Estratto Partigiano in camicia nera 2

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Pamphlet, documenti, storie REVERSE


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Š Chiarelettere editore srl Soci: Gruppo editoriale Mauri Spagnol S.p.A. Lorenzo Fazio (direttore editoriale) Sandro Parenzo Guido Roberto Vitale (con Paolonia Immobiliare S.p.A.) Sede: corso Sempione 2, Milano isbn 978-88-6190-901-4 Prima edizione: febbraio 2017 Realizzazione editoriale: studio pym / Milano www.chiarelettere.it blog / interviste / libri in uscita


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Alessandro Carlini

Partigiano in camicia nera

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Avvertenza Questo libro, tutto basato su fatti e documenti reali, è scritto come un romanzo, dando voce ai personaggi e cercando di ricostruire con fedeltà l’atmosfera del periodo storico che viene raccontato.


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Sommario

pa rt i gi a n o i n ca m ic ia n e r a Il mio nome è Uber Pulga

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Le ultime ore di un condannato a morte

11

La guerra in Balcania

21

I pirati della Nembo

39

La scuola di controspionaggio

45

Il disertore

53

In missione

63

La battaglia

75

L’incontro con Mussolini

101

Dall’altra parte

119

La cattura

143

La fucilazione di Uber Pulga

155

Epilogo 169


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partigiano in camicia nera


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A mio nonno Franco


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Il mio nome è Uber Pulga

Il suo nome compare fra quelli dei caduti per la Liberazione e quelli della Repubblica sociale. A Felonica (Mantova), dove è nato e nel cui cimitero ora riposa, sopra l’ingresso del Comune c’è una lapide che lo ricorda come «partigiano», morto col grado di sottotenente. Nei libri della pubblicistica fascista è considerato un caduto repubblichino. E ancora, il suo nome compare nelle liste dei partigiani di Mantova. Nel giugno del 2011 è stato celebrato come un eroe di guerra dai suoi compaesani, con tanto di cerimonia solenne. In provincia di Parma il suo nome è fra quelli dei disertori fucilati dalla Rsi per aver scelto di unirsi alla Resistenza. Se da Mantova si passa il Po e si arriva a Reggio Emilia, il suo nome è coperto dall’infamia e la sua storia è ricordata come quella di una scaltra e feroce spia fascista, responsabile della morte di due partigiani. In pochi chilometri l’uomo di cui mio nonno mi raccontò la vita con passione e anche una profonda malinconia è considerato un repubblichino e un patriota, un carnefice e un martire per la libertà. Chi era Uber Pulga?


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Partigiano in camicia nera

Prima di tutto un membro della mia famiglia, il cugino di secondo grado di mio nonno, Franco Pulga, che si è spento alle 14.30 dell’8 giugno 2005 in una camera dell’ospedale Sant’Anna di Ferrara, reparto di ematologia. Il cancro al cervello gli aveva tolto tutto: prima la lucidità, poi la possibilità di muoversi, la parola e, con essa, le tante storie di cui era stato testimone. Quando ho messo piede in quella stanza ho capito che stavo toccando con mano qualcosa di infido e oscuro. La morte entrava di prepotenza nella mia vita e mi sorprendeva intimorito e vile. Mi sono avvicinato al nonno in agonia, temendo che non riuscisse a vedermi né a sentirmi. Ho allungato una mano sulla sua. Era fredda ma non ancora gelida. «Franco, è arrivato Alessandro.» Mia nonna, che stava al suo fianco, mi aveva annunciato come se lui fosse in un’altra stanza, o al piano di sopra, o fuori, ancora a lavorare nei campi. «Nonno eccomi, sono qui» gli ho sussurrato. Ero terrorizzato da quel rito familiare al quale non potevo sottrarmi. Volevo mio nonno, il mio nonno contadino, che aveva abbandonato presto la scuola per occuparsi dei campi ma aveva continuato tutta la vita a divorare libri su libri con la fame di chi non ha potuto studiare. Volevo Franco Pulga, che mi aveva trasmesso l’amore per la Storia grazie alle storie che mi aveva raccontato, umane e straordinarie. Niente era più così. Franco non parlava nemmeno, soffriva e basta. Quel tumore dal nome impronunciabile


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Il mio nome è Uber Pulga

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e maledetto lo stava portando via. Divorava piano piano tutti i racconti, tutte le date, i nomi, i particolari sugli uomini del tempo di guerra. Soldati e generali, eroi e vigliacchi, volontari e disertori, fascisti e comunisti, tedeschi e americani. Tutto il suo mondo stava per perdersi. Non ho visto il nonno morire. L’ultima volta che ci siamo parlati come ai vecchi tempi è stato a marzo di quell’anno, solo pochi mesi prima. L’effetto del cortisone gli aveva dato la possibilità di riprendersi per qualche giorno la sua vita, di tornare quello di sempre, l’uomo che rideva, scherzava, urlava e bestemmiava quando qualcosa non gli andava bene o per dare più forza alle sue idee. Ma spaventava solo chi non lo conosceva. Quell’ultimo giorno abbiamo discusso di tutto, forse sapendo che non ci sarebbero state altre occasioni. E abbiamo parlato della storia più importante, che unisce le vicende della mia famiglia a quelle della Seconda guerra mondiale. Il protagonista è lui, Uber, classe 1919, sottotenente della Repubblica di Salò, fucilato a venticinque anni dai suoi stessi soldati per diserzione e alto tradimento. Ammazzato dai suoi, i bersaglieri repubblichini della divisione Italia, dopo un processo sommario. Uber Pulga, un pluridecorato che aveva creduto nel fascismo combattendo all’estero e in Italia per Mussolini, nel Regio esercito prima e in seguito unendosi alla Rsi. Poi, all’inizio del 1945, qualcosa doveva essersi rotto e Uber era diventato uno di quegli eroi che vanno contro, come li chiamava il nonno.





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