Tesi di Laurea Magistrale in Architettura delle costruzioni

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Progetto di rivalorizzazione delle Cave nell’Isola di Favignana. Dispositivi architettonici per la defnizione di nuovi sistemi di produzione agricola.

POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni.

Corso di Laurea in Architettura - Ambiente Costruito - Interni.

Tesi (Elaborato) di:

Christian Tonella, Matricola 951931

Anno Accademico 2021-2022

Relatore, Prof. Pasquale Mei

Correlatore, Prof. Filippo Orsini

01 INTRODUZIONE INDICE 02 PREMESSA: La cava e la miniera Le leggi del dialogo: cavatori e materia 03 CAVE IN ITALIA: AZIONE TASSONOMICA Il problema governativo Le leggi di tutela ambientale in atto 04 L’ISOLA DI FAVIGNANA I caratteri storici naturalistici I collegamenti Geografa, ambiente e paesaggio Attività estrattiva: inizio, sviluppo e declino Costruire dalla roccia Due tipologie di cave: ad ingrottamento o a cielo aperto 05 PROPOSTA PROGETTUALE Defnizione di nuovi sistemi di produzione agricola Tavole di progetto Foto plastici di progetto p. 6 - 11 p. 12 - 15 p. 16 - 27 p. 28 - 47 p. 48 - 89 06 CONCLUSIONE Manifesto p. 90 - 91

Le cave hanno da sempre esercitato in me un particolare fascino. Questo perché in qualche modo partecipano sia alla naturalità che all’artifcialità e spesso in esse, malgrado le intenzioni puramente pratiche e di rapina, si manifesta un’armonia di masse e cavità che ha fornito preziosi suggerimenti a chi poi doveva utilizzare la materia ricavata per costruire edifci. Le cave sono paragonabili, secondo il mio modesto parere, per certi aspetti, a opere architettoniche, in quanto presuppongono una disciplina progettuale e sono “costruite” sottraendo alla terra parte della sua crosta fno ad ottenere una cavità dalla quale si può estrarre materiale da costruzione.

Un obiettivo è stato quello di non mettere da parte la mia personale esperienza e ricerca che, in questi cinque anni mi ha costantemente accompagnato, ma di evidenziarla e renderla protagonista. Questa tesi vuole per questo porsi in continuità e come risultato del saggio di tesi della laurea triennale “Architectura sine Luce nulla Architectura est” perché è sostenuto dalla stessa idea di trasversalità tra discipline compositive, lavorando sulla concretezza delle opere e vedendo la materia, il vuoto e soprattutto la luce come i pilastri portanti dell’architettura stessa.

Le cave storiche rappresentano un settore di ricerca di grande interesse, per lo studio dei materiali lapidei, da impiegarsi come principale risorsa per l’architettura costruita fuori terra, ma anche come fonte per l’architettura scavata. Si tratta di un ambito di ricerca che, alla luce della bibliografa disponibile e delle esperienze di cui sono a conoscenza, non sembra però ancora sufcientemente esplorato e studiato. Sono infatti molti i margini di incertezza da un punto di vista più specifcatamente architettonico. Attraverso la mia ricerca, inizialmente, ho cercato di evidenziare come quasi il 60% delle cave nel territorio Mediterraneo risultano dismesse, abbandonate, pur presentando in loro un immenso patrimonio culturale. La cava non rappresenta la naturale derivazione della storia del patrimonio costruito, ma costituisce il luogo nel quale si sviluppa, dall’inizio, l’architettura e, più in generale, una storia “degli uomini nei loro stretti rapporti con la terra”1 , il luogo nei quali sono sedimentati e “conservati” i documenti materiali più antichi. L’esportazione di queste fonti “immensi settori addormentati della documentazione”2 “si sviluppa non diversamente delle sequenze stratigrafche”3 .

Partendo da uno studio efettuato dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), Direzione Centrale per le Statistiche Ambientali e Territoriali DCAT, ho cercato di mettere in luce la situazione delle cave in Italia, portando la mia personale azione sull’Isola di Favignana, posto emblematico in cui più

7 01. INTRODUZIONE

del 7% dell’isola è costituita da cave e queste possono essere assimilate a manufatti architettonici ridotti allo stato di rudere lasciati all’aperto senza protezione. Abbandonati, quasi dimenticati e utilizzati come luoghi di scarto.

In particolare, il progetto proposto si innesta nelle Cave di Scalo Cavallo, nell’omonimo golfo afacciato sul Mar Mediterraneo. L’estrazione della Calcarenite nel passato era uno dei mestieri più comuni sull’isola, poi con il tempo, come spiegato nel capitolo 3, la manodopera impiegata si è notevolmente ridotta di numero fno a scomparire del tutto. Obiettivo del progetto è far riappropriare i Favignanesi a questi luoghi attraverso l’installazione di dispositivi architettonici per la defnizione di nuovi sistemi di produzione agricola in modo da agevolare la produzione di diversi alimenti presenti nella dieta mediterranea. Il progetto vuole quindi presentarsi come caso pilota, un esempio di rivalorizzazione dell’esistente reinventandone l’uso, così da scrivere una nuova storia che possa salvarlo dall’abbandono.

In conclusione, vorrei sottolineare, come alcuni dei più grandi architetti europei, particolarmente sensibili, prendono spunto da questo insegnamento che viene dallo studio della natura e delle sue leggi. Questi architetti non solo sono riusciti ad assorbire il carattere suggestivo e complesso delle cave, ma anche il loro signifcato come frutto del lavoro umano non orientato, se non inconsapevolmente, verso fnalità estetiche, ma capace di raggiungere in virtù del rigore le regolarità del processo sottrattivo. Architetti come Luis Kahn (1901-1974), Luis Barragàn (1902-1988), Peter Zumthor (1943), Francesco Venezia (1944), i fratelli Manuel (1963) e Francisco (1964) Aires Mateus, Antòn Garcìa-Abril (1969) fondatore di Ensamble Studio. Artisti come Jorge Luis Borges (1899-1986), Mark Rothko (1903-1970) Jorge Oteiza (1908-2003). Sono riusciti a trasformare la sottrazione della materia in spazio, raggiungendo una qualità prodotta dalla concordia della continuità nel tempo di un sapere tradizionale che ha le sue origini nel passato, esprimendo un rapporto poetico con la terra fatto di studio, di comprensione delle sue leggi, di ricerca attraverso l’ordine e la disciplina di una soferta alleanza.

1 Fernand Braudel, Il Mediterraneo, 1950.

2 François Furet, In the Workshop of History, 1971.

3 Jefrey Schnapp, Modernità: Edited by Francesca Santovetti, 1973.

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La Cava è uno scavo di materia. Processo di sottrazione, di disoccupazione spaziale, a cui corrisponde la creazione del vuoto attivo, defnito come fonte di energia fsica e spirituale.

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1. Labirinto di Cave, isola di Favignana, Italia.

2. PREMESSA: la cava e la miniera.

Quando parliamo di siti estrattivi ci riferiamo all’estrazione di materia dal sottosuolo. L’uomo ha da sempre cercato di estrarre dal sottosuolo materie prime. Attualmente l’attività di estrazione è molto più complessa e avviene sia con la cava che con la miniera. Queste due tipologie di estrazione si diferenziano tra loro per diverse caratteristiche. La cava è superfciale e consiste in uno scavo artifciale di notevole dimensione e il mezzo di trasporto della materia prima e dei detriti è il camion. Per le miniere, invece, viene utilizzato come mezzo di trasporto delle materie prime e dei detriti un trenino a scartamento ridotto. Quest’ultime sono gallerie scavate nel sottosuolo e sono puntellate da travi in legno di castagno, principalmente per due motivi: perchè è presente in grande quantità e perchè, prima di cedere, emette uno scricchiolio che coincide con la sua rottura.

Tuttavia, il miglior modo per distinguere la Cava dalla Miniera è attraverso la legge mineraria italiana n°1443 che sottolinea come la diferenza tra cava e miniera è data solamente dal tipo di materiale estratto. Nella cava si estraggono materiali da costruzione, terre coloranti, farine fossili, quarzo e sabbie silicee e diverse qualità di pietra. Nella miniera, invece, si estraggono prevalentemente metalli, grafte,

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combustibili, sali, pietre preziose, talco e pietre litografche. Le cave appartengono, per certi aspetti, alla categoria delle opere architettoniche in quanto presuppongono una disciplina progettuale e sono “costruite” sottraendo alla terra parte della sua crosta fno ad ottenere una cavità dalla quale si possa estrarre del materiale da costruzione. La diferenza sostanziale è che la loro fnalità che ne ha guidato la formazione non è, come nella architettura vera e propria, quella di confgurare uno spazio ricavandolo dalla costruzione di un volume, ma quello di procurarsi del materiale indipendentemente dalle qualità dello spazio ricavato attraverso la sottrazione di materia.

Interessante sarebbe riuscire a invertire questo processo, partendo dal vuoto creato sottraendo il terreno, valorizzarlo e renderlo protagonista. Diversi architetti sono stati in grado di ribaltare questa concezione e di valorizzare quell’espetto, che fn dall’antichità, esercita un particolare fascino. Perché in qualche modo le stesse cave partecipano sia alla naturalità che alla artifcialità e spesso in esse, malgrado le intenzioni puramente pratiche e di rapina, si manifesta un’armonia di masse e cavità che ha fornito preziosi suggerimenti a chi poi doveva utilizzare la materia ricavata per costruire edifci.

Le impressionanti qualità architettoniche delle cave derivano dal fatto che la struttura a strati sovrapposti ben marcati della roccia aggredita dai cavatori ha condizionato, come una vera e propria tecnica costruttiva prefssata, il lavoro di scavo, determinando un insieme di regole che danno al risultato spaziale degli scavi una mirabile coerenza morfologica che si è tramandata tra cavatori, trasmettendosi volontariamente o non all’interno di tutto il territorio italiano.

1_ La prima e fondamentale delle leggi che hanno governato il dialogo cavatori-materia è stata la modularità: il fatto cioè che la pochissima variabilità dello spessore degli strati lapidei idonei agli usi richiesti appare come fattore di regolarità ed elemento di misura in tutta la compagine della roccia tagliata che assume di per se stessa una forte analogia con un muro costruito per “via di mettere”.

2_ La seconda legge, implicita nella prima, ma che incide in profondità, sulla struttura statica della cavità è la tendenza dei softti lapidei, a trasformarsi nel corso di decenni, per efetto della frantumazione spontanea e dei crolli, da piani a cupolati. Il lento processo di cedimento che sfoglia gli strati di pietra in modo progressivo dal basso verso l’alto dà luogo a una conformazione a tholos, ossia ad una struttura scalinata con forme arrotondate che raccordano il softto con i pilastri di sostegno.

3_La terza legge imposta dall’uomo è

la scomposizione delle gallerie di prelevamento in campate di ampiezza variabile, ma tipologicamente riferibile a due principali modelli: quello della galleria con nicchie di approfondimento e quello delle due o più gallerie parallele che confgurano un vero e proprio spazio basilicale reso originalissimo e imprevedibile dalla grande libertà con cui vennero scelti gli allineamenti e defnite le forme dei pilastri lasciati pieni per sostenere il softto delle cave.

4_La quarta legge, derivata dalla seconda, quella che determina la rastremazione dei pilastri o colonne che vanno allargandosi verso l’alto in modo da sostenere più agevolmente il softto. In questo modo la logica spaziale si diferenzia nettamente da quella delle sale ipostile e tende ad assumere forti analogie con le strutture voltate pur avendo sempre le caratteristiche strutturali della tholos. Non obbedendo a schemi di semplifcazione di origine mentale e/o geometrica seguendo queste leggi si è realizzato così un sistema, che l’architettura non ha mai sperimentato, in cui si dispongono in serie, intersecandosi, delle strutture a tholos, ricavando le colonne da questa intersezione. Da queste rifessioni si evince non solo il carattere suggestivo e complesso delle cave, ma anche il loro signifcato come frutto del lavoro umano non orientato se non inconsapevolmente verso fnalità estetiche, ma capace di raggiungere in virtù del rigore le regolarità del processo sottrattivo.

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LE LEGGI DEL DIALOGO: Cavatori e materia.
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2. Cave di Prum, Negrar (Verona), Italia.

La lunga attività di escavazione che caratterizza le realtà estrattive storiche lascia sul territorio segni marcati e difusi della loro esistenza.

Una tesi che afronta un argomento così attuale e vasto non può prescindere dalla valorizzazione di queste tracce fsiche che rappresentano tracce indelebili di un passaggio contrassegnato dal lavoro dell’uomo. In questo contesto la conoscenza della situazione sul suolo italiano rappresenta, a mio parere, uno strumento conoscitivo imprescindibile nell’ottica della loro possibile rivalorizzazione e fruizione, al fne sia di verifcare lo stato di stabilità dei fronti, sia di proporre adeguati interventi di messa in sicurezza e ripristino.

Nella mia ricerca mi sono imbattuto in diverse associazioni che, con un’azione di studio e conoscenza, si impegnano a porsi obiettivi di valore verso il territorio italiano. Una di queste associazioni è Legambinete che si prefgura come uno degli obiettivi da raggiungere quello di rilanciare il settore delle costruzioni e ridurre il prelievo da cave, accelerando nella direzione dell’economia circolare. Il tutto raforzando la tutela del territorio.

Il seguente lavoro rappresenta la volontà di informarsi sulla situazione del “sistema cave” sul territorio italiano e nasconde il pensiero di riutilizzo e rivalorizzazione di tutte quelle aree

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3. CAVE IN ITALIA : azione tassonomica.

utilizzate e poi abbandonate che presentano un immenso patrimonio storico e culturale con territori e aspetti estremamente suggestivi, ma troppo poco raggiungibili dalla fruizione turistica e soprattutto con uno stato di degrado tale che, alcune di queste, vengono utilizzate come discariche abusive dalle persone.

Una ricerca efettuata dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat), Direzione Centrale per le Statistiche Ambientali e Territoriali DCAT, rivela che nel 2014 erano presenti 5353 siti estrattivi in Italia. 5210 di cave e 143 di miniere. I comuni interessati dall’esistenza di almeno un sito estrattivo erano 2105 e i comuni nelle classi più elevati 61. L’aspetto molto interessante è che, di questi, 5353 i siti attivi sono 4612 e i siti attivi produttivi solamente 2737 dei quali 2652 cave e solamente 85 miniere. Legambiente ha iniziato nel 2008 l’attività di monitoraggio del settore e il quadro aggiornato nel 2021 evidenzia che le cave dismesse sono 14.141, rilevate incrociando i dati forniti dalle Regioni e dalle Province Autonome con quelli di Istat. La Lombardia presenta quasi 3000 siti chiusi, ma anche la Puglia 2.522 e la Toscana 2.400. Ciò nonostante la Lombardia insieme a Sicilia, Veneto, Puglia, Piemonte e Sardegna presentano un maggior numero di cave autorizzate, minimo 300 in ognuna al momento dell’elaborazione dei dati.4

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0 1000 2000 3000 4000 5000 6000 sit estratvi comuni interessat sit atvi sit atvi produtvi sit atvi produtvi di cave sit atvi produtvi di miniere sit estratvi non atvi Anno 2014
Schema 1. Istogramma di confronto situazione sul suolo italiano.
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Schema 2. Distribuzione puntuale dei siti estrattivi attivi e dismessi sul territorio italiano.

Produzione inerti in Europa

Materiali estratti in Italia

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sabbia e ghiaia 60,9 % calcare 25,5 % gesso 1,5% torba 0,1% pietre ornamentali 6,7% argilla 5,4%
Germania 49% Italia 27% Spagna 7% Francia 7% Francia 3%
Schema 3-4. Grafci a torta Produzione inerti in Europa e Materiali estratti in Italia.
21 Regioni con maggiori cave attive in Italia Lombardia 653 Sicilia 420 Puglia 396 Piemonte 394 Toscana 380 Regioni con maggiori cave dismesse in Italia Lombardia 2956 Puglia 2522 Toscana 1208 Pr. Trento 1207 Altre 1002
Schema 5-6. Grafci a torta di confronto tra le maggiori cave attive e dismesse in Italia.

I Comuni con almeno una cava autorizzata sono 1.667, il 21,1% del totale dei Comuni italiani. Di questi sono 1.192 i Comuni con 1 o 2 cave autorizzate sul proprio territorio, mentre 54 Comuni hanno più di 10 cave.

Questi dati mettono in forte evidenza la situazione sul suolo italiano, ma in particolare vorrei focalizzare l’attenzione sull’immensa opportunità di rinnovamento territoriale che queste cave dismesse mettono sul piatto. I dati contenuti nel Rapporto Cave 2021 di Legambiente illustra come vengano estratti annualmente 29,2 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia per le costruzioni, 26,8 milioni di metri cubi di calcare e oltre 6,2 milioni di metri cubi di pietre ornamentali. Le cave di inerti e quelle di calcare e gesso rappresentano oltre il 64% del totale delle cave autorizzate in Italia, percentuale che supera l’81% se si analizzano le quantità estratte. Più basse le quantità estratte di materiali di pregio, come i marmi.5 4Cfr. Rapporto di LegAmbiente sulla gestione dell’attività estrattiva nel territorio italiano. Il punto sulle cave in Italia. I numeri, le leggi e i piani, le buone e cattive pratiche. Febbraio 2021. E sito internet ufciale Istat (https://www.istat.it).

5Ibidem, nota 1.

Confronto nelle maggiori regioni Italiane

Schema 7. Istogramma di confronto tra cave attive e dismesse nelle regioni italiane.

22 0 500 1000 1500 2000 2500 3000 3500 Lombardia Sicilia Puglia Piemonte Toscana
cave atve cave dismesse

Il settore, così delicato per gli impatti e gli interessi, è governato a livello nazionale da un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927. Da allora non vi è più stato un intervento normativo che determinasse criteri unici per tutto il Paese, mancano persino un monitoraggio nazionale della situazione o indirizzi comuni per la gestione e il recupero. Con il DPR 616/1977 le funzioni amministrative relative alle attività di cava sono state trasferite alle Regioni, e gradualmente sono state approvate normative regionali a regolare il settore.

In molte Regioni si verifcano situazioni di grave arretratezza e i limiti all’attività estrattiva sono fssati in maniera non uniforme. Sono assenti piani specifci di programmazione in Abruzzo (dove il P.R.A.E. è stato adottato, ma mai approvato), Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia (dove il Piano è stato approvato preliminarmente), tutte Regioni che non hanno un Piano Cave vigente, a cui si deve aggiungere la Provincia Autonoma di Bolzano. L’assenza dei piani è particolarmente preoccupante perché si lascia tutto il potere decisionale in mano a chi concede l’autorizzazione. Sull’impatto ambientale delle cave è intervenuta l’Ue a imporci regole più attente; con la Direttiva europea 85/337 si è stabilito che l’apertura di nuove cave deve essere condizionata alla procedura di Valutazione di Impatto Ambientale. Ma in Italia l’obbligo vale solo per cave con superfcie maggiore di 20 ettari, per cui la norma è il più delle volte aggirata.

Negli anni si è sottolineato come una evidente nonché negativa eredità del passato sia rappresentata dal mancato ripristino o recupero ambientale delle aree estrattive sfruttate. Tale mancanza ha lasciato profonde ferite nell’ambiente parzialmente rimarginato grazie ad uno spontaneo seppur lento fenomeno di rinaturazione. È importante ricordare che, con la legge regionale 18 aprile 2008, n.12 recante “Disposizioni per la valorizzazione dei siti minerali dismessi”, anche le aree minerarie dismesse possono essere oggetto d’interventi di riqualifcazione ambientale fnalizzati sia alla loro messa in sicurezza che alla loro eventuale valorizzazione. Dall’entrata in vigore delle nuove norme le imprese estrattive, al fne del conseguimento dei necessari titoli abilitativi (autorizzazione, permesso di ricerca, concessione), hanno dovuto presentare oltre al progetto tecnico di coltivazione anche il progetto di recupero ambientale. I nuovi progetti presentati dovevano tenere conto di alcuni basilari principi come il razionale e completo sfruttamento delle risorse, utilizzo di modalità di intervento, tecniche di coltivazioni e macchinari atti a minimizzare gli impatti ambientali in fase di coltivazione.6

Va quindi sottolineato come l’impegno nazionale sia quello di disporre e prevedere dei piani di riutilizzo delle stesse cave “nuove”, ma come questi piani di rivalorizzazione non siano sempre applicabili alle cave già in passato dismesse. Questo perché i vuoti generati dalla coltivazione delle cave di pietrame

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IL PROBLEMA GOVERNATIVO E LE LEGGI DI TUTELA AMBIENTALE IN ATTO:

normalmente posizionate alla base di fronti rocciosi dove i ripetuti crolli di parete hanno creato nei millenni le formazioni geologiche denominate “clapey” possono essere utilizzati, dopo l’intervento estrattivo, per la creazione di discariche di inerti, ma a mio parere il patrimonio territoriale lasciato da questi magnifci e suggestivi luoghi potrebbe essere riutilizzato anche in modo più istruttivo e culturale dalla popolazione.

L’Italia è una penisola del continente europeo protesa nel mar Mediterraneo. È delimitata da quattro mari: mar Ligure (nella parte Nord-Ovest), mar Tirreno (nella parte Ovest), mar Ionio (a Sud-Est) e mare Adriatico (a Nord-Est). Questi quattro mari appartengono tutti al bacino del mar Mediterraneo. L’italia è suddivisa in ventuno regioni e trattandosi di una penisola quelle bagnate dal mare sono ben quindici. Tra queste Liguria, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Toscana, Emilia-Romagna, Marche, Lazio, Molise, Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e le due isole Sicilia Sardegna. Queste quindici regioni presentano una quantità di materiale estratto annuo pari a più di tre quarti dell’intera nazione. Ma soprattutto presentano un totale di Cave dismesse pari a 8988. Ho così voluto prendere in maggiore considerazioni tutte quelle cave poste lungo la costa e in particolare sofermarmi su quelle delle regione Sicilia ricadendo successivamente a una stretta considerazione dell’Isola di Favignana.

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6Cfr. Donatella Vignali. XXXVIII Conferenza Italiana di scienze regionali. Nuova disponibilità di dati sulle attività estrattive da cave e miniere e lo sviluppo di indicatori di pressione ambientale. Università di Cagliari 20-22 Settembre 2017.
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3. Riquadratura massi, Carrara. 1950 circa.

infatti di oltre 22 milioni di metri cubi. Tra le Regioni con maggiori quantità cavate si ritrovano Molise, Lazio, Campania, Umbria, Toscana e Lombardia, che supera-

che può essere sostituito in maniera virtuosa con l’utilizzo di scarti industriali. L’estrazione annuale di gesso supera 1,2 milioni di metri cubi.

Fonte: Legambiente, 2016

Regione Sabbia e ghiaia Pietre ornamentali Torba Calcare Argilla Gesso Abruzzo 1.605.550 16.350 0 1.107.130 78.270 0 Basilicata 175.410 115.769 0 1.031.596 309.419 0 Pr. Bolzano 684.988 232.832 74.759 0 0 0 Calabria 1.198.000 102.000 0 1.055.000 420.000 0 Campania 142.698 119.758 0 1.604.507 182.351 0 Emilia-Romagna 3.998.868 0 0 226.675 615.930 100.930 Friuli Venezia Giulia 482.153 89.527 0 1.060.747 26.806 0 Lazio 1.672.099 536.091 0 2.189.880 298.895 0 Liguria 0 18.345 0 848.157 0 0 Lombardia 19.585.433 85.978 0 1.553.876 194.144 30.222 Marche 737.869 38.878 0 642.112 33.470 6.893 Molise 293.493 198.800 0 2.920.845 300.976 599.000 Piemonte 4.804.258 229.061 0 1.102.233 322.395 190.220 Puglia 7.024.137 377.373 0 480.996 455.167 10.500 Sardegna 902.510 310.000 0 510.000 181.000 0 Sicilia 3.549.566 1.208.111 0 1.331.131 578.072 63.215 Toscana 1.104.739 531.748 0 1.579.157 206.028 143.091 Pr. Trento 541.563 847.333 0 184.101 0 0 Umbria 296.694 460.000 0 1.852.133 310.912 75.000 Valle d’Aosta 90.937 24.462 0 0 0 0 Veneto 4.114.408 266.507 0 889.032 168.322 50.000 TOTALE 53.005.373 5.808.923 74.759 22.169.308 4.682.157 1.269.071
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Quantità annue estratte per tipo di materiale (m3)
Schema 8. Tabella illustrativa delle quantità annue estratte per tipo di materiale. Schema 9. Distribuzione puntuale dei maggiori siti estrattivi in Italia lungo la costa.

Coordinate:

37°55’34’’N 12°19’16’’E

Localizzazione:

Canale di Sicilia

Arcipelago:

Isole Egadi

Superfcie: 19,8kmq

TRAMONTANA PONENTE

MAESTRALE

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MEZZOGIORNO
LIBECCIO

4. L’ISOLA DI FAVIGNANA

GRECALE

L’isola di Favignana (in siciliano Faugnana) fu defnita negli anni ‘70 dal pittore Salvatore Fiume “la grande farfalla sul mare” per le due ali che sembrano dispiegate nel mare, è il capoluogo e l’isola maggiore dell’arcipelago delle Egadi, composto anche da Levanzo e Marettimo.

L’isola fa parte dal 1991 dell’Area Marina Protetta più estesa d’Europa.

LEVANTE

La storia delle Egadi ha origini molto antiche: esse sono state crocevia di popoli in ogni epoca e i primi insediamenti umani risalgono all’era Paleolitica. Favignana in particolare era conosciuta nell’antichità come Aegusa “l’isola delle capre” per la loro abbondante presenza. Il nome attuale risale al nome Aegusa, Aponiana e poi Favoniana (dal latino favonius, termine con il quale i Romani indicavano il vento caldo proveniente da ovest).

L’isola raggiunge i 302 metri sopra il livello del mare in corrispondenza del colle di Santa Caterina.

SCIROCCO

L’isola sorge nel mar Tirreno e presenta una costa molto frastagliata con un paesaggio apparentemente arido e brullo, tuttavia riccamente punteggiato da ampi brani di macchia mediterranea. E’ fortemente caratterizzato dalla presenza di numerose cave di tufo conchigliare/ calcarenite a cielo aperto e a ingrottamento, attualmente quasi tutte

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TRAMONTANA
MEZZOGIORNO

I caratteri storico naturalistici

dismesse. Sulla costa sud-ovest si erge, inoltre, l’ex stabilimento Florio delle tonnare di Favignana e Formica che alla fne dell’Ottocento era uno dei più grandi complessi industriali Europei. Tracce di antichissimi insediamenti umani presenti in alcune grotte situate nelle scogliere frastagliate lungo le coste dell’isola testimoniano la presenza umana fn dal Paleolitico superiore. Della presenza di genti fenice e greche, invece, non vi è testimonianza certa ma è credibile, vista la vicinanza delle isole rispetto a quella di Monzia è presunta, a partire dall’VIII secolo a.C. fno all’anno 241 a.C. quando l’esercito romano sbaragliò la fotta cartaginese nella battaglia fnale della Prima Guerra

Punica (detta appunto Battaglia delle Isole Egadi), in cui la Sicilia venne defnitivamente annessa a Roma.

Dopo il crollo dell’impero Romano (446 d.C.), le isole caddero in mano ai Vandali e ai Goti e nell’anno 827 d.C. iniziò la presenza saracena, testimoniata dalla costruzione di tre torri difensive (successivamente inglobate in fortifcazioni o andate distrutte).

Nella seconda metà dell’anno mille i

Normanni sotto il governo di Ruggero I di Altavilla, vi realizzarono un villaggio e possenti fortifcazioni: il forte di San Giacomo, quello di Santa Caterina e di San Leonardo che inglobarono le vecchie torri saracene. A seguito degli scontri tra svevi e aragonesi, fu sotto i Borboni che si crearono

le condizioni dell’abbandono delle Isole Egadi alle incursioni brutali dei pirati saraceni che ne causarono il sostanziale spopolamento.

A Favigana i pochi che rimasero, abbandonate le abitazioni esistenti, si rifugiarono nelle grotte già allora presenti nelle aree di cava. Una nuova storia economica e partire dal 1637, quando Filippo IV di Borbone decise di cedere a privati (famiglia PallavicinoRusconi di Genova) il possesso delle isole. Nel 1874, la proprietà passò alla famiglia Florio, che scrisse la successiva storia dell’isola legata alla grande tonnara, il cui imponente stabilimento, ora trasformato in museo, domina ancora il paesaggio vicino al porto. Dal periodo Borbonico fno al Fascismo l’isola è stata anche utilizzata dal governo come prigione e luogo di confno per gli avversari politici. Durante il secondo confitto mondiale l’isola venne dotata lungo le coste, vista la sua posizione strategica, di una imponente rete di casematte e fortifcazioni militari, in gran parte ancora oggi conservate.

“Il futuro economico delle isole Egadi e la stessa speranza di prosperità della popolazione di Favignana si legava quindi in primo luogo alla pescosità del mare ed all’attività delle tonnare, vera specializzazione dell’arcipelago.

Più tardi, venuta meno la necessità della difesa, i vecchi castelli sarebbero stati trasformati in prigioni e anche le Egadi - ed in particolare Favignana - avrebbero la triste e durevole

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“vocazione” di luogo di esilio e pena.”7
7F.Maurici, Le Egadi della tarda antichità agli inizi dell’età moderna. La Ferdaliana, Trapani 1999, p.90
31
4. Ex stabilimento Florio delle Tonnare di Favignana e Formica. 5. Castello di Santa Caterina.

L’isola è raggiungibile via nave dal porto di Trapani, Marsala e Napoli ed è connessa alle isole di Levanzo, Marettimo e Ustica. Sull’isola sono presenti due attracchi: un piccolo approdo naturale privo di molo a Punta Lunga e il porto principale, che risulta inadeguato per dimensioni in quanto incapace di afrontare la domanda crescente di nautica turistica e da diporto. In quest’ultimo sono infatti in corso interventi per dotarlo di un maggior numero di attracchi.

La mobilità via terra dell’isola di Favignana presenta complessivamente forti criticità nel periodo estivo per l’aumento del trafco turistico e commerciale, grazie alla redazione del Piano di Mobilità Sostenibile si sta cercando di migliorare la viabilità dell’isola tendendo conto della richiesta turistica da un lato e della tutela dell’ambinete e dei residenti dall’altro. E’ inoltre in via di realizzazione una struttura della protezione civile per l’atterraggio degli elicotteri.

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I collegamenti

Marettimo

Levanzo

Trapani

Isole dello Stagnone

Favignana

Sicilia Occidentale

Marsala

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Geografa, ambiente e paesaggi PARTE BOSCHIVA

Favignana dista da Trapani 9 miglia e si estende per 19.38 kmq, è lunga 9 km e larga 4km. Attualmente l’isola di Favignana conta 3407 residenti, il comune di Favignana (comprendente le isole dell’arcipelago) conta invece 4314 residenti (dato aggiornato nel 2017).

L’isola ha uno sviluppo costiero di 33 km frastagliati e ricchi di cavità e grotte e sul lato meridionale si trovano gli isolotti di Preveto, Galera e Galeotta. La dorsale montuosa che attraversa da nord a sud l’isola, avente come altitudine massima quella del Monte Santa Caterina (314 metri), seguita da Punta della Capanna (296 metri) e Punta Grossa (252 metri), divide il territorio in due parti di analoga estensione, ma molto diverse tra loro: la piana, nel lato verso la Sicilia, compresa tra il porto e punta Marsala e il bosco, a ovest oltre la montagna. La piana è caratterizzata soprattutto per la presenza delle aree utilizzate, nel tempo, per le attività di cava. La parte denominata bosco è caratterizzata invece da un andamento del terreno maggiormente articolato, con quote mediamente più alte e da coste più frastagliate.

L’isola di Favignana fa parte della Riserva Naturale marina delle Isole Egadi istituita nel 1991.

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pozzo dell’alga Punta Sottile cala rotonda cala grande
0 200 m 500 m 1000 m 0 200 500 1000
Punta Ferro Monte
Punta della
Punta 252 Faraglione Capo

PARTE PIANA

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Monte S. Caterina 314 m della Capanna 216 m Grossa 252 m Porto
Punta Marsala cala rossa cala azzurra Punta Fanfalo
Punta Lunga
cala s.nicolò
Capo Grosso Faraglione cala trapanese
lido burrone Punta S. Vituzzo scalo cavallo Punta S.Nicola

Attività estrattiva: inizio, sviluppo e declino

Non si può datare con precisione l’epoca a cui risale l’apertura delle prime cave di Favignana, poiché sembra che sin dai tempi remoti gli uomini vi abbiano scavato grotte da utilizzare come alloggi, mentre in seguito si cominciò ad estrarre la calcarenite per costruire abitazioni. L’uso di abitazioni ipogee è però perdurato tra i meno abbienti e soprattutto tra i cavatori.

Le prime cave furono impiantate il più possibile vicino al mare per risparmiare sul trasporto che avveniva appunto via mare. Tutto ciò ha causato uno sfruttamento delle coste rivolte a Trapani e Marsala con conseguente erosione molto accentuata delle stesse. Questa zona corrisponde alla parte orientale dell’isola che interessa la costa e parte dell’entroterra che va da Poggiamico al Marasolo con i punti di massimo sfruttamento nella zona di Scalo Cavallo e Cala Rossa.

Gli assaggi di cava e le cave isolate si trovano però in tutta la piana orientale. Anche nella piana occidentale sono presenti le calcareniti, ma con estensione molto ridotta. Le calcareniti vengono localmente distinte in due qualità: quelle giallastre, a grana grossa, di cattiva qualità, presenti sul livello superiore e quelle bianche sottostanti, di qualità nettamente superiore utilizzate come materiale da costruzione. Le due qualità di calcareniti

corrispondono a due periodi geologici diferenti. In particolare, quelle giallastre, corrispondono agli strati del Tirreniano, quelle bianche corrispondono al piano Siciliano. Queste calcareniti hanno uno spessore di 20 metri e raggiungono in profondità il livello del mare, in prossimità del quale raggiungono la falda freatica.

Molto spesso le cave vengono spinte sino alla falda in modo da sfruttarla. Anticamente il cavatore, una volta procurati gli attrezzi necessari, sceglieva la zona da sfruttare tra quelle vicine al mare. Egli stesso si occupava di produrre e commerciare il prodotto. L’estrema facilità nel reperire la pietra fece sì che le cave venissero abbandonate non appena essa diventava troppo dura da tagliare, per il tempo che si impiegava, o troppo ricca in conchiglie, per non rovinare gli strumenti, o ancora troppo friabile, perché si sbriciolava. Fortunatamente un maggior controllo sulle coste fece spostare l’impianto delle cave più all’interno, anche se in terreni comunque vicini al mare.

Si instaurarono così diversi rapporti tra cavatori, proprietari terrieri ed imprenditori. Accadeva che un imprenditore acquistava in contanti un appezzamento di terra da sfruttare tramite cavatori pagati a contuna (blocchi di pietra di determinate dimensioni, così localmente denominati). Meno spesso accadeva che fosse il cavatore stesso ad acquistare il terreno. Spesso però

l’imprenditore acquistava solo la pietra, stipulando con il proprietario del terreno un contratto privato che gli consentisse lo sfruttamento della cava per un certo numero di anni, solitamente nove, allo scadere dei quali, se il contratto non fosse stato rinnovato, il terreno sarebbe tornato nelle mani del proprietario. Nel caso in cui l’imprenditore non disponesse della somma necessaria ad acquisire la pietra, si optava per il pagamento di una percentuale su ogni contune estratto, il cosiddetto “fondo”. Tale percentuale veniva versata come un canone di aftto annuo o semestrale, in denaro o in natura, calcolata sul prezzo del mercato del momento, in ragione di 4-5 tuf ogni 100 estratti, in relazione anche alla quantità e qualità della pietra estratta e alla distanza della cava dal mare.

Era di uso comune che gli imprenditori fssassero (ai cavatori) il numero di contuni da estrarre in una giornata o in un certo periodo. Naturalmente più in fretta il cavatore raggiungeva il numero, più tempo aveva a disposizione per dedicarsi ad altri lavori, come per esempio lo scavo di pozzi e/o pozzi neri, che venivano pagati “a palmo”. Quando si impiantava una nuova cava, visto che i cavatori venivano pagati a cottimo, per i primi tempi essi non avrebbero dovuto percepire nulla, ma essi potevano chiedere un anticipo sulla produzione. Quando riuscivano, i cavatori si facevano pagare per un numero maggiore di contuna rispetto a quelli efettivamente

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estratti, disponendoli in maniera tale che al conteggio risultassero tali. La frode veniva scoperta solo al momento del trasporto al punto di carico della costa, dove i contuni venivano contati uno ad uno.

Secondo i dati raccolti dal Dott. P. Gervasi, per la sua tesi di Laurea, si evince che il prezzo di vendita di un contune nel ‘58 si aggirava intorno alle 62 Lire, contro le 49 Lire di quello di Marsala.

La giornata lavorati durava circa 12-14 ore, sia che si trattasse di un cavatore in proprio sia di un artigiano, prestatore d’opera e cottimo. La retribuzione variava con il prezzo dei contuni, ma nei primi anni del secondo dopoguerra, si aggirava intorno alle 23 Lire, quando il contune veniva venduto (alla cava) a 35 Lire ed al proprietario restava una Lira per il fondo.

Alla fne della Seconda guerra mondiale le cospicue richieste di materiale da costruzione trovarono poco riscontro nel sistema di estrazione a mano, tanto più che il numero di cavatori diminuiva a causa del fusso migratorio verso occupazioni meglio retribuite, come per esempio l’industria ittica e peschereccia. Sorse così la necessità della meccanizzazione, introdotta nel 1951 da una società trapanese, la I.M.E.L.T. Fu così che negli anni Sessanta, si ebbe un nuovo boom delle cave, anche se con il decadimento della categoria dei cavatori, sostituiti dalle macchine, che dopo varie fasi di sperimentazione riuscirono a sostituire quasi completamento la manodopera umana. Nonostante ciò, il tufo di Favignana si trovò a competere con la concorrenza del Marsalese, che aveva un costo decisamente minore.

Una delle cause della crisi del tufo, dovuta alla concorrenza del marsalese, è data dalla posizione geografca dell’isola che, in quanto tale, risultava separata dal mare dai mercati di consumo. Si ricava che la sua posizione dava luogo ad un insieme di fattori economici, spese di trasporto, carichi e scarichi, prezzi di acquisto e di vendita più alti, che infuirono negativamente agevolando la concorrenza che, invece, poteva mantenere un costo di vendita molto più basso. Un altro fattore è da ricercare nelle spese per l’energia elettrica relativa alle imprese che efettuavano l’estrazione meccanica. Infatti, le industrie del trapanese godevano dell’energia sufciente esistente sul posto e a prezzo ridotto. Le industrie di Favignana invece, dopo aver afrontato grosse spese per l’acquisto di attrezzature per la produzione di energia elettrica a corrente alternata, inesistente sul luogo, non poterono usufruire delle riduzioni del prezzo previsto da una specifca normativa di legge (1949).

risulta anche di qualità superiore, in quanto più consistente e più solida. Inoltre, la pietra di Marsala, per la sua eccessiva porosità, assorbe notevoli quantitativi d’acqua piovana e di umidità che stenta ad evaporare a causa della presenza di elementi di natura argillosa.

Una seconda fase di declino, dopo quella dell’ultimo dopoguerra, si ebbe negli anni ‘80, perché nonostante i trasporti risultassero più agevolati, cominciarono ad essere preferiti altri materiali da costruzione, più economici e più facilmente reperibili. Anche i rapporti di lavoro sono stati modifcati. La manodopera impiegata si è notevolmente ridotta di numero e i cavatori da artigiani divennero salariati, ma fnalmente coperti da una previdenza, se pur sempre miseramente pagati. Per cui, mentre in passato questo tipo di lavoro, se pur pesante, era molto ambito, si cominciò a fuggire da esso.

Pur ovviando a tutti questi fattori il costo dei conci di Favignana restò e resta tuttora più alto, ma bisogna sottolineare che in base ad esami petrografci, la pietra di Favignana

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L’attività di estrazione della calcarenite ha avuto un ruolo fondamentale nella defnizione delle tipologie edilizie.

Ogni qual volta è stato possibile, infatti, i corpi edilizi sono stati costruiti allo scopo di instaurare un rapporto inscindibile con le cave e con ingrottamenti generali, dalle attività estrattive preesistenti o coesistenti, nell’area di cava. Il centro storico di Favignana si è formato dentro e attorno alle cave abbandonate in quanto la forma urbana si è generata dal rapporto tra l’edifcato, lo scavo e gli spazi liberi interni. Nei terreni trasformati da una pregressa attività di cava i volumi edilizi sono stati costruiti sul bordo della cava stessa e, lungo il confne con la viabilità e in prossimità dell’abitazione, è stato generalmente eretto un muro cieco di conta recante la sola apertura necessaria per l’accesso. In questo modo ogni costruzione, ogni complesso edilizio, piccolo o grande che sia, pur costituendo un caso irripetibile, concorre a generare un’atipica tipologia caratteristica dell’edilizia rurale dell’Isola.

campagna e la scala esterna al volume edifcato delle abitazioni rurali è elemento incostituibile e caratteristico. Le scale di collegamento sono infatti sempre esterne e rispondono a criteri rigorosamente funzionali, ma nello stesso tempo, si diversifcano sempre in modo solo apparentemente casuale e irripetibile, quasi fossero esse stesse gli elementi naturali attorno a cui si organizzano gli spazi domestici e i volumi che li attendono. Si tratta di un’edilizia a destinazione mista, residenziale e funzionale, che ha regole costruttive, distributive, dimensionali e formali fortemente legate alle necessità/capacità della gente locale di avere un rapporto naturalmente indiferente alle comodità interne della dimora, ma nel contempo assolutamente interessata ad evitare ogni possibile spreco dello spazio esterno disponibile, il cui valore era, e continua ad essere, vissuto come un valore materiale e formale prevalente anche rispetto alle moderne comodità funzionali dell’abitazione.

clima caldo d’inverno e fresco d’estate. In questi luoghi, che hanno preso il nome di “giardini ipogei”, è possibile ammirare tanti ortaggi ma soprattutto splendidi alberi da frutto come il fco, il mandorlo, il pero, l’arancio e il fco d’india, dando luogo a dei paesaggi vivi e colorati. I Giardini Ipogei di Villa Margherita rappresentano quindi un ottimo esempio di dialogo tra l’identità locale e la creatività umana.

Le fabbriche sono quasi sempre costruite utilizzando i residui speroni di roccia e la residenza, dove possibile, è articolata in modo da includere anche gli ingrottamenti adiacenti e sottostanti. L’abitazione viene sviluppata in altezza andando spesso a superare l’originario piano di

Alcune cave dismesse a Favignana vengono già utilizzate dagli isolani in modo da trasformarle in orti e giardini. È sufciente fare una passeggiata per notare ai bordi delle strade cave di tufo al cui interno crescono piante rigogliose. Grazie alla protezione del vento garantita dalle alte pareti e con il contributo del sole e del clima egadino, gli isolani sono riusciti a sfruttare un habitat adatto allo sviluppo vegetativo, dando vita ad una “serra naturale”, che permetteva di avere un

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Costruire dalla roccia
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6. Giardini Ipogei di Villa Margherita, Favignana.
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7. Giardini Ipogei di Villa Margherita, Favignana.
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8. Giardini Ipogei di Villa Margherita, Favignana.

Due tipologie di Cave: ad ingrottamento o a cielo aperto

A seconda delle circostanze, una cava poteva essere intagliata a cielo aperto o ad ingrottamento.

Le cave ad ingrottamento potevano essere aperte a partire da una parete naturale e da una cava a cielo aperto. Spesso, se si prevedeva di trovare della calcarenite di buona qualità sotto un vasto e consistente strato roccioso, si faceva il cosiddetto “puzzu lumi”, cioè un piccolo scavo a cielo aperto dal quale partire per la lavorazione ad ingrottamento. Questo piccolo scavo veniva poi utilizzato per piazzarvi sopra un argano in legno (manganeddru) per tirare su i conci. Si procedeva all’ingrottamento direttamente dal livello del suolo oppure rialzandosi da esso mediante ponteggi arrangiati con tavole per l’edilizia o tramite i tuf stessi, partendo cioè da un pianerottolo lasciato apposta durante lo scavo di una cava a cielo aperto, al quale si accedeva arrampicandosi lungo la parete sulla quale precedentemente vi erano stati intaccati degli appigli detti “scanneddri”.

e comunque fnché le colonne lasciate a sorreggere la volta, assottigliate di 25 cm per strato, assolvessero al loro compito. Per quanto riguarda i cunicoli, invece, si prolungavano sino a quando non diventava troppo faticoso portare fuori la materia tagliata.

Per cominciare, l’operatore, partendo dall’altezza massima e da sinistra a destra, eseguiva tre tagli orizzontali chiamati “sopra cielo”, “mezzo cielo” e “sotto cielo”, distanti 40 cm l’uno dall’altro. Essi delimitavano le prime due fle di conci che venivano tagliati con il lato lungo perpendicolare al suolo. Successivamente venivano praticati tagli perpendicolari ai primi, distanti tra loro 20 cm, detti “conti”. La parte ancora intatta della pietra, quella rivolta verso il basso, veniva in seguito tagliata in altro modo. L’estrazione delle prime due fle di conci, detta “chiavata”, avveniva da sinistra a destra utilizzando, tranne per il primo concio, lo zappone. Una volta estratta questa porzione di pietra, dalla porzione sottostante si ricavavano tre fle sovrapposte di tuf da estrarre con il lato lungo orizzontale al suolo, e quindi perpendicolarmente a quelli precedentemente estratti.

tuf, facendoli rotolare sul pavimento. Un’altra tipologia di cava, che richiede meno fatica e meno abilità rispetto alla precedente, oltre ad essere anche meno pericolosa, è la cava a cielo aperto.

Dentro le grotte gli scavi non superavano inizialmente i 3 metri di ampiezza per 1.50 m di altezza. Poi, a mano a mano che si procedeva verso l’interno, ci si allargava di 25 cm per ogni lato, abbassando anche il pavimento. La profondità raggiungibile dipendeva dalla qualità della pietra oppure dal raggiungimento della falda acquifera

Naturalmente in questo caso i tagli verticali erano distanti 40 cm l’uno dall’altro, quelli orizzontali 20 cm. La calcarenite veniva estratta una alla volta. Quando venivano esaurite le tre fle si ricominciava da capo, con altre tre fle. Spesso, una volta estratti era il cavatore stesso a portare fuori i

Il modo in cui avveniva la “creazione” della cava a cielo aperto è molto interessante: la prima cosa da fare era la squadratura del terreno sul quale operare e esportare il “cappellaccio”, lo strato superfciale di terra o di roccia, per portare a nudo la pietra tufacea. Per la squadratura ci si avvaleva di una bacchetta usata come “metro”, in modo che sui lati della cava fossero contenuti un numero intero di volte gli spigoli maggiori e minori dei conci. Tale bacchetta (parpagnu) veniva ribaltata su se stessa, lasciando evidenti segni sul terreno dai quali partire poi per tracciare il perimetro della cava. La misura più comune per una cava a cielo aperto era di 10x10 m. In essa vi erano 20 tagli longitudinali distanti tra loro 50 cm, intersecati perpendicolarmente da 40 tagli verticali distanti tra loro 25 cm. Inizialmente venivano eseguiti i tagli longitudinali con l’ausilio del parpagnu che in questo caso misurava 50 cm. I tagli si approfondivano usando la mannara fnchè lo strumento afondava nella fessura sino alla metà delle guance nelle quali è inserito il manico, misura che corrispondeva a 25 cm e che veniva ogni tanto controllata con il “parpagnu ri parmu”, cioè con una bacchetta lunga 25 cm, la stessa che veniva utilizzata per misurare i tagli

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9. Esempio di cava ad ingrottamento, Bue Marino, Favignana. 10. Esempi di cave ad ingrottamento, Favignana.

orizzontali. Anche in questo caso si procedeva con il segnare tre fle di conci da estrarre poi uno ad uno, per poi ricominciare con altre fenditure sino all’esaurimento di uno strato. Questa alternanza tra tagli ed estrazione procedeva sino al raggiungimento del livello del mare. Per ogni strato di conci estratti si faceva “l’aperta chiavi”, ossia l’estrazione delle prime due fle di tuf, quelli compresi tra le prime tre fenditure longitudinali. Una volta fatta l’aperta chiavi il cavatore si posizionava su di essa in modo da facilitarsi il compito.

Il primo concio che si estraeva andava spesso in frantumi, essendo molto difcile da estrarre perchè aveva solo un lato libero. Si partiva infatti dall’angolo e l’unico lato libero era quello superiore. Una volta estratti, i conci di calcarenite, dovevano essere pareggiati, lavoro che poteva essere praticato dal cavatore stesso o, nel caso di un lavoro in coppia, dal meno esperto.

A volte la pietra tufacea era attraversata da venature di consistenza più dura o poteva essere inframmezzata dalla presenza di conchiglie, per l’estrazione di questi strati venivano utilizzati gli attrezzi più vecchi, quelli un po’ rovinati. Spesso accadeva anche che queste porzioni di pietra non venissero estratte per non sprecare tempo ed energia, essendo essa di scarsa qualità e quindi poco commerciabile, lasciando così dei pilastri. Quando i

cavatori lavoravano da soli le cave erano di modeste dimensioni ed essi di tanto in tanto sospendevano l’attività estrattiva per portare su, in spalla o abbracciandoli, i conci di calcarenite estratta, disponendoli ordinatamente su spiazzi in cui potessero fermarsi i carri sui quali dovevano essere caricati.

Nelle cave di maggiori dimensioni e dove esisteva un imprenditore, egli impiegava gli impiegati per questo tipo di attività, dando loro una misera paga. Per salire e scendere nella cava veniva costruita in un angolo una scala naturale lasciando per ogni strato un concio non estratto. Successivamente per tirare su i conci si utilizzò il “manganeddru”, una sorta di montacarichi.

I primi utilizzati poggiavano su due pilastri di conci a secco per mezzo di un perno di ferro, sospendendolo su un angolo della cava. Ad un’estremità del cilindro si trovavano due bracci di legno incrociati ad uno dei quali era legata una corda con un uncino che serviva per imbracare i tuf. Il cavatore, o chi per lui, tirando a se i bracci uno alla volta, faceva girare il manganeddru su se stesso, di conseguenza la corda si arrotolava e il concio di tufo veniva portato in superfcie. Successivamente, quando le profondità delle cave divennero più consistenti, si ricorse a manganeddri dotati di ruota. Una volta sistemati su uno spiazzo, i conci di calcarenite, il compito del cavatore terminava, ma era egli stesso che per lo più si occupava del trasporto

dallo spiazzo ai punti di carico.

Per il trasporto entravano in gioco i carrettieri. Il tipico carro favignanese, tirato generalmente da muli, aveva dimensioni tali da poter assolvere a questo lavoro ed era dotato di fancate perfettamente rettangolari, senza fregi. Su di esso il carrettiere sistemava quattro fle di conci disponendoli su una delle facce maggiori, sopra di essi ne poggiava altri tre sempre sulla faccia maggiore. Dietro di questi disponeva due fle di quattro conci in piedi, cioè sulla faccia minore, ed infne su di essi ancora quattro sulla faccia maggiore.

Una volta giunti ai punti di carico, i tuf venivano fatti scivolare su scivoli appositamente costruti. Un cavatore metteva i tuf in cima agli scivoli, alla fne dei quali si trovava un secondo cavatore che li fermava e che li porgeva poi uno alla volta all’equipaggio delle barche. Si trattava di imbarcazioni tipiche, a vela o a motore, abbastanza piatte da potersi avvicinare alla costa, chiamate “schifazzi”.

I conci estratti potevano avere dimensioni diverse a seconda della richiesta e dell’utilizzo al quale erano destinati. Se ne distinguono di diverso tipo: “u cantuni ri parmu” (25x25x50 cm); “a chiappa” (25x37x50 cm);

“a chiappetta” (25x32x50 cm); “u bbuzzuni ri cantuni” (25x25x75 cm);

“u bbuzzuni ri chiappa” (25x37x75 cm); “u rusase” (20x20x40 cm); “u timpagnolo” (6-8-10x25x50 cm).

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11. Esempio di cava a cielo aperto, Labirinto di Cave, Favignana. 12. Esempi di cave a cielo aperto, vista da Cala Rossa, Favignana.
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13. Cava a cielo aperto, Labirinto di Cave, Favignana.
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14. Cava a cielo aperto, Labirinto di Cave, Favignana.

6. PROPOSTA PROGETTUALE

Il progetto ha alla sua base la volontà di rivalorizzare un luogo che appare perso, abbandonato e in gran parte inaccessibile (vedi foto 18). La necessitò di curare, nutrire e valorizzare il genius del luogo mi ha portato a questa idea progettuale che si pone l’obiettivo primario di far riappropriare la popolazione Favignanese a questi meravigliosi luoghi, un tempo fonte di sostentamento economico e sociale.

Il progetto vuole recuperare le ex cave di Scalo Cavallo partendo dal vuoto attivo e dalla luce scaturita da intagli nella materia. Vuoto contenente spazi che non tendono mai all’introiezione perché nascono in sinergia con l’esistente. Spazio esterno che diviene contemporaneamente spazio interno.

Pur non essendo totalmente luoghi naturali, perché create da un’antica lavorazione umana, le cave, mi hanno trasmesso fn dal primo sopralluogo un’idea di storicità e autenticità che non doveva essere intaccata. Per questo il progetto ripensa lo spazio rispettando la materia, il luogo, la natura che sarà accessibile all’uomo collaborando in un sistema di salvaguardia reciproca.

Lo spazio viene ripensato come un nuovo atelier botanico attrezzato da dispositivi architettonici per la defnizione di un nuovo sistema di produzione agricola. Azioni minime e puntuali hanno permesso un nuovo viaggio nell’essenza interiore della materia resa protagonista

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Purtroppo ISSUU, dopo il suo ultmo aggiornamento, mi permete di caricare solo le prime 50 pagine.

Se sei interessato a leggere tuta la TESI scrivimi privatamente. Te la invierò grats.

Unfortunately ISSUU, afer its latest update, only allows me to upload the frst 50 pages.

If you are interested in reading the whole thesis, you just need to write to me privately. I will send it to you free of charge.

arch.christan.tonella@gmail.com

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