Tesi di Laurea in Progettazione dell'Architettura

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Architectura sine Luce nulla Architectura est.

Lo studio della Luce in Architettura tra il 30° e il 50° parallelo in Europa.

POLITECNICO DI MILANO

Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni.

Corso di studi in Progettazione dell’Architettura.

Tesi (Elaborato) di: Christian Tonella, Matricola 881493

Anno Accademico 2018/2019

Relatore, Prof. Pasquale Mei

“Non si può avere Architettura senza luce, come non si può avere Musica senza aria: Architectura sine luce nulla Architectura est.”
Alberto Campo Baeza

JUAN NAVARRO BALDEWEG (1939)

- Restauro dei mulini come musei, Murcia, Spagna.

- Biblioteca municipale Salinas, Porta di Toledo, Madrid.

- Museo e centro di ricerca, Altamira Del Mar, Spagna.

ALBERTO CAMPO BAEZA (1946)

- Caja General de Ahorros, Granada, Spagna.

- Sede del consiglio di Castiglia e Leòn, Zamora.

- Progetto per il concorso “La porta di Miano”.

JOSE’ IGNACIO LINAZASORO (1947)

- Biblioteca universitaria della UNED, Madrid.

- Biblioteca e Aulario nelle rovine de Las Escuelas Pìas de Lavapiès, Madrid.

- Chiesa di San Lorenzo, Madrid.

CONCLUSIONE

- La Luce oggi.

- La Luce e il vuoto.

- La Luce come materiale di progetto.

7 01 INTRODUZIONE INDICE 02 PREMESSA LA LUCE TRA IL 30° E IL 50° PARALLELO IN EUROPA. 03 I DIVERSI TIPI DI LUCE IN ARCHITETTURA NEL CORSO DEL TEMPO - LA LUCE DIRETTA /INDIRETTA - LA LUCE ZENITALE - LA LUCE LATERALE - I GRADIENTI DELLA LUCE 04 STUDIO DELLA LUCE NELL’ARCO DI 24 ORE - TAVOLA CRONO DIA 05 LA LUCE SECONDO TRE MAESTRI DELL’ARCHITETTURA
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L’argomento protagonista di questa Tesi di Laurea vuole essere la luce, anima del fatto architettonico. Più precisamente, trattandosi di architettura, la parte interessante sta soprattutto nel procedimento di progettazione. Vorrei focalizzare l’attenzione sul processo che porta all’ottenimento di una determinata categoria di “architettura come idea costruita”.

Luce e spazio sono la materia prima dell’architettura. Muovendomi nella convinzione che la luce e il suo incessante dialogo con l’ombra, sia lo strumento privilegiato per dare forma allo spazio e plasmare le superfici, in questo lavoro di tesi si tenta di mettere a sistema alcuni principi elementari che presiedono al rapporto tra luce naturale e spazio architettonico.

In particolare, sulla base di questo concetto di ottenimento, sarà sviluppato un parallelismo a partire dalle opere che ho ritenuto più determinanti nel corso della storia dell’Architettura. Finendo per concentratmi su alcune opere di tre principali architetti spagnoli: Juan Navarro Beldeweg, Alberto Campo Baeza (che ho avuto la fortuna e l’onore di incontrare per alcune revisioni nel primo semestre del terzo anno nel Laboratorio di Progettazione 3) e José Ignacio Linazasoro. Partendo da alcune parole del primo di questi maestri è nato il titolo di questa tesi: “[…]la luce apparirà sempre come elemento principale dell’architettura. La luce che costruisce il tempo. Senza luce l’architettura non è niente, usando i termini latini Architectura sine luce nulla Architectura est.”

Credo quindi che, per la corretta lettura e interpretazione di questo testo sarà fondamentale vedere ogni opera, sia essa architettonica o scultorea, come il risultato di un processo e su questo porre l’attenzione.

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01. INTRODUZIONE

Antico, vasto e fortemente interdisciplinare è il tema della luce. Von Meiss nel suo libro “Dalla forma al luogo” insiste a giusto titolo sulle qualità fondamentali che separano l’architettura dalle altre arti plastiche. Egli sottolinea il ruolo giocato dallo spazio vuoto e dalla gravità, il primo genera dei criteri spaziali tipologici e la seconda assicura la natura essenzialmente strutturale e costruttiva del progetto architettonico. Ora, concordando sul ruolo fondamentale dello spazio vuoto riprendendo le parole di Franco Purini dal libro “Comporre l’architettura” il quale scrive “il passaggio della luce il quale fornisce magnificamente i volumi disegnandoli nello spazio con perfetta evidenza plastica” capiamo come, quello della luce è sempre stato un tema strategico e fondamentale per il controllo di un processo progettuale complesso e consapevole rispetto a tutti quegli aspetti che fanno di un’architettura, una buona architettura.

L’asse di rotazione terrestre non è perpendicolare al piano di rivoluzione orbitale intorno al Sole, essendo rispetto a questo inclinato mediamente di 23°27’ (inclinazione del piano orbitale su quello solare). Ciò comporta che la luce del Sole non incida mai, in ongi istante, con la stessa angolazione, ma che vari costantemente. All’occhio di un osservatore sull’equatore, agli equinozi il sole sorge e tramonta rispettivamente all’est e all’ovest georgrafico, a mezzogiorno è allo zenit; ciò comporta che la durata del giorno

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30°
2. PREMESSA: la luce tra il 30° e il 50° parallelo.

è uguale a quela della notte. Il centro del disco solare è sopra l’orizzonte per dodici ore consecutive, anche se il fenomeno di diffusione atmosferica della luce fa sì che la terra sia illuminata già da circa mezz’ora prima dell’alba a circa mezz’ora dopo il tramonto. Inoltre, la rifrazione fa sì che la figura del Sole, che all’aba attraversa una porzione più spessa d’atmosfera appaia in una posizione diversa da quella in cui dovrebbe essere visibile se non filtrata dall’atmosfera. Infine le dimensioni del disco solare fanno sì che quando il suo centro supera la linea dell’orizzonte già una porzione di esso lo ha superato o debba ancora superarlo, se al tramonto. Due volte durante il corso dell’anno solare il periodo diurno, ovvero quello di esposizione alla luce del Sole, e quello notturno, sono uguali, giungendo i raggi solari perpendicolarmente all’asse di rotazione della Terra. Questi due periodi dell’anno sono detti equinozi e occorrono a marzo e a settembre del calendario civile. Insieme ai solstizi marcano il momento di avvicinamento delle stagioni astronomiche sulla Terra. Nell’emisfero boreale l’equinozio di Marzo segna la fine dell’inverno e l’inizio della primavera, mentre quello di Settembre termina l’estate e introduce l’autunno. Viceversa accade nellemisfero australe, dove l’autunno inizia all’equinozio di Marzo e la primavera a quelllo di Settembre. In questa descrzione è racchiusa la

ragione per la quale ho deciso di concentrarmi totalmente su quella fascia che va dal 30° al 50° parallelo nell’emisfero nord. Evidenziando poi tutte quelle architetture prese come caso studio sul territorio europeo.

La Terra, come è noto, gira interno al sole e ruota su se stessa intorno a un asse obliquo. Per questo nelle differenti stagioni le zone della Terra sono colpite in modo differente dai raggi solari. Il sole scalda maggiormente le aree su cui i suoi raggi cadono perpendicolari, perchè sono più concentrati. Rispettivamente all’equatore e ai poli. Nelle zone in cui i raggi cadono obliqui investono una superficie maggiore e quindi il calore, distribuendosi su un’area più vasta, risulta più debole. Il Sole è sempre parallelo a un solo parallelo e tanto più ci allontaniamo da questo tanto più i suoi raggi sono obliqui. Il tropico del Cancro è il parallelo rispetto al quale il Sole si trova allo zenit (ovvero in posizione esattamente verticale) a mezzogiorno del solstizio d’estate (22 o 23 giugno), per questo nell’emisfero nord è estate, mentre nell’emisfero sud è inverno; il tropico del capricorno è il parallelo rispetto al quale il Sole si trova allo zenit a mezzogiorno dell’estate, in quello nord inverno. Le quattro stagioni sono ben differenziate climaticamente solo nelle latitudini intermedie tra il 30° e il 50° parallelo nord o sud, mentre all’equatore e ai poli esistono solo due periodi stgionali.

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Illustrazione 1-2 Incidenza raggi solari Equinozio. Incidenza raggi solari Solstizio.

Anche per questo motivo ho deciso di focalizzarmi maggiormente sul territorio europeo dove, appertenendo alla fascia nord compresa tra il 30° e il 50° parallelo, le quattro stagioni (Inverno, Primavera, Estate e Autunno) sono maggiormente differenziate tra loro rispetto al resto del territorio terrestre. Nelle nazioni europee, il percorso giornaliero del sole (così come ci appare) è un arco nel cielo meridionale (in realtà, naturalmente, è la terra che si muove). Il punto più alto del cielo sopra l’orizzonte viene raggiunto a mezzogiorno e l’altezza raggiunta dal Sole dipende dalla stagione. Più alto nel pieno dell’estate, che occupa in totale 92 giorni e va dal solstizio di Giugno (20-21) all’equinozio di Settembre (22-23). Più basso nel cuore dell’inverno che inzia indicativamente il 22 Dicembre (durante il solstizio d’inverno) e si conclude indicativamente all’equinozio primaverile (il 21 di Marzo).

Durante la progettazione è sempre indispensabile sapere dove sono collogati i punti cardinali. L’arco che il sole descrive nel cielo è percorso verso sud: il Sole sorge ad Est e tramonta ad Ovest durante la primavera e l’estate, mentre durante l’autunno e l’inverno sorge a Sud-Est e tramionta a Sud- Ovest. Quindi la parte Nord di un ipotetico edificio sarà sempre quella più in ombra. Se invece vogliamo raccogliere la massima illuminazione possibile dobbiamo posizionarci sulla parte Sud e nel caso in cui volessimo ricevere la massima concentrazione di luce solare dobbiamo

posizionarci a sud con un angolo di circa 45°, in modo tale che i raggi solari arrivino più perpendicolarmente possibile. In questa fascia del terrritorio è quindi sempre meglio avere finestre più garndi rivolte verso nord, per evitare il Sole. Le pareti verso Sud, viceversa, dovrebbero essere ben isolate termicamente e con finestre piccole, che permettono la ventilazione ma senza far entrare troppo Sole. Sarà poi del progettista la decisione finale in base alle necessitò e alle caratteristiche che vorrà far emergere nell’edificio.

Concludendo questo primo capitolo, vorrei considerare inoltre che tutto accade in funzione della luce: nel buio non succede nulla, alla luce si disegnano forme, si aprono prospettive, si definiscono sguardi. Solamente un progettista che lavora con la luce come suo primo strumento sarà in grado di plasmare lo spazio.

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Percorso del sole il 21 Giugno Polo Nord Celeste Nord Ovest 21 Dicembre Sud Est Illustrazione 3 Percorso del sole.
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NELLA STORIA DELL’ARCHITETTURA

E’ indispensabile rendersi consapevoli di come il rapporto tra la luce e spazio, essendo costantemente in divenire, sia estremamente complesso e praticamente impossibile da governare in maniera completa e definitiva. Ciò non toglie che una volta stabiliti correttamente i principi elementari di riferimento, si possa riuscire a elaborare una metodologia di lavoro che permetta di ottenere un controllo soddisfacente di tale rapporto e consenta di utilizzare la luce naturale come materiale e strumento privilegiato nella formazione dello spazio architettonico. Il rapporto tra luce e spazio è in primo luogo determinato da tre componenti: il tipo di luce naturale, le caratteristiche dell’apertura che permette il suo passaggio e la relazione visiva tra interno ed esterno. Franco Purini sottilinea come l’architetto, pensando alla luce, deve tener presente la differenza profonda tra la luce esterna, che modella il volume, e la luce interna, che dà vita agli spazi che il volume racchiude. Si tratta di due diverse modalità del comportamento cui dà luogo l’emissione luminosa. Nel primo caso la luce si dà come totalità avvolgente, come qualcosa che non è distinguibile dall’atmosfera che accoglie l’edificio, con cui essa si identifica pienamente; nel secondo si dà come energia concentrata che si rappresenta come un raggio il quale seziona un buio compatto o che produce un gioco graduale di intensità luminose che

15 03. I DIVERSI TIPI DI LUCE

trafora la costruzione penetrando dalle finestre, dalle pareti, dalle coperture, o da fenditure praticate in basso nei muri, con l’effetto di una levitazione dei pavimenti, sfiorati da una luce radente.

A fronte di una ricerca, sono arrivato alla conclusione che i principali tipi di luce naturale utilizzabili nel progetto di architettura, possono essere organizzati secondo quattro binomi:

- luce diretta/indiretta

- zenitale/laterale

- concentrata/uniforme

- incidente/radente

E’ importante sottolineare che questi binomi così organizzati non sono necesariamente alternativi tra loro, ma anzi, possono essere compresenti nel medesimo spazio. Essi infatti si formano attraverso lievi differenze che li contraddistinguono. Tutti nascono dalla luce che agisce in modo diretto o indiretto poi a seconda del tipo, posizione, dimensione, forma e numero si contraddistinguono. Esse sono infatti le caratteristiche per le quali è necessario tenere presente come queste si pongono su un piano diverso da quello del linguaggio e, di fatto, lo precedono, individuando i registri di base sui quali agire per modellare lo spazio e plasmare le superfici per mezzo della luce.

E’ poi nelle possibilità del progettista elaborare, secondo la propria sensibilità, questi principali tipi di luce

combinandoli in infiniti modi per scegliere, di volta in volta, la soluzione maggiormente appropriata e caratterizzare lo spazio achitettonico nella maniera desiderata e declinarla secondo un registro maggiormente “poetico” o più spiccatamente “tecnico”.

Possiamo anche affermare che un’apertura può avere il ruolo di una cornice che inquadra un’esatta sezione dell’ambiente esterno e salda spazio, luce e sguardo in un’unità inascindibile. Con questa descrizione non posso non fare riferimento alle parole di Le Corbusier che scrisse “l’edificio è una macchina per fare in modo che gli occhi vedano il paesaggio”. Il maestro sembra aver fatto proprio il concetto di inquadrare il paesaggio servendosi, appunto, di un fondamentale componente architettonico quale la finestra: un’apertura (Schizzi 1-2-3). Non a caso le Corbusier può essere definito, a buon ragione, il padre della finestra a nastro, elemento tecnologico innovativo. Questo esempio ci porta a sostenere che nelle mani di un architetto un’apertura, se usata con criterio, può essere un meccanismo percettivo che traduce l’idea di paesaggio come sintesi di un’immagine prodotta dalla luce. Voglio ripetere che tutto accade in funzione della luce. Al buio non succede nulla. Solo alla luce si disegnano forme, si formano prospettive e si aprono sguardi.

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Schizzi 1-2-3 Schizzi di Le Corbusier, “inquadrare il paesaggio”.

LUCE DIRETTA LUCE INDIRETTA

Il raggio luminoso colpisce una superficie senza essere precedentemente deviato.

I raggi luminosi incontrano una superficie dopo essere stati precedentemente deviati.

LUCE INCIDENTE LUCE RADENTE LUCE RIFLESSA LUCE DIFFUSA

Il raggio luminoso incontra una superficie con un angolo che varia nel corso della giornata.

Il raggio luminoso è parallelo a una superficie e genera una sfumatura morbida.

LUCE ZENITALE

Quando l’apertura è collocata sulla copertura.

I raggi luminosi, dopo essere stati deviati da una superficie liscia, rimangono paralleli tra loro.

I raggi luminosi, dopo essere stati deviati da una superficie irregolare, perdono il loro parallelismo.

LUCE LATERALE

intensità luminosa

LUCE CONCENTRATA LUCE UNIFORME

Il fascio luminoso iinveste una porzione minima dello spazio, genera un forte contrasto tra luce e ombra.

Lo spazio è illuminato in modo sostanzialmente omogeneo.

Quando lìapertura è collocata su una superficie diversa da quella del pavimento e della copertura.

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La luce diretta/indiretta

Tutto parte da qui, la luce può essere diretta o indiretta. Da qui, a seconda di altri fattori, che poi analizzeremo nel dettaglio, può prendere e far prendere diverse caratteristiche. Franco Purini scrisse che la luce può essere diretta o indiretta. Chi si aggira in un edificio può vedere la fonte luminosa o trovarsi immerso in un chiarore omogeneo la cui origine nascosta, come nelle camere di luce barocche. L’architetto considerando simbolicamente lo spazio un “grembo” considera quella luce che penetra con un raggio visibile da una finestra o da un lucernario, separando ciò che è reso visibile da ciò che rimane in penombra, come una luce “maschile” che feconda l’intorno con decisione, attraverso un’energia concentrata che accende pavimenti e pareti di vivi bagliori; al contrario considera una luce “femminile” la luce che si versa come un liquido nello spazio, colmandolo fin nei più riposti interstizi. Partendo da questa considerazione, noi, possiamo considerare quella luce chiamata “maschile” come la luce diretta (Schemi 1-2), mentre la luce “femminile” come la luce indiretta (Schemi 3-4).

Essa prende il nome di diretta quando il raggio luminoso colpisce una superficie senza essere stato precedentemente deviato. In questo caso il raggio genera ombre nette con contrasti decisi che tendono a caratterizzare uno spazio dinamico, nel quale l’intensità

della luce naturale subisce sensibili variazioni nel corso della giornata rendendo visibile lo scorrere del tempo. L’angolo di incidenza del raggio luminoso con una superficie determina diverse sottocategorie di luce diretta. Quando il raggio luminoso incontra una superficie con un angolo che varia nel corso della giornata, generando ombre nette e contrasti decisi, si ha luce “incidente”. Mentre, solo in un preciso momento della giornata, in virtù del tipo e della posizione dell’apertura, quando il ragggio luminoso è parallelo, o quasi, alla superficie illuminata si genera un effetto di luce “radente”. La condizione necessaria per ottenere la luce radente è quella di posizionare l’apertura con almeno un lato accostato a una superficie.

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Scanned with CamScanner Scanned with CamScanner
Schemi 1-2 Pianta e sezione luce diretta.

La luce prende il nome di indiretta (Schemi 3-4) quando i raggi luminosi incontrano una superficie dopo essere stati precedentemente deviati, perdendo parte della sua intensità. Ve ne sono di due tipi: “Riflessa”, quando i raggi luminosi sono deviati da una superficie liscia, come il vetro, rimanendo paralleli tra loro generando condizioni analoghe a quelle della luce diretta. “Diffusa”, quando sono deviati da una superficie irregolare come un muro o il cielo nuvoloso, perdendo il loro parallelismo generando ombre sfumate con contrasti tenui che tendono a caratterizzare uno spazio statico con modeste variazioni d’intensità di luce nel corso della giornata. In virtù del tipo e della posizione dell’apertura, genera anch’essa luce radente piuttosto costante nel corso della giornata. La condizione necessaria per ottenere luce radente è quella di posizionare l’apertura con almeno un lato accostato a una superficie. L’apertura, oltre a determinare il passaggio della luce, può anche regolare quello dello sguardo. Non è detto che un’apertura che permette l’ingresso della luce, rendendo visibile lo scorrere del tempo, stabilisce sempre al contempo un rapporto visivo tra interno ed esterno. Nel caso del tipo di luce indiretta, anche osservando lo Schema 4, ci accorgiamo che se i raggi luminosi sono deviati da una superfice irregolare come un muro o una copertura, perderndo il loro parallelismo,

nel caso di luce indiretta diffusa, l’apertura può negare lo sguardo e la relazione con l’esterno, determinando una spazialità introversa, statica, astratta. Troviamo questa particolare caratteristica, che ci tengo a sottolineare non deve essere vista per forza come negativa, con luce indiretta riflessa. Particolari e suggestivi esempi sono le chiese, i luoghi di culto. All’interno dei quali si cerca una spazialità introversa, quasi mistica in cui la luce serve principalmente per illuminare l’ambiente in modo tale da portare l’uomo nella sua spiritualità, sradicarlo dal mondo “reale” e permettergli di connettersi spiritualmente in modo più semplice ed efficace.

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Scanned with CamScanner Schemi 3-4 Pianta e sezione luce indiretta. Scanned with CamScanner

La luce zenitale

La luce è un elemento determinante dell’architettura. Le Corbusier disse: “L’architettura è il gioco sapiente dei volumi sotto la luce” e con ciò situava l’architettura sotto la volta celeste e nel campo ambientale facendo della luce il fattore generativo dei volumi, di quei volumi elementari che per l’architetto erano costitutivi dell’architettura. La luce diretta e indiretta possono convivere insieme e anzi è utile rilevare che in presenza di luce diretta abbiamo sempre una componente di luce indiretta. Anche la luce zenitale e la luce laterale possono essere entrambe presenti. Scegliere da dove far entrare la luce in uno spazio è passaggio delicato quanto determinante, che orienta e caratterizza. La luce viene detta “zenitale” (Schemi 5-6) quando l’apertura in cui si è scelto di far entrare la luce è collocata sulla copertura. La luce zenitale genera una maggiore intensità luminosa rispetto alla luce laterale. Il rapporto tra luce e ombra è cruciale per gestire con attenzione l’equilibrio luminoso. Questo rapporto può essere variabile all’interno di un singolo spazio e può essere uno degli strumenti a nostra disposizione per orientarlo: può essere impostato per ottenere una certa uniformità o può essere invece impostato sulla differenziazione tra zone con maggiore luminosità e zone maggiormente in ombra. Le strutture che possiamo assumere a simbolo di questa nuova sensibilità spaziale sono gli spazi con apertuna

a cupola caratterizzati da aperture circolari zenitali. Queste strutture erano inizialmente impiegate come Laconicum, sale per la traspirazione del corpo, in cui il foro zenitale aveva funzione termodinamica più che illuminotecnica. Un esempio può essere ritrovato nella grande stazione termale di Baia, vicino a Napoli, in cui vi è il Tempio di Mercurio (Imm. 1), una grande sala circolare con cupola emisferica e oculo. Nell’età di Nerone questa struttura spaziale diviene parte integrante del linguaggio architettonico romano anche per altre tipologie di ambienti. Un primo straordinario esempio è la Domus Aurea (Imm. 2). All’ingresso della residenza dell’imperatore, complesso palatino, vi era una colossale statua di Nerone, raffigurato come Dio del sole, che accoglie ogni visitatore; un’associazione, quella tra l’imperatore e luce, che costituisce l’elemento generativo dell’intero complesso. L’esterno dell’edificio è un semplice contenitore delle facciate rettilinee mentre l’interno, per nulla preannunciato dalle strutture perimetrali, è una concezione spaziale inedita, centrata sulla grande sala ottagonale. Si tratta di una sala da pranzo (coenatio) a cupola semisferica di 14 metri di diametro, munita di oculus. Questo spazio ad illuminazione zenitali è circondato da un corridoio periferico che dà su una serie di stanze comunicanti.

Il nome del palazzo neroniano (Domus Aurea) deriva dalla profusione di decori dorati che coprivano i muri delle

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Immagine 1 Tempio di Mercurio Baia, Napoli. 40 a.C Scanned with CamScanner Schemi 5-6 Piante e sezione luce zenitale.

sale, invece delle pareti rosse e nere, comuni a Pompei e a Ercolano, egli preferì ricorrere a tinte luminose, a materiali e dettagli riflettenti, in particolare all’oro, simbolo solare. E’ necessario considerare che le infinite possibilità a nostra disposizione, comunque oscillano tra due estremi, due sottocategorie della luce zenitale: la luce “concentrata”, questo tipo di luce è spesso affiancata al tipo di apertura a “bucatura”, ovvero un’aperura che si caratterizza per non avere nessun lato coincidente con uno o più lati della superficie su cui è praticata. È proprio sotto Adriano (117-138 d.C), imperatore ed architetto, che trovano conclusione le sperimentazioni avviate al tempo di Nerone, giungendo al maestoso inviluppo spaziale circolare di luce concentrata del Pantheon (Imm.3): in questo grande tempio dinastico tutto sembra prendere origine e forma dalla luce. Esso presenta un portico ottastilo che precede un’enorme rotonda cieca, illuminata solamente da un oculus sommitale. Un santuario strutturato secondo i sistemi costruttivi di uno spazio termale: un’ampia sala rotonda, i cui muri cilindrici sostengono una colossale cupola del diametro interno di 43,6 metri; una dimensione che resterà insuperata per tutta l’antichità. L’oculus circolare alla sommità della cupola, larga 9 metri, è completamente aperta e costituisce, con la porta d’ingresso, l’unica vera fonte di luce della grande aula. Lascia entrare anche la pioggia,

che si raccoglie al centro del pavimento e scola attraverso un canale sotterraneo. Dall’alto dell’apertura circolare la luce penetra verticalmente nell’aula, massimizzando quindi l’effetto in proporzione alle dimensioni dell’apertura. Una luce zenitale scende sui risalti dei cassettoni, sulla cornice dell’attico, pioggia sulle membrature della trabeazione, sulle scanalature delle colonne, fino a fermarsi sul pavimento. Varia con l’ora e con la stagione, segna il passare del tempo e contemporaneamente, com’è per ogni luce zenitale, sembra indipendente dal tempo. Nelle tarde mattinate d’estate un cilindro di luce batte sul pavimento. Lo spazio è agitato dal contrasto tra la massima illuminazione di un punto e l’ombra dell’intorno. Nelle giornate d’inverno, una luce diffusa schiarisce le membrature architettoniche. Al centro della cupola il disco luminoso cambia continuamente la sua intensità. Ai tempi di Adriano l’anello di bronzo dorato doveva brillare grazie ai raggi solari così come altre decorazioni in bronzo dorato aggiungevano splendore allo spettacolo della luce, forse allestimenti, di cui si può intuire l’esistenza considerando l’accessibilità dell’oculo (tramite le quattro scalinate ricavate all’estradosso della cupola) e la presenza di anelli sul bordo inferiore, creavano singolari effetti. Il Pantheon è un’architettura solare. Non è concepito per il piacere del vedere, anzi si pone come negazione stessa dell’esterno,

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Immagine 2 Interno della Domus Aurea. Severo e Celeste, Roma. 64-68 d.C Disegni 1-2 Pianta e sezione prospettica della Domus Aurea. Severo e Celeste, Roma. 64-68 d.C

ma è pensato unicamente per consentire l’ingresso alla luce nella forma più diretta e massima: quella zenitale. Come avviene nella Domus Aurea, anche qui l’apertura alla luce zenitale diviene elemento su cui organizzare il tentativo di rappresentazione dell’immagine dell’universo e del movimento celeste. Nella grande aula le sette absidi sono consacrate alle sette divinità astrali (cinque pianeti e due luminari) mentre la cupola rappresenta la volta celeste. I cinque livelli di cassettoni del soffitto simbolizzano le cinque sfere omocentriche del sistema planetario antico e l’oculus centrale rappresenta invece il sole, che domina tutto lo spazio. La presenza umana all’interno di questo spazio riceve una nuova collocazione: subordinato alla maestosa e non precisamente afferrabile struttura, l’occhio non trova un punto d’appoggio e riceve un continuo impulso dinamico. “Se il nuovo sindaco di Roma, per non far entrare la pioggia e il freddo nel Pantheon, decidesse di chiudere l’oculo di quasi nove metri di diametro che lo corona, accadrebbero molte cose... o finirebbero di accadere. La sua struttura non cambierebbe. Né la sua perfetta composizione. Né smetterebbe di essere possibile la sua universale funzione. Né il suo contesto, la Roma antica, se ne accorgerebbe (per lo meno la prima notte). Solo che il più bell’inganno che l’essere umano ha giocato alla LUCE del Sole tutti i giorni, in cui proprio il Sole tutti i giorni torna a splen

dere gioiosamente, sarebbe stato eliminato. Il Sole romperebbe in un pianto, e con lui l’Architettura (poichè sono qualcosa di più di semplici amici).”

Alberto Campo Baeza scrisse queste parole nel suo libro “L’idea costruita” in risposta alla domanda di come potrebbe essere distrutta l’Architettura: Sine luce nulla. Nulla, nessuna architettura è possibile senza luce. Senza lei mancherebbe il materiale imprescindibile. Questi oculi, questi fori che catturano la luce creando architetture straordinarie sono creati da “tagli di una pietra”, taglio di un solido. Da qui la parola Stereotomia. Ovvero l’insieme di tecniche tradizionali e conoscenze geometriche relative alla tracciatura del taglio dei conci di pietra, del loro assemblaggio e impiego. Un’architettura stereotomica è un’architettura in cui la gravità si trasmette in maniera continua, in un sistema strutturale continuo, dove la continuità costruttiva è completa. “E’ l’arhitettura massiccia, pesante. E’ l’arhichitettura delle caverne.” parole del maestro Alberto Campo Baeza. Nel non lontano 2008 venne inaugurato a Cascais, località marittima in Portogallo nei pressi della città di Lisboa la Casa Das Històrias Paula Rego museum (Imm. 4-5). Paula Rego è una delle pittrici più importanti della contemporaneità portoghese e ha incaricato Eduardo Souto de Moura per la realizzazione del museo dedicato alle sue opere. Il Paula

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Immagine 3 Interno del Pantheon. Adriano. Roma. 121-140 d.C Disegni 3-4 Pianta e sezione del Pantheon. Adriano. Roma. 121-140 d.C

Rego museum, composto da quattro ali di varie altezze e dimensioni realizzate in cemento rosso verniciato, si trova al centro di un terreno di nove mila metri quadri caratterizzato da un bosco e da una cinta muraria preesistenti che sono stati incorporati nel progetto come elementi fondamentali. La caratteristica principale del progetto è il disegno delle due coperture a piramide che forniscono una reinterpretazione moderna delle classiche forme portoghesi e dell’oculus delle architetture romane precedentemente descritte. Queste coperture oltre a rendere l’edificio riconoscibile come una cattedrale catturano anche la luce dando un effetto unico all’interno delle strutture. L’edificio è suddiviso in stanze che si susseguono l’una nell’altra che sono disposte intorno alla sala centrale che ospita le mostre temporanee. L’interno, di circa 750 metri quadrati, ha tonalità neutre e una pavimentazione in marmo grigio - blu tipico di Cascais. L’edificio ospita all’interno esposizioni permanenti e temporanee, una caffetteria, una libreria e un auditorium da 200 posti. La semplicità che Souto De Moura utilizza in quest’opera è rivoluzionaria. E’ capacità di gestire il passato senza paura, un vuoto che serve a rendere evidente il pieno e a mostrarcelo come cechi che riprendono la vista. Luce. Un’architettura dell’assenza come sospensione, attimo, che è capacità di evolversi, che continua a dire cose, a

dare significati, un’architettura vivente che trasmette un senso assoluto di libertà, di bellezza nel giusto livello, “nè alto nè basso”, che si manifesta in molte opere con diverse tipologie, là dove l’architetto portoghese stravolge i preconcetti, si assume il coraggio della scelta, è forza, violenza creatrice come nuova forza vitale, una crisi, una rottura che ricuce con loro, un ritornare all’inizio per andare avanti. Così il museo diventa città, e viceversa, un’Architettura semplice per essere accolta, capita, amata e vissuta. La bucatura, per sua natura, non può generare luce radente, fatta eccezione per due casi particolari in cui è collocata in posizione laterale angolare. Quando l’apertura è collocata in posizione baricentrica rispetto alla superficie su cui è praticata, come in questi casi, viene detta centrale (Schemi 5-6). Mentre una bucatura laterale si definisce angolare quando è collocata sull’angolo della superficie su cui è praticata e genera luce radente sulle superfici alle quali è accostata (Schemi 7-8). Esempio di questa tipologia di luce è la Piscina Mirabilis (Imm. 6 ). Si tratta della più grande cisterna nota mai costruita dagli antichi romani, ed aveva la funzione di approvvigionare di acqua le numerose navi della Marina militare romana, che trovava ormeggio e ricovero nel porto di Miseno. La cisterna venne interamente scavata nel tufo della collina prospiciente il porto, ad 8 metri sul livello del mare. E’ alta

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Immagine 4-5 Casa Das Historias, Paula Rego museum. Eduardo Souto de Moura, Cascais, Portogallo. 2008

Schemi 7-8

Pianta e sezione luce zenitale.

Luce concentrata con tipo di apertura a bucatura.

Immagine 6

Piscina Mirabilis. Bacoli (Napoli), Italia. 27 a.C - 14

15 metri e presenta una pianta rettangolare lunga 70 e larga 25 metri, con una capacità di oltre 12.000 metri cubi. È sormontata da un soffitto con volte a botte, trova una piscina limaria di 20 metri per 5, profonda 1.10 metri, che veniva utilizzata come vasca di decantazione e di scarico per la pulizia e lo svuotamento periodico della cisterna. La Piscina Mirabilis costituiva il serbatoio terminale dell’acquedotto augusteo, uno dei principali acquedotti romani, che portava l’acqua dalle sorgenti di Serino, a 100 chilometri di distanza, fino a Napoli e ai Campi Flegrei. Pur essendo un semplice serbatoio d’acqua la luce in questo luogo è protagonista assoluta. Essa riverbera in maniera multiforme in questa cattedrale laica. Si snoda attraverso cinque navate dove quattro file di dodici pilastri cruciformi puntellano una miriade di volte a botte. Attraversando la struttura, svuotata dall’elemento per la quale era stata costruita, si viene inondati dalla luce che filtra a tratti dagli squarci aperti sulla sommità della costruzione. E’ proprio per questo motivo che appariva “mirabilis” agli occhi dei viaggiatori. Quando il fascio luminoso investe una porzione minima dello spazio può generare un forte contrasto fra luce e ombra che orienta con decisione lo spazio verso la parte illuminata come in questo caso. Non è detto però che la luce zenitale genera sempre un forte contrasto

all’interno della struttura, anzi, un emblematico esempio può essere la luce nel quattrocento dove, nella sua incommensurabilità, non diviene direttamente parte della raffigurazione prospettica ma per l’architetto del quattrocento la luce doveva adattarsi al nuovo concetto di ordine e al carattere ideale dello spazio rinascimentale, divenendo elemento “neutro” e uniformemente distribuito all’interno degli ambienti. Nel rinascimento si ha coscienza, per la prima volta, di un atto ideale di progettazione da cui dipendono tutte le operazioni architettoniche: il disegno o, più precisamente, la prospettiva. Nella prospettiva il soggetto simula se stesso, trasformandolo in punti di vista, ed il mondo attraverso la definizione delle regole geometriche ed ottiche che sottendono alla percezione. “Ciò che motiva, dapprincipio, l’uomo del rinascimento è l’interesse teorico verso una dottrina della luce, prima forma corporea degli esseri, e principio primo dei loro movimenti, emanante da essi come una energia vitale, una virtù. L’ottica darà dunque la chiave di una conoscenza globale della creazione. Ma, contemplando i raggi rettilinei che se ne propagano, essa è collegata alla geometria euclidea. Quindi un’idea “realistica” della percezione vieta di distinguere tra la visione dell’oggetto e la sua rappresentazione: ciò che ho visto è ciò che coincide con ciò che esiste” citando Zumtor, 1995. Definendo ed accettando questa univo

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d.C.

ca metodologia di rappresentazione della realtà si accetta implicitamente la priorità dei caratteri geometrici rispetto a tutti gli altri. Da qui si fonderà la futura interpretazione, puramente quantitativa, della realtà sensibile. La trasfigurazione del mondo tridimensionale nel progetto prospettico, infatti non può che passare attraverso l’analisi, esclusiva, di ciò che può essere misurato, riprodotto, quantificato; tutto quello che è altro (ovvero immateriale, dinamico o sconosciuto) deve essere escluso da questo nuovo mondo virtuale che l’uomo rinascimentale va costruendo perché irriproducibile secondo i canoni geometrici cui l’umanesimo si affida per governare il mondo. La Cupola del Duomo di Firenze, Santa Maria del Fiore (Imm.7-8) dell’architetto Filippo Brunelleschi è un valido esempio per esemplificare tutto quello che è stato detto. Dopo che la chiesa era rimasta incompiuta per l’impossibilità, almeno apparente, di costruire una copertura che fosse in grado di coprire i 52 m dell’apertura, Brunelleschi iniziò a pensare seriamente al problema del Duomo, essendosi reso conto della fama immortale che attendeva chi lo avesse risolto. La soluzione da lui pensata prese forma combinando i principi costruttivi delle cupole romane, e le nozioni desunte da uno studio approfondito dell’unica costruzione pervenuta intatta dall’epoca classica, il Pantheon, con le conoscenze derivanti dall’edilizia gotica:

un enorme struttura a sesto rialzato organizzata su 24 costoloni (8 principali e 16 secondari) e una doppia copertura (al fine di ridurre il peso proprio complessivo) che trova la sua conclusione con una lanterna a forma di tempio classico a pianta centrale (sigillo architettonico dell’impresa e simbolo della capacità dell’uomo di dominare la tecnica). È proprio sulla lanterna, posta a completamento della cupola, che è interessante soffermarci. Nel descriverla Argan la definisce “interpretazione di tutto il precedente lavoro sulla cupola. Essa ha due scopi: uno statico ed uno figurativo. Anche vista dall’interno la lanterna ha sia la funzione di trasmissione della luce dalla cupola e quello di punto di convergenza delle linee prospettiche.” citando Borsi, 1989. La lanterna può quindi essere definito uno strumento ottico in quanto rappresentazione di molteplici funzioni e scopi tra cui, quello più interessante all’interno del nostro studio, è quello di far penetrare i raggi del sole. Uno dei limiti principali del pensiero rinascimentale è che si pensava che tutto il mondo potesse trovare forma, ordine e misura. Questo limite si configura nell’assenza, quasi totale del rapporto con la luce e con l’intera sfera del sensibile. Quando, invece, lo spazio è illuminato in modo sostanzialmente omogeneo e, l’equilibrio luminoso che lo caratterizza, non determina un orientamento privilegiato la luce viene detta “uniforme” (Schemi 9-10).

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Immagine 7-8 Lucernario Sanata Maria del Fiore Filippo Brunelleschi. Firenze. 1420-1436.

Immagine 9

Galleria espositiva.

In quest’ultimo caso è possibile l’uso di un’intera superficie trasparente in luogo di una opaca, che genera luce radente su tutte le superfici a cui è accostata. Questo tipo di apertura è definita superficie. Un esempio degno di nota di questa tipologia è quello che successe durante la rivoluzione industriale con l’utilizzo del vetro. Intorno al 1760, fino al 1830 l’architetura venne considerata come un fatto di coordinazione e di sintesi, viene dissociata nei suoi elementi per opera dei cambiamenti in corso nella metà del ‘700; trasformazione questa definita dallo spirito di ricerca analitico e dalla fiducia esistente sull’organizzazione naturale, possibile di tutti gli elementi. Gli ingegneri facendo progredire i futuri usi del movimento moderno, pongono sugli stessi mezzi una pesante ipoteca culturale, legando le abitudini costrututtive a corrispondenze con gli stili passati ed associandovi una completa indifferenza per una qualificazione formale. Questo panorama delle mirabolanti e decisive scoperte scientifiche e tecnologiche verificatesi negli anni a cavallo del XIX secolo in Gran Bretagna e sul Continente lascia indubbiamente ancora oggi sbalorditi e giustifica l’ingenuo entusiasmo dei comportamenti sulle “magnifiche sorti di continuo progresso” che sembrava allora dischiudersi per l’intera umanità. Alla luce del diluvio di scoperte e di invenzioni che

caratterizzarono, in ogni campo della scienza, questo periodo non stupisce avvertire in quegli anni un atteggiamento più incline all’indagine ed alla misurazione del mondo fenomenico, al dominio conoscitivo delle sue leggi segrete ed all’imbrigliamento delle sue latenti, enormi energie, che non alle elucubrazioni filosofiche sui problemi del trascendente ed alle estasi mistiche in ossequio ad un Dio (che un pragmatismo ed un positivismo di fondo si avviavano a relegare nel retaggio delle passate superstizioni). Sia il ferro che il vetro usati artigianalmente da tanto tempo nell’architettura, solo ora con le applicazioni industriali intervengono con concetti completamente nuovi; il vetro poi vincolato finora a misure limitato riesce a raggiungere nel 1800 2,50x1,70m, per cui il suo uso nei serramenti si incrementa velocemnete e vengono affrontate applicazioni più impegnative associandolo al ferro per ottenere coperture e pareti che lascino passare la luce, specialmente per edifici pubblici, quali Gallerie, Serre e Stazioni ferroviarie: tipologie che, pur nelle differenti connotazioni funzionali, diventano templi dedicati al culto della luce. Il rapporto tra architettura e contesto cerca di articolarsi, gradualizzarsi, proprio in funzione della configurazione assunta sul piano costruttivo della linea di confine, dal limite, tra interno ed esterno. Il requisito della trasparenza conferito a quest’ultimo potrà allora essere

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Scanned with CamScanner Schemi 9-10 Pianta e sezione luce uniforme. Luce radente su un’intera superficie.

Immagini 10-11

Cristal Palace.

Sistema ridge-and-furrow. Joseph Paxton.

Londra, Inghilterra. 1851.

Disegno 5

Cristal Palace.

Sezione storica. Joseph Paxton.

Londra, Inghilterra. 1851.

interpretato come tendenza dell’involucro ad una condizione di permeabilità nei confronti della luce, della vista, e al tempo stesso filtro rispetto ai fattori climatici che inevitabilmente entrano in gioco. E’ dunque l’epoca del culto della luce nei palazzi di cristallo, nel “plen air” della fotografia, è l’epoca che si chiuderà con Edison. L’epoca in cui, in modo quasi impercettibile, l’ambiguità sembra spostarsi dalla proprietà della trasparenza verso un percorso di ricerca progettuale, una ricerca verso la luce di chi ha perso un contatto stretto con il lato misterioso della luce stessa e si rapporta e ne analizza solo le caratteristiche e le valenze spettrali. In un panorama generale così configurato, non vi è alcun dubbio come la priorità assegnata alla funzione, al materiale e alla tecnica fosse motivo, seppur sofferto e contrastato, di ridefinizione della forma architettonica. Tutte queste esperienze sono riassunte nel palazzo di cristallo di Joseph Paxton (Imm.10-11). L’architetto fu uno dei pioneri della costruzione in ferro e vetro in molte serre e, fra l’altro fu il primo a sperimentare il sistema di copertura ridge-and-furrow o a denti di sega: una struttura articolata secondo una successione di sezioni a doppia falda in lastre di vetro che hanno così la caratteristica di trovarsi nella posizione adatta per modulare l’ingresso dei raggi solari. La copertura risultava infatti obliqua rispetto ai raggi solari di maggiore intensità provenienti da punti

centrali del percorso solare, riducendone l’afflusso all’interno dell’ambiente grazie al fenomeno di riflessione, mentre si ponevano quasi perpendicolari rispetto ai raggi più deboli nel resto della giornata minimizzando la dispersione. All’interno di questo edificio vi è un impressione di irrealtà e di spazio indefinito che è dovuta, più che al vetro, alla piccolezza degli ele menti architettonici se rapportati alle dimensioni generali e all’impossibilità di abbracciare tutto l’edificio con un unico sguardo. Attraverso la scansione ripetuta all’infinito di un motivo semplice, si ha l’idea che lo spazio divenga mutabile a seconda delle merci esposte e dall’afflusso dei visitatori. Le serre e le gallerie per artisti, seppur agli opposti dal punto di vista funzionale, furono legati da una grossa e comune esigenza, quella di far penetrare il maggior quantitativo di luce naturale all’interno delle costruzioni, oltre che da una forte analogia dal punto di vista costruttivo. Per tutta la seconda metà dell’800 gli studi di pittori e dei fotografi sorsero e vennero a perfezionarsi come un sistema di illuminazione naturale, realizzato all’ultimo piano degli edifici e strutturato con uno spazio esclusivamente delimitato da esilissime strutture metalliche e da vetrate che, ancor più che nelle serre, dovevano ridurre al minimo le ombre prodotte. Stabilita un’ubicazione abbondantemente esposta e un tamponamento decisamente permeabile

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alla luce, negli studi che in quell’epoca erano numerosissimi in tutta Europa, si trattava di risolvere il problema del tipo di illuminazione naturale da far filtrare all’interno dello spazio sul soggetto in posa: se ne collaudarono vari, ma si giunse a preferire in modo assoluto l’illuminazione diffusa. Questa, in particolare, venne ottenuta in due modi differenti: o esponendo la vetrata a nord (ricordando però che dall’orientamento dipende anche la colorazione della luce) oppure trasformando la luce solare diretta in luce indiretta diffusa mediante lastre di vetro opaco. Il flusso luminoso che invadeva lo spazio era poi dosabile e indirizzabile secondo le differenti necessità facendo semplicemente uso di tende in stoffa posizionate all’interno della struttura. La combinazione del ferro e del vetro divenne espressione di dinamismo e nuova magnificenza, trovando massima rappresentazione nei manufatti simbolo delle esposizioni universali: i grandi padiglioni espositivi. La tecnica costruttiva progredendo sorprese il mondo nella seconda Esposizione Universale del 1889 con la famosa Torre Eiffel. Associata alla nuova società ottocentesca ed ai suoi valori fondanti, la combinazione di ferro e vetro divenne espressione di dinamismo e nuova magnificienza, trovando massima rappresentazione nei manufatti simbolo delle esposizioni universali: i grandi padiglioni espositivi. La possibilità di creare coperture trasparenti, quasi immateriali, diede gli elementi

necessari per generare anche nuove realtà, del tutto innovative nella storia dell’architettura: spazi intermedi tra interni ed esterni. In sommità di gallerie, passaggi e cortili vennero infatti realizzate strutture leggere trasparenti che trasformano questi spazi mantenendo inalterato il rapporto con la luce naturale proveniente dall’alto ma proteggendoli al tempo stesso dalle interperie. Si tratta di spazi definiti dalle coperture, non più dal contorno. Le pareti laterali dello spazio si svuotano essendo, sopratutto per gallerie e passages, pareti o facciate di edifici con cui questi nuovi spazi confinano. Da semplici spazi pubblici all’aperto essi divengono luogo d’incontro e di relazione, nuovo simbolo della città, nuovo spazio della socialità, spazi sufficientemente riparati e raccolti per essere vissuti come l’estensione di uno spazio privato, dell’interierur borghese. Dal punto di vista costruttivo le coperture vetrate di questi spazi furono la semplice riproposizione delle tecniche già sviluppate nelle serre, ma assolutamente innovativo fu la possibilità, che per la prima volta veniva data all’uomo, di godere di uno spazio aperto controllato. Questa nuova possibilità di far penetrare la luce naturale nella sua forma più ampia e diretta, cioè zenitalmente, divenne subito parte integrante del nuovo modus operandi degli architetti. Un’altra tipologia di apertura zenitale degna di nota è il taglio.

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Immagini 12-13-14 Vedute interne della Galleria delle Macchine. Esposizione Universale, Parigi, 1889.

Essa è un’apertura che connette due superfici opposte e contigue tra loro, indipendentemente dalla sua forma e dimensione. Il taglio (Schema 12) genera sempre luce radente su due superfici se collocata sulla copertura ed ha la particolarità di poter essere considerata concentrata, se la dimensione del taglio è molto ridotta, mentre può essere considerata uniforme se il suo taglio è di dimensioni più grandi. Una successione di aperture di questo tipo, se opportunamente scandita, (Schemi 11-12) può dar vita a un ritmo. Cioè un alternarsi di luce e ombra organizzato in una sequenza dinamica, più o meno regolare. Un esempio molto emblematico di questo ritmo la si può osservare nell’Antro della Sibilla (Imm. 15). E’ una galleria artificiale di epoca greco-romana, rinvenuta a seguito degli scavi archeologici dell’antica città di Cuma: viene identificato come il luogo all’interno del quale la Sibilla Cumana operava e divulgava i suoi oracoli. La data di costruzione è molto incerta, si presume che la sua realizzazione risalga intorno al VII - VI secolo a.C come testimoniato dal taglio della pietra tufacea a forma trapezoidale. L’antro, crollato nella parte iniziale, è interamente scavato nel tufo ed ha un andamento perfettamente rettilineo, anche se tende a scendere verso la parte terminale: ha una forma trapezoidale nella parte superiore, stratagemma antisismico utilizzato dai greci, e rettangolare in

quella inferiore, frutto dell’abbassamento del piano di calpestio durante il periodo augusteo. L’intera struttura è lunga centotrentuno metri, alta cinque e larga due e mezzo. Lungo la parete ovest, ad intervalli regolari, con la stessa forma dell’antro, furono realizzate dai romani nove aperture, di cui tre murate, con lo scopo di illuminare l’ambiente, per permettere il ricambio dell’aria e raggiungere il terrazzamento sul quale erano posizionate le macchine da guerra. Il fascio luminoso che passa attraverso queste aperture crea un ritmo regolare della luce all’interno della struttura. Nella parete est si apre una stanza che dà accesso a sua volta a tre ambienti, con pavimento ribassato, utilizzati come cisterne e poi come luogo di sepoltura, così come tutto il resto della struttura. L’antro termina con una sala con volta piatta, nella quale si aprono tre nicchie: quella sul lato est serve per illuminare l’ambiente, quella sul lato sud è a fondo cieco e quella sul lato ovest ha le dimensioni di un cubicolo, con forma tripartita e preceduta da un vestibolo probabilmente protetto da un cancello di cui si notano ancora i fori degli stipiti nella parete e secondo la tradizione sarebbe proprio questa la stanza dove risiedeva la Sibilla, anche se la sua costruzione risale probabilmente all’età tardo imperiale. Il ritmo che si ottiene in un’architettura può caratterizzare e direzionare fortemente lo spazio. Un ritmo di luce e

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Schemi 11-12 Esempi di superfici a Trama. Immagine 15 Antro della Sibilla. Pozzuoli (Napoli), Italia. VII - XIII secolo a.C.

Immagine 16

ombra può essere ottenuto con una sequenza di aperture o di elementi come setti murari, pilastri e colonne. Quando invece una superficie è completamente traforata rappresenta un particolare dispositivo per regolare la luce naturale. Le infinite combinazioni di numero, forma e dimensione delle aperture che lo compongono, possono generare infinite trame (Schemi 13-14). Il numero delle aperture è un fattore di centrale importanza per determinare, oltre all’intensità luminosa desiderata, anche il carattere dello spazio, ed è principalmente da stabilire in relazione a: dimensione e forma dello spazio; dimensione e posizione delle aperture; orientamento e equilibri luminosi che vogliamo ottenere. La forma di un’apertura, prima ancora di caratterizzare il linguaggio di un’architettura, è determinante per qualificare uno spazio per mezzo della luce naturale. E’ necessario stabilire un preciso rapporto tra la geometria dell’apertura e la forma dello spazio, in modo da conferire allo spazio il carattere desiderato e porlo nella relazione desiderata con la luce. “Con l’arte barocca si rinnova la morfologia per nessi continui ed invenzioni cinetiche, che agganciano nuovi suggerimenti della percezione intesa in maniera più aperta e comunicativa, stimolandola fisiologicamenete”. La materia è intesa (in un taglio netto col passato) come energia pulsante resa viva dalla luce e dalla natura; per cui non è di stucchi, di capitelli, di affreschi

o sculture che si deve parlare, ma di idee legate ad un rapporto ideologico con il mondo a cui il barocco crede; lo stesso rifacimento della natura, perseguito nei grandi parchi e nelle fontane, alla quale l’uomo da allora non ha cessato di lavorare, trova nell’arte barocca le sue forme e spontanee realizzazioni a possedere la natura e la vita. In questo perido attraverso l’uso della luce naturale si ricercano spettacoli totalizzanti e nuove spazialità. Le caratteristiche che resero significativo il barocco furono gli effetti chiaroscurali e scenografici, l’accentuata tridimensionalità delle forme presa dal rinascimento in modo da creare effetti spaziali dinamici che implicavano una struttura più aperta e un controllo più fantasioso della luce. La luce divenne fondamentale. La luce laterale, che proviene da una fonte nascosta, la luce radente dall’alto, talvolta con effetti illusionistici, quella riflessa dalle camere di luce (cellule spaziali destinate ad incanalare la luce in una data direzione o a ridiffonderne il flusso attraverso una serie di riflessioni) che ne variano intensità, qualità e direzione; e ancora lo sfondo abbagliante, la duplice struttura con la calotta esterna illuminata e quella interna forata a rappresentare la volta celeste, la luce materializzata che buca la struttura (i cosiddetti condotti di luce), quella incidente filtrata dalle vetrate con effetti scenografici e trasfiguranti, le fonti luminose situate in

Italia.1645-1652

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Schemi 13-14 Esempi combinazione di Forma. Cappella Cornaro di Santa Maria della Vittoria. Estasi di Santa Teresa. Roma,

basso, per intensificare la diffusione della luce e accentuare la non-struttura delle pareti: tutto diviene mezzo per aggiungere alla fruizione sensibile dell’architettura anche i termini di meraviglia, stupore e incanto. I migliori architetti adottarono la luce come tema centrale delle loro operazioni. Fu l’architetto Gian Lorenzo Bernini che espresse a pieno lo stile barocco. Insieme a Borromini inventarono nuove maniere di adoperare la luce. Nell’invenzione quasi diabolica di Bernini con la sua “luce alla Bernini” si nascondeva la provenienza della fonte di luce in maniera che quello spazio, misteriosamente, si inondava di luce divina. Con questa definizione si voleva intendere una luce indiretta rispetto all’osservatore ma diretta e radente rispetto all’oggetto colpito; una contrapposizione tra una luce diffusa, omogenea, che illuminava e rischiarava lo spazio e una luce diretta, la cui fonte è occultata agli occhi dello spettatore, precisamente gettata su di un oggetto, membro architettonico, per metterlo in evidenza, per dargli una importanza maggiore, per attribuire una gerarchia di significati. Per ottenere questo risultato, millimetro per millimetro, controllava con precisione matematica l’operazione, le sue dimensioni e l’orientamento. La sua genialità scaturiva dalla sua precisione! Così, la luce direzionata verticalmente nello spazio, diviene protagonista creando una tensione generatrice di un effetto architettonico

di altissima qualità. Esempi emblematici per raccontare di questa sapienza nel trattare la luce sono la Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria (Imm. 16) e la chiesa di Sant’Andrea al Quirinale (Imm. 17-18). Nel primo caso il sistema di illuminazione è del tutto differente da ogni suo precedente. La luce naturale entra da finestre verticali praticate nel rivestimento esterno della nicchia, attraverso un condotto scende verso l’oculo di vetro istriato (originariamente di colore giallo) nascosto alla vista da una trabeazione circolare e infine scende, lungo raggi dorati, sul gruppo scolpito che sembra levitare attirato dalla forza magnetica della divinità. Il ruolo della luce come emblema dell’ultraterreno è ulteriormente enfatizzato dal concetto di nicchia come locus sanctus. E’ proprio sotto quest’ottica che i raggi lignei acquistano ancor più significato di estremità solidificate dei raggi immateriali inviati dall’alto. La forza ispiratrice di quest’opera diviene quindi la rivelazione divina rappresentata tramite l’assimilazione progressiva tra luce e materia, con l’una che acquista sostanza e l’altra che la perde, sotto l’influsso del prepotente ritorno controriformistico verso la teologia della luce, una delle tradizioni più antiche del misticismo cristiano. Grazie allo straordinario impiego della luce naturale che Bernini fa in questo luogo si realizza tutto questo ed architettura, scultura e simbolismo

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si fondono in un unicum straordinario. Nel caso di Sant’Andrea al Quirinale, invece, è l’intero edificio a divenire macchina scenografica a servizio della luce. Si assiste a una contemporanea presenza di una duplice forma di illuminazione: una indiretta che inonda la sala di una luce omogenea ed indefinita ed una proveniente dall’alto, alle spalle dell’osservatore, dalla grande lunetta d’ingresso irraggiante, come un riflettore, un fascio diretto dal grande potere evocativo e rivelatore. All’interno di questo spazio la luce diretta, la luce solida, in visibile movimento, danza secondo i passi dettati dal percorso del sole muovendosi sulla base di una invisibile luce diffusa in questo riposo. Bernini con una lettera con la quale espresse la sua critica riguardi al completamento della facciata del Duomo di Milano progettata da Buzzi (discorso sopra il Disegno della Facciata del Duomo di Milano, che si và in questo tempo ergendo, 29 Aprile 1656). L’architetto espresse, all’inizio del suo testo, “importanti elementi dell’architettura”, sui quali dichiarava di fondare la sua analisi: “Non si può dichiarare valida nessuna architettura se in essa non vengono applicati tutti i principi fondamentali”. Ora questi, secondo il Bernini, sono l’ordine, la simmetria, la disposizione, la distribuzione, l’euritmia, il decoro ed infine anche il “lume”. Quest’ultimo venne aggiunto per la prima volta dall’architetto italiano ai primi sei

concetti che corrispondono a quelli fondamentali ritenuti vincolanti da Vitruvio (I,II). Il fatto che la luce, come la simmetria e il decoro, fu elevata al rango di principio architettonico, indica in maniera chiarissima la crescente importanza che la questione di un rapporto con la luce conosciuto e misurablile andò assumendo nel periodo barocco e in tutte le epoche successive. Allora sì, possiamo iniziare a dirlo che la luce è materia e materiale. “Quando, infine, un architetto scopre che la luce è il tema centrale dell’Architettura, in quel momento inizia a capire qualcosa, inizia ad essere un vero architetto.” Citando Alberto Campo Baeza. Si può scorgere l’importanza conferita alla luce inserita compositivamente come “elemento dimensionale” nella costruzione; in altre parole “la forma si dissolve per lasciare penetrare la luce.” Citando Wolfflin, che serve appunto a dinamizzare il gioco dei volumi, a conferire alle masse inerti una rinnovata vitalità. Cosicché “un edificio cubico e pieno avrà possibilità luminose e chiaroscurali, assai minori di quello, dove il rientrare e l’aggettare dei volumi sia vario e scandito, dove i vuoti e i pieni s’alternino e s’avvicendino, dove le vaste superfici di vetro, si contrappuntino alle superfici di cemento o di pietra.” Citando Dorfles. La ricerca di luminosità era ottenuta con l’uso di vasti cornicioni, di stucchi e rilievi marmorei, dall’estroflettersi e dal rientrare delle pareti, dalla

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Immagini 17-18 Sant’Andrea al Quirinale Gian Lorenzo Bernini Roma,Italia. 1658-1670

presenza di un chiaroscuro che spes so si valeva del dettaglio ornamentale per organizzarsi compositivamente; c’era cioè un’alleanza complessa con lo spazio esterno delle costruzioni, ora dilatandone la facciata, ora proiettando cupe ombre nel rientrare dei cornicioni, ora muovendo e contorcendo le masse esterne dell’edificio, già di per sé ondulati, ma rese ancor più fluide dal rifrangersi dei raggi luminosi. E’ la necessità di confrontarsi con la legge fisica della gravità che caratterizza i corpi, che domina l’architettura e che proprio nel momento stesso in cui viene messa fra parentesi o superata, costituisce la riprova dell’entrata nella sfera dello spirituale, della meraviglia. Il filo che consente di uscire dal labirinto è soltanto l’arte di Dedalo, l’architettura, le cui potenzialità sono tali da esonerare le forme della loro gravità librandole in un volo impossibile agli occhi dei mortali. E’ in queste e molte altre opere seicentesche, grazie all’ausilio di ingegnosi meccanismi, che si legge più che in ogni altro tempo la ricerca, che accompagna l’uomo dalle origini, di convertire la luce orizzontale in luce che sembrasse, e talvolta lo era per riflesso, verticale. Si cerca di catturare la luce diurna e di convogliarla in modo che, può sembrare, semplice, ma che è estremamente studiato ed efficace. Anche i termini “teatralità ed esuberanza” erano frequentemente associati al barocco. Lo stesso Bernini si è mostrato a suo agio con questi

concetti. Egli ha definito il palcoscenico per il teatro delle relazioni umane più vasto della storia, e diretto le attività e le emozioni della gente con gesti architettonici decisi e allo stesso tempo pacati.

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La luce laterale

Quando l’apertura è collocata su una superficie diversa da quella del pavimento e della copertura la luce viene detta “laterale” (Schemi 15-16). Questo tipo di luce genera una minore quantità di intensità luminosa rispetto alla luce zenitale. L’intensità luminosa è minore perchè i raggi luminosi incidono con un’inclinazione sull’apertura. Descrivendo la luce zenitale mi sono permesso di richiamare le parole del maestro Le Corbusier il quale situava l’architettura sotto la volta celeste e nel campo ambientale facendo della luce il fattore generativo dei volumi, di quei volumi elementari che per l’architetto erano costitutivi dell’architettura.

Immagine 19

Palazzo dell’Assemblea, Dacca.

Luis Kahn, 1975

Louis I. Kahn superò questa visione portando la luce dall’esterno all’interno dell’architettura attraverso la metafora della colonna che si svuota. Illustrando il suo progetto per il Palazzo dell’Assemblea di Dacca (Imm. 19) aveva infatti detto: “in questo progetto la colonna greca si è svuotata diventando sempre più grande, con una pelle sempre più sottile, fino ad accogliere al suo interno una corte”. Con un’inversione tipologica la colonna greca si era trasformata in un cilindro cavo dove penetrava la luce. La luce diviene quindi per Kahn generatrice sia dell’esterno che dell’interno, “non esiste più solamente la parete bucata da finestre, ma è la forma dell’edificio che diventa generatrice di luce” . Infatti, l’esempio più comune di luce laterale possono essere le finestre di

un’abitazione. Nel procgetto di Luis Kahn le finestre divengono vere e proprie bucature, ovvero un’apertura che si caratterizza per non avere nessun lato coincidente con uno o più lati della superficie su cui è praticata. La bucatura, per sua natura, non può generare luce radente, fatta eccezione nei due casi in cui è collocata in posizione laterale o angolare. Anche il taglio può essere un’apertura laterale se non applicato sulla copertura, in questo caso genera luce radante su tre superfici. L’apertura oltre a creare il passaggio della luce, regola lo sguardo, stabilendo una relazione visiva tra interno ed esterno. Luce, spazio e sguardo, sono strettamente legati tra loro: stabilire o meno una relazione visiva fra interno ed esterno determina una percezione radicalmente diversa dello spazio e della luce che lo caratterizza, generando atmosfere del tutto differenti tra loro. Un’apertura che permette l’ingresso della luce, rende visibile lo scorrere del tempo, stabilisce un rapporto visivo fra interno ed esterno e determina una spazialità estroversa, dinamica, concreta. A questo riguardo le architetture greche appaiono come un esterno, un involucro dal contenuto inaccessibile, una monumentale scultura che esaltando il pathos degli esterni annulla quasi completamente il concetto di spazialità interna. Il tempio greco è infatti visto come edificio non “vivibile”. Si dovrà attendere la cultura

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Schemi 15-16
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Pianta e sezione luce laterale.

Schizzi 4-5

Schizzi di Le Corbusier. “Voyage d’Orient.”

romana, che riuscirà a trasferire negli interni architettonici i valori d’ambiente e di spazi esaltandoli dal punto di vista dimensionale, morfologico, materico e cromatico attraverso l’uso della luce. “Mi si accusa di essere un rivoluzionario [...] E’ il Partenone (Imm. 20) che ha fatto di me un rivoluzionario. Questa certezza mi è rimasta: ricordati del Partenone netto, pulito, intenso, parsimonioso, violento, di questo clamore lanciato in un paesaggio di grazia e di terrore”. Discorso di Le Corbusier in occasione della serata inaugurale del IV CIAM tenutosi ad Atene il 3 agosto del 1933, così come lo riporta Jean Petit. L’architetto svizzero era stato ad Atene nel 1911 quando, finiti gli studi, aveva 24 anni, nel corso del suo giovanile Voyage d’Orient da Vienna a Istanbul, passando per la Penisola Balcanica. Le memorie di questo viaggio iniziatico furono pubblicate postume nel 1966, corredate da schizzi, acquerelli e fotografie. (Schizzi 4-5)

Il titolo di questo paragrafo deriva proprio dalla descrizione di queste architetture. La parola “Tettonica” significa da carpentiere, falegname, costruttore. La tettonica è infatti l’architettura in cui la gravità si trasmette in maniera discontinua, in un sistema strutturale con nodi, dove la costruzione è ritmata. Secondo Alberto Campo Baeza è l’architettura ossea, legnosa, leggera. Proprio partendo dallo studio del Partenone, l’architetto Le Corbusier arrivò

a stilare i cinque punti dell’architettura moderna: pianta libera, pilotis, facciata libera, finestra a nastro e tetto giardino. Tutti questi punti vennero compresi nella sua architettura considerata come “macchina per abitare” e vennero riassunti nella costruzione nel 1929 della Villa Savoye (Imm. 21). La villa venne interpretata come una simbolica azione dell’uomo moderno, legato alla metropoli dallo spostamento in automobile, verso gli effetti salutari della natura. Così l’ingresso delle auto avveniva sotto ai “Pilotis”, ovvero pilastri in cemento che rialzavano dal livello terra le stanze principali, lasciava i passeggeri in un vestibolo austero. Essi, salendo su una rampa di scale colgono nel movimento la vista prospettica della terrazza che funge da tetto giardino, con il suo tavolo in cemento e la sala principale che guarda sul paesaggio circostante, attraverso una lunga finestra a nastro. La rampa continua fino ad un tetto terrazzato che funge da solarium. Le Corbusier chiamava questa sequenza “promenade architecturale”. Villa Savoye fu l’apice di una serie di progetti che univa geometria formale alle linee arabesche dei muri grazie all’utilizzo del cemento armato. L’edificio è considerato la più esplicita rielaborazione Moderna dell’idea classica della casa di campagna che ritroviamo nelle ville venete di Palladio. Per Le Corbusier alloggiare una persona significava assicurarle elementi

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Immagine 20 Partenone Atene, Grecia 447 a.C
1911

Immagine 21

Disegno 6 Villa Savoye,

Poissy, Francia 1929

di importanza vitale: Solai illuminati, chiusura e difesa dagli intrusi, circolazione rapida tra le diverse parti e scelta adeguata al presente degli arredi. Questi elementi costituivano la macchina per abitare. Per l’architetto fu molto importante il periodo passato in Grecia e riprese molti elementi da questa esperienza e li ristituì nelle sue architetture adattandoli alle esigenze dell’abitare umano. La cellula a scala umana è la base della progettazione. Da qui scaturì l’invenzione della casa Dom-Ino. Una casa formata da un’ossatura di sei pilastri (posti in opera a distanza standard), tre piani e una scala. Dentro a questa ossatura potevano essere create infinite soluzioni residenziali. E’ importante sottolineare che tutto è scaturito dall’invenzione (o rivalorizzazione) dei pilotis, che possono essere visti come la modernizzazione delle colonne dell’architettura dell’antica Grecia. Questa soluzione permette la disposizione della facciata libera, perchè come si può notare nella Figura 4 i pilotis sono disposti non sul perimetro, ma leggermente arretrati da essi così da permettere lo sviluppo della finestra a nastro che, oltre a inquadrare il paesaggio a 180° permette anche alla luce di illuminare gli spazi interni in maniera assolutamente innovativa. Oltretutto essendo costruita su pilotis, la casa standardizzata può essere costruita su qualsiasi terreno e può adattarsi a qualsiasi clientela. I grattacieli derivano proprio dalla sovrapposizio

ne di queste cellule standardizzate. Altri esempi di luce laterale usati per rendere chiese e cattedrali dei “templi saturi di luce” possono essere trovati nell’architettura gotica. “Quando gli architetti dell’epoca gotica costruirono le loro cattedrali di pietra, tutto il loro interesse era innalzarsi e innalzarsi, per ottenere più luce dall’alto. Le loro intenzioni, realizzando le navate delle loro chiese sempre più alte, non era solo la ricerca di una maggiore spiritualità nella forma della costruzione quanto la ricerca di una maggiore quantità di luce, catturata attraverso le grandi vetrate. E crearono il cleristorio. La luce era il quid della questione.”

Citando Alberto Campo Baeza. Con l’epoca gotica si da forma a una concezione completamente nuova della luce. L’architettura e tutte le arti subiscono un nuovo impulso a seguito della nuova cultura religiosa, che identifica nella bellezza e nella perfezione dell’opera d’arte uno stimolo per i fedeli ad elevarsi dal terreno. L’architettura andò alla ricerca della raffigurazione concreta di slancio, leggerezza ed energia. La luce naturale, che scendeva dall’alto nelle imponenti navate, divenne metafora dell’elevazione spirituale. Citando Victor Nieto, nel suo “La luz sìmbolo y sistema visual” (Càtedra, Madrid, 1978) sostiene che non era la luce ma la costruzione la principale ragione per la quale gli architetti dell’epoca gotica innalzavano sempre

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Interno Villa Savoye, Poissy, Francia 1929 Spaccato assonometrico.

di più le loro strutture. Sostengo qui, invece, seguendo il pensiero del Maestro Albero Campo Baeza espreso nel suo testo “Principia architectonica”, che è la luce il tema centrale del gotico. Più luce per rendere più “divini” quegli spazi che, insistendo sullo sviluppo verticale, divennero più spirituali e ottennero la tanto ricercata sospensione del tempo. Evidente è anche la tendenza allo svuotamento delle pareti, la progressiva costituzione dei muri continui traforati da finestre, come quelli dell’architettura romanica, con pareti traslucide, ornate di vetrate. Attraverso questa smaterializzazione muraria tutto sembra generato per assecondare il movimento della luce. La cattedrale di Avila (Imm. 22-23), la più antica cattedrale gotica spagnola, molto vicina al gotico francese, presenta delle vetrate scialbe e incolori. E’ proprio questa la particolarità, la mancanza di colore e per questa purezza della sua luce che questa cattedrale è tanto bella, con quella luce traslucida che entra e illumina l’interno. Come scrisse Sedlmayr, nel 1989 “Nella cattedrale di Amiens (fig.8-9) è la materia stessa di cui sono composte le vetrate a divenire luminosa “poichè la luce che diffonde la cattedrale non sembra affatto provenire dall’esterno. Se si volesse descrivere fedelmente l’effetto, bisognerebbe dire che la luce si propaga dalle pareti stesse, le pareti brillano. Questo è il maggior potenziamento concepibile della luminosità

in uno spazio interno chiuso; esso non è prodotto dalla riflessione della luce ma dalla diafanità della materia opaca del vetro, intensamente colorato. In questa luce, che pare esser fonte di se stessa, le vetrate delle finestre non hanno altro paragone che le pietre preziose montate a giorno. Le vetrate vennero realizzate con la nuova tecnica del vetro piombato e sviluppano sui fedeli, per effetto di questa innovativa lucentezza, un effetto stupefacente; esse costituiscono un assoluto mutamento nello stesso senso percettivo dell’uomo, un’innovazione che per sensazioni generate e spirito evocativo può essere associata allo stupore che colpirà alcuni secoli dopo i primi spettatori del cinèmatographe dei fratelli Lumiere. Il tema della luce è considerato come forma e come simbolo dove si scoprono le definizioni più valide dello spazio gotico. Il muro traslucido e il muro illuminante divengono le soluzioni più estreme ed evidenti ma ve ne sono anche molte altre come la moltiplicazione delle aperture, la ripartizione di queste nelle zone alte dell’edificio o in parti essenziali, come il coro, l’abside e le braccia del transetto. Lo spazio gotico è uno spazio trasfigurato dalla luce e concepito in funzione ad essa. Tutto in queste cattedrali è subordinato al tema dello spazio-luce.

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Immagini 22-23 Cattedrale di Avila. Avila, Spagna. XI - XV secolo

I gradienti della luce

Gradiente naturale nello spazio.

La relazione tra luce e spazio è resa visibile dal gradiente naturale che procede dalla luce verso l’ombra a mano mano che i raggi luminosi si allontanano dal sole. Differentemente da questa condizione naturale, quando una superficie viene investita da luce diretta, questa si trasforma a sua volta in fonte luminosa dando luogo ad un gradiente che potremmo definire inverso, caratterizzato cioè da una maggiore luminosità in prossimità della superficie stessa che si affievolisce allontanandosi da questa.

Gradiente maggiore nello spazio.

Al fine di enfatizzare l’azione della luce possiamo sempre modificare il gradiente naturale per mezzo di dilatazioni e compressioni dello spazio che permettono di creare un contrasto maggiore fra luce e ombra, facendo sostanzialmente reagire lo spazio alla luce che lo anima. Nello schema a fianco il gradiente maggiore è ottenuto comprimendo lo spazio verso la luce e dilatandolo verso l’ombra.

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Gradiente naturale sullo spazio.

Sempre al fine di esaltare la corrsipondenza tra luce e spazio, possiamo modificare il gradiente naturale per mezzo di azioni di dilatazione e compressione dello spazio che permettano di ridurre il gradiente, inducendo un contrasto minore fra luce e ombra. Nello schema di fianco il gradiente minore è ottenuto dilatando lo spazio verso la luce e comprimendolo verso l’ombra.

Gradiente naturale sullle superfici.

Analogamente a quanto avviene nello spazio, anche sulle superfici che lo delimitano, la luce si propaga secondo un gradiente naturale che precede dalla luce verso l’ombra a mano a mano che i raggi luminosi si allontanano dall’astro solare. Come già evidenziato per il rapporto tra luce e spazio, in caso di luce diretta, il gradiente procede dalla luce verso l’ombra partendo dalla porzione di superficie investita dalla luce che, trattandosi di luce diretta, si modificherà nel tempo e nello spazio.

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Gradiente maggiore sulle superfici.

Curvando una superficie in modo da renderla convessa, si espone maggiormente alla luce la parte più vicina ad essa, mettendone maggiormente in ombra la parte più lontana. Ciò permette di ottenere un contrasto maggiore fra le due parti, generando una superficie contrastata con una sfumatura netta.

Gradiente minore sulle superfici.

Si può modificare il gradiente di una superficie al fine di renderlo meno contrastato. Ad esempio, inclinando una superficie in modo da esporre maggiormente alla luce la parte più lontana da essa, si ottiene un contrasto minore tra luce e ombra che genera una sfumatura morbida e una supercie tendenzialmente omogenea.

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La luce e lo spazio sono la materia prima dell’architettura. Il loro rapporto mutua costantemente nel corso della giornata, ma rimane sempre il fondamento dell’architettura. Infatti, quando immaginiamo uno spazio, non possiamo in alcun modo figurarcelo senza la presenza della luce, della sua luce, e conseguentemente quella luce che noi vediamo quando immaginiamo lo spazio che stiamo progettando, ritengo che dovrebbe accompagnarci per tutto il percorso del progetto e porsi quale guida sicura del nostro lavoro in vista di una nuova architettura. Il rapporto tra spazio e luce si sviluppa principalmente secondo una dinamica naturale nella quale i raggi luminosi, allontanandosi sempre più dalla fonte primaria, che è il sole, si affievoliscono generando un gradiente naturale il quale procede dalla luce verso l’ombra. Il gradiente luce/ombra di fatto materializza lo spazio rendendone visibile la forma, permettendoci di misurarlo, di ordinarlo e conferirgli un preciso carattere, e può essere considerato lo strumento privilegiato per modellare lo spazio medesimo per mezzo della luce. Agendo sul gradiente naturale possiamo enfattizzare il rapporto fra luce e spazio e, per mezzo di dilatazioni e compressioni, modellare lo spazio come se fosse generato dalla luce stessa. Considerando inoltre che lo spazio architettonico è definito da superfici le quali rendono plasticamente

visibile il gradiente luce/ombra, è di estrema importanza valutare e controllare l’azione della luce su di esse. Conseguentemente, nello sviluppo di un progetto, così come abbiamo le possibilità di modellare lo spazio tramite la luce naturale, analogamente abbiamo la possibilità di plasmare e caratterizzare le superfici che lo delimitano.

Mi è sembrato fondamentale creare dei piccoli plastici che illustrassero come, nel corso della giornata, con lo scorrere del tempo, il fascio di luce interagisse con lo spazio e ne plasmasse le caratteristiche. Mi sembra importante chiarire che le possibilità di seguito illustrate sono da interpretare come esemplificazioni di principi elementari ai quali far riferimento per plasmare le superfici e modellare lo spazio per mezzo della luce naturale, e non come soluzioni formali che possono avere una validità generale. In ultimo è importante evidenziare che le illustrazioni fanno riferimento a spazi raffigurati in sezioni, ma che in realtà potrebbero riferirsi a spazi raffigurati in pianta, a testimonianza della tridimensionalità che caratterizza il rapporto fra luce e spazio. In ognuno di questi plastici il fascio di luce interagisce con l’interno passando attraverso un foro che ho deciso di posizionare rispettivamente al centro della copertura. La luce, di tipologia zenitale, che interagirà con il plastico ne plasmerà le caratteristiche

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04. STUDIO DELLA LUCE NEL CORSO DEL TEMPO

nel corso della giornata. Il plastico, da me costruito, è un cubo di dimensione 16x16x16 cm. Durante questo “esperimento”, se così vogliamo chiamarlo, l’ho posizionato in un’area prevalentemente di campagna, in modo tale che i raggi luminosi della luce solare non avessere interruzioni (come lo potevano essere edifici in un’area urbana) durante qualsiasi ora del giorno. Quest’ultima considerazione può farci anche capire come, in via progettuale, un progettista “possa” e, a mio parere, “debba” utilizzare uno o più piccoli plastici in scala in modo tale da osservare come la luce, durante le ore del giorno interagisce con la struttura, con le aperture e con l’intero edificio. Moltissimi architetti di fama internazionale utilizzano plastici con modalità differenti, non solo per un’illustrazione finale, ma sopratutto per uno studio approfondito dell’architettura che stanno creando. Perchè non dobbiamo mai dimenticarci che la luce, come l’architettura lavora nelle tre dimensioni e spesso i disegni sono fondamentali, ma non abbastanza per governare tutti i temi del progetto. Queste immagine dei plastici pur assumento caratteristiche differenti durante l’arco della giornata, trasmettono tutti una stessa intuizione: l’idea della luce come materia assoluta e senza tempo. Tutte le architetture che, si producono a partire dalla luce, assumono un valore atemporale e universale e si collocano all’interno di una tradizione ben

più lunga e antica di quella delle scuole di architetture recenti. Questi plastici, rigorosamente bianchi e immacolati, quasi asettici, sono semplici spazi cartesiani dove regnano l’angolo retto, l’orizzontale e il verticale, ma sopratutto, quando la luce colpisce l’oculus, se così posso chiamarlo, la Luce. Nella stanza corrispondente alle ore 18:00 pm - 7:40 am la vita non esiste. In quel frangente della giornata la vita risulta come bandita. Però la situazione cambia, è visibilmente diversa nei plastici corrispondenti alle altre ore del giorno. Perchè? Semplicissimo: la Luce. La luce porta la vita, illumina gli spazi e li materializza. Colpisce la struttura e la illumina. Il vuoto non è più vuoto, ma si trasforma in pieno e il pieno con il vuoto prende vita. Sono dei plastici semplici, lo so, ma che hanno l’ambizione di descirvere qualcosa di grande e di unico. Di come uno spazio possa prendere vita e di come questa vita entra in uno spazio. Di come il minimo comun denominatore di tutti questi fattori sia solo uno: la Luce.

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TAVOLA CRONO DIA

h. 7:40 - 18:00

Sera/Notte.

h. 18:00 - 17:00

Tramonto.

h. 17:00 - 16:00

Secondo Pomeriggio.

h. 16:00 - 14:00

Pomeriggio.

h. 14:00 - 13:00

Primo Pomeriggio.

h. 13:00 - 12:00

Mezzogiorno.

h. 13:00 - 12:00 Mezzogiorno. h. 12:00 - 11:00 Seconda Mattina. h. 11:00 - 10:00 Mattina. h. 10:00 - 9:30 Mattina. h. 9:30 - 8:15 Prima Mattina. h. 8:15 - 7:40 Alba.

Mi sembra doveroso o quanto meno necessario descrivere alcune opere di tre architetti che, nei loro anni di esperienza hanno utilizzato la luce non come un elemento, ma come il pirmo vero e proprio materiale. Vorrei definire questi tre architetti come “Architetti della luce”. Questa espressione non risuona affatto tautologica o scontata se si pensa che solo a partire dagli anni del XIX secolo il lavoro sulla materia architettonica comincia a essere letto e spiegato come il frutto di un costante e progressivo lavoro sulla luce. La luce come centro e motore della vita. Questo motore sembra muovere ogni progetto di questi tre architetti. La luce è uno dei punti cardini di ogni progetto e questo risulta chiaro sia nel modo di immaginarla e quindi di rappresentarla, sia nel modo di materializzarla con la costruzione e, infine, nella maniera in cui si predispone ogni spazio a essere abitato e invaso dalla vita. Lo strumento di immagionazione più potente a disposizione dell’architetto è il disegno. Una delle cose subito evidenti nell’osservare quelli di J. Navarro Baldeweg, Alberto Campo Baeza e Josè Ignacio Linazasoro è la netta sensazione di trovarsi davanti all’invenzione di un vero e proprio codice di rappresentazione. Tutte le architetture che si producono a partire dalla luce assumono un valore atemporale e universale. Sono come le grandi architetture del passato. Perchè è la vita la cosa più urgente e gli uomini non sono poi tanto cambiati da allora.

49 05. LA LUCE SECONDO TRE MAESTRI
Juan Navarro Baldeweg. (1939). Alberto Campo Baeza. (1946). Josè Ignacio Linazosoro. (1947).

Purtroppo ISSUU, dopo il suo ultmo aggiornamento, mi permete di caricare solo le prime 50 pagine.

Se sei interessato a leggere tuta la TESI scrivimi privatamente. Te la invierò grats.

Unfortunately ISSUU, afer its latest update, only allows me to upload the frst 50 pages.

If you are interested in reading the whole thesis, you just need to write to me privately. I will send it to you free of charge.

arch.christan.tonella@gmail.com

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