LAURA POLETTI
La Casa dei fantasmi Giallo
Copyright 2010 CIESSE Edizioni Design di copertina 2010 CIESSE Edizioni La casa dei fantasmi by Laura Poletti Tutti i diritti sono riservati. È vietata ogni riproduzione, anche parziale. Le richieste per la pubblicazione e/o l’utilizzo della presente opera o di parte di essa, in un contesto che non sia la sola lettura privata, devono essere inviate a: CIESSE Edizioni Servizi editoriali Via Conselvana 151/E 35020 Maserà di Padova (PD) Telefono 049 7897910 – 049 8862964 Fax 049 2108830 E-Mail redazione@ciessedizioni.it P.E.C. infocert@pec.ciessedizioni.it ISBN 9788897277392 Collana BLACK & YELLOW Versione eBook
http://www.ciessedizioni.it NOTE DELL’EDITORE Il presente romanzo è opera di pura fantasia. Ogni riferimento a nomi di persona, luoghi, avvenimenti, indirizzi e-mail, siti web, numeri telefonici, fatti storici, siano essi realmente esistiti o esistenti, è da considerarsi puramente casuale e involontario.
A Paolo
BIOGRAFIA Laura Poletti è nata a Rapallo nel 1975, si è diplomata al liceo classico e laureata in legge. Finalista e segnalata a diversi concorsi, ha pubblicato racconti su alcune antologie, fra cui “365 Racconti Erotici per un anno (Delos Books 2010), “I Sentieri del cuore” (Montag editore 2010), “Prodigi: non chiedermi illusioni” (Montag editore, antologia del premio Solari/Le Fenici 2009) e “Falsa testimonianza” (Moby Dick editore, antologia del premio L.A. Muratori 2009).
18 ottobre. Il cane abbaiava senza sosta da più di mezz’ora. - Di nuovo quelle luci? - Se abbaia ormai lo fa solo per quello. Vedrai che fra un po’ si stufa. - Dovremmo andare a vedere quello che succede, io non ho paura dei fantasmi. - Sei proprio una pettegola. Nemmeno io ho paura dei fantasmi, ma non mi interessa sapere niente. Finché non vengono a scocciare noi, va tutto bene. - Ma a quel pover’uomo non ci pensi! - E’ una brava persona, ma non sono affari nostri. Ora vedi di dormire, che è tardi. Come il suo padrone aveva previsto, dopo pochi minuti il cane si era stancato di abbaiare e si era rintanato nella cuccia.
20 ottobre L’ispettore Chiara Refi aveva appena finito di controllare e firmare la serie di rapporti che aveva sulla scrivania. Era un lavoro che preferiva fare con cadenza regolare, per evitare che la pila di documenti in attesa delle sue attenzioni diventasse troppo alta. Detestava trovare la scrivania ingombra di carta. Visto che erano quasi le sei del pomeriggio, era pronta a tornare a casa, da Bianca e Bernie, che probabilmente l’aspettavano davanti alla porta con qualche preda da mostrarle, sempre che non si fossero rifugiati sulle poltrone del salotto della sua vicina, la signora Gina. La vecchia signora era felice della compagnia dei felini e li viziava con avanzi di carne tenuti da parte solo per loro. Forse Quinti aveva bussato e lei non se ne era accorta, distratta dal pensiero dei gatti: l’agente era in piedi sulla porta, in attesa di un cenno. - Che c’è? - Mi scusi dottoressa, ma c’è un signore che ha un problema e preferirei che parlasse con lei. Dovrebbe essere una cosa veloce.
Quinti era un buon agente, con molta esperienza, ma con poca voglia di trattare con le persone: preferiva di gran lunga la carta, il computer, i timbri. In effetti il funzionamento della parte burocratica del commissariato si basava su di lui, come anche l’organizzazione dell’archivio. Ma, per quel che riguardava i rapporti con gli esseri umani, il suo sistema operativo andava in crash. - Fallo accomodare. L’uomo che entrò alla chetichella nella stanza doveva avere una cinquantina d’anni, non portati bene: basso di statura, grassottello e con una calvizie che aveva lasciato pochi sopravvissuti. Aveva l’aria di voler uscire fuori al più presto possibile dal commissariato. Chiara lo fece accomodare e partì con le presentazioni, cercando di accelerare i tempi. - Allora signor Bertani, che problema ha? - Vede dottoressa, spero che non mi prenda per pazzo, ma non so più a chi rivolgermi: mi eravate rimasti voi o il prete. Un punto a favore delle forze dell’ordine: avevano battuto l’autorità religiosa.
- Ho un vecchio casale, in campagna, una decina di chilometri da qui: è in buono stato, ma isolato e distante dalla strada, a ridosso di un bosco di castagni. Visto che ormai sono anni che ci vado saltuariamente, ho pensato di venderlo. E in quel momento erano cominciati i suoi guai. Si era rivolto a un’agenzia immobiliare, che era riuscita a trovare un paio di clienti interessati all’acquisto, ma nel frattempo si erano diffuse delle strane voci sulla casa, che fosse infestata dai fantasmi. I proprietari delle case vicine avevano ammesso di aver visto qualche luce durante la notte, ma nessuno si era preso la briga di controllare di cosa si trattasse. - Alla fine, visto che la storia mi sembrava strana, ho deciso di passare qualche notte nella casa, con mio figlio, ma non è successo niente. Ma sa come vanno queste cose, viviamo in un paese piccolo e le voci corrono in fretta, così ora è diventata per tutti la casa dei fantasmi. Già è difficile trovare qualcuno interessato a un edificio come quello, si figuri se ci sono di mezzo gli spiriti. Chiara non era riuscita a interrompere il monologo dell’uomo, e per un attimo aveva
temuto che gli venisse un infarto, visto quanto si era accalorato nel raccontare la storia. Invece avrebbe dovuto interromperlo subito, spiegandogli che la soluzione migliore era quella di trovare un acchiappafantasmi, oppure un esorcista, o meglio ancora un turista interessato ad acquistare un’abitazione tipica completa di fantasma, ma lo aveva visto tanto sconvolto che le era passata la voglia di prenderlo in giro: doveva essergli costato venire a chiedere aiuto alla polizia, per cui Chiara si sentiva in dovere di offrirgli almeno un po’ di considerazione. - Non so quanto le potrò essere d’aiuto signor Bertani, ma vedrò di svolgere qualche indagine: magari si tratta di una bravata, oppure c’è qualcuno che ha interesse a danneggiarla. Per il momento non parli a nessuno della sua visita qui da noi. L’uomo sospirò e scosse la testa. - Non credo di avere nemici, dottoressa, ma a questo punto non sono più sicuro di nulla. E stia tranquilla, non lo dirò nemmeno a mia moglie, mi prenderebbe per scemo. Chiara si fece lasciare i recapiti dell’uomo, con la promessa di richiamarlo appena avesse avuto notizie. Prima di andare a casa
passò dall’ufficio del commissario Ferrara, per informarlo dell’accaduto. Anche lui era pronto a uscire, per cui si limitò a un riassunto veloce. - Visto che non c’è tanto da fare adesso, se hai voglia puoi provare a vedere cosa vogliono questi fantasmi. Cerchiamo solo di non fare troppa pubblicità, altrimenti cadiamo nel ridicolo. Chiara chiamò l’agente Andrea Mangini, che le era stato assegnato come collaboratore: in un ufficio più grande forse avrebbe avuto un compagno di pari grado ma, visto che erano in pochi, era già contenta di non doversela cavare sempre da sola. Andrea aveva dalla sua un grande entusiasmo, derivato dall’essere da poco tempo nel corpo, e un fascino che lo rendeva irresistibile per tutto il genere femminile. La loro collaborazione era già costata a Chiara le frecciatine e le battute, più o meno velate, dei colleghi e l’invidia infondata delle colleghe: Andrea era un bel ragazzo moro, lei aveva passato i trenta già da un pezzo e i dieci anni di differenza la facevano sentire una specie di sorella maggiore. Nulla di più.
Gli chiese di fare qualche indagine preliminare sul Bertani, con tutta calma: lei, nel frattempo, avrebbe dato un’occhiata al casale. A casa Bianca e Bernie l’aspettavano sullo zerbino della porta d’ingresso, immobili come statue. Considerato che erano fratelli, non avrebbero potuto essere più diversi: Bernie era un tigrato rosso, grosso e sgraziato nei movimenti, mentre Bianca aveva il mantello immacolato, il corpo piccolo e una grazia innata. Nelle battute di caccia era sempre lei a ricoprire il ruolo più attivo, mentre il fratello si limitava a fare da spettatore. Controllò la segreteria e trovò un messaggio di Gianni, dall’Argentina: l’avvertiva che il suo lavoro era quasi terminato, e che contava di rientrare in Italia entro la prima metà di novembre. Strano che usasse un mezzo così obsoleto e costoso come il telefono, soprattutto strano che la chiamasse a casa, visto che lei c’era solo la sera. Forse gli era venuta una botta di malinconia. Chissà cosa avrebbe pensato un razionale ingegnere come lui di una casa infestata dai fantasmi. Glielo avrebbe scritto
nella prossima mail, tanto per fargli fare due risate.
21 ottobre Doveva decidersi a portarsi dietro il navigatore quando si avventurava in una strada che non conosceva. E doveva imparare a usarlo. Chiara continuava a ripeterselo, mentre viaggiava in mezzo a un nulla fatto di campi, stradine che si incrociavano con la provinciale e terminavano in spiazzi vuoti dopo poche decine di metri, boschi di castagni tutti uguali fra loro e nemmeno un’anima a cui chiedere un’indicazione. Nonostante vivesse a Bocca Ligure da quasi tre anni, dopo il trasferimento da Milano, non era ancora in grado di padroneggiare la geografia dei luoghi. Lei si perdeva e basta. Comunque, con la solita fortuna, il gps non avrebbe funzionato in mezzo ai boschi, oppure l’indirizzo sarebbe risultato inesistente. Aveva percorso la provinciale fino al confine con Campoligure per almeno tre volte nei due sensi di marcia e le sembrava di aver provato tutte le stradine che era riuscita a vedere, tranne forse un piccola deviazione sterrata. Si decise a imboccarla, per avere la
piacevole sorpresa di scoprire che la stradina proseguiva fino al limitare del bosco: dietro ad alcuni alberi, che la nascondevano alla vista dalla strada, trovò quella che doveva essere la casa del Bertani. Il numero civico corrispondeva e anche la descrizione che il proprietario le aveva fatto: non era brutta, ma aveva un qualcosa di lugubre, forse a causa della posizione isolata e priva di luce, troppo vicina agli alberi. Per il resto, sembrava in buono stato, anche se Chiara non ci sarebbe mai venuta a viverci: i vicini di casa possono anche sembrare invadenti, ma erano preferibili alla solitudine e al silenzio assoluto. In fondo, era nata in città, non in una baita di montagna. Come il Bertani le aveva detto, la casa più vicina era a quasi trecento metri. Fece il giro del perimetro esterno del casolare e sul retro trovò un secondo ingresso. Riuscì anche a osservare l’interno della cucina da una finestra con un’anta degli scuri di legno aperta: arredata con mobili di almeno trent’anni, ma in buono stato. Nessuna traccia di fantasmi, anche perché a Chiara non risultava che si manifestassero al mattino e nemmeno di presenze più terrene: a parte l’improbabile ipotesi di un passaggio
segreto, se qualcuno avesse voluto introdursi in casa avrebbe dovuto per forza utilizzare una chiave. E questo restringeva il campo dei sospetti. Chiara era ritornata in ufficio poco dopo l’ora di pranzo e si era subito scontrata con Quinti, alla ricerca affannosa di alcune carte. - Dottoressa, ci hanno segnalato un rogo di automobili in via Leopardi. Stanotte, intorno alle quattro, a sentire i vigili del fuoco. Dare fuoco alle automobili e ai ciclomotori stava diventando uno degli sport notturni più diffusi in tutto l’entroterra: vista la diffusione del fenomeno e la diversità dei casi che si erano presentati, era difficile pensare a un solo piromane, quanto a una serie di atti non connessi fra loro. Come aveva commentato il commissario, ben attento a non farsi sentire, si trattava dei soliti gruppi di “adolescenti imbecilli che non hanno di meglio da fare.” Del caso si occupava Luca Diani con i colleghi degli uffici vicini e i carabinieri delle stazioni locali: avevano dato vita a una specie di squadra anti-piromani, fino a quel momento con scarsi risultati.
Andrea l’aspettava in ufficio, e dal sorriso soddisfatto, doveva avere avuto migliori risultati nella sua mattinata di ricerche. - Ciao dottoressa, come vedi mi sono messo subito all’opera. Su Giacomo Bertani c’è poco da dire: incensurato, dirige un’agenzia di assicurazioni, un tipo normale e poco interessante. Se tutte le persone fosse state poco interessanti e normali loro non avrebbero avuto molto lavoro e Chiara ne sarebbe stata più che contenta. Molto più interessanti erano le informazioni su Luigi Bertani: diciannove anni, non proprio uno studente modello, aveva cominciato ad attirare l’attenzione un anno prima, quando era stato fermato alla guida dello scooter in stato di alterazione alcolica. Niente di particolarmente grave, se non per il fatto che i giovani che erano con lui erano già noti per fatti connessi allo spaccio e al consumo di sostanze stupefacenti. Dalla storia erano usciti tutti puliti, dato che nessuno aveva droga con sé, ma c’era un particolare stonato, visto che da qualche tempo il Bertani aveva cominciato a condurre uno stile di vita un po’ troppo
agiato per la sua condizione di studente e le disponibilità di famiglia: da dove venissero fuori questi soldi era ancora un mistero, ma era esclusa la provenienza illecita, visto che il ragazzo era ancora sotto un blando controllo dei carabinieri di Campoligure, dove si trovava il liceo che frequentava. - Allora forse il ragazzo sta prendendo per i fondelli suo padre e l’arma e utilizza il casolare di campagna per qualche affare losco, magari con i suoi amici che bazzicano il giro degli spacciatori. E la storia dei fantasmi casca a fagiolo. Andrea sembrava contento del lavoro svolto, come un pavone che mostra la ruota. - Oppure, ancora meglio, è proprio lui che tiene in piedi tutta questa storia e allontana i possibili compratori per non perdere la sua fonte di reddito. Il padre mi è sembrato una persona a posto e il fatto che non abbia detto niente al figlio della sua visita qui da noi, può giocare a nostro favore. Visto che il Bertani studiava al liceo Parini, era possibile che proprio lì ci fossero delle tracce delle sue attività. Ci avrebbe pensato Andrea a controllare. In effetti, era meglio
che trattasse lui con i ragazzi, lei poteva al massimo sembrare una loro insegnante.
1 novembre Riuscire a capire in cosa consistessero le attività illecite di Luigi Bertani non fu un’impresa facile: Andrea era riuscito a infrangere solo in parte il muro di omertà che circondava la questione e grazie all’aiuto di Fabio, un ragazzo conosciuto giocando a calcetto. Silvia, la sorella minore di Fabio, frequentava lo stesso istituto del Bertani e sondando il terreno Andrea si era ritrovato in mano un misterioso invito per una festa di Halloween, nella veste di cavaliere di Silvia. Ovviamente la ragazza era all’oscuro del lavoro dell’amico del fratello, lo aveva visto qualche sera e aveva accettato la sua corte discreta. Il problema più grosso di tutta la faccenda era stato evitare che Fabio giocasse a fare il fratello maggiore iperprotettivo e rovinasse tutta la loro articolata costruzione. Anche sui particolari della festa Silvia aveva tenuto la bocca cucita: si comportava come una cospiratrice, dando ad Andrea solo le informazioni necessarie, come il fatto che si sarebbe dovuto procurare un costume in stile horror e che nessuno avrebbe dovuto sapere niente. Solo dopo molte insistenze
Andrea era riuscito a scoprire la sede della festa: il casolare dei Bertani, come prevedibile. Alla fine Andrea e Silvia avevano optato per un costume da conte Dracula e signora: Chiara lo aveva aiutato a prepararsi, cercando di non prenderlo troppo in giro per il cerone sulla faccia e la dentiera finta. Si trattava del suo primo incarico sotto copertura, anche se non ufficiale, e lui sembrava tenerci moltissimo. Gli aveva ripetuto tutte le istruzioni almeno dieci volte, sperando che le tenesse bene a mente: Ferrara aveva dato il beneplacito non ufficiale all’operazione, precisando che dovevano limitarsi a osservare. Nessun intervento, se non in caso di estrema necessità . Chiara si era sistemata in automobile, lungo la carreggiata della strada principale, in una posizione che le consentiva di vedere almeno parte della cascina del Bertani. Non era l’unica a godersi lo spettacolo: appena le luci della casa si erano accese, si era scatenato un cane con il suo concerto di guaiti e ululati. Il freddo dell’abitacolo cominciava a darle fastidio, soprattutto ai piedi, che sembravano due pezzi di ghiaccio,
finché non si decise a levarli dalle scarpe e avvolgerli nella coperta in cui si era già fasciata. Aveva lo stesso problema quasi ogni sera, esclusi i mesi estivi: Gianni aveva già messo in chiaro come detestasse i suoi piedi freddi, soprattutto quando lei li appoggiava a tradimento sulle gambe del fidanzato quasi addormentato. Il termos di caffè era stata una buona idea, ma non sufficiente a tenerla sveglia: la musica dell’autoradio la cullò in un sonno scomodo, ma profondo. Quando si risvegliò di scatto il cane aveva smesso di abbaiare. La nottata sul sedile dell’automobile le avrebbe regalato un mal di schiena feroce per tutta la settimana successiva, sempre che le andasse bene: a vent’anni reggeva benissimo le notti in bianco, ma ormai perdere ore di sonno la faceva sentire una vecchia carretta. Controllò l’orologio sul cruscotto: aveva dormito per una ventina di minuti, non di più, ma le luci della casa erano tutte spente. Era strano che la festa fosse finita così presto e che tutti quanti se ne fossero già andati. Forse c’era qualche problema e Andrea non era riuscita ad avvertirla. Oppure era saltata la corrente, e lei si preoccupava per nulla. In
fondo, quello che più grave poteva accadere era che i fantasmi si fossero realmente manifestati per spaventare chi disturbava il loro riposo eterno. Dopo qualche minuto le finestre della casa tornarono illuminate: niente fantasmi. Chiara stava valutando se rimettersi a dormire quando squillò il cellulare. Fare retromarcia e contemporaneamente avvertire i colleghi rischiò di mandare Chiara fuori strada: ci sarebbe mancato di dover chiamare il carro attrezzi per recuperare la sua automobile dai campi, poi la nottata sarebbe stata perfetta. Non aveva parlato di omicidio al telefono, ma solo della necessità di far arrivare al più presto possibile un’ambulanza: non le sembrava il caso di scatenare un putiferio prima di aver assodato quello che era successo nella casa del Bertani, anche se Andrea era stato chiaro. - Ho trovato un morto. Ammazzato. Ma poteva essersi sbagliato: non doveva aver visto molti cadaveri, e magari si era impressionato, credendo di vedere qualcosa che non c’era.
Mentre Chiara fermava l’automobile nello spiazzo antistante la cascina, sentì in distanza le sirene dell’ambulanza: sperava che almeno l’autista conoscesse la strada. Appena entrata nel casale le sembrò veramente di essere entrata in un vecchio castello infestato dai fantasmi: le decorazioni di carta scura e le finte ragnatele appese alle pareti erano accompagnate da un’illuminazione che tendeva a sfocare la visuale, perfetta per creare un’atmosfera inquietante. Anche la musica ritmata che usciva a tutto volume dalle casse di un piccolo impianto stereo si intonava alla perfezione all’ambiente. Si fece largo tra i ragazzi che ballavano, vestiti nei modi più strani, rischiando di inciampare su una benda di carta igienica di una mummia. Qualcuno degli ospiti la degnò di uno sguardo curioso, chiedendosi forse quale personaggio interpretasse. Andrea le venne incontro sulle scale che conducevano al piano superiore: la musica arrivava attutita, tanto che non era necessario urlare per capirsi. Chiara seguì il collega lungo un corridoio su cui si affacciavano due porte chiuse, fino a