MARCELLO GAGLIANI CAPUTO
Il sentiero di rose
Giallo
Copyright © 2011 CIESSE Edizioni Design di copertina © 2011 CIESSE Edizioni Il sentiero di rose di Marcello Gagliani Caputo Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD) Telefono 049 7897910 – 049 8862964 | Fax 049 2108830 EMail redazione@ciessedizioni.it P.E.C. infocert@pec.ciessedizioni.it ISBN 9788897277439 Collana BLACK & YELLOW Versione eBook http://www.ciessedizioni.it NOTE DELL’EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi email, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.
Quest’opera è stata pubblicata dalla CIESSE Edizioni senza richiedere alcun contributo economico all’Autore.
BIOGRAFIA DELL’AUTORE Marcello Gagliani Caputo (Palermo, 30 Ottobre 1974) ha debuttato nel campo letterario nel 2000 con la raccolta di racconti Finestra Segreta Vita Segreta (Edizioni Ripostes). Giornalista pubblicista, nel 2001 ha curato l’antologia di racconti Professione Esordiente (Prospettiva Editrice) per poi dedicarsi al cinema con i saggi …Altrimenti ci arrabbiamo! Il Cinema di Bud Spencer e Terence Hill (Un Mondo a Parte, 2006) e Bad Boys: La Figura del Cattivo nell’Immaginario Cinematografico (Morpheo, 2008). Nello stesso anno ha anche partecipato al libro Christopher Lee. Il Principe delle Tenebre (Profondo Rosso, 2008), mentre nel 2010 è stato tra gli autori della raccolta 365 Storie Cattive (ilmiolibro.it). Attualmente collabora con alcuni siti di critica e informazione letteraria/cinematografica, tra cui www.horror.it, www.latelanera.com, www.doppioschermo.it e www.culttv.it. Il suo blog è http://marcellogaglianicaputo.wordpress.com
BIBLIOGRAFIA 2000, Finestra Segreta Vita Segreta, Edizioni Ripostes 2001, Professione Esordiente, Prospettiva Edizioni 2006, …Altrimenti ci arrabbiamo! Il Cinema di Bud Spencer e Terence Hill, Un Mondo a Parte Edizioni 2008, Bad Boys – La figura del cattivo nell’immaginario cinematografico, Morpheo Edizioni 2008, Christopher Lee – Il Principe delle Tenebre, Profondo Rosso Edizioni (Partecipazione) 2010, 365 Storie Cattive, ilmiolibro.it (Partecipazione)
A Federico e Daniela
1. Roma. Venerdì 15 Febbraio 2008 ore 1.30 Un’Alfa 156 blu con il lampeggiante acceso si fece largo tra i curiosi e si fermò davanti al nastro che delimitava l’accesso a una stradina senza uscita. Ne uscì un uomo di circa cinquant’anni, con radi capelli brizzolati, barba incolta e un fisico asciutto. Dall’aspetto trasandato e dalle occhiaie che spiccavano sul viso pallido, sembrava non dormire da giorni. Indossava un maglione, dei jeans scoloriti e un paio di vecchie scarpe da tennis, mentre un leggero tremolio a entrambe le mani non gli impediva di tenere stretta una sigaretta fumata a metà. Il commissario Tancredi si guardò attorno e soffiò via il fumo dalle narici. Nemmeno un’ora prima una telefonata dell’ispettore Russo lo aveva informato del ritrovamento del cadavere di una giovane donna, abbandonata nuda tra cumuli di calcinacci e sacchi della spazzatura. Tancredi richiuse lo sportello dell’auto e si guardò attorno: palazzoni scrostati e anneriti da cui spuntavano innumerevoli antenne satellitari, basse casette con qualche metro quadro di giardino in preda al degrado. Lungo i marciapiedi, le saracinesche dei negozi erano state imbrattate dai writers, mentre la maggior parte delle insegne al neon erano mal funzionanti, come tutti i lampioni della strada. Si chiese se chi governava la città sapesse dell’esistenza di quel quartiere. Aspirò un’ultima boccata dalla sigaretta e la gettò per terra, schiacciandola con la punta della
scarpa. Si diresse verso alcuni agenti che controllavano l’accesso al vicolo, mentre attorno a lui il gruppo di curiosi che si era formato andava crescendo. Al suo passaggio, molti occhi lo guardarono, forse alla ricerca di una frase o di una spiegazione, ma il commissario tirò dritto senza prestare attenzione alle parole che gli arrivavano alle orecchie, fino a quando una voce non lo chiamò per nome. «Commissario Tancredi!» Si voltò e vide una donna con un piccolo registratore tra le mani. Teneva i capelli ricci raccolti dietro la nuca e il suo viso era pallido e struccato, come se fosse stata buttata giù dal letto solo pochi minuti prima. Sotto un pesante giaccone nero indossava un maglione bianco, un paio di jeans e delle scarpe da tennis. «Commissario, può confermarci che c’è stato un omicidio?» cercò di passare sotto il nastro, ma un agente la spinse indietro. «La vittima è una ragazza? Sapete già come si chiama?» Tancredi scosse la testa. «Sono appena arrivato e non posso rilasciare dichiarazioni, mi dispiace». «Abbiamo il diritto di sapere cosa è successo», ribatté lei, «è vero che in quel vicolo è stato trovato il corpo di una donna? Quanti anni aveva? Era una prostituta?» Il commissario scosse ancora la testa. «Mi dispiace, magari più tardi potrò dirvi qualcosa di più, al momento ne so quanto voi», abbozzò un sorriso e raggiunse i poliziotti. «Spegnete tutti i lam-
peggianti, non voglio trasformare questa strada in un set cinematografico», fece una pausa e guardò la gente che stava cominciando ad accalcarsi dietro il nastro, «tenete lontane quelle persone, non deve avvicinarsi nessuno nel giro di almeno cinquanta metri, dobbiamo preservare la scena del crimine. E tenete d’occhio giornalisti e fotografi». Si infilò nella stradina e vide l’ispettore Russo venirgli incontro. «Buonasera, commissario», aveva circa trent’anni, un viso appena rasato, due occhi vispi e i capelli spettinati. «Ciao, Russo», Tancredi allungò l’occhio verso il corpo che giaceva in fondo alla strada e vide due agenti della polizia scientifica impegnati a fare i primi rilievi. «Sono arrivati dieci minuti fa», spiegò l’ispettore. «Allora si tratta di un omicidio». «Sì, però…» «Come avete trovato il corpo?» «Abbiamo ricevuto una segnalazione anonima». «Avete sigillato tutta la zona?» «Sì». «Allora potresti spiegarmi come mai lì fuori sanno già che è stato trovato il cadavere di una ragazza?» Il volto di Russo si irrigidì. «Non lo so, ho seguito tutte le sue istruzioni alla lettera, non capisco». Il commissario scosse la testa. «Lascia perdere, non ti preoccupare, ai giornalisti penseremo dopo. Sapete chi è?»
«È stata scaricata qui nuda.» «Cosa hanno detto quelli della scientifica?» «Non hanno ancora finito, però…» «Cosa c’è?» Tancredi lo guardò e capì che gli stava nascondendo qualcosa. «Cosa non mi hai detto?» «Al telefono ho tralasciato un particolare». «Che particolare?» Russo deglutì e si leccò le labbra secche. «Davanti al corpo della vittima abbiamo trovato dei petali di rosa a formare un sentiero fino al cadavere, esattamente come quattro anni fa». Il commissario sembrò bloccarsi, con lo sguardo fisso sull’ispettore, quasi senza respirare, poi spostò gli occhi oltre la spalla di Russo e vide i due medici del reparto scientifico alzarsi e scambiare qualche parola. Uno dei due, con un lungo codino che gli cadeva sulle spalle, scattò qualche foto mentre l’altro, occhiali e pizzetto rossiccio, si tolse i guanti di lattice e li gettò in un sacchetto. Dietro di loro un agente si chinò sul corpo della vittima, coprendola con un lenzuolo bianco. «Avanti, non perdiamo tempo, andiamo a sentire cosa hanno da dirci». Russo lo guardò titubante, ma poi lo seguì. «Buonasera», salutò Tancredi. I due medici accennarono un sorriso e porsero al commissario dei guanti in lattice. «Avete fatto tutti i rilievi?» «Donna di età compresa tra i venticinque e i trent’anni, dalla temperatura del fegato è morta da
tre o quattro ore. È stata violentata con un oggetto arrotondato sulla punta e poi strangolata», fece una pausa, «ma la cosa più strana è che prima di essere abbandonata qui, è stata lavata, profumata e truccata». «Avete trovato delle impronte sul corpo?» «No». «Tracce sotto le unghie?» «Niente, sono curate, perfino lo smalto sembra fresco». Tancredi rimase qualche attimo in silenzio, cercando di raccogliere le idee. «Cosa c’è oltre questo muro?» si voltò verso Russo. «Campagna», rispose l’ispettore, «per chilometri». Il commissario si chinò sul cadavere, scrutò attorno e tolse via il lenzuolo. «Ha notato la posizione?» domandò l’agente della scientifica con occhiali e pizzetto. Tancredi lo guardò. «Sembra una posa da calendario», spiegò l’uomo, «guardi le braccia e le gambe, è la prima volta che mi capita di vedere una cosa del genere, sembra quasi che sia stata sistemata così di proposito». Il commissario alzò il capo e sentì un brivido attraversargli la schiena. Le rose disposte a formare un sentiero, la posizione del cadavere… le gambe sembrarono cedere tutto d’un colpo e dovette poggiare una mano a terra per evitare di perdere l’equilibrio. Davanti agli occhi gli passò l’immagine di un volto, di un funerale, del sorriso di sua figlia. Rimase qualche
attimo immobile, con gli occhi chiusi e poi riuscì a rimettersi in piedi. Si passò un braccio sulla fronte imperlata di sudore e guardò meglio quella povera ragazza: le gambe leggermente curve, le mani dietro la testa, il viso inclinato in una macabra posa sexy. «Siete sicuri che non sia stata uccisa qui?» «Sì, abbiamo ispezionato ogni centimetro di questo vicolo e non c’è il minimo segno di colluttazione. Quando è stata abbandonata, era già morta». Il commissario si guardò attorno. «Perché avrà portato il cadavere proprio qui?» «Questa è una vecchia scuola ormai in disuso da anni», Russo indicò un palazzo di due piani alla loro destra, «fino a qualche anno fa era un centro di raccolta della Caritas, adesso è diventato un rifugio notturno per barboni e clandestini. Qui attorno non c’è nulla, nessuno avrebbe potuto vederlo. Ha agito indisturbato». Tancredi alzò il capo. «Abbiamo comunque perquisito tutti e due i palazzi», lo anticipò l’ispettore, «e, tranne la carcassa di un cane, non abbiamo trovato nessuno». Il commissario annuì. «Di questi petali che mi dite?» tornò a rivolgersi agli agenti della scientifica. «Comuni rose rosse», rispose quello col codino, «ne abbiamo preso qualcuno che faremo analizzare, ma sarà dura tirar fuori qualcosa di interessante». Tancredi risistemò il lenzuolo e si alzò. Tolse i guanti, restituendoli al medico.
«Nient’altro?» «Al momento no. L’assassino non sembra aver lasciato la benché minima traccia, tutto ciò che ci rimane è lei», indicò il cadavere, «speriamo che l’autopsia ci dia qualche elemento su cui lavorare». «L’ambulanza?» il commissario si rivolse a Russo. «Dovrebbe arrivare a momenti». Tancredi rimase ancora qualche attimo in silenzio e poi prese per un braccio l’ispettore. «Vieni con me», si appartarono poco lontano, «io vado in ufficio, tu rimani qui finché non arriva l’ambulanza e non fare passare nessuno, ma soprattutto bocca chiusa, non deve trapelare nulla, neppure la notizia più insignificante», si massaggiò le tempie. L’ispettore lo guardò preoccupato. «Commissario, va tutto bene?» «Sì, sto bene, non preoccuparti, ho solo bisogno di un’aspirina. Se hai qualche novità, chiamami al cellulare». «Ok, però…» «Non possiamo ancora saperlo», lo bloccò, «ci vediamo più tardi», gli diede una pacca sulla spalla e andò via, sperando che fosse soltanto un brutto sogno.
2. Roma. Venerdì 15 Febbraio 2008 ore 9.00 Alle otto di quel freddo mattino di febbraio, il centro di Roma era già un brulicare di persone: auto e scooter scivolavano sulle strade intasate, mentre da ogni angolo sbucavano manager dall’aria impettita e semplici lavoratori già stanchi e annoiati. Davide sbucò dai sotterranei della metro Castro Pretorio e prese una copia di City dal contenitore in cima alla scalinata. Lesse il titolo in prima pagina: ROMA SOTTO CHOC: RAGAZZA UCCISA E ABBANDONATA IN UN VICOLO DELLA PERIFERIA. Scorse velocemente l’articolo e superò il cancello della Biblioteca Nazionale. Salutò con la mano uno dei custodi e raggiunse l’ingresso. Passò il badge nel tornello e andò verso una delle sale di lettura. A quell’ora di solito era affollata, tra studenti, ricercatori e semplici curiosi, invece quel giorno non c’era quasi nessuno. Curva su un tavolo si intravedeva la figura di un anziano che leggeva e prendeva appunti, mentre due dipendenti chiacchieravano in piedi davanti a uno degli scaffali. Il ragazzo si guardò attorno, come se non riuscisse a credere ai suoi stessi occhi, poi raggiunse il settore narrativa americana e, dopo una breve ricerca, tirò fuori un libro consumato. Lo sfogliò e andò al bancone dei prestiti.
Una ragazza alzò la testa e gli sorrise. «Ciao», disse chiudendo il libro che stava leggendo. «Potrei avere una scheda per il prestito?» Davide si tolse il cappellino e lo poggiò sul bancone insieme al giornale. «Certo, ecco qui», lei tirò fuori un modulo e glielo porse. Aveva raccolto i lunghi capelli ricci dietro la nuca con un fermaglio di legno consumato, mentre un paio di occhiali rossi incorniciavano un volto dolce e delicato su cui spiccavano due occhi verde smeraldo. Sulla camicetta aveva appuntata una targhetta col nome: Cristina Ferrari. «Non è che potrei dargli un’occhiata?» indicò il giornale poggiato sul bancone. Davide annuì. «Certo, ecco», le porse la copia. «Povera ragazza», commentò lei poco dopo, scorrendo la prima pagina, «dicono si possa trattare di un serial killer». «Non siamo in America», ribatté lui, «i giornali esagerano sempre». Cristina scosse la testa dubbiosa. «Speriamo», sospirò e richiuse il giornale. Davide abbozzò un sorriso e le allungò il modulo. «Ecco qua». Lei lo controllò e lo sistemò dentro il classificatore. «Ti piace George Landon?» indicò il libro che Davide aveva preso. «Sì, ci sto scrivendo una tesina per l’università».
«Dici davvero?», si tolse gli occhiali e li poggiò sul bancone, «lo sai che sei la prima persona che incontro a cui piace George Landon?» Lui sorrise. «Beh, in effetti è uno di quegli scrittori che si definiscono di nicchia, però chissà quanti altri milioni di lettori avrà». «Sai che tra meno di un mese uscirà il nuovo romanzo?» «Sì, mi sembra di aver letto qualcosa su internet». «Io l’ho già prenotato, tu lo comprerai?» era entusiasta come una bambina. Davide scosse la testa e sorrise. «Per la verità compro pochi libri, preferisco prenderli in prestito qui in biblioteca». «Oh, mi dispiace», ribatté Cristina imbarazzata, «non volevo». «No, non hai capito», sorrise, «potrei comprarli tranquillamente, ma mi piace di più leggerli qui». «Che vuoi dire?» «Che secondo me leggere un libro della biblioteca è più bello, ha più fascino, ci trovo più gusto». La ragazza lo guardò ancora confusa. «Un libro preso in una biblioteca è più vissuto», spiegò lui, «le pagine sono ingiallite, gli angoli consumati, emana un odore del tutto particolare. Un libro dentro di sé non porta solo la storia di chi l’ha scritto, ma anche di chi l’ha letto». Lei lo guardò curiosa e sorrise. «Sai che non ci avevo mai pensato? È interessante». Il ragazzo accennò un sorriso di soddisfazione.
«Io sono Davide», le porse la mano. «Cristina, piacere». «Cosa stai leggendo?» Davide indicò il libro che la ragazza aveva chiuso al suo arrivo. «Purtroppo sto solo studiando». «Anche tu all’università?» «Sì, Lettere Moderne, tra meno di due settimane ho un esame». «In bocca al lupo, allora», il ragazzo guardò l’orologio, «ora purtroppo devo andare, tra mezz’ora ho un appuntamento. È stato un piacere conoscerti, spero di rivederti presto». Lei lo fissò ancora per un attimo. «Ciao e buona giornata». «Ci vediamo», le sorrise e uscì dalla sala.
3. Roma. Venerdì 15 Febbraio 2008 ore 10.00 «Commissario, può confermarci che quella povera ragazza è stata violentata prima di essere uccisa?» Attorno al commissario Tancredi si era formato un piccolo capannello di giornalisti locali, curiosi di avere particolari sul delitto avvenuto la sera prima. «Al momento non possiamo confermare niente, gli esami sulla vittima sono ancora in corso ed è troppo presto per arrivare a delle conclusioni», non vedeva l’ora che quella improvvisata conferenza stampa terminasse per tornare nel suo ufficio. «Come si chiamava? E quanti anni aveva?» domandò un uomo abbronzato come fossero ad agosto. «Non lo sappiamo ancora, era senza documenti». «Avete già dei sospettati?» «Per il momento no, stiamo vagliando varie piste, vi terremo informati, state tranquilli». «È vero che la vittima conosceva l’assassino?» chiese un altro. «Non lo sappiamo. Come ho detto, al momento non abbiamo sufficienti informazioni. Adesso scusatemi, ma devo andare», si voltò, ma dopo un attimo si bloccò richiamato da una voce familiare. «Commissario!» Si girò e vide una donna fargli cenno. Era la stessa che la sera prima aveva incontrato sul luogo del delitto, ma questa volta indossava un elegante tailleur nero e sembrava appena uscita da un centro estetico. Impugnava un piccolo registratore portatile e dalla
sua espressione sembrava decisa a portarglielo a pochi centimetri dalla bocca. «Commissario, da alcune indiscrezioni sembra che sul luogo del delitto siano stati trovati degli elementi che collegherebbero l’omicidio di ieri a una serie di delitti rimasti irrisolti e battezzati “i delitti del paparazzo”, può confermarci la notizia?» Tancredi rimase in silenzio, indeciso se chiudersi la porta alle spalle o rispondere alla domanda. «Anche la vittima di ieri è stata trovata in posa come una pinup e con dei petali di rosa attorno al corpo?» insistette la donna. Alla fine il commissario scosse la testa. «È innegabile che ci siano alcuni particolari che ricordano quegli omicidi, ma al momento non possiamo avere certezze, potrebbe anche trattarsi di un emulatore, quello che in linguaggio tecnico si chiama killer fotocopia». «Commissario», continuò la donna, «se non ricordo male, quattro anni fa l’ultima vittima del paparazzo fu sua figlia, pensa che l’omicidio di ieri possa essere una nuova sfida contro di lei?» Lui la guardò. «Mi dispiace, ma non posso aggiungere altro, devo andare, arrivederci», si infilò nel palazzo, scortato da un paio di agenti. Proseguì lungo il corridoio e vide Russo avvicinarsi. «Commissario, il questore la sta aspettando, c’è anche il PM». Tancredi guardò l’orologio. «Il rapporto della scientifica è arrivato?» L’ispettore scosse la testa.
«Sei già stato a casa della vittima?» «Stavo andando adesso». «Portati un paio di agenti e mettetela sottosopra se serve, ci vediamo più tardi». Russo annuì. «In bocca al lupo, commissario». Lui accennò un sorriso e si incamminò lungo il corridoio della Questura. Dopo aver svoltato un paio di volte e superato un numero indefinito di stanze, si fermò davanti a una porta. Aspettò qualche secondo prima di bussare. «Avanti». Tancredi entrò e si richiuse la porta alle spalle. «Buongiorno». «Buongiorno, commissario», il questore si alzò e gli andò incontro. Era basso e un po’ tarchiato e indossava un paio di spessi occhiali con la montatura di acciaio. Sulla testa aveva, sì e no, un ciuffo di capelli. Allungò la mano e gliela strinse. «Prego, si accomodi». Tancredi si mise seduto di fronte alla scrivania del questore e si voltò verso il PM, che era rimasto immobile accanto alla finestra. «Lei, dottore, non si siede?» gli chiese. «No, grazie, preferisco rimanere in piedi», rispose lui visibilmente preoccupato. Il questore tornò dietro la scrivania e si tolse gli occhiali. Li poggiò e cominciò a massaggiarsi il naso. Era un gesto che il commissario gli aveva visto fare ogni volta che qualcosa non andava. «Brutto affare quello di stanotte», lo guardò.
«Sì», ribatté Tancredi lanciando un’occhiata al PM, «ma non possiamo essere certi che si tratti del paparazzo, stiamo aspettando i risultati delle analisi della scientifica. Magari si tratta di un emulatore». «Da questi incartamenti e da quanto scrivono i giornali stamattina mi sembra ci siano pochi dubbi», il questore gli mostrò una cartella. «Le somiglianze sono tante, è vero», concordò il commissario, «ma lo sapremo con certezza solo dopo gli esami sul cadavere e l’autopsia». «Si è scordato che giorno era ieri?» Tancredi si mosse a disagio. «Lo so, anche quattro anni fa gli omicidi cominciarono a febbraio, ma non vuol dire…» «Non solo a febbraio», lo bloccò il questore, «ma lo stesso giorno di febbraio, San Valentino, e anche allora la vittima fu una ragazza pressappoco della stessa età». «Mi sembra un po’ presto per essere così sicuri», ribatté prudente il commissario, «non sappiamo neanche chi sia quella donna, magari era una prostituta o una clandestina». «Che mi dice del luogo del ritrovamento?» lo incalzò il questore, «anche quattro anni fa il primo cadavere fu trovato in un vicolo, è una coincidenza anche questa? Senza parlare delle rose, della posizione del cadavere, del corpo lavato e profumato, del modus operandi dell’assassino…» Il commissario si sentì con le spalle al muro. «Il dottore qui presente», il questore indicò il PM, «mi ha espresso più volte le sue perplessità ad affidarle le indagini. Come ben sa, il protocollo preve-
drebbe che lei non partecipi alle indagini perché direttamente coinvolto, esattamente come avvenuto quattro anni fa dopo la morte di sua figlia, ma io invece penso che sia la persona più qualificata e preparata per fare chiarezza in questa storia. Come ben capisce, però, dovremo essere in due convinti di ciò». Tancredi spostò lo sguardo prima sul questore e poi sul PM. «Capisco perfettamente le vostre perplessità, ma vi assicuro che quanto successo a mia figlia non peserà nelle indagini». Il questore si sporse leggermente. «Ne è sicuro?» «Certo, non sarei qui altrimenti». Il questore sembrò studiarlo. Lavoravano insieme da molti anni e la fiducia che nutrivano l’uno verso l’altro non aveva mai vacillato, neppure nei momenti più difficili. Perfino di fronte al fallimento di quattro anni prima, quando, davanti a stampa e televisioni erano stati costretti ad ammettere l’impossibilità di catturare il paparazzo, lo avevano fatto l’uno accanto all’altro, come due vecchi soldati. «Si ricorda cosa è successo quattro anni fa?» il questore inforcò nuovamente gli occhiali, «diciamocelo con onestà, non abbiamo mai avuto uno straccio di pista da seguire e alla fine il caso è finito in archivio tra quelli irrisolti. È sicuro di voler ricominciare daccapo? Affidandole nuovamente il caso ci stiamo muovendo al limite della legalità». Il PM stava immobile e in silenzio con le braccia conserte. Sembrava studiarli.
«Io sono pronto», rispose Tancredi, «sono passati quattro anni, non sono più l’uomo di allora e quell’esperienza non potrà che essermi utile per le nuove indagini». Il questore sbuffò e scambiò una fugace occhiata col pubblico ministero. «D’accordo», esclamò alla fine, «se il dottore non ha obiezioni…» Il PM scosse la testa e indicò il giornale sulla scrivania del questore. «Il questore le ha praticamente detto tutto», disse, «ma vorrei comunque farle notare che la nostra decisione è già spunto di critiche, dia un’occhiata a quel giornale e se ne renderà conto subito. Non mi sorprenderebbe se domani ne cominciassero a parlare anche i quotidiani nazionali e i telegiornali, per cui sappia che non ci potranno essere ripensamenti. O ne usciamo tutti vittoriosi o tutti umiliati». «Vi assicuro che non lascerò che accada quello che è successo quattro anni fa», ribatté Tancredi. Il PM scambiò uno sguardo con il questore e alla fine annuì convinto. «D’accordo, mettiamoci subito al lavoro».
4. Castelbasso, Rieti. Venerdì 15 Febbraio 2008 ore 9.30 Il professor Cascioli aprì la porta del patio e sentì il vento freddo sferzargli il viso. Ebbe un brivido e cercò calore infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. Davanti ai suoi occhi il panorama era quello di tutte le mattine, colori e rumori affascinanti con cui si era abituato a cominciare le sue giornate da ormai quattro anni, da quando aveva deciso di lasciare il caos della città per rifugiarsi in quel delizioso angolo di campagna. Una decisione che giorno dopo giorno aveva imparato ad apprezzare, nonostante ogni tanto i fantasmi del passato tornassero a trovarlo, desiderosi di riportarlo dritto giù all’inferno. Un cagnolino sbucò da dietro le sue gambe e trotterellò veloce verso la campagna. Lo seguì con lo sguardo e poi si fermò ad ammirare lo splendido panorama che tutti i giorni offriva la valle: sembrava sempre diverso, come se durante la notte gli alberi amassero spostarsi da una parte all’altra della distesa formando nuovi piccoli boschetti. Sistemò i capelli scombinati dal vento e cercò con lo sguardo il piccolo animale che ricomparve dopo pochi secondi da dietro un cespuglio. Si fermò ad annusare l’aria e poi tornò verso di lui. Si accucciò e scodinzolò in attesa di qualche carezza. Il professore afferrò una scatola di biscotti per cani e gliene porse uno. «Ecco qua, bello», il bastardino lo prese e andò a mangiarlo dentro casa. Cascioli sorrise e vide compa-