era un topos della lirica stilnovistica: solo così il desiderio per sua stessa natura inappagabile, perdendo irrimediabilmente la consolazione dell’occhio, poteva dirsi fustigato a dovere e poteva dare l’avvio a un atroce rimorso, innesco a sua volte del pentimento rigeneratore. 76


Bisogna tener presente che il Canzoniere è prima di tutto la storia di un uomo, che non esita a mostrarsi anche nelle sue debolezze e nelle sue paure; ma è al tempo stesso la storia di un’anima, attraverso le sue passioni, e sentimenti, e desideri, sogni, fragilità e dubbi, pentimenti e slanci religiosi. Nella prima parte, il sentimento dominante è quello di una smodata passione per una donna terrena: Laura si presenta con le caratteristiche presenti nella poesia provenzale: è una donna spiritualmente superiore alla quale il poeta rende omaggio, ma non ha tuttavia nulla di sovrumano (a differenza di Beatrice). È modello di virtù e bellezza, ma la sua figura non è palpitante di vita  non ha una vera realtà. Infatti i suoi tratti umani (begli occhi, trecce bionde, dolce riso) si ripetono immutati. Laura comunque non viene mai chiamata col suo vero nome, sul quale appunto si innescano giochi di parole, con la funzione di assimilare l’amata a elementi naturali dal forte valore simbolico. Spesso Petrarca associa il nome di Laura al lauro, simbolo della gloria poetica, ovvero della sua più grande aspirazione. L’aurea, la brezza leggera, rappresenta l’irraggiungibilità e l’inafferrabilità della donna. Nella seconda parte, quando Laura muore, il sentimento d’amore per lei si trasforma in sentimento d’amore per DIO, senza più la mediazione di Laura. Infatti il Canzoniere finisce con una canzone alla Vergine Maria (Alla Vergine), la donna verso cui ora Petrarca tende, come principio di conoscenza, al posto di Laura  percorso di allontanamento progressivo dalla figura umana, terrena, di Laura, e avvicinamento alla figura teologia della Vergine. STILE: Le differenze di stile tra un componimento e un altro sono minime, proprio in virtù di questa organicità di fondo. Questo riesce ad accadere perché Petrarca continua sempre a revisionare i suoi lavori. LINGUA: Il suo è un lessico ricercato, un volgare fiorentino di un “fiorentino” non vissuto a Firenze, e dunque privo di tutte quelle espressioni troppo locali. Va alla ricerca di un repertorio di poche parole che siano armoniose. Diverso in questo è Dante, che invece dimostra una particolare inventiva verbale.

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VOI CH’ASCOLTATE IN RIME SPARSE IL SUONO Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono Voi che ascoltate in rime sparse il suono di

quei

sospiri

in

sul

mio

ond’io primo

nudriva

‘l

giovenile

core errore

quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono,

Di quei sospiri di cui nutrivo il cuore Al tempo del mio primo errore giovanile Quando ero in parte un altro uomo rispetto a

del vario stile in ch’io piango e ragiono

quello che sono ora,

fra le vane speranze e ‘l van dolore, dello stile incostante con cui piango e discorro, ove sia chi per prova intenda amore,

spero trovar pietà, nonché perdono.

tra speranze e dolori vani se c’è qualcuno che comprende l’amore per averlo provato spero di trovare pietà, oltre che perdono.

Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente Ma vedo bene così come per tutto il popolo di me medesmo meco mi vergogno; e del mio vaneggiar vergogna è ‘l frutto,

Per molto tempo fui oggetto di chiacchiere, per cui spesso Di me stesso mi vergogno con me stesso;

e ‘l pentersi, e ‘l conoscer chiaramente e questa vergogna è il frutto del mio perdermi che quanto piace al mondo è breve sogno.

dentro le vanità e il pentirsi, e il riconoscere chiaramente che quello che piace in questo mondo terreno è un breve sogno.

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ANALISI: E’ il sonetto che fa da introduzione al Canzoniere. Composto probabilmente tra il 1345 e il 1350, quando prese forma nel poeta l’idea di raccogliere le rime sparse in un libro. Voi ch’ascoltate: dialogo con una collettività di lettori, inviati a comprenderne il senso, con pietà e perdono, sulla base di una comune esperienza. Rime sparse: poesie sciolte, senza continuità. Il suono: nella tradizione provenzale, la poesia lirica composta per musica era un suono che si ascolta. Petrarca, che non scrive per musica ma per lettura, ne fa un suono di sospiri, accentuando il carattere di espressione psicologica della sua poesia. Giovenile errore: l’amore, errore di gioventù da cui il poeta maturo accetta di essersi ormai distaccato. ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono: chiede perdono di quello stile vario, e di quel giovanile errore, da chi ha già fatto quel percorso d’amore, e quindi lo può capire. Petrarca si rende conto a posteriori che ciò di cui ha parlato è stato motivo di scherno per lui, e se ne vergogna. Del vaio stile in ch’io piango e ragiono, fra le vane speranze e ‘l van dolore: vani perché l’amore non ha avuto compimento, ma ancor più perché l’amore terreno è una cosa vana. quanto piace al mondo è breve sogno: tutto ciò che piace al mondo terreno, dunque tutto ciò che è mortale, ha una durata concisa. TEMA: Nel sonetto Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono, posto in calce al Canzoniere, ma composto in anni più tardi (probabilmente verso il 1349, dopo la morte dell’amata Laura, le cui “rime in morte” costituiscono la seconda parte del Canzoniere), Petrarca si volge indietro ed opera un bilancio della propria esperienza amorosa. Infatti, rivolgendosi a chi, come lui, soffre pene d’amore, chiede comprensione e perdono perché il suo “primo giovanile errore” (v. 3), l’amore per una donna terrena (Laura) lo ha traviato e lo ha allontanato dall’amore per Dio. Si presenta, dunque, come colui che ha sbagliato in passato ed ora se ne vergogna: il sonetto, pertanto, è al contempo inizio e fine, perché è posto all’inizio, ma ripercorre criticamente l’esperienza passata del poeta. In Dante, questi sentimenti di pentimento erano legati a diversi peccati; qui, invece, l’unico peccato è stato 79


l’amore. L’attitudine all’introspezione e all’autoanalisi è tipicamente petrarchesca, così come la dicotomia tra sacro e profano. COMMENTO: Petrarca illustra come la sia vita fosse divisa in due parti: nella prima quartina si parla dell’errore giovanile di Petrarca, ovvero un amore carnale  periodo in cui era preda di questo errore, dell’innamoramento; nella seconda invece è dopo il superamento  si sente un uomo diverso. Un uomo maturo e saggio, che ha ormai compreso e allontanato la vanità dell’amore terreno, delle se emozioni, e di tutto quanto piace in questo mondo. Tuttavia sta introducendo il libro in cui l’espressione di quelle vanità è amorosamente raccolta, ordinata, e rifinita nella forma  dunque sembra che la contraddizione non sia ancora superata, essa sta nel cuore delle poesie petrarchesche. In primo piano c’è l’IO del poeta, un io concreto che mette in campo la propria storia segnata appunto da una frattura. Tutto il sonetto è impostato sul confronto tra io del passato e io del presente. il presente, che è il tempo della vergogna e del pentimento, e il passato, il momento dell’errore. Petrarca sente angosciosamente il fluire inesorabile del tempo, di cui sono una conseguenza inevitabile la vanità e la precarietà di tutte le cose terrene. La struttura è bipartita: il sonetto è, infatti, diviso nettamente in due parti: le due quartine e le due terzine. Nelle quartine, vi sono rime dai suoni dolci e armoniosi e si parla del pubblico e del contenuto dell’opera. Nelle terzine, notiamo un certo incupimento di significato, sottolineato dalle rime dai suoni chiusi e aspri, e scaturito dalle sensazioni di pentimento, derisione e vergogna che il poeta sente verso l’amore da lui provato, ch’egli considera come qualcosa di vano, al pari di ogni sentimento terreno soggetto alla morte.

Appunti della prof: Questo sonetto rappresentò la nascita ufficiale della lirica moderna: una lirica che abbandona il racconto del processo amoroso come forma di conoscenza, contrapponendovi la persistenza della conoscenza rispetto alla vanità della mortalità (che conduce ogni cosa umana alla fine, mentre la conoscenza resta). Eliminazione quindi dell’amore come strumento di conoscenza, coincidenza della felicità tutta con la conoscenza stessa (che nel Medioevo è la conoscenza divina). ________________________________________________________________________________ 80


ERANO I CAPEI D’ORO A L’AURA SPARSI Erano i capei d’oro a l’aura sparsi

I capelli d’oro erano sparsi all’aria

che ’n mille dolci nodi gli avolgea,

Che li avvolgeva in mille dolci nodi

e ’l vago lume oltra misura ardea

E brillava oltremodo la luce seducente

di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;

Di quei begli occhi, che ora ne sono così avari.

e ’l viso di pietosi color’ farsi,

E mi sembrava che il viso assumesse espressioni pietose,

non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’esca amorosa al petto avea, qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma; e le parole sonavan altro che, pur voce umana;

non so se davvero o solo nella mia immaginazione io, che avevo il petto disposto ad ardere d’amore, c’è da meravigliarsi se subito m’infiammai d’amore?

Il suo incedere non era quello di una creatura mortale, ma di essenza angelica; e le sue parole avevano un suono ben diverso da una semplice voce umana; 81


uno spirito del cielo, un sole splendente, uno spirto celeste, un vivo sole

fu ciò che io vidi; e anche se ora non fosse più così

fu quel ch’i' vidi: e se non fosse or tale,

la ferita (di una freccia) non si rimargina allentando

piaga per allentar d’arco non sana

l’arco.

ANALISI: a l’aura: espressione che serve ad evocare il nome di Laura, con un procedimento più volte ripetuto nel Canzoniere, ovvero quello di associare alla donna un elemento naturale. Ch’or ne son sì scarsi: può alludere ad un atteggiamento mutato di Laura, che non gli rivolge più il suo sguardo luminoso, oppure all’invecchiamento che fa sfiorire la luce degli occhi. Petrarca descrive la sua donna in tutte le sue caratteristiche terrene, quindi la bellezza sfiorirà e questo lo capiamo anche da come ce ne parla. Non è la Beatrice di Dante, immutabile. i’ che l’esca amorosa al petto avea: l’esca era un materiale facilmente infiammabile, usato per accendere il fuoco con la scintilla dell’acciarino. e se non fosse or tale, piaga per allentar d’arco non sana: la metafora che ha la forma di una massima significa che l’effetto amoroso non cessa, anche se chi lo ha prodotto cambia nel tempo. TEMA E COMMENTO: Questo è il primo incontro del poeta con al donna. Al centro del sonetto c’è una figura femminile innominata che è descritta solo con pochi tratti stilizzati, ereditati dalla tradizione lirica cortese (capei d’oro, vago lume, begli occhi) e stilnovista. La luminosità in particolare la caratterizza molto, ma in questo caso non è una proprietà della vista, quanto piuttosto un effetto che la sua visione produce sul poeta (fu quel ch’io vidi). Non siamo dunque davanti al miracolo che l’apparizione della donna produce in tutti (Stilnovismo)  questa è una visione e dimensione soggettiva. Anche l’innamoramento non è attribuito alla virtù sovrumana di un Amore personificato, ma nasce da una condizione psicologica del poeta. Laura è l’insieme di quegli elementi di bellezza fisica (e non morali) che stimolano l’innamoramento del personaggio Petrarca, che comunque aprirà al poeta la via delle virtù morali. Ma l’elemento che mette in moto questo non è, per dire, il saluto pietoso di Beatrice (ecc.), ma la 82


componente fisica. C’è la trasformazione di Laura in donna angelo, ma questa trasformazione viene percepita sempre da elementi fisici, e non da qualità che lei emana. Infatti, in Petrarca, la memoria che rimane è quella della visione fisica, che fa sembrare Laura una donna angelicata. Sono cambiate molte cose da Dante: - Il sonetto non è più descrittivo delle virtù e delle qualità morali della donna, ma è un sonetto

che, seppure con pochi termini, mette in luce la bellezza fisica della donna stessa. - Petrarca alla visione della donna non rimane senza parole per la sua superiorità morale, ma

semplicemente rimane colpito dalla sua eccezionale bellezza che gli accende l’Amore. Dunque il percorso morale parte dall’aspetto fisico della donna, non dalle virtù che emana. - Laura viene accostata a elementi naturali per esaltarne la bellezza; Beatrice non è mai un

elemento naturale, non c’è un paesaggio naturale attorno a lei, ma l’insieme di coloro che la vedono. Laura e Beatrice sono due prodotti intellettuali diversi. Petrarca va dunque in un’altra direzione rispetto a dante, emancipando il sapere e la conoscenza del rapporto erotico (amoroso), cioè dall’amore come strumento di conoscenza, tant’è che l’ultimo Petrarca sarà un poeta latino dove la lirica perde la sua importanza e diventa centrale la dottrina come elemento fine a se stesso. Per Dante, invece, i due elementi (Amore e dottrina cristiana) sono inscindibili, e l’aspetto fisico della donna è solo una conseguenza delle sue eccelse qualità morali. _______________________________________________________________________________

CHIARE, FRESCE ET DOLCI ACQUE 1. Chiare, fresche et dolci acque,

1. Limpide, fresche e dolci acque,

2. ove le belle membra

2. dove immerse il suo bel corpo

3. pose colei che sola a me par donna;

3. colei che sola mi par degna di avere il

dominio del mio cuore; 4. pianta cortese, al quale a lei piacque

4. gentil ramo ove piacque

5.

5. (con sospir’ mi rimembra)

(me ne ricordo sospirando);

6. appoggiare il suo bel fianco

6. a lei di fare al bel fiancho colonna;

7. erba e fiori che la sua gonna

7. herba et fior’ che la gonna 83


8. leggiadra ricoverse

8. svolazzante ricoprì

9. co l’angelico seno;

9. insieme al suo seno angelico;

10. aere sacro, sereno,

10. mentre l’atmosfera s’era fatta sacra,

armoniosa, 11. dove Amore, con i suoi begli occhi, mi

11. ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse:

trafisse il cuore: 12. date ascolto, tutti insieme,

12. date udïenza insieme

13. alle mie tristi, ultime parole.

13. a le dolenti mie parole extreme.

14. Se dunque è il mio destino,

14. S’egli è pur mio destino

15. e il cielo adopera al raggiungimento di

15. e ’l cielo in ciò s’adopra,

questo scopo, 16. cioè che Amore mi faccia morire a furia

di piangere,

16. ch’Amor quest’occhi lagrimando chiuda,

17. una qualche grazia divina faccia in modo 18. di seppellire il [mio] misero corpo fra

17. qualche gratia il meschino

voi,

18. corpo fra voi ricopra,

19. e l’anima torni al cielo, libera dai vincoli

19. et torni l’alma al proprio albergo ignuda.

corporei. 20. La morte sarà meno dolorosa

20. La morte fia men cruda

21. se mi porto dietro questa speranza

21. se questa spene porto

22. a quel pauroso momento:

22. a quel dubbioso passo:

23. poiché l’anima mia afflitta

23. ché lo spirito lasso

24. non potrebbe in un porto più sereno

24. non poria mai in piú riposato porto

25. né in una sede più tranquilla 26. abbandonare il corpo travagliato. 84


25. né in piú tranquilla fossa

27. Verrà un tempo forse

26. fuggir la carne travagliata et l’ossa.

28. in cui presso il luogo nel quale io ero

solito trascorrere

27. Tempo verrà anchor forse

29. le mie giornate tornerà la fiera bella e

28. ch’a l’usato soggiorno

[ormai] mansueta, 30. e là dove lei mi vide

29. torni la fera bella et mansüeta,

31. nel giorno benedetto 32. volga i suoi occhi desiderosi e lieti,

30. et là ’v’ella mi scorse

33. come per cercarmi; e, o pietà!,

31. nel benedetto giorno,

34. vedendomi ormai in terra tra le pietre

32. volga la vista disïosa et lieta,

della tomba,

33. cercandomi; et, o pietà!,

35. venga ispirata da Amore

34. già terra in fra le pietre

36. così da sospirare 37. tanto dolcemente da farmi ottenere la

grazia

35. vedendo, Amor l’inspiri

38. e piegare la giustizia divina,

36. in guisa che sospiri

39. asciugandosi gli occhi con il bel velo.

37. sí dolcemente che mercé m’impetre,

40. Dai bei rami scendeva

38. et faccia forza al cielo,

41. (è dolce a ricordarlo)

39. asciugandosi gli occhi col bel velo.

42. una pioggia di fiori sul suo grembo;

40. Da’ be’ rami scendea

43. e lei si sedeva

41. (dolce ne la memoria)

44. umile in tanta gloria terrena,

42. una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo;

45. già coperta da quell’amorosa pioggia di

43. et ella si sedea

fiori.

44. humile in tanta gloria, 85


45. coverta già de l’amoroso nembo.

46. Un fiore cadeva sull’orlo (della veste) 47. un altro sulle trecce bionde,

46. Qual fior cadea sul lembo,

48. che quel giorno a vederle

47. qual su le treccie bionde,

49. erano oro fino e perle;

48. ch’oro forbito et perle

50. uno cadeva a terra, e uno finiva in acqua;

49. eran quel dí a vederle;

51. un altro dopo volteggi pieni di grazia

50. qual si posava in terra, et qual su l’onde;

52. sembrava dire: - Qui regna Amore. -

51. qual con un vago errore

53. Quante volte dissi io,

52. girando parea dir: Qui regna Amore.

54. allora preso da gran stupore:

53. Quante volte diss’io

55. senza dubbio costei è nata in paradiso.

54. allor pien di spavento:

56. Tanto mi avevano riempito di rapimento

55. Costei per fermo nacque in paradiso.

57. il suo portamento divino,

56. Cosí carco d’oblio

58. il suo volto, le sue parole

57. il divin portamento

59. e il suo dolce sorriso

58. e ’l volto e le parole e ’l dolce riso

60. e fatto allontanare dal vero

59. m’aveano, et sí diviso

61. che io sospirando mi domandavo:

60. da l’imagine vera,

62. come ero venuto io in questo luogo, e

quando?

61. ch’i’ dicea sospirando:

63. Perché credevo di essere giunto in cielo,

62. Qui come venn’io, o quando?;

là dove il cielo non c’era. 64. Da allora fino ad oggi amo

63. credendo esser in ciel, non là dov’era.

65. a tal punto questi luoghi, che altrove non

trovo pace. 64. Da indi in qua mi piace

66. Se 86

tu,

canzone, fossi

bella

e


65. questa herba sí, ch’altrove non ò pace.

ricercata quanto desideri 67. potresti coraggiosamente

66. Se tu avessi ornamenti quant’ài voglia,

68. uscire dal bosco, e diffonderti fra la

gente. 67. poresti arditamente 68. uscir del boscho, et gir in fra la gente.

È una canzone di cinque strofe, ciascuna con 13 versi0 Vers1 1-10: fusione della donna con la natura: la natura, come la donna, è il prodotto/creazione dell’amore. Questa fusione riporta la donna la suo legame primario con l’amore. Versi 10-20: se una cosa il poeta, che soffre, può ancora ottenere è lo giacere sepolto nell’Eden terrestre della Valchiusa, dunque fra tutte quelle cose naturali che gli ricordano il corpo di Laura. Attraverso il paesaggio e la morte, il poeta (voce narrante) auspica il congiungimento con la carnalità della donna. Versi 20-25: c’è una contrapposizione tra la componente dolorosa del sentimento e la gioiosità della natura. Il canzoniere si porta dietro una visione prevalentemente dolorosa e solitaria (la solitudine che per Dante era un momento in cui poteva scrivere ciò che aveva visto in Beatrice condividendolo con gli altri, per Petrarca è una condizione di solitudine interiore). Versi 25-30: non la vede da un po’ di tempo e spera che ritorni là dove la vedeva e che gli riparlerà come prima. Versi 30-35: spera che riprenda a parlargli ponendo fine alla sofferenza d’amore. Versi 50-55: espone il concetto di memoria. COMMENTO: Il componimento Chiare, fresche et dolci acque fa parte del libro di liriche del Petrarca, il Canzoniere (titolo originale: Rerum vulgarium fragmenta).

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È la canzone 126, e rappresenta il componimento più celebre della raccolta. Altrettanto noto è l’episodio che essa rievoca, del poeta che assiste per caso al bagno di Laura nelle acque del fiume Sorga. Impossibile stabilire quanta parte di realtà biografica, e quanta invece di invenzione letteraria, siano presenti nella vicenda ricordata: certo è però che il topos dell’amante che scorge l’amata fare il bagno deriva dalla mitologia classica (Diana e Atteone, Aretusa e Alfeo). La visione si caratterizza per un atteggiamento di sbigottita contemplazione da parte dell’io, dimentico del mondo esterno e come trasognato, quasi sospeso nell’irrealtà («diviso/ da l’imagine vera»). L’indeterminatezza, la vaghezza delle immagini, la malinconia pacata che le avvolge, rendono la rappresentazione incantevole e il testo indimenticabile. Chiare, fresche et dolci acque si muove sapientemente fra rievocazione del passato e immaginazione del futuro. La prima strofa si incentra infatti sul ricordo di Laura immersa nell’acqua, circondata dagli elementi naturali. Proprio questi sono gli interlocutori a cui ci si rivolge: a loro, soli testimoni del fatto raccontato, il poeta chiede udienza per le sue parole. Il paesaggio si identifica armoniosamente con Laura, che ne è parte e che conferisce significato ad esso: per mezzo di lei, della sua presenza, il ramo diventa gentile, l’aere diventa sacro; viceversa, le parti del corpo di Laura si dissolvono nella natura, il bel fianco, l’angelico seno diventano elementi della natura in mezzo agli altri. La seconda e la terza strofa, invece, si spostano sul vagheggiamento di una possibilità futura, una vera e propria fantasticheria: che il poeta dopo la morte sia sepolto sulle rive del fiume e che Laura, di passaggio per questo luogo, vedendo la tomba, apprenda della morte di lui e ne abbia compassione. Nonostante questo componimento non risalga a una stagione senile, è fortemente presente dunque un senso della morte incombente (anche le parole di v. 13 sono estreme) che tinge la lirica di una sfumatura di sconforto, se non di disperazione. Nelle strofe successive, infine, si ritorna al ricordo del passato: nella quarta, l’immagine di Laura coperta da una nuvola di fiori, che riprende la Beatrice dantesca nel Paradiso terrestre (Purg. XXX), conferisce alla rievocazione toni favolosi, con i petali che ondeggiano quasi per incanto, mossi da Amore; nella quinta, infine, a coronamento del trionfo laurano, la donna amata è proiettata in una dimensione angelica e divina, creatura paradisiaca che dà al poeta l’impressione di essere traslato in cielo. Per ciò che riguarda gli aspetti stilistici, la lingua della poesia di Petrarca riflette in un certo senso le sue immagini: stilizzate e quasi astratte queste, di conseguenza convenzionale e stereotipata quella. Petrarca non avverte mai l’esigenza di conferire realismo per mezzo di un lessico preciso e concreto, né quella di apportare originalità per mezzo di audacie linguistiche. Le sue scelte lessicali sono improntate a criteri di rigorosa selezione: soltanto alcuni termini possono rientrare nel nobile

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vocabolario della poesia, e questo aspetto spiega l’impressione di piattezza e ripetitività che, in contrapposizione all’esuberanza stilistica di Dante, la lirica petrarchesca può suscitare.

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