intervista a:
Patrick Ricci www.patrickricci.altervista.org
Patrick Ricci è fotografo professionista specializzato in natura e viaggi; collabora con la De Agostini, il National Geographic Italia e la rivista Oasis e, tra le agenzie fotografiche, con Tips Images e Getty images. Vice direttore di “Ev magazine”, rivista di cultura, conservazione della natura e geografia, è anche docente di PhotoFarm, scuola di fotografia naturalistica, viaggi e reportage . Patrick concepisce la fotografia come “cercare l’essenza e la complessità della natura, viaggiare per conoscere altre cultu • progresso fotografico
re, inseguire il proprio nirvana. Raccontare una storia, fissarla nel tempo… Ecco cosa mi spinge ad avere una valigia e uno zaino fotografico sempre pronti a partire. Il viaggio si rivela la strada migliore alla conoscenza di se stessi, alla conoscenza dell’altro e di ciò che ci sta intorno.”
al mestiere, credo che un fotografo non debba marchiare la sua opera più di tanto, semmai debba mettere il suo occhio alla prova per cogliere l’essenza del soggetto che si trova di fronte, e dunque esprimere al massimo il suo carattere distintivo.
Quali sono le tue scelte stilistiche in tema di composizione? Mi lascio ispirare da ciò che vedo, adattandomi al soggetto che devo interpretare. Non è soltanto un approccio utile
Per risultare interessante, ritieni che una fotografia debba per forza essere composta in maniera originale? Dipende dall’uso e dalla destinazione finale del fotogramma. Dal punto di
vista professionale, e quindi per il mercato, una foto può essere anche soltanto documentaria, può rappresentare un particolare atto etologico, il suo valore intrinseco può ritrovarsi magari in un comportamento anomalo dell’animale o in altre situazioni utili ad un esame scientifico. Diverso è se l’immagine è una ricerca personale dell’autore: in quel caso, i canoni di giudizio e di scelta stilistica devono esprimere lo stile personale del fotografo, il suo linguaggio comunicativo ed il suo retaggio culturale. A cosa presti maggior attenzione nella composizione? Preferisco un mix equilibrato che tenga conto del soggetto e del taglio d’immagine, con attenzione allo sfondo: ad esempio, un animale ben visibile su uno sfondo sfuocato è meglio rispetto ad uno scatto con grande profondità di campo, dove magari arbusti o altro disturbano la
scena. Scelgo spesso di scattare con un diaframma aperto per dare spazio allo sfuocato, o cerco un’inquadratura che mi permetta di chiudere il diaframma ponendo lo sfondo il più lontano possibile dal soggetto, per ottenere il miglior compromesso tra la qualità dell’immagine e lo sfondo. Quale peso attribuisci ai colori, al rapporto luci-ombre? Sono un figlio degli anni Sessanta, dunque ciò che più mi affascina nella fotografia è il colore. Non sono mai riuscito a lavorare in bianconero: il colore rappresenta la vita, l’allegria e la positività, non riesco ad immaginare un mondo che ne sia privo. Luci e ombre, tuttavia, sono importanti: insieme al colore mi permettono di dare tridimensionalità, di sottolineare una scena drammatica oppure romantica, aumentando il pathos.
Quando affronti un soggetto tendi a sperimentare differenti composizioni? Ovvero, scatti fotogrammi molto differenti ad uno stesso soggetto? Sì, certo. Anche se dopo aver cominciato con un’idea di massima, spesso mi accorgo che la mia idea cambia mentre vivo la scena, e mi piace lasciarmi guidare dall’esperienza. Conoscendo meglio quel che mi trovo davanti, mi capita di capire che ciò che mi ero prefissato di fare diventa inutile, impossibile o poco interessante, e a mano a mano che la sessione procede arrivo a cambiare il mio approccio iniziale, scattando immagini in una maniera diversa ed in un crescendo tecnico/compositivo. Quando esegui un ritratto, quale peso ha il carattere del soggetto nella costruzione dell’inquadratura? Il carattere del soggetto, di certo, influenprogresso fotografico •
za parecchio l’inquadratura. Ad esempio, davanti allo sguardo di una rana sceglierò un taglio dell’immagine che evidenzi suoi occhi ipnotici; invece il ritratto di un serpente non sarà caratterizzato tanto dagli occhi, quanto dalla sinuosità del corpo, o dalla lingua biforcuta, che nella simbologia religiosa occidentale richiama il maligno; sarà quindi questo carattere l’elemento predominante del ritratto. In entrambi i casi è la simbologia caratteristica del soggetto che mi fa scegliere la composizione più adatta, in una comunicazione che si alimenta del pensiero comune, a volte stravolgendolo provocatoriamente, a volte esasperandolo. Quale importanza attribuisci alla luce nella composizione? Senza la luce, i colori non sarebbero vividi e forti; una bella luce contribuisce • progresso fotografico
allo scatto, ma vorrei dire che ne diventa addirittura la componente assoluta. Come affronti una situazione di ripresa particolarmente dinamica? In egual maniera: caotica, istintiva. Anche in questo caso cercando di adeguarmi il più possibile a quanto ho di fronte e di vivere la scena senza freni o pregiudizi, senza neanche prendere il tempo giusto per gli scatti. Mi lascio andare e trasportare dalla situazione, non oppongo alcuna resistenza. La natura, se vogliamo, è caos, velocità, violenza: non possiamo mettere ordine, anzi dobbiamo lasciare che lo scatto scaturisca in maniera armoniosa, senza forzare le cose. Quando scatti, hai subito la percezione se una composizione è riuscita o meno?
A livello compositivo in linea di massima sì: dopo anni che lo fai, guardi come se avessi uno schermino di messa a fuoco innestato nell’occhio. Micromosso e fuoco invece sono sempre in agguato: nella fase di selezione delle immagini, ne elimino tante per questo motivo, e non per la composizione. Quanto ti condizionano le attrezzature in termini di composizione? Mi ricordo quando passai al digitale: andai completamente in crisi a causa del sensore Aps; la lunghezza delle ottiche a cui ero abituato ne erano tutte stravolte e ci misi qualche mese ad abituarmi alla visione di un 24mm su sensore piccolo. Oggi invece ho un Full Frame che per me è una scelta imprescindibile. Altrettanto indispensabile è il tele macro 1:1, che per il mio genere fotografico è irrinunciabile: non potrei fare a meno della sua profon-
dità di campo, della maggiore distanza di ripresa 1:1, soprattutto con animali pericolosi o timidi, e dei suoi sfuocati morbidi e gradevoli. Il treppiede è un componente dell’attrezzatura spesso sottovalutato, che però aiuta nella composizione e nello scatto ragionato; è importante soprattutto per rendere le immagini taglienti come un rasoio, a fuoco. Aggiungo poi tutti i braccetti ed i marchingegni che negli anni ho affinato e costruito da me. Trovi particolari differenze nel comporre in analogico ed in digitale? No, a mio giudizio è esattamente la stessa cosa. Cambia solo la tecnica di base, per sfruttare al meglio la pellicola o il sensore. Ma la composizione non è minimamente influenzata dalla differenza del supporto.
Trovi più semplice comporre l’immagine nel mirino reflex o sul monitor in Live View? Se non per tecniche assai specialistiche, come la macrofotografia in cui uso il Live View, per close up e fotografie normali lavoro sempre e solo con il mirino reflex. D’altronde ho iniziato con le reflex negli anni ‘80. Nel momento in cui scatti, prendi in considerazione la possibilità di intervenire in modo sensibile sulla composizione in fase di fotoritocco? No. Cerco sempre di comporre al meglio lo scatto. Credo che sia un retaggio dell’era analogica, ma nel mio caso è anche una questione di produttività: realizzo un grande numero di scatti e non voglio perdere troppo tempo nella post-produzione. Diciamo che l’80% delle mie foto non è “croppata”, e se le taglio non vado
oltre al 10% dell’immagine originale. Hai suggerimenti in tema di composizione per chi si avvicina alla fotografia? Certamente, lavoro anche come docente e tengo diversi workshop durante l’anno e devo dire che la composizione è un argomento ricorrente nelle discussioni degli allievi. Dobbiamo distinguere tra le questioni relative alla composizione e alla comunicazione. In primo luogo una fotografia deve riuscire ad esprimere un concetto, una sensazione, in uno scatto unico, a differenza di un video che può riprendere tutto quello che succede: noi fotografi, invece, dobbiamo suscitare emozioni in un attimo, ovvero abbiamo a disposizione solo un frammento di realtà per esprimere concetti e storie, e questo non è facile. In questo sono d’aiuto i piani di progresso fotografico •
ripresa, le linee, le diagonali. Un esempio: la forza e il terrore espresso da un serpente a sonagli che attacca sono esaltati se la ripresa avviene allo stesso piano del soggetto: il muso si colloca nel terzo inferiore a sinistra, perché noi occidentali leggiamo da sinistra • progresso fotografico
verso destra, ed il nostro occhio sarà guidato naturalmente nella scena se la direzione dello slancio (che riusciamo ad immaginare perché ne percepiamo la direzione) sarà la stessa della ripresa, oppure verso destra dove c’è più spazio nel fotogramma. Insomma la composi-
zione ci permette di agevolare la decodifica del linguaggio dell’immagine, e di comunicare meglio e direttamente con chi osserva il nostro scatto. C’è poi la necessità di riuscire a raccontare una storia attraverso le immagini: qui la tecnica compositiva diventa quasi
ininfluente: si compone e si racconta, cercando di legare le fotografie come fossero un filmato, parte di una storyboard cinematografica. A tale proposito consiglio di sperimentare e di osservare come i grandi pittori usavano la composizione e il colore, di
lasciarsi contaminare da fotografi, pittori e registi. Suggerisco l’uso del treppiede che aiuta a scattare con un tempo diverso da quello possibile a mano libera: la composizione se ne gioverà perché sarà più meditata.
Il mio consiglio è di prendersi tutto il tempo necessario per osservare. E, soprattutto, essere critici con se stessi, buttando gli scatti nel cestino se non sono interessanti, senza intestardirsi a tenerli a tutti i costi. Andrà meglio la prossima volta. progresso fotografico •